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L’ARTE DEL QUATTROCENTO IN EUROPA
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Sommario: 1. Arte fiamminga - 2. Diffusione dell’Ars Nova in Europa.
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1. ARTE FIAMMINGA
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Lo stile Gotico internazionale, sorto nel Trecento, ebbe nei primi anni
del XV secolo ampia diffusione in tutti i Paesi europei. Nel Ducato di Borgogna, lo stato più potente in quel periodo e comprendente le Fiandre e gli
antichi Paesi Bassi, questo orientamento assunse, principalmente nella pittura e nella scultura, caratteristiche specifiche e del tutto indipendenti dall’evoluzione della scuola toscana.
Dal nome delle Fiandre, regione dell’attuale Belgio, fu denominata arte
fiamminga. L’arte fiamminga prese le mosse da Robert Campin, Jan Van
Eyck e Rogier Van der Weyden, ed ebbe fra i suoi maggiori rappresentanti
Hubert (fratello di van Eyck), Hugo Van der Goes, Hans Memling, Melchior Broederlam, Gerard David, Dirk Bouts, Petrus Christus, Quentyn
Metsys e Joachim Patinier.
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A) Robert Campin
Robert Campin, (ca. 1375-1444), detto anche il Maestro di Flémalle o
Maestro di Mérode, diede vita alla Scuola di Tournai, frequentata da Rogier Van der Weyden e Jacques Daret. Nelle sue opere — come l’Adorazione del Bambino (1425), l’Annunciazione di Mérode, e la Madonna del parafuoco (ca. 1430) — s’ispirò prevalentemente a soggetti sacri, ma questi
vennero interpretati in uno stile del tutto originale, successivamente definito «realismo fiammingo».
Nella Madonna del parafuoco, ad esempio, l’episodio sacro è narrato
come un qualunque avvenimento quotidiano. Vi è ritratta una donna seduta
col bambino fra le braccia, i vestiti, come l’arredamento e il panorama che
s’intravede da una finestra posta sullo sfondo, sono tipicamente quattrocenteschi. Caratteristici del linguaggio figurativo di Campin furono proprio l’inserimento del sacro nella vita borghese del tempo, il suo modo di ritrarre le
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figure in atteggiamenti familiari e la resa altamente realistica, quasi «tattile», degli oggetti raffigurati.
B) Jan van Eyck
A Jan van Eyck (ca. 1390-1441) viene da alcuni attribuita l’invenzione
della pittura a olio. In diverse opere (la Madonna nella chiesa, 1425; le
Stigmate di San Francesco; l’Adorazione dell’Agnello mistico, 1432; la
Madonna di Lucca; la Madonna col bambino), come Campin dipinse soggetti sacri, inserendoli anch’egli in ambienti intimi e familiari descritti con
grande naturalismo e dovizia di particolari, ma il campo in cui soprattutto
affermò il suo stile è nella ritrattistica.
Nei ritratti — come il celeberrimo I coniugi Arnolfini (1434)
(Fig. 1), nel quale la donna viene
rappresentata incinta e, curiosamente, il pittore ritrae se stesso all’opera riflesso in uno specchio sul
fondo —, la Madonna del cancelliere Rolin (1434), L’uomo dal garofano, la Madonna del canonico
Van der Paele (1436), L’uomo dal
turbante rosso, Jan de Leeuw, il
Cardinale Albergati, Margaretha
van Eyck, il carattere realistico
della rappresentazione si accentua con la descrizione analitica
dei volti dei personaggi, talvolta
devastati dall’età, dalle malattie o
dall’angoscia. Le figure appaiono
in netto risalto rispetto allo sfondo, talvolta di colore scuro o raffiFig. 1 – Jan van Eyck, I coniugi Arnolfini
gurante l’ambiente domestico, ed
esprimono una solenne impassibilità e monumentalità.
Gli sguardi dei personaggi sono sovente rivolti verso un punto indefinito, «persi nel vuoto» e le espressioni acquisiscono un carattere di ambiguità, di mistero. Tali ritratti, come ha osservato il critico Panofsky, sono «descrittivi più che interpretativi» nel senso che «proprio la mancanza, o
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C) Rogier van der Weyden
Tra i fondatori della nuova pittura vi fu anche Rogier van der
Weyden (ca. 1400-64). Nei suoi
dipinti — Giovani donne, il Gran
Bastardo di Borgogna, Francesco
d’Este, il Trittico Miraflores, la
Deposizione (1435), il Giudizio
universale, l’Annunciazione, il
Trittico di san Giovanni, Madonna col bambino, Ritratto di donna
(1457) (Fig. 2) — operò una sintesi dei linguaggi figurativi di Robert
Campin e Jan Van Eyck. A differenza di quest’ultimo, però, conferì ai suoi personaggi maggior dinamismo e intensità espressiva.
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piuttosto la latenza di qualità precisamente definibili, [conferisce] loro una
particolare profondità». Caratteristiche tipiche della pittura di Jan Van Eyck
e, più in generale, dell’arte fiamminga, sono l’uso del colore e dei giochi di
luce. Quest’ultima, per la prima volta, acquista un valore autonomo, indipendente e privilegiato rispetto alla raffigurazione. Infatti è proprio la luminosità dei colori che permette la realizzazione dell’»ambiente», concetto di
fondamentale importanza nell’arte fiamminga.
Per rendere luminosi i colori, Van Eyck utilizzò una tecnica che consisteva nello stendere velature successive di pigmenti di colore, incorporati
in un medium translucido a base di olio siccativo, su una preparazione di
gesso e colla animale. Utilizzando i riflessi di luce e le infinite gradazioni
luminose dei colori, l’artista riuscì a mettere in evidenza i particolari e a
costruire, grazie al potere unificante della luce, l’«ambiente».
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D) Hans Memling
Fig. 2 – Rogier van der Weyden,
Ritratto di donna
Weyden ebbe fra i suoi allievi
il tedesco Hans Memling (ca. 14351494), noto soprattutto per aver ampliato e messo in rilievo il «paesaggio»,
che nei ritratti precedenti costituiva unicamente lo sfondo. Fra la sue opere
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più importanti si ricordano: il Trittico del Giudizio universale (1446-1473);
La Discesa dalla croce; Le pie donne piangenti; Compianto su Cristo morto; Le sette gioie di Maria; Tommaso Portinari; l’Uomo con la moneta.
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E) Hugo Van der Goes
Fra i dipinti più celebri di Hugo Van der Goes (ca. 1435-1482) vi è il
Trittico Portinari, eseguito per Tommaso Portinari, agente dei Medici a Bruges. La sua opera, in cui allo stile tipicamente fiammingo si fusero motivi
tratti dall’arte italiana, ebbe grande influenza sugli artisti fiorentini e, in
particolare, su Domenico Ghirlandaio.
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F) Hieronymus Bosch
A partire dalla metà del Quattrocento, l’arte fiamminga seguì un percorso sempre più autonomo. Fra i maggiori rappresentanti del periodo vi fu
Hieronymus Bosch (1450-1516), la cui opera ebbe larga influenza non soltanto sul Manierismo, ma anche in epoche successive, fino a diverse correnti del Novecento come il Surrealismo.
Fin dagli anni della sua formazione, Bosch si ricollegò allo spiritualismo della mistica medioevale fiamminga, sviluppando uno stile particolarissimo e arcaicizzante, che probabilmente risaliva alla matrice delle
miniature umoristiche e delle stampe satiriche del XV sec. Questo stile si
caratterizza per l’intensità espressionista e per l’uso di un complesso simbolismo, ricco di riferimenti ai testi della mistica medioevale e rinascimentale, attraverso il quale si esprime un profondo spirito religioso.
Il suo mondo figurativo, fatto di immagini fantastiche e allusive, ruota
attorno ai grandi temi della tentazione e del peccato, della redenzione e del
castigo, raffigurati sotto forma di mostri, dalle sembianze, ad un tempo,
animali e vegetali, minerali e umane. Gli aspetti infimi e le inquietudini
dell’animo umano danno vita a una sorta di simboli onirici, dalle caratteristiche spesso satiriche, come nella Cura della follia, nell’Ecce Homo,
nella Crocifissione, nel Giocoliere, nei Sette peccati capitali, e nelle Nozze
di Cana. Nelle opere successive (La nave dei Folli e il Carro di Fieno)
s’intensificò la cura dei particolari e le composizioni divennero sempre più
complesse, affollate da singoli episodi figurativi riuniti in uno spazio fantasmagorico e immersi in un’atmosfera da incubo.
Tali caratteristiche raggiunsero l’apice nella fase della sua maturità artistica, con le Tentazioni di Sant’Antonio (1500), e soprattutto con il Trittico
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delle Delizie (1503-1504, Museo del Prado, Madrid) (Fig. 3). La visionarietà, tipica del suo stile, caratterizzò anche la successiva produzione, comprendente: il Giudizio Universale, l’Ascesa dell’anima all’Empireo, l’Andata al Calvario, Giovanni nell’isola di Patmos, Incoronazione di spine,
Santa Liberata, Eremiti, il Figliol Prodigo e l’Adorazione dei Magi.
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Fig. 3 – Hieronymus Bosch, Trittico delle Delizie
Il trittico delle delizie
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Diviso in tre pannelli raffiguranti la creazione di Eva nel Paradiso Terrestre, i Peccati
capitali e l’Inferno, è la rappresentazione satirica del traviamento dei sensi e delle sue
conseguenze. Nel pannello di sinistra la scena ha un andamento circolare. Costruzioni
fantastiche fanno da sfondo, con uno stormo di uccelli che vola tra i pinnacoli di una di
esse. Il paradiso terrestre è al centro con una fontana e uno stagno, intorno al quale
circolano animali mitologici ispirati a bestiari medioevali. Rettili e rospi neri escono
dallo stagno, a simboleggiare il male e il diavolo. Avanti al centro c’è Dio con Adamo ed
Eva, e ancora più avanti un altro stagno d’acqua scura, con alcuni strani pesci simboli del
peccato e del male. Nella tavola centrale, larga circa il doppio delle laterali, è illustrato,
con disegno preciso e accesa sensibilità cromatica, il tema della lussuria in un paesaggio
totalmente irreale. Al centro vi è la fontana della giovinezza intorno alla quale persone
nude cavalcano animali fantastici. Sullo sfondo, uno stagno con una fontana, simili al
pannello di sinistra, dove nuotano uomini-pesci, circondato da quattro strane costruzioni. Nel cielo volano uomini alati o a cavallo di animali mitologici. In primo piano, le
scene della lussuria: amanti chiusi in una bacca, in una bolla, sotto una campana traspa-
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rente, in un mitile, uccelli, pesci e frutti di dimensioni spropositate, un cilindro di cristallo con un topo nero ecc. Molti elementi, secondo la critica, vanno collegati alla simbologia alchemica. Nel dipinto sono raffigurati anche molti uomini di colore. Nel pannello di
destra, detto anche Inferno musicale per i numerosi strumenti rappresentati, è espresso il
vero senso del trittico, in un’orrida visione infernale, animata da misteriose fosforescenze e da lampi improvvisi, dominata dalla mostruosa figura di Lucifero, che, seduto su un
alto seggio, defeca i corpi dei dannati. La punizione toccata agli uomini segue la legge
del contrappasso. Nel fondo, una città in tumulto con bagliori di fiamme e un enorme
paio di orecchie separate da una gigantesca lama di coltello. Al centro un uomo albero
col corpo cavo, con due tronchi che salgono da due barche in uno stagno, e più avanti
strumenti musicali — liuto, arpa, gironda, tamburi… — che diventano strumenti di tortura. Più a destra una specie di uccello inghiotte un uomo che emette altri uccelli dal
deretano, un avaro espelle monete d’oro e un goloso vomita mentre una donna si specchia nel fondoschiena di un demone. A sinistra, una scena di rissa; poi alcuni animali, e
un maiale col copricapo da suora che abbraccia un altro dannato. Sul lato esterno dei
pannelli laterali è rappresentato il mondo come un disco chiuso in una sfera di cristallo,
a simboleggiarne la fragilità, con il cielo coperto da nuvole scure. In un angolo a sinistra
è rappresentato Dio in trono. In alto è riportata una citazione biblica. Alcuni studiosi, fra
i quali Ernst Gombrich, hanno sostenuto che l’opera potrebbe rappresentare lo stato dell’umanità all’avvento del diluvio universale.
2. DIFFUSIONE DELL’ARS NOVA IN EUROPA
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L’arte fiamminga, o Borgognona, o ancora ars nova come fu anche
denominata, ebbe un notevole influsso su tutta l’arte europea. In alcune nazioni creò generi particolari, nati dalla fusione delle esperienze locali con i
nuovi canoni estetici provenienti dal Ducato di Borgogna.
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A) Penisola iberica
In Spagna, anche a seguito dell’immigrazione di numerosi artisti stranieri,
nacque un genere definito ispano-fiammingo. Nella scultura si ebbero i primi esempi in Catalogna, soprattutto con Antoni Canet, che tra il 1409 e il
1411 lavorò nella cattedrale di Barcellona e tra il 1413 e 1420 nella cattedrale
di Pamplona; quindi con Pere Joan, che ornò la facciata del Palazzo della
Generalitat a Barcellona nel 1416 e dopo il 1450 partecipò alle decorazioni
del Maschio Angioino di Napoli assieme all’architetto e scultore di Maiorca
Guillem Sagrera. A Burgos, verso la fine del secolo, spicca l’attività di Gil de
Siloé, che realizza, fra il 1489 e il 1499, il Retablo maggiore nella cattedrale e
la Tomba dell’Infante Alfonso nella certosa di Miraflores.
Un profondo rinnovamento nella pittura si ebbe, in tutta la penisola
iberica, verso la metà del secolo, come dimostrano il Retablo del conne-
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stabile del catalano Jaume Huguet (1464, Cattedrale di Barcellona) o il
Polittico di San Vincenzo del portoghese Nuno Gonçalves nella Cattedrale di Lisbona (ca. 1470). Gli artisti forse più rappresentativi del periodo
sono l’andaluso Bartolomé Bermejo, che lavorò in Aragona e in Catalogna con opere come la Pietà Desplà (1490, cattedrale di Barcellona), e i
castigliani Fernando Gallego, con la decorazione della Biblioteca dell’Università di Salamanca (dopo il 1479), e Pedro Berruguete, che lavorò anche a Urbino col Ritratto di Federico da Montefeltro (1476, Galleria
Nazionale di Urbino).
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B) Francia
Il nuovo gusto estetico si diffuse in Francia a partire dagli anni Trenta,
particolarmente nelle regioni meridionali, Provenza e Linguadoca. Personaggio fra i più rappresentativi del passaggio fu certamente il pittore Barthélemy d’Eyck, del quale fino a tempi recenti si sapeva ben poco, che
lavorò per gli Angiò anche a Basilea e a Napoli. Nel 1443 iniziò un trittico
per la cattedrale di Aix-en-Provence, con al centro un’Annuciazione. Raffinato miniaturista, sono celebri le sue illustrazioni del Coeur d’amour ésprit
(1460), poema del re Renato D’Angiò.
Spesso con Barthélemy, in Provenza, collaborò Enguerrand Quarton,
pittore originario della Picardia, anch’egli miniaturista. Ad Avignone, tra il
1453 e il 1454, realizzò per il convento dei celestini un’Incoronazione della
Vergine e un’emozionante Pietà (oggi al Louvre), dove su fondo oro rappresenta il Cristo giacente sulle ginocchia della madre, mentre Giovanni gli
sfila la corona di spine e la Maddalena si asciuga le lacrime.
Dalla Picardia proveniva anche Nicolas Froment, pittore e scultore, attivo soprattutto in Provenza ma anche in Catalogna e a Napoli. Alla morte di
Barthélemy d’Eyck lo sostituì come pittore ufficiale degli Angiò. Nel 1475
dipinse il Trittico del roveto ardente per la chiesa dei Grans-Carmes ad Aixen-Provence, con una mescolanza d’influssi fiamminghi e italiani.
Jean Fouquet, i cui primi approcci col nuovo stile avvennero sempre
attraverso Barthélemy, lavorò come ritrattista, molto stimato, in Italia, eseguendo fra gli altri a Ferrara il sorprendentemente realistico Ritratto di
Gonella (attualmente a Vienna). Tornato in Francia poco prima del 1450
elaborò un nuovo linguaggio operando una fusione tra la tradizione francese, la concezione analitica dei fiamminghi e la visione sintetica degli
italiani. Uno dei suoi capolavori è il Dittico di Melun (ca. 1452, attual-
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mente diviso in due, alla Gemaldegalerie di Berlino e al Musée Royal di
Anversa): la parte sinistra mostra, in una prospettiva di chiesa, il committente Chevalier assieme a Santo Stefano, definiti in termini volumetrici in
uno stile decisamente influenzato dal Beato Angelico; la parte destra, più
vicina ai canoni fiamminghi, rappresenta la Vergine, incoronata e assisa
su un trono mentre regge il bambino, circondata da angeli rossi e blu che
fanno da fondo, dalla pelle bianchissima e con un seno scoperto, in un
insieme assolutamente insolito.
Altro pittore fra i più significativi del secolo in Francia è Antoine de
Lonhy, che fu anche vetraio, realizzando a Barcellona nel 1460 la vetrata
di Santa Maria del Mar. Lavorò molto alla corte di Savoia eseguendo
diverse opere nelle chiese di Torino, come la Trinità del 1460 (Torino,
Museo Civico).
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C) Germania
L’impero germanico, all’inizio del XV sec., comprendeva parte dell’Austria e della Svizzera, per allargarsi subito dopo alla Boemia e all’Ungheria.
L’arte germanica conteneva, quindi, una molteplicità di tendenze culturali
diverse che la resero caratteristica.
Lungo tutto il corso del Reno sorse una particolare interpretazione del
gotico internazionale, manifestato in atmosfere fiabesche, colori attenuati,
contorni delicati, prevalenza di linee curve. Massimo esponente di questa
corrente fu Stefan Lochner (ca. 1400-51), che conobbe le opere di Campin
e van Eyck durante un viaggio nei Paesi Bassi. Lavorò prevalentemente a
Colonia, diventando l’iniziatore di una particolare Scuola che prese il nome
dalla città. Nelle sue opere più celebri, il Giudizio Universale per la chiesa
di San Lorenzo (1435) e il Trittico dei Santi Patroni per il Duomo (1440),
entrambi a Colonia, si ritrovano alcuni tipici caratteri della sua pittura: fondi dorati, angioletti biondi quasi immateriali, rappresentazione minuziosa
delle ricche stoffe degli abiti e dei gioielli.
A Basilea lavorò Konrad Witz (ca. 1400 - ca. 1445) della cui vita si sa
poco, che segnò il passaggio verso un’arte di tendenza più naturalistica,
come si può osservare nell’Adorazione dei Magi per la cattedrale di Ginevra
(1444), e dette molta importanza ai paesaggi: nel Cristo sulla croce (1433,
Staatliche Museum, Berlino) o nel San Cristoforo traghetta Gesù bambino
(ca. 1435, Kunstmuseum, Basilea), o soprattutto in La pesca miracolosa
(1440, Cattedrale di Ginevra) compaiono per le prime volte nella pittura
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europea dei veri e propri paesaggi, oltretutto reali, e lo sfondo diventa importante quasi quanto le figure in primo piano, come raramente era avvenuto prima. In La pesca miracolosa il paesaggio viene reso in tutte le sue
componenti (con i campi coltivati e le case): si tratta del lago di Ginevra,
rappresentato in luogo del lago di Tiberiade di cui parla il Vangelo. Gli Apostoli vi sono, inoltre, raffigurati come veri pescatori al lavoro.
Altro pittore degno di nota fu l’alsaziano Martin Schoungauer, molto
celebre a livello internazionale come incisore. Nel 1473 dipinse una Madonna del roseto per la chiesa di San Martino a Colmar.
Alla lunga opera di costruzione della Cattedrale di Strasburgo partecipò
lo scultore Nikolaus Gerhaert von Leyden (ca. 1420 - ca. 1472), originario dell’Olanda, di certo uno dei più significativi artisti del suo tempo. Il suo
intenso realismo espressivo influenzerà molti contemporanei, soprattutto
nei ritratti, come lo straordinario Autoritratto del 1467 (Museo di NotreDame di Strasburgo).
Grande importanza per la scultura ebbe l’impiego di un materiale come
il legno, utilizzato anche per la costruzione di altari. Molti artisti se ne servirono, fra i quali Hans Multscher, che fu anche pittore, realizzatore di un
altare a sportelli a Vitipeno; Jörg Syrlin, autore del Coro della Cattedrale di
Ulm; Michael Erhart con la Madonna della Misericordia (Berlino), e il
figlio Gregor, che realizzò assieme al padre una delle opere più importanti
del periodo: l’Altare della Vergine nell’Abbazia di Blaubeuren (1493). Altro grandioso altare ligneo fu costruito da Veit Stoss, di Norimberga, a Cracovia (Polonia) tra il 1477 e il 1489 per la Chiesa della Madonna.
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