Asse II: I disturbi di personalità Alcune definizioni Personalità Il termine personalità viene utilizzato, spesso con diverse sfumature di significato, in ogni registro del linguaggio: nel linguaggio parlato, in quello letterario ed in quello scientificoaccademico. Come tutti i concetti complessi, esso non risponde ad una definizione univoca. Gordon Allport (1897-1967), uno dei padri dei moderni studi psicologici sulla personalità, ha contato più di cinquanta definizioni diverse. Per il filosofo tedesco Karl Jaspers (1883-1969) “nessun concetto viene impiegato con significati tanto diversi e variabili come quello di personalità o carattere” Disturbi di Personalità World Health Organization, 1978 Modalità disadattive profondamente radicate, generalmente riconoscibili dall’adolescenza o anche prima e che perdurano per buona parte della vita adulta anche se spesso divengono meno evidenti nella mezza età e nell’anzianità. La personalità è abnorme sia nell’equilibrio delle sue componenti sia nella loro qualità ed espressione, sia infine nella loro globalità. Disturbi di Personalità DSM-IV, 1994 “I tratti della personalità sono modi costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente e di se stessi, che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e personali. Solo quando tali tratti sono rigidi e non adattativi e causano una significativa compromissione del funzionamento sociale o lavorativo, oppure una sofferenza soggettiva, essi costituiscono i Disturbi della Personalità” Problemi connessi con la diagnosi di Disturbi di Personalità Diagnosi descrittiva vs diagnosi inferenziale Diagnosi categoriale vs diagnosi dimensionale Comorbilità fra disturbi di personalità Comorbilità fra disturbi di personalità e disturbi psichiatrici Due concetti importanti nello studio della personalità: categoria e dimensione. o Parlare di disturbo di personalità implica la costruzione di una categoria diagnostica, cioè di uno spazio definito da criteri ben precisi rispetto ai quali il paziente può essere collocato “dentro” o “fuori”. o Le categorie hanno il vantaggio di essere più facili da concettualizzare e sono un modo familiare di mettere in ordine fra le cose. o Nel caso della personalità usare le categorie può presentare vantaggi (replicabile nel tempo) e svantaggi (perdita d’informazioni). La differenza fra i due approcci Classificazione dimensionale Classificazione descrittiva Legge i disturbi dal punto di vista delle interazioni e delle cause che incatenano alcune dimensioni separatamente misurabili Inserisce i disturbi all’interno di una scala, dove i criteri di inclusione/esclusione rispondono a item categoriali di tipo si/no. Uno sguardo più vario e complesso, clinicamente più adeguato ma più discutibile dal punto di vista concettuale e molto più “impegnativo”. Un sistema più rapido, replicabile, comunicabile e tendenzialmente “laico” dal punto di vista teorico Descrittivo vs dimensionale 1. Ateoretica 2. Descrizione 3. Dimensione sincronica 4. Criterio normativo esterno 1. Importanza fondamentale teoria 2. Comprensione 3. Dimensione sincronica e diacronica 4. Senso della sofferenza Importanza Ordine del senso (sintomo) Ordine del processo (anamnesi) Esempio: descrittivo vs dimensionale DSM Dalla rilevazione di sintomi oggettivi e si individuano profili psicopatologici ben precisi e delimitati (Borderline è uno specifico disturbo caratterizzato da precise caratteristiche) Diagnosi Strutturale di Kernberg La struttura sottostante ai fenomeni osservabili individuando aree psicopatologiche più ampie (Borderline è un tipo di organizzazione della personalità). Criteri Diagnostici Generali per la Diagnosi di Disturbo di Personalità secondo il DSM IV A. Un modello abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo. Questo modello si manifesta in due (o più) delle seguenti aree: 1) cognitività (cioè modi di percepire e interpretare se stessi, gli altri e gli avvenimenti); 2) affettività (cioè la varietà, intensità, labilità e adeguatezza della risposta emotiva); 3) funzionamento interpersonale; 4) controllo degli impulsi. Criteri Diagnostici Generali per la Diagnosi di Disturbo di Personalità secondo il DSM IV B. Il modello abituale risulta inflessibile e pervasivo in una varietà di situazioni personali e sociali. C. Il modello abituale determina un disagio clinicamente significativo e compromissione del funzionamento sociale, lavorativo e di altre importanti aree; D. Il modello è stabile e di lunga durata e l’esordio può essere fatto risalire almeno all’adolescenza o alla prima età adulta; E. Il modello abituale non risulta meglio giustificato come manifestazione o conseguenza di un altro disturbo mentale; F. Il modello abituale non risulta collegato agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es. una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale (per es. un trauma cranico). Problema della gravità dei disturbi di personalità Il DSM, per quanto riguarda la diagnosi di asse II, si basa su un approccio che prevede, per formulare una diagnosi formale, che sia soddisfatto, in qualsiasi combinazione possibile , un certo numero-soglia di criteri diverso da disturbo a disturbo. Ciò porta a nascondere, al di sotto di una stessa etichetta diagnostica una notevole eterogeneità in termini sintomatologici: Si potrebbe pensare che la gravità sia correlata al numero dei criteri soddisfatti: un paziente che soddisfa cinque criteri è meno grave di uno che ne soddisfa otto? Gravità dei disturbi di personalità “Non è possibile comprendere la struttura essenziale del carattere di un essere umano senza valutare due dimensioni distinte e tra loro interagenti: il livello evolutivo dell’organizzazione di personalità e lo stile difensivo all’interno di quel livello” Mc Williams, 1994 Livello di organizzazione della personalità Per valutare il livello di organizzazione della personalità bisogna prendere in esame un insieme di componenti: Meccanismi di difesa Relazioni oggettuali interne Forze e debolezze dell’Io Funzione riflessiva Livello di organizzazione della personalità Questo approccio si differenzia significativamente dall’approccio basato sul DSM in quanto comporta una comprensione diagnostica della persona , piuttosto che una classificazione diagnostica, e il suo valore risiede principalmente nel modo in cui indirizza la successiva psicoterapia TRE LIVELLI DI ORGANIZZAZIONE: Livello nevrotico Livello borderline Livello psicotico Esempio: due differenti casi clinici Esempio clinico: “Guscio vuoto” La paziente è un’assistente veterinaria di 23 anni, ricoverata per la prima volta in un reparto psichiatrico. Arrivò a tarda sera, inviata da uno psichiatra locale, affermando “in realtà non ho bisogno di stare qui”. Tre mesi prima del ricovero, la paziente aveva saputo che sua madre era incinta. Aveva iniziato a bere molto, apparentemente per dormire di notte. Bevendo si trovò coinvolta in una serie di “esperienze di una notte”. Due settimane prima del ricovero, ebbe dei vissuti di panico ed esperienze nelle quali si sentiva come se fosse rimossa dal suo corpo ed in uno stato di trance. Durante uno di questi episodi, fu fermata dalla polizia mentre vagabondava su un ponte a notte fonda. Il giorno dopo, in risposta ad una voce che ripetutamente le diceva di gettarsi dal ponte, corse dal suo supervisore e gli chiese aiuto. Il suo supervisore, vedendola stravolta e notando anche dei segni da taglio sul polso, la inviò da uno psichiatra, che organizzò il ricovero immediato in ospedale. Al momento del ricovero, la paziente appariva come una bambina in disordine, debole e supplicante. Era collaborativa, coerente, e spaventata. Sebbene ritenesse che il ricovero non fosse necessario, accolse bene la prospettiva di alleggerirsi dall’ansia e dagli stati di depersonalizzazione. Ammise di aver avuto sentimenti di solitudine e di inadeguatezza e brevi periodi di umore depresso ed ansia dall’epoca dell’adolescenza. Recentemente aveva avuto delle fantasie nelle quali pugnalava se stessa o un bambino piccolo con un coltello. Si lamentava di essere “appena un guscio vuoto che è trasparente per tutti”. I genitori della paziente si erano separati quando aveva 3 anni, e nei 5 anni successivi aveva vissuto con la nonna materna e con la madre, che avevano un grave problema di potus. La paziente di notte aveva sogni terrificanti durante i quali frequentemente finiva a dormire con la madre. A 6 anni andò in un collegio speciale per un anno e mezzo, dopo di che fu ritirata dalla madre, contro il parere della scuola. Quando aveva 8 anni, sua nonna morì; e ricorda che cercò di nascondere alla madre il dolore causato dall’evento. Passò la maggior parte dei due anni successivi vivendo con vari parenti, incluso un periodo con il padre, che non aveva visto dall’epoca del divorzio. Quando aveva 9 anni, sua madre fu ricoverata con la diagnosi di Schizofrenia. Dai 10 anni, finito il college, la paziente visse con una zia ed uno zio, ma ebbe frequenti contatti con sua madre. Il suo profitto a scuola fu costantemente buono. Dall’adolescenza ebbe regolarmente dei ragazzi, con un’attiva, ma raramente piacevole vita sessuale. Le sue relazioni con gli uomini di solito finiscono bruscamente in seguito ad arrabbiature dovute a delusioni per motivi spesso poco rilevanti. Di fronte a questi fallimenti relazionali generalmente conclude che “non erano adatti a me”. Aveva avuto diverse compagne di stanza, ma difficoltà a condurre una stabile convivenza a causa della sua gelosia a dividere le compagne con altri, ed i suoi tentativi manipolativi di impedire loro di vedere altre persone. Dopo l’università aveva lavorato costantemente e bene come assistente veterinario. Al momento del ricovero, faceva il turno di notte in un ospedale veterinario e viveva da sola. Discussione del caso: “guscio vuoto” La paziente rivela le manifestazioni caratteristiche del Disturbo Borderline di Personalità. Chiaramente ha un quadro di relazioni interpersonali, di immagine di sé, di affettività instabili e assenza di controllo sui propri comportamenti. Le relazioni con gli uomini sono intense ed instabili, e terminano quando si arrabbia e li svaluta. Riferisce di essere “un guscio vuoto”, espressione di sentimenti cronici di vuoto e di una distorta immagine di sé. L’instabilità affettiva è suggerita dai riferiti brevi periodi di umore depresso e di ansia dall’epoca dell’adolescenza. In aggiunta, almeno durante l’attuale episodio, dimostra impulsività (potus e sesso) e comportamenti suicidari o automutilanti (tagliarsi i polsi). È piuttosto verosimile che queste caratteristiche siano state presenti anche in passato durante i periodi di stress. Discussione del caso Negli ultimi 3 mesi, dopo che ha saputo della gravidanza della madre, la paziente ha iniziato a bere maggiormente, mostrando diversi episodi di depersonalizzazione. Inoltre, il suo comportamento è stato caratterizzato da ansia, depressione e condotte suicidarie. Da notare anche la presenza di allucinazioni uditive che le dicevano di uccidersi. La diagnosi di un disturbo psicotico, quale un Disturbo Psicotico Non Altrimenti Specificato, per l’attuale episodio non è giustificata perché le allucinazioni di breve durata e vissute come egodistoniche sono un esempio di transitorie esperienze psicotiche legate allo stress che sono spesso una caratteristica del Disturbo Borderline di Personalità. Per tale ragione, la diagnosi di Disturbo di Depersonalizzazione per spiegare i recenti sintomi è superflua. Discussione del caso I recenti sintomi della paziente suggeriscono altri disturbi di Asse I, che includono il Disturbo Depressivo Maggiore (Episodio Singolo e Ricorrente), l’Abuso Alcolico, ed il Disturbo di Adattamento. Sebbene l’umore della paziente sia palesememnte depresso, non esiste nessuna evidenza di una prolungata sindrome depressiva completa, ( elemento, invece, richiesto per fare una diagnosi di Disturbo Depressivo Maggiore.). Visti i recenti significativi problemi con l’alcool è corretto aggiungere diagnosi di Abuso Alcoolico sull’asse I, mentre, non deve essere fatta diagnosi di Disturbo dell’Adattamento, dal momento che il comportamento disadattivo della pz deve essere inteso come esacerbazione del Disturbo Borderline di Personalità. Criteri Disturbo Borderline di Personalità Una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé, e dell’affettività con impulsività marcata, comparsa entro la prima età adulta e presente in vari contesti come indicato da almeno cinque dei seguenti criteri: 1) Sforzi disperati di evitare l’abbandono reale o immaginario (non includere i comportamenti automutilanti e suicidari considerati al punto 5); 2) Modalità di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate da alternanza fra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione; 3) Disturbo dell’identità: l’immagine di sé o il senso di sé sono marcatamente e persistentemente instabili; 4) Impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto quali spendere, sesso, uso di sostanze, guida spericolata, abbuffate (non includere i comportamenti automutilanti e suicidari considerati al punto 5); Criteri Disturbo Borderline di Personalità 5) Ricorrenti minacce, gesti o comportamenti suicidari, o comportamento automutilante; 6) Instabilità affettiva causata da marcata reattività dell’umore (ad esempio, intensa disforia episodica, irritabilità o ansia che di solito dura poche ore e soltanto di rado supera pochi giorni); 7) Sentimenti cronici di vuoto; 8) Rabbia immotivata e intensa o mancanza di controllo della rabbia (ad esempio, frequenti accessi di ira, rabbia costante, ricorrenti scontri fisici); 9) Gravi sintomi dissociativi o transitoria ideazione paranoide correlata a eventi stressanti. Caso clinico tratto da: “Pazienti trattabili e non trattabili. I disturbi di personalità” Michael H. Stone (2006) Una donna di circa venticinque anni aveva conosciuto un uomo della stessa età su un campo da tennis di un club privato. Si frequentarono per un certo periodo ma l’uomo appariva molto meno coinvolto nella relazione di quanto lo fosse la donna. La loro relazione era maturata fino quasi a includere il sesso ma, dopo circa due mesi, l’uomo disse alla donna che non pensava fossero fatti l’uno per l’altra e che sarebbero stati più felici con altri partner. La donna si sentiva devastata. Aveva già cominciato, al lavoro o sola nel suo appartamento, a scrivere il suo nome seguito dal cognome di lui, quasi a voler cercare di capire cosa si provasse a essere sua moglie. Si convinse che la rottura tra loro fosse solo temporanea. I due si incontravano spesso poiché entrambi frequentavano regolarmente il club in cui si erano conosciuti. Talvolta la donna violava il suo codice di comportamento secondo il quale è sempre l’uomo a dover chiedere un appuntamento, proponendogli di uscire insieme. L’uomo declinava sempre l’invito con garbo. Nessuno di questi rifiuti scalfì il suo interesse per lui o mise in dubbio la sua convinzione che l’uomo fosse stato designato da Dio per essere il suo “predestinato” e che avrebbe prima o poi accettato il suo destino e sarebbe tornato da lei. Divenne depressa considerando la “tardività” di questo riconoscimento e mise in atto alcuni gesti suicidari e tagli dei polsi, per due dei quali si rese necessario un breve ricovero in ospedale. Erano ormai passati quattro mesi dalla rottura della relazione. Cominciò a telefonargli venti o trenta volte al giorno in ufficio e in casa e inoltre si appostava di fronte alla sua abitazione per spiarlo con il binocolo. Fu difficile ottenere un quadro accurato di ciò che stesse realmente accadendo da questo momento, perché la paziente raccontava storie sul suo ragazzo (non “ex” ragazzo) che apparivano fantasiose, se non vere e proprie proiezioni. Mi raccontò, ad esempio, che l’uomo era stato vittima di abusi da parte di suo padre e che questi gli scattava fotografie nudo. Ma il medico che me l’aveva inviata in psicoterapia era convinto, da materiale raccolto direttamente dalla paziente, che lei fosse stata molestata da suo padre durante l’adolescenza. La paziente aveva iniziato una terapia con un precedente terapeuta quando aveva diciotto anni e suo padre era morto quando aveva circa vent’anni. L’incesto apparentemente includeva sia attività sessuale che scattare delle foto alla paziente nuda. All’inizio del trattamento con me cominciò a lasciare messaggi sulla segreteria telefonica del suo ragazzo e a mandargli lettere in cui si diceva a conoscenza dei suoi (di lui!) problemi sessuali e offriva la sua disponibilità ad aiutarlo. Di tutta risposta, l’uomo le fece causa per molestie. La paziente sottoscrisse un accordo, siglato dagli avvocati di entrambe le parti, che se avesse evitato ogni contatto con l’uomo per i successivi sei mesi, la denuncia sarebbe stata ritirata. L’accordo fu rispettato e la denuncia fu ritirata. Nel frattempo faceva incubi in cui un uomo che non era in grado di riconoscere le toccava il seno. Le associazioni la portarono a ricordi del padre che le toccava il seno. Cercò di sminuire l’importanza di quel ricordo dicendo: “Probabilmente per lui non aveva alcun significato; non era poi una gran cosa!” e aggiungendo: “Non dovrei parlare di queste cose dal momento che è morto”. Riferiva sogni che contenevano chiari rimandi ai ricordi dell’incesto. Uno di questi sogni lo ebbe nel giorno in cui il papa faceva visita a New York: “Sto giocando a tennis con qualcuno e il ragazzo colpisce la palla. Improvvisamente la palla esplode; mi preoccupo per il papa per le minacce di attentati dinamitardi”. Mise in relazione papa e santo padre ma negò alcuna connessione con suo padre. L’argomento era fuori discussione. Cominciò a fare esperienza di stati dissociativi nei quali “si assentava” per minuti o ore e quando tornava cosciente appariva confusa e senza alcun ricordo di cosa fosse accaduto durante le “assenze”. A questo punto si verificò un curioso sviluppo: gli eventi traumatici che riguardavano suo padre furono convertiti in timori che il suo ragazzo fosse vittima di violenza e che fosse suo compito salvarlo. Stava proiettando cioè sull’uomo un intero frammento del suo passato. Insisteva che una volta lui le avesse chiesto di sposarlo e che in quel momento le avesse rivelato “segreti terrificanti”. Aveva quasi perso le speranze che il suo amore potesse guarirlo o almeno motivarlo a cercare aiuto per la sua “personalità multipla”. Naturalmente l’uomo non aveva mai fatto nulla di tutto ciò che gli veniva attribuito e queste convinzioni erano prodotti della mente della paziente; tuttavia, anche la più delicata interpretazione che i problemi che attribuiva a lui fossero in realtà suoi (di lei!), incontrava reazioni di diniego e rabbia. Nel culmine di uno di questi episodi mini-psicotici, mi scrisse una lettera dal tono gentile in cui mi comunicava l’intenzione di interrompere il trattamento ed esprimeva costernazione di fronte ai miei dubbi sulla veridicità della sua storia. Nella sua mente, era fuori discussione che prima o poi il suo amore avrebbe riportato l’equilibrio nella vita del suo ragazzo e lo avrebbe aiutato a superare gli effetti dell’abuso sessuale. Discussione L’interruzione della terapia di questa donna avvenne dopo quattro mesi dall’inizio del trattamento. A parte la settimana che trascorse in ospedale, fu in grado di lavorare bene in terapia per tutto questo periodo. Tuttavia, la sua capacità di trarre beneficio dalla terapia rimaneva scarsa a causa del muro impenetrabile che aveva eretto intorno all’amore per il suo ex ragazzo e intorno alla convinzione che gli eventi della sua adolescenza fossero in realtà accaduti a lui e che queste tragiche circostanze lo avessero fatto piombare nella depressione che lei, con il suo amore, avrebbe infine curato. La motivazione, la perseveranza e la spiritualità erano fattori presenti ma la sua attitudine psicologica e la sua capacità di mentalizzazione erano compromesse dalla sua tendenza a dissociare da sé e proiettare negli altri ogni qualvolta si tentasse di esplorare le aree sensibili della sua vita psichica. Allora comparivano idee deliranti, inclusa la credenza che fosse il ragazzo, e non lei stessa, a essere diventato “amnestico” degli eventi sessualmente traumatici del passato. Il diniego della malattia la portò a rifiutare un trattamento farmacologico riducendo ulteriormente le sue possibilità di guarigione. Discussione Per quanto riguarda più in generale la sua personalità, la maggior parte dei suoi tratti caratteristici erano riconducibili ai seguenti disturbi di Cluster B (presentati in ordine di rilevanza): borderline, istrionico, narcisistico e (relativamente alle molestie perpetrate per un certo periodo nei confronti del suo ragazzo) antisociale; erano altresì presenti alcuni tratti schizotipici. Riferendomi al continuum delle condizioni borderline proposto da Grinker e collaboratori (1968), il quadro clinico della paziente era compatibile con il Tipo I, “versante psicotico”.