Percorsi di ricerca
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I moti costituzionali del 1814 e gli Stoppani: conseguenze di una crisi
Francesca Mariani Arcobello
Premessa
Aspirazione della ricerca 1, di cui verranno esposti nel presente contributo alcuni risultati
parziali e provvisori, è fornire alcuni elementi conoscitivi sulla classe dirigente cantonale nel
XIX secolo, contribuendo così ad analizzare da una prospettiva nuova il sistema e la cultura
politici del Ticino. Supposto che la dimensione familiare abbia un ruolo di rilievo
nell’organizzazione dell’élite ticinese con ampie ripercussioni sul sistema istituzionale e
politico in cui essa si muove, si è scelto di tentare di raggiungere l’obiettivo prefissato
ripercorrendo, sull’arco di più generazioni, le vicende di due casati, gli Stoppani di Ponte
Tresa e i Pioda di Locarno. Si privilegia in particolare lo studio delle strategie economiche,
sociali e politiche attuate, più o meno consapevolmente, dai due gruppi per accrescere,
consolidare o conservare la propria posizione di potere.
Prendendo le mosse dall’approfondimento proposto in precedenza, che aveva permesso di
abbozzare un primo confronto tra le biografie di due esponenti contemporanei dei casati
esaminati, Angelo Maria Stoppani (1768-1815) e Giovanni Battista Pioda (1786-1845) 2, nel
presente contributo si affronteranno le conseguenze per la famiglia Stoppani della morte
violenta di Angelo Maria a seguito dei tumulti costituzionali del 1814, di cui egli fu uno dei
protagonisti. Se lo studio della biografia di quest’ultimo e della suddivisione delle
responsabilità interne al casato tra questi e il fratello Giovanni Battista (1779-1855) aveva in
parte già lasciato presagire l’ampiezza delle ripercussioni di questo avvenimento, la
prosecuzione dello spoglio delle carte di famiglia ha confermato questa supposizione. Si è
dunque deciso di concentrarsi in questo breve testo sulla crisi generata nella famiglia
Stoppani dal fallimento dei moti costituzionali del 1814 e dalla morte di Angelo Maria, di
cui si è ipotizzato che fosse destinato a un ruolo di primo piano nella cura degli interessi del
casato in territorio svizzero.
La principale controindicazione di tale scelta – è bene porlo sin d’ora in evidenza – è lo
spazio marginale riservato in questa sede ai Pioda a discapito della posizione centrale
attribuita loro nel progetto di ricerca complessivo. Le scelte degli Stoppani in questo
frangente storico presentano comunque, per le finalità più generali della ricerca, un
interesse sufficiente a giustificare questa impostazione. A dire il vero, nemmeno i Pioda
furono estranei ai moti del 1814, e anzi Giovanni Battista fece probabilmente in
quest’occasione il suo esordio sulla scena politica cantonale. Considerato l’avanzamento
dell’indagine e la brevità di questo contributo, si è però preferito riservare ad altra
occasione un’analisi del ruolo dei Pioda in questi avvenimenti e delle loro ricadute sulla
famiglia.
Tale ricerca si inserisce nel quadro di un lavoro di dottorato in fieri sotto la direzione della professoressa
Nelly Valsangiacomo presso l’Università di Losanna.
2 Cf. F. Mariani Arcobello, Angelo Maria Stoppani (1768-1815) e Giovanni Battista Pioda (1786-1845), due biografie a
confronto, in «Percorsi di ricerca», 2009, n. 1, pp. 35-46 (disponibile anche all’indirizzo elettronico:
http://www.arc.usi.ch/ra_2009_01.pdf). Questo contributo, elaborato nell’ambito del precedente biennio di
associazione al LabiSAlp, fornisce inoltre più ampi dettagli sulle finalità e l’approccio metodologico della
ricerca.
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I moti costituzionali del 1814
Avvenimenti
Il sovvertimento, dal 1812, degli equilibri politici europei fu seguito da una brusca
inversione di tendenza anche nella Confederazione e nei singoli cantoni. L’irruzione in
Svizzera, nel dicembre del 1813, delle truppe della coalizione antifrancese, in rapida
avanzata dopo il fallimento della campagna di Russia di Napoleone e la successiva sconfitta
delle forze guidate da quest’ultimo nella battaglia di Lipsia, spinse la Dieta federale a
dichiarare decaduto l’Atto di Mediazione, carta fondamentale della Confederazione elvetica
dal 1803. Dopo alcuni mesi di incertezza, durante i quali la Svizzera fu sull’orlo di una
guerra civile tra i cantoni conservatori, guidati da Berna, favorevoli a un allentamento dei
vincoli confederali, e un gruppo di cantoni più moderati capeggiati da Zurigo, il decisivo
intervento delle grandi potenze sbloccò la situazione. Nel 1815 fu così imposta ai
Confederati l’adozione del Patto federale, sottoposto ai cantoni nel 1814 per la loro
approvazione e poi rimasto in vigore fino al 1848. Esso sancì un indebolimento del potere
centrale, peraltro già limitato, a favore di un rafforzamento della sovranità cantonale.
In Ticino il mutamento del clima internazionale e la caduta dell’Atto di Mediazione, che
chiamava i cantoni a dotarsi di nuove Costituzioni, meglio confacenti all’orientamento
conservatore delle potenze alleate, scatenarono una crisi gravissima 3. Del resto il cantone
subalpino attraversava ormai da alcuni anni un momento particolarmente difficile a causa
dell’occupazione militare da parte delle truppe del Regno d’Italia. Disposta dai Francesi per
arginare il favoreggiamento di contrabbando e diserzione imputato al Ticino e durata
dall’ottobre del 1810 al novembre del 1813, essa ostacolò fin quasi alla paralisi l’azione, già
inefficiente, delle istituzioni e fu accompagnata dall’aggravarsi di fenomeni di corruzione e
clientelismo fra la classe dirigente. In seguito alla rivendicazione avanzata da Uri nel
febbraio del 1814 di annettere la Leventina, la stessa integrità del cantone fu a repentaglio.
Il rischio di una disgregazione del territorio ticinese era del resto un segnale rivelatore degli
scarsi progressi del processo di edificazione statale e nazionale avviato dall’emancipazione
cantonale del 1803. Le difficoltà incontrate dallo Stato erano palesate pure dal sentimento,
pressoché inesistente nella larga maggioranza dei Ticinesi, di appartenere a una patria
comune, identificata dai più con il proprio comune o, al massimo, con la regione nativa 4.
In questo contesto furono elaborati due progetti di Costituzione, datati rispettivamente 4
marzo e 10 luglio 1814, respinti però da potenze alleate e Dieta federale. Piccolo e Gran
Consiglio finirono col cedere alle pressioni federali e straniere, elaborando il 29 luglio un
terzo testo, infine approvato dalla Dieta federale, ma respinto in votazione dagli elettori
ticinesi. L’ampio scontento popolare, provocato in primo luogo dalla crescente sfiducia
nelle istituzioni e nella classe dirigente, si condensò nel mese di dicembre in un esteso
movimento popolare a base comunale. Alcuni notabili, fra cui Angelo Maria Stoppani,
seppero prenderne le redini e sul finire di agosto si riunì a Giubiasco un’assemblea di
delegati comunali. Quest’ultima decise la destituzione delle autorità elette da pochi giorni e
la nomina di nuove istituzioni provvisorie, il Consiglio cantonale (legislativo) e la Reggenza
(esecutivo), in attesa di eleggerne di definitive. Dopo aver respinto il Patto federale, che
attendeva di essere approvato dalle autorità cantonali, i nuovi organi stesero una nuova
Costituzione, datata 4 settembre.
Sulle cause e lo svolgimento dei moti costituzionali del 1814 in Ticino si veda: R. Ceschi, Il Cantone Ticino
nella crisi del 1814, Bellinzona, 1979 e A. Ghiringhelli, La costruzione del Cantone (1803-1830), in R. Ceschi (a cura
di), Storia del Cantone Ticino. L’Ottocento, Bellinzona, 1998, pp. 33-62.
4 Sul tema dello sviluppo di una coscienza identitaria ticinese si vedano, tra gli altri, R. Ceschi, Appunti sulla
‘ticinesità’, in Bloc notes, 1980, n. 2-3, pp. 7-14 e A. Ghiringhelli, Costruire lo Stato, costruire la Nazione, in
«Bollettino storico della Svizzera italiana», 2002, fascicolo 2, pp. 27-37.
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Quando la Carta fu sottoposta ai comuni per l’approvazione, le diverse posizioni all’interno
del fronte popolare, fino ad allora sufficientemente compatto, finirono per causarne lo
sgretolamento. Confrontata con una situazione internazionale estremamente delicata, la
Dieta federale era contraria ai moti costituzionali in atto in Ticino a causa del loro
orientamento, contrapposto a quello delle potenze alleate, e della pericolosa instabilità di
cui erano responsabili sul versante meridionale delle Alpi, instabilità che rischiava di
compromettere la già difficile situazione elvetica. Tra agosto e settembre le autorità federali
inviarono dunque in Ticino un commissario straordinario, il colonnello lucernese Ludwig
von Sonnenberg, e forze militari per domare la sedizione e ripristinare gli organi destituiti.
Le sorti dei moti costituzionali apparvero allora segnate. Soggiogata la rivolta, la Dieta
mandò in Ticino anche una Corte di giustizia, presieduta da Johann Jakob Hirzel, incaricata
di giudicare i responsabili della sedizione, chiamati a rifondere le spese originate dal
tumulto. In dicembre fu infine approvata la Costituzione cantonale imposta dalla Dieta
federale, segnando così l’avvio del cosiddetto regime dei Landamani, caratterizzato da una
netta preminenza dell’esecutivo sul legislativo e dalla restrizione dell’accesso al diritto di
cittadinanza attiva.
Condanna
Attratto dai principi della Rivoluzione francese, Angelo Maria Stoppani aveva esordito sul
piano politico cantonale nel 1798, affermandosi fra gli esponenti filoelvetici e
moderatamente progressisti nel tribolato periodo della Repubblica elvetica. Dopo aver
ottenuto sotto quest’ultima incarichi di rilievo, come quelli di segretario del Consiglio, poi
Governo provvisorio di Lugano (marzo-luglio 1798), di giudice del tribunale cantonale di
Lugano (1801-1802) e di ministero pubblico, in seno al nuovo cantone era stato deputato al
Gran Consiglio (1803-1808) e membro del Piccolo Consiglio (1803-1805). Questa
promettente carriera politica aveva però accusato una prima battuta d’arresto nel 1805,
quando Angelo Maria aveva mancato la rielezione nell’esecutivo, e una seconda nel 1808,
quando era stato escluso anche dal Gran Consiglio. Pur continuando a esercitare cariche
influenti, come quelle di commissario di governo (1805-1807) e di giudice del tribunale
d’appello (1809-1813), le sue aspirazioni politiche sembrano aver incontrato sempre
maggiori difficoltà. Nel 1813 egli perse infatti nuovamente le elezioni al Gran Consiglio.
Tra le cause del momento di impasse politica in cui sembrava versare alla vigilia della crisi
costituzionale del 1814 vi furono l’antagonismo con personalità di indubbio potere 5 e le
difficoltà a inserirsi efficacemente nella rete di relazioni politiche, ma pure familiari, che
univa i principali esponenti politici. In un contesto di impronta fortemente clientelare come
il sistema politico ticinese, il collocamento all’interno di queste reti di potere determinava in
ampia misura fortune e sfortune dei membri della classe politica. Se è facile intuire
l’incidenza negativa della rivalità con Giovanni Battista Quadri, che nel 1807 strappò ad
Angelo Maria la carica di commissario di governo e che di lì a poco si sarebbe affermato
come la personificazione stessa del regime dei Landamani, le modalità e le ragioni di questo
inefficace posizionamento, forse riconducile anche a ragioni caratteriali, restano ancora da
indagare.
In ogni caso, nella crisi del 1814 lo Stoppani riuscì a farsi interprete dell’insoddisfazione
degli elettori ticinesi di fronte al progetto costituzionale del 29 luglio e a porsi alla testa del
movimento che sfociò nel congresso di Giubiasco dell’agosto successivo. Nominato
presidente del Consiglio cantonale provvisorio che designò la Reggenza provvisoria, di cui
Angelo Maria si scontrò ad esempio con i sopracenerini Vincenzo Dalberti e Giuseppe Rusconi a proposito
della designazione del capoluogo cantonale, conteso tra Bellinzona e Lugano (cf. Ceschi, Il Cantone Ticino, cit.,
pp. 190-191).
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fu pure presidente, egli tornò sulla breccia, seppur per breve tempo. Il fallimento dei moti
in settembre e l’intervento federale lo spinsero a cercare rifugio a Como, dove la famiglia
possedeva una casa e altre proprietà. Posto sotto accusa dalla Corte federale di giustizia,
inviata in Ticino dalla Dieta federale, egli fu invitato a presentarsi dinnanzi agli inquirenti
per rispondere delle accuse di sedizione che gli venivano rivolte. Dopo aver ottenuto un
salvacondotto, con cui gli si garantiva l’immunità, egli tornò in Ticino per difendere il
proprio operato, ma per ordine del colonnello von Sonnenberg fu arrestato e tradotto in
carcere in flagrante contravvenzione del permesso concessogli 6.
La famiglia di Angelo Maria – e in particolare la moglie Marianna, ancora in Ticino, e il
fratello Giovanni Battista, da Milano – si mobilitò subito in suo favore, protestando per
l’ingiustizia commessa infrangendo l’immunità accordata e cercando di alleviare le
condizioni, piuttosto dure, della prigionia. Assistita da Bernardo Pebbia, canonico di
Lugano, vicino alla famiglia per ragioni di amicizia e di parentela, Marianna si recò a
Bellinzona per perorare la sua causa e presentò un memoriale di protesta al Piccolo
Consiglio 7. A Milano, dove era caduto il governo francese a seguito dei moti rivoluzionari
cittadini e dell’avanzata delle truppe austriache, il fratello Giovanni Battista rivolse al conte
Heinrich Joseph di Bellegarde, plenipotenziario austriaco, un’altra petizione 8. Se anche in
questo documento, come già nel memoriale presentato da Marianna, si protestava per
l’ingiustizia commessa e si rivendicava la liberazione del congiunto o quanto meno il
miglioramento delle condizioni di prigionia, in questo secondo testo Giovanni Battista
Stoppani motivava la legittimità e anzi la necessità di un intervento austriaco con la
cittadinanza comasca e quindi austriaca del fratello Angelo Maria. Torneremo più tardi su
questo aspetto, per ora basti sapere che gli sforzi degli Stoppani non servirono a evitare il
peggio ad Angelo Maria.
La mattina del 15 gennaio 1815 questi fu rinvenuto esanime nella sua cella. Le circostanze
della morte rimangono poco chiare. Se la versione ufficiale del governo ticinese, riportata
anche dalla stampa italiana 9, l’attribuisce al suicidio, la famiglia Stoppani lasciò in seguito
chiaramente trasparire la convinzione che si fosse trattato di un assassinio, adducendo a
conferma il rifiuto delle autorità ticinesi di consegnare la salma ai congiunti e di svolgere
sulla vicenda approfondite indagini 10.
La morte di Angelo Maria ebbe pesanti conseguenze per la famiglia, in primo luogo per
l’esito del provvedimento giudiziario intentato contro di lui per i fatti del 1814. Mancato
Angelo Maria, a essere chiamati a rispondere della richiesta di indennizzo per le spese
causate alla Confederazione dai moti del 1814 furono infatti i suoi eredi, ossia la moglie
Marianna e i sei figli ancora minorenni, rappresentati di fronte alle autorità da Leone
Stoppani, zio di Angelo Maria. A seguito della morte di Angelo Maria, a Marianna, assistita
da Leone e da tale Bellasi, zio materno di Angelo Maria, fu affidata la tutela dei figli e la
curatela sulla sostanza del defunto marito 11. I beni di Angelo Maria in territorio svizzero
furono posti sotto sequestro e il processo contro di lui si concluse il 22 maggio 1815 con la
sentenza della Corte federale di giustizia presieduta da Hirzel, che riconobbe Angelo Maria
come uno dei principali responsabili dei moti, condannando perciò i suoi eredi a pagare
8000 franchi di multa. Il primo luglio, con la vidimazione della sentenza da parte della Dieta
federale riunita a Zurigo, questa cifra fu ridotta a 6400 franchi, dato che il Gran Consiglio
Per la ricostruzione delle vicende della famiglia Stoppani in seguito all’arresto di Angelo Maria si è fatto
riferimento ai documenti conservati nell’Archivio De Stoppani presso l’Archivio di Stato del Cantone Ticino
a Bellinzona (in seguito: ASTi), scatola 13.
7 ASTi, 13.11.1, Petizione della famiglia Stoppani al Piccolo Consiglio ticinese, 9.1.1915.
8 ASTi, 13.11.1, Petizione di Giovanni Battista Stoppani al conte Heinrich Joseph di Bellegarde, 9.1.1815.
9 ASTi, 13.11.1, «Giornale italiano», 31.1.1815.
10 ASTi, 13.11.1, Petizione della famiglia Stoppani alla Dieta federale, senza data.
11 ASTi, 13.11.1, Lettera della municipalità di Lugano a Marianna Stoppani, 15.1.1815.
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ticinese aveva deciso il 14 giugno di farsi carico di una parte delle spese occasionate dai
tumulti, sborsando 100’000 franchi a tale scopo 12.
Solidarietà
Prima di esaminare in che modo la famiglia Stoppani cercò di contenere i danni causati dal
fallimento dei moti costituzionali del 1814, è necessario ricordare la suddivisione
patrimoniale interna alla famiglia avvenuta nel corso dello stesso anno. In seguito alla
morte, il 5 marzo 1814, di Nicola Stoppani, i suoi eredi, ossia i figli Angelo Maria e
Giovanni Battista e il fratello Leone, canonico della cattedrale di Como, si erano divisi il 18
luglio le proprietà di famiglia 13. Al canonico Leone era andata la metà di tutti i beni ancora
indivisi con il defunto fratello Nicola, mentre gli erano state riconosciute le sue proprietà
(«case, stabili, crediti, ragioni ed effetti») nella città di Como e a Viconago e dintorni, non
compresi nella divisione del 18 luglio perché già assegnati a lui nel 1788. Giovanni Battista
aveva ereditato un credito di 31’000 lire milanesi verso tale Bonsignori di Milano, 1500 lire
italiane impiegate presso il Monte nazionale di Milano e tutte le proprietà nel capoluogo
lombardo. Ad Angelo Maria erano andati «tutti i beni mobili, semoventi e crediti nella
giurisdizione svizzera», come pure tutti quelli esistenti nello Stato milanese da lui
direttamente acquistati. Il credito di 30’700 lire italiane verso i conti Francesco e Luigi
Melzi d’Eril era stato assegnato congiuntamente ad Angelo Maria e Leone, mentre il primo
si era fatto carico di tutti gli eventuali debiti gravanti le proprietà a lui assegnate e
dell’obbligo di manutenzione dell’oratorio di famiglia a Ponte Tresa. Questa suddivisione,
corroborata dalla scelta della propria residenza principale – Angelo Maria a Lugano e
Giovanni Battista a Milano – aveva lasciato supporre una divisione delle responsabilità tra
Angelo Maria e Giovanni Battista, destinati a reggere le sorti della famiglia, curandone gli
interessi l’uno in terra svizzera, l’altro in terra lombarda 14.
Questo quadro, solo apparentemente chiaro, si complica però nelle carte di famiglia
successive alla morte di Angelo Maria. Già il 20 gennaio, rispondendo da Como, dove si era
rifugiata con i figli, alla lettera con cui il municipio di Lugano le comunicava di averla
nominata curatrice e tutrice provvisoria dei suoi figli e della sostanza del defunto marito,
Marianna Stoppani affermò che Angelo Maria agiva in territorio svizzero come semplice
rappresentante dello zio Leone. Con strumento notarile del 20 luglio 1814, Angelo Maria
aveva infatti ceduto allo zio Leone tutte le proprietà svizzere in cambio di beni nel
Milanese, rivedendo così – e non di poco – la suddivisione del 18 luglio. Ciò aveva peraltro
come conseguenza di ostacolare il tentativo delle autorità federali di rifarsi sugli eredi diretti
di Angelo Maria: se i beni in territorio svizzero erano effettivamente di Leone Stoppani, il
loro sequestro e una loro eventuale confisca divenivano illegali, dato che non era possibile
sanzionare qualcuno per crimini commessi da altri.
L’autenticità dello strumento di divisione del 20 luglio 1814 apparve però presto dubbia alle
autorità federali. Convocato a Lugano dalla Corte di giustizia per chiarire la propria
posizione, il canonico Leone si fece rappresentare dal proprio avvocato, sostenendo di
essere impossibilitato a muoversi per ragioni di salute, ma probabilmente anche perché
temeva di fare la fine del nipote. Egli presentò comunque alla Corte l’atto di divisione del
20 luglio 1814, l’unico documento che comprovava la sua pretesa di essere il solo
ASTi, 13.10.7, Sentenza della Corte federale di giustizia in Lugano, 22.5.1815, vidimata dalla Dieta federale,
1.7.1815.
13 ASTi, 13.10.2, Strumento notarile di divisione tra Leone, Angelo Maria e Giovanni Battista Stoppani,
18.7.1814.
14 Per un’illustrazione più dettagliata di questa tesi e delle modalità della suddivisione patrimoniale tra Angelo
Maria e Giovanni Battista Stoppani, cf. Mariani Arcobello, Angelo Maria, cit.
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proprietario di tutti i beni della famiglia Stoppani nel Canton Ticino. La Corte si rifiutò
però di riconoscere tale documento, esprimendo dubbi sulla sua autenticità 15. Essa
giungeva a questa conclusione, non perché avesse prove concrete della presunta
falsificazione, ma sulla base di alcune constatazioni che la rendevano effettivamente molto
probabile.
In primo luogo, lo strumento del 20 luglio era in evidente contraddizione con l’atto firmato
due giorni prima, tanto da rendere incomprensibili le ragioni che potevano aver motivato
una prima divisione il 18 luglio e poi una sua quasi completa revisione solo due giorni
dopo. La spiegazione portata dal canonico Leone, che affermava che non vi era
contraddizione alcuna, dato che l’atto del 18 luglio era diretto innanzitutto a liquidare il
nipote Giovanni Battista e che, fatto ciò, quello del 20 procedeva invece a regolare la
divisione tra Leone e Angelo Maria, appare poco convincente. Nel testo del 18 luglio –
come visto – era infatti già definita l’attribuzione dei beni spettanti ad Angelo Maria. La
sola proprietà a rimanere indivisa tra zio e nipote era il credito verso i conti Melzi d’Eril,
assegnato congiuntamente a entrambi. E proprio questo credito si pretendeva fosse andato
interamente ad Angelo Maria con l’atto del 20 luglio in cambio di tutte le proprietà in
territorio svizzero. In secondo luogo, la Corte rilevava che di fatto Angelo Maria aveva
agito dopo il 20 luglio come se fosse il diretto proprietario dei beni svizzeri, acquistando,
vendendo e riscuotendo, senza mai precisare il suo ruolo di procuratore dello zio e senza
mai che lo zio intervenisse palesando la sua posizione di legittimo proprietario. A
quest’osservazione Leone replicava – anche in questo caso piuttosto debolmente – che ciò
non dimostrava affatto che Angelo Maria fosse in realtà il proprietario, ma solo che egli
aveva affidato al nipote l’amministrazione dei suoi beni e che l’agire del nipote non aveva
reso necessario il suo intervento. A questo proposito è interessante notare che il 10 aprile
1815, in pieno procedimento legale, Leone provvide a conferire mandato di rappresentarlo
nell’amministrazione dei suoi beni in territorio svizzero alla vedova di Angelo Maria,
Marianna Stoppani. Cosa ancor più interessante, a quest’ultima era già stato affidato un
incarico simile nel 1811 16, mentre allo stato attuale della ricerca non risulta alcuna delega di
questo tipo al nipote Angelo Maria, delega che Leone non presentò peraltro alla Corte a
sostegno della propria tesi.
Pur riservandosi di procedere in un secondo tempo contro Leone Stoppani, la Corte
rinunciò, probabilmente per la difficoltà dell’operazione, a dimostrare la falsità dello
strumento notarile del 20 luglio e chiese invece al canonico di rimetterle, a garanzia del
pagamento della multa, lo strumento originale di credito verso i conti Melzi d’Eril. Alla
consegna di tale documento, il sequestro posto sui beni svizzeri degli Stoppani sarebbe
stato tolto. Leone Stoppani presentò però solo una copia dell’atto, spiegando che non
poteva disporre dell’originale perché lo aveva consegnato al nipote Angelo Maria a seguito
della divisione del 20 luglio. Di fronte a questo ulteriore tentativo di Leone di tutelare le
proprietà di famiglia, sottraendole al sequestro cui erano sottoposte, la Corte reagì
spiccando un decreto d’accusa contro il canonico imputato di continui raggiri e maneggi.
L’animata battaglia legale tra la Corte federale di giustizia, da un lato, e il canonico Leone
Stoppani, dall’altro, da cui è possibile evincere le argomentazioni di entrambe le parti, si
protrasse per alcuni mesi. A porvi fine fu, nel maggio del 1815, la sentenza con cui la Corte
condannò la famiglia Stoppani al pagamento di 8000 franchi, poi ridotti a 6400. Dopo la
vidimazione della sentenza da parte della Dieta federale nel luglio seguente, gli Stoppani
furono infatti costretti ad arrendersi e a sborsare l’onerosa cifra, per evitare che si
procedesse manu militari alla liquidazione dei loro beni in Svizzera. Per raccogliere il denaro
ASTi, 13.11.2, Verbale della comparsa e presentazione documenti intimate dalla Corte federale di giustizia
del cantone Ticino al canonico Leone Stoppani, 31.3.1815.
16 ASTi, 13.10.4, Ricevuta di versamento di Giovanni Battista Stoppani a Marianna Stoppani, procuratrice del
canonico Leone Stoppani, 10.3.1811.
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necessario Leone fu costretto a procedere alla vendita di alcune sue proprietà 17 e a
indebitarsi con Carlo Rovelli, vescovo di Como, che gli concesse infatti un prestito di 6000
lire italiane 18.
Discordia
Il pagamento della multa, avvenuto attorno alla metà di luglio del 1815, e la conseguente
chiusura del procedimento legale intentato dalla Corte federale di giustizia contro gli eredi
di Angelo Maria Stoppani non segnò però la fine delle tribolazioni legali degli Stoppani.
Fallito il tentativo di difendere il patrimonio familiare dalle conseguenze del fallimento dei
moti del 1814, il fronte compatto fra i membri del casato, e in particolare tra la vedova e gli
orfani di Angelo Maria e Leone e Giovanni Battista Stoppani, si sgretolò. Dopo un primo
periodo di pace familiare, durante il quale Marianna, tornata a Lugano, fu – come detto –
nominata amministratrice dei beni della famiglia in territorio svizzero, presto si
presentarono i primi screzi tra Marianna e Leone. Senza le proprietà nel Canton Ticino e i
redditi che ne derivavano, Marianna cominciò a lamentare la difficoltà di provvedere ai
bisogni della sua numerosa prole e a rivolgere al canonico Leone appelli sempre più severi
di corrisponderle quanto le era dovuto. In un primo tempo, Marianna reclamò
precisamente la quarta parte dei possedimenti degli Stoppani nel Lombardo Veneto,
sottolineando che le proprietà lombarde del defunto marito non si limitavano al credito
verso i conti Melzi d’Eril, ma comprendevano anche altri beni oltre a quelli indicati
nell’inventario confidenziale allegato agli atti di divisione del 1814 19.
Dopo averla sostenuta di fronte alle autorità federali e cantonali nel 1815, Marianna
sembrava ora distanziarsi, almeno privatamente, dalla versione dell’assegnazione a Leone di
tutti i beni svizzeri della famiglia. I rapporti tra Marianna e Leone si incrinarono fino a
sfociare in una causa legale, intentata da Marianna di fronte alla giustizia di pace per
ottenere tra l’altro il pagamento di 30’000 lire per ragioni dotali e il riconoscimento di
quanto le spettava di alcune proprietà Stoppani nel Ticino. I rapporti, pur tesi, tra Marianna
e Leone non impedirono però a quest’ultimo di accettare di farsi carico delle spese
universitarie dei pronipoti Gerolamo e Valente Stoppani, avviati a studi di diritto,
confidando che con una laurea i pronipoti avrebbero potuto «rimettere l’onore e il decoro
della famiglia e sostenersi dignitosamente» 20. Dal canto suo, la stessa Marianna invitò il
figlio Gerolamo a «mantenersi nelle grazie dello zio canonico», che poteva provvedere ai
suoi bisogni. Apparentemente soprattutto per ragioni di convenienza economica, Marianna
sembrava quindi incline a evitare una rottura totale con la famiglia del defunto marito, pur
non rinunciando ad adire le vie legali per ottenere quanto le era dovuto. La situazione
finanziaria di Marianna doveva essere comunque relativamente precaria, se alcuni anni
dopo fu costretta a richiedere un prestito di 1500 lire cantonali al cognato Francesco Capra
per provvedere alle necessità della famiglia 21.
I rapporti tra i due «rami» degli Stoppani si tesero ulteriormente, quando attorno al 1822
Gerolamo e Valente, divenuti maggiorenni, subentrarono alla madre nella causa contro lo
ASTi, 13.10.4, Ricevuta di versamento di Marianna Stoppani a Leone Stoppani, 1815.
ASTi, 13.11.4, Pagherò di Leone Stoppani a favore di Carlo Rovelli, vescovo di Como, 5.7.1815.
19 ASTi, 13.10.4, Lettera di Marianna Stoppani a Leone Stoppani, 10.6.1821.
20 ASTi, 13.10.5, Lettera di Leone Stoppani a Giovanni Battista Stoppani, 3.8.1821. In seguito il canonico
sembrò essersi scordato di questo slancio di generosità. In una lettera al nipote Giovanni Battista, che aveva
anticipato i soldi necessari agli studi di Gerolamo e Valente e che chiedeva di essere risarcito, affermò infatti
di non ricordarsi di aver promesso di coprire le spese universitarie dei due pronipoti, ma di acconsentire
comunque ad accollarsele, sottolineando però che in futuro non avrebbe sborsato altro denaro. Cf. ASTi,
13.10.5, Lettera di Leone Stoppani a Giovanni Battista Stoppani, 11.11.1821.
21 ASTi, 13.10.4, Strumento di credito di Marianna Stoppani verso Francesco Capra, 11.4.1826.
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zio Leone. Alle rivendicazioni già avanzate da Marianna, aggiunsero quella di essere gli
unici proprietari della casa in via Nassa a Lugano in cui risiedevano. Dopo la madre, anche i
figli rimettevano quindi in discussione la presunta attribuzione dei beni svizzeri al canonico
Leone. Anche in questo caso, il procedimento legale fu lungo e tortuoso, tanto che appare
difficile (e forse inutile in questa sede) ricostruirne nel dettaglio le diverse tappe. Basti
sapere che poco prima della morte, il 6 ottobre 1823, di Leone Stoppani, che avrebbe
rimescolato di nuovo le carte, gli eredi di Angelo Maria ottennero un risultato in parte
positivo. Durante l’estate precedente risulta infatti un loro ricorso in appello contro la
sentenza pronunciata il 30 luglio 1823, poiché quest’ultima «fa riserva al suddetto canonico
Leone De Stoppani delle ragioni di comproprietà [sulla casa di via Nassa e su altri beni,
non meglio precisati]»: se ciò equivaleva in effetti a una mancata soddisfazione della loro
rivendicazione di essere gli unici titolari di tali beni, gli eredi di Angelo Maria avevano
quanto meno ottenuto di essere riconosciuti proprietari almeno in parte di immobili nella
giurisdizione svizzera, contrariamente a quanto affermato dopo la morte del padre sulla
base dello strumento di divisione del 20 luglio 1814. Il progressivo distanziarsi di Marianna
e dei suoi figli dalla versione sostenuta all’indomani della morte di Angelo Maria non fa che
rafforzare l’ipotesi, sostenuta dalla Corte federale di giustizia nel 1815, che si trattasse di un
tentativo disperato e fraudolento di sottrarre la famiglia e i suoi beni alle conseguenze del
fallimento dei moti del 1814.
Lo scontro si fece ancor più duro quando, dopo la morte di Leone, il nipote Giovanni
Battista fece valere i propri diritti di erede universale di quest’ultimo, richiedendo a
Gerolamo e fratelli di cedergli le proprietà del defunto canonico da lui ereditate in base al
testamento di Leone e alla convenzione conclusa tra Giovanni Battista, Angelo Maria e
Leone il 20 luglio 1814. Tale richiesta corrispondeva al risarcimento dei 6400 franchi di
multa sborsati dallo zio Leone. Anche questa rivendicazione fu all’origine di un lungo
procedimento legale, durato dal 1823 al 1826. Esaminando il vivace scambio di petizioni,
risposte, repliche e dupliche, è possibile ricostruire le posizioni delle due parti. Alle
rivendicazioni economiche avanzate contro il canonico Leone da Marianna, prima, e da
Gerolamo e fratelli, poi, Giovanni Battista rispondeva chiedendo che i nipoti fossero
costretti innanzitutto a saldare il loro debito verso il canonico e ora verso di lui, nella sua
posizione di erede universale di quest’ultimo. Secondo Giovanni Battista, Leone,
proprietario sulla base dell’ormai celebre strumento di divisione del 20 luglio 1814, di tutte
le proprietà degli Stoppani in Svizzera aveva provveduto di tasca propria a pagare la multa
inflitta agli eredi diretti di Angelo Maria. Secondo Giovanni Battista, Leone aveva però
diritto a essere risarcito di tale cifra e, visto che non lo era stato mentre era in vita,
Giovanni Battista in qualità di suo erede riteneva ora che questa somma fosse di sua
legittima spettanza. Alle richieste dello zio, Gerolamo e fratelli rispondevano da un lato
rimettendo in discussione la ripartizione patrimoniale della famiglia e in particolare l’atto
del 20 luglio 1814, di cui nel 1825 chiesero apertamente lo stralcio in quanto falso, e
dall’altro sostenendo che in ogni caso Leone, che era all’epoca loro tutore legale, aveva
provveduto a pagare la multa con soldi loro. Anche nell’ipotesi (a cui non credevano) in cui
avesse sborsato soldi suoi – aggiungevano poi – egli non ne aveva mai chiesta la
restituzione, ciò che provava che considerava tale esborso come una donazione in loro
favore. Il risultato in entrambi i casi era che non avrebbero restituito un centesimo allo zio.
In assenza della documentazione completa relativa alla causa legale, mi è impossibile
ricostruire l’esito definitivo del procedimento. L’ultima traccia conservata è la sentenza del
tribunale di appello di Lugano, che il 16 dicembre 1825 accolse per intero le
argomentazioni di Gerolamo e dei suoi fratelli respingendo la petizione di Giovanni
Battista. Resta invece ignota la conclusione del ricorso in appello presentato in seguito da
Giovanni Battista.
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Breve analisi delle strategie di difesa
Al termine dell’esposizione delle tortuose vicende giudiziarie degli Stoppani – di cui si è
tentato nelle pagine precedenti di abbozzare un primo schizzo, pur nella difficoltà di fornire
una ricostruzione certa a causa della discontinuità e della parzialità dei documenti
disponibili – sembra utile ricapitolare in estrema sintesi le reazioni della famiglia al
fallimento dei moti costituzionali del 1814.
Per breve tempo tali avvenimenti lasciarono sperare, innanzitutto, in un rilancio della
carriera politica di Angelo Maria. Principale esponente della famiglia in territorio svizzero,
questi, pur avendo raggiunto in precedenza posizioni di grande autorevolezza, attraversava
alla vigilia dei moti un momento di relativa impasse politica. Il fallimento di tali moti e
soprattutto le rovinose conseguenze che ne derivarono rischiarono di assestare un duro
colpo alle basi economiche e alla posizione socio-politica degli Stoppani. Se la sentenza del
maggio 1815 della Corte federale, poi in parte rivista a luglio in occasione della sua
vidimazione da parte della Dieta federale, permise di quantificare con esattezza la portata
dei danni, che rimanevano peraltro piuttosto consistenti, il sequestro di tutti i beni della
famiglia in territorio svizzero attuato dalle autorità federali subito dopo la morte di Angelo
Maria poteva lasciar presagire conseguenze ancor più pesanti. Se l’ipotesi, non del tutto
improbabile, di una confisca definitiva di tutti i beni si fosse avverata, le basi stesse della
presenza degli Stoppani in Ticino sarebbero state compromesse.
Di fronte alla gravità di questo scenario i sopravvissuti, innanzitutto il canonico Leone – il
decano della famiglia – e Giovanni Battista, sostenuti almeno in un primo tempo da
Marianna, tentarono di attuare uno stratagemma, con ogni probabilità fraudolento, che
doveva permettere alla famiglia di salvare il salvabile, ma che finì poi col fallire. Produssero
allora un documento – lo strumento di divisione del 20 luglio 1814 – che rivedeva
sostanzialmente la distribuzione patrimoniale fra i suoi membri, rendendo illegale il
sequestro posto sui beni svizzeri della famiglia dopo la sua morte di Angelo Maria. Come
visto, questo documento fu ritenuto un falso dalle autorità federali. Pur senza poterlo
provare, queste ultime addussero, a sostegno di questa tesi, argomenti assai convincenti, alla
luce del testo dello strumento di divisione del 18 luglio 1814 e del comportamento –
rimasto invariato – dei diversi Stoppani dopo il rovesciamento, insito nella seconda
divisione del 20 luglio, degli equilibri patrimoniali interni alla famiglia. Più tardi alcuni
Stoppani – Marianna e, ancor più chiaramente, i suoi figli – rimisero in discussione la
divisione del 20 luglio, probabilmente una volta che si resero conto che il canonico Leone e
Giovanni Battista non avevano intenzione di controbilanciare le perdite che tale atto aveva
comportato per loro (o per lo meno non nella misura in cui si aspettavano avrebbero fatto).
A margine si rilevi pure che se tale atto fosse stato effettivamente vero, esso avrebbe
probabilmente messo in dubbio lo stesso statuto di cittadino attivo di Angelo Maria dati i
criteri censitari posti alla partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica, criteri i cui
fondamenti non furono rimessi in discussione neppure dai promotori della rivolta.
Al di là dell’effettiva veridicità della divisione del 20 luglio, rimangono alcuni fatti che non
mutano di molto la posizione degli Stoppani. In primo luogo, tale divisione non era nota
alle autorità federali e cantonali, che pensarono di potersi rifare su Angelo Maria ponendo
sotto sequestro quelli che consideravano essere suoi beni. In secondo, il sequestro a
garanzia del pagamento della multa fu mantenuto – legittimamente o illegittimamente –
fino all’effettivo esborso della somma richiesta.
Il fallimento del tentativo di porre i beni di famiglia al riparo dalle richieste di indennizzo
incrinò il fronte, inizialmente compatto, degli Stoppani, che tentarono di far pesare sul
ramo avverso il peso delle conseguenze dei fatti del 1814. Sembrerebbe infatti che
l’ipotizzata suddivisione spaziale delle responsabilità, che aveva affidato ad Angelo Maria la
cura degli interessi della famiglia in territorio svizzero e a Giovanni Battista gli interessi in
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area lombarda, abbia creato, in seguito alla morte di Angelo Maria, le condizioni favorevoli
al (ri)emergere delle rivalità in seno alla famiglia. Per effetto della divisione del 20 luglio –
vera o falsa che fosse – e della designazione a erede universale dello zio Leone di Giovanni
Battista, quest’ultimo divenne infatti l’elemento più forte, dal punto di vista patrimoniale,
all’interno della famiglia, mostrandosi poco incline a condividere la propria fortuna con i
nipoti.
In questo contesto è interessante osservare la posizione di Marianna Stoppani. Già prima
della morte del marito il suo ruolo all’interno della famiglia non pare passivo. Ne è una
dimostrazione tra l’altro lo statuto di amministratrice dei beni del canonico Leone in
territorio ticinese, attestato già nel 1811, ricoperto poi di nuovo dal 1815 e definitivamente
revocato solo nel 1822. D’altra parte, anche in precedenza Marianna pare essersi mossa in
ambito economico in modo relativamente autonomo: nel 1805 aveva infatti ottenuto dal
suocero Nicola Stoppani un prestito di 3500 lire di Milano, per saldare per intero l’acquisto
di una masseria, comprata a sua sorella Regina Carli, moglie di Francesco Capra. Alla morte
del marito, Marianna, designata tutrice e curatrice dei suoi figli e della sostanza del defunto,
tentò di tutelare l’avvenire dei propri figli, cercando di tenere testa a Leone e Giovanni
Battista. In lotta con l’altro ramo degli Stoppani, Marianna e poi i figli finirono
coll’appoggiarsi per questioni economiche ma anche per la tutela dei propri interessi ai
Capra: se Francesco, cognato di Marianna, le prestò come visto del denaro per provvedere
ai bisogni della sua numerosa prole, Fedele Capra (forse figlio o parente in altro modo di
Francesco) assunse poi la difesa dei figli di Marianna nella causa che li oppose a Leone e
poi a Giovanni Battista.
I moti costituzionali del 1814 e il loro fallimento mi paiono interessanti ai fini di un esame
delle strategie di potere, in questo caso conservative, della famiglia Stoppani anche per un
altro aspetto, che permette di accennare una breve riflessione sulla posizione della famiglia
rispetto al tema del diritto di cittadinanza. Mi ci soffermerò nelle pagine che seguono.
Gli Stoppani: «lombardi» o «svizzeri»?
Abbiamo già avuto modo di accennare molto brevemente al fatto che, in seguito all’arresto
del fratello Angelo Maria, il 9 gennaio 1815 Giovanni Battista presentò al conte di
Bellegarde, plenipotenzario austriaco, un memoriale in cui chiedeva l’intervento delle
autorità del Lombardo Veneto a favore del fratello. A motivazione di tale richiesta si
sottolineava la cittadinanza lombarda di Angelo Maria, «possidente nel dipartimento del
Lario e avente da anni domicilio stabile in Como» 22. In una situazione di estremo pericolo
per un loro congiunto, Giovanni Battista e gli altri membri della famiglia Stoppani si
appellarono quindi ai sovrani del Lombardo Veneto, da poco ristabilitisi al potere dopo
aver spodestato i Francesi, sottolineando i loro doveri di assistenza e tutela nei confronti di
un suddito.
Prima di mostrare il carattere per nulla eccezionale di un simile comportamento fra le file
degli Stoppani, è bene ricordare brevemente le origini e la distribuzione patrimoniale della
famiglia. Antico casato di origini comasche con numerose ramificazioni in area lombarda,
gli Stoppani erano presenti stabilmente in terra ticinese dal XVI secolo. Anche dopo aver
messo radici e aver prosperato nel meridione dei baliaggi transalpini, avevano comunque
conservato una forte presenza nel ducato milanese. Il loro caso può anzi essere citato ad
esempio di quel gruppo di famiglie agiate, presenti soprattutto nei baliaggi di Lugano e
ASTi, 13.11.1, Petizione di Giovanni Battista Stoppani a nome del fratello Angelo Maria al conte Heinrich
Joseph di Bellegarde, 9.1.1815.
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Mendrisio, per cui il confine politico tra le due entità territoriali (i baliaggi italiani e il ducato
di Milano) non costituiva una cesura netta nella distribuzione dei propri beni 23.
Mi sembra quindi particolarmente interessante rilevare come a questa «permeabilità del
possedere» (prendendo a prestito un’espressione di Stefania Bianchi) corrisponda
un’affermazione bivalente della propria appartenenza «nazionale» 24 da parte degli Stoppani,
e probabilmente anche di altre famiglie. Tale ambivalenza – è bene dirlo sin d’ora – va in
ampia parte ricondotta al contesto ancora solo parzialmente esposto a condizionamenti
nazionali, condizionamenti che divennero viepiù costringenti con il progredire del processo
di edificazione statale e nazionale. Resta il fatto che nel 1815 gli Stoppani non erano nuovi
ad affermazioni in una certa misura contraddittorie della loro appartenenza nazionale.
Gli Stoppani avevano ottenuto nel 1616 la cittadinanza di Milano, insieme al titolo
nobiliare. Questa concessione, fatta a Giovanni Battista di Ponte Tresa da Filippo III, re di
Spagna e duca di Milano, segnava naturalmente l’ascesa sociale della famiglia piuttosto che
l’integrazione in una struttura nazionale di cui sarebbe anacronistico parlare in quest’epoca
(per lo meno rispetto al concetto di nazione diffusosi nel XIX secolo). Sul tema della
cittadinanza, in senso lato, si trova poi un’ulteriore attestazione nelle carte della famiglia nel
1775 quando Alessandro Maria, figlio di Angelo Maria sr e fratello di Nicola Stoppani
(rispettivamente nonno e padre di Angelo Maria e Giovanni Battista), chiese e ottenne la
concessione di un passaporto «austriaco» che doveva permettergli di viaggiare in Europa.
La prima attestazione che può essere interpretata nel senso di un’affermazione (più
moderna) della propria appartenenza nazionale risale però al 1798-1799 e all’instabile
periodo della Repubblica elvetica, che introdusse per la prima volta, seppur
temporaneamente, il diritto di cittadinanza svizzera 25. Premesso che allo stato attuale della
ricerca non mi è possibile circostanziare meglio questa richiesta, il 26 giugno 1798 la
famiglia di Nicola Stoppani ottenne infatti dal governo provvisorio di Lugano che le fosse
rilasciato un attestato che ne certificava la nazionalità svizzera 26. In assenza di maggiori
informazioni, si può solo supporre che fra le ragioni che motivarono questa domanda vi sia
stato anche il desiderio di fugare ogni dubbio sull’appartenenza nazionale e quindi pure sul
diritto di partecipare alla vita pubblica di una famiglia che conservava in effetti ampi
possedimenti al di là di un confine che proprio con l’Elvetica acquisiva maggiore densità 27.
In ogni caso, essa diviene ancor più interessante alla luce di quanto avvenne l’anno
successivo.
Nel 1799, a seguito del rovesciamento antifrancese degli equilibri locali e internazionali,
Giovanni Battista Stoppani affermò infatti la propria cittadinanza lombarda. A Giovanni
Battista, fratello minore di due figure di rilievo della rivoluzione del 1798 a Lugano –
Angelo Maria, segretario del governo provvisorio, e Felice, commissario di guerra,
assassinato proprio nei moti antifrancesi dell’aprile di quell’anno –, allora a Como presso lo
zio Leone per ragioni di studio, era stato intimato di abbandonare la città, perché accusato
Per una più ampia trattazione del tema del compenetrarsi a cavallo del confine delle proprietà lombarde ed
elvetiche si veda S. Bianchi, Proprietari stranieri in Lombardia e ‘possessori’ lombardi nella Svizzera italiana (XVIXVIII secc.), in L. Lorenzetti, N. Valsangiacomo (a cura di), Lo spazio insubrico. Un’identità storica tra percorsi
politici e realtà socioeconomiche 1500-1900, Bellinzona, 2005, pp. 109-128.
24 Consapevole della complessità del concetto di appartenenza «nazionale», il cui utilizzo è particolarmente
delicato in questa fase di progressivo superamento dell’ancien régime, e dell’enorme abbondanza di letteratura
su di esso, mi limito a rimandare per una definizione sintetica del concetto e degli approcci storiografici a
questo tema che si sono succeduti in Svizzera a G. Kreis, Nazione, in Dizionario storico della Svizzera, vol. 9,
Locarno, 2010, pp. 20-22 (URL: http://www.hls-dhs-dss.ch/textes/i/I17437.php).
25 Si veda sull’argomento, tra gli altri, S. Arlettaz, Citoyens et étrangers sous la République Helvétique, 1798-1803,
Ginevra, 2005.
26 Cf. A. Gili (a cura di), I protocolli dei governi provvisori di Lugano, 1798-1800, vol. 1, Lugano, 2010, p. 77.
27 Su questo argomento si veda anche S. Guzzi, Logiche della rivolta rurale. Insurrezioni contro la Repubblica elvetica
nel Ticino meridionale (1798-1803), Bologna, 1994, p. 15 e S. Bianchi, Fra Cisalpina ed Elvetica: un fragile confine, in
A. Gili (a cura di), Lugano dopo il 1798, Lugano, 1999, pp. 135-144.
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dal podestà di essere un pericoloso elemento giacobino. Intervenne allora lo zio Leone,
personalità di una certa influenza nella città per la sua posizione nelle gerarchie
ecclesiastiche. Egli prese le difese del nipote, affermando la sua estraneità ai moti del 1798 e
garantendo per la sua buona condotta 28. Nella supplica presentata alla regia commissione
generale di polizia, affinché revocasse l’intimazione a lasciare la città pronunciata dal
podestà, si sottolineava che Giovanni Battista era «per nascita accidentale luganese», ma che
il padre Nicola e lo zio Leone, fratelli indivisi, possedevano beni a Como, Lavena,
Viconago, nella Valtravaglia e nella Valcuvia. I due avevano inoltre pagato i tributi richiesti
all’invasione dei Francesi. Ciò provava la cittadinanza comasca e, più in generale, lombarda
della famiglia 29. A distanza di meno di un anno dalla richiesta della famiglia di Nicola
Stoppani di vedersi confermare pubblicamente la propria cittadinanza svizzera, a seguito
del sovvertimento degli equilibri locali e internazionali, uno dei suoi figli sottolineava quindi
la cittadinanza lombarda della famiglia.
Ciò avvenne, come visto, anche nel gennaio del 1815, con la richiesta di soccorso al fratello
presentata da Giovanni Battista alle autorità lombarde, e si ripeté nuovamente nel 1817. In
quell’anno Giovanni Battista si era visto negare il rilascio della carta di iscrizione e
sicurezza, necessaria per circolare liberamente nel regno Lombardo Veneto, perché nato a
Lugano. Benché avesse già ottenuto in precedenza documenti che comprovavano la sua
cittadinanza austriaca, l’introduzione di nuove norme che negavano tale diritto alle persone
nate all’estero ostacolava ora la sua richiesta. Egli domandò perciò al governo di Milano di
attestare la sua «naturalizzazione, ossia la cittadinanza austriaca a norma del Codice civile» 30.
A sostegno della legittimità di tale domanda, sottolineava di risiedere stabilmente a Milano
ormai da oltre 20 anni e, soprattutto, di discendere da una famiglia, con rilevanti proprietà
in area lombarda, che ormai da generazioni era ritenuta milanese. A conferma di ciò egli
produsse una serie di documenti, fra cui il diploma rilasciato nel 1616 al suo omonimo avo
e alcuni testamenti che provavano che egli discendeva da quest’ultimo.
Ripercorrendo questi episodi, e in particolare l’ambivalente affermazione della propria
cittadinanza e con essa della propria appartenenza nazionale nel 1798-1799, nel 1815 e nel
1817, sembrerebbe quindi che gli Stoppani abbiano sfruttato la distribuzione transnazionale
dei loro beni per godere dei benefici derivanti dallo statuto di cittadino in entrambi i
contesti statali. Essi riattivarono così, di volta in volta, l’una o l’altra cittadinanza a seconda
dei propri interessi contingenti. Come detto, la richiesta di conferma della cittadinanza
svizzera della famiglia presentata nel giugno del 1798 al governo provvisorio di Lugano da
Nicola Stoppani, nella sua qualità di capofamiglia, fu forse motivata dal desiderio di fugare
ogni dubbio sulla posizione giuridica come pure, di riflesso, politica e sociale della famiglia
Il canonico scrisse precisamente: «Devo pur dar lode alla verità ed all’innocenza certificare che mio nipote
Gianbatttista figlio dell’unico mio fratello Nicola De Stoppani fino da giovinetto (come pure
antecedentemente e contemporaneamente li altri suoi fratelli) fu sotto la mia direzione in Como e non ho
scorto nel figliuolo né massima repubblicana, né sentimento alcuno contrario alla nostra santa religione, ma
esservi egli sempre comportato rispettoso verso di me e di tutti, ed operando unicamente ciò che gli veniva
applaudito da suoi maggiori, avendolo all’arrivo de francesi nella Lombardia Austriaca mandato a Lugano a
studiare parte della filosofia per allontanarlo da ogni occasione, quindi nel 1798 essendo stato invaso anche
quel Paese di sì fatta razza di gente l’ho richiamato e perché non s’immischiasse in alcun altro impiego civile o
militare e stesse lontano dall’ozio ho concesso che prendesse cognizioni di commercio. Sono poi rimasto
assaissimo sorpreso nell’intendere dal signore Podestà di Como il calunnioso carattere fatto al medesimo di
giacobino contrario alla notorietà della sua buona condotta per la quale garantisco io in tutto e per tutto e per
fede e corroborazione di quanto sopra mi sottoscrivo di propria mano e carattere frapponendosi anche il
sigillo della famiglia.» Cf. ASTi, 12.8.2, Attestato di buona condotta rilasciato dal canonico Leone Stoppani a
Giovanni Battista Stoppani, 12.7.1799.
29 ASTi, 12.8.3, Supplica con produzione di documenti comprovanti la condotta e la nazionalità alla regia
commissione generale di polizia, 15.7.1799.
30 ASTi, 12.8.3, Istanza di Giovanni Battista Stoppani al regio governo di Milano per il rilascio della carta di
sicurezza e cittadinanza, 7.8.1817.
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in territorio elvetico. In seguito al rovesciamento della situazione politica nella primavera
del 1799 e al temporaneo ritorno degli Austriaci nel Milanese, fu necessario sminuire il
ruolo di diversi membri della famiglia nei moti rivoluzionari del 1798 – ossia di Angelo
Maria e del fratello Felice, ma anche del padre Nicola, che vi prese parte attivamente tra
l’altro come giudice del tribunale interinale di Lugano accanto a Francesco Capra e a Giulio
Domenico Somazzi 31 – e di riaffermare la propria cittadinanza lombarda. Se il ritorno degli
Austriaci fosse stato definitivo e se il coinvolgimento rivoluzionario dei diversi Stoppani
fosse stato provato, la famiglia rischiava infatti di incorrere in sanzioni nello Stato
lombardo. La richiesta di revoca dell’allontanamento inflitto dalle autorità di Como a
Giovanni Battista, che non risulta aver preso parte attivamente ai fatti del 1798, doveva
quindi servire a tutelare gli interessi generali della famiglia oltre il confine.
Una situazione molto simile si ripresentò in seguito ai moti del 1814; questa volta però la
famiglia non riuscì a uscirne altrettanto bene, almeno in territorio ticinese, e anzi, pur
cercando di non perdere posizioni in quest’area, ripiegò per alcuni anni sui suoi
possedimenti lombardi. Al di là della condanna e della multa inflitta agli Stoppani dalla
Corte federale di giustizia, tale ripiegamento fu forse dovuto anche al loro cattivo
posizionamento nelle reti di potere del cantone. Si è infatti già accennato al fatto che le
difficoltà politiche che Angelo Maria aveva incontrato dai primi anni del XIX secolo sono
forse riconducibili anche alla rivalità con esponenti di primo piano, fra cui Giovanni
Battista Quadri, divenuto dal 1815 l’uomo forte del governo ticinese. Asceso dopo la morte
del fratello Angelo Maria e poi anche dello zio Leone al ruolo di esponente principale della
famiglia, Giovanni Battista fu attivo ancora per alcuni anni soprattutto a Milano, dove nel
1817 presentò la già citata richiesta di conferma della propria cittadinanza lombarda.
L’interesse per l’area ticinese non venne comunque meno, come dimostrano la rivalità con
gli eredi di Angelo Maria per il possesso di beni in Ticino, il ruolo di primo piano giocato
da Giovanni Battista nella rivoluzione liberale del 1839 e la brillante carriera politica svolta
in Ticino dal figlio Leone (1825-1895).
Conclusione
Le conseguenze del fallimento dei moti costituzionali del 1814 si rivelano quindi
interessanti sia per l’analisi delle strategie di potere di una famiglia della classe dirigente
ticinese sia per la (reiterata) affermazione bivalente della propria appartenenza nazionale da
parte di quest’ultima. Sul primo aspetto, si è rilevata la versatilità degli Stoppani di fronte a
un evento potenzialmente molto dannoso, la morte del familiare che sembrava destinato a
reggere le sorti del casato in territorio elvetico e il rischio, per nulla remoto, di vedersi
confiscare tutte o buona parte delle proprietà in quest’area. Di fronte a questo rischio, gli
Stoppani reagirono prontamente e con una buona dose di inventiva, rivedendo piuttosto
agilmente le strategie privilegiate in precedenza. I risultati di questa brusca inversione di
marcia non furono però sempre soddisfacenti: gli Stoppani non riuscirono, in primo luogo,
a evitare la condanna, piuttosto onerosa, da parte della Corte federale di giustizia. In
secondo luogo, la revisione delle strategie familiari e il ruolo di preminenza ottenuto da
Giovanni Battista furono all’origine di logoranti tensioni intestine. Queste ultime, insieme
forse alla difficoltà di protrarre sul lungo periodo strategie che impegnavano gli Stoppani su
entrambi i lati di un confine sempre meno permeabile, contribuirono probabilmente a
innescare il declino politico e sociale della famiglia, che pare infatti essere scomparsa dalla
scena politica ticinese dopo il figlio di Giovanni Battista, Leone.
Sul secondo aspetto, quello dell’ambivalente affermazione della propria appartenenza
nazionale, il caso degli Stoppani offre alcuni spunti interessanti per una riflessione di più
31
Cf. Gili, I protocolli, cit., vol. 2, p. 239.
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ampio respiro. Esso appare infatti particolarmente stimolante se inserito nel contesto in cui
si sviluppa. Quest’ultimo era caratterizzato, sul piano europeo, dalla nascita e dal
progressivo affermarsi delle identità nazionali, doppiato, su quello cantonale, dal tortuoso
avanzare del processo di edificazione statale. Sebbene lo stato attuale dell’indagine ostacoli
un contributo maturo a questa riflessione, è forse utile richiamare comunque alcune delle
osservazioni fatte. In primo luogo, si è costatato come a una distribuzione transnazionale
della proprietà corrisponda nella famiglia Stoppani la tendenza, rilevata in diversi momenti
e contesti, a riattivare l’una o l’altra cittadinanza a seconda degli interessi contingenti. Per
quanto non ne abbia al momento le prove, è altamente probabile che quello degli Stoppani
non sia un comportamento isolato. Si è già rilevato come il fatto di possedere proprietà su
un lato e sull’altro del confine fosse comune a diverse famiglie agiate dei baliaggi di Lugano
e Mendrisio, e in particolare di località di frontiera come Ponte Tresa 32. Da un certo punto
di vista, questo era peraltro quasi inevitabile in un contesto in cui il confine tra due entità
geopolitiche diverse assunse solo progressivamente una «densità» sufficiente a farne
effettivamente una linea di separazione. Se la distribuzione delle proprietà a cavallo del
confine non fu rara, probabilmente non lo fu nemmeno il ricorso bivalente a una
cittadinanza o all’altra. Un primo indizio in questa direzione è offerto, ad esempio, dal fatto
che nel 1798 gli Stoppani non furono i soli a richiedere conferma della propria cittadinanza
svizzera. Tale domanda fu presentata infatti anche dai Pellegrini, altra famiglia di Ponte
Tresa 33.
Queste osservazioni ancora rudimentali lasciano aperti diversi interrogativi, cui sarà
necessario cercare di rispondere. Fra questi, innanzitutto, quello di sapere quanto fu
effettivamente diffuso questo comportamento nella classe dirigente ticinese, in che modo
esso si ricolleghi al processo di edificazione statale e nazionale, ancora ai primi stadi della
sua evoluzione, e quali conseguenze ebbe sulle strategie di lungo periodo delle élite. Allo
stato attuale, si può solo ipotizzare, come si è fatto, che l’affermazione (am)bivalente della
propria appartenenza nazionale fosse in effetti relativamente diffusa fra la classe dirigente e
che tale comportamento fosse reso possibile dall’avanzamento ancora insufficiente del
processo di edificazione statale e nazionale. In altre parole, esso fu probabilmente il frutto
del permanere di mentalità e pratiche d’ancien régime, durante il quale il diritto di cittadinanza
offriva la possibilità di beneficiare dei vantaggi derivanti dall’appartenenza a una comunità,
appartenenza che non era però per nulla esclusiva. Si poteva quindi essere membri
simultaneamente di più comunità, beneficiando quindi nel contempo dei diversi vantaggi
che ne derivavano. L’esclusività dell’appartenenza (divenuta ora) nazionale parrebbe quindi
un prodotto della modernizzazione. L’avanzamento del processo di edificazione statale e
nazionale, per quanto lento e tortuoso, avrebbe quindi condizionato la classe dirigente in
questo come in altri ambiti 34.
Accanto al caso degli Stoppani Stefania Bianchi menziona ad esempio quello dei Crivelli, pure di Ponte
Tresa. Cf. Bianchi, Proprietari stranieri, cit., p. 122.
33 Cf. Gili, Protocolli, cit., p. 77.
34 In un altro contributo si è avuto modo di osservare come il processo di modernizzazione in corso nel XIX
secolo abbia probabilmente condizionato i comportamenti della classe dirigente ticinese anche, ad esempio,
nelle loro pratiche clientelari. Cf. F. Mariani Arcobello, Notables, partis et clientelisme: le cas tessinois entre
permanences et adaptations au processus de modernisation, in O. Mazzoleni, H. Rayner (a cura di), Les partis politiques
suisses: traditions et renouvellements, Parigi, 2009, pp. 45-87.
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Francesca Mariani Arcobello