Trasporti
Creare
competitività
g Alessandro Creazza
Tavola rotonda
Le infrastrutture:
presente e futuro
del Sistema Italia
Un’occasione per discutere i
problemi del sistema
infrastrutturale italiano è stato
il convegno “La Logistica del
futuro”, organizzato dalla
rivista Logistica il 15 marzo
2007, nel corso del quale una
tavola rotonda ha riunito alcuni
importanti rappresentanti del
mondo dei trasporti, chiamati
a confrontarsi e a portare il
proprio contributo delineando
le “strade” e gli interventi per
affrontare le problematiche
infrastrutturali sia in un’ottica
di sistema, sia relativamente
alla modalità di trasporto in cui
ciascuno di essi opera.
L
a competitività della logistica si
gioca anche sul piano infrastrutturale. Difficilmente il sistema logistico di un Paese può esercitare una significativa attrattività
sui mercati internazionali senza un adeguato supporto da parte delle infrastrutture di trasporto. Le conseguenze si riversano anche sulla sfera nazionale: le imprese
che operano sul territorio necessitano di
un sistema di collegamenti integrato ed efficiente.
Le infrastrutture fisiche giocano un ruolo
fondamentale, per così dire “abilitante”, nel
funzionamento del sistema logistico di un
Paese. Tuttavia, ugualmente indispensabile appare la corretta organizzazione delle
cosiddette infrastrutture immateriali, vale a
dire di tutti i sottoprocessi che intervengono nel più generale processo logistico di
scambio delle merci.
Tali processi riguardano lo scambio informativo, la gestione della documentazione,
delle operazioni di manovra, di carico e
scarico delle merci nelle varie modalità di
trasporto, ma anche la componente di governance delle infrastrutture fisiche stesse:
problemi nella sovrapposizione delle competenze nei porti (si pensi alla numerosità
delle autorità portuali) e negli aeroporti (la
frammentazione della filiera aeroportuale e
i problemi di interfaccia burocratica e con
gli uffici doganali), nonché l’incertezza dei
termini di resa del trasporto combinato
gomma-rotaia, possono minare le basi
della competitività logistica.
La necessità di adeguamento del sistema
di infrastrutture fisiche di trasporto risulta
maggiormente concentrato in alcune aree
territoriali particolarmente critiche del nostro Paese; totalmente diffusa nel territorio
nazionale è, al contrario, l’esigenza di adeguamento delle infrastrutture immateriali:
talenti e competenze per la governance si
rivelano fondamentali per l’efficiente sfruttamento della dotazione infrastrutturale
• PAOLO CELENTANI
responsabile
marketing e
sviluppo servizi
commerciali,
Divisione Logistica
di Trenitalia – RFI
corrente e per la pianificazione integrata
degli interventi futuri di espansione e di razionalizzazione.
È noto il deficit del sistema infrastrutturale italiano, in un contesto nazionale e internazionale connotato da una
continua crescita della domanda di
trasporto. Come si pongono gli operatori intermodali al riguardo?
Eugenio Muzio: «Per cercare di rispondere
alle problematiche di saturazione delle infrastrutture nazionali, in primis delle autostrade, è innanzitutto necessario concentrare l’attenzione sul trasporto combinato.
Le iniziative di adeguamento sul versante
del trasporto su gomma, infatti, si trovano
sovente in una situazione di stallo: si pensi
al progetto dell’autostrada BreBeMi. Al
contrario, le prospettive di intervento sul
breve periodo per il trasporto combinato
sono migliori rispetto alla situazione del
trasporto stradale. Non a caso il nostro
• EMANUELE
D’AGOSTINO
Studies & Research
Officer – Planning
& Development
Department –
Contship Italia
• GILBERTO GALLONI
direttore Interporto
di Bologna
• ROBERTO
GILARDONI
direttore generale
Aeroporto di Brescia
Paese sembra aver intuito l’importanza del
trasporto su ferro, dato che gli investimenti
fatti negli ultimi anni in questo settore (50
miliardi di euro per le linee ad Alta Capacità/Alta Velocità) sono stati in assoluto i
più cospicui se confrontati con il parco interventi dell’intero sistema infrastrutturale
italiano, secondi solamente al piano autostradale del Dopoguerra. La realizzazione
delle linee AC/AV pone le basi per il raddoppio del trasferimento del traffico da
strada a rotaia, anche per quanto riguarda
le merci, lungo gli assi Sud-Nord e OvestEst. Non si deve dimenticare, tuttavia, che
sarà necessario prevedere uno sforzo di
coordinamento notevole dato che in Italia,
come in Germania, le linee passeggeri e
merci sono condivise, mentre in Francia
quelle dell’Alta Velocità sono separate: le
necessità di ottimizzazione di questa convivenza sono evidenti. Il secondo aspetto
da considerare è rappresentato dall’allargamento dell’Europa a 27 Stati: l’econo-
• EUGENIO MUZIO
amministratore
delegato Cemat
Ipartecipanti
• FABRIZIO DALLARI
direttore del Centro
di Ricerca sulla Logistica – Università
Carlo Cattaneo LIUC,
moderatore della
tavola rotonda
mia si sposta sempre più verso il Nord-Est
del continente, e i processi di interscambio
con l’Italia devono tener conto di queste
nuove direttrici, affrontando il problema
dell’attraversamento dei valichi alpini. L’aggiramento della catena alpina tramite il trasporto marittimo non sempre è sufficiente
a garantire le consegne di ogni tipologia di
bene entro i tempi necessari, così come il
traffico su strada incontra notevoli problemi di congestione lungo gli assi di collegamento a lungo raggio. Del resto non sono
presenti investimenti dell’Unione Europea
per l’attraversamento su gomma dei valichi. Tutti questi elementi indicano che il futuro è la ferrovia. I recenti interventi confermano la tendenza: i nuovi tunnel del Loetschberg e del Gottardo, in futuro il potenziamento del Brennero, la TAV attraverso il
Fréjus (dove la linea attuale non è in grado
di offrire un adeguato servizio non tanto
per cause di carenza di capacità, quanto
per pendenze eccessive) rappresentano
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Trasporti
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un segnale eloquente. Tuttavia i “tunnel”
non bastano: sono indispensabili le infrastrutture a monte e a valle, per garantire oltre ai collegamenti anche i nodi di interscambio (che nel nostro Paese ormai sono
in via di saturazione, e in alcuni casi clamorosi addirittura assenti, come per l’Interporto di Milano).
È evidente l’esigenza di muoversi secondo
un’ottica di integrazione: l’attuale assetto
del sistema logistico italiano (distribuzione
e magazzini) verte sul trasporto stradale e
la ricezione di veicoli stradali all’interno dei
magazzini e dei centri di distribuzione: utilizzando il trasporto combinato sarà necessario prevedere degli adeguamenti degli impianti logistici, peraltro necessari nel
caso di utilizzo del trasporto ferroviario tradizionale. Infatti, arrivare a destino con un
veicolo stradale o con un veicolo che ha
compiuto per ferrovia il maggior percorso
e via strada l’ultimo miglio è del tutto equivalente».
Avendo introdotto la problematica relativa alla saturazione dei nodi di interscambio, come si può cercare di rispondere per far fronte ai nuovi scenari di trasporto?
Gilberto Galloni: «È importante sottolineare
nuovamente l’importanza dei nodi. Sovente
l’attenzione, anche dell’Unione Europea, è
stata maggiormente rivolta alle reti (si vedano i progetti per le TEN), mentre si “teme” il
problema dei nodi per lo spettro delle richieste di co-finanziamento per la loro costruzione. Passando ad analizzare la situazione del nostro Paese, il vero problema di
capacità complessiva risiede nella rete dei
terminal di interscambio, concentrati quasi
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esclusivamente negli interporti, che del resto sono localizzati sulle linee di gronda e
non sono in grado di garantire capillarità
nella distribuzione. Infatti il 45% del traffico
combinato italiano passa attraverso soli 5
interporti. Di fronte alle previsioni di crescita
della domanda di trasporto, è necessario
intervenire: similmente alla crisi del sistema
pensionistico, nel 2030 il sistema infrastrutturale italiano potrebbe trovarsi in grave difficoltà: la crescita prevista è esponenziale,
e sarà ardua impresa soddisfare le esigenze di trasporto nella presente condizione
del sistema delle infrastrutture. Le previsioni al 2010 presenti nel Libro Bianco UE sono state rispettate in pieno, anzi, al momento sono state addirittura superate. Se
si considera che sul lungo termine, al 2030,
ci si attende che la domanda di trasporto
raggiunga un livello più che raddoppiato rispetto all’attuale, il deficit sarà sistematico,
anche se ci fossero nuove strutture stradali: l’integrazione con la rotaia è pertanto in-
dispensabile come elemento complementare per fronteggiare la crescita della domanda. In caso contrario, difficilmente potranno essere accolte e scaricate nel nostro territorio le navi da 10.000 TEU, e l’Italia non potrà entrare nell’era della vera globalizzazione.
Andando a considerare aspetti politici per
rispondere all’evoluzione, si è di fronte a un
problema di sistema economico del Paese:
chi promuove la logistica non riesce a ottenere consenso e favore. È un dato preoccupante, se si considera che il 60% della
produzione made in Italy è diretta all’esportazione: la logistica deve godere della giusta considerazione. Chi soffre maggiormente di tale condizione di sottodimensionamento sono le PMI, costrette a ricorrere
al trasporto stradale per impossibilità di
sfruttare il ferro, a causa della difficoltà nel
raggiungere carichi tali da essere trasportati su treno. L’avvento della globalizzazione
ha contribuito ad acuire questo fenomeno.
«Il futuro è la ferrovia;
ma servono anche le
infrastrutture a monte
e a valle, per garantire,
oltre ai collegamenti,
i nodi di interscambio»
Eugenio Muzio.
condurre un sistema di infrastrutture in maniera efficiente e persino ricavarne degli utili. Sarebbe opportuno “usare il cervello” per
seguire tali esempi».
«Nessuno parla
di cervelli.
La sola concorrenza
porta esclusivamente
danni. I cervelli devono
essere presenti sia
nelle aziende,
sia nella gestione
delle infrastrutture»
Gilberto Galloni.
Lo sviluppo di nuovi terminali e infrastrutture gioverebbe senza dubbio a soddisfare la
crescita della domanda di trasporto, ma è
fondamentale la governance per la conduzione dell’intero sistema: i cervelli. Nessuno
parla di cervelli, anche per mettere in opera
una collaborazione nella competizione. La
sola concorrenza porta esclusivamente
danni. I cervelli devono essere presenti sia
nelle aziende, sia nella gestione delle infrastrutture. Esperienze estere, Svizzera e Austria in primis, ci mostrano che è possibile
La globalizzazione ha una serie di implicazioni rilevanti per i porti e la loro
gestione: come è stato affrontato il
nuovo contesto di mercato internazionale esteso?
Emanuele D’Agostino: «Per fronteggiare i
cambiamenti in atto, la problematica principale che si ravvisa e che per prima dovrebbe essere affrontata, perché di tipo strategico, è la governance del sistema: stabilire
la priorità degli investimenti, perseguire l’utilità sul medio e lungo periodo. E dato che
si opera in condizioni di limitatezza dei fondi, la focalizzazione dell’investimento è particolarmente critica. L’ottica di pianificazione integrata degli interventi necessita di
coordinamento, sulla base delle esigenze
di mercato, dato che è il mercato stesso a
indicare dove dirigere gli investimenti. È il
caso dei porti, ma anche degli inland terminal. Attualmente, per quanto riguarda il traffico di merce containerizzata, la capacità
teorica di movimentazione dei porti nazionali (cioè l’offerta) si attesta a circa 13-14,5
milioni di TEU, mentre il traffico che si è registrato nel 2006 ha raggiunto i 9,9 milioni
di TEU. Pertanto si potrebbe eccepire che
si è in condizione di eccesso di offerta. Tuttavia tale condizione è solo apparente, poiché a livello effettivo i porti di mercato, vale
a dire quelli ove le movimentazioni si concentrano maggiormente, sono rappresentati da un esiguo numero (meno di 10) e in
tali strutture la saturazione è quasi totale, o
comunque a un livello critico. Ne consegue
che gli investimenti dovranno essere diretti
verso i porti di mercato, dove gli impianti
necessitano realmente di essere potenziati.
Non è un caso, inoltre, che l’architettura
delle reti TEN indichi proprio quei porti come punti terminali di collegamento degli archi di scambio delle merci.
Il problema della governance riguarda anche le Autorità portuali: nel nostro Paese in
totale sono 25, alcune presenti in porti ove
in realtà non sarebbero indispensabili, e
quindi in numero eccessivo rispetto alle
aree di mercato rilevanti. Il problema della
ridondanza è tuttavia sentito: recentemente
ho letto una proposta di ridurle a 6 o 8, e
presto le Autorità portuali pugliesi confluiranno in un’unica Autorità. Ma in questa
sede non è rilevante stabilire un numero
preciso e se la razionalizzazione debba avvenire su base regionale o secondo altri criteri. È importante ribadire che sussiste la
necessità di intervenire e razionalizzare
questo aspetto. E in questo senso, sono
rinvenibili segnali nell’ultima Legge finanziaria che ha stabilito la parziale autonomia dei
porti, stabilendo che una parte delle entrate
da tassazione (che in precedenza giungevano nelle casse statali e che venivano in
seguito ridistribuite sui vari porti) rimangano
ai porti stessi come bacino di finanziamento. Per questo motivo, in base alle proprie
entrate, ciascun porto sarà responsabile
dell’utilizzo di pubblici introiti: da qui la necessità di essere in grado di utilizzarli al meglio e selezionare gli interventi.
Un’ulteriore evoluzione, sempre legata al
mercato e alla governance dei porti, riguarda la specializzazione su definite categorie
merceologiche. Il cervello in questo caso
dovrà essere utilizzato per configurare al
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Trasporti
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competitività
meglio la ripartizione delle competenze
commerciali di ciascuno scalo marittimo.
Mi spiego meglio: non è necessario, perché
il mercato non lo richiede, che tutti i porti si
attrezzino per accogliere e movimentare
tutte le tipologie merceologiche e anche le
persone. Data una condizione di offerta
ampia e diffusa come quella che caratterizza la portualità italiana, ciascun porto potrebbe specializzarsi, probabilmente con
successo, data la crescita generalizzata del
trasporto merci e persone, solo nelle funzioni di maggiore rilevanza per la propria
economia».
È emerso come l’intermodalità rappresenti un elemento fondamentale per il
futuro del trasporto nel Paese: come si
possono adeguare il sistema ferroviario e l’offerta di servizi?
Paolo Celentani: «In passato le previsioni
indicavano la ferrovia come la modalità di
trasporto del futuro. I fatti hanno invece seguito una strada differente: si è infatti delineata una crisi del trasporto ferroviario nel
nostro Paese, alla quale si è cercato di rispondere con un’opera di grande razionalizzazione a partire dal fornitore di servizi di
trasporto ferroviario: Ferrovie dello Stato.
La produttività è cresciuta del 30%, a fronte
di una riduzione del 50% degli addetti negli
ultimi anni. Si è perseguita la liberalizzazione, e Ferrovie dello Stato ha attivamente
supportato il processo di apertura del mercato ferroviario. In questo caso, infatti, non
c’era una “rendita da monopolio” da difendere, quanto piuttosto una “perdita da condividere” nella gestione del sistema ferroviario nazionale. In ogni caso, tornando all’analisi del mondo del trasporto ferroviario,
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«Ciascun porto potrebbe
specializzarsi solo
nelle funzioni
di maggiore rilevanza
per la propria economia»
Emanuele D’Agostino.
i consuntivi 2006 indicano un incremento
dell’11% dei volumi per le ferrovie tedesche, grazie all’operazione di liberalizzazione degli accessi alla rete e all’acquisizione
di un fornitore di servizi logistici (Schenker).
Come si vede, la logistica subisce un processo di “ri-pubblicizzazione”, tramite le
acquisizioni di società fornitrici di servizi logistici da parte di forti soggetti pubblici (le
ferrovie e le poste in Germania, le poste in
Olanda).
In Italia la liberalizzazione ha portato all’ingresso di nuovi soggetti fornitori di servizi di
trasporto ferroviario (incomers), spesso internazionali, che attualmente coprono il
14% dell’intero mercato. L’esperienza estera, e quanto successo fino a questo momento nel contesto nazionale, indicano
previsioni più rosee per la crescita dei nuovi
operatori. Questi ultimi tendono a innovare
il mercato e lo stesso monopolista può giovarsi delle innovazioni introdotte.
Trenitalia da parte sua sta focalizzando gli
investimenti soprattutto per i servizi diretti ai
passeggeri e ai pendolari: la “primavera”
della logistica su ferro non è ancora sbocciata, nonostante alcuni interventi (linee
AC/AV anche per il trasporto merci) dimostrino come l’attenzione verso di essa non
sia marginale, ma cominciano a intravedersi i segni dell’inversione di tendenza.
Il problema che Trenitalia ha dovuto affrontare era costituito dal fatto che per molto
tempo la logistica industriale non considerava, già in fase progettuale, l’alternativa su
ferro: senza il raccordo ferroviario nella
maggior parte dei casi, le aziende per utilizzare il ferro erano costrette a sobbarcarsi
oneri legati a una doppia rottura di carico
(allestimento su automezzo e interscambio).
Lo stabilimento o il magazzino raccordati
rappresentano pertanto una risposta in ottica di un futuro utilizzo e potenziamento dei
servizi ferroviari. Senza dubbio il trasporto
ferroviario non è adatto per il flusso teso: è
necessario mettere insieme volumi consistenti per far muovere il treno; logiche di gestione dirette all’ottimizzazione e alla ricerca
di economie di scala, e innovazioni (quali la
cassa a refrigerazione passiva) possono costituire elementi di sviluppo fondamentali.
Del resto, il mercato commerciale e il mercato dei servizi ferroviari non agiscono in
chiave di tariffa o prezzo agevolati, come in
passato: l’innovazione del modello di servizio deve provenire come proposta anche
dall’utente: solo così il time to market potrà
essere rispettato».
Resta da affrontare il versante relativo
al trasporto aereo. I volumi in gioco sono nettamente inferiori rispetto alle
modalità analizzate in precedenza, tuttavia il problema dell’aviocamionato e
dell’incremento della competitività del
cargo è molto sentito.
Roberto Gilardoni: «Il trasporto aereo rispetto alle altre modalità di cui si è parlato finora
rappresenta senza dubbio una nicchia: infatti, copre a volume il 2-5% del trasportato.
Tuttavia la sua importanza è legata al valore
delle merci, che costituisce circa il 50% del
totale delle merci movimentate. Si ricorre alla modalità aerea quando il valore unitario
della merce è ingente e quando è necessaria rapidità nella consegna: negli ultimi anni
si è assistito a un significativo incremento
del trasporto aereo per i beni deperibili e per
le tipologie di prodotti che necessitano trattamenti particolari.
Nonostante il cargo aereo stia vivendo una
fase di crescita diffusa, i problemi infrastrutturali legati al suo sviluppo sono notevoli. Si
pensi ai risvolti negativi che questi ultimi
possono avere in un mercato come il nazionale, che si posiziona al secondo posto
nell’Unione Europea per livelli di consumo:
su un totale in Italia di 1,7-2 milioni di tonnellate annue, meno della metà parte via
aerea direttamente dal nostro Paese. Le
cause di questo dato di fatto sono principalmente due. La prima è rappresentata
dall’assenza di un forte vettore nazionale,
che lascia scoperto un mercato in grado di
trovare vie alternative per il trasporto. Si
pensi alla presenza e all’utilizzo molto diffuso dei vettori stranieri, che hanno sfruttato
le stive degli aeromobili (belly) e l’aviocamionato per consegnare le merci, e i propri
hub europei per ottimizzare i trasporti e ottenere economie di scala nella propria sede. Il secondo è invece costituito dalla tipologia di infrastrutture di cui necessita il trasporto aereo: si tratta di sistemi per così dire dedicati, a causa delle necessità peculiari di tale modalità di trasporto (apertura su
24 ore, localizzazione in aree molto distanti
dai centri abitati, relative infrastrutture di
accesso e collegamento, …). Si può affermare che il cargo aereo è sempre stato visto come un elemento a se stante, non integrato nelle catene logistiche, quasi marginale (anche dal punto di vista delle risorse
umane allocate a tali servizi). La condizione
di scarso interesse di cui ha tradizionalmente goduto il trasporto merci aereo nel
nostro Paese ha contribuito a creare problemi di cui vediamo le conseguenze quotidianamente (soprattutto in termini di offerta, di difficoltà di accesso e di tempi di attraversamento eccessivamente dilatati).
Tuttavia il mercato mondiale sta cambiando: il numero di voli all cargo sta crescendo
progressivamente. Ciò è dovuto alla capacità del cargo aereo di servire esigenze di
logistica Just in Time con continuità, poche
rotture di carico e pochi intoppi burocratici.
Al contrario, nel nostro Paese scontiamo
ancora una certa arretratezza e una notevole macchinosità della filiera, che contribuiscono ad alimentare fenomeni quali l’aviocamionato.
È necessario un intervento anche dal punto
di vista della governance, poiché con la
progressiva globalizzazione dei mercati e
l’ampliamento dei confini, una modalità di
trasporto rapida e sicura come il cargo aereo è strategica: si deve essere in grado di
rispondere adeguatamente alla continua
crescita della domanda di trasporto, per
non compromettere l’attrattività del nostro
sistema logistico nazionale».
Considerando aspetti più operativi, la
responsabilità della manovra ferroviaria passa da Trenitalia a RFI: quali sono
le implicazioni di tale cambiamento?
Eugenio Muzio: «Si tratta di una novità alla
quale stiamo guardando con grande attenzione. Non si deve dimenticare infatti che
l’elemento più significativo nel processo di
interscambio è rappresentato dalla ricezione e dalla consegna del treno: ne risulta la
rilevanza delle operazioni di manovra. In
Germania il tempo necessario per comple-
Logistica
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Trasporti
Creare
competitività
tare l’intero ciclo di presa e consegna del
treno è pari a 30-45 minuti al massimo. Nel
nostro Paese invece sono necessarie almeno 2 ore. Il passaggio di competenze
per la manovra non sembra in grado di
portare efficienza al processo: in precedenza chi effettuava la manovra era il fornitore dei servizi, cioè il soggetto responsabile della trazione del treno, mentre ora è
subentrato il gestore della rete. Si tratta di
due soggetti eterogenei, con competenze
specifiche differenti. Il passaggio di responsabilità da uno all’altro non appare indifferente come potenziali effetti. La norma
che ha definito le responsabilità (legge
188) è il risultato di un recepimento non del
tutto corretto di una Direttiva europea, che
esclusivamente nel nostro Paese si è declinata nei termini di cui stiamo discutendo.
Si spera pertanto che l’unico elemento di
variazione sia la ripartizione dei ruoli, al fine
di mantenere il più possibile integrato il
processo di manovra».
co di mezzi pesanti nelle città e favorire
uno sviluppo generale. Sono presenti nel
sistema di interscambio gli impianti di FS e
i fasci di binari di RFI. Esistono poi la trazione, la manovra e l’handling. Tutti questi
sono gli elementi del trasporto merci ferroviario con interscambio. Sono tali elementi
che rappresentano il campo dove si deve
perseguire l’ottimizzazione. Per l’handling
ciò è stato fatto all’interno dell’Interporto.
Nel 2004 sono state acquisite anche le
operazioni di manovra in “outsourcing” da
FS. Come risultato si sono ottenuti una riduzione dei costi e un efficientamento generale del processo, con la riduzione dei
tempi di manovra. Dalla nostra esperienza
si può ipotizzare che slegare la manovra
dalla trazione può sortire dei risultati apprezzabili. Attendiamo pertanto di valutare
l’effetto della nuova normativa. È auspicabile che RFI non vada a fare “insourcing” di
manovratori, non essendo questo il suo
core business».
Gilberto Galloni: «L’Interporto di Bologna in
realtà già dal 2004 effettua la manovra “inhouse” su terminal delle FS. L’obiettivo di
un interporto è sviluppare il trasporto ferroviario, al fine di alleggerire il carico di traffi-
Un aspetto particolarmente critico per
l’efficienza generale di un sistema logistico è rappresentato dall’integrazione
fra trasporto marittimo, trasporto ferroviario, e anche cargo aereo.
Roberto Gilardoni: «L’integrazione fra nave
e aereo rappresenta una strada senza
dubbio percorribile, e ci sono alcuni esempi di successo particolarmente significativi,
ove sono stati combinati i vantaggi del trasporto via mare e del trasporto aereo (Dubai, e Atene con il porto del Pireo). L’integrazione ferro-cargo aereo è ipotizzabile
se la risposta della ferrovia può garantire la
velocità necessaria: in Francia sono in fase
di sperimentazione vagoni in grado di caricare fino a quattro pallet aerei sulla rete
AC/AV che collega Parigi e Lione. Altri
esempi di integrazione delle modalità si
possono rinvenire anche presso gli integratori e i corrieri: esistono hub courier (ad
esempio Lipsia) ove la merce è recapitata
per via aerea, e successivamente trasferita
in tutta Europa via treno».
La concorrenza fra i porti si gioca sulla
capacità di accogliere navi, ma anche
sulla capacità di svolgere operazioni di
transhipment (ad esempio Gioia Tauro). Gli investimenti dovrebbero essere
diretti anche a tali scopi.
Emanuele D’Agostino: «Gli investimenti
destinati a Gioia Tauro dalla Legge Finanziaria sono significativi e hanno seguito la
«Per molto tempo la logistica industriale non
considerava, già in fase progettuale, l’alternativa su
ferro. Lo stabilimento o il magazzino raccordati
rappresentano una risposta in ottica di un futuro
utilizzo e potenziamento dei servizi ferroviari»
Paolo Celentani.
48 Logistica
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logica di selezione di cui si è accennato
prima, recependo quanto il mercato aveva
già chiaramente indicato. Infatti, il porto
calabrese è il secondo nel Mediterraneo
per movimentazione (3 milioni di TEU annue), dopo Algeciras. La politica di investimento effettuata nel nostro Paese ha consentito di destinare fondi anche ad altri
hub, effettivi (come Taranto e Cagliari) o in
predicato di diventarlo (come Augusta).
Può apparire errata una politica di investimento che premia i porti di transhipment
rispetto ai porti di destinazione finale. In
realtà anche questi ultimi ne giovano. Infatti non sarebbe possibile sviluppare organicamente la logistica senza potenziare il
transhipment: nell’epoca della globalizzazione le navi di elevate dimensioni vengono
utilizzate con maggiore frequenza, e non
tutti i porti hanno le caratteristiche adeguate per accoglierle (per ragioni di banchina e
pescaggio). Potenziare il transhipment per
ricevere tali “giganti del mare” e consentire
successivamente a navi feeder di raggiungere i porti di destinazione finale rappresenta una soluzione per lo sviluppo dell’efficienza complessiva del sistema: le navi
oceaniche devono sostare nei porti il minor
tempo possibile e visitare il minor numero
di porti, per minimizzare le fermate e sfruttare appieno le economie di scala che ne
caratterizzano la gestione.
I porti di destinazione finale, in Finanziaria,
sono destinatari con un fondo quindicennale di 10 milioni di euro annui per la realizzazione di grandi infrastrutture portuali immediatamente cantierabili. Questi stanziamenti si aggiungono a quelli già stanziati
dalle precedenti leggi e resi disponibili.
I porti di transhipment non sono assolutamente alternativi ai porti di destinazione finale e non sono in contrapposizione ad essi. Le caratteristiche e l’organizzazione del
trasporto marittimo moderno o, se si preferisce, globalizzato, li rendono naturalmente
funzionali gli uni agli altri».
«Nonostante il cargo
aereo stia vivendo una
fase di crescita diffusa,
i problemi infrastrutturali
legati al suo sviluppo
sono notevoli. Il cargo
aereo è sempre stato
visto come elemento
a se stante, non integrato
nelle catene logistiche»
Roberto Gilardoni.
Una volta che la nave ha scaricato il
proprio contenuto, che destino ha quest’ultimo? Si può fare affidamento sul
treno?
Paolo Celentani: «Si dovrebbe sempre tenere in considerazione che i carichi dal Far
East sono ingenti, così come il peso dei
singoli container: la ferrovia non sempre è
in grado di raccogliere lo scaricato, anche
per una questione di incomparabilità di costi, rispetto al trasferimento su breve distanza della merce. Da questo punto di vista non si deve dimenticare che per gli inoltri via ferro, ma anche via gomma, si va a
operare una rottura di carico. Per questo
motivo per i viaggi a lungo raggio l’ideale
sarebbe riuscire a ottenere un treno composto dal maggior numero possibile di vagoni.
Nonostante le prospettive potenzialmente
favorevoli al carico su treno delle merci scaricate da nave per le lunghe percorrenze, la
realtà appare diversa: infatti in nessun porto italiano questo tipo di operazione ha riscontrato successo (a Genova il 95% dello
scaricato è diretto alle regioni italiane attraverso il trasporto stradale). Ciò è attribuibile
anche al fatto che in passato chi gestiva le
operation portuali era anche gestore delle
navi feeder, e pertanto un insediamento di
significative banchine ferroviarie nei porti
non era favorito. Oggi la situazione è diversa, e a Gioia Tauro, per esempio, è in programma la realizzazione di un terminal FS
all’interno del porto stesso. La tendenza
che deve essere seguita per poter promuovere il trasferimento su ferro delle merci in
arrivo dal mare non può essere che la realizzazione di terminal di interscambio all’interno delle strutture portuali».
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Tavola rotonda sulle infrastrutture