Riepilogo sull’arbitrarietà
Arbitrarietà del segno o arbitrarietà verticale

Il legame tra significato e significante nel segno è immotivato (dal punto di
vista naturale e logico) (Locke): non c ’ è rapporto di necessità naturale
(phusei) tra la forma del significante delle parole e la consistenza dei possibili
referenti denotabili con quella parola. Tale rapporto è regolato per una legge
(nomoi) e per un accordo (thesei) (katà xunthéken, ad placitum) (legisegno
per Peirce).

Immotivatezza: indipendenza reciproca dei significanti e dei significati nel loro
costituirsi come facce del segno.
Arbitrarietà materiale

Possibilità teorica di usare qualunque materiale per dare sostanza ai
significati e ai significanti dei codici semiologici. Non esiste alcuna
intrinseca vocazione di certi materiali a fungere da senso piuttosto
che da espressione. La specie umana utilizza svariati canali: otticomimico-prossemici, ottico-gestuali, ottico-grafici, olfattivi, fonicouditivi, ecc.) per dare corpo alle espressioni delle sue semiotiche
(vedi la questione del valore).

Possibili inversioni di ruolo tra entità che in una semiosi fungono da
espressioni o da sensi: un mio gesto può significare “ma che dici?”,
una frase può designare lo stesso gesto; lo stesso può darsi nel
rapporto tra lettera e suono.
Arbitrarietà come classificazione
dell’esperienza






Suono i/i: > opposizione non pertinentizzata in italiano: vino / vi:no
ma pertinentizzata in inglese: ship /sheep
Grammaticalizzazione del duale in certe lingue (es. greco) ma non in altre
Articolazione diversa delle distinzioni lessicali (in italiano distinzione lessicale tra
foglio e foglia che in altre lingue non c’è: es. spagn. /hoja/; il francese bois copre
l’area semantica che in tedesco è suddivisa tra Holz e Wald, e in it. tra legno e
bosco)
Diversa suddivisione del continuum temporale: es.: l ’ italiano ha l ’ imperfetto,
l’inglese non ce l’ha.
Il sistema della lingua per Saussure si determina in modo completamente autonomo
rispetto al pensiero che essa è incaricata di organizzare (Arbitrarietà radicale).
Questa impostazione è motivata da ragioni epistemologiche: tentativo di costruire la
linguistica come disciplina autonoma rispetto alla logica, alla psicologia e alla
sociologia.
Rischio: produzione di un circolo vizioso tra significato e significante che si
presuppongono reciprocamente, perdendo ogni aggancio alla dimensione
extralinguistica (realtà/pensiero).
Arbitrarietà e relativismo
linguistico




Le categorie ritagliate dalla lingua genererebbero quelle del pensiero e, a
lingua diversa, corrispondenderebbe un diverso sistema di analisi della
realtà, un diverso pensare e un diverso sentire (cosiddetta ipotesi SapirWhorf).
Una opposta lettura antiarbitrarista accentua il ruolo giocato da
condizionamenti e processi prelinguistici o addirittura non linguistici nel
modo in cui vengono elaborate le categorie del linguaggio.
L’argomento dei colori (basato sulla natura della percezione): Berlin e Kay,
1969 dimostrano che i modi di categorizzare i colori non sono arbitrari
perché tutte le distinzioni di colore nelle lingue dipendono da alcuni colori
focali: se una lingua ha solo due nomi per il campo “colore”, questi saranno
bianco e nero; se ne ha tre, si aggiungerà il rosso; se ne ha quattro, il giallo,
poi il verde ecc. fino a un totale di 11 colori universali.
Metafore e schemi corporei: Johnson e Lakoff, Metafora e vita quotidiana,
1982 (1980); Manetti, Comunicazione, 2011: 84-87.
Limiti dell’arbitrarietà

Sul piano fonologico, tutte le lingue devono rispettare dei vincoli formali (individuare ad
esempio un numero non troppo basso ma neppure troppo alto di classi di suono
(fonemi), che in genere si aggira intorno alla trentina
Esiste inoltre una dimensione simbolica nelle lingue, che assegna forza espressiva ai
singoli suoni: per es. la “a” è il suono fisicamente più ricco di energia nella lingua
italiana e ciò può essere talvolta sfruttato nella comunicazione, in particolare nella
poesia e in pubblicità. Altri casi di fonosimbolismo: “i”, “r”, vedi Dogana, Le parole
dell’incanto, Angeli, 1990.

Sul piano lessicale le parole non possono essere troppo lunghe, ma neppure troppo
brevi (ridondanza)

Forme sintattiche che riproducono la sequenza degli eventi: via via / molto molto / veni,
vidi, vici

I nomi dei numeri da zero a dieci sono arbitrari, ma non i successivi

Le derivazioni morfologiche
insegnamento, ecc.
funzionano
per
analogia:
insegnante,
insegnare,
Arbitrarietà, naturalità,
convenzionalità

Gensini, Manuale di semiotica, 1999: Arbitrarietà non si oppone a naturalità:
“L’arbitrarietà del sistema sussiste all’interno di un primordiale vincolo di ordine
biofisico e adattativo. È un’arbitrarietà limitata dal punto di vista materiale e biologico”
(p. 47). La naturalità va intesa come “uno sfondo di vincoli di tipo biologico e adattativo
entro i quali soltanto può situarsi l’arbitrarietà che istituisce il codice” (p. 49).

La convenzionalità è il meccanismo in virtù del quale una comunità attribuisce un certo
significato a un certo significante. Si tratta di un aspetto importante anche nella lingua,
che però non va confuso con l’arbitrarietà: gli accordi convenzionali sono indipendenti
dal fatto che i segni siano arbitrari (immotivati): le figure stilizzate di un uomo e di una
donna sono iconiche (in quanto legate da un rapporto di somiglianza con i loro
referenti), ma la loro semanticità è fissata da una convenzione sociale: il codice è
iconico, ma il suo uso è convenzionale.

I codici lasciano oscillare i segni da un massimo grado di iconicità a un massimo grado
di arbitrarietà (Gensini, Elementi di semiotica, Carocci, 2002).
Arbitrarietà come convenzione: attribuzione volontaria di un
significante a un significato e viceversa

Limiti dell’idea di una imposizione convenzionale di un nome:



Queste condizioni non sussistono nel caso delle lingue:



Deve essere preventivamente identificabile una classe di referenti
Deve esistere un’altra lingua entro cui sia formulata e sancita l’imposizione
convenzionale
a) non esiste un mondo di classi precostituite alle partizioni di significati della
lingua;
b) non si può immaginare una condizione originaria di imposizione dei primi
nomi.
L’arbitrarietà convenzionale non può valere come fondamento delle
lingue perché ne presuppone l’esistenza.
Osservazioni di Benveniste
sull’arbitrarietà del segno
Natura del segno linguistico (1939), 2009: 22
“Qualsiasi contributo sull’essenza del linguaggio o sulle modalità del discorso comincia
enunciando il carattere arbitrario del segno linguistico”
Secondo Benveniste c’è una incongruenza nell’argomentazione di Saussure: “Per
‘arbitrario’ Saussure intende che «è immotivato, vale a dire arbitrario in rapporto al
significato, col quale non ha nella realtà alcun aggancio naturale»”(CLG:87). Qui –
osserva Benveniste – “il ragionamento è falsato dal ricorso automatico e fittizio a un
terzo termine, assente nella definizione inziale (del segno). Questo terzo termine è la
cosa stessa, la realtà.
In verità “il legame tra significato e significante non è arbitrario, anzi è proprio
necessario. Per me il concetto /bue/ è necessariamente identico all’insieme fonico
(significante) böf.[…] tra i due vi è una simbiosi così stretta che il concetto /bue/ è
come l’anima del significante acustico böf. (p.24)

Se i significati e i significanti sono arbitrari dal punto di vista logico, non lo sono dal
punto di vista del parlante (e della comunità): questo problema è quanto Benveniste
definisce “il problema metafisico dell’accordo tra la mente e il mondo” (p. 25).
“Per il soggetto parlante, fra la lingua e la realtà vi è adeguazione completa: il segno
controlla e comprende la realtà; o meglio è questa realtà (nomen omen, parole tabù,
potere magico del verbo e così via)”
Per un parlante il legame tra le due facce del segno è impresso nella mente, cioè è
naturalizzato, tra i due lati del segno si stabilisce una simbiosi, sono come l’anima e
il corpo, meglio come l’idrogeno e l’ossigeno nell’acqua (p. 53 nota).
La mente non contiene forme vuote, concetti senza nome, né forme sonore che non
servano a supportare rappresentazioni.
Arbitrario non è dunque il legame interno al segno ma che un certo segno venga
applicato a una certa realtà (problema aristotelico del rapporto phusei/thesei).
E’ questo il problema metafisico del rapporto tra mente e mondo, che forse un giorno il
linguista sarà in grado di risolvere ma che per ora farà meglio a ignorare.
Conseguenze dell’arbitrarietà

Mutabilità e immutabilità del segno


Ciò che muta o non muta non è la relazione s.to/s.nte ma quella
tra segno e realtà, cioè la motivazione oggettiva della
designazione
Valore:

In quanto opposti e differenziali, i segni si tengono tra loro in un
rapporto di necessità
Arbitrarietà e Forma
Ma se la lingua è forma, occorre lasciare la sostanza (meglio il referente) fuori dalla porta
“Se la lingua è diversa da un conglomerato fortuito di nozioni erratiche e di suoni emessi
a caso, è proprio perché nella sua struttura, come in ogni altra, è immanente una
necessità” (p. 27)
“Chi dice sistema dice disposizione e convenienza delle parti in una struttura
che ne trascende gli elementi e li spiega. Tutto vi è così necessario che i
mutamenti generali e particolari si condizionano reciprocamente. La
relatività dei valori è la prova migliore che essi dipendono strettamente
l’uno dall’altro […] tutti i valori infatti sono “in negativo” e si definiscono
solo in base alla loro differenza. Opposti, si tengono in reciproco rapporto di
necessità” (p. 27)
Émile Benveniste
(Aleppo 1902 - Versailles 1976)
Émile Benveniste

Allievo di Antoine Meillet all’École des Hautes Études, dove nel 1927
diviene “Directeur d’études” di Grammatica comparata dell’Indoeuropeo e di Iranico.

Alla morte di Meillet, nel 1937, ne prende il posto come Professore al
Collège de France (fino al 1969).

Dal 1959 al 1970 è stato segretario della Societé de linguistique de
Paris

Nel 1960 entra all’Académie des inscriptions et belles-lettres; nel 1965
all’Accademia dei Lincei.

Nel 1961 fonda la rivista L’Homme in collaborazione con il geografo P.
Gourou e con l’antropologo C. Lévi-Strauss.

E’ stato il primo presidente dell’I.A.S.S. (International Association for
Semiotic Studies).
Principali pubblicazioni:




1935 Origines de la formation des noms en Indoeuropéen
1948 Noms d’agent et noms d’action en Indoeuropéen
1969 Vocabulaire des institutions indoeuropéen (I e II)
(tra. it. Einaudi 1976)
1966 e 1971 Problèmes de linguistique générale (I e II)
(trad. it. il Saggiatore 1971 (I) e 1985 (II), nuova traduzione
antologica Benveniste, Essere di parola, Bruno Mondadori 2009)

Ha prodotto opere innovatrici e fondamentali nel campo della
indoeuropeistica e una serie di contributi sulla teoria del linguaggio
che hanno decisamente influenzato la ricerca semiotica e
linguistica.

Non si tratta solo di riflessioni generali sul linguaggio ma di “una
vera costruzione teorica di linguistica generale ” (Gambarara,
Introduzione a Lingua, discorso, società, Pratiche, 1975:6)

Il suo è un approccio problematologico: nelle scienze umane ciò che
conta davvero non sono le risposte ma le domande
Benveniste e Saussure

Attenzione costante e partecipe alle correnti di linguistica generale che
da Saussure avevano preso le mosse.

Benveniste resta fortemente ancorato al modello di Saussure, pur
proponendone una trasformazione critica nel senso di un ampliamento
della linguistica della langue.

È coerente con l’indicazione di Saussure e la sua ricerca di problemi
comuni a tutte le lingue, pur nella diversità delle strutture: “cercare le
forze che in modo permanente e universale sono in gioco in tutte le
lingue ed estrarre le leggi universali cui possono ricondursi tutti i
particolari fenomeni della storia ” (CLG:15). Le lingue storiche
presentano in forme diverse categorie che sono universali perché
appartengono al linguaggio, alla facoltà simbolica dell’uomo, di cui esse
sono la determinazione specifica. La stessa possibilità di pensiero è
legata alla facoltà di linguaggio, anche se indipendente dalle specifiche
strutture linguistiche.
Qual è il posto della lingua tra i
sistemi di segni?
Semiologia della lingua
(1969)
Limiti della posizione di Peirce:



non ha individuato le caratteristiche specifiche della
lingua
della lingua ha considerato soltanto le parole,
collocandole per lo più tra i simboli
per lui tutto è segno
Necessità di
 comprendere un segno entro un sistema di segni
 Individuare analogie e differenze tra diversi sistemi di
segni

Modello della linguistica saussuriana, i cui compiti sono:



Descrivere in sincronia e diacronia tutte le lingue
Estrarre le leggi generali che sono all’opera in tutte le lingue
Delimitare e definire se stessa
Prima esigenza di metodo:

Separare la lingua dal linguaggio:




Il linguaggio è multiforme ed eteroclito
È ad un tempo fisico, fisiologico e psichico
La lingua è in sé una totalità
La lingua è un principio di classificazione

L’intera nostra esistenza è presa nelle maglie di segni,
riconducibili a diversi sistemi. Loro caratteristica comune
è la proprietà di significare e di essere composti in unità
di significanza.

Per Benveniste, come per Saussure, la lingua è il più
importante sistema di segni

Il principio di unità e il principio di classificazione
(all’opera nella lingua) introducono la semiologia

Ciò che collega inoltre linguistica e semiologia è il
principio dell ’ arbitrarietà, che sta al centro della
linguistica saussuriana
Oggetto della semiologia

Sistemi di segni

Relazioni tra questi sistemi
Quali fattori definiscono un
sistema semiologico?

Condizioni esterne:



Modo di operare: canale sensoriale attraverso cui
agisce e a cui si rivolge
Campo di validità: quello in cui si impone e in cui
opera
Condizioni interne


Natura e numero dei segni
Tipo di funzionamento: relazione che unisce i segni e
attribuisce loro una funzione distintiva
Condizioni interne:
a) numero dei segni

Codici chiusi (codici della certezza, perché ritagliano un
campo noetico quanto mai ristretto): prevedono un numero
di segni chiuso, spesso il grado zero (stato inerziale) è
pertinentizzato come significante (principio di economia)

A due segni (binari):





spia accesa/spia spenta
Sì /no
Bandiera ammainata / abbassata
Semaforo: rosso/verde (ma anche a tre: giallo)
Danza delle api: a cerchi/a otto

A più segni:




Vantaggi dei codici della certezza:


Zodiaco
Alfabeto: campo noetico costituito dal tipo di suoni che si
producono o sentono in una lingua
Minicodice delle cifre comprese tra zero e nove: campo
noetico costituito dalla quantità degli insiemi che vanno
dall’insieme vuoto, con nessuna quantità all’insieme con
nove unità
Il campo noetico è strettamente delimitato ed è rigorosamente
sezionato e ripartito in un numero ristretto di classi differenti
Svantaggi

Non consentono di esprimere formalmente novità o sfumature

Codici aperti, a segni non articolati










Linguaggio gestuale spontaneo
Iconologia paleocristiana
Simbologia politica: l’aquila, falce e martello, rosa, fiamma, ecc.
Ideogrammi, geroglifici: il significato di ciascun segno è una parola; il
significante è un disegno
Sintatticità povera: ciascun significante si contrappone nella sua
interezza a tutti gli altri previsti dal codice (rapporti di
contrapposizione globale)
Tendono a funzionare localmente e non sistematicamente
I significanti hanno spesso una base naturale o iconica, che ne aiuta
la memorizzazione e l’apprendimento
L’evocazione di un significato non richiede il richiamo ad altri segni
Vantaggi: apparentemente più trasparenti e motivati
Svantaggi: caricano la memoria. Nella terminologia di
Benveniste, sono semantici, ma non semiotici.
Condizioni interne:
b) natura dei segni
Significatività / non significatività delle unità di base:

Le unità di base del Braille, del morse e dei sistemi fonematici delle
lingue sono asemantiche (e tali sono anche le unità della musica, le
note). Hanno solo una funzione diacritica, servono cioè a distinguere un
significante dall’altro;

Le unità di base dei sistemi di cifrazione araba, romana, greca, le lettere
dell’alfabeto sono semantiche. Queste unità di base sono direttamente
significative e ciascuna conserva la sua diretta significatività entrando in
combinazione con altre unità nella formazione di significanti (cfr.
monemi nelle lingue).

Inventario (o repertorio) delle unità di base: insieme delle unità
minime segmentabili (commutabili) di un codice

Regole sintattiche: prescrivono come possono essere fatti i
raggruppamenti (se cioè è distintivo l’ordine, se è distintiva la
ripetizione, se alcune sequenze sono escluse)

Stringhe: sequenze di occorrenze (ben formate, sintatticamente
connesse sono quelle che rispettano l ’ inventario e le regole
sintattiche; mal formate o prive di connessità sono quelle che non
rispettano l’inventario e/o le regole sintattiche)

Struttura: tipo o i tipi di ordinamento che le n unità di base hanno
nelle stringhe ben formate (arca, cara, raca hanno una struttura
diversa).
Significatività dell’ordine
delle unità
Il modo in cui le unità si strutturano nelle stringhe delle disposizioni concorre a
distinguere i significanti dei segni possibili, e quindi i significati previsti dai
codici.
Significatività indiretta (sistemi fonematici delle lingue): il diverso ordinamento delle
unità fonematiche distingue significanti diversi e attraverso questi significati diversi
(tara, rata, arca, cara). Qui il diverso ordinamento opera come funzione diacritica
dei significanti
 Significatività diretta: il diverso ordinamento delle unità individua direttamente
significati diversi (es.: cifrazione romana: IX, XI): ha sia funzione diacritica sia
direttamente semantica
Nelle lingue storico-naturali il diverso ordinamento (distribuzione) degli stessi morfi
concorre direttamente al diverso significato delle frasi. (Es.: Paolo guarda Maria /
Maria guarda Paolo).

L’ordine, la posizione o la distribuzione è il modo più semplice per segnalare i
rapporti che un morfo ha con altri morfi nella stringa: serve ad esempio a
distinguere i morfi omonimi, con uguale significante e diverso significato; es.
#guado#, #canto#, #sbarra#, #faccia#: verbo/sostantivo) (gli omonimi sono
circa il 30-55% dei morfi nelle lingue); soprattutto a distinguere nelle lingue
neolatine il ruolo di soggetto, oggetto, complemento di un morfo.
Principio di rapporti tra i
significati

In gran parte dei codici naturali (animali) e costruiti
(classificatorie, cifrazioni, simbologie matematiche e
scientifiche) vale un rapporto di esclusione tra i segni:
ogni possibile senso di un campo noetico appartiene a uno e uno
soltanto dei significati possibili. Non si dà sinonimia*
Cfr.Comunicazione animale e linguaggio umano (1952): “il linguaggio
delle api è caratterizzato da:





fissità del contenuto
invariabilità del messaggio
rapporto con un’unica situazione
non scomponibilità dell’enunciato
sua trasmissione unilaterale
* Rapporti di sinonimia si danno nelle lingue ma anche in aritmetica, in
cui segni di struttura diversa, composti da morfi diversi, possono
ridursi a uno stesso valore numerico: 5+5 = 11-1, ecc.
Principio di riformulabilità o
discorsività
Principio dirimente, che separa le lingue storico-naturali e i calcoli da
un lato dal restante universo semiotico.
 Non c’è limite alla riformulazione di qualunque segno
 Ma in codici chiusi (senza sinonimia) la riformulazione comporta la
riforma o la trasformazione del codice (il passaggio ad altro codice):
Es.: i segni del vigile urbano rispetto a quelli del semaforo
 Nei codici con sinonimia la riformulabilità è possibile restando
all’interno del medesimo codice, uscendo però dal segno:


Sono sinonimi: il cartello di obbligo ad andare dritto, quello di divieto di
svolta a destra, quello di direzione vietata sulla strada di destra
La riformulabilità senza uscire né dal codice (calcoli e lingue) né dal
segno è possibile solo in un codice dotato di operatori
sincategorematici, tra cui indicatori di uguaglianza e di diversità

Nelle lingue: predicazione (verbi copulativi: è) e predicazione negativa
(non è)
Conformità e non-conformità (Hjelmslev)
Mentre nel calcolo i significati dei morfi devono essere esplicitabili in modo
univoco e devono costituire una serie chiusa, in corrispondenza
biunivoca con i significanti dei morfi,
Nella lingua ciascun morfo è capace di avere una pluralità di sensi diversi
(polisemia) e ammette una pluralità di sinonimi (indeterminatezza
semantica).
Il vocabolario di base contiene un gran numero di parole polisemiche.
Es.: diverso = «non simile», ma anche «parecchio»; casi di
enantiosemia: es. fondere una campana = distruggere/creare una
campana.
Dunque, non si dà corrispondenza biunivoca tra significati e significanti:
una stessa parola può avere diversi significati (Es., omonimi assoluti:
canto, rombo, lega; boa); uno stesso oggetto può avere diversi
significanti (es.: geosinonimi).
Si distingue perciò


una direzione onomasiologica (nomi diversi per una stessa cosa : sinonimi).
una direzione semasiologica (sensi diversi per una stessa parola: omonimi)
Relazioni tra sistemi semiotici

Le relazioni sono governate da due principi

Principio di non-ridondanza tra sistemi: non si può dire la stessa
cosa con sistemi semiotici differenti

Principio della differenza funzionale del segno entro ciascun
sistema e della indifferenza della sua identità sostanziale: il
valore di un segno si stabilisce all’interno del suo sistema, non
esistono segni trans-sistematici (es. il segno rosso della bandiera
non equivale al segno rosso del semaforo)

I rapporti tra sistemi semiotici sono a loro volta di natura
semiotica:

Relazioni di generatività: un sistema può generare un altro
sistema (p.es. la lingua verbale genera quella logicomatematica; l’alfabeto classico genera il Braille, la scrittura
ordinaria genera quella stenografica)

Relazioni di omologia: connessioni parziali tra due sistemi
distinti, stabilita su base intuitiva o ragionata, sostanziale o
strutturale, concettuale o poetica (p.es. per Baudelaire “i profumi,
i colori e i suoni si rispondono”: questione della sinestesia*), per
Panovsky si dà omologia tra architettura gotica e pensiero della
scolastica)

Relazione di interpretanza: rapporto fondamentale basato sulla
distinzione tra sistemi che articolano e sistemi che sono articolati
*Sulla sinestesia: P. Paissa, La sinestesia. Storia e analisi del concetto,
La Scuola, 1995; F. Dogana, Le parole dell’incanto, Angeli, 1990
Relazione di interpretanza:
Qui si pone la questione dei rapporti tra lingua e società: la
prospettiva della semiologia è ribaltata rispetto a quella della
sociologia, la relazione di interpretanza è semiologica, la
relazione di inclusione è sociologica (cfr. saggio Struttura della
lingua e struttura della società, 1968: il rapporto tra lingua e
società va considerato su due livelli, quello storico e quello
formale). Tale questione va confrontata con la distinzione
saussuriana tra linguistica esterna e linguistica interna.
Il linguaggio prima ancora di far comunicare serve a vivere (p. 59).
Se diciamo che senza linguaggio non sarebbero possibili né
l’umanità né la società è in virtù della specifica capacità di
significazione del linguaggio
Metalinguisticità riflessiva
Un calcolo, linguaggio formale non-creativo, non può descrivere se stesso,
essere al contempo linguaggio oggetto e metalinguaggio.
La logica scolastica sottolinea le conseguenze contraddittorie derivanti
dalla mancata distinzione tra suppositio formalis e suppositio materialis
es.: Mus est syllaba, Syllaba non rodit caseum, Ergo mus non rodit caseum
Gli usi metalinguistici riflessivi sono una conseguenza della indeterminatezza e
della illimitatezza semantica delle lingue: possiamo estendere il significato del
morfo #mus# fino a servircene per designare il morfo stesso. Tali usi servono
anche a bilanciare gli effetti della indeterminatezza semantica, degli usi idiolettali
e sociolettali.
Pluriplanarità del piano del contenuto e
metalinguisticità
Hjelmslev chiama denotazione il rapporto tra il piano dell’espressione
e il piano del contenuto
E (R) C = denotazione
Nei calcoli i contenuti si collocano su un unico piano; nelle lingue possiamo
scandire il campo noetico in piani diversi, potenzialmente illimitati
(formazione dei linguaggi specialistici), es. di Galileo: lessico specialistico
della fisica.
Metasemiotiche saranno quelle il cui piano del contenuto è a sua volta una
semiotica, un metalinguaggio che parla di un linguaggio
Em R (Ed R Cd)
Es. Nella definizione dizionariale: il significato della parola “obliterare” ha sul
piano del contenuto un’altra espressione “timbrare il biglietto”, cui
corrisponde un ulteriore significato “apporre un marchio sullo scontrino che
dimostra il pagamento della somma richiesta” (Manetti, Comunicazione, p.
101).
Pluriplanarità del piano dell’espressione
e
semiotiche connotative
Ma il piano dell ’ espressione può essere pluristratificato (esempio:
varietà regionali che prevedono pronunce diverse, ordinamenti
sintattici diversi, geosinonimi, lessico regionale (picciotto, scugnizzo
ecc.); oppure varietà stilistiche che individuano usi individuali della
lingua; oppure intonazioni differenti che esprimono gioia, ira ecc.; o
ancora registri che modulano la formalità o l’informalità; i sottocodici,
i linguaggi settoriali che diventano veri e propri gerghi legati alle
professioni.
In tutti questi casi si hanno secondo Hjelmslev delle semiotiche
connotative, cioè semiotiche il cui piano dell’espressione è una
semiotica” (Traini, Le due vie della semiotica, 2006:81):
(Ed R Cd) R Cc = Connotazione

Con le semiotiche connotative Hjelmslev cerca di integrare nella
teoria semiotica i sensi indiretti, significati che non rientrano nello
schema della semiotica biplanare: quando comunichiamo qualcosa,
comunichiamo
direttamente
dei
significati
(denotativi)
e
indirettamente altre informazioni (connotative) (Traini, Le due vie
della semiotica, Bompiani, 2006, p. 83).

Esempi: burocratese, aziendalese: cfr. Antonelli, L’italiano nella
società della comunicazione, il Mulino, 207, pp. 59-72.
Caratteristiche linguistiche
del burocratese
Vincenzo Monti nel 1803 definisce il registro burocratico: «il barbaro dialetto
miseramente introdotto nelle pubbliche amministrazioni».
Tra Otto e Novecento viene adottato come «lingua franca della comunicazione
giornalistica».
Galileo: «Parlare oscuramente ognuno lo sa fare, ma chiaro pochissimi»
Termini
arcaici, latinismi e forme colte: espletare, quiescenza, moneta divisionale
Deittici e connettivi desueti: codesto, testè, onde, allorché, allorquando, allorché
Stile nominale: centralità del nome:
 Ai fini della richiesta autorizzazione all’espatrio
 La presente comunicazione di avvenuta registrazione
Verbi denominativi: disdettare, attergare, relazionare, ospedalizzare, dimissionare
Forme verbali nominali: infinito (nel rispondere), gerundio (risultando iscritto nei
registri), participio presente (un attestato comprovante), participio passato
(visto..considerato, rilevato..)
Fraseologie ridondanti, stereotipiche: con riferimento a, in ordine a, per quanto
attiene a; nelle prime ore antimeridiane
Aziendalese
Lingua settoriale permeata di anglicismi: seller door to door (venditore porta a
porta), job on call, job sharing (lavoro precario), network paradigm knowledge
sharing
Tecnicismi collaterali: caratteristici di un certo ambito settoriale ma «legati non
a effettive necessità comunicative bensì alla opportunità di adoperare un
registro elevato, distinto dal linguaggio comune» (Luca Serianni).
Forte valore connotativo (sensi indiretti): mostrare che si è parte di un gruppo,
che si condividono certe conoscenze, che si è efficienti, dinamici.
«neolingua» o «lingua di nessuno» che, «oscura e inintellegibile per scelta,
finisce per somigliare a un misterioso gergo derivato dalle pseudoscienze […]
sono queste le caratteristiche adatte a sedurre un pubblico che si sente tanto
più up-to-date quanto più ha le idee confuse. Più l’impresa usa parole tecniche
e astratte, più sembra persuadersi di essere convincente» (Corinne Maier,
Buon giorno pigrizia. Come sopravvivere in azienda lavorando il meno
possibile, 2005)
Forme sconsigliate
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Implementazione, implementare
Sinergie
Valore aggiunto
Capitale di conoscenza
Proattivo
Customizzazione
Ottimizzare
Inizializzare
Posizionarsi
Supportare
Usabilità
Upgradare
Deliverare
Soluzioni performanti
Press contact
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Analisi dei flussi di traffico
Valutazione della azioni strategiche
Necessarie per la valutazione delle eventuali criticità rilevate in fase
di implementazione
Logiche e policy di sviluppo
Comunicazione al management attraverso la predisposizione della
riportistica direzionale
Implementare strategie comunicative che migliorino l’usability
Strumento strategico di un sistema di knowledge management
“ In relazione all ’ evoluzione dell ’ azione organizzativa che
accompagna l’implementazione del nuovo Piano d’Impresa, ed al
fine di supportare i processi decisionali e quelli di controllo della
gestione economica e del funzionamento operativo dell’azienda, si
rende necessario ridefinire i meccanismi di integrazione tra le
funzioni aziendali attraverso una nuova articolazione dei Comitati”.
Nelle e-mail
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“Tizia, in allegato troverai il primo draft del Gantt delle attività relative al
“Crisis Management”. Le date di scadenza sono state individuate (in rosso)
solo per le attività più urgenti su cui il gdl si era impegnato nel corso del
meeting di kickoff del 14 u.s. In particolare si prevede il rilascio del
“Prepardness plan” revisionato ed integrato per la fine di febbraio 2004.
Sono in attesa di un feedback, da parte della Caia per quanto concerne la
disponibilità di un corso di formazione da far seguire al crisis team che
dovremo a breve costituire. Ciao, Sempronia”
draft-=bozza
Meeting=riunione
Kickoff=avvio
Feedback=risposta
Crisis team=unità di crisi
Crisis Managemen=gruppo di dirigenti incaricati di gestire le situazioni di crisi
Prepardness plan=piano di preparazione (all’eventuale situazione di crisi)
Gantt=eponimo, dal nome dell’ingegnere Gantt che ha ideato nel 1917 il
diagramma per la pianificazione delle attività
gdl =gruppo di lavoro
u.s.=ultimo scorso
Proposte di correzione
Semplificazione relativa a:
Forma linguistica: lessico e sintassi
Piano del contenuto: disposizione gerarchica delle
unità informative
Struttura logica del contenuto (collegamenti impliciti o
espliciti)
Come pensare e scrivere
documenti

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

Barbara Minto, Dall’idea al testo. Come pensare e
scrivere documenti e relazioni, 1977
M.E.Piemontese e M.T.Tiraboschi, Leggibilità e
comprensibilità dei testi nella pubblica amministrazione,
in E. Zuanelli, Il diritto all’informazione in Italia, 1990
S. Cassese (a cura di), Codice di stile delle
comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni
pubbliche (1993), Dipartimento della funzione pubblica
della Presidenza del Consiglio dei ministri
A. Fioritto (a cura di), Manuale di stile (Strumenti per
semplificare il linguaggio nelle pubbliche
amministrazioni), 1997
I livelli dell’analisi linguistica
(1962)
Per rendere giustizia alla natura articolata del linguaggio e al
carattere discreto dei suoi elementi, l’analisi della lingua,
come sistema organico di segni, deve consistere nelle due
operazioni di segmentazione e sostituzione che consentono
di identificarne gli elementi.
Unità
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Nella lingua ci sono tre unità fondamentali:
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Fonema (unità) (segmentabili in tratti distintivi o merismi: limite inferiore
della scomposizione: Il merisma si definisce solo come integrante)
Segno (forma libera (parola) o forma congiunta (morfema))
(parole autonome e sinnome (sincategorematiche): es. la, con, di, ecc.)
Frase (non è un segno, si definisce solo in base ai suoi costituenti: p. 55)
Definizione di segno: “ la più piccola unità della frase passibile di essere
riconosciuta come identica in un contesto diverso e di essere sostituita da una
unità diversa in un contesto identico” (p. 56)
Definizione di parola: “ la più piccola unità significante libera suscettibile di
realizzare una frase e di essere essa stessa realizzata da fonemi”
Definizione di morfema: “unità minima di significato”, non autonoma
Definizione di frase: Unità di discorso; “Con la frase si abbandona il campo della
lingua come sistema di segni e si entra in un altro universo, quello della lingua
come sistema di comunicazione, la cui espressione è il discorso” p. 55).
Frase
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

La frase contiene segni ma non è un segno: non è una classe formale
che contenga unità opponibili. Sul livello fonematico distinguiamo
diversi fonemi, ma sul livello categorematico, quello della frase, non
troviamo tipi di frase distinguibili, perché essi si riconducono tutti
(indipendentemente dal numero di segni che comportano) a uno solo:
la proposizione predicativa.
Variabile, indefinibile, dotata di senso e di riferimento, è l’unità del
discorso, portatrice dell’atteggiamento del locutore e delle funzioni
interumane (dare una informazione, chiedere una informazione,
orientare un comportamento: affermativa, interrogativa, imperativa).
Sono perciò necessarie due linguistiche diverse, una per la langue,
insieme di sensi formali, individuali, classificabili, strutturati e
sistematici, e un’altra per la manifestazione del linguaggio nella
comunicazione viva, nel discorso attualizzato in frasi (pp. 55-6).
Costituenti e integranti
Per poter identificare una unità occorre fare riferimento alla unità superiore
che la contiene: p. es. per identificare il fonema /c/ occorre fare
riferimento al morfema /casa/
Se però scompongo il fonema nei suoi tratti distintivi, ne ottengo la forma.
I merismi (tratti distintivi) rappresentano il limite inferiore e possono definirsi
solo come integranti.
La frase non ha alcuna funzione integrante: è l’unità superiore massima, è
definita solo dai suoi costituenti, però costituisce un tutto non riducibile
alla somma delle parti.
Analisi del linguista e
analisi del parlante
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L’analisi del linguista procede dalle unità elementari alla
frase.
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Quella del parlante procede in senso inverso, dal
discorso al segno: il parlante prende consapevolezza del
segno sotto forma di parola e inizia l’analisi linguistica
partendo dalla frase nell’esercizio del discorso.

È nel discorso attualizzato in frasi che la lingua si forma
e si configura. Là comincia il linguaggio. Rivedendo una
formula classica, potremmo dire: “nihil est in lingua quod
non prius fuerit in oratione” (p. 56).
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Tani-Slide 6-7 marzo 2013 - Dipartimento di Comunicazione e