Capitolo primo
Le condizioni per una semantica
scientifica

Il problema della significazione si colloca al centro
delle preoccupazioni attuali. Per trasformare in
antropologia l’inventario dei comportamenti umani e
per trasformare in storia le serie degli avvenimenti
occorre porsi il problema del senso delle attività
umane e del senso della storia. Il mondo umano ci
appare definibile essenzialmente come mondo della
significazione: il mondo può essere detto “umano” solo
nella misura in cui significa qualcosa. Infatti, le scienze
dell’uomo possono trovare il loro denominatore
comune nelle ricerche sulla significazione.

Questa funzione di catalizzatore era
naturalmente di pertinenza della linguistica. Ma
è interessante osservare come questa, esposta
a sollecitazioni disparate, si sia in generale
dimostrata, più che reticente, addirittura ostile a
qualsiasi ricerca semantica. Le ragioni sono
molteplici.
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La semantica, parente povera
Bisogna riconoscere che la semantica è sempre stata
la parente povera della linguistica. Ultima nata tra le
discipline linguistiche – il suo stesso nome fu coniato
solo verso la fine del XIX secolo – essa fu preceduta,
nel quadro dello sviluppo della linguistica storica,
dapprima dalla fonetica – che è l’ambito in cui è stato
raggiunto il livello di elaborazione più avanzato – e poi
dalla grammatica; ed anche dopo essere stata
individuata e fondata, essa si limitò a cercar di
mutuare i propri metodi ora dalla retorica classica, ora
dalla psicologia introspettiva
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La difficoltà di determinare i metodi propri della semantica e di
definire le unità costitutive del suo oggetto è reale. L’inventario
ristretto dei fonemi, il loro carattere discreto, scoperto in modo
implicito all’epoca della prima rivoluzione scientifica
dell’umanità, che consistette nella elaborazione dei primi
alfabeti, favorivano i progressi della fonetica e più tardi della
fonologia. Nulla di simile per la semantica. La definizione
tradizionale del suo oggetto, pudicamente considerato sostanza
psichica”, impedisce di delimitarla con precisione nei confronti
della psicologia, e poi della sociologia. Quanto alle unità
costitutive della semantica, il proliferare della terminologia – tra
sememi, semiemi, semantemi, eccetera – rivela già da sé
imbarazzo e confusione.
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Il trionfo di una concezione linguistica basata
sulla psicologia del comportamento dette alla
semantica il colpo di grazia. È nota le celebre
definizione che del segno linguistico fornì
Bloomfield in Language: esso è “una forma
fonetica che ha un senso” (p. 138), “un senso di
cui nulla si può sapere” (p. 162).
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Sulla base di questi atteggiamenti behavioristi,
era normale considerare priva di senso la
stessa semantica. Eppure, Jakobson, a
proposito di coloro che affermano “che le
questioni del significato sono senza senso per
loro”, osservava giustamente che “quando
dicono ‘senza senso’ o sanno cosa ciò vuol
dire, e perciò stesso il problema del significato
acquista un senso, oppure non lo sanno e allora
la loro formula diventa priva di significato”
(Saggi, trad. it., p. 18). Queste tre ragioni – il
ritardo storico degli studi semantici, le difficoltà
intrinseche alla definizione del proprio oggetto e
l’ondata del formalismo – fattori critici
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due ordini di difficoltà, teoriche e pratiche.
Le prime nascono dalla vastità dell’impresa: se
la semantica deve trovare un posto
nell’economia generale della linguistica
se è vero che la semantica ha come oggetto di
studio le lingue naturali, è vero anche che la
descrizione di esse fa parte di quella più vasta
scienza della significazione che è la semiologia,
nel senso attribuito da Saussure a questo
termine.
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Le seconde derivano dall’eventuale destinatario
di tali ricerche. La necessità della
formalizzazione, l’insistere sulla univocità dei
concetti impiegati, non possono far altro che
manifestarsi, in questo stadio della ricerca,
attraverso una proliferazione di neologismi e un
ridondare di definizioni, ciascuna delle quali
pretende di essere più rigorosa delle altre:
questo prescientifico procedere a tentoni riesce
solo pedante e superfluo a un destinatario che
possieda un sistema di riferimenti culturali
letterari o storici; mentre apparirà, e
giustamente, insufficiente e troppo “qualitativo”
agli studiosi di logica e di matematica,
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Ma una semantica che parta dalla
constatazione dell’onnipresenza della
significazione finisce per confondersi con la
teoria della conoscenza e per tentare di
sostituirla o per sottomettersi a una determinata
epistemologia
i presupposti epistemologici dovranno essere il
più possibile poco numerosi e il più possibile
generali.
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Lévi-Strauss in Il pensiero selvaggio (trad. it., p.
25):
“La chimica moderna riconduce la varietà dei
sapori e dei profumi alla diversa combinazione
di cinque elementi: carbonio, idrogeno, zolfo e
azoto. Attraverso la compilazione di tavole delle
presenze e delle assenze, e la valutazione di
dosaggi e di soglie, la chimica riesce a spiegare
certe differenze e certe rassomiglianze tra
qualità che una volta avrebbe escluso dal suo
ambito perché ‘secondarie’.
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Per costituire i primi elementi di una terminologia operativa
indicheremo col termine significante gli elementi o gruppi di
elementi che rendono possibile l’apparire della significazione al
livello della percezione, e che, per ciò stesso, sono riconosciuti
come esterni all’uomo. Col termine significato saranno indicate
la o le significazioni di cui si riveste il significante e che si
rivelano grazie all’esistenza di quest’ultimo.
È possibile riconoscere qualcosa in quanto significante e
attribuire ad esso questo nome solo se questo qualcosa
significa veramente. L’esistenza del significante presuppone
dunque l’esistenza del significato. Questa presupposizione
reciproca è il solo concetto logico non definito che ci permette
di definire reciprocamente, sulla scorta di Hjelmslev, il
significante e il significato.
A questa unione del significante e del significato potrà essere
dato, a titolo provvisorio, il nome di insieme significante,
facendo osservare tuttavia che il termine insieme contenuto in
tale definizione, il quale rinvia al concetto di totalità, resta per il
momento non definito.
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significanti siano afferrati, all’atto della percezione, nel
loro statuto di non-appartenenza al mondo umano,
essi vengono automaticamente respinti verso
l’universo naturale che si manifesta al livello delle
qualità sensibili.
Così i significanti – e gli insiemi significanti – possono
essere:
– di ordine visivo (mimica, gesticolazione, scrittura,
natura romantica, arti plastiche, segnali stradali ecc.);

– di ordine auditivo (lingue naturali, musica ecc.);

– di ordine tattile (linguaggio dei ciechi, carezze ecc.)
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I significanti appartenenti a uno stesso ordine
sensoriale possono servire a costituire insiemi
significanti autonomi, quali le lingue naturali e la
musica (o il rumore).
Qualunque sia lo statuto del significante,
nessuna classificazione di significati si rende
possibile a partire dai significanti. Di
conseguenza, la significazione è indipendente
dalla natura del significante grazie al quale
essa si manifesta
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2. Significanti di natura sensoriale diversa
possono coprire un significato identico almeno
equivalente: è il caso della lingua parlata e della
lingua scritta
Più significanti possono interferire in un unico
processo globale di significazione, come
avviene per la parola e il gesto.
Affermare ad esempio, come succede
abbastanza correntemente, che la pittura
comporta una significazione pittorica o che la
musica possiede una significazione musicale
non ha senso
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Una lingua naturale considerata unicamente
come significato, può essere manifestata per
mezzo di due o più significanti appartenenti a
ordini sensoriali diversi. Così ad esempio il
francese può essere realizzato sia sotto forma
fonica, sia sotto forma grafica.
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Bisogna rassegnarsi: ogni ricerca relativa alle significazioni
inerenti a una lingua naturale resta imprigionata in quel quadro
linguistico e può dar luogo solamente a espressioni,
formulazioni o definizioni presentate in una lingua naturale. Il
riconoscimento della tenuta dell’universo semantico implica a
sua volta il rifiuto delle concezioni linguistiche che definiscono
la significazione come relazione tra i segni e le cose, e in
particolare il rifiuto di accettare la dimensione supplementare
del referente che è introdotta, a mo’ di compromesso, dagli
studiosi “realisti” di semantica (Ullmann) nella teoria
saussuriana del segno, anch’essa discutibile in quanto
rappresenta semplicemente una delle interpretazioni possibili
dello strutturalismo di Saussure. Infatti, riferirsi alle cose per
dare una spiegazione dei segni, non significa altro che tentare
una impossibile trasposizione delle significazioni contenute
nelle lingue naturali in insiemi significanti non linguistici:
impresa di carattere onirico
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Noi cogliamo delle differenze e, grazie a tale percezione,
il mondo “prende forma” davanti a noi e per noi. Ma che
significa propriamente – sul piano linguistico – l’espressione
“percepire delle differenze”?
1. Percepire differenze significa cogliere almeno due termini-
oggetto come simultaneamente presenti.

2. Percepire differenze significa cogliere la relazione tra i
termini, collegarli in un modo o in un altro.
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Di qui la prima definizione, del resto di uso generale, del
concetto di struttura: presenza di due termini e della relazione
tra essi.
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
due conseguenze:
1. Un solo termine-oggetto non comporta
significazione.
2. La significazione presuppone l’esistenza
della relazione: l’apparire della relazione tra i
termini è condizione necessaria della
significazione. Ogni approfondimento della
nozione di struttura esige l’analisi degli elementi
della definizione di essa. Si dovrà quindi
considerare successivamente la nozione di
relazione e quella di termine-oggetto.
L’espressione presenza non è invece
analizzabile a questo livello


Affinché due termini-oggetto possano essere
colti insieme, occorre che essi abbiano qualche
cosa in comune (è il problema della
somiglianza e, al limite, quello dell’identità).
2. Affinché due termini-oggetto possano essere
distinti, essi devono essere in qualche modo
distinti (problema della differenza e della nonidentità).

I due aspetti della relazione possono manifestarsi a tutti i livelli linguistici.
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Esempi:
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1) strada statale / strada provinciale

basso / passo

2) grande / piccolo.
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(b) sonorizzato / (p) non sonorizzato
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I due primi esempi non sollevano difficoltà: ciascun termine della relazione
possiede infatti due elementi, l’uno dei quali (strada, asso) congiunge la
struttura, mentre l’altro (statale/ provinciale, p/b) la disgiunge. I due ultimi
esempi, per la loro stessa semplicità, appaiono più sfuggenti. Mentre da un
lato l’esistenza della relazione tra i due termini è indubbia, i due aspetti –
congiuntivo e disgiuntivo – della relazione non sono immediatamente visibili.
Indicheremo tale tipo di relazione con l’espressione struttura elementare: ed
infatti, essendo ammesso che i terminioggetto da soli non comportano
significazione, le unità significative elementari vanno ricercate al livello delle
strutture e non al livello degli elementi. Questi ultimi, che li si chiami segni,
unità costitutive o monemi, sono secondari nell’ambito della ricerca sulla
significazione. La lingua non è un sistema di segni, ma un insieme di
strutture di significazione, il cui funzionamento resta da determinarsi.
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
Gli assi semantici
La struttura elementare non deve quindi essere
cercata al livello dell’opposizione
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basso / passo

ma al livello dell’opposizione

b / p.

È lecito ammettere che tale opposizione
consista nel carattere sonorizzato / non
sonorizzato dei due fonemi.
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Tuttavia, se siamo in grado di comparare, e
perciò di distinguere, p e b, ciò si deve al fatto
che i due fonemi sono comparabili, vale a dire
perché l’opposizione tra essi si colloca su un
unico asse: quello della sonorizzazione. Il
termine sonorizzazione è forse improprio,
giacché mette in evidenza solo la proprietà
“sonorizzato” di uno dei due termini

La cosa importante è l’esistenza di un unico
punto di vista, di una dimensione all’interno
della quale si manifesta l’opposizione, che si
presenta sotto forma di due poli estremi di un
unico asse. Lo stesso avverrà sul piano
semantico, ove le opposizioni
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bianco / nero

grande / piccolo
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permettono di postulare un punto di vista comune ai due
termini: quello dell’assenza di colore in un caso, quello della
misura del continuo nell’altro. Chiameremo asse semantico
quel denominatore comune dei due termini, quello sfondo su
cui si delinea l’articolarsi della significazione. L’asse semantico
ha, come si vede, la funzione di sussumere, di rendere totali, le
articolazioni che sono inerenti ad esso.

L’asse semantico S è il risultato della
descrizione totalizzante la quale riunisce sia le
somiglianze sia le differenze comuni ai termini
A e B: S appartiene perciò al metalinguaggio
semantico descrittivo
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Così, la relazione tra due terminioggetto:

donna r (sesso) uomo

può essere tradotta con
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donna (femminilità) r uomo (mascolinità).
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Gli elementi di significazione (s1, s2) così isolati sono designati

da Jakobson come tratti distintivi e rappresentano per lui una
traduzione inglese dell’espressione elementi differenziali di
Saussure. Per ragioni di semplicità terminologica proponiamo di
chiamarli semi. Una struttura elementare può quindi essere
colta e descritta, come si vede, sia sotto forma di asse
semantico, sia sotto forma di articolazione semica.


Non ci si stupirà perciò che Hjelmslev riservi a
queste articolazioni del linguaggio il nome di
forma del contenuto e che designi gli assi
semantici che le sussumono come sostanza del
contenuto.
La sostanza del contenuto non deve quindi essere considerata
come una realtà extralinguistica, psichica o fisica, ma come
manifestazione linguistica del contenuto, collocata a un livello
diverso da quello della forma. L’opposizione di forma e
sostanza si trova dunque completamente all’interno dell’analisi
del contenuto: essa non è opposizione di significante (forma) e
di significato (contenuto) come vorrebbe farci credere una
tradizione risalente all’Ottocento; la forma è significante allo
stesso titolo della sostanza

Capitolo terzo
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Linguaggio e discorso
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1. Significazione e comunicazione

La comunicazione infatti riunisce le condizioni
del loro manifestarsi, in quanto il significato
ritrova il significante nell’atto della
comunicazione, nell’avvenimentocomunicazione.


le unità minime del discorso: il fonema e il
lessema.
constatare l’assenza di isomorfismo tra il piano del significante
e il piano del significato: le unità di comunicazione dei due piani
non sono equidimensionali. Non è il fonema che corrisponde al
lessema, ma la combinazione di fonemi. L’analisi dei due piani
deve perciò essere condotta, benché con gli stessi metodi,
separatamente, e dovrà proporsi di stabilire l’esistenza dei femi
per il significante, e dei semi per il significato, unità minime dei
due piani del linguaggio;

Il senso che le opposizioni fonologiche costitutive fanno
apparire all’interno di unità più ampie è in sostanza solamente
un senso negativo, una possibilità di senso. Ad esempio: se
l’opposizione basso/passo attribuisce a basso un’apparenza di
senso, non si può dire che, al momento del processo di
comunicazione in cui si collocano tutte le scelte tra ciò che sarà
manifestato e ciò che resterà sottinteso, la scelta di basso, che
è effettuata dal parlante (Il cielo è basso. Il soffitto è basso), lo
sia, necessariamente, per la presenza costrittiva del lessema
passo o per una qualsiasi relazione con esso. Al contrario la
manifestazione di basso, lascerà nell’ombra alto e non passo.

Nel suo aspetto aggettivale l’opposizione tra alto e basso
sembra potersi interpretare con l’aiuto della categoria di “qualità
relativa”, la quale si articola in due semi: “grande
quantità”/”piccola quantità”, e che costituisce lo schema binario
del giudizio dato dal parlante, in riferimento a una norma ideale,
riguardo a contenuti semici diversi. Così la stessa categoria e
gli stessi termini semici si trovano manifestati nelle coppie
lessematiche
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lungo / corto

largo / stretto, ecc.


i lessemi alto / basso sono caratterizzati dalla
presenza del sema “verticalità”, che si oppone
all’assenza di tale sema nei lessemi lungo /
corto , largo / stretto i quali risultano
caratterizzati dal sema “orizzontalità”. Perciò le
opposizioni semiche operano disgiunzioni tra
lessemi.
Geimas vs analisi componenziale:
da un lato il lessema non ci appare più come una
semplice collezione semica, ma come un
insieme di semi collegati tra loro da relazioni
gerarchiche;
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
Due sistemi semici, quello della spazialità e
quello della quantità, interferiscono e si
ritrovano all’interno dei medesimi lessemi.
Una simile situazione, lungi dall’essere
eccezionale, è, al contrario, il normale modo
d’essere dei lessemi.
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L’analisi del morfo-lessema les obbliga il
grammatico a constatare che quest’ultimo
comporta solamente i semi dei “numeri” e della
“determinazione”, mentre il sema del “genere” è
assente dalla manifestazione. Formulando in
modo un po’ diverso questa osservazione, si
può dire anche che, in questo preciso caso, la
presenza del “genere” presuppone la presenza
del “numero” e della “determinazione”, ma che
non è vero il contrario. Si può dedurne che
all’interno di un lessema esistono relazioni
gerarchiche tra semi appartenenti a sistemi
semici eterogenei.


il lessema è il luogo di manifestazione e
d’incontro di semi che spesso provengono da
categorie e da sistemi diversi e che presentano
tra loro relazioni gerarchiche.
Ma il lessema è anche un luogo d’incontro
storico. Infatti, nonostante il suo carattere
stabile, il lessema è dell’ordine
dell’avvenimento e, come tale, si trova
sottoposto alla storia. Ciò significa che, nel
corso della storia, i lessemi si arricchiscono di
nuovi semi, ma che questa storia stessa, cioè,
in sostanza, lo scarto che separa un processo
di comunicazione dall’altro (la diacronia) può
vuotare i lessemi di alcuni dei loro semi.

lessemi quali elementi di fusione di semi
eterogenei, appaiono ora suscettibili di
manifestazione indipendente nello svolgimento
del discorso
A.J. Greimas analisi del lessema TESTA (da Semantica strutturale,
1966, estratti ed elementi analitici tratti dalle pagine pp.68-84). I corsivi
indicano le mie indicazioni aggiuntive.
Obiettivo: Analizzare un lessema e vedere le frasi e i sintagmi in
cui esso è implicato
A partire dal dizionario Littré (Lingua francese)
Testa: parte (...) unita al corpo per mezzo del collo
Due modi dizionariali di considerare la testa:
relazione ipertattica: testa come parte del corpo
1) parte ricoperta da pelle e capelli
2) parte ossea
senso 1: “a testa scoperta”
“lavarsi la testa”
“una testa bianca”
o non ricoperta da testa e capelli:
“una testa espressiva” (nel senso di volto: non vale in italiano)
Nel senso 2:
spaccare la testa a qualcuno
rompersi la testa
testa di morto
(in it: avere la testa dura)
in italiano:
testa da biliardo, testa d'uovo, avere una bella
testa, testa vuota, testa di legno
cioè: è anche un contenitore (del cervello): “che
hai – che ti sei messo - in testa?”
Greimas: altra relazione, ipotattica: testa per indicare organismo
integrale : essere vivente in quanto tale o figura umana
1): organismo in quanto unità discreta
“pagheremo un tanto a testa”
“un gregge di cento teste”
2): essere vivente o vita:
“mettere una taglia sulla testa di qualcuno”
3) persona umana:
“le teste coronate”
“una testa calda”
In italiano? “Una testa, un voto”
Qualche riflessione di Greimas...
“Siamo partiti dal lessema testa collocato in alcuni
contesti: siamo partiti dall'ipotesi che significhi
“parte del corpo”. I contesti che abbiamo
raggruppato
mettono
in
evidenza
una
costellazione di sensi. Intorno all'ipotetico “testa:
parte del corpo” una rete di relazioni .
Correlazione fra le variazioni contestuali da una
parte e le variazioni di contenuto del lessema
osservato”
Ipotesi di Greimas: testa ha contenuto negativo: è
commutabile con terra, tema, testo...
ma anche contenuto positivo: questo contenuto è
una gerarchia di semi (atomi di significato: sono le
figure del contenuto) che Greimas chiama “nucleo
semico” supponendo che esso sia un minimo
permanente in tutte le manifestazioni del semema,
un “nucleo semico” (Ns)
Ma se il significato di testa cambia da contesto a
contesto (come abbiamo visto) ci deve essere
anche qualcos'altro che ne definisce il significato
(l'accezione) di volta in volta:
questo qualcosa deve essere “capace di rendere
conto dei mutamenti degli effetti di senso che
possono essere registrati”
ipotizziamo possa essere considerato un insieme
di semi contestuali (variabili semiche) : Cs
La totalità dei contesti-occorrimenti esaurisce tutte
le variabili semiche, tuttavia il buon senso ci dice
che il numero dei semi contestuali è molto più
ridotto di quello dei contesti-occorrimenti.
A “spaccare la testa”, “rompersi la testa”, “testa di
morto” corrisponde un unico effetto di senso:
“parte ossea della testa”. Sembra dunque
possibile raggruppare i contesti in classi
contestuali: (...) contesti che provocano tutti lo
stesso effetto di senso. Possiamo ritenere che il
sema contestuale sia il denominatore comune di
tutta una classe di contesti”
In alcuni casi: più di un sema, ma consideriamo
solo il caso più semplice in cui una classe
contestuale è definita da un solo sema
contestuale. Le definizioni che abbiamo dato del
nucleo semico Ns e del sema contestuale Cs si
permettono di considerare l'effetto di senso come
un semema e di definirlo come la combinazione di
Ns e di Cs
Torniamo all'analisi del nucleo semico la cui
combinazione coi semi contestuali provoca, sul
paino del discorso, quegli effetti di senso che
abbiamo indicato col nome di sememi
primo nucleo semico: estremità
nuova classe di occorrimenti
Estremità + superiorità + verticalità
la testa di un chiodo (greimas: di un palo)
essere alla testa della ditta
avere debito fin sopra la testa
(in italiano: ne ho fin sopra i capelli)
Estremità + anteriorità + orizzontalità + continuità
testa di una trave
testa di un canale
stazione di testa
(in italiano: testa di ponte, villetta caposchiera)
Estremità + anteriorità + orizzontalità +
discontinuità
vettura di testa
testa del corteo
prendere la testa (del corteo)
(in italiano: testa di serie)
Greimas conclude:
1) in queste espressioni
testa non significa mai parte del corpo
2) primo tratto comune è la presenza del sema estremità
se si combina con verticalità o anteriorità produce: a) dalla testa ai
piedi
b) testa-coda (senza né capo né coda)
cioè: estremità verticale (testa di un palo, di un chiodo) o
orizzontale (stazione di testa).
chiameremo questo sema:”superatività”
dunque il nucleo semico per questo inventario sarà: “estremità +
superatività (essere la pèrima estremità nel senso di anteriorità
verticale o orizzontale)”
Il tratto di continuità potrà invece essere presente, o negato dalla
discontinuità, o assente
Ecco dunque come a partire da questo primo inventario è possibile
notare come non tutti i semi implicati dalla definizione abbiano lo
stesso ruolo: alcuni sono sempre presenti, altri lo sono solo in certi
contesti. Mentre dunque la estremità e la superatività (il fatto di
essere prima estremità) sono sempre presenti, non è così per
continuità o discontinuità. Il semema si presenta subito dunque
come una serie di semi in cui cìè una differenza interna: non è la
semplice serei di semi sullo stesso livello dell’analisi
componenziale ma si tratta di una gerarchia (ossia di un insieme
che presenta una articolazione interna). Resta ora da considerare
un altro inventario
Un altro inventario per il secondo
nucleo di testa: sferoidità
Emersione di un primo tratto: Sferoidità (sfericità):
testa di una cometa
testa di spillo
testa di chiodo
(zucca, boccia, nell'italiano familiare “farsi
la boccia”)
Testa di rapa o di cavolo: qui assieme alla sfericità
si chiama in causa il tratto “contenente”
Sferoidità + solidità
rompersi la testa
aver la testa dura
testa d'uovo
Sferoidità + solidità + contenente
mettersi in testa una cosa
imbottirsi la testa
(in italiano: fasciarsi la testa)
possiamo distinguere sferoidità, che è sempre
presente, dagli altri semi, che sono solo dovuti alle
variabili contestuali
Tutti questi contesti riproducono il nucleo descritto
in precedenza: la testa è parte del corpo, ma solo
se è considerata estremità superativa (deve
opporsi a piedi):
infatti la cometa ha testa e coda
la testa di spillo si oppone alla punta
Estremità + superatività è dunque la parte
comune ai due inventari.
Ma anche sferoidità: l'analisi del primo gruppo di
lessemi non aveva tenuto conto della componente
dimensionale dello spazio che però vi rientrava
comunque, presupponendo lo spazio come
estensione piena o riempibile: l'estremità è
concepibile solo come punto terminativo (limite) di
uno spazio di superfici o solo come rigonfiamento
di uno spazio fatto di volumi
Dunque il nucleo di un lessema non è né un sema
isolato né un semplice gruppo di semi ma è una
costellazione (Hielmslev) di semi appartenenti a
vari sistemi, in una certa misura indipendenti
estremità e superatività sono semi autonomi che
si presuppongono reciprocamente (altrimenti non
potremmo spiegare le manifestazioni linguistiche
che abbiamo analizzato) e che si compongono nel
nucleo sulla base di una (o più) gerarchie
Il semema sarà allora definibile come
combinazione di un nucleo semico e dei semi
contestuali
nucleo semico=figura nucleare
semi contestuali=classemi
Qualche esempio per riflettere
E adesso spiegatemi:
il cane abbaia
il commissario alzò il cane
il commissario abbaia
l'orefice assalito dai banditi gli ha tirato una
granata
(bomba, frutto o pietra dura?)
Qualche esempio per riflettere sulla nozione di isotopia... (tratto dalle
lezioni tenute da U. Eco all'università di Bologna)
Bisogna riportare pierino allo zoo
Bisogna riportare il leone allo zoo
il ragazzo guarda la ragazza sulla collina col
cannocchiale
Il figlio di Carlo mangia la mela.
Lui proprio non gli bada.
Anafora- coreferenza -isotopia: ridondanza di
semi contestuali in una sequenza, tutti uguali, in
modo che permettano di attivare i significati
(sememi) di segni diversi e ambigui secondo gli
stessi sensi omogenei (lavorano sul Cs e non sul
Ns del semema). Dunque linguaggio è
contemporaneamente ambiguo e manipolabile
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A.J. Greimas analisi del lessema TESTA (da Semantica strutturale