Terry Southern e Mason Hoffenberg
CANDY
Traduzione di Stefano Medici
A Hadj e Zoon
Elle ne savait pas combien elle était vertueuse
dans le crime qu’elle se reprochait.
VOLTAIRE
1
«Io ho letto molti libri» disse il professor Mephesto, con
uno strano tono che non ammetteva repliche e appoggiando stancamente le mani sulla tribuna, rivolto ai settantasei studenti del secondo anno, che sedevano in un
atteggiamento di tranquilla venerazione, immortalando
ogni sua frase con le loro penne e i loro bloc-notes. In quel
momento, come accadeva sempre, il loro silenzio attento
gli diede sicurezza e cominciò a recitare lentamente, artificiosamente, le sue battute, facendo pause appropriate, alzando le spalle, corrugando la fronte, fissando con aria
assente il soffitto, consentendo a un sorriso debole e assorto di comparire sulle sue labbra, e ripetendo piano:
«Molti libri…». Fece un cenno pieno di gravità con il suo
capo maestoso, e continuò: «Sì, e ai miei tempi ho viaggiato
molto. Si dice che viaggiare allarga le vedute di una persona, e io ho… è fuori di dubbio che accada proprio così». E qui fece finta di far cadere alcuni dei suoi appunti per
la lezione e, nel raccoglierli, esibì il suo sedere all’aula,
che scoppiò a ridere ammirata. Il corso di Etica contemporanea del professor Mephesto era tra quelli di maggiore successo nella scuola. Il professore, oltre a essere un
così fine intellettuale, era un tipo a posto, non uno di quegli svitati da salotto. «Sì, non ho alcun dubbio che sia proprio così» sussurrò, assumendo un’aria tranquilla mentre
risistemava i suoi fogli, e alzando poi un poco il tono, perché, dopo aver concesso loro di farsi una risata, a quel pun9
to li introduceva alla parte più seria che doveva venire – era
questa la ricetta: una parte di buffonate, due parti di serietà
estrema. «E durante i viaggi che ho fatto ho visto… la bellezza in ogni sua forma. Ho visto l’arcobaleno sul Monte
Bianco, e ho visto i manoscritti miniati dei monaci fiamminghi, che richiedono per ogni pagina il lavoro di sette
monaci per due anni! Santo cielo, sono meravigliosi! Sì, ho
passeggiato nei Giardini di Babilonia brillanti di rugiada
all’alba di una mattina estiva, e ho visto gli uccelli del paradiso che si stagliavano al tramonto sul bianco brillante
del marmo del Taj Mahal. Santo cielo, che spettacolo!».
Fece una pausa e si sfiorò la tempia, come sul punto di essere sopraffatto. «Sì, ho visto le meraviglie del mondo, la
bellezza del mondo… le Piramidi in una strepitosa alba
rosso sangue, la Torre di Pisa e i capolavori dei grandi maestri… li ho visti tutti. Ho visto la bellezza in ogni sua forma. Sono stato su un antico ponte, in una mattina nevosa,
ad ascoltare i rintocchi che provenivano dalle campane
argentate sulle imponenti torri, sopra le pietre scure e le
misteriose acque della vecchia Heidelberg! E ho visto l’aurora boreale, e i fiori dei campi!». Si sporse verso di loro,
sfiorandosi sbadatamente i capelli, e disse con un tono di
sfida morbido ma deciso, in modo che tutti capissero
quanto fosse serio in quel momento, «…e ho visto il sole,
il glorioso sole. La bellezza, ve l’ho detto, in ogni sua forma. Ma, vi dirò questo» e le sue labbra si piegarono in un’espressione strana, quasi irosa, e un tremore si impossessò
della sua voce, mentre nell’aula non si udiva un fiato, «non
ho mai visto nulla di paragonabile… alla bellezza del volto umano!».
La campanella suonò proprio in quell’istante, secondo
un’altra curiosa caratteristica delle lezioni del professor
Mephesto, che toccavano il culmine della drammaticità nel
preciso momento del suono della campanella.
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Seduta in mezzo alla quinta fila, Candy Christian chiuse lentamente il blocco per gli appunti e fece cadere la penna nella borsa. Stava proprio sul bordo della sedia e tratteneva il respiro; quindi fece un lieve sospiro e si appoggiò allo schienale. Si sentiva davvero esausta, ma anche
euforica. “Un uomo eccezionale” pensava “è realmente un
uomo eccezionale. Sono davanti a un uomo eccezionale”.
Radunò le sue cose e filò via lentamente insieme agli
altri. Sulla porta intravide il professor Mephesto che attraversava l’atrio diretto al suo ufficio stringendo al petto
i suoi fogli e chiacchierando amabilmente con uno studente a cui aveva posato il braccio sulle spalle, un ragazzetto con la chioma selvaggia e il viso accigliato. Si chiese
di cosa stessero conversando. Si chiese che cosa avrebbe
detto lei. Quanto avrebbe voluto essere parte di quella
conversazione! Ma cosa avrebbe potuto dire? Decise di
andare direttamente in biblioteca a leggere per il resto del
pomeriggio, ma poi si ricordò che aveva promesso al padre
di tornare a casa subito dopo le lezioni per accompagnarlo da zia Ida. «Cavolo, però!» si disse.
Candy era nata nel giorno di san Valentino. Probabilmente questo era il motivo per cui era così bella – così sosteneva il padre, almeno davanti agli altri; quando restavano da soli, comunque, tendeva a essere un po’ severo con
lei, anche se non al punto da mostrarsi insensibile alle sue
necessità o apprensivo in maniera possessiva. Ma lui era,
dopotutto, un ottuso uomo d’affari. E in ogni caso in Candy
c’era veramente qualcosa che ricordava un biglietto per
san Valentino, uno di quelli più cari, riccamente decorato
e all’aroma di lavanda. Però qualche volta era scontrosa, e
forse fu proprio la scontrosità, più che l’innocenza, la sua
principale mancanza e la causa della sua rovina.
Quando arrivò Candy, Mr Christian era seduto in poltrona ad aspettare. «Ciao!» disse, lanciando un’occhiata al11
l’orologio e abbassando un poco il giornale. «Hai imparato qualcosa, oggi?». Candy si avvicinò e gli diede un bacio frettoloso. Avrebbe tanto voluto parlargli del professor Mephesto e del volto umano, ma di sicuro lui non
avrebbe mai capito, neanche in un trilione di anni.
«Sì, penso di sì» rispose tranquilla.
«C’è qualcosa che non va?» chiese Mr Christian. Non
amava vedere il suo viso tranquillo, o addirittura pensieroso.
«No» sospirò Candy, facendogli un sorriso stanco mentre appoggiava i libri, «è che tutto sta diventando un po’
frenetico, con l’avvicinarsi degli esami».
«Uhm!» disse suo padre alzandosi e scuotendo via dai
vestiti dei residui di tabacco. Guardò di nuovo l’orologio.
«Beh, faremo meglio a uscire» disse. «Non voglio rimanere bloccato lì tutto il pomeriggio. Vado a prendere l’auto».
Candy andò in bagno, si pettinò in fretta e si rifece il
trucco. Suo padre ci teneva così tanto che lei facesse bella
figura con zia Ida. Con la spazzola ancora in mano si
guardò allo specchio. «E ho visto il glorioso sole» disse dolcemente «ma non ho mai visto nulla di paragonabile…».
Due colpetti di clacson della nuova Plymouth del padre
la fecero trasalire e mettere giù la spazzola. Spense la luce
in bagno. «Cavolo, però!» si disse mentre correva verso la
macchina.
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2
Il professor Mephesto era un pacifista e quel giorno aveva
fatto una lezione sulla guerra. Poiché di solito nelle sue
spiegazioni non seguiva un alternarsi regolare di domande e risposte, molto spesso si poneva delle complicate questioni che procedeva poi a risolvere, come quel giorno stava facendo nelle sue considerazioni conclusive.
«Ho trascorso l’ultima estate a Stillwater, nel Maine, assieme a un mio amico, Tab Hutchins. È un posto incredibilmente bello, Stillwater, ci dovete andare una volta o l’altra. Insomma, Tab Hutchins non è, secondo i nostri boriosi standard, una persona acculturata. Con questo voglio
dire che non ha né toghe né diplomi, non usa parole complicate, ma posso assicurarvi che Tab Hutchins possiede
una delle menti più raffinate dei nostri tempi: è meccanico
per vivere, umanista-positivista per scelta, studioso di classici per inclinazione. Sono sempre attraversato da un leggero tremore quando vedo il vecchio Tab sdraiato sotto uno
dei furgoni scassati che gli agricoltori dei dintorni di Stillwater gli portano perché lui li aggiusti, con un libro di Platone che gli esce da una tasca e uno di Aristotele che gli
sporge dall’altra. Insomma, un giorno io e Tab stavamo
chiacchierando e lui mi ha detto, tutto serio: “Meph, tu
sostieni di essere contro la guerra, perché la guerra non
serve a niente”. E io gli ho risposto: “Proprio così, Tab”.
Lui aspirò dalla sua vecchia pipa, pensieroso per un istante, e poi disse: “Posso farti una domanda, Meph?”. “Cer13
to, Tab. Se posso ti risponderò volentieri”. Tab continuò:
“E allora la Rivoluzione americana? Pensi che anche quella non è servita a niente?”. Replicai: “Tu sai contro chi abbiamo combattuto quella guerra, Tab?”. “Certo che sì” disse “contro gli inglesi”. Io per un po’ di tempo non dissi
nulla, e probabilmente Tab credeva di avermi messo a tacere, perché mi guardava con la coda dell’occhio e faceva
dei tiri dalla sua vecchia pipa. Io guardavo il furgone su
cui aveva lavorato per tutta la mattina. “Funziona ora quel
furgone?” chiesi. “Adesso va alla grande, Meph. Bastava
abbassare un po’ il differenziale e ripulire qualche ingranaggio: adesso va alla grande, ma non mi pare che questo risponda alla mia domanda”. “Ti darò una risposta, Tab”
replicai “dopo che ci saremo fatti un giro. Penso sia il caso
di fare tutte le prove del caso prima di riconsegnarlo al suo
padrone. Dai, guido io”. Allora, montammo su e quasi subito entrai in perfetto feeling con quel vecchio furgoncino,
e filavamo via per le stradine di campagna, avanti e indietro, e anche su un tratto della statale. Lì intorno c’è un paesaggio magnifico, e io lo feci notare a Tab, che rispose: “È
proprio così!”. E io: “Sai dove stiamo, Tab?”. “Ovvio”.
“Bene”. Proseguimmo per un po’ e poi gli chiesi ancora:
“Che ne pensi, Tab, di questo posto?”. “Più o meno lo stesso di quando me l’hai domandato prima” replicò. E io: “E
dove stiamo, Tab?”. “Vuoi una risposta tecnica?”. “Sì”. E
lui disse: “Stiamo sul pianeta Terra, nel sistema solare numero uno, emisfero occidentale, continente nord-americano, più o meno sette miglia a nord-est di Stillwater, nel Maine”. “Hai torto, Tab. Non stiamo più negli USA. Abbiamo
varcato dieci minuti fa il confine con il Canada, che è ancora
un protettorato britannico, Tab, e questo è proprio quello
che noi non subimmo grazie alla Rivoluzione americana…
eppure tu non riesci a vedere la differenza! Penso che questo risponda alla tua domanda, o no, Tab?”».
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La campanella suonò sull’ultima parola, mentre il professor Mephesto radunava i suoi fogli e faceva per uscire.
In mezzo alla quinta fila, Candy aveva appena scritto:
“Cosa so della Rivoluzione americana?” e stava sottolineando della, quando levò lo sguardo e si accorse che il ragazzo
che aveva visto il giorno prima con il professore stava avanzando tra i banchi inequivocabilmente verso di lei.
«Tu sei Candy Christian?» le chiese quando la raggiunse.
«Sì».
«Meph vuole parlarti» disse con un’espressione contrariata «nel suo ufficio».
«Cosa? Il professor Mephesto?».
«Sì» rispose il ragazzo con un sogghigno «il professor
Mephesto». E le voltò bruscamente le spalle per andarsene.
«Ma che cavolo…» cominciò Candy, però lui era già
sparito.
Prese le sue cose, si affrettò a uscire e, una volta sulla
porta, perlustrò con lo sguardo tutto il corridoio ma di lui
non c’era più alcuna traccia.
«O Signore!» esclamò, dirigendosi rapidamente allo
spogliatoio delle ragazze, dove appoggiò i libri ed estrasse
il suo pettine e i trucchi. «Ma che cavolo…» seguitava a
dire, dandosi una pettinata sbrigativa e mettendoci invece
una marea di tempo a passarsi il rossetto. Adesso era molto pentita di non essere andata in biblioteca il giorno precedente. «Cavolo!» disse, e decise di mettersi un po’ di ombretto per sembrare più grande, più matura. Pensava che,
dato che il giorno prima non era riuscita a studiare o a leggere qualcosa, almeno avrebbe potuto provare a sembrare un po’ più intelligente. Perciò decise di mettersi anche
un po’ di mascara, per uniformità, si passò altro fard sulle
guance e spinse giù la camicetta per farla essere più aderente. Per fortuna, quella che portava era una delle sue
camicie più carine, nuova e graziosa, dalla cui vertiginosa
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scollatura a V faceva capolino un orlo esageratamente ricamato.
Alla fine fu pronta e uscì dallo spogliatoio, percorrendo l’atrio con un’andatura rigida fino all’ufficio del professore. Davanti all’uscio, bussò leggermente, e quasi nello stesso istante udì quella voce che ammirava così tanto.
«Entra, entra» disse solennemente.
Candy spinse piano la porta come se pensasse che nella stanza ci potessero essere così tanti libri da impedirle di
entrare.
«Vieni, cara!» disse Mephesto che stava lì in piedi ad accoglierla con un gesto plateale. «Stavo bevendo un goccetto di sherry, come ogni pomeriggio: spero che ti unirai
a me».
La fissò, in attesa, con la sua grande faccia rubiconda,
traboccante di gioia per la sua vita ricca e piena.
«Beh, io…» esordì Candy, ma lui le stava già servendo
un bicchierino.
«Prendo sempre un po’ di sherry e un pezzo di formaggio a quest’ora. Qualcuno preferisce il tè, ma a me lascia un po’ insoddisfatto. È indubbiamente un’abitudine
che proviene da quando studiavo a Heidelberg e a Oxford,
ma sono ancora convinto che un buono sherry ha corpo e
vigore, mentre il tè, nella migliore delle ipotesi, non è altro che un po’ d’acqua sporca. Non sei d’accordo?».
«Beh…» replicò Candy, prendendo la sedia che il professore le aveva indicato. Era arrossita all’istante: non aveva mai bevuto sherry di pomeriggio, anche se lo facevano i personaggi dei romanzi alla moda che leggeva e anche se sapeva che era la cosa giusta da fare. Naturalmente
aveva sentito parlare anche di certi alunni che ogni tanto
venivano invitati nell’ufficio del professore per “farsi un
bicchierino”, come dicevano, ma ovviamente si trattava
perlopiù di studenti più grandi e già diplomati, e anche
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tra questi era considerato un onore particolare di cui andare fieri.
«Questo sherry me l’ha inviato Lucci Locco, il poeta
umanista-simbolista portoghese, che chiaramente ora risiede a Parigi. Penso che ti possa piacere».
Fece una bella sorsata e, sollevando il bicchiere, incoraggiò la ragazza a imitarlo.
«À la tienne» disse «all’anima della nostra infanzia e ai
suoi piaceri peccaminosi, ormai perduti per sempre! E alla gioventù! Alla bellezza!».
Lasciò che la conclusione del brindisi indugiasse sulla
sua lingua e lanciò a Candy uno sguardo intenso. La ragazza arrossì terribilmente e, obbediente, fece un sorso.
«Volevo parlarti della tua relazione, mia cara» disse il
professor Mephesto, voltandosi verso il tavolo cosparso
di fogli e scegliendo un compito tra quelli in cima. «Quella sull’amore umano contemporaneo». E la sfogliò per alcune pagine, fino a un punto in cui sul margine era tracciata una grande X rossa.
“O Signore!” pensò Candy tra sé, disponendosi al peggio e preparandosi in anticipo a blaterare qualche scusa
sciocca; ma il professor Mephesto andò avanti rapidamente, schiarendosi la gola e scrollando un paio di volte il
compito.
«Ecco qui. Ora, tu scrivi: “Concedere pienamente se
stessi non è un semplice obbligo imposto da una superstizione all’antica, ma un privilegio meraviglioso ed emozionante”».
Abbassò i fogli e fissò la ragazza con sguardo interrogativo, sollevando di nuovo il bicchiere di sherry.
«Cosa intendeva dire qui, mia cara?».
Candy si agitò un po’ sulla sedia.
«Ma…» farfugliò «…forse è sbagliato? È quello che
aveva detto lei, ne sono abbastanza sicura…».
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Il professor Mephesto si alzò in piedi, unendo le mani
e levando lo sguardo al soffitto.
«Se è sbagliato…?» domandò meravigliato. «Mia cara! Mia cara, adorata ragazza… certo che è giusto! Va benissimo!».
Andò su e giù per la stanza, declamando: «Concedere
pienamente se stessi non è un semplice obbligo imposto
da una superstizione all’antica, ma un privilegio meraviglioso ed emozionante!».
Riprese il suo posto, allungando una mano verso Candy,
nel tentativo di esprimere un sentimento estremamente
elevato, ma poi, arrendendosi, lasciò cadere il braccio –
come se ogni sforzo fosse inutile – sul ginocchio della ragazza.
«E i pesi, le necessità umane» le disse con amabile
schiettezza «sono così profonde e… dolorose».
Candy fu scossa da un brivido involontario e fissò quella manona grassa poggiata sul suo ginocchio, anche se, ovviamente, per lei non era solo questo, ma era la grande e vigorosa mano del Maestro, la mano che aveva visto tante
volte levarsi dalla tribuna per celebrare magnificamente il
valore e la dignità dell’essere umano, che, senz’altro, riguardavano anche lei; e provò vergogna per il suo brivido. Il professore le diede una lieve stretta al ginocchio prima di ritrarre la mano.
«È un lavoro davvero ben fatto, mia cara, che merita il
massimo dei voti. Assolutamente superiore!».
Il cuore di Candy le balzò nel petto. Era un fatto universalmente risaputo che il professor Mephesto non dava mai
il massimo dei voti a più di una relazione in tutta la classe.
«Grazie» riuscì a sospirare.
«Non ho alcun dubbio» disse gentilmente il professor
Mephesto, alzandosi di nuovo, «che tu sia sincera». Corrugò le sopracciglia prima di proseguire. «Ci sono così tan18
te persone che professano nobili ideali e teorie, senza crederci veramente!».
Percorreva a grandi passi l’ufficio mentre parlava, fermandosi in qualche punto per sfiorare con rispetto un libro o per sollevare un braccio a enfatizzare le sue parole.
«Al giorno d’oggi, pochi individui sono in grado di percepire le cose. Probabilmente è stato il nostro stile di vita
materialistico a distruggere la capacità, l’arte di percepire.
Perché per percepire veramente le cose serve un animo
da artisti. Per questo motivo le parole non valgono nulla. E
questo spiega, ovviamente, il patetico fallimento delle religioni organizzate… le adesioni di facciata rispetto ai valori eterni. Falsità! Non sarebbe immaginabile un danno
più grande all’umanità».
Si bloccò alle spalle di Candy, che era rimasta seduta
rigida e con lo sguardo fisso. Lei stava ripensando alle
volte in cui l’aveva visto insieme ad altri suoi compagni,
e a quanto le erano parsi rilassati e informali insieme, e fece un enorme sforzo per cercare di imitarli, appoggiandosi allo schienale e sorseggiando un altro po’ di sherry,
mentre il suo cervello vagava disperatamente tra le pagine che aveva letto in quel trimestre, in cerca di qualcosa
di intelligente e di azzeccato da dire. Ma non le veniva
in mente nulla, perché la sua mente era occupata da un
pensiero ossessivo: “Un uomo eccezionale, sono davanti
a un uomo veramente eccezionale”. E sentendo dietro
di lei il respiro pesante del professore, immaginò che somigliasse al sospiro emesso da un uomo in una storia molto indietro nel tempo, quando ebbe finito di trascinare il
suo carico opprimente fino in cima al Calvario. E stavolta riuscì a governare l’istinto di sobbalzare quando il professore le posò la mano sulle spalle e la spostò poi alla
base del collo.
«Sono convinto» disse lui suadente «che tu possiedi una
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profonda comprensione, la vera saggezza, che sai realmente sentire le cose». Fece una pausa, e poi aggiunse in
un soffio: «…E sono convinto che sai benissimo quanto
ho bisogno di te!».
Mentre parlava, fece scivolare gradualmente la mano
sul collo, lungo la gola e verso il petto di Candy, che fece
cadere il suo bicchiere di sherry.
«O Signore!» piagnucolò lei, alzandosi di scatto per
raccogliere i vetri sul pavimento. Era così in imbarazzo che
non riusciva quasi a proferire parola.
«Oh, sono desolata, io…».
«Non preoccuparti» disse il professore con voce roca,
chinandosi vicino a lei. «Non fa niente, è soltanto un oggetto: una pura chimera dell’esistenza!».
Lì per terra, le si avvicinò baciandole la nuca e infilandole una mano sotto la camicetta.
«Non fare resistenza» la implorò «io so che tu sei troppo saggia e troppo buona per essere egoista. Eri davvero
sincera quando scrivevi quelle cose». E cominciò a declamare con enfasi «“…un privilegio meraviglioso ed emozionante…”», mentre nel frattempo le si strusciava addosso. In quel momento Candy si rialzò e il professore,
perdendo l’equilibrio, precipitò faccia avanti sullo sherry
versato, provando con una mano ad attutire la caduta e con
l’altra ad attirare giù con sé la ragazza, ma fallendo tuttavia in entrambi i tentativi. Così, poiché cadendo aveva dato una bella botta, e forse anche a causa della sua stazza imponente, finì per arrendersi a crogiolarsi e lamentarsi a
terra nella pozza di liquore.
Candy, ormai in piedi, con una mano sulla bocca, si stava cominciando a preoccupare.
«Oh, professor Mephesto, io…».
«Consola chi ha necessità più grandi, mia cara» la supplicava Mephesto dal luogo in cui giaceva, con le braccia
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tese per afferrarla nel caso in cui lei gli si avvicinasse. «Pensa a quel “privilegio emozionante”!».
Ma la povera ragazza era troppo terrorizzata, e ancora
terribilmente sconvolta per aver fatto cadere il bicchiere.
«Non lo so…» balbettava, quasi in lacrime, «ho tanta
paura… vorrei solo…».
Si bloccò perché si era spalancata la porta ed era comparso il ragazzo dall’espressione imbronciata che le aveva
trasmesso a denti stretti l’invito di Mephesto. Il suo sguardo si spostò dall’uno all’altra, mentre il suo volto impallidiva e i suoi occhi si riempivano di furia.
«Scusate!» esclamò sprezzantemente mentre girava sui
tacchi per uscire.
«Holly, aspetta!» urlò il professore, lottando per alzarsi. «Aspetta… è solo…». Si tirò su, spazzolandosi i vestiti
goffamente; era chiaramente imbarazzato, e il ragazzo nel
frattempo si era fermato sulla soglia, in attesa.
«Sarà meglio che vada» disse vedendo che non giungevano ulteriori spiegazioni.
«No, Holly» disse il professore, mentre si risistemava e
gli si faceva più vicino. «Vai nell’ufficio privato» gli ordinò,
fermo.
Quello lo fissò, non più pallido, ma imbronciato e scuro in volto.
«Dai, su» ripeté il professore, posandogli una mano sul
braccio. «Ti accompagno» disse gentilmente. «Vieni».
Si girò verso Candy un attimo prima di chiudere la porta che conduceva all’ufficio privato, e disse: «Scusaci un
minuto, per favore».
«Ma certo» replicò lei confusa, rimettendosi a sedere.
Per qualche istante si udirono dei bisbigli, poi qualcosa che
somigliava a una porta sbattuta, e Candy capì che il ragazzo se n’era andato. Rimase in attesa per un po’, ma il professore non faceva ritorno. “Egoista! Egoista!” si autoac21
cusava. “Sono necessaria a un uomo così fuori dal comune e mi curo solo del mio io materiale!”. Si sentiva orribilmente in colpa. “Lui ha bisogno di me e io lo respingo! Io
lo respingo! Ma con che coraggio?”.
Tese l’orecchio, ed ebbe una stretta al cuore quando
distinse quello che era, inconfondibilmente, un singhiozzo. «Oh, prof…». Era intollerabile: lui stava lì da solo a
piangere perché aveva bisogno di lei. «Oh, Meph, Meph»
cominciò, dirigendosi verso la porta. Sarebbe andata da
lui, gli si sarebbe concessa, pienamente. Richiamò alla
mente l’immagine nello specchio della sua nudità quando
era uscita dalla vasca da bagno, quella mattina. Sì, lei era
incantevole e gli si sarebbe concessa, pienamente. Mentre
sfiorava la maniglia dell’ufficio privato, provò un fugace
rammarico per non aver indossato il suo completo intimo
più bello, anche se per fortuna la biancheria che portava
era fresca di bucato e gradevole. In quel momento sentì
un altro singhiozzo, un gemito. «Sto venendo, Meph» sussurrò, e aprì dolcemente la porta.
Ma il ragazzo era ancora lì e a Candy si palesò una scena incredibile. I due si erano spogliati completamente e si
dimenavano per la stanza, tutta cosparsa di vestiti, percuotendo a vicenda selvaggiamente i corpi arrossati e pieni di lividi con degli asciugamani bagnati, gemendo e mugolando.
Non si accorsero di lei o, se lo fecero, non le badarono,
tutti presi dalle loro frenetiche fustigazioni. Candy richiuse immediatamente la porta e filò via fuori dall’ufficio nell’ampio atrio silenzioso, esplodendo alla fine in un pianto
a dirotto, consapevole ormai soltanto del rumore dei suoi
passetti veloci e del suo terribile egoismo, che aveva condotto il professor Mephesto, nella sua frustrazione, a…
Dio solo sapeva cosa! «Oh… come ho osato!» continuava a ripetersi. «Con che coraggio?».
22
***
Quando giunse a casa, comunque, si era già calmata.
O perlomeno, ardeva dalla voglia di dire a suo padre del
bel voto che aveva preso con la sua relazione.
Mr Christian era seduto nella sua poltrona a leggere il
giornale.
Quando entrò Candy, disse «Ciao!», dando un’occhiata all’orologio. «Com’è andata la tua giornata?». Il padre
di Candy sapeva variare soltanto tra “Hai imparato qualcosa, oggi?” e “Com’è andata la tua giornata?”, e lo faceva con la precisione di un orologio.
«Beh» rispose Candy mentre si avvicinava per deporgli sulla fronte un bacio che lui accolse con un borbottio.
«Un dieci al compito di filosofia! Dal professor Mephesto!
Ne dà al massimo uno in tutta la classe! Non è meraviglioso?».
Naturalmente le domande di Mr Christian erano retoriche, ma tale era anche il suo interesse, e perciò riusciva a
mantenere abbastanza facilmente le apparenze.
«Oh…» disse con un’intonazione leggermente crescente, proseguendo nella lettura del giornale, anche se le
sue sopracciglia corrucciate mostravano che lo stava solo
scorrendo e che riusciva nel frattempo anche ad ascoltare
la figlia. «E qual era l’argomento della relazione?».
«L’amore umano contemporaneo» rispose Candy, mettendo via la sua borsa.
Mr Christian diede una scrollata al giornale schiarendosi la gola.
«Sembra una roba molto utile» disse. Cercò di fare una
risatina per lasciar intendere che i corsi di filosofia non erano una cosa seria, ma era troppo irritato per riuscirci, e
allora diede un’altra scrollata al giornale, si schiarì la gola
e corrugò un po’ di più le sopracciglia.
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Candy non gli badò; voleva assolutamente conservare
qualcosa del suo trionfo e non gli avrebbe consentito di rovinarglielo.
«E poi» continuò prendendo posto accanto a lui «il
professor Mephesto mi ha chiamata nel suo ufficio! Per
“farci un bicchierino”!».
Quel nome era già emerso altre volte in precedenza e
Mr Christian lo disprezzava con la più schietta e smodata
gelosia. Afferrò la sua pipa e prese a svuotarla nel posacenere che teneva lì accanto.
«E che voleva quello?» domandò con disprezzo.
«Ma dai, papà! È un grande onore essere invitati per
un bicchierino nello studio del professore! O Signore, te
l’avrò detto decine di volte!».
«Un bicchierino di cosa?» chiese lentamente Mr
Christian, ostentando la pazienza di un santo.
«Ma di sherry, è ovvio! Te l’ho detto centinaia di volte!».
«Di sherry…? Intendi il vino?» domandò il padre, mentre le sue sopracciglia diventavano un grosso buco nero.
«No, intendo un banana-split, stupido! Ma certo… vino! Tutti i pomeriggi beve un bicchierino di sherry con
un pezzetto di formaggio. C’è chi preferisce il tè, ma per alcune persone il tè non è “adatto”. Lo sherry ha corpo e
vigore, mentre il tè, nella migliore delle ipotesi, non è altro che un po’ d’acqua sporca, non… insomma, santo cielo, voglio dire che è un’abitudine che ha preso negli ambienti migliori».
«E offre questo vino agli alunni?». Per Mr Christian
questo era il punto fondamentale.
«Oh, papà!».
Candy si alzò e camminò verso la finestra. Aveva cominciato a percepire qualcosa di ambiguo nel suo colloquio con Mephesto, ma ora lo vide in tutta la potenza e la
rettitudine del mondo.
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Mr Christian fece una boccata dalla sua pipa.
«Vorrei semplicemente sapere…».
«Non intendo discuterne» replicò Candy fredda.
Che cosa stesse accadendo nella testa di suo padre, dietro quel cipiglio tremendamente scuro, è difficile descriverlo con completezza. Indubbiamente era furioso, intendeva imporsi, avrebbe voluto discutere e litigare, anche se
con lei non sarebbe mai stato violento. Forse era consapevole di aver già perso in partenza? E sarebbe troppo ritenere addirittura che gli piacesse non solo perdere, ma anche il fatto stesso di non saper perdere? In ogni caso, decise di affrontare di petto un’altra questione dolente tra loro.
«Allora forse vorrai discutere di un’altra cosa» mugugnò. «Mrs Harris ha detto che ieri ti ha visto chiacchierare con Emmanuel».
Emmanuel era il ragazzo messicano che veniva a falciare il prato. Mr Christian aveva vietato a Candy nella
maniera più assoluta di parlargli, dato che lei, in molte occasioni, aveva mostrato una particolare inclinazione a farlo. Mr Christian aveva riconosciuto di essere personalmente di mentalità abbastanza aperta da non darvi peso,
ma temeva che la cosa potesse sembrare “bizzarra” ai vicini. In qualche modo, associava quel fatto al professor
Mephesto.
Ma per Candy questa fu la goccia che fece traboccare
il vaso.
«Ma figurati se voglio discutere con te di questo!»
esclamò. «Mi vergogno da morire per quello che hai detto. Se il professore l’avesse saputo non mi avrebbe mai invitata nel suo ufficio… Nemmeno in un milione d’anni!».
Suo padre avvertì una fitta violenta e piacevole alla testa. Solo con un enorme sforzo riuscì a riprendersi, a controllare la voce e a dire: «Non vorrei doverti togliere la
paghetta, ma…».
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«La paghetta!».
Candy batté i piedi con stizza.
«O Signore, questo è tutto quello che ti viene in mente? Le cose materiali! Santo cielo!».
Scrollò la sua bella testa, si girò di scatto, uscì dalla stanza e prese le scale per andare in camera da letto.
In soggiorno, Mr Christian riabbassò lo sguardo sul suo
giornale, fece una boccata dalla pipa e scosse lentamente
e severamente la testa, con le labbra e le nocche ora bianche come neve.
Quella notte andò a dormire indecisa su cosa avrebbe
dovuto fare: concedersi al giardiniere messicano o scappare a New York.
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L`anteprima di Candy con i primi due capitoli