Il contratto individuale di lavoro 99 6.Il contratto a tempo indeterminato, il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e le tipologie contrattuali speciali A) Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato Il modello standard di lavoro subordinato è rappresentato dal contratto di lavoro a tempo indeterminato. Il rapporto di lavoro derivante da un contratto a tempo indeterminato è caratterizzato dalla stabilità, in quanto esso è destinato a proseguire nel tempo, finché una delle parti non eserciti il recesso. In considerazione della condizione di dipendenza del lavoratore subor- Il contratto di lavoro dinato dal rapporto di lavoro, da cui egli trae la propria fonte di reddito, a tempo indeterminato il recesso del datore di lavoro è stato sottoposto a notevoli limitazioni. Infatti, come già accennato, il licenziamento è regolamentato da una disciplina limitativa, contenuta nella L. 604/1966 e, per le imprese con più di 15 dipendenti, nell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Il nostro ordinamento giuridico ha consolidato il principio generale per cui «il contratto di lavoro subordinato, per sua natura, non è a termine» (Cass. 21-5-2002, n. 7468). Il principio per cui il lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato era enunciato già nel codice civile del 1942 (art. 2097 c.c.); poi è stato espressamente affermato dalla L. 230/1962 (art. 1), che disciplinava le assunzioni a termine come eccezione a tale regola generale, fino ad essere riformulato nel D.Lgs. 368/2001. Le istituzioni europee hanno espressamente sancito che «i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati» (6° considerando della direttiva 99/70/CE sul lavoro a termine). Indubbiamente, soprattutto negli ultimi decenni, la diffusione di tipologie contrattuali speciali, in particolare modo del contratto a termine, nonché di forme di lavoro autonome come le collaborazioni coordinate e continuative, il lavoro a progetto e le partite IVA, ha però incrinato il ruolo dominante e storicamente prevalente del contratto a tempo indeterminato. Tuttavia, esso deve essere considerato, ancor oggi, almeno dal punto di vista giuridico, la forma comune di rapporto di lavoro (art. 1, co. 01, D.Lgs. 368/2001, modif. dalla L. 92/2012). Nel cd. Jobs Act (L. 183/2014) il Governo si impegna a «promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti» (art. 1, co. 7). A tal fine nella legge di stabilità 2015 (L. 190/2014) è stato introdotto, in favore delle imprese che effettuano assunzioni a tempo indeterminato entro il 31-12-2015, l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro per un periodo di 36 mesi (11). (11) L’agevolazione consiste nell’esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro nel limite massimo di € 8.060 su base annua e spetta per un periodo di 36 mesi a decorrere dalla data di assunzione. Può essere fruita da tutti i datori di lavoro del settore privato, compresi quelli che non hanno qualifica di «imprenditore» (associazioni culturali, politiche o sindacali, associazioni di volontariato e studi professionali). Sono escluse dall’agevolazione le assunzioni effettuate con contratti di apprendistato (per i quali restano applicabili le precedenti agevolazioni) e con i contratti di lavoro domestico (circ. INPS 17/2015). 100 Capitolo 4 Secondo i dati relativi ai primi mesi del 2015, la scelta delle imprese pare che vada trasferendosi effettivamente verso il contratto a tempo indeterminato. A motivazione di tale scelta vi è, certamente, la possibilità di usufruire della consistente agevolazione prevista dalla legge di stabilità 2015, che rende il contratto a tempo indeterminato più conveniente rispetto al contratto a termine che, invece, risulta più oneroso (i datori di lavoro sono soggetti, infatti, ad un contributo addizionale). Tenuto conto, in prospettiva, del riordino dei contratti di lavoro, in particolare nell’ambito del lavoro autonomo, previsto dal Jobs Act (L. 183/2014), è probabile che i datori di lavoro continuino a fare ricorso al contratto a tempo indeterminato, almeno fino alla fine del 2015, quando cesserà la possibilità di fruire dell’agevolazione contributiva, salvo proroghe. B) Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (CATUC) Con il D.Lgs. 6-3-2015, n. 23, di attuazione della delega contenuta nel Jobs Act, è stato introdotto nel nostro ordinamento il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti (CATUC). Il CATUC rappresenta la nuova veste contrattuale con cui si costituiranno, nell’ambito privato, tutti i rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 7-3-2015 (data di entrata in vigore del decreto legislativo), relativamente i lavoratori con qualifica di operaio, impiegato e quadro (in pratica, quindi, tutte le categorie professionali, ad esclusione dei dirigenti). Per le assunzioni effettuate con il (nuovo) contratto a tempo indeterminato il datore di lavoro beneficia, sussistendone i requisiti, dell’esonero contributivo triennale introdotto dalla legge di stabilità 2015 (L. 190/2014). Il CATUC non costituisce una tipologia contrattuale diversa rispetto alla forma tipica del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, quanto piuttosto una nuova declinazione della stessa. Il CATUC differisce dalla tipologia contrattuale sino ad ora utilizzata in caso di assunzione di lavoratori a tempo indeterminato esclusivamente per il regime di tutela in materia di licenziamenti illegittimi. Il concetto di «tutele crescenti», contenuto nella denominazione del nuovo contratto a tempo indeterminato, deve intendersi riferito soltanto ad un determinato aspetto del rapporto di lavoro e, segnatamente, come detto, al regime di tutela applicabile in caso di licenziamento illegittimo. Ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato costituiti con la tipologia contrattuale del CATUC sono applicabili, infatti, sin dal primo giorno del rapporto di lavoro, tutte le altre tutele e disposizioni previste dalla normativa in materia di lavoro subordinato (retribuzione, inquadramento, sicurezza del lavoro, ferie e permessi etc.). Per i lavoratori assunti con il CATUC, è stata introdotta una nuova disciplina in materia di licenziamento, che si discosta dal regime di cui alla L. 604/1966 e all’art. 18 St.Lav., che è stato applicato sino ad ora e che continuerà ad essere applicato a tutti coloro che sono stati assunti a tempo indeterminato prima del 7-3-2015 (data di entrata in vigore del D.Lgs. 23/2015). La nuova disciplina è caratterizzata da una «diversa tecnica di protezione della sicurezza economica e professionale del soggetto che dal rapporto trae continuativamente la maggior parte del proprio reddito» (dalla Relazione alla Commissione Lavoro del Senato del 26-112014), di natura prevalentemente risarcitoria in funzione dell’anzianità di servizio e con la garanzia di assistenza nel mercato del lavoro nella ricerca di una nuova occupazione. Per i lavoratori assunti con il contratto a tutele crescenti, nella maggior parte delle ipotesi, salvi i casi di licenziamento discriminatorio e di altre fattispecie di nullità, la conseguenza dell’accertamento giudiziale dell’invalidità del licenziamento è un’indennità monetaria, il cui Il contratto individuale di lavoro 101 importo è rapportato all’anzianità di servizio del lavoratore licenziato, entro comunque determinati limiti. Oltre che alle assunzioni effettuate direttamente con contratto a tempo indeterminato, la nuova disciplina in materia di tutela in caso di licenziamento illegittimo disposta D.Lgs. 23/2015 si applica anche nei casi di conversione, successiva al 7-3-2015, del contratto a tempo determinato e del contratto di apprendistato in contratto a tempo indeterminato (art. 1, co. 2, D.Lgs. 23/2015). La nuova disciplina in materia di licenziamento trova applicazione anche nel caso in cui, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute a decorrere dall’8-3-2015 (successivamente all’entrata in vigore del decreto), sia superato il requisito dimensionale di 15 dipendenti in Il contratto a tutele crescenti (CATUC) forza presso il datore di lavoro (art. 1, co. 3, D.Lgs. 23/2015). Per la puntuale disamina della nuova disciplina del licenziamento, si rinvia al succ. Cap. 14. Jobs Act (L. 183/2014) D.Lgs. 23/2015 Contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti si applica una tutela contro i licenziamenti illegittimi prevalentemente indennitaria la tutela (indennizzo) cresce in base all'anzianità di servizio (entro un certo limite) il termine «tutele» è limitato alla tutela in caso di licenziamento illegittimo Contratto a tempo indeterminato tradizionale nelle aziende con più di 15 dipendenti si applica la tutela reale (è garantita la reintegrazione) sin dal primo giorno del rapporto la tutela applicabile non è in funzione dell'anzianità di servizio del lavoratore licenziato C) Le tipologie contrattuali speciali Alcune tipologie contrattuali, pur essendo riconducibili senz’altro alla fattispecie del lavoro subordinato tipizzata dall’art. 2094 c.c., differiscono dal tradizionale modello del contratto a tempo pieno ed indeterminato. Tali tipologie vengono definite contratti o rapporti speciali di lavoro o a disciplina speciale poiché sono regolati in modo particolare rispetto alla disciplina generale del rapporto di lavoro subordinato, la quale trova applicazione soltanto se compatibile (art. 2239 c.c.). La dottrina non ha interpretato univocamente il concetto di specialità. Solo per una parte degli studiosi, infatti, la specialità deriva dalla circostanza che il rapporto di lavoro sia disciplinato da una normativa speciale (lavoro degli sportivi, della gente di mare etc.). 102 Capitolo 4 Per altra dottrina «la specialità si atteggia come uno strumento di tecnica legislativa funzionale ad una articolazione della tutela del lavoratore», tenuto conto che la realtà del lavoro subordinato costituisce «un universo differenziato per gruppi professionali e aggregati sociali» (GHERA, GARILLI, GAROFALI). In concreto la specialità è spesso ricollegata ad un determinato elemento del contratto o rapporto di lavoro. Tipico esempio è il contratto a tempo determinato, caratterizzato dall’apposizione di un termine di scadenza al contratto di lavoro, considerato per sua natura a tempo indeterminato. Ulteriori elementi possono riguardare la causa del rapporto (nell’apprendistato, ad esempio, la causa del contratto non consiste solo nello scambio tra prestazione di lavoro e retribuzione, ma anche nella formazione da impartire all’apprendista) o specifici aspetti, come la durata della prestazione (nel part-time si lavora ad orario ridotto) o il contesto di svolgimento dell’attività lavorativa (il lavoro domestico è reso in una comunità familiare). Ulteriori fattispecie speciali sono caratterizzate dalla particolare natura o ruolo del datore di lavoro, come il rapporto di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni e il lavoro in regime di somministrazione. I cd. contratti speciali di lavoro sono stati oggetto negli ultimi anni di continui interventi del legislatore. Ai contratti speciali più antichi, come il contratto a termine o l’apprendistato, sono state aggiunte ulteriori tipologie contrattuali, soprattutto allo scopo di ampliare le scelte delle imprese. Originariamente «la massa dei lavoratori subordinati, manuali e intellettuali, era aggregata intorno ad un unico modello di contratto e ad una disciplina fortemente coesa», che rifletteva «un mondo del lavoro compatto e poco diversificato» (DEL PUNTA). Le successive significative modificazioni dell’economia e dei mercati «hanno fatto apparire non più adeguato un assetto così monolitico», con l’esigenza di introdurre forme contrattuali più flessibili (DEL PUNTA). Tra il contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato e i contratti speciali non esisterebbe quindi un rapporto di genere a specie. In effetti, la generalità della disciplina del lavoro subordinato a tempo pieno deriva dalla preminenza di tale fattispecie, in quanto tipologia contrattuale maggiormente diffusa al tempo in cui è sorta la disciplina del lavoro (GALANTINO). Il cd. Jobs Act (L. 183/2014) prevede la revisione delle tipologie contrattuali di lavoro oggi esistenti, allo scopo di renderle maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo. La normativa delegata dovrà operare il riordino delle varie tipologie contrattuali speciali, con la possibile adozione di un testo unico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro al fine di superare difficoltà applicative e interpretative. Per la puntuale disamina dei contratti di lavoro speciali, si rinvia al succ. Cap. 12. 7.L’invalidità del contratto e la tutela del lavoratore ex art. 2126 c.c. Le vicende patologiche del contratto di lavoro (e cioè gli stati vizianti del contratto) sono disciplinate dai principi comuni del diritto privato, con notevoli peculiarità in relazione agli effetti dell’invalidità negoziale. Il contratto individuale di lavoro 103 A) Cause di nullità La nullità del contratto si verifica nelle seguenti ipotesi: —singole clausole contrattuali in violazione di norme imperative di legge (art. 1418, co. 1 c.c.). Trattasi di nullità parziale poiché è disposto che la clausola invalida è sostituita di diritto con le norme imperative violate (art. 1419, co. 2 c.c.). La nullità della singola clausola contrattuale (es. una retribuzione inferiore ai minimi retributivi stabiliti dal contratto collettivo) non travolge l’intero contratto, poiché ciò si rivolgerebbe a danno del contraente debole (il lavoratore), il quale rischierebbe di perdere qualsiasi diritto spettante in base alle norme imperative. Invalidità del contratto Parimenti nel caso in cui il contratto individuale si presenti difforme (in senso di lavoro peggiorativo) rispetto al contratto collettivo: in tal caso, limitatamente agli appartenenti alle organizzazioni sindacali stipulanti, le clausole difformi del contratto individuale sono nulle e vengono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo più favorevoli al lavoratore (Cass. 18-5-1976, n. 1778); —illiceità della causa e illiceità, indeterminabilità o impossibilità dell’oggetto. La sanzione è la nullità totale, senza alcuna possibilità di sanatoria; il prestatore non ha diritto ad alcuna retribuzione e potrà soltanto, eventualmente, esercitare l’azione di indebito arricchimento (art. 2041 c.c.), sempreché non si tratti di prestazione contraria al buon costume. L’illiceità della causa riguarda la contrarietà della prestazione lavorativa (di per sé lecita) ai «principi o alle norme di ordine pubblico strettamente intesi ovvero ai principi etici fondamentali dell’ordinamento giuridico» (GALANTINO): ad esempio l’attività di stampa di biglietti per lotterie clandestine, svolta di comune intento dal datore e dal lavoratore. Diversamente, l’illiceità dell’oggetto si verifica allorché è illecita la prestazione stessa dedotta in rapporto: ad esempio la prestazione di un croupier in una casa da gioco clandestina; —difetto di un requisito essenziale del contratto (art. 1418, co. 2 e art. 1325 c.c.), in relazione al quale rileva, soprattutto nella pratica, il caso dell’eventuale mancanza della forma scritta, limitatamente ai casi in cui essa è richiesta ad substantiam. B) Cause di annullabilità L’invalidità del contratto discende inoltre dalle seguenti cause di annullabilità: —incapacità a contrarre di una delle parti (art. 1425 c.c.), in specie con riguardo alla mancanza di capacità (età minima per l’accesso al lavoro) del lavoratore minore; —vizi di volontà delle parti (art. 1427 c.c.), quali l’errore, la violenza e il dolo. I vizi di volontà hanno una rilevanza trascurabile per effetto della ridotta autonomia consentita alle parti private nella formazione del consenso. Tuttavia la dottrina (DE LUCA TAMAJO, GHERA) ha segnalato il possibile rilievo di: a) errore sulle qualità del lavoratore (art. 1429 n. 3 c.c.). È un’ipotesi verificabile nei casi in cui non sia stato convenuto il periodo di prova che è lo strumento legale tipico per la valutazione delle qualità soggettive del lavoratore. In base ai principi generali, l’errore può assumere rilievo solo se essenziale per il datore di lavoro (e cioè quando le qualità personali e tecnico-professionali abbiano diretta attinenza con la prestazione lavorativa considerata nelle sue caratteristiche peculiari) e riconoscibile del lavoratore; b) dolo (art. 1439 c.c.) che si ha quando il lavoratore dia causa all’errore — determinante del consenso — con affermazioni false (dolo commissivo) o reticenti (dolo omissivo). La questione si è posta in giurisprudenza con riguardo a lavoratori che si erano limitati a dichiarare di essere in possesso del titolo di studio richiesto sottacendo di possederne uno superiore a fronte di bandi che considerano preclusivo il possesso di un titolo di studio superiore a quello richiesto; 104 Capitolo 4 c) errore di diritto (art. 1429 n. 4 c.c.) con riguardo al caso del datore di lavoro che aveva proceduto all’assunzione senza il rispetto della graduatoria concorsuale fidando nella clausola preferenziale della residenza contenuta nel bando di concorso, poi dichiarata nulla. C) La simulazione come possibile causa di invalidità del contratto di lavoro Si distinguono due diverse ipotesi (DE LUCA TAMAJO): —simulazione assoluta: si verifica quando si finge di porre in essere (es. per ragioni fiscali o previdenziali) un contratto di lavoro subordinato mentre in realtà le parti non vogliono alcun rapporto e non viene effettuata la prestazione lavorativa. In tale ipotesi trova diretta applicazione l’art. 1414, co. 1 c.c. per cui «il contratto simulato non produce effetto tra le parti»; —simulazione relativa: si verifica quando viene simulato un contratto diverso da quello voluto (es. lavoro autonomo, ma le parti intendono dar vita e di fatto danno vita ad un rapporto di lavoro subordinato, o viceversa). In tal caso troverà applicazione la disciplina del tipo di rapporto che le parti hanno effettivamente realizzato. La prevalenza del contratto effettivo dissimulato, su quello apparente simulato, incontra il limite della meritevolezza o meno dell’interesse concreto perseguito dalle parti (art. 1322 c.c.) e della disciplina imperativa del rapporto di lavoro. In altre parole, il meccanismo di sostituzione del contratto effettivo al contratto simulato non interviene quando la simulazione persegua però una finalità fraudolenta. Pertanto, troverà applicazione la regola della nullità del contratto in frode alla legge (art. 1344 c.c.) tutte le volte che un intento fraudolento sia rinvenibile all’origine del contratto dissimulato. Cosa che può verificarsi con maggior frequenza proprio nella materia del lavoro subordinato, la cui disciplina è caratterizzata dalla sussistenza di numerose norme imperative. Da ciò deriva, salvo espresse previsioni di legge, l’invalidità del contratto simulato come del contratto dissimulato, con l’applicazione dell’art. 2126 c.c. o, ove possibile, la sostituzione automatica della disciplina imperativa del rapporto. Ciò ad es. si verifica nelle ipotesi in cui un contratto di lavoro autonomo venga concluso allo scopo di eludere, dissimulando un effettivo contratto di lavoro subordinato, la disciplina imperativa imposta per la tutela del lavoratore. D)Effetti dell’invalidità contrattuale e la tutela della prestazione di fatto ex art. 2126 c.c. In relazione al contratto di lavoro subordinato, le regole generali sugli effetti dell’invalidità contrattuale ricevono un adattamento al fine di evitare che il prestatore di lavoro subisca le conseguenze sfavorevoli della dichiarazione di nullità o dell’annullamento del contratto stesso. Secondo i principi di diritto comune, il contratto invalido non produce effetti, pregiudicando i diritti e le azioni da esso derivanti (il lavoratore, ad esempio, rischierebbe di perdere — tra l’altro — il diritto alla retribuzione per la prestazione svolta in esecuzione del contratto invalido). L’invalidità del contratto di lavoro subordinato è disciplinata dall’art. 2126 c.c., la cui rubrica «prestazione di fatto con violazione di legge» richiama, per l’appunto, la fattispecie di un contratto invalido (la violazione di legge) che abbia comunque avuto esecuzione (la prestazione di fatto) (12). (12) Non è riconducibile all’art. 2126 c.c. l’ipotesi di prestazione di fatto di natura extracontrattuale, quando cioè la prestazione di lavoro avviene invito domino o anche prohibente domino (inesistenza del titolo costitutivo del rapporto). Il contratto individuale di lavoro 105 La norma distingue tre ipotesi: 1. annullabilità o nullità del contratto di lavoro non derivante dall’illiceità dell’oggetto o della causa. In tal caso opera il disposto del comma 1 dell’art. 2126 c.c. per cui «la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione». La finalità protettiva della norma è evidente in quanto essa, salvando gli effetti derivanti dal concreto svolgimento del rapporto antecedentemente alla dichiarazione di invalidità, garantisce il diritto del lavoratore alla retribuzione e ad ogni altra prestazione riconosciuta dalla legge, quale ad es. il TFR, la contribuzione previdenziale e assicurativa etc. (Cass. sent. 13-5-1978, n. 2343). Prestazione di fatto L’art. 2126 c.c., co. 1, non equipara il contratto di lavoro invalido ad un contratto valido, ma si limita a disciplinare, in modo differente dalle norme generali sui contratti contenute nel codice civile, gli effetti dell’invalidità, riconoscendo efficacia al rapporto di lavoro già svoltosi, a prescindere dalla invalidità del contratto da cui trae origine il rapporto, al fine di tutelare il diritto del lavoratore alla retribuzione. La norma in esame non opera, pertanto, nel caso in cui il lavoratore pretenda dal datore di lavoro l’osservanza di regole che, presupponendone la validità, tendano a conservare il rapporto o, comunque, a impedire il recesso ad nutum (Cass. 12-5-1968, n. 2341); 2. nullità del contratto di lavoro derivante dall’illiceità dell’oggetto o della causa. L’art. 2126, co. 1, c.c., esclude dalla regola della inefficacia della invalidità del contratto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, il caso in cui la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa. In tali circostanze il legislatore non può derogare alle disposizioni generali, in base alle quali il lavoratore perde il diritto alla retribuzione e ad ogni altra spettanza, potendo solo esercitare l’azione di ingiustificato arricchimento nei limiti delle previsioni generali (art. 2041 c.c.). L’arricchimento ingiustificato, ovvero iniquo, è quello che si può verificare in favore del datore di lavoro, quando questi abbia comunque beneficiato della prestazione di lavoro eseguita dal lavoratore il quale, invece, a seguito dell’invalidità, perde il diritto ad essere retribuito (l’obbligazione del datore, essendo di natura pecuniaria, è sempre ripetibile, mentre l’obbligazione del lavoratore, una volta adempiuta, no); 3. nullità del contratto di lavoro derivante dall’illiceità dell’oggetto o della causa per violazione di norme a tutela del lavoratore. In base al comma 2 dell’art. 2126 c.c., quando l’invalidità del contratto di lavoro è conseguenza delle violazioni delle norme protettive del lavoratore, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione. Essa resta, pertanto, garantita in ogni ipotesi di effettiva prestazione di lavoro ed anche nel caso in cui si abbia illiceità della causa o dell’oggetto, purché tuttavia l’illiceità dipenda da violazione di norme poste a tutela del lavoratore (come nel caso di minore privo dell’età lavorativa prescritta). 106 Capitolo 4 contratto in generale Invalidità contrattuale il contratto non produce effetti, pregiudicando i diritti e le azioni da esso nascenti Effetti (distinzione) contratto di lavoro subordinato la nullità non produce effetto per il periodo in cui il rapporto di lavoro ha avuto esecuzione eccetto che in caso di illiceità dell’oggetto o della causa se vi è stata violazione di norme a tutela del lavoratore, questi ha diritto in ogni caso alla retribuzione Dottrina La dottrina individua nella particolare disciplina dell’art. 2126 c.c. la formulazione di un principio di irretroattività (GHERA) della dichiarazione di nullità e della pronuncia di annullabilità in quanto in deroga ai principi generali, l’invalidità del contratto di lavoro produce effetti ex nunc (solo per il futuro). Tale principio di irretroattività è però limitato (DE LUCA TAMAJO) perché non garantisce, per il periodo in cui il contratto ha avuto esecuzione, tutti gli effetti tipici del contratto: in particolare non v’è spazio per la tutela della stabilità del posto di lavoro che presuppone comunque l’esistenza di un contratto valido. La norma, quindi, esplica una funzione di garanzia degli interessi del lavoratore, in quanto l’azione per far valere l’invalidità viene surrogata dall’azione di condanna all’attuazione dei diritti attribuiti al lavoratore dalle norme imperative violate. In tal modo, si è osservato, la funzione di garanzia assicurata dall’art. 2126 c.c. non è dissimile da quella propria dell’inderogabilità della disciplina legale del rapporto e della sostituzione di diritto del suo contenuto, in quanto preordinata alla tutela dei cd. standard legali di protezione del lavoratore (GHERA). 8.La certificazione del contratto di lavoro A) La funzione della certificazione Al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro, il D.Lgs. 276/2003 ha introdotto nel nostro ordinamento la certificazione (artt. 75-84), quale strumento volontario e fideifacente per le parti ed i terzi in ordine alla natura del rapporto di lavoro e dei suoi effetti. La certificazione consiste in una dichiarazione valutativa (atto certificativo) sulla qualificazione di un contratto e sulla sua rispondenza alla fattispecie astratta» (MAZZIOTTI). È possibile certificare tutti i contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro (art. 75, co. 1, D.Lgs. 276/2003. La certificazione è finalizzata a garantire la veridicità della volontà espressa dalle parti in sede di stipulazione di un contratto, non solo di lavoro in senso stretto, come nei contratti di lavoro subordinato, anche speciali, di lavoro autonomo e parasubordinato, ma anche in contratti non propriamente di lavoro, come il contratto di somministrazione. Il contratto individuale di lavoro 107 Inoltre, la certificazione riguarda tutto il contenzioso in materia di lavoro e non più come nella previgente formulazione della norma, soltanto le controversie concernenti la qualificazione del rapporto. La certificazione (artt. 82-84 D.Lgs. 276/2003) può essere utilizzata anche: —per avallare le rinunce e transazioni di cui all’art. 2113 c.c., al fine di controllare l’effettività della volontà abdicativa o transattiva delle parti; —per il deposito dei regolamenti interni delle cooperative di lavoro, con riferimento alla tipologia dei rapporti di lavoro attuati o che si intendono attuare con i soci; —in sede di stipulazione di un contratto di appalto ex art. 1655 c.c. e di attuazione del relativo programma negoziale, per distinguerlo Certificazione del dalla somministrazione di lavoro. contratto di lavoro La certificazione non costituisce un obbligo di legge. Essa deve essere effettuata consensualmente e volontariamente dalle parti ed il mancato ricorso alla certificazione del contratto non incide sulla validità dello stesso. Se il contratto di lavoro non viene certificato è normalmente valido in quanto la certificazione non è prescritta dalla legge per la regolare costituzione del rapporto di lavoro. B) Gli organi di certificazione La certificazione è effettuata da apposite commissioni di certificazione, che possono essere istituite ad iniziativa: —degli enti bilaterali costituiti nell’ambito territoriale di riferimento o a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita nell’ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale; —delle Direzioni territoriali del lavoro (DTL) e delle Province; —delle Università pubbliche e private e delle Fondazioni universitarie (13); —dai Consigli provinciali dei consulenti del lavoro, la cui competenza a certificare è limitata però ai contratti di lavoro instaurati nell’ambito territoriale di riferimento (14). Le commissioni, una volta istituite presso gli enti sopra indicati, possono successivamente stipulare delle convenzioni finalizzate alla costituzione di una commissione unitaria di certificazione. Una commissione di certificazione opera, inoltre, con competenza specifica, presso la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro e delle relazioni industriali del Ministro del Lavoro (art. 1, co. 256, L. 266/2005). La competenza di questa commissione riguarda esclusivamente il caso in cui il datore di lavoro abbia le proprie sedi in almeno due Province ed il caso in cui il datore di lavoro con unica sede sia associato ad organizzazioni (13) Le Università devono essere appositamente abilitate ad effettuare la certificazione dei contratti di lavoro e devono essere registrate nell’apposito Albo istituito presso il Ministero del Lavoro (art. 76, co. 2, D.Lgs. 276/2003 e D.M. 14-6-2004). Per ottenere l’iscrizione all’Albo, nonché successivamente su richiesta del Ministero, la commissione di certificazione universitaria è tenuta a produrre studi e ricerche aventi ad oggetto criteri ed indici di qualificazione dei contratti di lavoro. (14) La costituzione di commissioni di certificazione da parte dei Consigli provinciali dei consulenti del lavoro può avvenire unicamente nell’ambito di intese definite tra il Ministero del Lavoro e il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, al quale vengono attribuite funzioni di coordinamento e vigilanza per gli aspetti organizzativi (art. 76, co. 1, lett. c-ter) D.Lgs. 276/2003). In data 18-2-2011 è stata così sottoscritta un’Intesa per l’approvazione di un Regolamento sulla base del quale si devono costituire e devono operare le Commissioni istituite presso i Consigli Provinciali. Dal 1°-5-2011 si applica il Regolamento approvato il 243-2011 che delinea le competenze delle commissioni, la relativa composizione e la formazione dei componenti della commissione. 108 Capitolo 4 imprenditoriali che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificati dalla predetta commissione (15). Le commissioni di certificazione operano secondo un proprio regolamento interno che esse sono tenute a trasmettere al Ministero del Lavoro ai fini della valutazione di conformità alle disposizioni di legge. Per orientare il lavoro delle commissioni e conferirgli la necessaria uniformità su tutto il territorio nazionale, l’art. 78 del D.Lgs. 276/2003 prevede l’adozione, da parte del Ministro del Lavoro, di appositi codici di buone pratiche per l’individuazione delle clausole indisponibili in sede di certificazione dei rapporti di lavoro, con specifico riferimento ai diritti e ai trattamenti economici e normativi. Tali codici devono recepire, ove esistenti, le indicazioni contenute negli accordi interconfederali stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Inoltre, sempre con proprio decreto, il Ministro del Lavoro deve predisporre appositi moduli e formulari per la certificazione del contratto o del relativo programma negoziale, che tengano conto degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti in materia di qualificazione del contratto di lavoro, come autonomo o subordinato, in relazione alle diverse tipologie di lavoro. C) Procedimento di certificazione La procedura di certificazione viene avviata con apposita istanza presentata alla competente commissione di certificazione, redatta per iscritto e sottoscritta da entrambe le parti del contratto di lavoro (art. 3, co. 3, D.M. 21-7-2004 e circ. Min. Lav. 48/2004). Trattandosi di una procedura di carattere volontario, è sempre necessario il consenso del lavoratore. È stabilito uno specifico criterio di competenza territoriale alla ricezione della domanda con cui si richiede l’avvio della procedura di certificazione ed in particolare (16) (17): — se le parti intendono avvalersi delle commissioni presso gli enti bilaterali, dovranno inoltrare l’istanza alla commissione costituita dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro cui aderiscono; — se le parti intendono avvalersi delle commissioni presso le DTL o la Provincia, è competente la commissione nella cui circoscrizione si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale sarà addetto il lavoratore; — se il datore di lavoro ha sedi in due o più Province, anche in Regioni diverse, è competente la commissione di certificazione costituita presso il lavoro del Ministero del Lavoro. In considerazione del fatto che le commissioni provvedono alla certificazione in base al proprio regolamento operativo, il D.Lgs. 276/2003 (art. 78) si limita a stabilire i seguenti principi procedurali di base: —l’inizio del procedimento deve essere in ogni caso comunicato alla DTL che provvede ad informare le autorità pubbliche nei confronti delle quali l’atto di certificazione è destinato a produrre effetti (INPS, INAIL, Agenzia delle entrate etc.); (15) In tale ipotesi le commissioni di certificazione istituite presso le DTL e le Province limitano la loro funzione alla ratifica di quanto certificato dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del Lavoro. (16) Al fine di evitare possibili duplicazioni di procedimenti, le parti devono dichiarare, a propria responsabilità, che «fra di esse e con riferimento al contratto presentato non vi sono altri procedimenti certificatori pendenti» e «che non è stato emesso un precedente provvedimento di diniego sulla medesima istanza» (nel caso di sussistenza di tale provvedimento, non è amessa una nuova istanza fondata sui medesimi elementi del contratto rigettato). (17) Nulla è detto per quanto concerne la competenza delle commissioni universitarie, probabilmente in considerazione del livello altamente specialistico, sì che deve considerarsi legittima l’istanza presentata ad una qualsiasi delle commissioni universitarie esistenti. Il contratto individuale di lavoro 109 —il procedimento di certificazione deve concludersi entro il termine di 30 giorni dal ricevimento della istanza da parte della Commissione (18); —l’atto di certificazione deve essere motivato e contenere il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere; —l’atto di certificazione deve contenere esplicita menzione degli effetti, civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in relazione ai quali le parti richiedono la certificazione. L’atto di certificazione deve essere redatto in triplice originale: uno rimane agli atti d’ufficio, mentre gli altri due devono essere consegnati alle parti che hanno sottoscritto l’istanza di certificazione. L’esito della procedura può consistere anche in un atto di diniego. Procedimento In ogni caso, sia il provvedimento di certificazione che quello di diniego, stante la di certificazione natura di atti amministrativi, devono essere motivati; il verbale di audizione delle parti e il resoconto dell’attività svolta dalla Commissione viene allegato al provvedimento adottato e ne è parte integrante. I contratti di lavoro certificati e la relativa documentazione devono essere conservati presso le sedi di certificazione, per un periodo di almeno 5 anni a far data dalla loro scadenza. L’attività della commissione di certificazione La commissione di certificazione svolge un ruolo tutt’altro che burocratico: essa non si limita a formalizzare con l’atto di certificazione il contratto di cui le parti presentano documentazione, ma deve svolgere anche una funzione di consulenza e assistenza effettiva sia in relazione alla stipulazione del contratto di lavoro e del relativo programma negoziale, sia in relazione alle modifiche dello stesso «concordate in sede di attuazione del rapporto di lavoro, con particolare riferimento alla disponibilità dei diritti e alla esatta qualificazione dei contratti di lavoro» (art. 81 D.Lgs. 276/2003). A tal fine, l’iter procedurale della certificazione contempla una fase di audizione delle parti durante la quale la commissione di certificazione svolge i compiti di consulenza e assistenza (come espressamente previsto, per quanto riguarda il procedimento di certificazione presso la DTL, dal D.M. 21-72004). In tale fase è facoltà delle parti farsi assistere o meno dalle rispettive organizzazioni sindacali o di categoria ovvero da un professionista (l’assistenza legale o sindacale è necessaria qualora la parte sia presente in persona di un proprio rappresentante). L’attività consulenziale della commissione può ben essere inquadrata nell’ambito della razionalizzazione e valorizzazione delle funzioni ispettive, operata dal D.Lgs. 124/2004 che ha riconosciuto alle articolazioni periferiche del Ministero del Lavoro (DIL e DTL) sempre di più la funzione, particolarmente qualificata, della promozione e prevenzione della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale, in affianco a quella tradizionale di vigilanza (circ. Min. Lav. 48/2004). D)Effetti della certificazione L’atto di certificazione deve indicare espressamente gli effetti civili, amministrativi, fiscali e previdenziali del contratto certificato che permangono tra le parti del contratto e verso i terzi (artt. 78-79, D.Lgs. 276/2003). In particolare, il contratto certificato ha un valore particolare in quanto i suoi effetti persistono anche in sede giudiziale. Infatti, in caso di controversie, nella qualificazione del contratto di lavoro e nell’interpretazione delle relative clausole, il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti, espresse in sede di certificazione (art. 30, co. 2, L. 183/2010) (19). (18) Il termine ha valore ordinatorio e non perentorio. (19) Tali vincoli non sussistono in caso di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. 110 Capitolo 4 Gli effetti del contratto certificato resistono anche in caso di accertamento ispettivo (v. Cap. 20), poiché gli organi di vigilanza non possono adottare provvedimenti da cui derivi una diversa qualificazione dei contratti di lavoro certificati. Per poter contestare la validità di un contratto certificato e quindi inficiarne gli effetti è necessario ricorrere in giudizio (v. succ. lett. E). La proposizione del ricorso, comunque, non interrompe gli effetti della certificazione, che permangono per tutta la durata del giudizio e fino ad un’eventuale sentenza favorevole. Per quanto riguarda l’efficacia temporale della certificazione ovvero il momento da cui si producono gli effetti dell’accertamento sul contratto di lavoro effettuato dalla commissione di certificazione (art. 79, co. 2, D.Lgs. 276/2003, introdotto dall’art. 31, co. 17, L. 183/2010): —in caso di contratto in corso di esecuzione, gli effetti della certificazione retroagiscono fino al momento di inizio del contratto, ove la commissione abbia appurato la corrispondenza tra il contratto da certificare e l’effettivo rapporto di lavoro, in base alla sua attuazione anche nel periodo precedente alla propria attività istruttoria. In pratica il concreto svolgimento del rapporto deve essere compatibile con quanto la commissione abbia appurato in sede di certificazione del contratto; —in caso di contratti non ancora sottoscritti dalle parti, gli effetti della certificazione si producono soltanto ove e nel momento in cui queste ultime provvedano a sottoscriverli, con le eventuali integrazioni e modifiche suggerite dalla commissione adita. La maggiore forza della volontà cartolare in caso di certificazione Secondo l’orientamento consolidato della dottrina e giurisprudenza, la volontà cartolare, ovvero la volontà manifestata dalle parti nella scelta del tipo di contratto di lavoro al momento della instaurazione del rapporto di lavoro occupa una posizione subalterna rispetto alla volontà fattuale, vale a dire al concreto atteggiarsi delle parti nello svolgimento del rapporto di lavoro. Con la certificazione, la volontà cartolare assume una nuova importanza in quanto il contratto certificato resiste tra le parti e verso i terzi fino all’esito di un giudizio in cui si accerti che invece il rapporto di lavoro corrisponde ad una tipologia contrattuale diversa. È stato notato che la certificazione, di natura sindacale o amministrativa a seconda della commissione prescelta, rappresenta una valutazione (di accoglimento o di rigetto) circa la conformità della volontà delle parti, così come manifestata con l’adozione di un determinato schema negoziale, alla species astratta corrispondente (lavoro autonomo, a progetto, di collaborazione, subordinato, part time etc.). Tale procedimento si discosta pertanto dalle forme di volontà assistita (VALLEBONA), nelle quali le parti si accordano, con l’assistenza dei rispettivi soggetti collettivi, per definire la disciplina applicabile al rapporto di lavoro (e non meramente il tipo contrattuale). La maggiore rilevanza del contratto certificato è però pur sempre limitata: infatti prevale e resiste ad ogni eccezione extragiudiziaria (es. accertamenti degli organi di vigilanza), ma nel momento in cui la difformità è accertata con sentenza del giudice, torna a prevalere il rapporto effettivamente realizzato e quindi il giudice potrà correggere il nomen assegnato dalle parti al contratto di lavoro (GALANTINO). E) Rimedi giurisdizionali Possono agire in giudizio contro l’atto di certificazione sia le parti del contratto di lavoro certificato, sia i terzi nella cui sfera giuridica la certificazione produce effetti (art. 80 D.Lgs. 276/2003). Il contratto individuale di lavoro 111 Si tratta di una forma di impugnativa a critica vincolata, in quanto i motivi che legittimano l’azione in giudizio sono tassativamente indicati dalla legge. In particolare l’impugnativa può avvenire: —per erronea qualificazione del contratto; —per vizio del consenso (in caso di errore, violenza, dolo ex artt. 1427-1440 c.c.) (20); —per difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva concreta attuazione. L’impugnativa si propone con ricorso innanzi al giudice del lavoro (21). A condizione di procedibilità della domanda deve essere preventivamente promosso, innanzi alla stessa commissione che ha provveduto alla certificazione, un tentativo di conciliazione extragiudiziale. Impugnazione della certificazione Le conseguenze sul rapporto di lavoro dipendono dall’esito del giudizio ed in particolare: —in caso di sentenza di rigetto del ricorso, è confermato l’atto di certificazione in quanto il giudice non ha riscontrato difformità tra contratto certificato e il successivo atteggiarsi del rapporto, né vizi del consenso o errori di qualificazione da parte della commissione. Di conseguenza il rapporto di lavoro tra le parti permane secondo la tipologia contrattuale certificata e restano impregiudicati gli effetti prodotti da tale contratto sin dalla sua stipulazione; —in caso di sentenza di accoglimento, essendosi accertata l’erronea qualificazione del rapporto o un vizio del consenso o la discordanza tra rapporto certificato e rapporto concretamente realizzato, tra le parti si producono gli effetti del rapporto reale, in conformità al consolidato principio di prevalenza del rapporto fattuale sul nome iuris o volontà cartolare. Tali effetti si producono: — fin dall’inizio nel caso di erronea certificazione. In tal caso le parti intendevano dare vita ad un certo tipo di rapporto di lavoro che di fatto hanno realizzato sin dall’inizio; tuttavia, per mero errore di qualificazione, tra esse risulta certificato un contratto di lavoro differente da quello voluto; — dal momento in cui ha cominciato a verificarsi un comportamento discordante dal tipo contrattuale certificato. L’ipotesi è qui completamente differente: le parti dichiarano di voler realizzare un certo rapporto di lavoro la cui tipologia viene certificata nel contratto di lavoro; tuttavia esse successivamente agiscono secondo modalità corrispondenti ad una diversa tipologia contrattuale. Il giudice, ai fini della decisione, potrà tenere conto del «comportamento complessivo tenuto dalle parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro e di definizione della controversia davanti alla commissione di certificazione». Nel primo caso il giudice del lavoro valuterà le dichiarazioni espresse dal lavoratore e dal datore (o committente, in caso di lavoro a progetto) dinanzi alla commissione di certificazione: il giudice deve tenere conto della certificazione sicché solo sulla base di elementi propri di una determinata fattispecie, concretamente riscontrati nel rapporto sottoposto al suo esame, potrà affermare l’esistenza tra le parti di una tipologia contrattuale diversa (ad es. lavoro subordinato) in luogo di quella certificata (ad es. lavoro progetto). Il comportamento tenuto dalle parti in sede di svolgimento del tentativo di conciliazione presso la commissione di certificazione rileva, invece, ai fini dell’imputazione delle spese processuali (art. 92 c.p.c.) e di una eventuale condanna al risarcimento dei danni in caso di mala fede o colpa grave (art. 92 c.p.c.). (20) In tal caso solo le parti del contratto certificato possono impugnare l’atto di certificazione. (21) Per il ricorso innanzi al giudice del lavoro, si applicano gli ordinari criteri di competenza territoriale di cui all’art. 413 c.p.c. (giudice della circoscrizione in cui è sorto il rapporto ovvero dove si trova l’azienda ove il lavoratore prestava lavoro). 112 Capitolo 4 Un’ulteriore possibilità di impugnativa riguarda l’ipotesi in cui l’atto di certificazione presenta i vizi tipici dell’atto amministrativo, quali la violazione del procedimento o il vizio di eccesso di potere (art. 80, co. 5, D.Lgs. 276/2003). In tal caso, l’azione si propone innanzi al Tribunale amministrativo regionale (TAR) (art. 80, co. 5, D.Lgs. 276/2003) (22). civili amministrativi Effetti dell’atto certificato previdenziali fiscali in caso di contenzioso il giudice non può discostarsi da ciò che è stato certificato gli effetti permangono anche verso i terzi fino all’accoglimento di un ricorso ricorso al tribunale ordinario (giudice del lavoro) difformità tra il programma negoziale certificato e quello realizzato erronea qualificazione ricorso al TAR eccesso di potere violazione del procedimento vizi del consenso (22) Per il ricorso in sede amministrativa, è territorialmente competente il TAR nella cui giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto.