r v s 6 4 ( 2 0 1 0 ) 1 0 3 - 1 0 9 n ot e Appunti su agiografia carmelitana ed Inquisizione nel Seicento La censura della vita di maddalena di gesù centurione Di paolo del ss. Sacramento Paolo Fontana Un problema di specifico interesse nella storia della censura dei libri da parte dell’Inquisizione è quello riguardante il controllo dei testi di devozione ed agiografici. A fine Seicento, con la polemica quietista, si sarebbe verificata una stretta nel controllo di tale letteratura1. All’interno di questo ambito si situano le brevi note 1 Le notizie su Paolo del SS. Sacramento si possono ricavare da Louis Marie du Christ, «Paul du Saint Sacrement», DSp 12 (1984) 1, 578-579. Quelle su Maddalena di Gesù e Maria Liesse di Lussemburgo da Philippus a SS. Trinitate, Decor Carmeli religiosi, Lion, Antonii Iuelliorum 1665, III, p. 166; 248 e dalla Vita scritta da Paolo del SS. Sacramento. La pratica di censura che qui analizzo è conservata nell’Archivio della Congregazione della Dottrina della Fede (ACDF), Sant’Officio, Censurae Librorum 1690, n. 24. rvs1_10.indd 103 23/10/14 12:13 n ot e 103-109 che qui presento circa la censura dell’Inquisizione su di un libro scritto da un carmelitano ed illustrante vita, virtù e dottrina spirituale di due religiose carmelitane. Paolo del SS. Sacramento, al secolo Giovanni Battista Marini (+1673), era originario di Avignone e nel locale Carmelo pronunciò i voti nel 1637. Fu lettore di teologia a Lione nel 1655 dove ricoprì incarichi di governo sino alla morte. Tra le diverse opere agiografiche lasciateci affronteremo qui La vie de la V. M. Magdelaine de Jesus-Maria carmelite dechaussée avec abbregé de celle de la V. M soeur Marie-Liesse de Luxembourg aussi carmelite dechaussée (Lyon 1644, ristampata nel 1893); l’opera venne pubblicata in italiano, tradotta da Leonardo di San Francesco, col titolo Vita della V. M. Madalena di Giesù Maria Centuriona con il compendio della vita della V. Madre suor Maria Liesse duchessa di Lussemburgo carmelitane scalze, Roma, Mancini 1671. La Centurione, figlia di Giovanni Agostino Centurione e di Cornelia Pallavicino, nacque il 14 maggio 1586 e professò la regola carmelitana nel 1602. Nel 1613 fu inviata, assieme ad altre carmelitane, a fondare il monastero di Avignone, di qui nel 1627 quello di Carpentras, ritornando subito dopo ad Avignone per necessità di governo. Si recò quindi a fondare il Carmelo di Chambéry nel 1634, dove ricoprì l’incarico di priora e morì nel 1645. Fu durante la sua permanenza ad Avignone che conobbe quella che sarebbe diventata Madre Maria Liesse. Figlia di Enrico Duca di Lussemburgo e Maddalena di Montmorency, nacque nel 1611 e, a 12 anni, sposò il duca di Ventador. Quando ebbe 17 anni, assieme al marito fece voto di castità. Entrò poi al Carmelo di Avignone nel 1629 e partecipò alla fondazione di Chambéry nel 1634, morendo nel 1660. L’edizione italiana venne sottoposta all’Inquisizione. Non sappiamo chi e perché abbia denunciato il libro alla Suprema; il parere venne affidato ad un agostiniano della provincia di Lombardia, Giuseppe Pezzola, che lo redasse il 3 104 rvs1_10.indd 104 23/10/14 12:13 Paolo Fontana Appunti su agiografia carmelitana ed Inquisizione nel Seicento maggio 16902. La critica di Pezzola si appunta su alcuni passi dell’opera. Il Censore cominciava col richiamare come a p. 3 si affermi che «la virtù senza la nobiltà è una bella idea, che perde molto del suo merito per la viltà della materia sopra la quale l’artefice n’ha fatta l’espressione». Pezzola corregge affermando che tale riflessione vale per le virtù naturali o acquisite, ma non per la grazia che solo Dio dà e che non è legata alla nobiltà. A p. 70 l’Agiografo aveva paragonato il monastero nel quale abitava la Centurione alla casa di Obededon dove era conservata l’arca dell’alleanza. Tale affermazione era ritenuta esagerata da Pezzola perché in questa stava la presenza di Dio arricchita, come dice la Bibbia (2Re 6), da ingenti benedizioni per volontà dello Spirito Santo. L’Agiografo affermava che nell’orazione Maddalena di Gesù era immersa in una preghiera straordinaria e soprannaturale3 e poi, come citava criticamente il Censore, «Questa oratione è quella che la Nostra Serafica Madre Santa Teresa chiama Oratione di quiete la quale è amica della contemplatione, e che tiene l’anima in uno stato, nel quale Dio opera per renderla 2 Il 3 maggio presentò la censura sulla Vita, concludendo che il libro doveva essere sospeso donec corrigeatur; i cardinali decisero di inviarlo ad un altro consultore: ACDF SO, Decreta 1690, p. 156v-157r. 3 «La sua oratione era straordinaria e sopranaturale era talmente vinta dalli conforti divini che subito raccoglievasi senza discorso e senza meditatione et il suo cuore l’infiammava subito d’un sì ardente amore che restava senza moto e fuori dell’uso de sensi»: p. 187. L’intenso itinerario spirituale di Maddalena di Gesù si era manifestato anche in ritualità legate al controllo del corpo come quando nel 1602, per la professione, si era incisa con un ferro rovente il nome di Gesù sul petto, dalla parte del cuore, per poi scrivere una professione di schiavitù perpetua, nel corpo e nell’anima, dando a Gesù il possesso del suo cuore e firmando il documento col suo sangue; cf Decor Carmeli, III, 166. 105 rvs1_10.indd 105 23/10/14 12:13 n ot e 103-109 sua, senza che contribuisca del suo altro che l’humiltà di cuore e disprezzo di sé medesima. Questo gran dono d’oratione merita di esser considerato, questa intermissione d’operationi interiori, quell’abbandoni della sua anima sotto l’imperio delle communicationi divine» (p. 188). Quest’affermazione, nota il Censore, non è precisa perché, sebbene l’anima, guidata dallo Spirito Santo, si sottometta a Dio e subisca l’azione divina, ciò non esclude un’azione vitale dell’intelletto e della volontà. Infatti se Dio parla all’anima ciò non avviene senza una sua percezione perché Dio agisce infondendo delle specie nell’anima stessa. Ciò è detto “locuzione all’anima” che non ode senza intelletto e non prega senza azione, perché è proprio dell’orazione mentale essere una salita in Dio, per cui, se l’anima viene interrotta nelle operazioni interiori (come in modo assoluto e generale, secondo il Censore, asserisce l’Autore quando afferma, nello spiegare tale orazione, che la Centurione «non oraret sed ab oratione cessaret») tale situazione è più che altro di ozio. Per questo il Censore rimandava al commento al Vangelo di Giovanni di sant’Agostino (capitolo 49) e a san Tommaso (S. Th., II, q. 83, art. 17)4. Tale posizione assimila, secondo Pezzola, la Vita «ad deliria Molinos iam damnata» che voleva che l’anima e le sue potenze, nel cammino spirituale, fossero annichilate, non facessero alcuna operazione, né praticassero virtù. Questo ricorda a Pezzola le posizioni degli Alumbrados, affermanti che, nello stato di unione dell’anima con Dio, non era necessario operare, amare o fare qualcosa e che furono condannate dagli inquisitori di Spagna nel 16235. Di per sé non è facile capire, leggendo il capitolo di sant’Agostino in questione, perché Pezzola lo usi come rimando in quanto non affronta, a mio parere, il tema dell’orazione. Nella Summa san Tommaso dice che l’orazione è divisa in quattro parti («obsecrationes, orationes, postulationes, et gratiarum actiones»), presupponendo quindi un aspetto attivo. 5 Cf Alvaro Huerga, Historia de los Alumbrados (1570-1630), IV Los Alumbrados de Sevilla (1605-1630), Fundación Universitaria Española Semi4 106 rvs1_10.indd 106 23/10/14 12:13 Paolo Fontana Appunti su agiografia carmelitana ed Inquisizione nel Seicento Dopo aver assimilato la Vita al molinosismo, Pezzola passava all’altra tipica accusa dell’epoca, quella di giansenismo. Prendeva in esame una frase del libro: «Di tutte le virtù l’humiltà deve essere la più naturale a l’huomo, poiché la privatione è uno de suoi principi, che la fiacchezza gli è proprio et il peccato sola opera sua quando non è aiutato dalla gratia del cielo» (p. 217). Tale affermazione è falsa, afferma il Censore, perché l’uomo, anche nello stato di natura decaduta, non è totalmente corrotto dal peccato, né è estinto in lui il libero arbitrio, ma solo infermo ed indebolito, come insegna il concilio di Trento6, cosicché l’uomo può fare qualcosa di onesto nell’ordine della natura e consono alla ragione. Il senso di tale affermazione non è dissimile a quella condannata da san Pio V (e poi ribadita da Gregorio XIII) contro Baio: «Liberum arbitrium sine gratiae Dei adiutorio nonnisi ad peccandum valet» (DS 1927). Bisognava quindi, secondo il Censore, levare tale affermazione dal libro. Quanto sino a qui preso in esame era dall’Agiografo riferito alla vita ed alla spiritualità di Maddalena Centurione. Altre questioni riguardavano Maria Liesse. A p. 401 si affermava, per mostrare il distacco della religiosa dalle cose, come si fosse separata da un libretto nel quale erano rappresentati dei cuori con diverse immagini di Gesù7. Tale testo le era stato prestato da sua cognata, la Badessa del monastero di San Pietro di Lione. Una volta una giovane nario Cisneros, Madrid 1988, dove alle pagine 200-216 si riassume il Memoriale inquisitoriale sugli alumbrados. 6 «Si quis liberum hominis arbitrium post Adae peccatum amissum et extinctum esse dixerit, aut rem esse de solo titulo, immo titulum sine re, figmentum denique a satana invectum in ecclesiam: an. sit»: CT VI, can. 5 (DS 1555). 7 Il libretto era «assai galante riempito di cuori intagliati in mezzo de quali v’erano diverse rappresentationi del Fanciullo Giesù con sentenze accomodate al soggetto di queste differenti immagini» (p. 401). Potrebbe trattarsi di Typus mundi in quo eius calamitates et pericula nec non divini, humanique amoris antipathia emblematice proponuntur a R.R.C.S.I.A., Antverpiae, Apud Ioan. Cnob- 107 rvs1_10.indd 107 23/10/14 12:13 n ot e 103-109 religiosa lo aveva chiesto in prestito alla Lussemburgo e letto con grande edificazione. Il fatto si era ripetuto più volte e Liesse si era resa conto di come la giovane desiderasse il volume. Le aveva fatto però notare che non poteva darglielo senza licenza della proprietaria. Quando ormai la giovane religiosa non ci pensava più, Liesse, passando, glielo aveva fatto scivolare sotto lo scapolare pregandola di tenerlo. Ciò perché, dice l’Autore, riportato dal Censore, Liesse «non haveva, né voleva havere alcun impegno verso cose che fussero del mondo». Cosa rimproverava Pezzola al libro? In sostanza di eguagliare le immagini sacre alle realtà mondane dalle quali è doveroso distaccarsi. Tale idea per il Censore è sbagliata perché le immagini sacre non sono mondane, ma rappresentano cose sante e perché conferiscono alla pietà ed alla devozione. Perciò la Vita, scritta in volgare, arrivando a donne ed in specie a religiose, potrebbe allontanarle dalle sacre immagini (facile posset in eis alienationem a sacris imaginibus causare). Inoltre a p. 439 la Vita affermava che una suora aveva chiesto a Liesse di scrivere a suo marito perché gli procurasse delle immaginette, di ciò la religiosa si era mostrata infastidita. Ciò è un errore, afferma il Censore, perché le immagini vanno accolte con rispetto, come sostiene il IV concilio di Costantinopoli dove, al canone III, si afferma che bisogna onorare ed adorare l’immagine di Cristo al pari dei vangeli (Enchiridion Oecumenicum, p. 168). Per queste ragioni tale affermazione presente nella Vita è da mettere per Pezzola tra le «blasphemias illuminatorum haec erat in ordine sexagesima sexta ut quis se ad orandum colligat nulla ratione imaginibus utendum cum sit tantum blandimenta et illecebre»8. baert 1627, una raccolta di emblemi sulla vanità del mondo che riproduce immagini simili a quelle descritte dalla Vita. 8 Il Censore si riferisce qui probabilmente alle proposizioni di Molinos condannate nel 1687, anche se quella contro il rifiuto di immagini mentali 108 rvs1_10.indd 108 23/10/14 12:13 Paolo Fontana Appunti su agiografia carmelitana ed Inquisizione nel Seicento La conclusione tratta dal Censore è chiara. Riteneva che fosse opportuno che, stante il parere degli inquisitori, tale libro fosse sospeso donec corrigeatur. In realtà gli Eminentissimi presero le distanze dal parere del Pezzola e, nella riunione di feria IV del 9 maggio 1690, udita la censura, decisero di far vedere il libro da un altro revisore. Non risulta che la Vita sia mai stata messa all’indice. Le critiche di Pezzola non erano state ritenute sufficienti. Sulla camicia del fascicolo si vede aggiunto «Nihil decisum fuit». Possiamo trarre alcune conclusioni. La grande paura del quietismo provocò una reazione antimistica che fece porre all’indice numerose opere di spiritualità. Nel parere di Pezzola si nota come, al di là di questioni marginali, il problema principale sia quello dell’orazione di quiete che Pezzola vede pericolosamente simile alle posizioni dei quietisti. Anche la critica al culto delle immagini di devozione viene visto come pericoloso ed il semplice accenno al distacco da oggetti di devozione, un tema tipico della pedagogia e dell’agiografia monastica, interpretato come un inclinarsi verso l’aniconismo rimproverato ai quietisti. Pezzola rimanda, oltre alle condanne contro alumbrados e molinosisti, ai padri della chiesa come Agostino, a san Tommaso e al Concilio costantinopolitano, mostrando una radicazione nell’antichità cristiana ed un’arcaicizzazione della riflessione teologica presenti nel secolo XVII, ma anche caratterizzanti la teologia del suo ordine. non è la 66, ma la 18: «Qui in oratione utitur imaginibus, figuris, speciebus et propriis conceptibus, non adorat Deum in spiritu et veritate» (DS 2218). 109 rvs1_10.indd 109 23/10/14 12:13