Capitolo primo Le condizioni per una semantica scientifica Il problema della significazione si colloca al centro delle preoccupazioni attuali. Per trasformare in antropologia l’inventario dei comportamenti umani e per trasformare in storia le serie degli avvenimenti occorre porsi il problema del senso delle attività umane e del senso della storia. Il mondo umano ci appare definibile essenzialmente come mondo della significazione: il mondo può essere detto “umano” solo nella misura in cui significa qualcosa. Infatti, le scienze dell’uomo possono trovare il loro denominatore comune nelle ricerche sulla significazione. Questa funzione di catalizzatore era naturalmente di pertinenza della linguistica. Ma è interessante osservare come questa, esposta a sollecitazioni disparate, si sia in generale dimostrata, più che reticente, addirittura ostile a qualsiasi ricerca semantica. Le ragioni sono molteplici. La semantica, parente povera Bisogna riconoscere che la semantica è sempre stata la parente povera della linguistica. Ultima nata tra le discipline linguistiche – il suo stesso nome fu coniato solo verso la fine del XIX secolo – essa fu preceduta, nel quadro dello sviluppo della linguistica storica, dapprima dalla fonetica – che è l’ambito in cui è stato raggiunto il livello di elaborazione più avanzato – e poi dalla grammatica; ed anche dopo essere stata individuata e fondata, essa si limitò a cercar di mutuare i propri metodi ora dalla retorica classica, ora dalla psicologia introspettiva La difficoltà di determinare i metodi propri della semantica e di definire le unità costitutive del suo oggetto è reale. L’inventario ristretto dei fonemi, il loro carattere discreto, scoperto in modo implicito all’epoca della prima rivoluzione scientifica dell’umanità, che consistette nella elaborazione dei primi alfabeti, favorivano i progressi della fonetica e più tardi della fonologia. Nulla di simile per la semantica. La definizione tradizionale del suo oggetto, pudicamente considerato sostanza psichica”, impedisce di delimitarla con precisione nei confronti della psicologia, e poi della sociologia. Quanto alle unità costitutive della semantica, il proliferare della terminologia – tra sememi, semiemi, semantemi, eccetera – rivela già da sé imbarazzo e confusione. Il trionfo di una concezione linguistica basata sulla psicologia del comportamento dette alla semantica il colpo di grazia. È nota le celebre definizione che del segno linguistico fornì Bloomfield in Language: esso è “una forma fonetica che ha un senso” (p. 138), “un senso di cui nulla si può sapere” (p. 162). Sulla base di questi atteggiamenti behavioristi, era normale considerare priva di senso la stessa semantica. Eppure, Jakobson, a proposito di coloro che affermano “che le questioni del significato sono senza senso per loro”, osservava giustamente che “quando dicono ‘senza senso’ o sanno cosa ciò vuol dire, e perciò stesso il problema del significato acquista un senso, oppure non lo sanno e allora la loro formula diventa priva di significato” (Saggi, trad. it., p. 18). Queste tre ragioni – il ritardo storico degli studi semantici, le difficoltà intrinseche alla definizione del proprio oggetto e l’ondata del formalismo – fattori critici due ordini di difficoltà, teoriche e pratiche. Le prime nascono dalla vastità dell’impresa: se la semantica deve trovare un posto nell’economia generale della linguistica se è vero che la semantica ha come oggetto di studio le lingue naturali, è vero anche che la descrizione di esse fa parte di quella più vasta scienza della significazione che è la semiologia, nel senso attribuito da Saussure a questo termine. Le seconde derivano dall’eventuale destinatario di tali ricerche. La necessità della formalizzazione, l’insistere sulla univocità dei concetti impiegati, non possono far altro che manifestarsi, in questo stadio della ricerca, attraverso una proliferazione di neologismi e un ridondare di definizioni, ciascuna delle quali pretende di essere più rigorosa delle altre: questo prescientifico procedere a tentoni riesce solo pedante e superfluo a un destinatario che possieda un sistema di riferimenti culturali letterari o storici; mentre apparirà, e giustamente, insufficiente e troppo “qualitativo” agli studiosi di logica e di matematica, Ma una semantica che parta dalla constatazione dell’onnipresenza della significazione finisce per confondersi con la teoria della conoscenza e per tentare di sostituirla o per sottomettersi a una determinata epistemologia i presupposti epistemologici dovranno essere il più possibile poco numerosi e il più possibile generali. Lévi-Strauss in Il pensiero selvaggio (trad. it., p. 25): “La chimica moderna riconduce la varietà dei sapori e dei profumi alla diversa combinazione di cinque elementi: carbonio, idrogeno, zolfo e azoto. Attraverso la compilazione di tavole delle presenze e delle assenze, e la valutazione di dosaggi e di soglie, la chimica riesce a spiegare certe differenze e certe rassomiglianze tra qualità che una volta avrebbe escluso dal suo ambito perché ‘secondarie’. Per costituire i primi elementi di una terminologia operativa indicheremo col termine significante gli elementi o gruppi di elementi che rendono possibile l’apparire della significazione al livello della percezione, e che, per ciò stesso, sono riconosciuti come esterni all’uomo. Col termine significato saranno indicate la o le significazioni di cui si riveste il significante e che si rivelano grazie all’esistenza di quest’ultimo. È possibile riconoscere qualcosa in quanto significante e attribuire ad esso questo nome solo se questo qualcosa significa veramente. L’esistenza del significante presuppone dunque l’esistenza del significato. Questa presupposizione reciproca è il solo concetto logico non definito che ci permette di definire reciprocamente, sulla scorta di Hjelmslev, il significante e il significato. A questa unione del significante e del significato potrà essere dato, a titolo provvisorio, il nome di insieme significante, facendo osservare tuttavia che il termine insieme contenuto in tale definizione, il quale rinvia al concetto di totalità, resta per il momento non definito. significanti siano afferrati, all’atto della percezione, nel loro statuto di non-appartenenza al mondo umano, essi vengono automaticamente respinti verso l’universo naturale che si manifesta al livello delle qualità sensibili. Così i significanti – e gli insiemi significanti – possono essere: – di ordine visivo (mimica, gesticolazione, scrittura, natura romantica, arti plastiche, segnali stradali ecc.); – di ordine auditivo (lingue naturali, musica ecc.); – di ordine tattile (linguaggio dei ciechi, carezze ecc.) I significanti appartenenti a uno stesso ordine sensoriale possono servire a costituire insiemi significanti autonomi, quali le lingue naturali e la musica (o il rumore). Qualunque sia lo statuto del significante, nessuna classificazione di significati si rende possibile a partire dai significanti. Di conseguenza, la significazione è indipendente dalla natura del significante grazie al quale essa si manifesta 2. Significanti di natura sensoriale diversa possono coprire un significato identico almeno equivalente: è il caso della lingua parlata e della lingua scritta Più significanti possono interferire in un unico processo globale di significazione, come avviene per la parola e il gesto. Affermare ad esempio, come succede abbastanza correntemente, che la pittura comporta una significazione pittorica o che la musica possiede una significazione musicale non ha senso Una lingua naturale considerata unicamente come significato, può essere manifestata per mezzo di due o più significanti appartenenti a ordini sensoriali diversi. Così ad esempio il francese può essere realizzato sia sotto forma fonica, sia sotto forma grafica. Bisogna rassegnarsi: ogni ricerca relativa alle significazioni inerenti a una lingua naturale resta imprigionata in quel quadro linguistico e può dar luogo solamente a espressioni, formulazioni o definizioni presentate in una lingua naturale. Il riconoscimento della tenuta dell’universo semantico implica a sua volta il rifiuto delle concezioni linguistiche che definiscono la significazione come relazione tra i segni e le cose, e in particolare il rifiuto di accettare la dimensione supplementare del referente che è introdotta, a mo’ di compromesso, dagli studiosi “realisti” di semantica (Ullmann) nella teoria saussuriana del segno, anch’essa discutibile in quanto rappresenta semplicemente una delle interpretazioni possibili dello strutturalismo di Saussure. Infatti, riferirsi alle cose per dare una spiegazione dei segni, non significa altro che tentare una impossibile trasposizione delle significazioni contenute nelle lingue naturali in insiemi significanti non linguistici: impresa di carattere onirico Noi cogliamo delle differenze e, grazie a tale percezione, il mondo “prende forma” davanti a noi e per noi. Ma che significa propriamente – sul piano linguistico – l’espressione “percepire delle differenze”? 1. Percepire differenze significa cogliere almeno due termini- oggetto come simultaneamente presenti. 2. Percepire differenze significa cogliere la relazione tra i termini, collegarli in un modo o in un altro. Di qui la prima definizione, del resto di uso generale, del concetto di struttura: presenza di due termini e della relazione tra essi. due conseguenze: 1. Un solo termine-oggetto non comporta significazione. 2. La significazione presuppone l’esistenza della relazione: l’apparire della relazione tra i termini è condizione necessaria della significazione. Ogni approfondimento della nozione di struttura esige l’analisi degli elementi della definizione di essa. Si dovrà quindi considerare successivamente la nozione di relazione e quella di termine-oggetto. L’espressione presenza non è invece analizzabile a questo livello Affinché due termini-oggetto possano essere colti insieme, occorre che essi abbiano qualche cosa in comune (è il problema della somiglianza e, al limite, quello dell’identità). 2. Affinché due termini-oggetto possano essere distinti, essi devono essere in qualche modo distinti (problema della differenza e della nonidentità). I due aspetti della relazione possono manifestarsi a tutti i livelli linguistici. Esempi: 1) strada statale / strada provinciale basso / passo 2) grande / piccolo. (b) sonorizzato / (p) non sonorizzato I due primi esempi non sollevano difficoltà: ciascun termine della relazione possiede infatti due elementi, l’uno dei quali (strada, asso) congiunge la struttura, mentre l’altro (statale/ provinciale, p/b) la disgiunge. I due ultimi esempi, per la loro stessa semplicità, appaiono più sfuggenti. Mentre da un lato l’esistenza della relazione tra i due termini è indubbia, i due aspetti – congiuntivo e disgiuntivo – della relazione non sono immediatamente visibili. Indicheremo tale tipo di relazione con l’espressione struttura elementare: ed infatti, essendo ammesso che i terminioggetto da soli non comportano significazione, le unità significative elementari vanno ricercate al livello delle strutture e non al livello degli elementi. Questi ultimi, che li si chiami segni, unità costitutive o monemi, sono secondari nell’ambito della ricerca sulla significazione. La lingua non è un sistema di segni, ma un insieme di strutture di significazione, il cui funzionamento resta da determinarsi. Gli assi semantici La struttura elementare non deve quindi essere cercata al livello dell’opposizione basso / passo ma al livello dell’opposizione b / p. È lecito ammettere che tale opposizione consista nel carattere sonorizzato / non sonorizzato dei due fonemi. Tuttavia, se siamo in grado di comparare, e perciò di distinguere, p e b, ciò si deve al fatto che i due fonemi sono comparabili, vale a dire perché l’opposizione tra essi si colloca su un unico asse: quello della sonorizzazione. Il termine sonorizzazione è forse improprio, giacché mette in evidenza solo la proprietà “sonorizzato” di uno dei due termini La cosa importante è l’esistenza di un unico punto di vista, di una dimensione all’interno della quale si manifesta l’opposizione, che si presenta sotto forma di due poli estremi di un unico asse. Lo stesso avverrà sul piano semantico, ove le opposizioni bianco / nero grande / piccolo permettono di postulare un punto di vista comune ai due termini: quello dell’assenza di colore in un caso, quello della misura del continuo nell’altro. Chiameremo asse semantico quel denominatore comune dei due termini, quello sfondo su cui si delinea l’articolarsi della significazione. L’asse semantico ha, come si vede, la funzione di sussumere, di rendere totali, le articolazioni che sono inerenti ad esso. L’asse semantico S è il risultato della descrizione totalizzante la quale riunisce sia le somiglianze sia le differenze comuni ai termini A e B: S appartiene perciò al metalinguaggio semantico descrittivo Così, la relazione tra due terminioggetto: donna r (sesso) uomo può essere tradotta con donna (femminilità) r uomo (mascolinità). Gli elementi di significazione (s1, s2) così isolati sono designati da Jakobson come tratti distintivi e rappresentano per lui una traduzione inglese dell’espressione elementi differenziali di Saussure. Per ragioni di semplicità terminologica proponiamo di chiamarli semi. Una struttura elementare può quindi essere colta e descritta, come si vede, sia sotto forma di asse semantico, sia sotto forma di articolazione semica. Non ci si stupirà perciò che Hjelmslev riservi a queste articolazioni del linguaggio il nome di forma del contenuto e che designi gli assi semantici che le sussumono come sostanza del contenuto. La sostanza del contenuto non deve quindi essere considerata come una realtà extralinguistica, psichica o fisica, ma come manifestazione linguistica del contenuto, collocata a un livello diverso da quello della forma. L’opposizione di forma e sostanza si trova dunque completamente all’interno dell’analisi del contenuto: essa non è opposizione di significante (forma) e di significato (contenuto) come vorrebbe farci credere una tradizione risalente all’Ottocento; la forma è significante allo stesso titolo della sostanza Capitolo terzo Linguaggio e discorso 1. Significazione e comunicazione La comunicazione infatti riunisce le condizioni del loro manifestarsi, in quanto il significato ritrova il significante nell’atto della comunicazione, nell’avvenimentocomunicazione. le unità minime del discorso: il fonema e il lessema. constatare l’assenza di isomorfismo tra il piano del significante e il piano del significato: le unità di comunicazione dei due piani non sono equidimensionali. Non è il fonema che corrisponde al lessema, ma la combinazione di fonemi. L’analisi dei due piani deve perciò essere condotta, benché con gli stessi metodi, separatamente, e dovrà proporsi di stabilire l’esistenza dei femi per il significante, e dei semi per il significato, unità minime dei due piani del linguaggio; Il senso che le opposizioni fonologiche costitutive fanno apparire all’interno di unità più ampie è in sostanza solamente un senso negativo, una possibilità di senso. Ad esempio: se l’opposizione basso/passo attribuisce a basso un’apparenza di senso, non si può dire che, al momento del processo di comunicazione in cui si collocano tutte le scelte tra ciò che sarà manifestato e ciò che resterà sottinteso, la scelta di basso, che è effettuata dal parlante (Il cielo è basso. Il soffitto è basso), lo sia, necessariamente, per la presenza costrittiva del lessema passo o per una qualsiasi relazione con esso. Al contrario la manifestazione di basso, lascerà nell’ombra alto e non passo. Nel suo aspetto aggettivale l’opposizione tra alto e basso sembra potersi interpretare con l’aiuto della categoria di “qualità relativa”, la quale si articola in due semi: “grande quantità”/”piccola quantità”, e che costituisce lo schema binario del giudizio dato dal parlante, in riferimento a una norma ideale, riguardo a contenuti semici diversi. Così la stessa categoria e gli stessi termini semici si trovano manifestati nelle coppie lessematiche lungo / corto largo / stretto, ecc. i lessemi alto / basso sono caratterizzati dalla presenza del sema “verticalità”, che si oppone all’assenza di tale sema nei lessemi lungo / corto , largo / stretto i quali risultano caratterizzati dal sema “orizzontalità”. Perciò le opposizioni semiche operano disgiunzioni tra lessemi. Geimas vs analisi componenziale: da un lato il lessema non ci appare più come una semplice collezione semica, ma come un insieme di semi collegati tra loro da relazioni gerarchiche; Due sistemi semici, quello della spazialità e quello della quantità, interferiscono e si ritrovano all’interno dei medesimi lessemi. Una simile situazione, lungi dall’essere eccezionale, è, al contrario, il normale modo d’essere dei lessemi. L’analisi del morfo-lessema les obbliga il grammatico a constatare che quest’ultimo comporta solamente i semi dei “numeri” e della “determinazione”, mentre il sema del “genere” è assente dalla manifestazione. Formulando in modo un po’ diverso questa osservazione, si può dire anche che, in questo preciso caso, la presenza del “genere” presuppone la presenza del “numero” e della “determinazione”, ma che non è vero il contrario. Si può dedurne che all’interno di un lessema esistono relazioni gerarchiche tra semi appartenenti a sistemi semici eterogenei. il lessema è il luogo di manifestazione e d’incontro di semi che spesso provengono da categorie e da sistemi diversi e che presentano tra loro relazioni gerarchiche. Ma il lessema è anche un luogo d’incontro storico. Infatti, nonostante il suo carattere stabile, il lessema è dell’ordine dell’avvenimento e, come tale, si trova sottoposto alla storia. Ciò significa che, nel corso della storia, i lessemi si arricchiscono di nuovi semi, ma che questa storia stessa, cioè, in sostanza, lo scarto che separa un processo di comunicazione dall’altro (la diacronia) può vuotare i lessemi di alcuni dei loro semi. lessemi quali elementi di fusione di semi eterogenei, appaiono ora suscettibili di manifestazione indipendente nello svolgimento del discorso A.J. Greimas analisi del lessema TESTA (da Semantica strutturale, 1966, estratti ed elementi analitici tratti dalle pagine pp.68-84). I corsivi indicano le mie indicazioni aggiuntive. Obiettivo: Analizzare un lessema e vedere le frasi e i sintagmi in cui esso è implicato A partire dal dizionario Littré (Lingua francese) Testa: parte (...) unita al corpo per mezzo del collo Due modi dizionariali di considerare la testa: relazione ipertattica: testa come parte del corpo 1) parte ricoperta da pelle e capelli 2) parte ossea senso 1: “a testa scoperta” “lavarsi la testa” “una testa bianca” o non ricoperta da testa e capelli: “una testa espressiva” (nel senso di volto: non vale in italiano) Nel senso 2: spaccare la testa a qualcuno rompersi la testa testa di morto (in it: avere la testa dura) in italiano: testa da biliardo, testa d'uovo, avere una bella testa, testa vuota, testa di legno cioè: è anche un contenitore (del cervello): “che hai – che ti sei messo - in testa?” Greimas: altra relazione, ipotattica: testa per indicare organismo integrale : essere vivente in quanto tale o figura umana 1): organismo in quanto unità discreta “pagheremo un tanto a testa” “un gregge di cento teste” 2): essere vivente o vita: “mettere una taglia sulla testa di qualcuno” 3) persona umana: “le teste coronate” “una testa calda” In italiano? “Una testa, un voto” Qualche riflessione di Greimas... “Siamo partiti dal lessema testa collocato in alcuni contesti: siamo partiti dall'ipotesi che significhi “parte del corpo”. I contesti che abbiamo raggruppato mettono in evidenza una costellazione di sensi. Intorno all'ipotetico “testa: parte del corpo” una rete di relazioni . Correlazione fra le variazioni contestuali da una parte e le variazioni di contenuto del lessema osservato” Ipotesi di Greimas: testa ha contenuto negativo: è commutabile con terra, tema, testo... ma anche contenuto positivo: questo contenuto è una gerarchia di semi (atomi di significato: sono le figure del contenuto) che Greimas chiama “nucleo semico” supponendo che esso sia un minimo permanente in tutte le manifestazioni del semema, un “nucleo semico” (Ns) Ma se il significato di testa cambia da contesto a contesto (come abbiamo visto) ci deve essere anche qualcos'altro che ne definisce il significato (l'accezione) di volta in volta: questo qualcosa deve essere “capace di rendere conto dei mutamenti degli effetti di senso che possono essere registrati” ipotizziamo possa essere considerato un insieme di semi contestuali (variabili semiche) : Cs La totalità dei contesti-occorrimenti esaurisce tutte le variabili semiche, tuttavia il buon senso ci dice che il numero dei semi contestuali è molto più ridotto di quello dei contesti-occorrimenti. A “spaccare la testa”, “rompersi la testa”, “testa di morto” corrisponde un unico effetto di senso: “parte ossea della testa”. Sembra dunque possibile raggruppare i contesti in classi contestuali: (...) contesti che provocano tutti lo stesso effetto di senso. Possiamo ritenere che il sema contestuale sia il denominatore comune di tutta una classe di contesti” In alcuni casi: più di un sema, ma consideriamo solo il caso più semplice in cui una classe contestuale è definita da un solo sema contestuale. Le definizioni che abbiamo dato del nucleo semico Ns e del sema contestuale Cs si permettono di considerare l'effetto di senso come un semema e di definirlo come la combinazione di Ns e di Cs Torniamo all'analisi del nucleo semico la cui combinazione coi semi contestuali provoca, sul paino del discorso, quegli effetti di senso che abbiamo indicato col nome di sememi primo nucleo semico: estremità nuova classe di occorrimenti Estremità + superiorità + verticalità la testa di un chiodo (greimas: di un palo) essere alla testa della ditta avere debito fin sopra la testa (in italiano: ne ho fin sopra i capelli) Estremità + anteriorità + orizzontalità + continuità testa di una trave testa di un canale stazione di testa (in italiano: testa di ponte, villetta caposchiera) Estremità + anteriorità + orizzontalità + discontinuità vettura di testa testa del corteo prendere la testa (del corteo) (in italiano: testa di serie) Greimas conclude: 1) in queste espressioni testa non significa mai parte del corpo 2) primo tratto comune è la presenza del sema estremità se si combina con verticalità o anteriorità produce: a) dalla testa ai piedi b) testa-coda (senza né capo né coda) cioè: estremità verticale (testa di un palo, di un chiodo) o orizzontale (stazione di testa). chiameremo questo sema:”superatività” dunque il nucleo semico per questo inventario sarà: “estremità + superatività (essere la pèrima estremità nel senso di anteriorità verticale o orizzontale)” Il tratto di continuità potrà invece essere presente, o negato dalla discontinuità, o assente Ecco dunque come a partire da questo primo inventario è possibile notare come non tutti i semi implicati dalla definizione abbiano lo stesso ruolo: alcuni sono sempre presenti, altri lo sono solo in certi contesti. Mentre dunque la estremità e la superatività (il fatto di essere prima estremità) sono sempre presenti, non è così per continuità o discontinuità. Il semema si presenta subito dunque come una serie di semi in cui cìè una differenza interna: non è la semplice serei di semi sullo stesso livello dell’analisi componenziale ma si tratta di una gerarchia (ossia di un insieme che presenta una articolazione interna). Resta ora da considerare un altro inventario Un altro inventario per il secondo nucleo di testa: sferoidità Emersione di un primo tratto: Sferoidità (sfericità): testa di una cometa testa di spillo testa di chiodo (zucca, boccia, nell'italiano familiare “farsi la boccia”) Testa di rapa o di cavolo: qui assieme alla sfericità si chiama in causa il tratto “contenente” Sferoidità + solidità rompersi la testa aver la testa dura testa d'uovo Sferoidità + solidità + contenente mettersi in testa una cosa imbottirsi la testa (in italiano: fasciarsi la testa) possiamo distinguere sferoidità, che è sempre presente, dagli altri semi, che sono solo dovuti alle variabili contestuali Tutti questi contesti riproducono il nucleo descritto in precedenza: la testa è parte del corpo, ma solo se è considerata estremità superativa (deve opporsi a piedi): infatti la cometa ha testa e coda la testa di spillo si oppone alla punta Estremità + superatività è dunque la parte comune ai due inventari. Ma anche sferoidità: l'analisi del primo gruppo di lessemi non aveva tenuto conto della componente dimensionale dello spazio che però vi rientrava comunque, presupponendo lo spazio come estensione piena o riempibile: l'estremità è concepibile solo come punto terminativo (limite) di uno spazio di superfici o solo come rigonfiamento di uno spazio fatto di volumi Dunque il nucleo di un lessema non è né un sema isolato né un semplice gruppo di semi ma è una costellazione (Hielmslev) di semi appartenenti a vari sistemi, in una certa misura indipendenti estremità e superatività sono semi autonomi che si presuppongono reciprocamente (altrimenti non potremmo spiegare le manifestazioni linguistiche che abbiamo analizzato) e che si compongono nel nucleo sulla base di una (o più) gerarchie Il semema sarà allora definibile come combinazione di un nucleo semico e dei semi contestuali nucleo semico=figura nucleare semi contestuali=classemi Qualche esempio per riflettere E adesso spiegatemi: il cane abbaia il commissario alzò il cane il commissario abbaia l'orefice assalito dai banditi gli ha tirato una granata (bomba, frutto o pietra dura?) Qualche esempio per riflettere sulla nozione di isotopia... (tratto dalle lezioni tenute da U. Eco all'università di Bologna) Bisogna riportare pierino allo zoo Bisogna riportare il leone allo zoo il ragazzo guarda la ragazza sulla collina col cannocchiale Il figlio di Carlo mangia la mela. Lui proprio non gli bada. Anafora- coreferenza -isotopia: ridondanza di semi contestuali in una sequenza, tutti uguali, in modo che permettano di attivare i significati (sememi) di segni diversi e ambigui secondo gli stessi sensi omogenei (lavorano sul Cs e non sul Ns del semema). Dunque linguaggio è contemporaneamente ambiguo e manipolabile