] I distretti industriali del [ “made in Italy” e la qualità dei prodotti Franco Mosconi Professore di Economia Industriale Università di Parma Auditorium “Giorgio Fini” Confindustria Modena 26 settembre 2006 AGENDA Intorno ai distretti industriali, due scuole di pensiero si confrontano: I) coloro che li vedono sul viale del tramonto; II) coloro che li considerano intoccabili e immutabili. Ma, a ben vedere, una terza scuola si sta facendo fortunatamente strada: Essa sottolinea la metamorfosi che sta interessando i distretti (apertura delle "filiere produttive"; formazione di "gruppi di imprese"; ruolo di leadership delle "Medie Imprese", eccetera). E' su quest'ultima che ci soffermeremo. Ora facciamo un passo indietro... Quella dei “Distretti Industriali” è una storia antica Censimento USA del 1900: punte alte di concentrazione e specializzazione industriale Alfred Marshall, Principles of Economics (1890): il “distretto marshalliano” Prof. P. Krugman che rilegge Marshall (Geography and Trade, 1991) Tre fattori: (i) Mercato congiunto per lavoratori con qualifiche specializzate (“Bacini di manodopera”; (ii) Input intermedi specifici di un’industria; (iii) “Spillover” (traboccamenti) tecnologici (localmente l’informazione fluisce più facilmente) La storia prosegue Michael Porter e la teoria del “Vantaggio Competitivo delle Nazioni” [1990] Il “cluster” di imprese Il “diamante” (i 4 determinanti) La storia prosegue C’è Sassuolo e il distretto delle piastrelle di ceramica per l’Italia come case-study principale ma nel “viaggio” di Porter attraverso l’Italia emergono molti altri cluster Il Cluster a' la Porter (1990) è un fenomeno diffuso in molti paesi industrializzati. Il caso della Germania Il Cluster a’ la PORTER Perché una nazione "raggiunge il successo internazionale in una particolare industria (o in un segmento di industria)?". Le nazioni hanno maggiori probabilità di avere successo laddove il "diamante" "è il più favorevole". Il passo successivo è quello che conduce verso l'altra nota immagine evocata da Porter: il cluster, o "grappolo" di imprese. Difatti, è l'argomentazione, "le nazioni hanno successo non in settori industriali isolati, bensì in cluster di industrie, che sono fra di loro connessi mediante relazioni verticali e orizzontali". In Italia, ci dice uno dei tantissimi esempi portati nel volume, più del 40% delle esportazioni totali sono [erano all'epoca] dovute a cluster di industrie tutte collegate al sistema« food-fashion-home». Nella "dinamica" del vantaggio nazionale -ecco il terzo e ultimo passaggio- un ruolo del tutto particolare è giocato dalla "concentrazione geografica dell'industria". E' sì una concentrazione, in una singola città o regione, di imprese rivali [concorrenti], ma lo è anche e contestualmente di fornitori di qualità per quell'industria e di sofisticati clienti della medesima. Ne consegue che l'informazione fluisce liberamente, e anche Porter non può fare a meno di richiamare la lezione di Alfred Marshall, soprattutto laddove il grande economista inglese della seconda metà dell' Ottocento osservò che, in certi luoghi, un'industria è "nell'aria" (in the air). La storia prosegue Arriva poi il momento del “viaggio” del Sole 24 Ore nei sistemi produttivi italiani: Bambole, gioielli, coltelli (1992) E oggi? L’Industria Manifatturiera Non è Cosa del Passato Certo, è diminuita – e continuerà a diminuire — la % di occupati che lavorano nell’industria (nuove tecnologie al posto dei lavoratori; lowskilled jobs delocalizzati; esternalizzazioni, eccetera). Ma il valore aggiunto prodotto non cala: anzi, aumenta laddove il saggio di crescita della produttività è positivo, e laddove l’industria si sposta verso nuovi settori (quelli high-tech e a elevata intensità di capitale umano qualificato). In breve, risiede nella manifattura il cuore del progresso tecnologico di un Paese. Da qui, l’importanza dei collegamenti con l’Università e, in generale, il mondo della ricerca. Vi è poi una crescente interdipendenza fra la manifattura e i servizi, in specie quelli di supporto alla produzione (R&S, design, progettazione, marketing, assistenza post-vendita…). La Manifattura non è cosa del passato soprattutto in regioni come l’Emilia-Romagna, il Piemonte, la Lombardia, il Triveneto (ma anche lungo la dorsale adriatica e in certe province della Toscana) [ MODENA -- assieme a RE e PR -- e unitamente a CN, AL, BI, NO, VA, CO, LC, LO, BS, SO, MN, VI, TV, BL, PD fa parte di quel gruppo di province italiane ove il peso del «valore aggiunto manifatturiero» sul totale del valore aggiunto provinciale si colloca fra nell’intervallo 27-38% (fonte: Istituto Tagliacarne). Bastano, oggi, queste tradizioni manifatturiere? L'Emilia-Romagna, una potenza commerciale fondata sul "made in Italy" Tradizioni manifatturiere che sono sempre state fonte di eccellenti performance sui mercati internazionali. Prendiamo il caso dell'Emilia-Romagna: nel 2005 -- essa ha realizzato un avanzo commerciale di 14,8 miliardi di euro; oltre 1/3 delle esportazioni regionali è concentrato nel comparto della meccanica (fonte: Banca d'Italia-Sede di Bologna, Note sull'andamento dell'economia dell'E-R nel 2005). Insomma, è una regione sottoposta ai nuovi venti della competizione che viene dall'Asia, ma il punto da cui parte per affrontare le nuove sfide non è di poco conto. Le tradizioni sono soprattutto nei Settori del “Made in Italy” E’ stata coniata l’immagine delle “Quattro A” Alimentare (+ agro-industria) Abbigliamento (ivi compreso tutto il sistema moda) Arredo casa Automazione (leggi: meccanica di precisione) Ciò vale per tutte le PMI: dalle Piccolissime alle Medie Prendiamo le oramai note 3.893 «medie imprese industriali» censite dalla nota indagine Mediobanca-Unioncamere [ultima edizione, novembre 2005]; Sono circa 1.500 nelle quattro regioni del Nord-est [gennaio 2006], di cui 570 in Emilia-Romagna. Ebbene, • «Le produzioni prevalenti nel Nord-Ovest e del Nord-Est e Centro sono la meccanica e i beni per la persona e la casa (…) Nel Centro-Sud e nelle Isole prevale invece l’alimentare.» • «La presenza delle medie imprese industriali nei settori high-tech è scarsa.» Si badi bene: questo “vivaio” di medie imprese è il pezzo dell’industria italiana che dalla metà degli anni ’90 ai primi anni Duemila ha realizzato le migliori performance. E non per caso! Nell’attuale fase di cambiamento tecnologico: > Gli investimenti in ricerca, > L’attività di innovazione, > La formazione del capitale umano La produttività trovano (trova) un impedimento nelle eccessiva frammentazione delle dimensioni aziendali. Il successo delle medie imprese industriali non è un accidente della storia. Nascono tante Piccole Imprese, ma poi devono crescere Studi recenti condotti presso l’Ocse [I. Visco et al.] e la Banca d’Italia [Bianco, Giacomelli, Trento et al.] ci dicono che: ● Nel nostro paese ogni anno nasce un N° elevato di nuove imprese; ● I “tassi di natalità e mortalità delle imprese” sono per lo più compresi fra l’8 e il 12% per tutti i paesi considerati; ● I “tassi di sopravvivenza” delle nuove imprese sono anch’essi molto simili: circa la metà delle nuove imprese abbandona il mercato entro il quinto anno dall’avvio dell’attività; ● Se invece si considera la “crescita delle nuove imprese” emerge una netta differenza fra USA e Italia (e altri paesi dell’UE): quelle americane, dopo due anni dalla nascita, hanno in media più che raddoppiato l’occupazione, quelle europee hanno registrato aumenti inferiori al 25%. La «Nuova Politica Industriale» (o per la «Competitività» di Tutte le Imprese) Profilo nazionale (e regionale) Due obiettivi fra loro collegati: SPERIMENTARE nuove specializzazioni, partendo dai punti di forza dell’industria italiana (e dell’EmiliaRomagna, eccetera): ruolo dell’Università e della Ricerca, e degli Enti di trasferimento tecnologico FAVORIRE la crescita dimensionale delle imprese (vere e proprie fusioni, altre forme di aggregazione, gruppi di imprese, eccetera): Ddl Bersani sull’Innovazione industriale e Proposte Ing. Pistorio alla “IV Giornata della Ricerca” di Confindustria La Metamorfosi dei Distretti Dell’export e della presenza sui mercati internazionali hanno sempre fatto un punto di forza. Poi sono arrivati i “Paesi BRIC” (Brasile, Russia, India, Cina) OGGI I) irrobustimento della struttura dimensionale, con l’emergere di una élite di “medie imprese” (spesso organizzate in “gruppi di imprese”) e mediante la loro partecipazione all’ondata di M&A (fusioni e acquisizioni) in atto; II) presenza sempre più solida sui mercati internazionali, anche mediante “investimenti diretti esteri” (IDE); III) apertura delle “filiere” produttive con nuove reti di relazioni, estese anche oltre i confini. http://www.cattedramonnet-mosconi.eu E-mail: [email protected]