Tiggiano, 20 gennaio - Corsano, 1 febbraio
Taurisano, 20 aprile - Ruffano, 23 aprile
2013
a cura di
STEFANO TANISI
presentazione
MASSIMO RATANO
GIORGIO ROCCO DE MARINIS
S.E. mons. VITO ANGIULI
introduzione
GIOVANNI GIANGRECO
DOMUS DEI
Ugento 2013
Testi:
Vito Angiuli
Antonella Chiarello
Stefano Cortese
Giorgio Rocco De Marinis
Giovanni Giangreco
Carlo Vito Morciano
Margherita Pasquale
Massimo Ratano
Salvatore Rocca
Stefano Tanisi
Vincenzo Vetruccio
Referenze fotografiche:
dove non segnalato,
le foto appartengono agli autori
delle relazioni
Impaginazione e stampa:
Tipografia Marra - Ugento (Lecce)
Cura editoriale:
Stefano Tanisi
ISBN 978-88-909037-0-0
© 2013 Associazione Domus Dei
Tutti i diritti riservati.
Vietata la riproduzione con qualsiasi
mezzo effettuata, senza autorizzazione
dell’Editore e di altri avente diritto.
Associazione Domus Dei
Piazza S. Vincenzo, 21
73059 Ugento (Lecce)
www.domusdei-bizantini.it
Per la buona riuscita del progetto si ringraziano:
- la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento
della Gioventù
- la Diocesi di Ugento - Santa Maria di Leuca,
- l’Ufficio Diocesano per i Beni Culturali,
- l’Ufficio Diocesano per l’Ecumenismo,
- il Museo Diocesano, le Parrocchie e le Confraternite,
- il Vicariato per la Puglia della Sacra Arcidiocesi Ortodossa
d’Italia e Malta
- le Amministrazioni Comunali
- le Associazioni di Volontariato
- la Soprintendenza per i BAP per le provincie BAT
e Foggia
- la Soprintendenza per i BAP per le provincie di Lecce,
Brindisi e Taranto
- l’Amministrazione Provinciale di Lecce
- la Regione Puglia - Assessorato Agricoltura
Presentazione (M. RATANO - G. R. DE MARINIS) .............................................................................. pag. 5
Presentazione (+ V. ANGIULI) .................................................................................................................. » 11
Introduzione (G. GIANGRECO) ................................................................................................................ » 13
S. CORTESE, L’iconografia di sant’Ippazio nel Salento ......................................................................... » 19
S. TANISI, Saverio Lillo e il dipinto del Martirio di sant’Ippazio di Tiggiano ................................. » 27
S. CORTESE, L’iconografia di san Biagio nel Salento............................................................................ » 39
A. CHIARELLO, Il culto di san Biagio a Corsano .................................................................................. » 47
M. PASQUALE, La facciata di Santa Maria della Strada a Taurisano in Terra d’Otranto ........... » 59
S. CORTESE, Santa Maria della Strada dal XIII al XVI secolo ........................................................ » 93
S. TANISI, Saverio Lillo e il dipinto della Madonna della Strada di Taurisano .............................. » 101
S. ROCCA, L’affresco dell’Annunciazione e il culto del Sacro Cordone
in Santa Maria della Strada in Taurisano ............................................................................................ » 109
C.V. MORCIANO, Un esempio di illustrazione libraria bizantina
nell’affresco di San Marco della cripta della chiesa del Carmine di Ruffano ..................................... » 123
S. CORTESE, La cripta bizantina di San Marco a Ruffano ................................................................. » 135
S. TANISI, Aspetti storico-artistici della chiesa del Carmine di Ruffano ............................................ » 145
V. VETRUCCIO, Il tempio di san Marco in Ruffano: un culto dimenticato ......................................... » 159
Presentazione
L’associazione culturale Domus Dei, costituita nel 2003, ha svolto negli anni
diverse attività rivolte alla promozione della storia e della cultura locale, alla gestione dei musei e del patrimonio ecclesiastici, ha curato una serie di pubblicazioni
informative storico artistiche sul territorio salentino ed ha organizzato campagne
informative e di sensibilizzazione per la salvaguardia delle opere d’arte.
L’esperienza acquisita insieme alle risorse umane disponibili, le reti di relazione
intessute, le capacità organizzative e attuative raggiunte, la verifica del possesso
dei requisiti, hanno incoraggiato nel 2009 a partecipare al bando denominato
“I Giovani Protagonisti” promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Gioventù con un progetto dal titolo “I Bizantini del XXI secolo” a valere sull’Area tematica D) “Attività ricreative, del tempo libero e del turismo” ovvero progetti destinati a migliorare ed incrementare le opportunità di
svago, di intrattenimento e di socializzazione destinate in particolare ai giovani
ed alle categorie svantaggiate, e volte ad incentivare stili di vita sani e modelli
comportamentali positivi, nonché iniziative volte ad affermare il ruolo del turismo
quale strumento di coesione sociale e nazionale e di educazione non-formale.
Il progetto è arrivato dodicesimo in graduatoria su diciotto aggiudicatari a livello nazionale e finanziato con decreto del 16/12/2010 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Gioventù. Le attività hanno avuto inizio
il 07/02/2012 e si sono concluse in data 07/05/2013.
Il Progetto “I BIZANTINI DEL XXI SECOLO” nasce per incentivare il protagonismo giovanile e favorire l’incontro e la socializzazione. Il progetto supera la
concezione di una dimensione giovanile legata alle politiche del disagio stimolando azioni che hanno visto “la gioventù” come l’ambito dell’esistenza in cui, in
modo privilegiato, possono crescere ed affermarsi terreni quali il protagonismo,
l’auto-organizzazione, la produzione culturale e la cittadinanza attiva. Il progetto
“I Bizantini del XXI secolo” si è proposto come un campo aperto di sperimentazione in cui l’arte, lo spettacolo, la musica e i mestieri tradizionali si offrono come
strumento di intervento nel territorio in relazione a specifici obiettivi di governance. Attraverso questo progetto si è offerto uno spazio di incontro, scambio e
confronto in cui i giovani hanno avuto e continueranno ad avere la possibilità di
ritrovarsi e di “fare insieme”, di aggregarsi intorno ad attività artistiche, multimediali e culturali, favorendo percorsi di benessere e di promozione della creatività
ed in cui i giovani possano continuare ad esprimere il proprio protagonismo par-5-
tecipando attivamente all’organizzazione ed alla gestione delle attività.
L’obiettivo generale del progetto “I Bizantini del XXI secolo” consisteva nell’accrescere la capacità dei giovani, di valorizzare in chiave di sviluppo locale (culturale, economico e occupazionale) il ricco patrimonio culturale ereditato in epoca
bizantina nel Salento. In particolare, l’obiettivo generale del progetto riguardava
sia i beni culturali “sacri” e i luoghi di culto presenti sul territorio, sia il patrimonio culturale immateriale (ritualità religiose e civili legate alle feste patronali, eredità culturale nella storia locale risalente all’epoca bizantina).
Da tale obiettivo generale discendevano poi altri specifici come quello di:
• promuovere il protagonismo e la partecipazione giovanile ai diversi momenti della vita cittadina (da quello economico a quello culturale, da
quello sociale a quello politico e civile);
• migliorare il senso di inclusione dei giovani all’interno della comunità locale;
• promuovere l’espressione artistico-culturale giovanile nelle sue diverse
forme, dall’arte grafica e pittorica a quella musicale, dal teatro al cinema,
ecc.;
• sviluppare un’informazione continua rivolta ai giovani su questioni riguardanti i corretti stili di vita e le opportunità di socializzazione e di lavoro,
poiché il rapido mutamento di abitudini, di modelli di riferimento e valori
porta a ritenere che informazioni e conoscenze devono essere messe in continua discussione e mai date per acquisite;
• costruire una rete tra i centri giovanili, parrocchie, periferie, centri diurni,
gruppi sportivi, luoghi di ritrovo, per assicurare una corretta comunicazione tra i vari comuni e i vari luoghi di socializzazione;
• promuovere la cultura dell’impresa sociale, quale scelta professionale oggi
possibile e praticabile;
• migliorare le possibilità e le opportunità di fare rete tra i giovani del territorio, anche attraverso la creazione di occasioni di confronto e dialogo
(una sorta di gemellaggio) con giovani di altre realtà urbane pugliesi, nazionali ed internazionali.
Il progetto ha previsto la realizzazione di un percorso integrato di formazione
e accompagnamento progettuale rivolto ad un gruppo di operatori delle associazioni giovanili no profit (religiose e laiche) già impegnate nel campo della tutela
e valorizzazione dei beni culturali (materiali ed immateriali), nonché l’ideazione e
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organizzazione di eventi artistici legati ai medesimi beni (associazioni socio-culturali e artistiche, comitati feste, cooperative di servizi, ecc.). Punto di partenza è
stato il concetto di “festa patronale” intesa come momento di socializzazione popolare, tra riti, tradizioni, usanze e nuovi modelli di fruizione. Il progetto ha offerto
ai giovani l’opportunità di partecipare nella realizzazione e fruizione di un’offerta
culturale coerente con l’identità storica del territorio e proiettata verso nuove forme
di espressione, socializzazione, produzione artistico-culturale, tempo libero. Ha
previsto un partenariato interregionale con giovani selezionati da Associazioni
della Parte orientale della Sicilia (Catania), la cui conformazione storica e culturale,
alla pari di quella salentina, è stata profondamente segnata dalla civiltà bizantina.
Nel dettaglio, il progetto si è articolato attraverso le seguenti fasi di attività:
• indagine preliminare sui beni storico-culturali (materiali e immateriali)
legati alla cultura bizantina;
• selezione delle organizzazioni giovanili no profit (attive nel settore dell’arte, la cultura, lo spettacolo e il tempo libero) da coinvolgere nell’ideazione e realizzazione di nuovi eventi artistico-culturali ispirati alla cultura
bizantina;
• selezione delle organizzazioni (pubbliche e private) interessate ad ospitare
le produzioni e gli eventi ideati e realizzati nel corso del progetto;
• percorsi formativi-laboratoriali rivolti ai giovani individuati dalle organizzazioni giovanili selezionate, nell’ambito dei quali sono stati ideati e
progettati nuovi prodotti ed eventi (creazioni ed esposizioni di pittura
iconografica, scultura, piccolo artigianato e monili, restauro opere librarie,
ecc...); i prodotti progettati e realizzati hanno costituito un cartellone di
eventi e manifestazioni che si sono tenute su tutto il territorio del Basso
Salento;
• accompagnamento all’attuazione dei progetti creati durante i laboratori;
• promozione dell’offerta culturale e turistica creata con il progetto: portale
di progetto, social network tra le associazioni coinvolte, offerta di pacchetti
turistici “convenzionati” rivolti al pubblico giovanile per la partecipazione
agli eventi realizzati nel progetto.
Nel corso del progetto sono stati organizzati n. 11 Laboratori tematici sulla
storia, l’arte e la cultura Bizantina. Ai Laboratori hanno partecipato 53 giovani,
alcuni dei quali provenienti dalla Sicilia (provincia di Catania) che hanno preso
parte alla visita di studio organizzata nel Salento.
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Laboratori realizzati nel progetto e loro prodotti
Prodotto
Laboratorio
Strumenti e centri scrittori “basiliani” nel
Salento meridionale
• Riproduzione di antichi strumenti scrittori bizantini: Calamo, Inchiostro Ferro-Gallico; Compasso
a punta di piombo in ferro battuto e punte di
piombo dolce; Roncolina in ferro battuto e legno
d’ulivo; Squadre e regoli in legno di faggio; Tavoletta cerata in legno di faggio e cera d’api
• Realizzazione di segnalibri in vera pergamena, raffiguranti illustrazioni di soggetti faunistici, floreali e folkloristici del Salento meridionale con
didascalia in greco corsivo
Bizantini a Hollywood: relazione tra
cinema e arte
• Video sul mondo bizantino nel cinema
Civiltà bizantina in Terra d’Otranto
• Candele “segnatempo”
• Giochi di epoca alto medievale
Le armature nel Salento Bizantino
• Manuale della “Lorica Squamata” secondo le
antiche tecniche bizantine
• “Cotta di maglia” secondo le antiche tecniche
bizantine e normanne
• Spatha bizantina
• Decorazione di uno scudo bizantino
Affreschi “basiliani” del Salento:
dall’iconografia alla tecnica
• Sezioni decorative bizantine
• Reportage fotografico dei soggetti provenienti
dalle cripte bizantine del Salento meridionale
L’oreficeria bizantina al tempo dei
basiliani, studio e reinterpretazione
• Reinterpretazione della gioielleria bizantina,
in particolare legata al Salento
La decorazione libraria “basiliana” nella
Puglia meridionale
• Riproduzione di particolari miniaturistici bizantini per la realizzazione di segnalibri artistici già
prodotti nel laboratorio “Strumenti e centri scrittori basiliani”
Prima catalogazione e studio dello stato di
conservazione del materiale archivistico
d’epoca bizantina
• Classificazione del materiale pergamenaceo
e papiraceo
Influssi della musica bizantina nel
canto gregoriano e nella musica organistica
dalle origini ai nostri giorni
• Ascolti musicali guidati sulle interazioni tra
la musica bizantina ed il canto gregoriano
occidentale
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Laboratorio
Prodotto
Storia della Chiesa Bizantina nel Salento
• Il laboratorio ha prodotto le basi conoscitive per
la realizzazione della celebrazione-rappresentazione pubblica della messa bizantina
Alla scoperta dell’arte Bizantina
nel Capo di Leuca
• Realizzazione di visite guidate: scatti fotografici
per la realizzazione di una mostra e i laboratori
manuali
Uno degli aspetti centrali dei Laboratori è stato il coinvolgimento attivo dei giovani partecipanti. Infatti, le attività applicative e realizzative hanno avuto un ruolo
preponderante, pur integrate con parti introduttive di tipo storico e teorico. Il ruolo
di tutor ed esperti, quindi, è consistito in prevalenza nel guidare i giovani partecipanti ad assumere un ruolo capace di integrare quello di ricerca storica e riproduzione artigianale di manufatti storici secondo le tecniche dell’epoca. I Laboratori,
inoltre, hanno interagito tra loro nel corso della loro implementazione. Ad esempio,
il laboratorio n. 11 “Alla scoperta dell’arte Bizantina nel Capo di Leuca” ha realizzato
un reportage fotografico sull’arte bizantina nel Salento meridionale, quale base per
la realizzazione di sezioni decorative nel laboratorio n. 5 “Le armature nel Salento Bizantino”, nel laboratorio n. 6 “L’oreficeria bizantina al tempo dei “basiliani”, studio e
reinterpretazione” e n. 1 “Strumenti e centri scrittori “basiliani” nel Salento Meridionale”.
Nel complesso, le attività svolte nei Laboratori hanno realizzato una collezione
di piccole opere e manufatti sull’arte e la cultura bizantina. Tali produzioni sono
state presentate in occasione delle mostre organizzate all’interno del progetto.
I convegni e le mostre sono documentati con foto e video caricati sul portale
del progetto (http://www.domusdei-bizantini.it).
Eventi organizzati nel progetto: convegni e mostre
Titolo evento
Data e luogo
Sant’Ippazio: dalla tradizione
bizantina al XXI secolo
18 gennaio 2013, Tiggiano,
chiesa di S. Ippazio e
Palazzo Baronale
• Convegno
• Mostra Multimediale “Il culto
di sant’Ippazio a Tiggiano”
San Biagio: dalla tradizione
bizantina al XXI secolo
1 febbraio 2013, Corsano,
chiesa di Santa Sofia
• Convegno
Santa Messa in Rito Ortodosso
13 aprile 2013, Taurisano,
Santuario S. M. della Strada
• Liturgia
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Contenuti
Titolo evento
Contenuti
Data e luogo
Il tuo volto, Signore, io cerco
13-20 aprile 2013,
Taurisano, Sala Polivalente
Tecnorestauro
• Mostra di icone sacre
Tradizione Bizantina a Taurisano: Santuario Madonnadella
Strada
20 aprile 2013,
Taurisano, Santuario S. Maria
della Strada
• Convegno
Bizantini nel Cinema
7 aprile 2013,
Ugento, Museo Diocesano
• Mostra multimediale
Il Culto di San Marco. Tradizione bizantina a Ruffano
23 aprile 2013,
Ruffano, chiesa del Carmine
• Convegno
A conclusione del progetto, quindi, grazie ai Laboratori è stata realizzata dai giovani una mostra di opere, manufatti e installazioni (fisiche e multimediali).
Le attività di convegno e mostre continuano ad essere richieste dalle amministrazioni Comunali e dalle Parrocchie in occasione di ricorrenze e feste patronali dell’area territoriale del Salento. Inoltre, un gruppo di giovani partecipanti ai
Laboratori hanno formalizzato la loro collaborazione nella promozione e sviluppo
di tali attività. Infatti, 17 giovani hanno aderito formalmente all’associazione
Domus Dei come soci tesserati proprio per continuare a collaborare nella valorizzazione e promozione del territorio con le attività create nell’ambito del progetto
“I Bizantini del XXI secolo”.
MASSIMO RATANO
GIORGIO ROCCO DE MARINIS
Associazione INNOVAMENTI
Associazione DOMUS DEI
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Presentazione
Il Salento per secoli è stato crocevia di popoli e culture diverse. Tra queste, la
presenza del culto italo-greco ha lasciato una traccia indelebile non solo nell’espressione della fede ma anche nell’aspetto storico-artistico e nei comportamenti della
pietà popolare. Attraverso le molteplici attività promosse dal progetto “I Bizantini
del XXI secolo”, l’Associazione Domus Dei ha posto all’attenzione del pubblico
il patrimonio storico e antropologico di ispirazione orientale presente nel territorio
diocesano, organizzando significativi incontri di studio e riflessione nelle comunità
locali.
Aspetto lodevole che ha caratterizzato l’iniziativa è stato il forte impegno nel
dialogo ecumenico. Infatti, ancora una volta, il nostro territorio ha testimoniato
il ruolo di ponte con l’Oriente, proponendo nei diversi incontri uno scambio cultuale e culturale fra le tradizioni cristiane delle due Chiese.
Per la prima volta si registra un coinvolgimento diretto delle comunità locali
su temi che riguardano direttamente le tradizioni e la fede delle nostre popolazioni
viste con la lente degli studi di giovani ricercatori anch’essi appartenenti alle stesse
comunità. Questo lascia ben sperare per un futuro foriero di ulteriori realizzazioni
che aiutino i fedeli ad avere una coscienza religiosa sempre più chiara ed ancorata
agli insegnamenti della Chiesa e alla tradizione dei padri.
Le mie felicitazioni vanno a tutti i giovani della Domus Dei e delle altre associazioni, i quali con il loro impegno sono riusciti a valorizzare alcuni tasselli fondamentali della nostra tradizione religiosa e culturale.
+ VITO ANGIULI
Vescovo di Ugento - S. Maria di Leuca
- 11 -
Introduzione
Da quando gli studi sul Salento sono stati ampliati e le conoscenze generali e
particolari sul territorio sono state approfondite, grazie soprattutto alla presenza
dell’Università e di tanti studiosi attivi anche fuori del mondo accademico, la coscienza dell’identità dei salentini ha raggiunto una maturità più accentuata e il
livello delle conoscenze si è esteso anche tra quanti non frequentano gli ambienti
della ricerca.
Questo dato positivo contrasta, però, con l’ostentata azione di valorizzazione
dei beni culturali da parte delle amministrazioni pubbliche locali - talvolta anche
degli enti ecclesiastici - che, gelose del loro ruolo e delle loro prerogative derivanti
dalla proprietà dei monumenti, non avvertono sempre l’urgenza di collaborare con
gli studiosi e tendono a perpetuare comportamenti ed iniziative che non tengono
sempre conto delle più recenti acquisizioni scientifiche sulle opere di loro proprietà
con danno per la diffusione della sensibilità nei confronti dei monumenti.
Il proliferare di opuscoli divulgativi, di dépliants, di brochures, risente di una
qualche disinformazione rispetto alle novità scientifiche e continua a divulgare
nozioni superate o leggendarie perché a redigere queste notizie sono dei non addetti ai lavori e, in qualche caso, volenterosi amministratori i quali, con l’idea di
far risparmiare le casse comunali, si improvvisano storici, archeologi o critici d’arte.
La recente notorietà del Salento ha colto un po’ tutti di sorpresa, non soltanto gli
operatori turistici ma gli stessi amministratori locali i quali hanno creduto di rispondere alle esigenze manifestate dai numerosi ospiti – turisti senza attrezzarsi
tecnicamente e soprattutto, culturalmente.
È emersa l’antica vocazione dei salentini ad arrangiarsi per risolvere problemi
nuovi e sconosciuti senza rendersi conto che le novità, stavolta, erano ben più complesse del previsto e non bastava più far leva sull’esperienza storica e sulle conoscenze culturali della classe dirigente del territorio o sull’orgoglio delle Comunità;
occorreva quel tanto di umiltà che consentisse di chiedere aiuto agli specialisti
dei diversi settori dei beni culturali per offrire un servizio adeguato alle nuove esigenze di visitatori colti giunti nel Salento attrezzati con le formidabili guide rosse
del touring.
- 13 -
In una realtà culturale di tale spessore e tenendo conto del contesto sociale ed
antropologico come quello salentino, l’Associazione Domus Dei ha redatto il progetto I Bizantini del XXI secolo con cui ha voluto affrontare alcuni dei temi più
noti e condivisi della religiosità popolare del Capo di Leuca e ha voluto studiarli
alla luce delle metodologie scientifiche più appropriate ed aggiornate offrendone
i risultati alla riflessione delle Comunità locali interessate.
Obiettivo di tale iniziativa era quello di aiutare il territorio a conoscere meglio
la propria cultura e a riannodare più saldamente i fili del rapporto con la memoria
dei padri alla luce della moderna scienza.L’articolazione del progetto si sviluppava
intorno al culto di alcuni dei Santi più diffusi nella religiosità popolare del Capo
di Leuca come: Sant’Ippazio, San Biagio, Santo Stefano, San Marco.
Accanto a questo tema quello relativo alla cultura e alle testimonianze artistiche
del rito greco, per secoli problema molto spinoso in tutta l’area di Terra d’Otranto,
la cui scomparsa ha lasciato tracce profonde e indelebili nel carattere originario
dei Salentini ancora oggi riscontrabili nello spessore della loro religiosità e nell’attaccamento alle tradizioni antiche (come, ad esempio le feste patronali) assunte
e vissute anche con valore civile.
La novità del progetto ha avuto un fortissimo impatto nelle Comunità coinvolte
dalle diverse manifestazioni, riscontrabile nelle numerosissime partecipazioni di
fedeli e di pubblico in genere ai singoli incontri.
E la ragione di tanto coinvolgimento va individuata, oltre che nella popolarità
dei temi trattati, anche nella presenza di giovani studiosi - tutti provenienti dal
territorio - i quali hanno saputo coinvolgere nelle loro studiose riflessioni il pubblico per la passione con cui hanno svolto le ricerche e la capacità di comunicarne
i risultati con semplicità e correttezza scientifica.
Questa esperienza quasi interamente laica, dimostratasi positiva sul piano scientifico, ha offerto diversi spunti di riflessione anche sotto l’aspetto religioso. Proprio
l’intensa e numerosa partecipazione da parte dei fedeli ci è parsa utile considerazione da offrire a riflessioni successive per eventuali iniziative che potrebbero estendersi in contesti diversi con l’obiettivo di affrontare altri argomenti legati alle
profonde tradizioni popolari condivise dell’area del Capo di Leuca.
La ricchezza del patrimonio culturale custodito nella memoria della Terra di
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Leuca va culturalmente affrontata e scientificamente scandagliata perché potrebbe
offrire ancora tanti elementi conoscitivi ignoti o malnoti con giovamento per la
cultura salentina e non solo. Quello che ancora attendono le popolazioni dei nostri
piccoli centri abitati è conoscere il valore e il senso della loro subalternità che da
troppi secoli le ha relegate ad un ruolo di periferia dello stivale, che non è sempre
stato geografico, con danni e pregiudizi per l’immaginario collettivo locale quando
sogna il futuro dei suoi figli.
GIOVANNI GIANGRECO
Soprintendenza per i B.A.P. di Lecce
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Convegno
Sant’Ippazio
dalla tradizione bizantina
al XXI secolo
Tiggiano, 20 gennaio 2013
Sant’Ippazio. Caprarica del Capo, chiesa S. Andrea (foto S. Tanisi)
STEFANO CORTESE
L’iconografia di sant’Ippazio
nel Salento
- 19 -
Sant’Ippazio. Casarano, chiesa matrice (foto S. Tanisi)
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Prima di addentrarmi sull’argomento della serata,
mi è stato chiesto dagli organizzatori di aprire una parentesi per analizzare brevemente sant’Eligio emerso
proprio in questa chiesa di Tiggiano [fig.1], in occasione dei recenti lavori di restauro.
L’affresco è posto sul pilastro destro della navata
centrale, poco prima del transetto. Sembra potersi datare alla prima metà del XVI secolo, periodo nel quale
il santo vescovo francese conosce una enorme fortuna.
Basti pensare al ’500 -’600 per poter annoverare numerosi affreschi del santo, tra cui Casaranello, Calimera,
Martignano, Calimera, Ruffano e Muro1. A questi ci
aggiungerei anche Supersano [fig.2]: nella cripta della
Madonna Coelimanna, sul pilastro destro dove è campito il santo diacono Stefano (da alcuni erroneamente
identificato come Lorenzo, nonostante l’iscrizione esegetica greca non comporti dei dubbi), compare il santo
vescovo di datazione cinquecentesca, dall’identità anonima. Confrontandolo con i casi sopra citati, in particolare con il dittico di Casaranello e con Ruffano,
emergono le straordinarie analogie somatiche del gio- Fig. 1. Sant’ Eligio.
Tiggiano, chiesa S. Ippazio
vane santo2. Ritenuto protettore degli orefici e soprat-
1
Si tratta del dittico pensile nella chiesa di santa Maria della Croce a Casaranello (1537), dell’affresco
nella cappella omonima tra Calimera e Melendugno, dell’affresco nella cappella Madonna delle Grazie
a Melendugno, dell’affresco della Madonna di Costantinopoli nella cappella omonima a Calimera, dell’affresco nella cripta del Crocefisso della Macchia a Ruffano (1615), dell’affresco absidale nella chiesa
di santa Marina a Muro Leccese.
2
Durante la preparazione della stampa di questi atti, ho potuto riscontrare la prova inconfutabile dell’identità del santo: in basso, sulla sinistra, è presente un animale da stalla accucciato (asino?), mentre
a destra si intravede la committente, in atteggiamento orante.
- 21 -
tutto dei fabbri, viene raffigurato con degli
animali da stalla o con degli attrezzi in ferro
in basso, tra cui le staffe.
Ma ora approfondiamo il discorso su s. Ippazio. Un vero problema che attanaglia gli
appassionati di storia dell’arte, riguarda
l’identità di alcuni santi vescovi, in assenza
di iscrizioni esegetiche o di simboli. È questo
il caso che, per esempio, riguarda diverse statue poste su alcuni altari del ’600-’700, come
nel caso della matrice di Vitigliano.
Nella tela ubicata nel transetto della
chiesa madre di Tiggiano infatti, il santo, la
cui identità viene svelata solo dall’iscrizione
esegetica in basso, viene ritratto con i sontuosi abiti vescovili, nel momento in cui
viene posata la mitria vescovile da due angeli.
Forse potremmo considerare la tela (di autore anonimo) qui presente, del 1626, come
l’iniziativa iconografica dalla quale poi si è
desunta l’immagine del santo, così come lo
Fig. 2. Sant’ Eligio.
Supersano, cripta Madonna Coelimanna sarà la settecentesca statua qui custodita.
È immaginato come anziano, con pochi
capelli e con barba, caratteristiche che lo distinguono da sant’Eligio e da san Donato (entrambi rappresentati giovani, anche se non sempre). Mancano altri segni
distintivi, così come nella versione tardo-cinquecentesca della statua lignea di Tiggiano [fig.3], oggi in corso di restauro. Solo dal ’700 compare l’attributo maggiore,
che consente in alcuni casi di riconoscere il santo: il drago (entrando nelle schiera
dei santi sauromachi). È questo anche l’animale associato a san Donato, ma quest’ultimo ha un repertorio di simboli più ampio, come il crescente lunare o comunque, quasi sempre, l’identità del santo viene riconosciuta dalla giovane età3.
3
Ad Ugento, nel santuario Madonna della Luce, è però affrescato il santo con le sembianze da anziano.
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PAGINA 23 NON VISIBILE
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Fig. 4. Sant’Ippazio, part. Ugento, santuario Santi Medici
Soltanto nella seconda metà del ‘700, Saverio Lillo crea una diversa iniziativa
iconografica: non più stante e con gli attributi, ma una dinamica scena di martirio.
Il pittore ruffanese si sarà informato sulla agiografia, ponendo l’ambientazioneculmine in primo piano, con dei carnefici intenti a lanciare le pietre (anche da
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PAGINA 25 NON VISIBILE
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S. LILLO (attr.), Martirio di sant’Ippazio, part. Tiggiano, chiesa S. Ippazio
STEFANO TANISI
Saverio Lillo e il dipinto del Martirio
di sant’Ippazio di Tiggiano
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S. LILLO (attr.), Sant’Ippazio. Presicce, chiesa matrice
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Il pittore settecentesco ruffanese Saverio Lillo è da considerarsi come il diffusore
dei modelli della pittura napoletana in Terra d’Otranto nel XVIII secolo.
Le recenti ricerche condotte negli archivi, nelle diverse chiese e palazzi del Salento, hanno permesso di ricostruire la vicenda biografica e artistica del pittore1.
Francesco Saverio Donato Lillo, terzogenito di Angelo e Anna Maria Micoccio,
nasce a Ruffano il 14 maggio 17342.
Dal matrimonio con la ruffanese Margherita Stefanelli, celebrato il 30 aprile
17553, nascono dieci figli dei quali sopravvivono solo tre: Moyses (Ruffano 1766
ca. - ivi 1789), pittore; Maria Rachele (Ruffano 1768 - Lecce 1845), pittrice; Giosuè (Ruffano 1776 - Lecce 1849), musicista.
Il pittore muore a Ruffano il 12 ottobre 17964 all’età di 62 anni, assistito dalla
moglie Margherita e dai due figli superstiti, Maria Rachele e Giosuè.
L’impegno pittorico di Saverio Lillo più importante e documentato è quello
compiuto per la chiesa matrice di Ruffano: nel 1765 realizza i dipinti del coro raffiguranti La Cacciata di Eliodoro dal Tempio5, Mosè e il castigo di Core, La visita della
regina di Saba a Salomone; nel 1767 la tela della controfacciata di Gesù scaccia i mercanti dal Tempio6. Proprio queste grandi opere “d’esordio”, che espongono, nel loro
piccolo, il rinnovamento della tradizione pittorica locale verso i nuovi modelli napoletani (opere di Solimena, de Matteis, Malinconico), il pittore riceverà vasti consensi dalla committenza salentina e diventerà uno dei protagonisti nell’ultimo
trentennio del ’700.
1
Il presente studio è tratto dalla mia tesi “Il Sacro nella sintassi pittorica di Saverio Lillo” discussa presso
l’Accademia di Belle Arti di Lecce, a.a. 2004-2005, relatore prof. Franco Contini.
2
ARCHIVIO STORICO PARROCCHIALE NATIVITÀ BEATA MARIA VERGINE RUFFANO (d’ora in avanti ASPN);
Liber Baptizatorum, atto n. 946 del 15 maggio 1734.
3
ASPN, Liber Matrimonium, atto n. 231 del 30 aprile 1755.
4
ASPN, Liber Mortuorum, atto del 12 ottobre 1796.
5
Firmato e datato: “Xaverius Lillo P. 1765”.
6
Firmato e datato: “Xaverius Lillo A’ Ruffano P. 1767”.
- 29 -
Fig. 1. S. LILLO, Sant’Alessandro Sauli, 1780. Tiggiano, chiesa S. Ippazio
- 30 -
PAGINA 31 NON VISIBILE
- 31 -
Fig. 2. S. LILLO, (attr.), Martirio di sant’Ippazio. Tiggiano, chiesa S. Ippazio
- 32 -
In primo piano si svolge la scena del cruento martirio: a sinistra una donna si
affaccia da un balcone per lanciare una pietra al santo, mentre diversi uomini si
accingono anche loro a lanciargli dei sassi; a destra un altro uomo si appresta a
raccogliere delle pietre. I volti dei malfattori sono tutti caratterizzati da sguardi
furiosi e malvagi. Tanta è la rabbia che traspare dai loro volti che i muscoli facciali
sono fortemente tesi: vi è la contrazione fortemente energica del muscolo corrugatore del sopracciglio; le pupille sembrano fuoriuscire dalle orbite, e le labbra
concorrono a dare alle facce l’espressione di disprezzo.
Al centro vi è in piedi sant’Ippazio, vestito in abiti prelatizi, ha le mani incrociate sul petto. Lo sguardo è rivolto verso il cielo a implorare l’aiuto divino: il corrugatore del sopracciglio è contratto; gli occhi lucidi e gonfi sembrano trattenere
un pianto a dirotto. La commessura delle labbra è portata in basso, imprimendo
sulle stesse, un’espressione di tristezza. Sulla tempia sinistra è ben visibile una ferita sanguinante, mentre ai piedi compaiono la mitra e il pastorale.
In alto planano i due angeli che reggono in mano la palma del martire, il giglio
e la corona di alloro13.
Le anatomie dei volti e dei corpi, soprattutto quelli del santo e dell’angelo in
alto a destra, possono trovare riscontro in diverse opere autografe del Lillo (cfr.
figg. 4 - 6 - 8).
Compositivamente il pittore ruffanese si è ispirato in parte a una nota opera di
Pietro da Cortona, Il martirio di santo Stefano, conservato nel Museo Hermitage di
San Pietroburgo [fig. 9], del quale dipinto, probabilmente, all’epoca circolava
un’incisione14: il Lillo, infatti, nella tela di Tiggiano ha riproposto i due uomini
che lanciano le pietre e l’angelo che compare in alto a sinistra.
13
Al centro tra i due angeli vi è un ripensamento del pittore: è ben visibile una mitra vescovile probabilmente venuta fuori durante la fase di restauro.
14
A ribadire la notorietà del dipinto Il martirio di Santo Stefano di Pietro da Cortona, nella chiesa dell’Immacolata di Manduria vi troviamo una grossolana copia.
- 33 -
Fig. 3. S. LILLO, (attr.)
Martirio di sant’Ippazio, part.
Fig. 4. S. LILLO, San Paolo, 1769, part.
Tricase, chiesa S. Domenico
Fig. 5. S. LILLO, (attr.)
Martirio di sant’Ippazio, part.
Fig. 6. S. LILLO, Fede, part.
Ruffano, chiesa matrice
Fig. 7. S. LILLO, (attr.)
Martirio di sant’Ippazio, part.
Fig. 8. S. LILLO, Carità, part.
Ruffano, chiesa matrice
- 34 -
PAGINA 35 NON VISIBILE
- 35 -
Convegno
San Biagio
dalla tradizione bizantina
al XXI secolo
Corsano, 1 febbraio 2013
Affresco di San Biagio, part. Carpignano Salentino, cripta di S. Cristina
STEFANO CORTESE
L’iconografia di san Biagio
nel Salento
- 39 -
Fig. 1. Affresco dell’Immacolata. Corsano, chiesa SS. Medici
- 40 -
Colgo l’occasione di questo convegno a
Corsano, nell’ambito della rassegna sui Bizantini, per segnalare quanto già espresso nel serata introduttiva della magnifica rassegna
estiva “Ti racconto a Capo”. È questo un paese
dalla forte matrice italo-greca, testimoniata
ancora oggi dai culti presenti: santa Maura,
santa Sofia e san Biagio, la cui venerazione è
oggetto del personale intervento. Ma, prima di
addentrarmi sulla questione devozionale-iconografica, vorrei concentrare le attenzioni su Fig. 2. Affresco di San Giuliano (?).
un bene di Corsano semi-sconosciuto e che po- Corsano, chiesa SS. Medici
trebbe avere origini bizantine. Si tratta della cappella oggi identificata come santi
Medici, in piazza Caduti, segnalata dalle fonti come chiesa santa Maria de Laudo
o dell’Alto, esistente già nel 1628, all’epoca della visita del Perbenedetti1. Nella
citata visita viene riportata l’esistenza dell’affresco oggi dipinto nell’abside, ovvero
una Immacolata (dentro una mandorla iridata), ritoccata poi nel ’700 quando fu
ampliata la stesura pittorica, corredando la Vergine degli attributi delle litanie
lauretane [fig. 1]. Ma l’attenzione del sottoscritto si è concentrata su tracce assai
labili poste sullo spiccato dell’abside, sul lato sinistro: quelle tracce quasi invisibili,
fotografate e potenziate con appositi software al pc, hanno rivelato un viso con richiami bizantini. A personale avviso, vista la capigliatura del santo, potrebbe identificarsi come san Giuliano [fig. 2], santo militare dipinto in altri contesti come
nella cripta S. Maria degli Angeli a Poggiardo e Centopietre di Patù.
1
Cfr. A. JACOB - A. CALORO (a cura di), Luoghi, chiese e chierici del Salento meridionale in età moderna,
Congedo Editore, Galatina, 1999, p. 59. Fu probabilmente il barone di Corsano annoverato nella stessa
visita, Nicola Antonio Cicala, a far ricostruire la chiesetta (oggi la copertura della zona presbiteriale risulta essere seicentesca) e contestualmente far affrescare la Vergine Immacolata. All’epoca della visita,
inoltre, la chiesa era ancora priva di pavimentazione. Nella seconda metà dell’800, il sacro tempio
subisce un profondo rimaneggiamento con un allungamento del vano.
- 41 -
PAGINA 42 NON VISIBILE
- 42 -
Altri casi di attestazione del santo, nel Salento, li riscontriamo nella visita pastorale nella diocesi di Nardò di mons. Ludovico De Pennis (1452): qui vengono
annoverate due chiese medievali, a Casarano grande e Parabita; al santo è inoltre
intitolata la chiesa madre di Specchia Gallone, all’epoca della visita del De Capua
nel 15225. Tra l’altro, il culto di san Biagio è attestato, in zona prima nella vicina
Tiggiano, come ricorda la visita ad limina del 16286, dove viene riportato che
una cappella posta in mezzo alla campagna (in direzione Corsano?) era intitolata
a san Biagio con il santo titolare dipinto sulla parete, mentre il resto delle mura
erano imbiancate.
Con il passaggio al rito latino, san Biagio cambia iconografia e conosce una rapida diffusione, attestata già nei secoli XVI-XVII. La tradizione, riportata dal
Marciano7, ma in parte ispirato dagli scritti del Ferrari8, annovera addirittura san
Biagio come nativo di Lecce e poi rifugiato a Sebaste per scampare dalle persecuzioni di Diocleziano.
A testimonianza dell’antichità del culto, il Marciano narra che la famiglia del
santo a Lecce si impose il cognome Sanbiase e per nuovo emblema si creò uno
scudo bianco e un monte azzurro, sopra il quale si pose un pettine a forma di rastrello insanguinato. Inoltre, sempre secondo la tradizione, la porta orientale di
Lecce assunse il nome di san Biagio perché da lì scappò il futuro vescovo. Un artificioso tentativo di “leccesizzare” il santo9, ma che è segno perentorio della forte
diffusione del culto. La presenza del segno distintivo del pettine da cardatore,
viene sempre chiosato dal Marciano: «Arrivato in Sebaste, e dispregiando gl’idoli
in presenza del tiranno Agricolao, fu legato e battuto più volte con verghe e pettini
di ferro, graffiato per tutto il corpo…».10 Proprio questo attributo viene abbinato
più frequentemente al santo in età moderna. Alcune tele infatti, come quelle cu-
5
A. CALORO - A. JACOB, Luoghi, chiese e chierici del Salento meridionale in età moderna, Congedo, Editore
Galatina, 1999, p. 56.
6
V. BOCCADAMO, Terra d’Otranto nel Cinquecento, Congedo, Editore Galatina, 1990; CAPUTO - CENTONZE
- DE LORENZIS, Le visite pastorali nella diocesi di Nardò, Congedo, Editore Galatina, 1989.
7
Cfr. G. MARCIANO, Descrizioni, origini e successi della provincia d’Otranto, Cap. XXXII.
8
Cfr. G. A. FERRARI, Apologia paradossica della città di Lecce, 1707.
9
Tra XVII e inizi del XVIII secolo a Lizzanello, Campi, Novoli, Surbo e San Cesario sono affermati i
culti per san Biagio.
10
G. MARCIANO, Idem.
- 43 -
PAGINA 44 NON VISIBILE
- 44 -
stodite e Gagliano, Melendugno, Galatina, Parabita [fig. 4], Nardò [fig. 5] e Galatone [fig. 6] 11,
consentono di identificare il santo proprio grazie
al pettine da cardatore. Inoltre, una delle tele più
importanti della zona, ovvero quella di Pacecco De
Rosa (oggi custodita al Museo provinciale Castromediano), riproduce una scena di martirio del
santo (morì poi decollato), ma con dei carnefici che
hanno in mano il pettine, forse al fine di far identificare il santo. La statuaria in pietra invece, non
sembra prendere in considerazione il distintivo del
pettine, limitandosi all’iscrizione esegetica posta
in basso, come nei casi di Ugento, Lecce e Salve12,
mentre fa eccezione l’opera posta a sinistra dell’altare della Misericordia nella chiesa matrice di RufFig. 8. San Biagio.
fano del 1722 [fig. 7].
Melissano, chiesa matrice
Ma il miracolo più conosciuto, che lo ha designato
come santo taumaturgo protettore della gola (dando inizio ad una nuova iconografia più recente), è un altro: «… e mentre lo conducevano nella città fè molti
prodigi per la strada, e fra gli altri trasse miracolosamente la spina di un pesce attraversata nella gola di un fanciullo»13. Ed è tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900
che aumentano in misura esponenziale le statue del santo di Sebaste, anche a causa
della rapida diffusione dell’uso della cartapesta. Quasi tutte le riproduzioni hanno
la consueta iconografia, ormai consolidata, tratta dal miracolo della lisca del pesce
con bambino [fig. 8]. È l’iconografia che richiama più strettamente l’intercessione
del santo per la guarigione della gola, il motivo in cui viene ancora oggi di frequente chiamato in causa dai fedeli e che ha fatto conoscere, in provincia, il paese
di Corsano, la cui comunità si onora di avere tale santo come patrono.
11
Si tratta delle tele custodite nella chiesa di san Rocco a Gagliano del Capo, nella chiesa della SS. Assunta a Melendugno, nella chiesa di san Biagio a Galatina, nella chiesa dell’Immacolata di Parabita,
nella chiesa dell’Immacolata a Nardò e nel santuario del Crocefisso a Galatone.
12
Si tratta della cattedrale di Ugento, della porta s. Biagio a Lecce e della chiesa di s. Biagio a Salve.
13
G. MARCIANO, idem.
- 45 -
Gruppo scultoreo di San Biagio e il miracolo del bambino, inizi XX sec. Corsano, cappella Bleve
ANTONELLA CHIARELLO
Il culto di san Biagio
a Corsano
- 47 -
Fig. 11. G. GALATI, San Biagio e il miracolo della lisca di pesce. 1981, cartapesta.
Corsano, cappella del Sacro Cuore
- 48 -
“A Sebaste, in Armenia la passione di S. Biagio vescovo e martire, il quale, operatore
di molti miracoli, sotto il preside Agricolao, dopo essere stato lungamente battuto e sospeso
ad un legno, ove con pettini di ferro gli furono lacerate le carni, dopo aver sofferto un’orrida
prigione ed essere stato sommerso in un lago, da dove uscì salvo, finalmente fu decapitato1.”
Pochissimo sappiamo sulla vita di San Biagio. Le poche storie sulla biografia
del santo sono state tramandate prima oralmente e poi raccolte in agiografie, come
in quella famosa di Camillo Tutini. La più antica citazione scritta sul santo è contenuta nei Medicinales di Ezio di Amida, vissuto nel VI secolo.
Le vicende storiche relative a San Biagio si collocano tra la metà del III e gli
inizi del IV secolo d. C., ultimi anni degli attacchi perpetrati dall’Impero Romano
nei confronti del cristianesimo, prima della pace di Costantino del 313.
Secondo la tradizione agiografica, Biagio nacque a Sebaste da nobili genitori,
e divenne medico e curatore di anime. La sua fama lo portò ben presto a diventare
vescovo della sua città. Il suo culto è uno dei più diffusi sia in Oriente che in Occidente, tanto che numerose sono le chiese e i luoghi sacri a lui dedicati in ogni
parte del mondo cristiano.
A Corsano il culto di questo santo orientale probabilmente risale al IX-X secolo
d. C., epoca della colonizzazione bizantina nel Salento, anche se non ci sono notizie
storiche circa l’origine e il motivo della devozione per questo santo. Dai registri
parrocchiali, che partono dal 1576, non risulta nessuna notizia in proposito: la
data del 3 febbraio non è riportata come una solennità ed è del tutto assente il
nome Biagio, che comincia a comparire solo verso la metà del 16002.
Non sono molte le tradizioni legate alla festa di San Biagio a Corsano. La più
importante è sicuramente l’antica usanza della “focaredda” (falò) nel giorno della
1
2
Dal Martirologio Romano.
Da opuscolo “Novena in onore di S. Biagio Vescovo e Martire”, Parrocchia S. Sofia Vergine e Martire, 2011.
- 49 -
vigilia, che ha luogo ormai da qualche anno in piazza [fig. 1]. In origine, invece, i falò venivano allestiti
nei vari rioni del paese, e vi era una
vera e propria gara nel realizzare il
falò più grande. Mentre un’altra
tradizione, ormai scomparsa, era
quella della rappresentazione della
“tragedia” del santo che aveva
luogo all’aperto, in piazza.
Riguardo i miracoli attribuiti
all’intercessione del santo, ne risultano alcuni che si tramandano oralmente e altri che risultano dai
registri parrocchiali. Il primo storicamente documentato è quello
dell’anno 1718, conservato nel Fig. 1. “Focaredda” in piazza S. Biagio, Corsano
Libro dei Battezzati, comprendente
gli anni dal 1707 al 1755, e riportato dall’allora arciprete di Corsano don Leonardo
Griso de Conte, il quale così annotava:
“Nell’anno 1718 addì 12 aprile Giacomo Venuti di Matino, accasato in Corsano,
e comorante in detto loco fu assalito dal male della gola, e fu con molti rimedi aggiustato
da medici, e non giovandole nessuno rimedio, correva alla morte, ed essendosi dati li Santi
Sacramenti, si vedea di punto in punto esser vicina la detta morte, ed io avendole processionalmente passata la santa reliquia del glorioso san Biagio nostro protettore, appena
l’infermo Giacomo baciandola, e toccandolo ad quella alla gola subito fu sano, e salvo.
Don Leonardo Griso arciprete”3.
Un altro miracolo, ricordato e annotato da don Ernesto Valiani nel 1953, riguarda ancora la guarigione da un male alla gola di un bambino di 5 o 6 anni che
stava in fin di vita. I genitori, disperati, chiesero l’aiuto del parroco affinché lasciasse la reliquia del santo in casa loro tutta la notte, e don Ernesto acconsentì.
3
ARCHIVIO STORICO PARROCCHIALE CORSANO, Libro dei Battezzati, 1707-1755.
- 50 -
PAGINA 51 NON VISIBILE
- 51 -
Fig. 2. Busto di san Biagio, XVII sec.,
legno policromato. Corsano, chiesa S. Sofia
Fig. 3. San Biagio, 1911, gesso policromato.
Corsano, chiesa S. Biagio
Fig. 4. Gruppo scultoreo di San Biagio
e il miracolo del bambino, inizio XX sec.
Corsano, cappella Bleve
Fig. 5. D. ABBRACCIAVENTO, San Biagio tra
tigri e leoni, 1906, olio su tela.
Corsano, cappella Bleve
- 52 -
La cappella dal 1932, quando crollò la vecchia Matrice di Santa Sofia, fino al
1939, venne utilizzata per celebrare le funzioni liturgiche (infatti molti corsanesi
ricordano di aver ricevuto alcuni sacramenti proprio in questa cappella).
L’opera scultorea in questione, realizzata in legno, raffigura San Biagio insieme
ad un angelo e al bambino protagonista del suo miracolo più conosciuto.
Quest’ultimo è in ginocchio e indica con un dito la propria gola, rivolgendo lo
sguardo verso il santo in segno d’aiuto. Un particolare, però, lo allontana dall’epoca
in cui visse il santo e lo riporta all’epoca di realizzazione della cappella: gli abiti
che indossa, tipici del XX secolo.
È come se lo scultore avesse voluto creare un legame tra presente e passato.
L’angelo, invece, è posizionato immediatamente dietro il bambino, sulla destra
del santo. Ha, anche questo, uno sguardo pietoso rivolto verso il taumaturgo, e
una mano sul petto, mentre con l’altra mano sostiene la palma del martirio. Indossa
un perizoma e ha le ali policromate con un colore diverso per ogni piuma. San
Biagio, invece, ha lo sguardo rivolto in alto, indossa abiti vescovili e la mitria sul
capo, con la mano destra benedice alla latina, mentre con la sinistra sostiene il pastorale.
L’opera è di buona fattura, ma non si conosce purtroppo l’autore che l’ha eseguita. Poggia su un alto basamento al cui centro campeggiano i simboli del martirio: i pettini di ferro e la palma. Nella teca in cui è custodita sono appesi, inoltre,
degli ex-voto.
Nella stessa cappella, sull’altare maggiore, una tela firmata e datata “D. Abbracciavento 1906” ritrae s. Biagio tra tigri e leoni fuori da una caverna [fig. 5].
Nel sinassario armeno (una raccolta di agiografie), infatti, si legge che nel tempo
della persecuzione di Licinio, Biagio fuggì ed abitò sul monte Argias dove tutte
le bestie dei boschi si avvicinavano a lui ed egli guariva tutte le infermità con il
nome di Cristo.
In un altro dipinto, conservato nella chiesa di Santa Sofia, firmato e datato
“Ginus Brogna - Pinxit-R. 8-8-1951” [fig. 6], San Biagio è raffigurato mentre
esegue il rito della benedizione della gola al bambino tenuto in braccio dalla madre
in ginocchio prostrata davanti al santo. Il rito, ancora oggi in uso in alcune parti
del mondo in cui si festeggia San Biagio, prevede l’imposizione di due candele incrociate sulla gola dei fedeli per liberarli da ogni malanno. Nella tela, il rito si
svolge ai piedi di un altare in marmo rosso che richiama la veste del santo.
- 53 -
Fig. 6. G. BROGNA, San Biagio e il miracolo
della lisca di pesce, 1951, olio su tela.
Corsano, chiesa di S. Sofia
Fig. 7. N. PEPE, San Biagio e il miracolo della
lisca di pesce, 1967, olio su tela.
Corsano, chiesa di S. Biagio
Fig. 8. Statua di San Biagio, 1967, bronzo.
Corsano, chiesa di S. Biagio
Fig. 9. Porta laterale sx, XXI sec.
Corsano, chiesa di S. Biagio
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PAGINA 55 NON VISIBILE
- 55 -
Convegno
Tradizione bizantina a Taurisano
Santuario Madonna della Strada
Taurisano, 20 aprile 2013
Taurisano, chiesa di S. Maria della Strada: particolare del portale
MARGHERITA PASQUALE
La facciata di Santa Maria della Strada
a Taurisano in Terra d’Otranto.
Note di iconografia e iconologia medievale
- 59 -
Fig. 1. Taurisano, chiesa di S. Maria della Strada: facciata
- 60 -
Premessa
L’aspetto più affascinante del meraviglioso mondo delle immagini medievali
consiste nel significato riposto che ciascuna possiede e che, decodificato, riapre col
riguardante un dialogo da tempo interrotto. Pertanto, restituire la voce alla facciata
della chiesa più nota di Taurisano1, piccolo, delizioso centro dell’entroterra salentino, rivela che quella voce fa parte di un coro e che ha avuto fin da principio un
impegno ben preciso: segnalare alcuni principi fondamentali della fede, e non solo,
per mezzo delle immagini, scelte con cura, perché arrivano più facilmente alla
mente e al cuore, e aiutano a ricordare2.
Durante il medioevo, ed in Puglia3 soprattutto a partire dalla seconda metà
del XII secolo e fino alla metà del successivo, in età normanno-sveva, quando le
1
Con qualche precisazione, il presente contributo ripropone il testo pubblicato in “Rivista di Scienze
Religiose”, a. XVI, n. 2/2002, pp. 373-396. Il tema è stato trattato da chi scrive nel III Convegno:
Sulle tracce della Memoria: Rito, Credenza e Tradizione (Taurisano, Sala Consiliare, 10 settembre 2001);
nel III Convegno Internazionale di Studio: La Puglia tra Gerusalemme e Santiago di Compostella, (BariBrindisi, Università degli Studi di Bari, 4-7 dicembre 2002; Brindisi, ex convento di S. Teresa dei Carmelitani Scalzi, 6 dicembre), Intervento: S. Maria della Strada a Taurisano. Omelie in pietra lungo le strade
della Puglia medievale; nel Convegno: Tradizione bizantina a Taurisano, (Taurisano, Santuario di S. Maria
della Strada, 20 aprile 2013).
2
Testi fondamentali sull’iconologia medievale: L. CHARBONNEAU-LASSAY, Il Bestiario del Cristo, Edizioni
Arkeios, Roma 1994 (I Ediz. Parigi 1940); L. RÈAU, Iconographie de l’art chrétien, Presses Universitaires
de France, Parigi 1955-59; E. MALE, Le origini del Gotico. L’iconografia medievale e le sue fonti, Jaca Book,
Milano 1981; G. DE CHAMPEAUX - S. STERCKX, I Simboli del Medioevo, Jaca Book, Milano 1981; M.
ELIADE, Immagini e Simboli, Jaca Book, Milano 1984; F. NORDSTROM, Medieval Baptismal Fonts. An iconographical study, P. G. RABERG, Umea 1984; C. GAIGNEBET - J. D. LAJOUX, Arte profana e religione popolare nel Medio Evo, Fabbri Editori, Milano 1986; H. e M. SCHMIDT, Il linguaggio delle immagini.
Iconografia cristiana, Città Nuova ed., Roma 1988; J. PLAZAOLA, Arte cristiana nel tempo. Storia e significato.
I. Dall’Antichità al Medioevo, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2001; T. VERDON, L’Arte Sacra in
Italia, Mondadori, Milano 2001; G. PASSARELLI, Iconostasi. La teologia della bellezza e della luce, Mondadori,
Milano 2003.
3
Per approfondire la conoscenza del significato dei complessi scultorei medievali pugliesi, spesso citati
nelle pagine seguenti, cfr., con le relative bibliografie: M. PASQUALE, Una pagina di pietra: il portale della
Cattedrale di Bisceglie. Note di iconologia romanica, in Studi in onore di Michele D’Elia. Archeologia Arte Restauro e Tutela, Archivistica, R&R Editrice, Matera/Spoleto 1996, pp.122-129; Eadem, Immagini ludiche
- 61 -
nostre architetture, già notevoli per le nitide apparecchiature murarie, si animarono di sculture, spesso concepite in elaborati complessi sulla scorta della grande
produzione scultorea d’oltralpe, del magnifico materiale didattico, costituito dalle
immagini, si fece larghissimo uso; il bisogno di decorare la casa di Dio, perché
fosse adeguatamente preziosa, si congiunse a quello di rendere l’operazione praticamente efficace per chi quella casa frequentava.
Lentamente, si era venuto costituendo un linguaggio cifrato, diffuso per tutto
l’orbe cristiano, fatto di simboli, allora pianamente comprensibili perché ogni
tempo ha i suoi codici di lettura: oggi tutti sanno cosa siano www, @, &, $, segni
che lascerebbero interdetto qualche uomo del passato, anche recente.
di età medievale e loro contesti iconologici in Terra di Puglia, in Società Cultura e Sport. Immagini e modelli in
Puglia dall’antichità al XX secolo, Catalogo della Mostra a cura di D. PORCARO MASSAFRA, Adda, Bari
1997, pp.109-131; Eadem, I grandi temi dell’arte romanica nella scultura pugliese del XII-XIII secolo, in
Castelli e Cattedrali di Puglia a cent’anni dall’Esposizione Nazionale di Torino, Catalogo della Mostra a cura
di C. GELAO E G. M. JACOBITTI, Adda, Bari 1999, pp.106-113; Eadem, Note di iconologia romanica: il
portale di San Leonardo a Siponto, in Siponto e Manfredonia nella Daunia, Atti del V Convegno di Studi
(Manfredonia 9-10 aprile 1999), Ed. Del Golfo, Manfredonia 2000, pp.122-141; Eadem, L’Apologia
della Parola: un’omelia impressa nel marmo e nel bronzo. Lettura iconologica del portale e della porta della Cattedrale di Trani, in Vescovi, disciplinamento religioso e controllo sociale. L’arcidiocesi di Trani fra medioevo ed età
moderna, Atti del Convegno (Trinitapoli, 20-21 ottobre 2000), Società di Storia Patria per la Puglia,
Bari 2001, pp.353-365; Eadem, Note sull’apparato decorativo delle chiese brindisine di S. Giovanni al Sepolcro
e di S. Benedetto, in S. Giovanni al Sepolcro e S. Benedetto a Brindisi, a cura di G. MATICHECCHIA, Adda,
Bari 2001, pp.37-56; Eadem, Le Marie al Sepolcro nell’arte medievale pugliese, in Il cammino di Gerusalemme,
Atti del Convegno Internazionale di Studio (Bari.Brindisi-Trani, 18-22 maggio 1999), Adda, Bari
2002, pp.417-430; Eadem, Iconologia medievale dell’Eucaristia nella scultura pugliese e Iconologia medievale
della Resurrezione nella scultura pugliese, in L’Eucaristia nell’Arte in Puglia, Catalogo della Mostra (Bitonto
2005) in occasione del XXIV Congresso Eucaristico Nazionale a cura di R. GNISCI - M. MILELLA-F.
RUSSO, Edizioni Romanae, Capurso (BA) 2005, pp.24-30; Eadem, “Deus Caritas est”. L’amore cristiano
nell’arte in Puglia, in “Studi Bitontini. Centro Ricerche di Storia e Arte - Bitonto”, n. 85-86 (2008),
Edipuglia, Bari/S.Spirito 2008, pp. 33-60; Eadem, La chiesa templare di Ognissanti a Trani. Note di iconologia romanica, “Quaderni Tranesi” n. 2, Associazione “Obiettivo Trani” Territorio Cultura Turismo,
Landriscina Editrice, Trani 2009; Eadem, Acqua lustrale.1. Fonti istoriati e percorsi battesimali nel medioevo
pugliese. Note di iconologia, in “Rivista di Scienze Religiose”, a. XXIII, n.1/2009, pp. 199-223; Eadem,
Le antiche facciate della cattedrale di Altamura. Note di iconologia, in La cattedrale di Altamura fra restauri
scoperte interpretazioni, a cura di BIANCA TRAGNI, Adda, Bari 2009, pp. 20-81; Eadem, La vite e il vino
nelle decorazioni sacre e profane del medioevo pugliese, in Storia regionale della vite e del vino. Le Puglie: Daunia,
Terra di Bari, Terra d’Otranto, a cura di A. CALÒ e L. BERTOLDI LENOCI, Accademia Italiana della vite e
del vino - Centro Studi Storici e Socio religiosi in Puglia, Edizioni Pugliesi, Martina Franca (TA) 2010,
pp. 417-450; Eadem, La Cattedrale di Bitonto. Note di iconologia romanica, in “Studi Bitontini. Centro
Ricerche di Storia e Arte - Bitonto”, n. 89 (2010), Edipuglia, Bari/S.Spirito 2010, pp. 5-22; Eadem,
- 62 -
PAGINA 63 NON VISIBILE
- 63 -
Fig. 2. Taurisano, chiesa di S. Maria della Strada: protiro e portale
- 64 -
funge da architrave e che raffigura l’Annunciazione; un protiro cuspidato, sorretto
da colonne su alti basamenti, enfatizza il
nobile accesso; la zona superiore della facciata è campita da un ampio rosone con
cornice a tre registri: il giro più interno
è un intreccio che fa eco al sottostante
portale, l’intermedio è punteggiato dai
dodici busti degli Apostoli schierati ai
lati del Cristo, l’esterno è un sopracciglio
dalle estremità evidenziate dall’aggetto
di due protomi, l’uomo alato dell’evangelista Matteo e l’aquila dell’evangelista
Giovanni; la decorazione del rosone è correlata al più vistoso complesso sottostante.
Fig. 3. Taurisano, chiesa di S. Maria
Santa Maria della Strada è assegnata
della Strada, particolare del protiro:
dalla critica più recente ai primi decenni
toro e capitello con Davide e Isaia
del XIV secolo, in particolare considerazione di alcune iscrizioni trecentesche, apposte in greco sul bassorilievo e riportanti
il dialogo tra la Vergine e l’arcangelo, e di una meridiana ad esse coeva, che correda
la chiesa. In realtà, ferma restando la datazione degli elementi suindicati, sembra
a chi scrive che la lettura iconologica del complesso scultoreo possa fornire differenti coordinate e suggerire un’altra possibile datazione.
Protiro e portale
La cuspide del protiro [fig. 2], elemento caratterizzante dei portali romanici
pugliesi, è sorretta da un toro e da un leone mordicante un lungo serpente che gli
avvolge il corpo con le sue spire; toro e leone sono a loro volta sostenuti da sontuosi
capitelli che alternano protomi umane a boccioli; un Agnus Dei sigla lo spazio centrale, sotto la cuspide.
L’impiego del toro [fig. 3] ci introduce nella prassi sacrificale ebraica, sancita
dal Levitico (4,14), laddove il toro è designato quale vittima sacrificale d’espia- 65 -
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Fig. 5. Squinzano, chiesa di S. Maria delle Cerrate: archivolto del protiro
Col significato che gli abbiamo riconosciuto, il toro compare in alcuni importanti complessi scultorei del XII secolo, numerosi soprattutto in terra di Bari,
lungo la costa punteggiata di approdi e l’Appia che ne percorre l’immediato entroterra: una coppia di tori sostiene il protiro nella facciata della basilica di San
Nicola a Bari, si affaccia mansueta a latere dei finestroni absidali delle cattedrali
di Bisceglie e Trani, ma è anche oppressa dal peso del protiro di santa Maria delle
Cerrate, presso Squinzano [fig.5]; un vivace torello si dibatte tra gli artigli di un
grifo - simbolo di Cristo grazie alla sua duplice natura ed ai gloriosi trascorsi di
attributo di divinità solari quali Apollo e Nemesi - nel portale della cattedrale di
Bitonto.
In quanto ai leoni, essi abitualmente combattono e sconfiggono rettili, un drago
nel finestrone absidale della cattedrale di Bitonto, una coppia monocefala di attorti
serpenti in un finestrone del transetto della cattedrale di Bari [fig .6], un aspide
ed un drago nel portale della cattedrale di Trani [fig. 7], in ossequio al salmo 90
(91), 13: Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi.
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Fig. 6. Bari, cattedrale, testata sud del
transetto: leone in lotta con serpente
Fig. 7. Trani, cattedrale, portale maggiore:
leone in lotta con serpente e drago
Nel XII secolo, Onorio d’Autun, nel Sermone della Domenica delle Palme nel
suo Speculum Eclesiae (Migne 172, coll 913-916), parafrasando il testo, avrebbe
identificato nel drago il demonio, nell’aspide il peccato, nel leone - quando assume
un significato negativo, come nella lunetta marmorea della cattedrale di Troia,
dove è calpestato dal Signore - l’Anticristo.
A Taurisano, al simbolismo cristologico del toro e del leone, che sintetizza i
momenti fondamentali della vicenda del Cristo, passione e morte in espiazione
dei peccati degli uomini e resurrezione, vicende vittoriose sul demonio e sulla
morte, si associano i due capitelli sottostanti; nell’ornamentazione di ciascuno
sono impiegate coppie di teste virili, una delle quali coronata, particolare che autorizza a riconoscervi due personaggi, profeti e re d’Israele, Davide e Salomone;
di conseguenza, anche le altre due si propongono come immagini di profeti: il
nesso con gli animali che sono destinati a sorreggere suggerisce trattarsi rispettivamente di Isaia e di Daniele.
Ai profeti e alle loro profezie, che la sua venuta ha compiuto, Gesù stesso fa
continuo riferimento, inaugurando la dottrina tipologica, che nei personaggi del
Vecchio Testamento riconosce ‘tipi’, prefigurazioni, degli ‘antitipi’, protagonisti
del Nuovo.
Nel capitello che sostiene il toro, e che esplicita la natura umana del Messia,
possono identificarsi Isaia e Davide: di Isaia sono i drammatici riferimenti all’Uomo dei dolori, che prende su di sé le colpe di tutti, e i penosi presagi della
Passione: Ho offerto la schiena a chi mi batteva, la faccia a chi mi strappava la barba.
Non ho sottratto il mio volto agli sputi e agli insulti (Is 53, 1-12; 50,6); in quanto a
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All’Agnus Dei, retrospiciente e crocifero, è sempre assegnata una posizione
eminente, sia che compaia da solo (porta
sud del duomo vecchio di Molfetta, rosone
nord della chiesa di S. Margherita a Bisceglie), sia accompagnato dai simboli degli
Evangelisti (portale della chiesa di Ognissanti a Trani, della cattedrale di Ruvo); perenne come la Croce, presente nelle chiese
paleocristiane come nelle più moderne,
non ha un momento storico favorito, è un
segno eccellente che unifica l’Antico ed il
Nuovo Testamento.
Nel libro dell’Esodo (12,1-14), nella
notte in cui gli Israeliti lasciano l’Egitto,
la notte in cui l’Angelo di Dio passa per
mettere in atto l’ultima piaga, l’uccisione
dei primogeniti, verranno evitate le porte
Fig. 8. Bisceglie, cattedrale: capitello
degli Ebrei, riconoscibili perché segnate col
del protiro
sangue dell’agnello che essi debbono mangiare quella notte, in fretta e in piedi, prossimi come sono alla partenza; all’agnello
della Pasqua ebraica fa riscontro, nel vangelo di Giovanni (1,29), la presentazione
che il Battista fa di Gesù: Ecco l’Agnello di Dio, che prende su di sé il peccato del mondo;
nell’Apocalisse, l’ultimo Libro del Nuovo Testamento, nella visione di Giovanni,
tra le immagini straordinarie che si offrono alla vista del grande discepolo, si manifesta un agnello come sgozzato ma ritto in piedi, nel sangue del quale hanno
bagnato le loro vesti i martiri per la fede e a cui rendono omaggio i quattro Esseri
Viventi (Ap 5, 6.8; 7, 9-14); infine, nella liturgia della notte del Sabato Santo,
durante la benedizione dell’acqua, si fa esplicito riferimento al Cristo immolato,
vero agnello che col suo sangue consacra le porte dei fedeli: Ille Agnus occiditur,
cuius sanguine postes fidelium consecrantur.
Con la sovrapposizione degli eletti della Gerusalemme Celeste al popolo cristiano ed al popolo ebraico, salvati tutti dal sangue dell’agnello, si sancisce la perfezione di un simbolo che, con un unico tratto, in quanto immagine del Cristo
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Fig. 9. Taurisano, chiesa di S. Maria della Strada: l’Annunciazione
L’Annunciazione
L’immagine più importante, nella facciata della chiesa di Taurisano, è proprio
il segno dell’avvento del Figlio di Dio nella storia del mondo, della sua personale,
volontaria partecipazione alla vita del creato: per questo l’Annunciazione [fig. 9] è
collocata in luogo privilegiato, focalizza l’attenzione di chi guarda, posticipando
l’osservazione degli altri componenti e tuttavia intimamente collegandoli. La stessa
tecnica esecutiva asseconda la nobiltà del concetto: la lastra su cui la scena è scolpita svolge la sua funzione di architrave non incastrata a forza nella compagine
del portale, ma lavorata tutt’uno con le sezioni contigue della cornice, di cui si
costituisce, anche fisicamente, parte integrante.
Nei complessi scultorei di Puglia, l’Annunciazione compare spesso, a volte citata,
sempre per prima, nelle sequenze di scene narranti episodi della vita di Gesù o in
più elaborati contesti in cui è correlata ad altri episodi tratti dalle Sacre Scritture,
a volte da sola, bastando a definire la sacralità e unicità della vicenda terrena del
Figlio di Dio, nato da una Vergine; la collocazione preminente assegnatale o la
sua possibilità di sussistere in autonomia sono dovute al fatto che non si tratta di
uno dei momenti basilari della vita della Madonna, ma del primo atto della storia
della Salvezza, coincidendo con l’incarnazione del Signore e l’inizio della sua esperienza terrena, sottolineando quindi, ancor più che la perenne purezza della giovane
Madre e le sue esemplari umiltà e spirituale grandezza, che la pongono al di sopra
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di ogni creatura, l’attimo supremo dell’ingresso di Dio nella storia degli uomini,
rimarcando l’aspetto cristologico della raffigurazione rispetto a quello ‘mariano’.
Sebbene l’Annunciazione sia tra le immagini universalmente più note ed immediatamente riconoscibili, tuttavia un tema così diffuso e formalmente canonizzato non è immune da significative varianti; un rapido excursus nella scultura
monumentale pugliese permette di assistere al graduale mutare degli atteggiamenti dei due protagonisti, cui solo di rado si aggiunge lo Spirito Santo, in forma
di colomba.
Il tema compare, come primo e fondamentale capitolo della storia sacra, narrata in scene successive, scisso alla base dell’archivolto della chiesa di Santa Maria
delle Cerrate presso Squinzano [fig. 5], nell’architrave del portale della cattedrale
di Bitonto [fig. 10], in quello del portale della chiesa del SS. Rosario a Terlizzi
[fig. 11], in uno stipite del portale della chiesa matrice di Bitetto [fig. 12] e,
ancora una volta diviso in due parti, in quelli del portale della cattedrale di
Altamura [figg. 13-14].
Collegato da una trama di relazioni, è presente nel fonte battesimale dell’abbazia di Santa Maria di Pulsano, ora nel Lapidario del santuario di San Michele
a Monte Sant’Angelo, ed in quel che resta della loggia federiciana, nel cortile
Fig. 10. Bitonto, cattedrale, particolare dell’architrave del portale: l’Annunciazione
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Fig. 11. Terlizzi, chiesa del SS. Rosario, particolare dell’architrave: l’Annunciazione
Fig. 12. Bitetto, chiesa matrice, particolare
del portale: l’Annunciazione
Figg. 13-14. Altamura, cattedrale, particolari degli stipiti: l’Annunciazione
Fig. 15. Trani, castello svevo, cortile centrale mensole raffiguranti l’arcangelo Gabriele
e la Vergine Annunziata
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Fig. 16. Bitonto, cattedrale, finestrone
absidale: l’Annunciazione
Fig. 17. Trani, chiesa di Ognissanti, portale
maggiore: l’Annunciazione
Fig. 18. Barletta, cattedrale, facciata: l’Annunciazione
Fig. 19. Rutigliano, chiesa matrice, part. del portale: l’Annunciazione, Cristo e gli Apostoli
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aneddotica dei vangeli canonici, relativamente alla vita della Madonna e all’infanzia di Gesù, indusse a trarre
dagli apocrifi i fatti meravigliosi di cui
avevano bisogno la sensibilità e l’immaginazione popolari. Essi sono narrati
soprattutto nel Protovangelo di Giacomo,
oltre che nel Vangelo della Natività della
Vergine e nel Libro armeno dell’Infanzia.
La Vergine bambina, la cui nascita,
Fig. 20. Manfredonia, castello: bassorilievo
erratico raffigurante l’Annunciazione
annunziata da un angelo ad entrambi i
genitori, poneva fine alle pene della
sterile Anna e dell’infelice consorte, donata a Dio e condotta piccolissima al Tempio, vi visse nutrita dagli angeli finché, dodicenne, fu affidata dai sacerdoti al maturo e vedovo Giuseppe perché la custodisse; avendo il consiglio sacerdotale
stabilito di far tessere un nuovo velo per il Tempio dalle vergini della tribù di Davide e distribuito a sorte i diversi filati tra le fanciulle, alla vergine Maria essendo
toccati la porpora e lo scarlatto, ella era appunto intenta al lavoro, in casa di Giuseppe, allorché l’angelico annunzio la colse, dopo un primo tentativo presso una
fonte, che non sortì altro effetto che spaventarla6:
Maria, intanto, preso lo scarlatto, lo filava. Quindi uscì con la brocca ad attingere
acqua. Ed ecco ode una voce: “Salve, o piena di grazia: il Signore è con te, o benedetta tra
le donne!”. Ella si volgeva a destra e a sinistra per vedere donde mai venisse la voce. Presa
da timore, tornava a casa, dove, deposta la brocca, prendeva la porpora e, seduta sul suo
sgabello, continuava a filare. D’improvviso un angelo le stette innanzi e le disse: “ Non temere più, Maria: tu hai trovato grazia innanzi al Signore di tutti e concepirai dal suo
Verbo”. Maria però, udita la voce, ne fu perplessa nel suo intimo: “Se io concepirò per opera
del Signore, Dio vivente, partorirò come partorisce ogni donna?”. L’angelo del Signore le
disse: “Non così, o Maria: la potenza di Dio ti coprirà con la sua ombra; e così anche l’essere
che dovrà nascere sarà chiamato santo, figlio dell’Altissimo. Tu gli darai nome Gesù: egli
difatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Maria rispose: “Ecco, io sono la schiava del
Signore alla sua presenza; sia di me conforme alla tua parola!”.
6
Il Protovangelo di Giacomo, in Gli Apocrifi. L’altra Bibbia che non fu scritta da Dio, a cura di E. WEIDINEd. Piemme, Casale Monferrato 1992, pp.542-543.
GER-E. JUCCI,
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Fig. 21. San Vito dei Normanni,
chiesa rupestre di S. Biagio: l’Annunziata
Fig. 22. Brindisi, chiesa di S. Maria del
Casale: l’Annunciazione
7
È un racconto che, nonostante il risvolto umano delle preoccupazioni della
fanciulla, non è senza sottili connessioni
con i testi canonici, se si considera che il
velo del Tempio, in nuce al momento dell’incarnazione, si sarebbe lacerato al momento della morte di Gesù.
La scelta di questa attitudine per la
Vergine fu diffusissima in area bizantina
e, nella nostra regione e nel XII secolo,
particolarmente tenace, sia in scultura,
come attestano gli esempi riportati, che
in pittura, come avviene nel citato ciclo di
affreschi della chiesa rupestre di S. Biagio
a San Vito dei Normanni [fig. 21], che
un’iscrizione data al 1196; unica eccezione, l’episodio barlettano, in una cattedrale dove tutto l’apparato decorativo
risente di una freschissima vena oltralpina.
Solo più tardi l’attitudine acquisita,
propria della ‘domina’ romana, matronalmente intenta a lanam facere7, venne soppiantata dalla nuova versione, che
presenta la Vergine stante, recante un
libro, come avviene in alcuni affreschi trecenteschi della chiesa di santa Maria del
Casale a Brindisi [fig. 22], o assorta nella
lettura e nella meditazione delle Sacre
Scritture, assisa davanti ad un leggio, in
una positura che meglio ne esalta il rango
superiore e le doti spirituali; contestualmente, l’arcangelo Gabriele, che ha sem-
A. LUISI, Le donne di Roma antica, Landriscina Editrice, Trani 2007, p.5.
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Non sorprende, pertanto, che Lenormant, uno dei primi ad essere affascinato
dall’arte medievale pugliese, abbia potuto definirla ‘bizantina’, cogliendone l’intonazione generale ed assegnandola all’XI secolo8. Ma è evidente che, quando la
nostra Annunciazione, col corredo di immagini che le si squaderna d’intorno, fu
scolpita, anche i lapicidi più ‘all’antica’, sia pure radicati ad un sostrato romanico
- bizantino irrinunciabile, principiavano a considerare le innovative formule d’Occidente, dietro proposta di una committenza più aperta ed aggiornata.
Due stelle si collocano agli angoli estremi della composizione: è molto probabile che si limitino a colmare lo spazio vuoto in una sorta di horror vacui di arcaico
sapore, ma è parimenti possibile che un’allusione ci sia e che coinvolga, come avviene scopertamente nel portale del san Leonardo a Siponto, i due astri che annunciano la nascita del Messia nel Vecchio e nel Nuovo Testamento, quello ‘visto’
da Balaam sorgere dal popolo di Giacobbe (Nm 24, 17) e quello che avrebbe guidato i Magi nel loro viaggio dall’Oriente fino al luogo dell’evento (Mt 2, 1-10).
Si impone a questo punto un’ultima osservazione, relativa ad un dettaglio che
costituisce la vera singolarità dell’Annunciazione di Taurisano: ai lati della scena,
due grandi uccelli la osservano; si tratta di due aquile, come attestano la poderosa
tornitura del petto e del collo, breve e non flessuoso, il forte becco, ancorché non
vistosamente adunco, e la perfetta definizione del piumaggio, minuto e fitto sul
corpo e all’innesto delle ali, ma a lunghe penne affilate e allineate nelle ali stesse e
nella coda, sprovvista di terminazioni evidenziate, come suole accadere invece per
i pavoni, nel portale del castello di Bari o in una sopraporta del castello di Trani.
La presenza delle aquile è possibile sia stata determinata da simbolismi antichi
e profondi; uccello regale sacro agli dei maggiori di tutte le mitologie, l’aquila
conservò eccellenti qualità simboliche in ambito cristiano. Associata all’immagine
dell’Annuncio alla Vergine, potrebbe rinviare all’idea di rigenerazione, ispirata
dal fenomeno stagionale della muta del piumaggio, confortata da un versetto dei
Salmi (102,5) - La tua giovinezza sarà rinnovata come quella dell’aquila - e da una
prerogativa dell’aquila, enunciata dal Fisiologo: quando l’aquila sente prossima la
morte, si eleva fino al sole che ne brucia le ali e si lascia cadere in un fonte, in cui
si immerge per tre volte, risorgendo ringiovanita.
8
F. LENORMANT, Notes Archéologique sur la Terre d'Otranto, in “Gazette archeologique”, VII, 1881-82,
p. 122, citato in M. CAZZATO, La chiesa di S. Maria della Strada a Taurisano e l'architettura medievale in
Puglia, in Architettura Medievale..., cit., p. 11, nota 2.
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Quel fonte di giovinezza, assimilato al fonte
battesimale, in cui, mediante la triplice immersione, il cristiano è purificato e rinnovato, è a sua
volta immagine, secondo sant’Agostino e san
Leone Magno, del grembo della Vergine, madre
di Cristo e quindi madre della Chiesa, corpo di
Cristo (Ef 1,23): come il Figlio di Dio fu concepito dalla Vergine per opera dello Spirito Santo,
così, per opera dello stesso Spirito, il credente rinasce, dall’acqua battesimale, figlio di Dio9.
Ciononostante, a Taurisano, le aquile che Fig. 24. Bisceglie, cattedrale,
montano la guardia ai lati dell’Annunciazione, la particolare del protiro: aquila
loro dimensione innaturalmente imponente e
l’araldica positura attirano l’attenzione su un fattore che va al di là del significato
religioso cui potrebbero, come si è rilevato, agganciarsi, sia pure forzosamente,
datosi che mai aquile compaiono nelle Annunciazioni, e che sembra piuttosto collegarne l’enigmatica presenza a quella di altre aquile, collocate con altrettanta evidenza in altri contesti di nota cronologia.
Nella facciata della cattedrale di Bisceglie, il protiro ostenta, sulla sommità,
un’aquila [fig. 24] che ha rapito un cervo: Tu che abiti al riparo dell’Altissimo e dimori
all’ombra dell’Onnipotente.. Ti coprirà con le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio (Sal
90 (91), 1,4), in consonanza con gli altri elementi scultorei e con la decorazione
del sottostante portale, di cui si pone in continuità iconologica, sebbene sia databile, proprio grazie alla presenza del piccolo capitello della casta Susanna, cui si è
accennato - capitello di indubitabile marca federiciana e prossimo per conformazione ai capitelli di Taurisano - al quarto decennio del XIII secolo, mezzo secolo
più tardi del portale che correda.
Sul prospetto della chiesa matrice di Rutigliano10, il protiro unifica, nello spazio
che incornicia, brani di recupero, una severa serie di apostoli ai lati del Cristo e
una vivace Annunciazione [fig. 19], in un contesto iconologico assai simile a quello
9
AGOSTINO, Discorso 119, 3-4, in Discorsi III/I, ed. Città Nuova, Roma 1990, p.35; più esplicitamente
S. LEONIS MAGNI, Sermo XXIV, cap.III (Patr.Lat., LIV, 206) e Sermo XXV, cap. V (ivi, 211); cfr. L. REAU,
op. cit., Parigi 1955, Tomo I, pp. 84-85; F. NORDSTROM, op. cit., p. 89.
10
G. BORACCESI, La decorazione lapidea, in G. BORACCESI - F. DICARLO, Santa Maria della Colonna. Una
committenza artistica nell’ultimo Medioevo, Capone ed., Cavallino di Lecce 1992, pp.101-103.
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Fig. 25. Taurisano, chiesa di S. Maria della Strada: il rosone
di Taurisano; il sottarco del protiro, che alterna protomi umane a motivi fitomorfi
diffusi in cantieri svevi, quali i castelli di Trani e di Bari, è marcato in chiave
d’arco da un’aquila, cui possiamo riconoscere la stessa allusione alla rinascita, ad
una messianica palingenesi, al creato rinnovato e redento che in altri modi abbiamo
visto proporsi nella chiesa di Taurisano.
Signore di Rutigliano fu Filippo Cinardo, egregio funzionario della corte di
Federico II, progettista delle fortificazioni duecentesche dei castelli di Trani e di
Bari, laddove non sorprende trovare un’aquila, emblema federiciano, rispettivamente in una mensola del cortile ed in cima al portale d’accesso al castello.
Al di là della motivazione religiosa, la presenza enfatizzata dell’aquila, in contesti d’ambito ecclesiale di stesura duecentesca, sembra configurarsi come sigla
dei tempi: un segno della presenza imperiale diffusa per il tutto o della imperiale
protezione, un gesto di omaggio, un’allusione intrisa di rispetto, o di piaggeria,
alla messianica concezione del potere provvidenziale dell’imperatore, promossa e
divulgata dalla Corte, conferendo sfumature politiche ad un soggetto intimamente
sacro, ovvero sacralizzando, fagocitandolo in un contesto di valenza religiosa, un
simbolo politico qual’ è l’aquila degli Svevi.
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Il rosone
Sebbene costituisca un elemento a se stante, il rosone forma col portale un imprescindibile insieme; se il protiro e il portale appena esaminati raccontano come,
preannunziato dai profeti e a conferma dei loro vaticini, il Cristo si sia incarnato
in una Vergine, abbia patito e sia morto e tuttavia abbia trionfato sulla morte e
portata a compimento la sua missione redentrice, entrando nella storia del mondo,
santificandola ed incanalandola verso una conclusione gloriosa, il rosone mette a
conoscenza degli strumenti adottati dal Signore per partecipare agli uomini tutti
il suo ruolo salvifico: il Vangelo e i suoi propagatori [fig. 25].
Per questo è fondamentale la scelta di decorarne la cornice intermedia con la
sequenza dei busti degli Apostoli, ciascuno munito del rotolo delle Scritture che
è chiamato a diffondere, ai lati del busto del Cristo Pantocrator, riconoscibile dal
nimbo crocesignato e recante il libro aperto della Parola rivelata; la formula delle
mezze figure allineate è debitrice delle decorazioni miniate attestate, ad esempio,
così da un’opera arcaica, l’Exultet della cattedrale di Bari, come da una tarda, ad
affresco ma ispirata alle miniature, l’Albero della Croce, nella chiesa brindisina
del Casale.
La presenza degli apostoli non è rara sulle facciate delle chiese pugliesi: fino
agli esempi trecenteschi dei portali della chiesa matrice di Bitetto e di Santa Caterina a Galatina, essi si allineano, oltre che nel citato portale di Rutigliano, dove
è riutilizzato un reperto più antico, lungo la ghiera dell’arco nel protiro della cattedrale di Ruvo, in un’impostazione di ascendenza oltralpina comune a quella
degli episodi dell’Infanzia a Santa Maria delle Cerrate, e sul cupolino del citato
fonte di Pulsano, dove si schierano a gruppi di tre, ancorché corrosi, alle spalle
dei simboli degli Evangelisti, in corrispondenza degli spigoli dei quattro fronti
del monumentale manufatto.
Di particolare interesse si rivela un altorilievo smembrato (XII secolo), attualmente erratico ma proveniente, sulla scorta di analoghi esempi sulla via di pellegrinaggio per Compostela [fig. 26], come la coeva facciata rettilinea di Santiago
de la Riva a Carrion de los Condes11, dal distrutto portale del duomo vecchio di
11
R. OURSEL, La via Lattea. I luoghi, la vita, la fede dei pellegrini di Compostela, Jaca Book, p.149 e fig. 69.
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Fig. 27-28. Molfetta, duomo vecchio: altorilievo frammentario raffigurante Cristo, gli apostoli,
vescovo e diacono
registri sovrapposti - sheol, terra, volta celeste con i quattro segni zodiacali fondamentali, acque al di sopra del firmamento, cesura nel corso degli astri per segnalare l’ingresso di Dio nel tempo umano - sormontati in controfacciata e in
filigrana dalla Traditio Legis, che all’interno fronteggia, a perenne monito, il vescovo celebrante.
A Trani, gli stipiti marmorei del portale, dedicati all’Antica e alla Nuova Alleanza introducono alla porta bronzea, apoteosi del Verbo incarnato.
Sulla nostra facciata, ai lati del rosone con il Cristo e gli apostoli, si collocano
solo due dei quattro simboli degli evangelisti costituenti il Tetramorfo, propriamente i due che furono discepoli di Gesù. Associati da sant’Ireneo (Adversus haereses, III, 11) ai quattro Esseri che nelle visioni di Ezechiele e Giovanni attorniano
il trono di Dio, essi sono generalmente raffigurati dotati di ali, ma non sempre: la
facciata della chiesa di sant’Adoeno, a Bisceglie, li presenta, ovviamente ad eccezione dell’aquila, sprovvisti di ali, disposti intorno al rosone; meno frequente di
quella tradizionale, la versione aptera, più che l’escatologica visione dei Cieli
aperti, intende comunicare un messaggio di più umano coinvolgimento, in quanto
si tratta di un’interpretazione cristologica dei quattro Viventi, che vede rappresentati in essi i quattro momenti principali della vita terrena di Gesù: Nascita,
Morte, Resurrezione, Ascensione; propriamente, secondo la lapidaria definizione
di Onorio di Autun (sec.XII): Christus erat homo nascendo, vitulus moriendo, leo resurgendo, aquila ascendendo13.
13
HONORII AUGUSTODUN, Speculum Ecclesiae, De AscensioneDomini, in Patr. Lat. CLXXII, col. 956; cfr.
L. REAU, op. cit., tomo II, vol. II, pp. 44-45.
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Fig. 29. Taurisano, chiesa di S. Maria della Strada, rosone e simboli di s. Matteo e s. Giovanni
Il privilegio assegnato, a Taurisano, all’uomo alato di s. Matteo [figg. 29-30]
e all’aquila di s. Giovanni si associa alla necessità tutta estetica di evitare ripetizioni, essendo gli altri due simboli, il toro di s. Luca e il leone di s. Marco, già
adottati nel sottostante protiro, con le varianti imposte dal dettato iconologico.
Inoltre, Matteo e Giovanni forniscono un superbo commento all’intera compagine della facciata: E Gesù disse loro: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.
Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono
con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 18-20) e un riepilogo esemplarmente incisivo, in cui insistono con limpida evidenza le linee essenziali del
tema trattato: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi (Gv
20, 21), stabilendo un saldo legame fra l’Annunciazione e il Cristo e gli Apostoli.
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Fig. 30. Taurisano, chiesa di S. Maria della Strada, rosone e simbolo di s. Matteo
Osservazioni conclusive
Inaspettatamente, nell’estremo lembo del Salento, dove per tutto il medioevo
la sensibilità cromatica prevarica quella plastica e, nell’ambito di quest’ultima, al
sapiente e nitido intaglio della docile pietra locale vengono di solito affidati ruoli
ornamentali ed aniconici, la facciata della chiesa di Santa Maria della Strada si presenta perfettamente consapevole del ricco patrimonio iconografico romanico della
Puglia centrale; è tanto più straordinaria in quanto isolata, e tuttavia collegabile
ai grandi complessi scultorei più celebri, spesso inerenti a chiese cattedrali, dislocati lungo le vie più famose di Puglia, a loro volta in collegamento con i più importanti percorsi che interessavano l’Europa e la Terrasanta, e databili agli ultimi
decenni del XII secolo, con integrazioni che, come a Bisceglie e a Rutigliano, non
superano la prima metà del successivo.
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In una terra in cui il persistere del rito ortodosso sarà documentato ancora
molto a lungo, la nostra piccola chiesa, dotata di un apparato scultoreo di una
perentoreità sproporzionata alle sue dimensioni, sembra porsi, al suo sorgere,
come un avamposto, una postazione del rito latino, solo in seguito recuperata
alla sensibilità, sempre preminente nel Salento, di marca bizantina con l’apposizione delle iscrizioni in lingua greca e l’incasso della meridiana, datate all’inoltrato XIV secolo15 e che hanno condizionato, con la loro palese evidenza, la
datazione della chiesa.
La visione ravvicinata del bassorilievo svela, però, l’ingegnoso espediente adottato per realizzare i cartigli su cui vennero incise le iscrizioni, non immediatamente
percepibile per un fenomeno di prospettiva da parte di chi guardi, come di norma
avviene, il portale dal basso; i piccoli pannelli rettangolari, non perfettamente coerenti con l’immagine e non previsti in origine, sono stati ottenuti scalpellando il
fondo e arretrandolo, con una inclinazione progressiva che parte dal filo della lastra
alla base e, abilmente scontornando le sagome delle figure, raggiunge circa sette
centimetri lungo il bordo superiore, permettendo di lasciare, rilevate, le brevi sezioni destinate ad accogliere le iscrizioni; non essendo risultati sufficienti i cartigli,
parte di queste interessò la novella superficie di fondo.
L’immagine, intesa come scrittura decifrabile, deve la sua possibilità di lettura
alle chiavi d’accesso di cui sia munito il lettore, senza le quali d’altronde ogni lingua resterebbe morta: quando il contesto iconologico della facciata di santa Maria
della Strada fu elaborato e commissionato, esso doveva possedere innanzitutto un
requisito: la comprensibilità; doveva corrispondere ad una effettiva necessità, senza
correre il rischio inconcepibile che un così oneroso manufatto riscontrasse soltanto
uno sterile moto di epidermica ammirazione.
Presto dappertutto la catechesi delle immagini sarebbe divenuta appannaggio
esclusivo delle forme narrative, sull’onda dell’esigenza della capillare diffusione
di una cultura religiosa divulgata, promossa in prima istanza dagli ordini mendicanti e predicatori: emblematico è il caso di Santa Maria del Casale presso Brindisi,
luogo eminente di devozione sia popolare che colta, già eretta al limitare del ’200
15
A. JACOB, L’orologio solare “Bizantino” di Taurisano in Terra d’Otranto, in Architettura Medievale in
Puglia, cit., pp. 57-72.
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Pertanto, l’onesto vicario capitolare De Rossi è persona degna di fede; quando,
nel 1711, compì a Taurisano la sua diligente visita pastorale, che ci illumina sull’aspetto della chiesa di Santa Maria della Strada al suo tempo, si dimostrò attento
nell’osservare, avveduto nell’identificare e corretto nell’annotare; segnalò le immagini del Salvatore e degli Apostoli nella cornice del finestrone circolare, riconobbe i simboli degli evangelisti che ancora vediamo, coinvolgendo nel novero
dei quattro anche il toro e il leone, dei quali l’antica lettura era ormai desueta; riportò quindi, lealmente, notizia di una tradizione raccolta sul posto e, si aggiunga,
attendibile, che la chiesa, cioè, fosse stata eretta intorno al 1250 con pubblico denaro; nulla vieta di credergli quando afferma di aver tentato di decifrare una data
duecentesca16:
Visitavi ecclesiam S. Mariae della strada, antiquitus erectam aere Universitatis... Supponitur ex traditione istam ecclesiam fuisse aedificatam de anno 1250 circiter ex antiqua
inscriptione parum hodie apparenti in frontispitio ecclesiae in quo adest imago Annunciationis B. V. litteris grecis expressa angelica salutatione. Ibi adest speculum magnum lucis
introeuntis cum symbolis evangelistarum, et in circulo speculi adsunt figurae Salvatoris et
Apostolorum lapide sculptae. Quella data misteriosa doveva essere ancora visibile e
passibile di interpretazione un secolo più tardi o, comunque, presente alla memoria
di chi dipinse l’iscrizione datata 1825, emersa dagli ultimi restauri17, che farebbe
risalire al 1225 la fondazione della chiesa.
In base a quanto si è detto, la chiesa di santa Maria della Strada, indipendentemente dalle sue successive vicende, che esulano dalla presente trattazione, si rivolge serena, allorché ne viene ornata la facciata, a viandanti che possano sostarvi
davanti riflettendo su divini misteri che sa loro rammentare, in età federiciana,
entro il secondo quarto del XIII secolo, in armonia, sulla scorta dei riferimenti
iconografici ed iconologici proposti, con la variegata temperie culturale che ne ha
prodotto, consapevolmente, l’apparato scultoreo.
Referenze fotografiche: Archivio fotografico delle Soprintendenze B.A.P. e B.S.A.E. della Puglia. Le fotografie relative
alla chiesa di Santa Maria della Strada sono: Archivio Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici Diocesi di Ugento- S. Maria
di Leuca, Roberto Rocca, Antonio Ciurlia e Stefano Tanisi.
16
Visita Pastorale di Monsignor De Rossi, Appendice a A. LAPORTA, S. Maria della Strada: Storia ed Arte,
in Architettura .. cit., p.85.
17
A. CIURLIA, I restauri della chiesa di S. Maria della Strada, in S. Maria della Strada.. cit., p.110.
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Affresco Madonna di Costantinopoli, part. Taurisano, santuario Madonna della Strada
STEFANO CORTESE
Santa Maria della Strada
dal XIII al XVI secolo
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Taurisano, santuario Madonna della Strada: interno
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Le origini del sacro edificio sono controverse. Se la visita pastorale di mons. De
Rossi1 (1711) autorizza ad una datazione vicina al 1250, alcuni confronti artistici
(degli elementi oggi visibili) spostano la datazione tra la fine del XIII e gli inizi
del XIV secolo.
Convincenti sembrano essere, a tal proposito, gli accostamenti con alcune chiese
coeve del romanico salentino, tra cui quella della Madonna della Lizza ad Alezio,
san Francesco a Specchia Preti, Madonna del Casale ad Ugento2 e le chiese tarantine di santa Maria della Giustizia e san Domenico; proprio in quest’ultima, nelle
prima metà del XIV secolo, è sepolto un tale Giovanni de Taurecsano, a personale
avviso il probabile committente dell’edificio (o eventuale rimaneggiamento) di
Taurisano. È noto infatti che la famiglia De Hugot, assunse la denominazione De
Taurecsano dopo la calata angioina; il sacro edificio inoltre, come nel caso anche di
Alezio, presenta elementi architettonici tipici del gotico di derivazione francese,
tra cui l’arco ogivale. Non si esclude tuttavia, una origine più antica del tempio,
con il portale superstite della primitiva chiesa.
Altri indizi inoltre fanno propendere per una volontà da parte di una committenza di rango, tra cui l’assenza di conci di reimpiego e soprattutto le ampie dimensioni dell’edificio per l’epoca: per avere una chiara idea, si confronti il santuario
in questione con l’ex chiesa -a personale avviso coeva alle vicende del santuario- di
1
AVU (Archivio Vescovile Ugento) 1711, ff. 9-10. «supponitur ex traditione istam ecclesiam fuisse
aedificatam de anno 1250 circiter ex antique inscriptione parum hodie apparenti in frontispitio ecclesiae
in quo adest imago Annunciationis B. V. litteris grecis expressa angelica salutazione».
Il Tasselli propone (Antichità di Leuca, 1693, pp. 136-137; 204-205) una data, ovvero quella del miracolo
del 1008, quando l’apparizione mariana mise in fuga i due malintenzionati e salvò il mercante; quest’ultimo fece erigere la chiesa, facendola cingere con una cintola. Il rituale viene svolto ogni anno, l’8
settembre (giorno della Natività di Maria).
2
La poco conosciuta chiesa del Casale di Ugento, presenta forti analogie con la chiesa di san Giovanni
Battista a San Cesario. Con il santuario Madonna della Strada condivide, inoltre, la presenza degli archetti pensili e la presenza dell’Agnus Dei sulla facciata, elemento comune all’epoca.
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Tralascio in questa sede l’analisi della facciata che sarà oggetto di uno studio
decisamente più esauriente e significativo da parte della dott.ssa Pasquale. Voglio
innanzitutto soffermarmi su alcuni particolari del muro meridionale. Come rilevato in un saggio scritto a più mani nel 20055, sono ancora visibili le buche pontaie, indizio pesante per immaginare una copertura a doppia falda del primitivo
tempio; la zona presbiteriale però, separata all’interno da una iconostasi rinvenuta
durante gli scavi, era coperta da una volta in muratura, tanto che proprio nel punto
di separazione tra bema e naos la parete inizia ad ispessirsi (come è visibile anche
in altre chiese, tra cui quella di san Francesco a Specchia). Sempre sul muro meridionale, nella zona est, è visibile un orologio solare [fig. 1], secondo Jacob6 unico
esemplare in Italia con caratteri greci. Incassato a circa 6,35 m dal suolo, è ricavato
da un unico blocco di pietra a forma di cerchio dal diametro di 59 cm con gnomone metallico moderno. La prima parte dell’iscrizione primitiva è costituita dalla
ben nota formula Ίησοϋς Χριστός νικα, i cui quattro gruppi di lettere, delimitati da punti, sono collocati alle estremità della croce. Tale iscrizione è attestata
anche ad Acquarica (in santa Maria della Grotta) e sullo stampo eucaristico trecentesco di Ugento7, con caratteri abbastanza tipici del XIV secolo salentino. Alle
estremità dei raggi furono poi aggiunte altre lettere. Il lato meridionale, oltre
alla scansione in alto degli archetti pensili, presenta l’ingresso minore, sormontato
da una bifora cieca ad arco trilobo [fig. 2] e che ricorda gli identici motivi decorativi presenti in alcune chiese, come per le cornici dei santi Stefano ed Elia ad
Alezio. Proprio il motivo dell’arco trilobo, comunissimo all’epoca, potrebbe essere
la quinta pittorica dei santi e scene di gusto bizantino che si dipanavano all’interno
del sacro tempio, purtroppo oggi non più presenti8.
5
P. ARTHUR e altri, op. cit.
A. JACOB, “L’orologio solare bizantino di Taurisano in terra d’Otranto”, in M. CAZZATO - A. DE BERNART,
Architettura medievale in Puglia. S. Maria della Strada a Taurisano, Congedo, Galatina, 1992, pp. 57-71.
7
Cfr. R. JURLARO, “Nuovi stampi eucaristici dal Salento in contributo per la storia della liturgia eucaristica e greca in Italia”, in Bollettino della Badia greca di Grottaferrata n. 17, 1963 p. 155.
8
La soluzione ad arco trilobo è presente nel santuario della Lizza ad Alezio (sant’Elia e santo Stefano)
come intaglio nella pietra, ma anche dipinto; altri esempi dipinti sono nella cripta sant’Antonio Abate
di Nardò, Centopietre di Patù, cripta di san Marco a Ruffano e nella chiese Madonna dei Panetti e san
Nicola in Celsorizzo ad Acquarica del Capo. All’epoca si sviluppa anche una particolare forma di cornice,
a piccole fasce con all’interno delle croci dipinte, tipico della pittura tarda-bizantina: alcuni esempi
sono visibili nell’affresco Madonna in trono con Bambino nella cripta del Crocefisso di Ugento, chiesa
S. Maria di Miggiano a Muro e nella santa Marina nel santuario della Lizza di Alezio.
6
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gine e san Leonardo (con committente di piccolo taglio), un’Annunciazione con
l’impaginazione di richiamo quattrocentesco (Beato Angelico) e sant’Antonio
Abate.
Infine, vorrei soffermare la vostra attenzione, su un dittico affrescato sul muro
di fondo est. Nel lontano 2004 proposi una identificazione con i santi Stefano e
Lorenzo [fig. 4]11, in quanto indossano la dalmatica e, da quanto si può intravedere,
uno dei due ha la pelle olivastra e regge un cofanetto; a causa della presenza di
quest’ultimo attributo, non si può escludere l’identificazione del dittico con i santi
Medici, così come può emergere dai confronti con gli affreschi presenti nella chiesa
di san Nicola in Celsorizzo ad Acquarica (1283) e la coeva chiesa di santa Maria
di Miggiano a Muro Leccese, quale attributo di san Damiano. Ad oggi nessun studioso ha avuto modo di argomentare in merito: spero che quanto prima l’opera
possa essere studiata, al fine di dispensare nuovo lustro alla storia di questo magnifico tempio.
Fig. 4. Dittico. Taurisano, santuario Madonna della Strada
11
S. CORTESE, Cappella dell’Annunciazione. Gli affreschi, Targetcom, 2004.
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S. LILLO (attr.), Madonna della Strada, part. Taurisano, chiesa matrice
STEFANO TANISI
Saverio Lillo e il dipinto
della Madonna della Strada
di Taurisano
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Fig. 1. S. LILLO (attr.), Madonna della Strada. Taurisano, chiesa matrice
- 102 -
Nella chiesa matrice di Taurisano vi è un dipinto devozionale raffigurante la
Madonna della Strada o delle Grazie [fig. 1].
La grande tela, di cm 213 x 137, a centina mistilinea, è posta nell’ala sinistra
del transetto, sulla porta d’accesso alla scala che conduce al campanile.
La composizione è sobria e classicheggiante e si articola secondo un comune
schema piramidale: in alto, seduta su seggio di nuvole, è la Vergine avvolta da un
ampio manto blu e da una veste rosa; essa guarda lo spettatore ed indica il Bambino [fig. 2] posto sul suo ginocchio. Intorno si affacciano gli angeli, di cui uno
in alto al centro con la corona sembra scendere per incoronare Maria; a sinistra un
angelo inginocchiato osserva lo spettatore e indica la Vergine.
In basso a destra, in primo piano, un uomo in ginocchio offre un cordone dorato
ad un’immagine del volto di una Madonna col Bambino [fig. 3], che, rinchiusa
in una cornice ovale, risalta su di un’edicola votiva; leggermente arretrato è invece
l’altro uomo, appena smontato da cavallo, che osserva la scena e diventarne testimone.
La scenetta, secondaria rispetto all’iconografia mariana predominante, allude
al miracolo della Madonna della Strada, che secondo la tradizione riferisce di un
mercante carico di merce preziosa che, passando davanti ad una chiesetta, fu assalito da briganti saltati fuori dalla boscaglia. Il malcapitato chiese repentino l’intercessione della Vergine per sopravvivere all’agguato e, ottenuta la grazia, volle
dimostrare la propria gratitudine facendo fondere gli oggetti preziosi trasportati
per farne un cordone di fili d’oro, con il quale recinse il piccolo tempio1.
*Il presente saggio, già edito nel 2010, è stato presentato il 06.09.2010 in un convegno tenutosi a Taurisano presso il Santuario della Madonna della Strada.
1
Cfr. G. RUOTOLO, Ugento-Leuca-Alessano, Siena 1969, terza edizione, p. 266; A. DE BERNART, La chiesa
di S. Maria della Strada a Taurisano e i pellegrinaggi nel basso Salento, in A. LOTTI - A. DE BERNART - R.
ORLANDO - A. CIURLIA, S. Maria della Strada, Taurisano 2000, pp. 31-32. Ora, in ricordo del miracolo,
la recinzione della chiesa avviene con una corda ricoperta di cera rossa.
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PAGINA 104 NON VISIBILE
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Fig. 3. S. LILLO (attr.), Madonna della Strada, part. del mercante. Taurisano, chiesa matrice
noto per aver eseguito tra il 1765 e il 1776 le numerose tele della chiesa matrice
di Ruffano, presente in tutta la Terra d’Otranto e, dunque, anche a Taurisano con
l’inedito dipinto di nostro interesse5.
Vi ritroviamo, infatti, i suoi peculiari tratti stilistici dal ductus narrativo alquanto semplice, la solita armonia e pacatezza nella gamma cromatica, le dolci
espressioni dei volti.
Il dipinto taurisanese, inoltre, rivela l’uso dei disegni preparatori e dei cartoni
impiegati dal Lillo in altri dipinti, evidenziando chiare analogie con le altre autografe esperienze pittoriche dell’artista: l’angelo svolazzante che incorona la Vergine è presente nella tela della Natività di Maria della chiesa matrice di Ruffano.
Simile è il Bambino con l’altro raffigurato sulla tela della Madonna del Carmine e
santi (1778)6 conservata nella chiesa matrice di Gagliano del Capo. Ed ancora,
5
Per il pittore ruffanese e il dipinto in questione confronta il mio lavoro di tesi Il “Sacro” nella sintassi
pittorica di Saverio Lillo, Accademia di Belle Arti di Lecce, a.a 2004\05, relatore prof. Franco Contini.
6
Il dipinto è firmato e datato “LILLO P. 1778”
- 105 -
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
h)
a) S. LILLO, Natività della Vergine, part. Ruffano, chiesa matrice
c) S. LILLO, Madonna del Carmine e santi, part. 1778. Gagliano del Capo, chiesa matrice
e) S. LILLO, Immacolata, part. Gagliano del Capo, chiesa S. Francesco da Paola
g) S. LILLO (attr.), Madonna col Bambino e san Giovannino. Leuca, basilica
b - d - f - h) S. LILLO (attr.), Madonna della Strada, part. Taurisano, chiesa matrice
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PAGINA 107 NON VISIBILE
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FRA. TEMPESTA, Madonna della Strada. Taurisano, santuario Madonna della Strada (foto S. Tanisi)
SALVATORE ANTONIO ROCCA
L’affresco dell’Annunciazione
e il culto del Sacro cordone
in Santa Maria della Strada a Taurisano
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Cappella dell’Annunciazione. Taurisano, santuario Madonna della Strada (foto S. Tanisi)
- 110 -
Entrando nel Santuario di Santa Maria della Strada in Taurisano, notiamo subito
sul lato sinistro della navata principale una bassa arcata ogivale sorretta da due
pilastri in muratura, dalla quale si accede alla cappella dell’Annunciazione del
tutto affrescata.
La sorpresa e la meraviglia colgono il visitatore dopo i lavori di restauro dell’anno 2004. È un tripudio decorativo che si articola in due cicli pittorici realizzati
da diverse maestranze, e lo si capisce dalla similitudine di intonaco per lo stato di
conservazione, e soprattutto dalla iconografia, la prima di derivazione artistica
quasi sicuramente della fine del XV secolo, dalla iconografia bizantineggiante, la
seconda invece di derivazione molto più modesta, ma con scelte iconografiche che
si stringono al pensiero teologico francescano.
Rimanendo sul primo ciclo di affreschi, possiamo notare sulla parete che guarda
ad ovest, l’icona più importante della cappelletta, icona, alla quale è dedicata la
stessa, sicuramente la più preziosa, questo è un esempio di culto derivato, ossia
ripreso da quella che è la scultura esterna posta sulla facciata principale del Santuario stesso. L’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele a Maria SS. “Ecco concepirai
un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”. Facendo un’attenta analisi delle Sacre
Scritture possiamo ritenere che in quell’attimo abbia avuto luogo l’incarnazione
di Gesù. La festa dell’Annunciazione cade il 25 marzo esattamente nove mesi
prima della natività. L’assidua presenza di questo tema nell’arte religiosa denuncia
la sua importanza dottrinale.
Gli ordini monastici e le confraternite laiche erano spesso intitolati all’Annunciazione e, poiché ad essa erano dedicate molte chiese, cappelle ed altari, il soggetto
si diffuse nei luoghi di culto. I tre elementi essenziali della sua iconografia sono
l’Arcangelo, la Vergine e la colomba dello Spirito Santo che discende su di lei,
come nella rappresentazione scultorea posta all’esterno del Santuario, nell’iconografia interna invece la colomba dello Spirito Santo non è rappresentata.
Sembra che in occidente, il tema abbia fatto la sua prima comparsa nell’arte
religiosa gotica. È raro che non si accompagni ad elementi simbolici supplementari, tratti dai Vangeli apocrifi e dalla legenda Aurea. San Bernardo ed altre auto- 111 -
revoli figure religiose, hanno dato risalto al fatto che l’evento ebbe luogo in primavera; di qui il motivo del fiore nel vaso, che più tardi fu il giglio, simbolo di
purezza di Maria; dall’altra parte, lo stesso vaso, attraversato dalla luce, era un
simbolo dell’Incarnazione, non diversamente le finestre attraversate dai raggi luminosi che compaiono in tante raffigurazioni del tema, così come a Taurisano,
dove l’Arcangelo Gabriele e la Vergine Maria sono inquadrati in due arcate con
delle colonne con capitelli in stile corinzio dove si vedono ben quattro finestre.
Nelle raffigurazioni dell’Annunciazione spesso vi è il letto, che compare nella
stanza della Beata Vergine, è il simbolico Thalamus Virginis della sua unione con
Dio. La rocca e il cesto di lana raffigurati in certe opere medievali alludono alla legenda secondo cui la Vergine Maria fu allevata nel Tempio di Gerusalemme, dove
filò e tesse per i sacerdoti. Nelle iconografie classiche l’attributo più frequente è
il libro in mano della Vergine, a Taurisano è rappresentato sulla scultura esterna
in mano alla vergine, mentre nell’iconografia interna è appoggiato in modo aperto
sulle ginocchia della Vergine, esso secondo San Bernardo riporta la famosa profezia
di Isaia, tra l’altro scolpito sul capitello esterno del santuario, “Ecco la Vergine concepirà e partorirà un Figlio”. Anche il libro chiuso in mano a Maria era considerato
un’allusione a Isaia (Isaia 29,11-12): “Per voi ogni visione sarà come le parole di un
libro sigillato”.
Le scritte sui cartigli o fogli di pergamena sono frequenti nell’iconografia dell’Annunciazione, soprattutto nella pittura olandese. Dalla bocca dell’Arcangelo
escono le parole “Ave Maria” o “Ave gratia plena Dominus tecum” (Luca 1,28) da
quella della Vergine l’espressione: “Ecce ancilla Domini” (Luca 1,58). Queste ultime
parole a volte sono rappresentate rovesciate in quanto a leggere deve essere Dio
Padre che compare in cielo, e in altri casi come possiamo notare sulla scultura
esterna del santuario di Taurisano sono scolpite in lingua greca. La Vergine è raffigurata in piedi o seduta si volge lateralmente in un gesto di turbamento. Ma
l’Arcangelo le disse: “Non temere Maria …”.
L’Arcangelo Gabriele è alato e nell’iconografia tradizionale porta una vesta
bianca. Può essere raffigurato mentre scende verso Maria, ma più spesso è dinanzi
a lei, in piedi o in ginocchio. Nella pittura italiana del XVI secolo sta su una nuvoletta, il che allude alla sua provenienza dal cielo. Nell’iconografia più antica
regge uno scettro sormontato dal giglio araldico, che è un suo attributo; più tardi
questo si tramuterà nel fiore del giglio. Nella pittura senese invece, a causa dell’inimicizia tra Siena e Firenze, l’Arcangelo Gabriele regge un ramo d’ulivo in
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PAGINA 113 NON VISIBILE
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Affresco dell’Annunciazione. Taurisano, santuario Madonna della Strada (foto S. Tanisi)
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inaugurò un’ambientazione completamente
nuova. A partire dal XVI secolo viene progressivamente abbandonata ogni raffigurazione di strutture architettoniche: il fondo
va stemperandosi in un cielo percorso da
nubi dal quale scende in una luce abbagliante la colomba, per ricordare allo spettatore che esiste una diretta comunicazione tra
la terra e il cielo.
A questo punto considerate le varie sfaccettature delle immagini dell’Annunciazione
poste sia sulla facciata esterna che all’interno
della cappelletta, possiamo indicare con
molta probabilità che originariamente la
chiesa di Taurisano aveva il titolo canonico
dell’Annunciazione, in seguito tramutato
con la Natività di Maria, successivamente
con Santa Maria delle Grazie, infine Santa
Maria della Strada.
Sicuramente possiamo considerare che in
questo luogo i taurisanesi da secoli venerano
con molta devozione il culto mariano, culto
accresciuto dai francescani in quanto con
molta probabilità già nel 1534, i Francescani
officiavano in Taurisano e potevano appartenere ai Francescani dell’Ordine dei Minori
Osservanti. Tale supposizione viene fatta in
quanto nella chiesa di Santa Maria della
Strada vi è un affresco in cui è raffigurata
Santa Maria di Costantinopoli, il quale si
trova nella cappelletta detta dell’Annunciazione, edificata affianco alla chiesa di Santa
Maria della Strada nel Cinquecento. Si può
pensare che la cappelletta in questione probabilmente fu edificata per via devozionale,
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poteva assolutamente portare tale culto in Taurisano, in quanto era sconosciuto
nella loro città di provenienza, ed inoltre, lo possiamo dedurre dai riti sacri che
essi fecero celebrale nella chiesa da loro costruita in Galatina titolata a Santa Caterina. A questo punto possiamo credere con molta probabilità in quanto anche
in questo caso non esistono dei documenti storici da confrontare, ma crediamo di
dover ragionare con logica, crediamo che il culto del Sacro cordone in Taurisano
sia stato importato sicuramente da altri paesi stranieri molto più vicini alle regioni
meridionali dell’Italia, paesi che ebbero una grande influenza religiosa sulle popolazioni salentine, considerando ancora che nel 1250, in molte chiese della nuova
Diocesi di Ugento, si celebrava il Rito Ortodosso.
Le prime forme di “peregrinatio Mariae” sono attestate nel XI secolo e il santuario di Santa Maria della Strada è stato costruito probabilmente nel 1250, come si
evince dagli atti della visita pastorale del 14 giugno 1711 di Mons. Tommaso de
Rossi, conservati presso l’Archivio storico della Diocesi di Ugento.
L’ipotesi più verosimile è quella che il culto del sacro cordone sia coevo alla
costruzione della chiesa, poiché un’analogia è riscontrata in Francia e precisamente
ad Arres a circa 50 Km da Valenciennes, la cui Cattedrale custodisce un presunto
“Sacro Cordone”. Anche in questo caso la data di costruzione della chiesa varia tra
l’XI e il XII secolo. Tale cordone è stato donato alla Città di Arres come ex voto
per il miracolo riguardante la guarigione da una paurosa epidemia di peste nera.
Si tratta di un miracolo attribuito alla Santa Vergine.
Sempre in Francia, a Contes, vicino a Nizza, è venerata la Vergine della Cintura
e anche in questo caso nella prima decade di settembre. Tale culto non è diffuso
solo in Francia, ma anche in alcune zone dell’Italia settentrionale, la cui origine,
anche in questo caso, risale ai secoli XIII-XVI e viene festeggiata ancora nella
prima decade di settembre.
Il culto del Sacro Cordone deriva perché mancando le reliquie temporali dalla
Santa Vergine, a causa della Sua Assunzione in Cielo, ci si è accontentati d’altri
tipi di reliquie, come vesti, cimeli, capelli o il latte.
Ma le origini della fede sono da ricercare, o meglio da rintracciare, nell’Oriente ed in modo particolare in un capitolo di un Vangelo apocrifo e soprattutto a Bisanzio.
Si tratta di un capitolo del Vangelo apocrifo definito “il transito della Vergine
Maria”; nel capitolo XVII troviamo scritto: «Allora anche il beatissimo Tommaso
venne trasportato all’improvviso sul monte degli ulivi e vide il Beatissimo corpo della Vergine
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della Strada in Taurisano porta a considerare un culto e una devozione a tutto
campo, sull’intero ciclo della vita terrena di Maria che parte dall’Annunciazione
sino ad arrivare con il culto del Sacro Cordone all’Assunzione della Beata Vergine
Maria in cielo.
Nel concludere vorrei citare l’inno dedicato a Santa Maria della Strada dove
nella strofa iniziale si può leggere:
“Quando penso alla mia sorte che son figlio tuo, Maria, ogni affanno,
o Madre mia, s’allontana allor da me.
Se la Madre mia Tu sei, sei la Madre del mio Dio, che temer dunque
poss’io, o Maria se m’ami Tu?”.
Statua lignea ottocentesca del mercante. Taurisano, santuario Madonna della Strada (foto S. Tanisi)
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Convegno
San Marco
tradizione bizantina
a Ruffano
Ruffano, 23 aprile 2013
Affresco di San Marco, part. Ruffano, cripta di S. Marco (foto S. Tanisi)
CARLO VITO MORCIANO
Un esempio di illustrazione libraria bizantina
nell’affresco di San Marco della cripta
della chiesa del Carmine di Ruffano
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Affresco di San Marco. Ruffano, cripta di S.Marco (foto S. Tanisi)
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Nella seconda metà dell’Ottocento, Johan Jacob Tikkanen individuava la relazione artistica tra il duecentesco ciclo musivo delle Storie della Genesi, rappresentato
nell’atrio della basilica di S. Marco in Venezia, e le illustrazioni dell’antico codice
miniato Cotton Genesis, manufatto di scuola siro-palestinese del tardo V secolo.
Successivamente, grazie anche all’impulso del celebre storico Kurt Weitzmann,
nel Novecento si apriva un’importante fase di studi, nella quale si mise a fuoco il
rapporto tra l’illustrazione libraria bizantina e la pittura monumentale1.
Per quanto concerne le interazioni tra miniatura e pittura parietale, la Terra
d’Otranto rappresenta un interessante campo d’indagine, in particolare per la persistenza nei secoli della cultura bizantina riscontrabile sia nel campo cultuale che
nella produzione artistica. Il cospicuo patrimonio pittorico conservato in numerose
cripte del Salento meridionale, circoscrivibile nel fenomeno del culto italo-greco,
offre ampia testimonianza dello stretto legame stilistico che ha unito per lunghi
secoli le due sponde dell’Adriatico. Charles Diehl, durante la prima fase di studi
sull’arte bizantina nel Salento, ha individuato un nesso tra alcuni affreschi e le illustrazioni librarie bizantine2.Lo scrive negli anni trenta anche Alba Medea, la
quale rileva le interazioni di «alcuni affreschi di Poggiardo o di altre cripte come
quella di San Nicola a Faggiano con noti monumenti della miniatura bizantina»3;
a richiamare l’attenzione della studiosa è la «minuta e precisa rappresentazione
delle stoffe dei paramenti sacri»4 e la tipologia di colori utilizzati «più vicini alla
tecnica della miniatura»5.
1
K. WEITZMANN, Various aspects of Byzantine influence on the Latin Countries from the Sixth to the Twelfth
Century, in «Dumbarton Oaks Paper», XX, (1966), pp. 1-24; K. WEITZMANN, L’illustrazione del libro
nell’antichità, Spoleto, 2004; E. KITZINGER, «La miniatura nella pittura monumentale», in Uomini, Libri
e Immagini: Per una storia del libro illustrato dal tardo antico al Medioevo (a cura di L. SPECIALE), Liguori,
Napoli 2000; O. PÄCHT, La miniatura medievale, Bollati Boringhieri, Torino 2004.
2
Cfr. C. DIEHL, L’art byzantin dans l’Italie Méridionale, Librarie de l’Art, Paris 1894.
3
A. MEDEA, Osservazioni sugli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi, in «Japigia», VIII, (1937), p. 9.
4
C. D. FONSECA (a cura di), Gli insediamenti rupestri medioevali nel Basso Salento, Congedo Editore, Galatina
1979, p. 165.
5
A. MEDEA, Osservazioni sugli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi, op. cit., p. 9.
- 125 -
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- 126 -
Fig. 2. Affresco di San Marco, part. Ruffano, cripta di S. Marco
che nel suo insieme rappresenta un caso di «migrazione»9: ovvero del trasferimento
in ambito monumentale di un modello utilizzato soventemente per la decorazione
libraria.
L’affresco di San Marco [fig. 1], in mediocre stato di conservazione, è dipinto
sul pilastro centrale della struttura ipogea della chiesa del Carmine di Ruffano.
Un arco trilobato, a sua volta inscritto in una cornice rossa, racchiude la figura
del santo: il quale è intento a vergare le pagine di un codice aperto; la legenda in
greco MAPK, quasi del tutto erosa, presenta il nome dell’evangelista. Scendendo
nei dettagli [fig. 2], le pagine del codice riportano chiaramente i segni rettilinei
della rigatura: operazione che nella produzione libraria precede la vergatura. I caratteri capitali greci riconducono all’incipit del Vangelo di Marco, ivi si legge:
AP[.]HT
OV EV
AᴦᴦE
ᴧ[.]OV
I V X[.]
VIOV T
OV ΘV
ΩC Γ E
Γ P A
9
L’espressione è coniata dal Weitzmann in Illustration in Roll and Codex, Princeton University Press,
Princeton 1947, cfr. E. KITZINGER, «La miniatura nella pittura monumentale», op. cit., p. 78.
- 127 -
PAGINA 128 NON VISIBILE
- 128 -
Fig. 4. Affresco di San Marco (XIV sec.)
Sannicola, chiesa di S. Mauro
(foto S. Cortese)
Fig. 5. Part. di San Marco nello studio
dell’Evangeliario prodotto a Bisignano (Cs).
Napoli, Biblioteca Nazionale, Ms. Nap. gr. 9
Gli evangelisti12, considerando le peculiarità stilistiche di ogni realtà geografica, verranno così raffigurati nella maggior parte degli scriptoria medievali: dalle
coste d’Irlanda sino alle sponde del mar Nero13.
Proponendo un confronto stilistico, l’iconografia dell’affresco di Ruffano differisce dalle altre rappresentazioni parietali salentine14.
12
Differisce in alcuni casi la raffigurazione di S. Giovanni, la quale viene accompagnata dal discepolo
Prochoros in veste di scriba.
13
Cfr. H. BUCHTHAL, A Byzantine Miniature of the Fourth Evangelist and Its Relatives, in «Dumbarton
Oaks Papers», XV, (1961), p. 127-139.
14
L’affresco di Ruffano è dissimile dalle raffigurazioni salentine di altri santi ed evangelisti, come il
caso del S. Giovanni a Poggiardo e il S. Giovanni in Favana di Veglie, cfr.: C. D. FONSECA (a cura di),
Gli insediamenti rupestri medievali nel Basso Salento, op. cit., p. 160, p. 247.
- 129 -
Fig. 6. San Marco nello studio, part. Glasgow, University Library, ms. Hunter 475
- 130 -
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theca atramentarum; in ugual modo la manica lascia nuda la medesima parte di
avambraccio, formando così un angolo acuto. Analizzando le similitudini con i
panneggi si riscontrano le affinità cromatiche: il rosso per la veste, seppur con tonalità differente, e l’azzurro per il manto. Scendendo nel dettaglio, il mantello
sulla parte destra della spalla è proposto nella stessa finezza: nelle medesime forme
scende dal lato sinistro realizzando identiche masse e pieghe.
Anche il leggio presenta tratti comuni, in particolare l’apertura angolare del
piano superiore. Scompaiono le strutture architettoniche dal fondale e si riducono
i dettagli delle mobilie, nonché degli strumenti scrittori20. Rimane però viva la
raffinatezza dei panneggi, delle masse e l’accuratezza del volto, tanto da entusiasmare il Diehl, il quale giudica l’affresco «loin d’étre une oeuvre médiocre»21, e
Medea che ne segnala la «bellezza di colorito», «nobiltà di disegno e sicurezza di
composizione»22.
L’affresco ruffanese di S. Marco, insieme alla raffigurazione di S. Pietro, venne
probabilmente realizzato agli inizi del sec. XIV23, negli anni in cui il Salento maggiormente visse la «rinascenza -e resistenza- culturale» bizantina. Infatti, «tra l’ultimo venticinquennio del XIII secolo e l’inizio del XIV» è il periodo «che segna
il momento più intenso della produzione dei libri greci in Terra d’Otranto»24.
I manoscritti italo-greci vergati dai copisti salentini sono la testimonianza di
un’intensa attività intellettuale animata dalla cultura bizantina, che vede il Salento
come crocevia tra l’Italia meridionale e l’Oriente.
Pur considerando i vari problemi di metodo, legati in particolar modo alla perdita e alla dispersione del patrimonio librario prodotto nella Terra d’Otranto25, è
appurata l’ampia circolazione di manoscritti italo-greci nei paesi ad occidente
20
Negli evangeli bizantini miniati, sono frequenti i casi in cui la quinta architettonica è totalmente assente ed il fondale è completamente decorato a foglia oro.
21
C. DIEHL, L’art byzantin dans l’Italie Méridionale, op. cit., p. 87.
22
A. MEDEA, Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi, I, Collezione meridionale, Roma 1939, p. 148.
23
M. G. FALLA-CASTELFRANCHI, Pittura monumentale bizantina in Puglia, Electa, Milano 1991, p. 257
24
G. CAVALLO, «Libri greci e resistenza etnica in Terra d’Otranto», in Libri e Lettori nel mondo bizantino:
guida storica e critica, (a cura di) G. CAVALLO, Laterza, Bari 1990, p. 170.
25
Cfr. P. CANART, «Aspetti materiali e sociali della produzione libraria italo-greca tra normanni e svevi»,
in Libri e Lettori nel mondo bizantino: guida storica e critica, op. cit.
- 132 -
dell’asse Maglie - S. Maria di Leuca26: fenomeno particolarmente connesso all’attività culturale della Biblioteca del monastero di Casole. Inoltre, la trasmissione
e la copia dei testi avveniva specialmente in ambiente intellettuale-religioso, per
opera di chierici e sacerdoti.
A Ruffano, centro dove il culto italo-greco è per molti secoli fiorente27, è possibile che sia avvenuta una migrazione iconografica dall’illustrazione libraria alla
decorazione parietale; l’ipotesi è suffragata non solo dalla sopradetta analisi comparativa delle immagini, ma anche dalla significativa presenza in loco di copisti
italo-greci28.
Un proseguimento delle indagini comparative tra modelli illustrativi librari e
raffigurazioni parietali, circoscritto al Salento meridionale, può aggiungere ulteriori tasselli conoscitivi sia in ordine alla storia dell’arte medievale che nei riguardi
della coeva produzione e circolazione libraria italo-greca.
26
G. CAVALLO, «Libri greci e resistenza etnica in Terra d’Otranto», op. cit.: p. 165.
Mons. Giuseppe Ruotolo, scrivendo del culto greco a Ruffano, riporta le parole del vicario capitolare
di Ugento mons. De Rossi (1711): «La chiesa parrocchiale di questa terra era troppo angusta e costituita
a stile greco; il rito greco era osservato quasi fino ai nostri tempi e i rettori erano anche greci come
ancora si ricorda D. Gabriele Capasso, sacerdote greco e prozio del signor Beniamino Carozzo, nobile
di questa terra […]», p. 246: G. RUOTOLO, Ugento-Leuca-Alessano, Cantagalli, Siena 1969.
28
Esempio noto è Giorgio di Ruffano copista di un manoscritto greco (Brix. Quirin. A IV 3) conservato
presso la Quiriniana di Brescia, cfr. A. JACOB, «Culture Grecque et Manuscripts en Terre d’Otrante»,
in Atti del III^ Congresso Internazionale di Studi Salentini e del I^ Congresso Storico di Terra d’Otranto, (a cura
di) PIER FAUSTO PALUMBO, Centro di Studi Salentini, Lecce 1980, p. 74.
27
- 133 -
Affresco dell’Annunciazione. Ruffano, cripta di S. Marco (foto S. Tanisi)
STEFANO CORTESE
La cripta bizantina
di San Marco a Ruffano
- 135 -
Ruffano, cripta di s. Marco (foto S. Tanisi)
- 136 -
La funzione taumaturgica di alcuni santi sembra conoscere una nuova stagione
nei secoli XVIII-XIX quando, a una serie di culti di origine orientale vengono
abbinati alla guarigione di determinati parti anatomiche. Così come dimostrano
le ricerche effettuate nei registri in alcune parrocchie, diversi nomi di persona
quali Biagio o Ippazio, prendono piede solo a partire dalla fine del ’600 in poi: è
segno evidente che solo da quell’epoca ritornano in auge culti bizantini come san
Biagio (gola), sant’Ippazio (virilità maschile ed ernia), santa Marina (ittero), santa
Lucia (occhi), i ss. Medici (santi invocati per le prestazioni mediche). All’interno
di questa schiera, potremmo includere anche san Marco, un culto meno diffuso,
ma che viene invocato per la protezione dell’orecchio. Tre le probabili ipotesi per
le quali il santo viene identificato come il protettore dell’udito:
1- i versi iniziali del vangelo di Marco, gli stessi dipinti sull’affresco della cripta
di Ruffano, recitano: «Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. Voce di uno che GRIDA nel deserto». È chiaro il riferimento al
Battista, personaggio che veniva immaginato con la pelle di leone (in altri casi di
- 137 -
PAGINA 138 NON VISIBILE
- 138 -
Nelle cripte, a valenza soprattutto funeraria, i privati (ovvero coloro che si sono
fatti seppellire nelle tombe oggi esistenti) ci facevano campire i santi “più gettonati” dell’epoca, oltre che agli immancabili Cristo Pantocratore e serie di Madonna
con Bambino; tranne per il caso dell’Annunciazione, scena compendiaria del Mistero del Cristo, sono assenti nella cripta le scene cristologiche (dodekaorton), come
contrariamente avviene nelle chiese sub divo.
Purtroppo oggi della cripta di san Marco conosciamo ben poco: sita sotto la
chiesa Madonna del Carmine, probabilmente presentava due ingressi: il primo,
sito sotto l’attuale altare maggiore, è stato tamponato; il secondo, l’unico attualmente accessibile, si trova sul lato nord nel punto mediano della navata unica
della chiesa settecentesca (1713).
Oggi si presenta con una pianta irregolarissima. Lungo la scalinata di accesso
alla cripta, compaiono tracce di affreschi lungo le due pareti, costruite con blocchi.
Sulla parete sinistra è a malapena visibile quello che a personale avviso sarebbe
un Cristo Pantocratore [fig. 1], in quanto recante un nimbo crucigero su un poco
diffuso sfondo di colore porpora. A seguire, si scorge una figura femminile in
trono, con al centro un nimbo più piccolo sempre crucigero, presumibilmente,
secondo la personale interpretazione, una Vergine con Bambino. Sul lato destro
del dromos di accesso alla cripta, le tracce sono ancora più labili e di difficilissima
interpretazione, ma si intravede una figura maschile2.
Questo vano, con copertura a botte, potrebbe avere una datazione che, a personale avviso, non dovrebbe essere anteriore alla seconda metà del XIII secolo. Non
deve meravigliare la presenza di un corridoio di ingresso alla cripta, quasi sempre
dipinto: un caso simile lo si può ravvisare nella cripta di sant’Onofrio a Castrignano
dei Greci. Una volta avuto accesso nell’invaso, l’attenzione è catturata dalla presenza di un pilastro centrale con affrescato il santo titolare, san Marco [fig.2].
Inquadrato in un arco trilobo dipinto, il santo è riprodotto di tre quarti col
capo piegato; la figura si staglia su uno sfondo blu intento a scrivere i versi iniziali
del suo vangelo, piegandovisi sopra3.
2
Devo la segnalazione all’amico dott. Stefano Tanisi. Già Alba Medea (1939, 147) ci tramanda che «a
sinistra dell’ingresso si notano tracce confuse di un affresco, in basso resti d’iscrizione non più decifrabile:
MATN//// APE/// HCTOVKV».
3
Cfr. A. MEDEA, Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi, Roma, 1939, p. 257
- 139 -
Sono leggibili alcune lettere greche del
passo principiante il suo vangelo. È una
riproduzione desueta, tratta probabilmente da un repertorio librario (cfr. la relazione di Carlo Vito Morciano), mentre
in altre pitture coeve il santo veniva riprodotto sottoforma di leone ed associato
agli altri tre evangelisti, come nel caso
della parete est della stupenda chiesa di
san Nicola in Celsorizzo ad Acquarica del
Capo. La sensazione è che nel caso di Ruffano sia stata estrapolata una iconografia
consolidata da secoli per adattarla all’interno di una cornice allora in voga.
Frontalmente a san Marco, è posizionato l’affresco di san Pietro [fig. 3], opera
ascrivibile ai primi anni del ’3004, grazie
Fig. 3. Affresco di San Pietro.
anche all’utilizzo dell’impaginazione ad
Ruffano, cripta di S. Marco
arco trilobo dipinto che porta a dei confronti con la cripta di sant’Antonio Abate di Nardò e con la chiesa di santa Maria
della Lizza ad Alezio; all’esterno dell’arco inoltre, sono qui visibili alcuni motivi
decorativi fitomorfi a tralci. Il santo è qui riprodotto anziano, senza i consueti capelli ricciuti e benedicente alla greca; l’iscrizione esegetica greca conferma inoltre
l’identificazione. L’ubicazione di san Pietro che fronteggia san Marco non è un
caso: già in san Mauro a Sannicola i due santi ripetono la stessa collocazione, in
quanto l’ispiratore del vangelo di Marco fu proprio san Pietro. Un’altra raffigurazione di san Pietro in zona è riscontrabile nel sott’arco della cripta di santo Stefano
a Cursi.
Affianco a san Pietro, lungo una parete ricostruita a conci squadrati, è presente
un’Annunciazione [fig. 4] di datazione posteriore, tanto che Fonseca5 propone
4
Cfr. M. FALLA Castelfranchi, Pittura monumentale bizantina in Puglia, Electa, 1991, p. 257.
Cfr. C. D. FONSECa, Gli insediamenti rupestri medievali nel basso Salento, Congedo, Galatina, 1979, pp.
171-173.
5
- 140 -
PAGINA 141 NON VISIBILE
- 141 -
Nel pannello destro, palinsesto, nello strato originario, si scorge un personaggio femminile con il
maphorion, forse databile al primo ciclo decorativo
della cripta; lo strato superiore, da datarsi entro la
prima metà del ‘400, è visibile solo nella parte in
alto, dove si nota una figura dalla lunga barba bianca
e benedicente alla greca, secondo me molto simile
al sant’Elia presente in Nardò e Alezio o sant’Antonio Abate, allora culto già diffuso.
È estremamente difficile riconoscere l’individuo
di sinistra, apparentemente non palinsesto: collocabile al primo ciclo pittorico, si riconosce un cartiglio
in basso a destra con alcune lettere greche [fig.6],
forse san Giovanni Battista a causa del riconoscimento delle lettere “KV” finali, anche se il conteFig. 5. Dittico.
nuto del cartiglio sembra essere più pieno rispetto
Ruffano, cripta di S. Marco
alla consueta iscrizione di san Giovanni Battista6.
Infine, a risaltare il preminente ruolo privato
delle cripte, sono visibili alcune tombe con cuscino
litico [fig. 7], di orientamento diverso, databili al
periodo basso medievale. Colgo l’occasione concessami in questo convegno, per poter illustrare brevemente due vestigia bizantine importanti in
Ruffano.
Oltre alle due cripte (san Marco e del Crocefisso)
e all’antica presenza della chiesa di san Foca oggi
scomparsa (dove è sita la chiesa Madonna del Buon
Consiglio), Ruffano custodisce tracce archeologiche
semisconosciute.
Alle spalle della zona industriale, in località
Fig. 6. Part. delle lettere greche. Varna [fig.8], in prossimità della masseria omonima
Ruffano, cripta di S. Marco
con inclusa cappella san Michele, è presente una ne-
6
Si veda l’affresco del Battista nella chiesa Madonna dei Panetti ad Acquarica del Capo.
- 142 -
Fig. 7. Tomba.
Ruffano, cripta di S. Marco
Fig. 8. Necropoli medievale.
Ruffano, contrada Varna (Zona industriale)
cropoli medievale7, sita a qualche chilometro di distanza da un’altra necropoli posta
tra i feudi di Specchia e della stessa Ruffano, sempre da datare all’età medievale.
Infine, durante i lavori di qualche anno fa presso la chiesa matrice Natività
della Vergine, sono stati rinvenuti alcuni oggetti antichi. Undici monete bizantine
sono state recuperate nei sotterranei della chiesa, ospitate in poco più di una ventina di tombe superstiti, tra cui quelle all’interno di un vano voltato a botte in
epoca successiva. Ad una prima analisi, le monete sono dei follis [fig. 9] tutti da
attribuire all’epoca di Basilio II (X secolo): l’identica datazione delle monete in
bronzo, consente di avanzare l’ipotesi di una
datazione originaria del sacro edificio al X
secolo, oppure di un ripopolamento di Ruffano nello stesso periodo. I frammenti in ceramica risultano essere più tardi, come la
ceramica a bande strette di colore bruno
(XV-XVI secolo) e la ceramica da mensa in- Fig. 9. Monete bizantine.
Ruffano, chiesa matrice (foto S. Tanisi)
vetriata RMR (età angioina).
7
Devo la segnalazione, ancora una volta, al carissimo amico dott. Stefano Tanisi.
- 143 -
G. CARRONE (attr.), Altare maggiore, 1713, part. Ruffano, chiesa del Carmine
STEFANO TANISI
Aspetti storico-artistici
della chiesa del Carmine di Ruffano
- 145 -
Fig. 3. G. CARRONE (attr.), Portale, 1713, part. Ruffano, chiesa del Carmine
- 146 -
La chiesa della Madonna del Carmine
La chiesa del Carmine1 fu eretta nel 1713 sulle
fondamenta di quella di san Marco, la più importante a Ruffano tra le chiese di rito greco nei secoli
XV e XVII.
Dell’antico chiesa tuttavia resta parte del muro
perimetrale della facciata laterale nord (in corrispondenza dell’ultimo pilastro esterno di spinta),
dove compare un tratto di cornice lapidea, con
mensole e decorazioni trilobate, di fattura quattrocinquecentesca [figg. 1-2].
L’edificio è stato allungato verso ovest negli
anni ’60 del secolo scorso, con lo spostamento della
settecentesca facciata e del pregevole portale in pietra leccese [fig. 3] attribuibile allo scultore coriglianese Gaetano Carrone (1656-1733)2.
Appartiene all’ampliamento della chiesa, il finestrone circolare e una statua della Madonna del
Carmine in pietra inserita in una nicchia sopra il
portale [fig.4]3.
L’interno ad una sola navata, ha l’altare maggiore del 1713 in pietra leccese, attribuibile al
1
Figg. 1-2. Facciata nord della
chiesa; part. della cornice
a decorazione trilobata.
La presente relazione è un estratto di un mio lavoro più ampio, in corso di preparazione, dal titolo La
Confraternita SS. Trinità e Carmine di Ruffano. Parte del lavoro è stato pubblicato in S. TANISI, La chiesa
del Carmine di Ruffano. Guida alla visita e all’immagine, prefazione di A. DE BERNART, Ugento 2008.
2
Le due colonne e i relativi capitelli del portale -da come si può vedere da foto che ritraggono la facciata
prima dell’ampiamento degli anni ’60 del secolo scorso- sono state rifatte.
3
Cfr. A. DE BERNART, Pagine di storia ruffanese, Parabita 1965, pp. 21-24.
- 147 -
PAGINA 148 NON VISIBILE
- 148 -
Due dipinti su tela sono incastonati negli altari laterali edificati nell’800: quello
di sinistra rappresenta la Morte di san Giuseppe [fig. 7], opera autografa della pittrice
Maria Rachele Lillo (1768 - 1745) del 18325; l’altro, attribuibile sempre alla Lillo,
è datato 18266 e raffigura la Madonna del Buon Consiglio [fig. 8].
Al 1855 risalgono gli affreschi di Francesco Bove7, raffiguranti gli Apostoli, dipinti in una cornice ovale in stucco [fig. 9] e disposti a gruppi di sei nelle pareti
laterali. Sulla cantoria vi è l’organo del 1851 del magliese Vincenzo De Micheli8.
Interessanti sono la piccola settecentesca statua lignea della Madonna del Carmine
con il confratello in ginocchio che attende di ricevere lo scapolare9, l’ottocentesco
gruppo scultoreo in cartapesta della Santissima Trinità [fig. 10], una statua-manichino della Madonna Addolorata (che viene portata in processione con grande devozione nella sera del Venerdì Santo) e un Cristo morto (sec. XIX-XX) in cartapesta.
La cappella di san Marco
La cappella di san Marco è stata voluta ne 1997 dall’allora padre spirituale don
Nicola Santoro. Nella nicchia centrale è inserita la statua in cartapesta di San
Marco10 [fig. 11], mentre in quelle laterali sono esposti i numerosi ex voto in oro
e argento e la reliquia del santo [fig. 12]. Il culto di san Marco a Ruffano è molto
antico: abbiamo infatti, nella cripta sottostante la chiesa, un affresco che è stato
5
Il dipinto è firmato: “M[ari]a Rachele Lillo pitt[ric]e 1832”. L’artista è figlia del noto pittore ruffanese
Saverio Lillo (1734-1796). Le prime importanti opere autografe di questa pittrice sono conservate nella
chiesa dell’Immacolata di Cutrofiano, trattano scene della vita di Maria e sono datate 1794. Cfr. S. TANISI, I dipinti di Maria Rachele Lillo (1768-1845) nella chiesa dell’Immacolata di Cutrofiano, in V. LIGORI
- A. CALÒ - S. TANISI, La congrega dell’Immacolata un gioiello del barocco leccese a Cutrofiano, Cutrofiano
2009, pp. 44-59.
6
Il dipinto è datato nella parte inferiore A.D. 1826.
7
L’affresco di S. Matteo è firmato e datato “Francesco Bove P. 1855”.
8
Cfr. A. DE BERNART, Pagine di storia ruffanese, pp. 21-22 e ARCHIVIO STORICO CONFRATERNITA SS. TRINITÀ E CARMINE RUFFANO, Libro delle conclusioni della Venerabile Congrega SS.ma Trinità e Beata Vergine
del Carmine, atto del 2 novembre 1851. La conclusione ci informa che il presente organo è stato aquistato
per compra-vendita “che il prezzo dello stesso si fosse fissato per docati cento quaranta, donandosi anche l’organo,
e che il fabricante De Micheli si riaveva a titolo di anticipazione docati cento”.
9
Fino a qualche tempo fa si portava in processione poiché l’altra statua lignea era pesante da trasportare.
10
Prima la statua di S. Marco si custodiva nella nicchia della parete destra nei pressi dell’altare maggiore.
- 149 -
Fig. 5. G. CARRONE (attr.), Altare maggiore, 1713. Ruffano, chiesa del Carmine
- 150 -
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- 151 -
Fig. 6. Statua lignea della
Madonna del Carmine, XVIII sec.
Ruffano, chiesa del Carmine
Fig. 7. M. R. LILLO, Morte di San Giuseppe,
1832. Ruffano, chiesa del Carmine
Fig. 8. M. R. LILLO (attr.), Madonna del Buon
Consiglio, 1826. Ruffano, chiesa del Carmine
Fig. 9. F. BOVE, San Matteo, 1855. Ruffano,
chiesa della Madonna del Carmine
- 152 -
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- 153 -
Oggetti liturgici. Ruffano, chiesa del Carmine
- 154 -
Fig. 14. Ruffano 25.04.1963: Distributrice di ovatta benedetta in occasione della festa di san
Marco (foto tratta da Annabella Rossi e la fotografia. Vent’anni di ricerca visiva nel Salento in Campania,
a cura di V. ESPOSITO, Napoli 2003)
I confratelli hanno la loro tipica divisa: mozzetta celeste, cappuccio, tunica e
cordone rossi [fig. 16]. Legata a sinistra dalla mozzetta vi è un medaglione in rame
a forma romboidale con a sbalzo l’immagine della Madonna del Carmine [fig. 17].
Significativa era ed è la presenza della confraternita alla processioni che si fanno
nel corso dell’anno.
Durante la processione del Venerdì Santo, la Confraternita del Camine porta
per le strade del paese la statua della Madonna Addolorata, mentre l’altra Confra- 155 -
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- 156 -
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- 157 -
La chiesa del Carmine (ex S. Marco) in un bozzetto di Pasquale Ricchiuto (2012)
VINCENZO VETRUCCIO
Il tempio di san Marco in Ruffano:
un culto dimenticato
- 159 -
Ruffano 24.04.1963: Fedeli all’uscita della chiesa della Madonna del Carmine (foto tratta da Annabella Rossi e la fotografia. Vent’anni di ricerca visiva nel Salento in Campania, a cura di V. ESPOSITO,
Napoli 2003)
- 160 -
Nel delineare la storia della chiesa del Carmine, non si può ignorare la Confraternita omonima né trascurare la cripta bizantina del XII secolo, intitolata a
San Marco.
Fu intorno a quella cripta che cominciò a svilupparsi il casale di Ruffano,
quando i contadini, per sottrarsi alle devastazioni, ai saccheggi, alle incursioni frequenti di branchi selvaggi che infestavano le nostre campagne, abbandonarono le
casupole rurali sparse nel territorio per trovare rifugio e protezione presso i monaci
orientali, che a loro volta avevano trovato riparo nelle nostre contrade per sfuggire
alle persecuzioni cui erano soggetti durante la lotta iconoclastica.
Ad essi si deve l’introduzione del rito greco, che resisterà sino ai primi del
1700, e ad essi l’impulso che ebbero l’agricoltura, l’artigianato, i mercati e la fiera
che ancora oggi si celebra ogni anno il 25 aprile, rinomata in tutto il Salento,
tanto da indurre i forestieri a credere che il protettore di Ruffano sia S. Marco.
Nacque così quel nucleo abitato che dette origine al borgo S. Marco, traendo
il nome dall’eccelso evangelista, la cui effigie, in via di continuo deterioramento, è affrescata sul pilastro centrale che pare regga la volta rocciosa dell’antico ipogeo.
A S. Marco si intitolò il tempio edificato, sul piano della cripta sottostante,
nella seconda metà del 1500 e ampliato un secolo dopo dal sacerdote don Onofrio
Memmi.
S. Marco si denominarono il largo antistante e la via che, passando al lato della
chiesa, si congiungeva alla “via di mezzo”, che portava all’altro rione del paese:
quello di S. Foca.
Nel borgo S. Marco furono edificate le cappelle dell’Addolorata, di Sant’Antonio Abate1, di Santa Maria di Costantinopoli2 e molte civili abitazioni.
1
2
Demolita nella seconda metà del secolo scorso (1958).
Oggi sede dell’Ufficio di Polizia Municipale.
- 161 -
Il suo tempio, prima della ricostruzione avvenuta nel 1713, era la chiesa più
importante di Ruffano, tant’è che accolse la confraternita del Carmine, quando il
sodalizio, nella seconda metà del 1600, si staccò dalla chiesa di S. Foca, ed ebbe
funzioni di parrocchia durante i lavori di costruzione della nuova chiesa della Natività, dal 1706 al 1713: in essa si amministrava il battesimo, si celebravano i matrimoni e si seppellivano i morti, per esaudire le ultime volontà dei fedeli iscritti
alla Congregazione.
Quindi, S. Marco era il santo più conosciuto e, di sicuro, molto venerato nelle
nostre contrade, come protettore dell’udito.
Ma perché poi il suo nome fu ripudiato e la sua chiesa cambiò titolo?
Cerchiamo di spiegarne le ragioni.
Da tempo remoto esiste in Ruffano una confraternita, in origine, aggregata
alla chiesa di S. Foca.
Essa è intitolata alla B.V. del Carmine, il cui culto, molto sentito, risale a tempo
antichissimo, come può dedursi dalla presenza dei Carmelitani nella frazione di
Torrepaduli e dalla testimonianza, nella chiesa matrice, dell’altare di S. Elia (fondatore dell’Ordine), istituito nel 1722 dal carmelitano Domenico Salvatore Cirillo.
In verità, il sodalizio si fregia anche del titolo di “SS. Trinità”, derivandogli
per tradizione dalla chiesa cripta omonima3, grancia della parrocchiale di S. Foca.
Il santo portato dall’oriente, era titolare della chiesa e protettore di Ruffano.
Egli rimase in carica sino ai primi del 1600, quando, perdutasi da tempo la
devozione per la vecchia chiesa, fu sostituito da San Francesco, che tenne il patronato sino alla fine del secolo e lo cedette poi a Sant’Antonio da Padova, quando
la nostra gente, suggestionata dalla fama del Santo gigliato, volle affidarsi alla
sua protezione.
All’abbandono della chiesa di rito greco, seguì il trasferimento della confraternita nella chiesa di S. Marco.
Questi passaggi si devono certamente all’adesione ai principi tridentini, al tramonto del vecchio rito, all’affermazione di quello latino e alla fama di nuovi santi
ausiliatori, diffusa dalla predicazione cristiana.
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La cripta della Trinità si trova poco distante da quella del Crocifisso (o di Santa Costantina), nella
contrada Manfio, nel feudo di Ruffano.
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Fig. 1. Regio Assenso di Ferdinando IV del 1776. Ruffano, chiesa del Carmine (foto S. Tanisi)
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Si tratta di missive inviate dai priori pro tempore di Ruffano al Padre Spirituale
di quella Congregazione negli anni dal 1821 al 1824, per comunicare i nominativi
dei Fratelli deceduti.
Quanto all’origine della nostra confraternita, la sua istituzione, come quella di
molte altre, risale certamente al tempo in cui le genti, oppresse dalla miseria, colpite dalla scarsità delle annate e spesso vessate dai Baroni, avevano bisogno di solidarietà, di conforto e di aiuto concreto, soprattutto, in mancanza di qualsiasi
forma di assistenza pubblica e delle più elementari garanzie, specialmente per la
parte più disagiata del corpo sociale.
Queste le ragioni che indussero i cristiani ad associarsi per aiutarsi reciprocamente, dando luogo a quelle associazioni laicali che hanno assunto nel corso dei
tempi diverse finalità, di culto e di beneficenza: l’assistenza ai propri membri e
agli infermi, la sepoltura degli associati, la devozione per un santo protettore o la
Santa Madre Celeste, la cura e la gestione di una chiesa.
Nel corso degli anni, tuttavia, tra i confratelli si scorsero anche galantuomini,
proprietari e persone di famiglie ragguardevoli, indubbiamente presenti per ragioni di culto più che di opportunità.
Per le finalità assunte, e soprattutto per la necessità di distinguersi tra loro,
ogni confraternita adottò un saio (o cappa), solitamente, costituito da un camice
con cappuccio, una mantellina, un cordone da allacciare in vita e un medaglione
come segno distintivo.
Il cappuccio veniva calato sul volto per nascondere l’identità della persona e
lasciare nell’anonimato le opere di carità, in ossequio all’esortazione di Gesù:
“Guardatevi dal fare le vostre opere buone per essere visti dagli uomini, il Padre vostro che
vede nel segreto vi ricompenserà”.
Inoltre, era segno di umiltà perché annullava le differenze di classe sociale.
Dalla natura autenticamente spirituale delle confraternite, derivarono, poi, alcuni movimenti mistici, come quelli dei Battenti e dei Disciplinati, che alla fede
e alla carità aggiunsero l’umiliazione fisica, l’autoflagellazione, cioè l’inflizione di
pene corporali, a castigo dei peccati commessi o, in senso più ampio, ad espiazione
dei peccati del mondo.
A questo scopo, si dotarono di strumenti adeguati: frustini con frange metalliche, corde con pietre legate, cingoli con flagelli intrecciati.
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Statua lignea settecentesca della Madonna del Carmine e confratello in ginocchio.
Ruffano, chiesa del Carmine (foto S. Tanisi)
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Allora, fu molto facile confondere il nome della confraternita con quello della chiesa
e identificare l’una nell’altra,
sicché pian piano S. Marco perdette il ruolo di titolare e la
sua chiesa finì col chiamarsi
definitivamente Madonna del
Carmine, in coincidenza con la
ricostruzione dell’antico tempio avvenuta nel 1713, come
già detto.
A quell’epoca, risalgono
l’altare maggiore e il portale di
fattura barocca, mentre gli altari addossati alle pareti laterali sono stati edificati negli
anni successivi.
Su di essi si ammirano i
pregevoli dipinti raffiguranti
uno la Madonna del Carmine,
Statua di S. Marco sulla sommità dell’altare maggiore.
Ruffano, chiesa del Carmine (foto G. Nuzzo)
datato 1826, e l’altro la morte
di S. Giuseppe, datato 1832,
che reca la firma di Rachele Lillo, figlia del già citato Francesco Saverio. In seguito,
nella seconda metà dello stesso secolo, la chiesa si dotò della cantoria per l’organo
e si arricchì con le immagini degli apostoli, effigiati nelle ogive allineate in alto
lungo le pareti laterali.
Poi, nel corso degli anni, per lo zelo dei priori, sono stati eseguiti vari interventi
di manutenzione, ristrutturazione e restauro, tra i quali si ricordano il rinnovamento dell’altare maggiore, il ritocco dei dipinti delle tele, l’allungamento della
navata, la nuova pavimentazione, il rifacimento della cantoria ed altri ancora, eseguiti nella seconda metà del secolo scorso.
Si deve, però, riconoscere che col passare degli anni, S. Marco è passato in secondo ordine, quasi degradato a inquilino nella chiesa che fu sua, la cui titolarità
da tre secoli ormai appartiene alla Madonna del Carmelo.
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Del resto, la devozione al protettore dell’udito si è affievolita e ridotta quasi
alla sola unzione dell’orecchio con l’olio benedetto, come si esprime ancora oggi,
in occasione della festa in suo onore.
Tuttavia, la chiesa del Carmine, erede diretta del tempio di S. Marco, è stata
sempre sotto la giurisdizione della chiesa Madre (antica Ricettizia - Collegiata)
e in essa molti sacerdoti si sono avvicendati nella celebrazione di Sante Messe e
Sacre Funzioni, tra i quali si ricordano i più recenti: don Renato Giaccari e don
Aniceto Inguscio.
Sembrava che tutto dovesse continuare come ormai col tempo s’era consolidato,
invece, a pochi lustri dalla fine del secolo, si apre una nuova pagina di storia.
Nell’ottobre del 1982, si schiude un nuovo orizzonte per l’antica chiesa di
San Marco.
Trascorso un periodo alquanto travagliato per la parrocchia della Natività6,
viene nominato parroco e padre spirituale della confraternita del Carmine e SS.
Trinità don Nicola Santoro, originario di Specchia Preti.
Egli, sensibile ai problemi della chiesa, animato da vivo entusiasmo nell’assunzione dell’incarico sacerdotale, incline alle iniziative culturali (come dimostrerà
in seguito, curando la pubblicazione di varie opere di carattere storico), conosciuta
la storia del paese e della parrocchia affidatagli, non emargina l’interesse per le vicende della chiesa del Carmine, ricadente sotto la sua giurisdizione.
Non dimentica l’effigie di S. Marco affrescata sul pilastro centrale della cripta
sottostante; pensa al tempio edificato in suo onore, alla vitalità dell’antico borgo,
alla devozione popolare, ai mercati e alla fiera istituita in ricorrenza della sua festa.
Tutti pensieri che sostengono il suo intento di ripristinare il culto per il Santo
Evangelista e fanno nascere nella sua mente un progetto molto ambizioso, che investe non solo l’aspetto religioso, ma anche quello architettonico della chiesa, come
già accaduto in passato: sogna di farne un santuario.
Rende noto il suo programma al Consiglio della confraternita e, trovandone
l’unanime consenso, nonché la garanzia di un sostegno economico, assicurato dall’alienazione di alcuni beni, dà l’avvio al progetto.
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Il riferimento è al tempo in cui il parroco don Vittorio Petese fu sostituito per un breve periodo dal
prete ortodosso don Lino Yoan, missionario della Verità.
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Poco tempo dopo, però, per un malinteso, come si dirà più avanti, la chiesa del
Carmine e la confraternita passeranno sotto la giurisdizione della nuova parrocchia.
Il progetto si interromperà e con esso anche il sogno di don Nino.
Spieghiamo l’evolversi della vicenda.
Nel secondo dopoguerra, sono cambiate le condizioni economiche e sociali della
popolazione e ad esse sono seguiti notevoli mutamenti.
La crescita demografica ha comportato la diffusione delle scuole, la formazione
di nuove famiglie, l’aumento dei servizi, della produzione, dei consumi e, soprattutto, un rilevante ampliamento del territorio urbanizzato. Si è edificata buona
parte delle zone di completamento e il paese si è esteso in tutte le direzioni, ma
decisamente verso Sud, senza considerare le nuove case di abitazione che hanno
animato diverse contrade e occupato numerose zone agricole in tutto il feudo.
Pertanto, le periferie si sono allontanate dai vecchi confini, il centro storico ha
perduto la vitalità del passato e l’antica parrocchiale della Natività, nata nel cuore
del paese, ricca di memorie, d’arte e di storia, pur conservando la devozione popolare, è risultata troppo lontana dai nuovi rioni e, forse, insufficiente per la cura
delle anime, notevolmente cresciute nel numero.
Da ciò, l’esigenza di una nuova parrocchia.
In passato, dei benefattori hanno offerto notevoli contributi per la realizzazione
degli edifici sacri, come è stato per la chiesa di S. Marco, per quella dei Cappuccini
e infine per la chiesa della Natività.
Ebbene, anche in questa occasione, una persona, ben nota in paese, ha offerto
un terreno dell’estensione di circa due ettari, per la costruzione della nuova parrocchia, delle opere necessarie al ministero pastorale e dell’oratorio “per la formazione religiosa e morale della gioventù di Ruffano”.
Quanto sopra si apprende da una missiva, datata 22 sett. 1971, inviata dall’Amministratore Apostolico della Diocesi di Ugento al Sindaco dell’epoca, con
la quale si pregava il Primo Cittadino di tener conto, in sede di programmazione
del piano di fabbricazione, delle buone intenzioni del benefattore.
La ricerca di un riscontro a tale comunicazione non ha avuto buon esito e tutto
lascia pensare che la generosità del nostro concittadino non sia stata presa in considerazione.
Nove anni dopo, il nuovo Vescovo erige canonicamente, con sua bolla, la nuova
Parrocchia di S. Francesco (l’antica chiesa dei cappuccini) e nomina il parroco,
conferendogli “l’annesso beneficio con l’ufficio pastorale, gli oneri e i relativi diritti”.
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Ruffano, interno della chiesa del Carmine: Altare maggiore - Cantoria (foto G. Nuzzo)
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La comunicazione al sacerdote promosso parroco reca la data 1 aprile 1980.
Due anni dopo, l’8 giugno 1982, sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana viene pubblicato il decreto n. 613 del Presidente della Repubblica (Sandro
Pertini), così sintetizzato: “Riconoscimento, agli effetti civili, della erezione della Parrocchia di “S. Francesco d’Assisi” in Ruffano (Lecce)”.
Dopo l’istituzione della nuova parrocchia, è stato necessario procedere alla divisione del territorio per un’equa distribuzione delle anime tra le due chiese parrocchiali di Ruffano e quella della frazione, Torrepaduli.
Tale divisione è stata definita, per Ruffano, con una traiettoria tracciata in direzione Est-Ovest, passando per il centro delle strade interessate, secondo la quale
tutte le famiglie residenti a Sud di tale linea si sarebbero affidate alla parrocchia
S. Francesco, mentre tutte quelle residenti a Nord di essa avrebbero continuato
l’appartenenza alla chiesa Madre.
Lo stesso criterio per la parrocchia di Torrepaduli: avrebbero fatto parte di essa
tutte le famiglie residenti ad Est della linea tracciata in direzione Nord-Sud.
Certamente, per molti cittadini è stato doloroso il distacco dalla chiesa Madre
per entrare nella nuova comunità parrocchiale; ma ben presto, salvo qualche contestazione o resistenza di carattere preferenziale, gli animi si sono quietati e tutto
è rientrato nella normalità, si presume, grazie anche alle rassicurazioni dei parroci.
Successivamente, il nuovo Vescovo, Mons. Domenico Caliandro, il 23 gennaio
1997, affrontando il problema delle Messe domenicali, ribadiva il principio per il
quale le Celebrazioni Eucaristiche del giorno festivo dovrebbero essere a favore
dell’intera Comunità, mentre quelle a favore di gruppi, in specie quelle per le
Confraternite, dovrebbero effettuarsi, per quanto possibile, nei giorni feriali.
Ovviamente, la fedeltà a tale principio sarebbe scaturita, in linea di massima,
da una corretta distribuzione della popolazione tra le chiese parrocchiali, per cui,
ad un’attenta valutazione consigliata dall’Autorità Diocesana, (non si sa se dietro
segnalazioni o lamentele ricevute o per spontanea riconsiderazione della divisione
territoriale), è balzata un’evidente discordanza, per il fatto che il parroco di Torrepaduli aveva l’onere di una confraternita, quello di Ruffano, della parrocchia S.
Francesco, nessun onere simile, mentre quello della chiesa Madre, aveva un impegno più oneroso per la presenza di due confraternite ricadenti sotto la sua giurisdizione: quella del Buon Consiglio e quella del Carmine, che, pur congiunta alla
chiesa omonima, dipendeva dalla chiesa della Natività.
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Oggi, per lo sviluppo scientifico e tecnologico, per i mutamenti sociali delle popolazioni,
per il relativismo dominante, per
un malinteso senso del laicismo,
si è indebolito il sentimento religioso; molte devozioni si sono
perdute e varie forme di assistenza
pubblica hanno offuscato le finalità delle confraternite, alcune
delle quali sono state sciolte,
mentre molte altre sopravvivono
per l’impegno dei priori e per la
volontà di pochi confratelli, forse
La chiesa del Carmine di Ruffano, oggi
con poca devozione, forse anche
(Coll. Privata - 10 giugno 208 - In corso i lavori
con riluttante partecipazione e al
di rifacimento della piazza IV Novembre)
solo scopo di avere la sicurezza
dell’ultima dimora. Così sarà per la nostra Confraternita del Carmine e, forse, come
è accaduto per altre di Ruffano, in un tempo non lontano, si concluderà anche la
sua travagliata storia, salvo che non tragga nuovo vigore dal trasferimento in altra
chiesa.
Per questa ragione, forse, S. Marco, sicuro di non dispiacere alla Madonna del
Carmelo, anela tornare titolare della sua chiesa, che, a sua volta, forse, attende il
ricongiungimento all’antica parrocchiale e il ritorno del suo evangelista.
Bibliografia:
- Aldo de Bernart - E. Inguscio, L’antico assetto urbanistico di Ruffano e la chiesa di S. Marco,
Tipografia Inguscio, Ruffano 1996;
- A. de Bernart - M. Cazzato - A. Lupo - E. Inguscio, La cripta del Crocifisso di Ruffano, Congedo Editore,
Galatina 1998.
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