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PNEUMOLOGIA
RICHIAMI DI ANATOMIA DEL POLMONE
I polmoni del peso di 850-1100gr ciascuno, sono suddivisi in lobi (3 dx, 2 sin) da scissure.
I bronchi principali, entrati nel polmone si suddividono nei bronchi lobari, bronchi
segmentari ed infine in bronchioli membranosi.
Terminologia utile:
-
segmento broncopolmonare: unità del polmone originata da un bronco segmentario;
-
acino: unità del polmone che dà origine al bronchiolo terminale;
-
lobulo: struttura poligonale circondata da setti connettivali e che comprende 3-5 acini.
L’epitelio di un bronco è formato da cellule ciliate, cellule mucipare, cellule indifferenziate e
cellule neuroendocrine. Se le cellule mucipare aumentano si parla di “metaplasia
mucipara”.
La parete di un bronchiolo è formata da cellule basali indifferenziate, cellule ciliate e “clara
cells” (cellule a secrezione sierosa). Non si trovano cellule mucipare e il loro riscontro è
anomalo e tanto più grave è la metaplasia mucipara tanto più grave è la patologia.
La parete dell’alveolo è formata da pneumociti di I ordine (90%), di II ordine (10%) che
producono sulfactante e sono deputati al rinnovamento cellulare e cellule macrofagiche. Il
capillare è la componente più importante dell’interstizio. Ogni tanto si trova qualche
fibroblasto e qualche fibra collagene.
FUNZIONALITÀ RESPIRATORIA
Generalità
La funzionalità respiratoria viene valutata attraverso lo studio dei volumi statici e dinamici
dei polmoni. L’aria contenuta nei polmoni può essere suddivisa in 4 volumi:
-
Volume Corrente (VC): volume d’aria mobilizzato ad ogni respiro tranquillo (0,5 L)
-
Volume di Riserva Inspiratoria (VRI): volume d’aria mobilizzabile al di sopra di un VC,
cioè il volume massimo inspirabile al termine di un normale inspirio ( 3,3 L )
-
Volume di Riserva Espiratoria (VRE): volume d’aria mobilizzabile al di sotto di un VC,
cioè il volume massimo espirabile al termine di una normale espirazione ( 1,0 L )
-
Volume residuo (VR): volume residuo, cioè il volume che resta nei polmoni al termine di
un espirio massimale; normalmente è di 0,8-2,0 L, ma può aumentare nelle
pneumopatie ostruttive e con l’età mentre si riduce in quelle restrittive. E’ importante
perché rappresenta una riserva d’aria, inoltre la sua assenza comporterebbe un
collasso del polmone ad ogni espirio con enorme difficoltà all’atto inspiratorio.
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Da questi volumi è possibile ricavare le capacità del polmonari:
-
CI: capacità inspiratoria data da VT+VRI ( 3,8 L )
-
CFR: capacità funzionale residua data da VR+VRE ( 2,2 L )
-
CV: massimo volume d’aria che può essere espirato completamente e lentamente dopo
un’inspirazione massimale. La CV è data da VT+VRI+VRE. Varia tra 3 e 5 L a seconda
dell’età, altezza, sesso, peso, tende a diminuire nelle pneumopatie restrittive
-
CPT: capacità polmonare totale data da CV+VR ( 6 L ).
Altro dato importante in clinica è il rapporto VR/CPT denominato anche indice di Motley,
tale parametro nei giovani deve essere inferiore al 20%, mentre negli anziani può essere
superiore al 35%. L’indice di Motley indica che vi è un volume quando è patologico cioè un
volume residuo che è maggiore del 35% della capacità polmonare totale. È quindi un indice
di iperinflazione alveolare; è un volume che non partecipa alla ventilazione nella normalità,
mentre nell’enfisema si.
Per calcolare i volumi esistono 3 metodi:
-
spirometria: è in grado di misurare tutti i volumi eccetto il volume residuo. Può essere
eseguita con spirometri in cui viene misurato lo spostamento di un galleggiante o per
mezzo di flussimetri nei quali i volumi sono calcolati sulla base della velocità di flusso
dell’aria che entra nelle vie aeree. Gli spirometri a campana misurano lo spostamento
dei volumi di aria mobilizzabili attraverso il movimento di una campana il cui bordo
inferiore è immerso nell’acqua. Ad ogni atto ventilatorio abbiamo un volume cioè un
ciclo ventilatorio e il volume mobilizzato ad ogni atto viene chiamato volume corrente.
-
diluizione dei gas inerti (residenti come l’azoto o inalati come l’elio): consente di
misurare CPT,CFR e VR. Questo metodo misura solo il volume gassoso che può essere
ventilato. Spesso richiede tempi lunghi per raggiungere l’equilibrio, specie in presenza
di patologie ostruttive.
-
pletismografia: utilizza la legge di Boyle, e misura tutto il gas contenuto nel torace ma
anche i gas presenti in aeree non ventilate come bolle, cisti, pneumotorace. E’ in grado
di misurare tutti i volumi in una sola applicazione, ma non è in grado distinguere i
volumi polmonari dai volumi da pneumotorace.
Ulteriore metodo è la radiografia del torace che permette una stima approssimativamente
(+-15%) della capacità polmonare totale.
Da tener presente che i volumi polmonari variano con la postura: in piedi la capacità
polmonare totale aumenta di 700-1000ml in quanto il diaframma è tratto verso il basso
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(anche la FRC aumenta per lo stesso motivo). Queste misure non sono eseguite in funzione
del tempo e pertanto i volumi misurati sono detti statici.
I volumi dinamici possono essere calcolati mediante spirometro o pneumotacografo
chiedendo al pz di fare, partendo dalla capacità polmonare totale e con la massima forza
possibile, uno sforzo espiratorio massimale seguito da uno sforzo inspiratorio massimale.
Si effettua in tal modo la manovra della Capacità Vitale Forzata, ottenendo così due
tracciati: una curva volume/tempo(relativa al solo espirio) o un tracciato flusso/volume
che comprende sia l’espirio che l’inspirio.
Con la spirometria pertanto si valutano le proprietà meccaniche misurando volumi e flussi
espiratori e inspiratori e nello specifico i volumi polmonari:
-
volumi mobilizzabili (statiti e dinamici)
-
non mobilizzabili.
Volumi polmonari mobilizzabili:
-
CVF: la capacità vitale forzata cioè il volume
totale espirato sotto sforzo ( 3-5 L)
-
FEV11 o VEMS: forced expiratory volume in the
first second cioè i litri d’aria espirata nel primo
secondo
-
Indice
Tifffenau:
rapporto
percentuale
FEV1/CVF (normalmente>75%)
-
PEF: peak expiratory flow: velocità con la quale
l'aria esce dai polmoni all'inizio dell'espirazione
forzata. Massimo flusso espirato in dipendenza
dello sforzo espiratorio. E' una variabile sforzo-dipendente e riflette il diametro delle vie
aeree centrali
-
FEF25-75%: flusso medio dal punto in cui il 25% della CVF è stata espirata al punto
in cui il 75% della CVF è stata espirata
Esiste anche un volume non mobilizzabile in
quanto al termine della inspirazione il
polmone non è mai vuoto ma rimane aria. Per identificare questo volume si usa un circuito
1 i soggetti di razza caucasica hanno i valori più elevati di FEV1 e capacità vitale, i polinesiani tra i più bassi. La
razza nera si caratterizza per valori inferiori del 10-15% rispetto a quella caucasica, in quanto a parità di età,
altezza e sesso hanno un busto più corto e gambe più lunghe. Vi è invece scarsa differenza tra i vari gruppi
etnici per quanto riguarda il PEF 3 www.haikzarian.com
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ad elio e raggiunto l’equilibrio si ricava il volume residuo conoscendo la concentrazione
iniziale. Si identifica il tal modo il RV, FRC e TLC.
Alcune
patologie
si
caratterizzano
per
una
diminuzione o per un aumento di questi volumi.
Nell’asmatico, un problema fondamentale è la
difficoltà di svuotare di aria durante l’espirazione:
Dal grafico si può notare che: -
la curva parte da un volume più grande perché
vi è intrappolamento d’aria
-
il flusso massimo raggiunto è minore, perché è
minore l’inspirazione ed inoltre l’espirazione è
incompleta e inferiore rispetto ad un soggetto normale
-
vi è un brusca caduta del flusso espiratorio con deformazione a cucchiaio del tracciato,
tipica dell’asmatico
-
nei polmoni resta intrappolata una cospicua quantità d’aria.
Somministrando un broncodilatatore e ripetendo l’esame
si
traggono
informazioni
sulla
reversibilità
della
ostruzione. Per convenzione una ostruzione è detta
reversibile se dopo broncodilatatore il FEV1 > 12% o di
almeno 0,2 L. durante l’attacco acuto d’asma FEV1 e CVF
resta normale o prossimo alla normalità. E’ però una
normalità
apparente,
perché
in
genere
la
somministrazione di un broncodilatatore fa aumentare
CVF più del FEV1, smascherando un rapporto FEV1/CVF
patologico.
Sono migliorati tutti i parametri, meno l’indice di Tiffenau, perché prima della
broncodilatazione il pz era incapace di espirare un volume d’aria sufficiente, ciò non
significa che sia peggiorato anzi il paziente sta benissimo dopo tale somministrazione. La
falsa variazione di tale indice può essere anche spiegata in quanto FEV1 è una misura
istantanea mentre CVF misura i benefici in uno spazio temporale.
Un problema dell’asma è il fatto che tale patologia è variabile e reversibile nel tempo, ed
inoltre può presentarsi con sintomi aspecifici o essere del tutto asintomatica fino all’attacco
asmatico. In questi pz che non si presentano in una stato patologico evidente si
somministrano dei broncocostrittori, sapendo che nei soggetti normali tale stimolo non
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causerebbe alcuna sintomatologia. In questi soggetti quindi ricerchiamo la eventuale iperreattività bronchiale. Il test più usato è quello alla Metacolina che somministrata per
aereosol permette di valutare FEV1: se non si ottiene bronco-costrizione si aumenta la dose
fino a quando FEV1 scende del 20% e tale valore viene chiamato PC20. Il test si dice
positivo se PC20 è ottenuta con una dose di metacolina inferiore a 8mg/ml.
Dalle curve flusso/volume si possono trarre informazioni circa l’esistenza di ostruzioni
lungo le vie aeree intra o extratoraciche. Ostacoli intratoracici, a livello della trachea, fanno
appiattire la parte inspiratoria della curva. La coesistenza di un ostacolo intra ed extra
toracico dà alla curva un aspetto a scatola.
In presenza di patologie restrittive od ostruttive la curva flusso volume è più piccola del
normale, spostata verso i bassi volumi in caso si restrizione, spostata verso volumi elevati
in caso di ostruzione.
L’interpretazione della spirometria avviene attraverso il confronto con valori teorici,
espressione della normalità (si interpretano i valori assoluti con i valori teorici).
Bisogna tenere conto di:
-
età
-
l’etnia
-
altezza
-
sesso.
La prova spirometrica dipende dallo sforzo e dalla collaborazione del soggetto per cui è
necessario sempre verificare:
-
accettabilità del test
-
la riproducibilità dei risultati.
Si fa la prova per tre volte e si prende il valore migliore ottenuto. È anche operatore
dipendente, cioè bisogna invitare la persona a dare il meglio di se e il tecnico è molto
importante.
La spirometria ci permette di identificare quindi alterazioni funzionali (restrittivi, ostruttivi
o misti) e quantificare il danno funzionale. Questo è importante in quanto le stesse
patologie mediche vengono distinte in deficit ostruttivi e restrittivi.
Un deficit ostruttivo si definisce dall’indice di Tiffenau < 70%. Una persona inspira nel
primo sec più del 70% della CV. Possiamo definire la ostruzione come live, moderata o
marcata. I valori assoluti si rapportano in base all’altezza, sesso, etnia ed età. Quando
confrontiamo il FEV1 li confrontiamo sempre in base ai brevetti in base ai 4 indici
antropologici.
Per capire se la bronco-ostruzione è sempre presente si fa un test di bronco dilatazione:
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-
se presente boronoco-ostruzione somministrate 4p di salbutamolo
-
ripetere la spirometria dopo 15min. si considera reversibile se FEV1 migliora almeno
del 12% e di 200ml.
Ci sono malattie che presentano bronco-reversibilità. La spirometria permette di valutare le
patologie ostruttive.
Un Tiffenau maggiore del 70% e FEV1 < 80% e VC <80% è suggestivo di alterazioni
funzionali di tipo restrittive e anche qui ci sono categorie di patologie caratterizzate da
patologie restrittive. Esistono pneumopatie diffuse del polmone come le interstiziopatie che
hanno alterazioni di tipo restrittivo. Possono essere presenti entrambi i deficit.
Conclusioni
Analizzando quindi i parametri ottenuti con la spirometria si può valutare la funzionalità
polmonare e diagnosticare la presenza di eventuali patologie. In particolare la curva di
espirazione forzata può dirci se l'insufficienza polmonare è di tipo ostruttivo o restrittivo:
-
insufficienza polmonare di tipo restrittivo: le vie aeree hanno un calibro normale ma i
polmoni hanno una ridotta capacità di espansione, oppure vi è una riduzione della
superficie ventilatoria polmonare (obesità, miopatie, pleurite, poliomelite, edema
polmonare ecc.). La capacità vitale ed i vari volumi diminuiscono in modo
proporzionale.;
-
insufficienza polmonare di tipo ostruttivo: all'interno delle vie aeree è presente un
ostacolo al deflusso dell'aria inspirata oppure i calibri di queste vie si restringono
diventando inferiori alla norma. Tutto ciò può essere dovuto alla presenza di secrezioni
o
all'ispessimento
e
distruzione
della
componente
elastica
(fibrosi
polmonare
interstiziale, BPCO, asma, bronchite acuta, bronchite.
Se il rapporto VEMS/CVF è normale o aumentato, si tratta probabilmente di una
limitazione di tipo restrittvo. Per confermare la diagnosi occorre valutare i volumi
polmonari statici tramite una spirometria lenta e pletismografia: se la capacità polmonare
totale (CPT) risulta inferiore all'80% si tratta effettivamente di insufficienza polmonare di
tipo restrittivo.
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Indici funzionali
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Capacità ventilatoria di
Incapacità ventilatoria di
tipo restrittivo
tipo ostruttivo
CVF
↓
normale
VEMS (FEV1)
↓ (in modo proporzionale
↓
alla CVF)
VEMS (FEV1)/CVF
normale
↓
Il rapporto VEMS/CVF in pazienti adulti normali oscilla tra 70% e 80%; un valore inferiore
al 70% indica un deficit ostruttivo e alta probabilità di BPCO. Tale rapporto ci da un
informazione INDICATIVA che va sempre confermata confrontando il valore registrato di
FEV1 con i valori normali:
-
se VEMS/FCV < 70% e VEMS ≥ 100%, può trattarsi di una variabile fisiologica, specie
in soggetti sani ed atleti (per approfondire eseguire pletismografia, diffusione, EGA)
-
se VEMS/FCV < 70% e VEMS ≤100% ≥ 70% ostruzione lieve
-
se VEMS/FCV < 70% e VEMS ≤70% ≥ 60% ostruzione moderata
-
se VEMS/FCV < 70% e VEMS ≤60% ≥ 50% ostruzione moderatamente severa
-
se VEMS/FCV < 70% e VEMS ≤50% ≥ 34% ostruzione severa
-
se VEMS/FCV < 70% e VEMS < 34% ostruzione molto severa
La spirometria è uno strumento particolarmente utile anche nel monitorare l'evoluzione
della BPCO (si raccomanda almeno una visita di controllo annuale) e nel valutare i soggetti
a rischio (fumatori incalliti, lavoratori esposti ad inquinanti chimici o gassosi ecc.). Una
diagnosi precoce di BPCO aiuta notevolmente il trattamento della patologia, bloccandola
sul nascere.
Controindicazioni alla spirometria
-
precedenti episodi cerebrovascolari
-
infezioni polmonari
-
recente sottoposizione ad interventi chirurgici toracici, addominali o oculari
-
infarto miocardico negli ultimi sei mesi, o angina pectoris instabile
-
aneurismi
-
grave ipertensione arteriosa
-
presenza di sintomi che potrebbero interferire con la spirometria (nausea, vomito)
ASMA
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Generalità
L’asma è una malattia infiammatoria cronica delle vie aeree in cui svolgono un ruolo
numerose cellule infiammatorie (linfociti, eosinofili e mastociti).
L’infiammazione cronica è associata
ad iper-reattività bronchiale che causa episodi
ricorrenti di respiro sibilante, dispnea, senso di costrizione toracica e tosse, soprattutto
durante la notte e nelle prime ore del mattino.
Questi episodi sono associati ad un variabile grado di broncostruzione, che è di solito
reversibile spontaneamente o dopo trattamento farmacologico. Caratteristica dell’asma
sono i periodi di benessere alternati a periodi di peggioramento, quindi non è costante nelle
sue manifestazioni, ma si presenta con delle crisi ricorrenti. La reversibilità è importante.
Caratteristiche principali dell’asma
-
infiammazione delle vie aeree: caratteristica è la presenza delle cellule infiammatorie
(linfociti, eosinofili e mastociti)
-
bronco costrizione: è dovuta alla contrazione della muscolatura liscia che si trova
intorno alle vie aeree: nell’asmatico tale contrazione provoca bronco costrizione
-
iper-reattività bronchiale: cioè tendenza vie aeree a chiudersi troppo facilmente: se
entra in contatto con allergene e vie aeree si chiudono (nel soggetto normale no).
Viste queste
caratteristiche dell’asma,
la
terapia
si basa
sull’utilizzo di farmaci
antiinfiammatori e broncodilatatori.
Epidemiologia
L’asma è una delle malattie croniche più diffuse in tutto il mondo e si calcola che ne siano
affette circa 150 milioni di persone (5:100). La prevalenza è in aumento in molti paesi,
soprattutto nei bambini, tanto che è una causa importante di assenza da scuola e dal
lavoro. Le forme di asma grave sono in aumento con conseguente aumento del il rischio di
morte per asma. Mortalità: 1-5:100.000
Patogenesi e Fattori di rischio
La
principale
alterazione
fisiopatologica
che
determina
lo
stato
funzionale
e
la
sintomatologia del paziente asmatico è la diminuzione del calibro dei bronchioli indotta da
diversi meccanismi fondamentali:
-
contrazione della muscolatura liscia bronchiale, muscolatura che nell’asmatico è molto
sviluppata (ipertrofia della muscolatura, ispessimento della membrana basale)
-
edema ed infiammazione con conseguente congestione della parete bronchiale.
-
ipersecrezione di muco
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-
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rimodellamento delle vie aeree dovuta alla flogosi cronica e quindi alla riparazione
dell’epitelio bronchiale che esita in modificazioni strutturali e funzionali (perdita
dell’epitelio);
-
iperreattività bronchiale
Accanto a queste condizioni esistono dei fattori di rischio che predispongono il soggetto in
maniera più o meno marcata allo sviluppo di asma:
-
fattori individuali: predispongono l’individuo alla comparsa di asma
-
fattori ambientali: negli individui predisposti influenzano la comparsa di asma,
causano le riacutizzazioni, e /o la persistenza dei sintomi. I fattori ambientali possono
essere anche fattori scatenanti: negli indi asmatici causano riacutizzazioni e/o
persistenza di sintomi.
a) Fattori individuali
-
Predisposizione genetica
-
Atopia: tendenza ad eccessiva produzione di IgE in risposta ad un allergene. È
coinvolta nel 40% dei casi di asma. Si misura con PRICK test o ricercando le IgE.
-
Iperreattività bronchiale: è caratteristica dell’asma. Tendenza delle vie aereea chiudersi
troppo facilmente
b) Fattori ambientali
-
Allergeni: sono diversi come acari, animali a pelo (cani, gatti ecc), scarafaggi, pollini ecc
-
Agenti professionali: prodotti di origine animale o vegetale: panettieri possono avere
asma da farina. Sostanze coinvolte possono esser anche gli isocianti (vernici),
cloramine, formaldeide. Può essere studiata allontanando l’allergene e quindi possono
essere studiati e vedere quello che succede.
-
Fumo di sigaretta: non è un vero e proprio fattore di rischio, è un fattore che fa male,
riacutizza l’asma, riduce trattamento farmacologico e riduce il livello del controllo della
malattia.
-
Inquinamento atmosferico: simile al fumo. Negli ultimi anni c’è stato notevole aumento
inquinamento atmosferico. Tuttavia non esiste evidenza che inquinamento sia fattore
di rischio per sviluppo malattia.
-
Infezioni respiratorie: causano riacutizzazioni. In pz che sono stati ricoverati da virus
respiratorio sinciziale (bambini) sviluppano asma più facilmente. Molti studi hanno
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dimostrato che infezioni nel primo anno di vita hanno effetto protettivo, sono quelli che
più difficilmente sviluppano infezioni da grandi.
-
Fattori socio-economici
-
Numerosità della famiglia.
-
Farmaci: aspirina o altri FANS possono scatenare crisi asmatiche anche molto gravi e
possono mandare il soggetto in PS, si tratta quindi di una situazione particolare e
succede solitamente in donne di una certa età. Si associa a poliposi nasale.
-
Rinite
Negli ultimi anni l’aumento della prevalenza dell’asma è legato probabilmente alla
diminuzione delle infezioni che hanno quindi un effetto protettivo verso insorgenza di asma
e questo ha fatto nascere l’ipotesi igienista, fatto non ancora confermato. Il miglioramento
delle condizioni economiche associato alle ridotte infezioni si associano ad una aumentata
prevalenza di asma nei paesi evoluti. Questo perchè le infezioni nei primi anni portano il
sistema immunitario a svilupparsi verso una certa direzione.
Se nel primo anno si contraggono tante infezioni si ha attivazione linfociti tipo 1 con INF
gamma, altrimenti no.
Clinica
I principali sintomi comprendono:
-
respiro sibilante: se episodico
-
dispnea: frequenza
-
senso di costrizione toracica: si valuta la gravità
-
tosse
Il soggetto asmatico può avere solamente un sintomo. Il soggetto può avere tosse,
prevalentemente notturno o mattutino ecc.
La modalità di presentazione della sintomatologia può essere:
-
stagionale
-
perenne
-
notturno
Fattori scatenati
-
Allergeni
-
Infezioni virali
-
Attività fisica
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Farmaci
Diagnosi
È utile rivolgere al pz alcune domande specifiche
-
Le è mai capitato di avere mancanza di respiro dopo uno sforzo intenso?
-
Le è mai capitato di svegliarsi per la presenza di respiro sibilante?
-
Le è mai capitato di svegliarsi per un attacco di tosse?
-
Le è mai capitato di avere un episodio di mancanza di respiro durante il giorno a
riposo?
-
Le è mai capitato di sentire un senso di costrizione toracica?
Il dolore toracico non è caratteristica di asma.
In caso di crisi è possibile sentire sibili
oppure in casi gravi il silenzio respiratorio.
Sono importanti:
-
Anamnesi (storia clinica dei sintomi)
-
Esame obiettivo
-
Prove di funzionalità respiratoria (conferma obiettiva di broncoostruzione reversibile)
-
Altri esami strumentali
-
Esclusione di altre patologie
Prove di funzionalità respiratoria
-
Spirometria
-
Picco di flusso espiratorio
-
Test di stimolazione bronchiale
a) Spirometria
I parametri da valutare sono
VEMS, CVF, VEMS/CVF prima e dopo inalazione di
broncodilatatore a breve durata d’azione (Salbutamolo?)
Si parla di ostruzione quando:
-
VEMS < 80% del teorico
-
VEMS/CVF ( indice di Tiffenau) < 70 % (ostruzione)
La reversibilità è significativa se il VEMS>12% dopo inalazione di B2 agonista a breve
durata d’ azione.
Se il picco di flusso è molto più basso si tratta di bronco costrizione (curva con concavità
verso il basso). Possiamo anche osservare la forma della curvatura con curva verso l’alto.
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In caso di anamnesi positiva per asma possiamo avere ostruzione oppure no, a seconda del
periodo.
In caso di ostruzione dobbiamo vedere il test di reversibilità cioè ancora una
spirometria dopo somministrazione si un broncodilatatore a breve durata d’azione. Se il
VEMS migliora del 12% abbiamo reversibilità. Se ostruzione assente si fa test di
provocazione bronchiale somministrando metacolina per contrarre le vie aeree. .
b) Misurazione del picco di flusso espiratorio
Il picco di flusso espiratorio rappresenta la velocità massima con cui l'aria può essere
espulsa dai polmoni dopo una inspirazione completa. La misurazione del picco di flusso
consente una valutazione quantitativa della resistenza delle vie aeree ed è una metodica
semplice e riproducibile. La misurazione del picco di flusso può essere utilizzata per
valutare la gravità dell'asma e per controllare la risposta al trattamento farmacologico.
Viene eseguita in modo analogo alla spirometria È una misura semplice e deve essere fatta
in più momenti della giornata ed è caratterizzata da una importante variabilità. L’asma è
una malattia variabile.
c) Test di stimolazione bronchiale
Le prove di stimolazione bronchiale con la metacolina si fanno in ambulatori di fisioterapia
dotate di tutti gli strumenti per controllare una broncostrizione.
Altre indagini utili
-
valutazione allergologica (skin prick test, dosaggio IgE specifiche sieriche)
-
valutazione presenza reflusso GE
-
valutazione rinite allergica
-
conta eosinofili ematici
-
emogas-analisi
-
ECG (in quanto nell’asma si usano i beta-2 agonisti e se il soggetto ha una aritmia non
si somministrano ed è utile l’ECG per inquadrare il pz).
-
visita ORL
-
rx torace.
Diagnosi differenziale
-
Altre patologie ostruttive delle vie aeree (BPCO e bronchiectasie)
-
Insufficienza cardiaca congestizia
-
Disfunzione delle corde vocali
-
Sinusite e reflusso gastroesofageo
-
Ostruzione meccanica delle vie aeree
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-
Polmonite eosinofila
-
Tosse secondaria a farmaci
-
Embolia polmonare
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Classificazione di gravità
Trattamento
Obiettivi
-
Ottenere e mantenere il controllo dei sintomi
-
Prevenire le crisi asmatiche
-
Mantenere la funzionalità respiratoria nelle norma
-
Permettere le normali attività quotidiane, comprese l’attività sportiva
-
Evitare gli effetti collaterali dei farmaci
-
Prevenire la mortalità per asma
Si usano:
a) Antiinfiammatori: steroidi
b) Broncodilatatori: b2 agonisti
Si somministrano quindi:
- β2-agonisti inalatori a breve durata d’azione
- Anticolinergici inalatori a breve durata d’azione
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Per controllare la malattia si usano:
-
Corticosteroidi inalatori
-
β2-agonisti inalatori a lunga durata d’azione
-
Antileucotrieni
-
Corticosteroidi Sistemici
-
Teofillina
-
Cromoni
-
Anti-IgE
Da tenere presente che le gravi crisi asmatiche sono emergenze mediche che pongono il
paziente a rischio di morte. Il trattamento deve essere tempestivo.
I farmaci cardine sono:
-
β2-agonisti inalatori
-
Glucocorticoidi sistemici
-
Ossigeno
Monitorare continuamente la risposta al trattamento con la misurazione della funzionalità
respiratoria (PEF, FEV1).
Se l’asma è ben controllata la terapia può essere ridotta. Se invece è parzialmente
controllata si può aumentare la terapia per raggiungere terapia controllata trovando una
situazione di equilibrio e il controllo della malattia.
Fattori di rischio di rischio per asma
-
Precedenti attacchi con pericolo di vita
-
Gravità della malattia
-
Predisposizione genetica
-
Disagiata condizione socioeconomica
-
Problemi psicologici
-
Bassa percezione della dispnea
-
Inadeguata assistenza medica
-
Inadeguato trattamento
La morte per asma è più frequente nei pazienti con asma grave, ma anche in pazienti con
asma lieve.
BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA (BPCO)
Generalità
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La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è un quadro nosologico caratterizzato
dalla progressiva limitazione del flusso aereo, non completamente reversibile. Questa
riduzione del flusso è di solito progressiva ed associata ad una risposta infiammatoria a
seguito dell’inalazione di particelle o gas nocivi.
La BPCO è una malattia prevenibile e trattabile che presenta significativi effetti
extrapolmonari che possono contribuire alla gravità della patologia nei singoli pazienti.
La sua componente polmonare è caratterizzata da una riduzione del flusso aereo non
completamente reversibile. La riduzione del flusso aereo (in espirazione) è generalmente
progressiva ed associata, come detto, ad una anomala risposta infiammatoria del polmone
all’inalazione di particelle o gas nocivi.
Le due componenti fondamentali della BPCO sono:
-
broncocotruzione non reversibile e progressiva
-
risposta infiammatoria
La BPCO non viene generalmente intesa come una singola entità, ma comprende forme
caratterizzate dall’associazione di bronchite cronica ed enfisema polmonare. Le patologie
sono associate, ma nei soggetti prevale l’una o l’altra:
-
bronchite cronica: presenza di sintomi di tosse ed espettorato per almeno tre mesi
all’anno per due anni consecutivi;
-
enfisema polmonare: anomalo allargamento degli spazi aerei distali al bronchiolo
terminale accompagnato da distruzione delle loro pareti, in assenza di evidenti segni di
fibrosi.
La BPCO si caratterizzata quindi da una broncoostruzione progressiva. La storia clinica
della malattia può variare da paziente a paziente.
Epidemiologia
La BPCO è la 5a causa di morte nel mondo e la 4a negli Stati Uniti (dopo cardiopatie,
neoplasie e malattie cerebrovascolari). Nel 2020 è previsto che la BPCO diventerà la 3a
causa di morte nel mondo.
L’esposizione associata a fumo di tabacco ed inquinamento atmosferico sembra interessare
il 10% della popolazione mondiale. Di questi circa il 20% viene colpito da BPCO: si può
intuire perciò l’enorme portata del problema. Si tratta quindi della più diffusa malattia
respiratoria con un rapporto M/F pari a 2,3/1, che comunque si sta spostando sempre più
a favore delle femmine per l’aumentare dell’abitudine di queste ultime al fumo. Il 15% dei
soggetti con più di 55 anni ne è affetto.
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L’esposizione cronica al fumo aumenta di più di 10 volte il rischio di ammalare di questa
patologia. La prevalenza è maggiore nelle aree a più elevato inquinamento atmosferico.
Nei Paesi in via di sviluppo oltre al fumo di sigaretta altri fattori contribuiscono alla
malattia: le infezioni delle basse vie aeree, le basse condizioni socio-economiche, gli
ambienti di vita domestica malsani.
In Italia la prevalenza è tra il 5 e il 10%, ma è sottostimata. La mortalità maggiore è stata
registrata nei nati tra gli anni ’10 e gli anni ’40 per motivi culturali che promuovevano
l’abitudine al fumo. La mortalità comunque non è un indice attendibile perché molto
spesso nelle cartelle cliniche la BPCO non viene segnalata. Infine si è osservato che nei
soggetti con bronchite cronica semplice che riescono a smettere di fumare la mortalità è
sovrapponibile a quella della popolazione normale.
Eziologia
L’eziologia riconosce un ruolo importante a diversi fattori di rischio, distinti in fattori
esterni e fattori interni.
I fattori esterni comprendono:
a) fumo: solamente il 15-25% dei fumatori sviluppa BPCO anche se quasi tutti sviluppano
un quadro di bronchite semplice. Se si traccia un grafico con in ordinata la FEV1 e in
ascissa l’età espressa in anni, si riconoscono sostanzialmente tre situazioni:
-
la curva dei non fumatori è sovrapponibile a quella dei fumatori non suscettibili (la
FEV1 diminuisce con il tempo ma senza scendere al di sotto del 70%);
-
la curva che descrive una riduzione della FEV1 drammatica in tempi assai più brevi è
ovviamente quella dei fumatori geneticamente suscettibili;
-
a livello intermedio si colloca invece la curva dei fumatori suscettibili ma che ad un
certo momento hanno smesso di fumare.
Nel fumo di sigaretta sono contenuti 5 grandi gruppi di sostanze:
o nicotina: più dannosa per il sistema cardiovascolare, ma è la sostanza che
crea la dipendenza;
o irritanti: ossido di azoto;
o cancerogeni: idrocarburi aromatici policiclici, benzopirene;
o sostanze additive;
-
inquinamento atmosferico: svolge un ruolo meno rilevante rispetto al fumo e ciò che è
dannoso sono principlamente le emissioni industriali e il traffico autoveicolare. Le 5
principali sostanze tossiche implicate (“big five”) sono:
o
biossido di zolfo;
o
ossido di azoto;
o
idrocarburi aromatici policiclici;
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o
monossido di carbonio ;
o
particelle corpuscolate;
-
esposizioni occupazionali: in particolare asbesto responsabile del mesotelioma;
-
fattori socio-economici: stato economico basso;
-
alcol;
-
fumo passivo: al 3° posto tra le cause di BPCO soprattutto tra i bambini.
I fattori individuali invece che condizionano una maggiore suscettibilità comprendono:
a) deficit di a1-antitripsina: l’a-1 antitripsina è la più importante antiproteasi in grado
di
neutralizzare
l’attività
delle
proteasi
(elastasi)
che
degradando
l’elastina
distruggono il polmone. Nei soggetti dove manca alfa-1-antitripsina è più facile lo
sviluppo enfisema polmonare. Si ha quindi squilibrio proteasi-antiproteasi
b) deficit delle difese delle vie aeree;
c) pz che hanno contratto infezioni respiratorie nell’infanzia;
d) basso peso alla nascita;
e) atopia (elevata concentrazione di IgE sieriche);
f) predisposizione genetica.
Il fumo di sigaretta quindi è il fattore di rischio più importante per lo sviluppo della BPCO,
responsabile di circa l’80% dei casi. Il polmone delle persone che fumano un pacchetto di
sigarette al giorno è sottoposto ad una esposizione a particelle dannose che si ripete 20
volte al giorno e questo stimolo giornaliero può persistere per molti anni.
La risposta individuale al fumo di sigaretta può essere molto diversa tra i fumatori, e può
rendere alcuni soggetti molto più suscettibili di altri.
La limitazione del flusso aereo
durante l’espirazione è dovuta a situazioni anatomiche e funzionali diverse, ma che
concorrono insieme nel causare le patologie ostruttive. Da un punto di vista morfologico, le
alterazioni chiamate in causa sono:
-
un ispessimento infiammatorio della mucosa e della sottomucosa, in special modo
delle piccole vie aeree con un diametro inferiore ai 2 mm
-
il ristagno nel lume bronchiale di secreti patologici
-
la contrazione della muscolatura liscia bronchiale (questi spasmi sono caratteristici
dell’asma bronchiale)
-
patologie distruttive dei setti interalveolari (caratteristica dell’enfisema polmonare).
Bronchite cronica
Generalità
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Patologia infiammatoria a carico dell’albero bronchiale che può determinare una
diminuzione del flusso aereo, ma spesso ci sono forme senza presenza di ostruzione. Può
essere difficile da diagnosticare e comporta la necessità di vari tipi di definizione. Le
definizioni formulate sono basate sui sintomi soggettivi.
Una prima definizione prevedeva: presenza di tosse e catarro che ricorre per la maggior
parte dei giorni, per almeno 3 mesi all’anno, per almeno 2 anni consecutivamente, in
assenza di altre malattie croniche.
Questa definizione ha il merito di segnalare l’importanza dei fenomeni ipersecretivi e
stabilisce dei limiti temporali; non tiene però conto del quadro funzionale.
Nel ’64 si cominciano a distinguere tre forme di bronchite cronica:
-
bronchite cronica semplice: costante presenza di escreato mucoso, caratterizza il 50%
dei fumatori;
-
bronchite cronica mucopurulenta: testimonia l’esistenza di una sovrapposizione
infettiva:
-
bronchite cronica ostruttiva: costante e diffusa diminuzione del calibro delle vie aeree
intrapolmonari che determina un aumento delle resistenze al flusso aereo specie
durante la fase espiratoria.
Non è ben chiaro il motivo per cui un paziente sviluppa la forma semplice piuttosto che
una più grave, ma probabilmente entrano in gioco fattori genetici. In alcuni individui
possono coesistere più forme, come la bronchite cronica semplice associata a quella
ostruttiva. La stessa patologia perciò include uno spettro che varia da forme praticamente
asintomatiche a forme molto gravi di insufficienza respiratoria diffusa.
Anatomopatologicamente il quadro della bronchite cronica si caratterizza per:
-
alterazioni bronchiali: ipersecrezione mucosa con ipertrofia ed iperplasia delle
ghiandole mucosecernenti nella sottomucosa bronchiale. In particolare l’indice di Reid,
cioè il rapporto tra spessore delle ghiandole e spessore globale della sottomucosa,
risulta superiore a 0,4 (v.n. 0,14- 0,36). Si osservano inoltre infiltrazione di cellule
infiammatorie e estese aree di epitelio prive di ciglia ed in preda a metaplasia
squamosa;
-
malattie delle piccole vie aeree: nelle vie aeree di piccolo calibro (< 2 mm) iperplasia
cellulare, tappi di muco, infiltrazione cellulare infiammatoria, metaplasia caliciforme e
squamosa.
Mentre le prime sono tipiche della BPCO conclamata, la malattia delle piccole vie aeree è
rilevabile anche nelle fasi subcliniche.
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Eziopatogenesi
Non è noto perché un individuo sviluppi una forma semplice piuttosto di una forma più
grave. Si è osservato che il 50% dei forti fumatori si ammala di bronchite cronica, ma solo il
15% sviluppa un’ostruzione. Questo è importante sul piano prognostico, in quanto la forma
semplice presenta una prognosi favorevole, mentre la forma ostruttiva è più grave, con una
sopravvivenza a 10 anni del 40% dei pazienti.
Si è osservato che il 50% dei forti fumatori ammala di bronchite cronica. Il 15% di questi
sviluppa un’ ostruzione del flusso aereo invalidante. Sono state formulate due ipotesi
eziopatogenetiche:
-
le ipotesi britanniche enfatizzano il ruolo degli irritanti e delle infezioni: questi agenti
esterni infatti avvierebbero una flogosi che determinerebbe ipersecrezione mucosa. Ciò
innescherebbe l’ostruzione e creerebbe un “terreno” favorente l’insorgenza di ulteriori
infezioni. Si verrebbe a creare perciò un circolo vizioso infezione-infiammazione con
progressiva alterazione delle vie aeree e del parenchima circostante fino ad arrivare ad
una ostruzione irreversibile;
-
le ipotesi olandesi invece enfatizzano il ruolo dell’ipersensibilità individuale agli stimoli
irritanti flogistici: sarebbe l’iperreattività l’evento primario, mentre infezioni batteriche e
virali rivestirebbero un ruolo secondario.
Enfisema polmonare
Generalità
È una condizione patologica caratterizzata da dilatazione anormale e permanente degli
spazi aerei posti distalmente al bronchiolo terminale dovuta a distruzione dei setti alveolari
in assenza di riarrangiamenti flogistici e fibrotici importanti. In presenza di una piccola
componente fibrotica infatti è necessario distinguere tra l’enfisema classico e le
interstiziopatie, che danno un quadro simil-enfisematoso legato allo stiramento provocato
dalla fibrosi stessa.
Tipologie di enfisema
Si distinguono diverse tipologie di enfisema:
-
tipo centrolobulare: vi è l’interessamento prevalente dei bronchioli respiratori con
risparmio delle zone distali del lobulo; si determina così dilatazione focale delle vie
aeree e degli alveoli a livello centrobulare. E’ tipico dei forti fumatori e interessa
soprattutto i lobi superiori;
-
tipo panlobare: interessa uniformemente tutta la struttura del lobulo ed è caratteristico
dei portatori di deficit primitivi di α1-antitripsina. Proprio la scoperta di questo enzima
ha permesso di riconoscere i meccanismi patogenetici enfisematosi.
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-
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tipo parasettale o mantellare: interessa solo le porzioni parenchimali distali. Si tratta di
bolle di enfisema prevalentemente sottopleuriche in sede apicale, responsabili del pnx
spontaneo (quando sono coinvolti gli apici in sede sottopleurica può esserci il rischio di
pnx) e del collasso del polmone, conseguenti alla loro rottura.
-
tipo paracicatriziale o irregolare: trattasi in realtà di uno “pseudoenfisema” dal
momento che la dilatazione degli alveoli non è dovuta a distruzione dei setti ma
all’effetto della retrazione cicatriziale. Esso è il responsabile dell’aspetto a “favo d’api”
dei pazienti con malattie interstiziali croniche.
Da tenere presente che mentre per la bronchite cronica la definizione è clinica, per
l’enfisema la definizione è anatomopatologica.
Eziopatogenesi
I meccanismi con cui si sviluppa l’enfisema polmonare non sono del tutto chiariti, e
l’ipotesi più accreditata riconosce la patogenesi dell’enfisema nello squilibrio tra proteasi e
antiproteasi a favore delle prime, con incontrollata degradazione enzimatica della matrice
interstiziale.
Anche il fumo da sigaretta ha nella patogenesi un importante ruolo: il fumo di sigaretta è
in grado di attivare i macrofagi alveolari ed anche i granulociti neutrofili. Dopo il
reclutamento chemiotattico e l’attivazione dei polimorfonucleati, si ha il rilascio, da parte di
questi, di elastasi e sostanze ossidanti, con amplificazione del potenziale lesivo delle cellule
infiammatorie. Ma sono implicati anche altri meccanismi di lesione polmonare in soggetti
geneticamente predisposti. Infatti, ci sono anche gli ossidanti rilasciati dal fumo che sono
in grado di danneggiare direttamente il tessuto polmonare e di inattivare l’alfa1antitrispsina. Il fumo di sigaretta contiene più di 5.000 sostanze, molte delle quali sono
cancerogene, ma anche sostanze ossidanti generate direttamente dalla combustione del
tabacco. Il fumo quindi provoca un’inattivazione ossidativa dell’α1-antitripsina, aggrava lo
squilibrio elastasi-antielastasi e deprime l’attività degli enzimi deputati alla resintesi
dell’elastina. L’enfisema è da ritenersi una malattia distruttiva, in cui sono implicate non
solo le elastasi, ma anche altre proteine enzimatiche come le collagenasi. Questi enzimi
vengono attivati e alterano l’equilibrio del polmone, caratterizzato da una continua
evoluzione, distruzione e sintesi, fino a che non prevalgono i meccanismi distruttivi con
alterazioni profonde enfisematose. I radicali liberi vengono rilasciati dal fumo e dalle cellule
infiammatorie. Quindi il fumo di sigaretta ha un’azione alterante non solo per azione
diretta con la liberazione di sostanze ossidanti e radicali liberi, ma anche tramite
l’attivazione dei macrofagi e polimorfonucleati, che a loro volta liberano i ROS.
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Da tenere presente che, sostanzialmente non ci sono differenze tra i meccanismi
patogenetici
dell’enfisema
centrolobulare
e
dell’enfisema
panlobulare,
caratterizzati
entrambi dallo stesso squilibrio enzimatico.
Per capire la patogenesi delle patologie croniche ostruttive bisogna tenere presente che
entrambi i casi il flusso aereo espiratorio è direttamente proporzionale alla pressione di
spinta e inversamente proporzionale alle resistenze secondo le legge di Ohm (flusso = P/R).
La pressione di spinta è determinata da due elementi:
-
ritorno elastico del polmone;
-
eventuale contributo dei muscoli espiratori accessori.
Nel
caso dell’enfisema si ha diminuzione della pressione di spinta a causa della
diminuzione del richiamo elastico e della distruzione parenchimale, dovuto a sua volta alla
distruzione dei setti alveolari conseguente allo squilibrio tra fattori protettivi (antiproteasi) e
fattori catabolici (elastasi). Lo squilibrio può essere dovuto anche ad un deficit genetico (es.
difetto di α1 antitripsina che causa un quadro di enfisema puro) oppure a fattori ambientali
come il fumo che causa sia un aumento del rilascio di sostanze ossidanti e di proteasi che
un’inattivazione delle antiproteasi.
Un altro problema è il precoce collasso espiratorio delle vie aeree (in quanto si raggiungerà
prima un’eguaglianza tra la pressione nelle vie aeree e quella nel cavo pleurico in quanto il
pz aumenta il lavoro dei mm espiratori). Questo meccanismo rende ragione del fatto che il
volume polmonare totale negli enfisematosi è maggiore del normale proprio perché
aumenta molto lo spazio morto; i pz quindi vanno incontro a iperinsufflazione (aumento
del volume di fine espirazione) e presentano tipico “torace a botte”.
I pz con enfisema quindi presentano:
-
limitazione del flusso espiratorio dovuto alla diradazione dei setti interalveolari, che si
traduce nella riduzione del ritorno elastico passivo (elastic recoil) e della pressione di
spinta (driving pressure) espiratoria. Inoltre, si assiste alla riduzione della pressione
transmurale che mantiene pervie le vie aeree più distali;
-
iperinsufflazione con intrappolamento aereo (air trapping) che funge da meccanismo
compensatorio per limitare le conseguenze dell'ostruzione al flusso espiratorio.
L'iperinsufflazione determina un aumento della pressione positiva di fine espirazione
intraalveolare che, a sua volta, pone i mm. inspiratori in una situazione di svantaggio
meccanico
in
quanto
si
trovano
ad
operare
con
un
rapporto
sfavorevole
lunghezza/forza. Inoltre, lo sforzo generato per singolo atto respiratorio aumenta per la
riduzione dell'accoppiamento neuromeccanico: ci vogliono più impulsi nervosi condotti
alle strutture osteomuscolari per ottenere la stessa portata ventilatoria e ciò induce
una maggiore dispnea;
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-
appiattimento
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del
diaframma
comporta
un
accorciamento
delle
fibre
mm.
diaframmatiche e un minore “affrontamento” con la parete toracoaddominale da cui
deriva una minore capacità di produrre un gradiente pressorio (azzeramento o
inversione del gradiente toracoaddominale);
-
iperinsufflazione dinamica con una compressione sulle vie aeree contigue ed un
conseguente
aumento
del
lavoro
respiratorio.
L'incompleta
respirazione
dell'enfisematoso determina un ulteriore aumento della pressione positiva di fine
espirazione intraalveolare e conseguente peggioramento dello svantaggio meccanico per
i muscoli inspiratori;
-
ripercussioni cardiovascolari dovute all'iperinsufflazione derivano dall'aumento di
resistenze nel circolo polmonare, dal ridotto ritorno venoso al cuore destro (per la
riduzione o l'inversione del gradiente pressorio toraco-addominale) e dal mismatch
ventilo-perfusorio che si rileva in questi pz.
Da tenere presente che l’iperventilazione aumenta la pressione teleespiratoria estrinseca e
perciò i pazienti con BPCO tendono ad iperventilare, per lo meno in fase iniziale.
Nella bronchite cronica invece sono le resistenze ad aumentare a causa dell’infiammazione
e delle secrezioni delle vie aeree. A differenza di quanto avviene nell’asma, nella BPCO le
cellule infiammatorie coinvolte sono linfociti T CD8, macrofagi e neutrofili, mentre
nell’asma è prevalentemente la risposta di tipo Th2, nella BPCO l’assetto è di tipo Th1 ed il
ritrovamento di follicoli linfoidi nelle fasi più avanzate della malattia fa pensare ad una vera
e propria risposta immune di tipo acquisito che si sviluppa in seguito a colonizzazione
batterica delle vie aeree; ciò è testimoniato anche dall’osservazione che la localizzazione dei
neutrofili
all’interno
delle
ghiandole
bronchiali
è
cruciale
per
l’induzione
della
ipersecrezione di muco nei fumatori. La risposta infiammatoria porta a delle alterazioni
negli apparati di produzione di muco, (cellule caliciformi mucipare e ghiandole bronchiali)
che determinano un aumento della produzione di muco che è alla base della bronchite
cronica.
Anche in questo caso è il fumo il principale responsabile del quadro poiché:
-
stimola l’ipersecrezione mucosa;
-
induce la flogosi;
-
diminuisce l’attività dell’apparato ciliare: il muco prodotto viene espulso con difficoltà e
ciò crea le condizioni per l’instaurarsi di infezioni batteriche.
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Clinica delle BPCO
Un fumatore classicamente passa attraverso due stadi, il primo più precoce e reversibile, il
secondo più tardivo e irreversibile:
a) Forme ipersecretive: comprendono la bronchite cronica semplice e la bronchite cronica
mucopurulenta. Sono
caratterizzate da tosse produttiva dapprima mattutina, poi
persistente con espettorazione mucosa soprattutto nella stagione fredda; all’anamnesi si
rileva un forte consumo di sigarette, mentre la dispnea è sempre assente; l’esame obiettivo
è solitamente negativo, al più si possono apprezzare rumori bronchiali grossolani (ronchi o
rantoli) dovuti alla presenza di secrezioni;
b) Forme ostruttive (BPCO conclamata): comprendono la bronchite cronica ostruttiva e
l’enfisema. Anamnesticamente i pz lamentano dispnea prima da sforzo e poi a riposo; nel
caso in cui la dispnea sia occasionale può trattarsi di pazienti che presentano
un’iperreattività bronchiale di tipo asmatiforme.
Le riacutizzazioni infettive segnano il decorso della malattia con tosse, escreato purulento e
accentuazione della dispnea. Se il paziente è già ipossiemico può aggravarsi e diventare
ipercapnoico.
Obiettivamente
si
tratta di
soggetti
con
iperdistensione
e
ostruzione
bronchiale:
all’auscultazione infatti si nota espirazione prolungata, rumori secchi (fischi e sibili),
talvolta anche rumori umidi (rantoli). Gli esiti più tardivi e sfavorevoli sono l’insufficienza
respiratoria e il core polmonare cronico.
Classicamente, a seconda che sia prevalente la componente enfisematosa piuttosto che
quella bronchitica, si usa suddividere le persone con BPCO in due categorie:
-
pink puffer (roseo soffiante): alla base di questo quadro si pone l’esistenza di un
enfisema panlobulare (es. deficit di antitripsina) con alterazione omogenea sia della
componente alveolare che di quella circolatoria in rapporto con la periferia del lobulo.
Di conseguenza il rapporto V/Q è mantenuto, sebbene entrambe le componenti siano
compromesse, e ciò spiega l’assenza di cianosi. Tuttavia, a causa dell’enfisema,
l’estensione del letto capillare è ridotto: ciò non ha conseguenze a riposo ma durante
l’esercizio fisico il tragitto dei globuli rossi nel microcircolo polmonare diventa
insufficiente e si instaura dispnea da sforzo. All’EO si apprezza il torace a botte con
iperfonesi alla percussione e basi abbassate ed ipomobili e riduzione del murmure.
Questi
segni
testimoniano
l’iperinsufflazione
di
questi
pazienti
(le
cui
base
patogenetiche sono spiegate oltre);
-
blue and bloated (blu e gonfi): sono soggetti brachitipici e sovrappeso che presentano
sintomatologia ipersecretiva prevalente su quella dispnoica. Essi sono cianotici spesso
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anche nello stato stabile ma lo diventano ancora di più quando una riacutizzazione
infettiva peggiora l’ipoventilazione.
Gli aspetti che caratterizzano questi pazienti dal
punto di vista fisiopatologico sono, da una parte, le alterazioni della pervietà bronchiale
per la flogosi e le sercrezioni e dall’altra le alterazioni enfisematose di tipo
centrolobulare: questo tipo di situazione compromette la porzione centrale del lobulo
meno di quella periferica dove più importanti sono le strutture vascolari. Di
conseguenza si ha un’alterazione del rapporto ventilo-perfusorio con shunt e cianosi.
L’ipossiemia, a sua volta, condiziona il determinarsi di un’ipertensione polmonare con
evoluzione in core polmonare. Oltre a cianotici questi pazienti sono quindi anche gonfi,
cioè
edematosi
a
causa
dello
scompenso
cardiaco.
L’ipossiemia
determina
un’ipertensione del piccolo circolo e l’evoluzione verso l’ipertensione polmonare con
conseguente scompenso destro che causa l’insorgenza di edemi che conferiscono al
paziente un aspetto francamente pletorico. Sul piano obiettivo questi pz sono meno
iperinsufflati dei precendenti (torace a botte, basi ipomobili, riduzione del MV sono
tutti segni di iperinsufflazione) ma dominano il quadro i reperti auscultatori di ronchi e
rantoli. Radiologicamente, a differenza del caso precedente, il disegno vascolare è
accentuato.
Esistono quindi due tipologie di pz:
Blue Bloaters
Pink Puffers
Sintomi:
-
Tosse produttiva
-
Espettorato abbondante
-
Dispnea, anche a riposo.
Sintomi:
-
Dispnea da sforzo
Reperti obiettivi:
Reperti obiettivi:
-
Aspetto astenico
-
Aspetto pletorico
-
Tachipnea
-
Edemi arti inferiori
-
Torace a botte
-
Cianosi
-
Basi polmonari ipomobili
-
Scompenso cuore destro
-
Iperfonesi plessica
-
Rumori aggiunti all’ascoltazione
-
Riduzione del rumore respiratorio
-
Respirazione a labbra socchiuse
Chiaramente i quadri puri, seppur possibili sono rari (es. i pazienti con deficit assoluto di
α1 antitripsina sono tipicamente pink puffers). Sebbene la BPCO sia caratterizzata da una
broncoostruzione progressiva, la storia clinica della malattia può variare da pz a pz e
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produrre anche importanti effetti sistemici. Non sempre gravità dei sintomi e gravità della
broncoostruzione sono correlate tra loro.
Esistono anche degli effetti sistemici che si accompagnano alla BPCO e comprendono:
-
cachessia
-
distruzione masse muscolari
-
osteoporosi
-
depressione
-
anemia normocromica normocitica
-
aumento del rischio cardiovascolare associata ad un aumento della CRP
Nei pz con BPCO, cancro del polmone e malattie cardiovascolari sono comorbidità frequenti
ed entrambe hanno come fattore di rischio il fumo di sigaretta. Secondo alcuni studi BPCO
e cancro del polmone potrebbero avere una patogenesi comune : il processo infiammatorio
è importante sia per il declino della funzionalità respiratoria (BPCO), che per la patogenesi
del tumore polmonare potrebbe rappresentare l’anello di congiunzione tra queste due
malattie. È noto che altre malattie infiammatorie croniche (come ad esempio
la fibrosi
polmonare idiopatica, la sarcoidosi e l’asbestosi ) hanno un’aumentata incidenza di cancro
del polmone. Un’altra possibile spiegazione è che proprio la ridotta funzionalità respiratoria
di per sé possa dar luogo ad un aumentato rischio di cancro. Infatti una ridotta
funzionalità respiratoria potrebbe diminuire la capacità di rimuovere i carcinogeni inalati e
quindi aumentare il tempo di contatto tra carcinogeni e cellule epiteliali.
È importante anche tenere presente del fatto che tra i pz con BPCO conclamata, le
principali cause di ospedalizzazione e mortalità, sono legate al sistema cardiovascolare, e
arrivano a contare fino al 50% di tutte le ospedalizzazioni e fino al 50% di tutte le morti. Il
calo ponderale oltre ad essere un fattore prognostico negativo, costituisce uno dei principali
fattori di rischio per la formazione, la progressione e la rottura della placca ateromasica.
In conclusione quindi bisogna tenere conto che nella BPCO la risposta infiammatoria non è
limitata al polmone, ma è presente anche nel sangue periferico; questa infiammazione
sistemica
può
avere
importanti
conseguenze
cliniche:
calo
ponderale
e
cardiovascolari, che hanno un impatto importante sulla prognosi dei pz con BPCO.
Diagnosi
-
Storia di esposizione a fattori di rischio
-
Presenza dei sintomi caratteristici
-
Dimostrazione di broncoostruzione non reversibile
-
Esclusione di altre patologie
25 malattie
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Si faranno quindi anamnesi, EO, prove di funzionalità respiratoria e altri esami
strumentali. I sintomi più comuni sono tosse, espettorato, dispnea.
Il gold standard per la diagnosi della BPCO è dato dalla spirometria. I parametri da
valutare sono: VEMS, CVF, VEMS/CVF (indice di Tiffenau): l’ostruzione è indicata da
-
Indice Tiffenau < 70 %
-
VEMS < 80% del teorico.
Altre indagini di funzionalità respiratoria:
-
curva flusso-volume normale: FEV1>80% del teorico e FEV1/FVC>70%. La morfologia
della curva è tipicamente con concavità della curva verso l’alto.
-
test di reversibilità mediante spirometria dopo inalazione di broncodilatatore a breve
durata d’azione. La broncoostruzione non è reversibile se, dopo l’inalazione del beta-2agonista a breve durata d’ azione, il VEMS<12%.
La valutazione della gravità della BPCO si basa sul grado della broncostruzione
documentata dall’esame spirometrico:
La tabella sottotante è molto utile per la diagnosi e la valutazione di gravità della malattia
STADIO
CARATTERISTICHE
I LIEVE
VEMS/CVF < 70%; VEMS ≥ 80% del teorico
con o senza sintomi cronici (tosse, escreato)
II MODERATA
VEMS/CVF < 70%; 50% ≤ VEMS < 80% del teorico
con o senza sintomi cronici (tosse,escreato, dispnea)
III GRAVE
IV MOLTO GRAVE
VEMS/CVF < 70%; 30% ≤ VEMS < 50% del teorico
con o senza sintomi cronici (tosse, escreato, dispnea)
VEMS/CVF < 70%; VEMS < 30% del teorico o
VEMS < 50% del teorico in presenza di insufficienza respiratoria o
di segni clinici di scompenso cardiaco destro
L’impatto della BPCO sul singolo pz dipende:
-
dalla gravità della bronco ostruzione
-
dalla gravità dei sintomi
-
dalle complicanze della malattia,
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Non sempre gravità dei sintomi e gravità della broncoostruzione sono correlate tra loro
Per inquadrare il pz meglio si può usare il BODE index che tiene conto di quattro
parametri:
-
Body Mass Index (massa corporea)
-
Obstruction of Airways (VEMS)
-
Dyspnea ( scala di percezione)
-
Exercise Capacity ( test del cammino: test che si fa camminare il pz per 6 min e si
valuta la lunghezza del percorso del pz in questo tempo)
Il BODE index è semplice da calcolare, ed è in grado di predire accuratamente il rischio di
morte nei pazienti con BPCO, maggiore è il BODE index e più grave è la malattia.
Altro test utile è la capacità di diffusione che ci dice come avvengono scambi gassosi tra
superficie alveolare e capillari, nei soggetti con BPCO si ha calo degli scambi di gas in
quanto c’è distruzione del letto capillare.
Trattamento
Nessuno dei farmaci attualmente impiegati nel trattamento della BPCO si è dimostrato
efficace
nel
modificare
il
progressivo
peggioramento
della
funzione
ventilatoria,
caratteristico della malattia. La terapia farmacologica regolare è importante per migliorare i
sintomi e/o ridurre le riacutizzazioni della malattia, e può aumentare la sopravvivenza.
Categorie di farmaci utilizzati:
-
beta 2 agonisti e anticolinergici
-
corticosteroidi inalatori
-
vaccino anti influenzale e antipneumococcico
-
teofillina, immunomodulatori, mucolitici, antiossidanti.
I broncodilatatori hanno un ruolo centrale nel trattamento della BPCO. E in particolare
quelli a lunga durata d’azione sono i farmaci più efficaci nel trattamento regolare
per
controllare o migliorare i sintomi e lo stato di salute. I beta2-agonisti e gli anticolinergici a
lunga durata d’azione sono i broncodilatatori di prima scelta.
Il trattamento cronico con corticosteroidi sistemici ha un rapporto rischio-beneficio
sfavorevole, quindi deve essere evitato nei pazienti con BPCO in fase di stabilità.
La
risposta ad un breve trattamento con corticosteroidi orali non consente di predire la
risposta ai corticosteroidi inalatori. Il trattamento regolare con corticosteroidi inalatori è
indicato nei pazienti con VEMS ≤ 50% del teorico (Stadio III: grave e Stadio IV: molto
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con riacutizzazioni frequenti (3 o più negli ultimi 3 anni)
corticosteroidi sistemici e/o antibiotici.
trattate con
I corticosteroidi inalatori possono essere
considerati anche in pazienti con BPCO di minore gravità con riacutizzazioni frequenti che
non rispondono adeguatamente, in termini clinici o funzionali, ai broncodilatatori. La
vaccinazione antinfluenzale riduce del 50% la comparsa di patologie gravi e la mortalità e
dovrebbero essere offerte a tutti i pazienti con BPCO. Antiossidanti e immunomodulatori
possono ridurre la frequenza di esacerbazioni, tuttavia non vi è sufficiente evidenza per
raccomandarne l’uso. Per altri farmaci (mucolitici, antitussivi, stimolanti respiratori, etc)
l’evidenza di efficacia è scarsa.
È importante chiaramente evitare i fattori di rischio e quindi favorire la sospensione
dell’abitudine
tabagica,
riduzione
dell’inquinamento
domestico
e
la
riduzione
dell’esposizione professionale.
I pz che presentano riacutizzazioni con segni clinici di infezione bronchiale (cioè aumento
del volume e viraggio di colore dell’escreato e/o febbre) possono trarre beneficio da una
terapia antibiotica
TUMORE POLMONARE
Generalità
Il carcinoma del polmone è la patologia neoplastica di più frequente riscontro in ambito
oncologico. È una patologia in crescente aumento e che costituisce la prima causa di morte
per tumore al mondo. La percentuale di sopravvivenza a 5 anni è molto bassa (13%)
rispetto ai tumori del colon, mammella e prostata (qui sopravivenza del 90%). Da tenere
presente che su 10 pz solamente uno risulta resecabile mentre gli altri sono in fase
avanzata.
Con il termine di carcinoma polmonare si definisce un tumore maligno che origina
dall’epitelio respiratorio dei bronchi, dei bronchioli e degli alveoli. Sono pertanto esclusi i
sarcomi, i linfomi e i mesoteliomi che non prendono origine dall’epitelio respiratorio.
Il tumore polmonare è quindi il primo responsabile di morte per tumore al mondo. È in
aumento anche nelle donne che hanno raggiunto la parità per quanto concerne il fumo.
Epidemiologia
Nelle donne rappresenta la seconda neoplasia più frequente, preceduta solo dal tumore
della mammella, mentre negli uomini costituisce la prima causa di morte per tumore. In
questa percentuale sono compresi tutti i tipi di tumore polmonare, in qualunque stadio e
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in qualunque momento si presentino, e il 13% rappresenta la sopravvivenza massima, anzi
i dati più recenti danno una sopravvivenza a 5 anni del 9-10%. Ciò significa che a 5 anni
dalla diagnosi il 90% dei pz è già deceduto. Questa percentuale spiega il grande impatto
sociale della malattia e fa capire quanto sia importante arrivare presto alla diagnosi, infatti,
una delle cause di questa mortalità così elevata è che il pz arriva all’osservazione del
medico quando ormai è troppo tardi:
-
nel 1999 in USA sono stati registrati 172.000 nuovi casi e 160.000 decessi per
carcinoma del polmone (questo è un dato un po’ vecchio, adesso sono ancora di più)
-
40.000 nuovi casi all’anno in Italia (anche questo indice è salito nell’ultimo anno)
-
incidenza max tra i 55 e i 65 anni di età
-
negli ultimi 20 anni il rapporto M/F da 7/1 è diventato 1.2/1. Il rapporto quindi è
molto cambiato, prima era molto più frequente nei maschi, adesso sta diventando
simile e questo perché l’incidenza è aumentata notevolmente nel sesso femminile per
l’aumentata abitudine al fumo anche nelle donne
-
incidenza globale è in continuo aumento. È un’emergenza medica di cui tener presente.
Per capire l’entità del fenomeno bisogna tenere presente che alla diagnosi:
-
solo il 15% dei pz presenta una malattia localizzata
-
il 25% dei pz presenta una malattia diffusa ai linfonodi regionali
-
più del 55% dei pz (quindi più della metà) presenta malattia con metastasi a
distanza. Questo dato fa vedere tutta la tragedia di questa situazione e nonostante
siano passati anni non si è ancora riusciti a migliorare queste statistiche.
Classificazione
La classificazione è molto utile anche dal punto di vista terapeutico e prognostico. Si
distinguono due grandi tipologie di carcinomi del polmone:
a) Carcinoma non a piccole cellule NSCLC (non small cell lung carcinoma):
Rappresenta la grande maggioranza dei carcinomi polmonari (75%) e comprende 3 sottotipi
principali:
-
carcinoma a cellule squamose o epidermoide (30%)
-
adenocarcinoma (compreso il bronchioloalveolare): 50%
-
carcinoma a grandi cellule indifferenziato (10%)
L’adenocarcinoma è la forma più comune, un tempo era più comune lo squammoso e si
pensava fossero forme con influenza diversa del fumo, lo squamoso si pensava fosse legato
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maggiormente al fumo, mentre l’adenocarcinoma era più frequente nei non fumatori, ma il
fumo ormai viene associato a tutte le istologie.
b) Carcinoma a piccole cellule SCLC (25%): interessa una piccola parte dei pz ma ha una
prognosi estremamente infausta e lascia poco spazio qualsiasi tipo di intervento; si può
tentare una chemioterapia perché sono cellule a rapida moltiplicazione quindi sono
sensibili, ma appena si smette la chemioterapia il tumore riparte e dà subito metastasi.
Eziologia
Per quanto concerne l’eziologia si distinguono diversi fattori di rischio tra le quali il fumo di
sigaretta rappresenta di gran lunga il più importante. Il fumo da sigaretta infatti causa
l’80-90% dei tumori del polmone. Esiste una correlazione tra il numero di sigarette fumate
al giorno ed incidenza del tumore del polmone. Per fare un esempio, il rischio di morte per
tumore al polmone è 20 volte più alto nel fumatore di 20 sigarette/die rispetto al non
fumatore. Sono in aumento anche i casi di tumore al polmone anche in soggetti che non
hanno mai fumato a causa dell’inquinamento atmosferico, la predisposizione familiare etc.
Sembra che il 25% dei tumori del polmone nei soggetti non fumatori sembra attribuibile al
fumo passivo (una volta era considerata solo un’ipotesi, ora sempre più studi dimostrano
che il fumo passivo è in grado di dare neoplasie polmonari)
Altri fattori di rischio comprendono:
-
fattori genetici, si parla di aggregazione familiare perché si è vista una maggiore
incidenza in soggetti appartenenti ad una stessa famiglia
-
inquinamento ambientale, industriale ed urbano. Il radon che proviene dal
sottosuolo è stato dimostrato avere un ruolo davvero importante.
-
fattori professionali: importante ricordare l’asbesto che non dà solo mesoteliomi ma
anche neoplasie polmonari. Ricordare inoltre che asbesto e fumo di sigaretta hanno
azione sinergica per cui un soggetto che fuma ed è esposto all’asbesto è un soggetto
particolarmente a rischio. Altre sostenz e a rischio comprendono il gas radon, nikel,
cromo, aresnico, derivati petrolchimici
-
fattori dietetici. Si pensa che ci siano alcuni fattori dietetici come la vit. A che
avrebbero un’azione protettiva nei confronti del tumore ma sono dati non ancora
conclusivi.
Quindi il ruolo del tabacco come fattore eziologico è stato scientificamente definito. Fumare
due pacchetti o più di sigarette al giorno aumenta il rischio di 20 volte. Il pz una volta che
smette ha bisogno di 10 anni di tempo per tornare al rischio del non fumatore, ma un pz
che ha fumato per 15-20 anni il rischio resta alto anche quando smette e quindi più
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precoce è la cessazione maggiore è la possibilità di ridurre il danno. Ci sono dei fattori
genetici in continuo studio e il fattore genetico viene studiato sia per approfondire lo studio
della neoplasia e in particolare per la ricerca di trattamenti chemio terapeutici individuali. I
trattamenti standard sono sia di tipo chemioterapico che radioterapico.
Alterazioni genetiche:
-
perdita del braccio corto del cromosoma 3 (SCLC)
-
alterazioni nella struttura e nell’espressione del gene del retinoblastoma umano “un
gene soppressore tumorale”
-
attivazione mutazionale dell’oncogene K-ras
-
mutazioni del gene p53
Tipologie più diffuse di carcinomi
a) Carcinoma squammoso: costituisce circa il 30% dei tumori.
Caratteristiche principali:
-
Nasce nei bronchi principali o nelle principali diramazioni
-
Localizzato centralmente nel 60% dei casi
-
Tende a crescere lentamente ed a raggiungere grandi dimensioni e quindi la diagnosi
tende ad essere tardiva.
-
Metastatizza più tardivamente
-
Va incontro a necrosi centrale con possibile cavitazione nel 20% dei casi. Questo è
importante nell’approccio diagnostico e la necrosi è attualmente importante segno di
neoplasia. La neoplasia è spesso centrale e vicino all’ilo polmonare e nasce spesso
vicino ai grossi tronchi e affiora all’esame broncoscopio (che visualizza la neoplasia
solamente quando questa affiora).
Dal punto di vista radiologico abbiamo aspetto classico con addensamento centrale (retro
sternale).
Il Carcinoma squamoso con escavazione centrale è spesso sintomatica (anche la TBC può
dare immagini cavitarie oppure lesioni ascessuali, oppure aspergillosi e talvolta la diagnosi
può essere ritardata per questi motivi e la diagnosi richiede un processo clinico).
b) Adenocarcinoma: forma che attualmente ha preso il sopravvento (30-50%) e a
differenza dello squamoso spesso origina sulla periferia, non è una regola.
Caratteristiche:
-
nel 60% dei casi origina alla periferia del polmone
-
può insorgere su pregresse cicatrici (“scar cancer”)
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-
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ha la tendenza ad invadere la pleura ed a produrre versamento pleurico, è più
aggressivo dello squammoso e tende anche a dare versamento pleurico che può essere
uno dei primi sintomi della malattia
-
metastatizza precocemente rispetto allo squammoso.
All’atto operatorio si presenta sotto forma di un nodulo con retrazione e ombelicatura della
pleura viscerale, aspetto quasi patognomonico di questo tipo di neoplasia.
c) Carcinoma bronchiolo-alveoalre o PAC: neoplasia più rara che insorge nello strato
bronchiolo-alveolare dai pneumociti di tipo II, dalle Clara cells o dalle cellule ciliate
bronchiolari. Ha caratteristica di disseminarsi lungo le vie aeree. Può presentarsi in diverse
modalità: dal nodulo polmonare all’infiltrazione “lobitica”, all’aspetto multifocale simulando
un aspetto di broncopolmonite e molte volte il radiologo clinico non notando la lesione
neoplastica ma trovando un addensamento parenchimale scambia una situazione
infiammatoria e si tratta il processo con antibiotici, farmaci steroide ime questa neoplasia
avendo anche crescita lenta contribuisce a questo quadro. La malattia nasce già all’esordio
in sedi multiple e la neoplasia ha incidenza dall’1-5%.
d) Carcinoma a piccole cellule
Costituisce circa il 15-35% dei casi di tumore. Raramente ha indicazione chirurgica. È
abbastanza frequente, strettamente legata al fumo ed è la forma più aggressiva di neoplasia
polmonare. Ha spesso pattern sottomucoso e tende a crescere nello strato sottomucoso
bronchiale.
Caratteristiche:
-
Aggressivo, ad alta malignità
-
Origine centrale
-
Pattern di crescita sottomucoso
-
Alta frequenza di invasione linfatica
-
Appartiene alla categoria delle neoplasie neuroendocrine del polmone
-
Spesso già metastatico al momento della presentazione
-
Elevata percentuale di risposta a trattamenti di polichemioterapia
-
20% dei casi annuali di tumore polmonare
-
Fatale nel 95% dei casi
-
Il 95% dei pazienti affetti da SCLC sono attuali o ex fumatori.
Il trattamento è di tipo chemio-radio terapico e il tumore risponde bene per la sua alta
replicazione e neoplasie a lenta crescita infatti rispondono meno al chemioterapico. Da
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ricordarsi quindi che le neoplasie con elevato tasso di replicazione rispondono bene al
trattamento chemio-radio terapico.
Esistono anche le così dette neoplasie neuroendocrine del polmone che comprendono:
-
Carcinoide
-
Carcinoide atipico
-
Neuroendocrino a grandi cellule
-
Neuroendocrino a piccole cellule.
Clinica
La presentazione clinica è molto importante in quanto il pz con carcinoma del polmone può
presentarsi con quadri clinici molto diversi. Il 10-15% dei carcinomi è asintomatico e si
riscontrano in pz durante esami occasionali (rx torace). Il quadro clinico cambia in base a
come cresce la massa tumorale in quanto a seconda della sua crescita si possono
distinguere forme cliniche diverse in
quanto alcuni pz possono presentarsi con
sintomaotogia del tutto fuorviante.
La crescita locale può può verificarsi:
-
all’interno dei bronchi o centrale, detta anche endobronchiale. Le manifestazioni
saranno quelle tipiche dell’occlusione bronchiale: tosse, emottisi (l’emottisi è un
sanguinamento discreto delle vie respiratorie con emissione di sangue vivo, l’emoftoe
invece è l’espettorato striato di sangue), dispnea, fischi, polmonite ostruttiva. La tosse
si manifesta solamente se la neoplasia ha una certo coinvolgimento bronchiale;
-
periferica; il bronco non viene occluso. La sintomatologia comprende dolore, quando
viene interessata la pleura, tosse, dispnea, ascesso polmonare, pnx.
Nella diffusione regionale, intratoracica la neoplasia può diffondere:
a) per contiguità, cioè per vicinanza con varie strutture presenti nel torace. A seconda degli
organi colpiti le manifestazioni possono essere:
-
ostruzione tracheale: dispnea e stridore
-
compressione esofagea: disfagia
-
paralisi del nervo laringeo ricorrente: raucedine come unico sintomo (disfonia)
-
paralisi del nervo frenico: dispnea e innalzamento dell’emidiaframma. Se all’RX di un
pz si rileva innalzamento dell’emidiaframma il primo pensiero deve essere il tumore
del polmone.
-
paralisi dei nervi simpatici: dà diverse sindromi, come la sindrome di C.B. Horner
che si presenta con enoftalmo, miosi e ptosi
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-
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sindrome di Pancoast: il tumore si localizza all’apice del polmone e dà dolore alla
spalla con irradiazione ulnare e distruzione radiologica della I e II costa
-
sindrome della vena cava superiore
-
interessamento del cuore e pericardio: sintomi sono aritmia e tamponamento
cardiaco
-
versamento e tamponamento pericardico: il pericardio è una sierosa poco elastica e
versamento all’interno da tamponamento cardiaco.
-
versamento pleurico: può essere anche reattivo infiammatorio legato alla presenza
del tumore, non sempre è indice di eccessivo avanzamento
-
versamento pleurico da ostruzione linfatica.
b) per via linfatica: la neoplasia può arrivare ad interessare diverse stazioni linfonodali. Le
metastasi possono interessare:
-
linfonodi intrapolmonari, dello stesso polmone dove c’è la massa
-
linfonodi ilari, della stessa parte dove c’è la massa oppure contro laterali
-
linfonodi mediastinici, omolaterali o controlaterali
c) metastasi a distanza, anche extratoracica. È possibile che il pz non si accorga della
malattia respiratoria per l’assenza di sintomi e si presenti per la prima volta dal medico per
una sintomatologia da metastasi a distanza.
Ogni organo può teoricamente essere interessato, ma ci sono delle sedi preferenziali:
-
encefalo: deficit neurologici
-
ossa: dolore (di solito lancinante) e fratture patologiche
-
midollo: pancitopenia
-
fegato: disfunzione epatica
-
linfonodi sovraclaveari
-
surrene
Sono zone importanti perché vanno indagate con gli esami per fare la stadiazione del
tumore. Da tenere presente che questi sintomi possono essere i primi sintomi con cui il pz
si presenta dal medico.
Sono molto importanti anche le così dette sindromi paraneoplastiche: insieme di sintomi
che si associano al tumore e che non si sa bene a cosa siano dovute, molto probabilmente
per sostanze rilasciate dalle cellule tumorali che però agiscono a livello sistemico dando dei
particolari sintomi. Sono frequenti e si chiamano paraneoplastiche in quanto costituiscono
i sintomi sistemici di un pz neoplastico. Spesso sono il primo segno di malattia o di
metastasi e possono simulare la malattia disseminata. Regrediscono trattando il tumore
(cosa più importante). Visto che causano sintomi sistemici è possibile che vengano confuse
con le metastasi e ciò è molto grave.
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Le principali sindromi paraneoplastiche comprendono:
a) Endocrine
-
ipercalcemia
ed
ipofosfatemia
(dovute
a
produzione
da
parte
delle
cellule
neoplastiche di PTH)
-
sdr di Cushing ed ipopotassiemia (ACTH)
-
SIADH: comune nella neoplasia a piccole cell e si caratterizza per iponatriemia,
ridotta osmolarità sierica, urine concentrate, produzione ectopica di argininavasopressina/fattore natriuretrico atriale
b) connettivo-scheletriche:
-
osteoartropatia ipertrofica
-
dita a bacchetta di tamburo (si vedono molto di frequente)
-
neurologiche-miopatiche:
c) neurologiche:
-
sdr di Eaton-Lambert (cecità retinica neuropatie periferiche
-
degenerazione cerebellare
-
polimiosite
d) ematologiche:
-
tromboflebite migrante (sdr di Trosseau)
-
endocardite trombotica
-
coagulopatia intravascolare disseminata
e) cutanee:
-
dermatomiosite
d) altre
Le
-
febbre
-
anoressia
-
cachessia
-
calo ponderale
sindromi
paraneoplastiche
sono
estremamente
importanti
perché
forniscono
informazioni importanti sullo stato di salute generale del pz. Le condizioni cliniche generali
del pz sono infatti discriminanti nella scelta delle opzioni terapeutiche (intervento
chirurgico o una chemio o la radioterapia).
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Diagnosi
L’iter diagnostico parte dal sospetto che deve essere seguito da una buona anamnesi, EO,
eventualmente valutazione dei principali marcatori (aspecifici), rx torace, broncoscopia o
altre indagini invasive. La conferma è sempre cito-istologica.
Da tenere presente che i marcatori neoplastici possono essere utili, ma sono assolutamente
aspecifici in quanto possono riflettere diverse condizioni infiammatorie, non sono
diagnostici ma possono aumentare il sospetto nel caso vengano trovati alterati. I principali
marcatori comprendono
-
TPA
-
CEA
-
CYFRA
-
NSE
-
Cromogranina A
-
calcio 125
-
calcio 19.9
-
calcio 15.3
-
alfafetoproteina AFP
Se all’anamnesi e all’E.O. emergono elementi di sospetto, la prima cosa da fare è la
radiografia del torace. In caso di presenza di massa all’rx la conferma è cito-istologica
grazie alla broncoscopia tramite fibre ottiche che permette di eseguire una biopsia
bronchiale o transbronchiale della zona dove è presente la massa. Ovviamente questa
tecnica è adatta alle masse che sono vicine ai bronchi e quindi aggredibili dal lume del
bronco (masse a crescita centrale).
Se invece la massa è vicino alla pleura chiaramente la fibrobroncoscopia è poco utile e
servono metodi più invasivi:
-
agobiopsia transcutanea TC guidata: non di semplice esecuzione in quanto molte
volte il pz quando sente l’ago fa un movimento respiratorio
-
toracentesi, soprattutto in presenza di versamento pleurico
-
mediastino scopia: in presenza di versamento nel mediastino attraverso la TAC
-
biopsia linfonodi superficiali o delle metastasi
-
videotoracoscopia chirurgica
-
toracotomia.
Oltre all’rx le altre metodiche strumentali utilizzate sono:
-
TAC torace – addome superiore con mezzo di contrasto
-
Broncoscopia
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-
PET-TAC total body
-
TAC/RMN cerebrale
-
Scintigrafia ossea: è coperta attualmente dall’esame PET
La valutazione funzionale fa riferimento a:
-
prove di funzionalità respiratoria (spirometria, emogasanalisi basale, DLCO)
-
ECG
-
test da sforzo cardio-respiratorio
-
scintigrafia polmonare ventilo-perfusoria
-
ecocardiogramma
-
coronarografia
Per quanto concerne la diagnosi differenziale questa deve essere posta con:
-
malattie infettive: polmonite o un esito della polmonite: TBC o esiti che lasciano vere e
proprie masse, coccidioidomicosi, istoplasmosi, Pneumocystis carinii, frequente negli
immunodepressi, ascesso polmonare
-
patologia neoplastica: metastasi di neoplasie di altri organi
-
patologia vascolare: embolia polmonare, infarto polmonare, malformazioni arterovenose.
Stadiazione TNM
La stadiazione serve per capire lo stato di avanzamento della malattia e serve a dare
prognosi al pz in modo da prevedere quindi l’andamento della patologia e stabilire uno
schema terapeutico. La stadiazione TNM (tumor, linfonodi, metastasi) valuta appunto lo
stadio della malattia.
T1
-
la stadiazione T va da T1 a T4 (c’è
anche
Tx
quando
non
trovo
evidenza
di
coinvolgimento
prossimale ad un bronco lobare.
la
neoplasia anche se c’è)
-
non
T2
spesso descritti come “coin lesion”
-
Dimensioni del tumore > 3 cm
cioè lesione moneta.
-
invasione della pleura viscerale
-
< 3 cm nel diametro maggiore
-
invasione
-
completamente
parenchima
circondato
polmonare,
da
del
bronco
distante più di 2 cm dalla carena
senza
-
invasione della pleura viscerale
Atelettasia o polmonite ostruttiva che
giunge alla regione ilare, ma che non
coinvolge l’intero polmone.
principale,
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T3
-
corpi vertebrali
-
versamento pleurico (anche senza un
Si caratterizza per coinvolgimento di:
riscontro di cellule maligne)
-
pleura parietale
-
pleura mediastinica
-
pericardio
-
parete toracica
-
N1: peribronchiali o ilari omolaterali
-
diaframma
-
N2:
-
tumori del solco superiore
-
bronco principale a meno di 2 cm
dalla
-
versamento pericardico.
Fattore N (linfonodi)
carena,
ma
mediastinici
omolaterali
o
sottocarenali
-
N3: mediastinici o ilari controlaterali,
senza
scalenici o sovraclaveari
coinvolgimento della carena.
Fattore M
Da
tenere
presente
che
una
biopsia
-
polmone
negativa non esclude la neoplasia.
controlaterale
o
satelliti su lobi diversi dal primitivo
-
encefalo
T4
-
scheletro
Infiltrazione di strutture mediastiniche:
-
fegato
-
esofago
-
ghiandole surrenaliche
-
trachea
-
cute
-
carena
-
linfonodi extra-regionali.
-
grandi vasi
-
cuore
Stadiazione clinica NSCLC
noduli
STADIO
T
N
M
STADIO 0
TIS
N0
M0
STADIO I
T1
N0
M0
38 OPERABILITA’
Sicuramente operabile
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STADIO II
STADIO IIIA
STADIO IIIB
STADIO IV
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T2
N0
M0
T1
N1
M0
T2
N1
M0
T3
N0
M0
Inizia
T3
N1
M0
problematico
TI-3
N2
M0
ancora operabile
OGNI T
N3
M0
Quasi
T4
OGNI N
M0
operare
OGNI T
OGNI N
M1
Inoperabile
Facilmente operabile
ad
essere
ma
impossibile
è
da
Trattamento
Esistono alcuni criteri ci orientano nella scelta del trattamento migliore:
-
tipo istologico, cioè NSCLC o SCLC
-
stadio clinico
-
condizioni generali del paziente
Il trattamento si avvale di:
a) Terapia chirurgica: per ottenere buoni risultati è necessaria una diagnosi precoce. La
mortalità del 90% è proprio dovuta al fatto che il pz giunge all’osservazione in stadi
avanzati della patologia dove non è più possibile l’intervento chirurgico che potrebbe
debellare la malattia.
b) Terapia medica: si avvale di chemioterapia, radioterapia e terapia di supporto
Nel NSCL il trattamento chirurgico è la prima scelta ma bisogna valutare se il pz è
operabile, come già detto le condizioni generali del pz sono fondamentali come anche la
stadiazione TNM.
Nel SCLC non c’è operabilità, sono possibili chemioterapia, radioterapia e terapia di
supporto
In sintesi:
SCLC
→ medica
Tipo istologico
NSCLC → chirurgia
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Stadio clinico
I e II
→
chirurgia
III
→
medica + chirurgia?
IV
→
medica
La prognosi è correlata soprattutto allo stadio della malattia alla diagnosi ed al tipo
istologico.
Fattori
prognostici
importanti
sono
le
condizioni
generali
del
pz.
La
sopravvivenza varia dal 60% a 5 aa (NSCLC stadio I operabile) a pochi mesi di vita (SCLC
con malattia disseminata). La sopravvivenza di tutti i tumori nel loro insieme è del 10-13%.
NODULO POLMONARE SOLITARIO
Generalità
Il nodulo polmonare solitario costituisce una delle patologie più frequenti in assoluto. Il
NPS si definisce come una lesione sferica, ben circoscritta, completamente circondata da
parenchima, senza atelettasia o adenopatia di dimensioni solitamente inferiori a 3cm.
Il NPS non si accompagna a sintomi respiratori, il pz sta bene, ma di fronte ad un nodulo è
necessario sapere orientarsi e gestire al meglio la situazione di responsabilità. Bisogna
avere il buon senso per capire se si può stare ad osservare o se è meglio procedere
chirurgicamente. Ci sono delle caratteristiche che permettono di orientarsi:
Se si presuppone che si tratti di un nodulo benigno si osserva nel tempo l’andamento di
questa. L’esistenza di una lesione benigna è ipotizzabile se:
-
assenza di fattori di rischio: se il pz è forte fumatore non si può in nessun caso
aspettare, mentre nel pz che non ha mai fumato si osserva il NPS
-
pz giovane, età < 35 aa
-
presenza di calcificazioni intorno alla massa
-
assenza di crescita: ciò è dimostrabile solo chiedendo al pz una lastra precedente
fatta per altri motivi. Si mettono a confronto le due lastre e si vede se la lesione è
cresciuta.
Di fronte a un pz non fumatore, con massa che non è cresciuta da almeno 3 anni e con
calcificazioni intorno si può stare ad osservare ipotizzando che le lesioni possano essere
dovute a:
-
TBC
-
infezioni fungine
-
tumore benigno
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Nel caso in cui il pz non abbia Rx precedenti anche se non fuma e non avendo elementi per
dimostrare un’assenza di crescita va ricercata la diagnosi istologica
Il trattamento chirurgico è indicato nei casi in cui si sospettino lesioni maligne, cioè nel
caso in cui il pz:
-
sia un forte fumatore
-
abbia un’anamnesi familiare positiva per neoplasia o abbia lui stesso una neoplasia
in altri organi.
In questo caso è necessario sospettare:
-
adenocarcinoma
-
altri istotipi di neoplasia
-
metastasi da tumore in altri organi
TUMORI BENIGNI
Rappresentano meno del 5% di tutti tumori primitivi del polmone e sono rappresentati nel
90% dei casi da adenoma bronchiale ed amartoma. Negli altri casi si tratta di condromi,
fibromi, lipomi, emangiomi, leiomiomi, teratomi, pseudolipomi, endometriosi.
Anche in questo caso il tumore cresce e la crescita può essere:
-
centrale: dà ostruzione delle vie aeree (tosse, emottisi, polmonite)
-
periferica: spesso asintomatici
CARCINOIDE
Si parla di sindrome da carcinoide. L’80% degli adenomi bronchiali sono carcinoidi., i quali
originano dalle cellule di Kuchitsky. Possono causare sindromi paraneoplastiche da
ipersecrezione di ACTH.
La sindrome da carcinoide è una sindrome neuroendocrina caratterizzata da:
-
vampate cutanee
-
broncospasmo
-
diarrea
-
lesioni valvolari cardiache
Possono dare metastasi. Il trattamento è chirurgico ed è estremamente risolutore. Il 95%
sopravvive a 5 aa. Scoprire che il pz ha un carcinoide è una buona notizia perché ci sono
buone possibilità di sopravvivenza.
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INTERSTIZIOPATIE POLMONARI
Generalità
Le interstiziopatie sono un gruppo di affezioni che interessano prevalentemente od
esclusivamente l’interstizio polmonare.
L’interstizio polmonare è lo spazio compreso tra due alveoli, in particolare quella zona
delimitata da due membrane basali alveolari in cui scorre il vaso sanguigno (con
importante funzione di scambi gassosi tra aria alveolare e sangue).
Epidemiologia
Il
termine
“pneumopatie
interstiziali
o interstiziopatie” a volte usato è
fuorviante, perché molte di esse associano all’interessamento interstiziale anche una
diffusa alterazione dell’architettura alveolare e delle vie aeree. Le PI rappresentano
globalmente circa il 15% di tutte le malattie respiratorie.
Eziologia
Le interstiziopatie si possono distinguere a seconda da causa nota o meno:
a) da causa note
-
infezioni;
-
agenti
b) da causa non nota:
-
fibrosi polmonare idiopatica;
(polveri
-
sarcoidosi;
organiche, inorganiche, di origine
-
emosiderosi idiopatica;
chimica); neoplastiche;
-
proteinosi alveolare
-
congenite;
-
vasculiti
-
metaboliche;
-
da agenti fisici (radiazioni, tossicità
-
istiocitosi X;
da ossigeno);
-
linfangioleiomiomatosi;
-
polmonite eosinofila primitiva.
-
da
professionali
primitive
(es.
granulomatosi di Wegener);
farmaci
(antiblastici,
amiodarone…);
-
secondarie
a
collagenopatie
(sclerodermia soprattutto).
Tra le cause note secondarie ad infezioni, quella che più facilmente può dare una I.P è la
TBC che evolve con il passare del tempo in fibrosi polmonare. Forme anche se più rare
sono quelle di tipo neoplastico soprattutto le carcinomatosi. Per quanto riguarda quelle da
radiazioni, una delle più frequenti I.P che si vedono in clinica, è la fibrosi post attinica
spesso presente in pazienti trattati con radioterapia per effetto tossico delle radiazioni. In
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fine per le forme secondarie a collagenopatie la fibrosi polmonare risulta essere una
complicanza dell’artrite reumatoide o di altre patologie autoimmuni.
Patogenesi
La patogenesi non è del tutto nota ma in generale è più o meno la stessa per tutte le
interstiziopatie. Si pensa che uno stimolo esogeno non noto determini un’infiammazione
cronica (alveolite) provocando un danno al parenchima polmonare il quale innescherebbe
un processo di fibrosi riparativa. Le cellule infiammatorie e le citochine coinvolte nel
processo fibrotico sarebbero numerose: da una parte eosinofili, mastociti, macrofagi,
linfociti produrrebbero IL-4, IL-1, IGF-1 e TNF-a e dall’altra le cellule endoteliali e le cellule
parenchimali rispettivamente endotelina-1 e TGF-b concorrendo alla proliferazione dei
fibroblasti.
Dal punto di vista fisiopatologico la fibrosi comporta due conseguenze:
-
diminuzione dei volumi polmonari aerei configurando un quadro di tipo restrittivo;
-
ostacolo alla diffusione dei gas in virtù dell’ispessimento dell’interstizio: ciò altera il
rapporto ventilazione/perfusione con il realizzarsi di uno shunt funzionale.
Classicamente per shunt si intende la presenza di una quantità di sangue che passa
attraverso i polmoni senza essere ossigenato perché, per esempio, vi è una fistola
artero-venosa. In effetti però, anche se la diffusione dei gas è solo ridotta (come in
questo caso), si realizza uno shunt anche se in proporzione di entità minore.
Come avviene nel caso delle pneumopatie restrittive l’ossigeno è il gas che maggiormente
risente dello shunt: le pneumopatie restrittive si caratterizzano inizialmente per ipossiemia
da sforzo (la dispnea da sforzo è la tipica sintomatologia di esordio delle interstiziopatie) e
successivamente anche a riposo accompagnata da normocapnia o ipocapnia in caso di
iperventilazione compensatoria.
In uno stadio più tardivo si osserverà ipossia ed ipercapnia.
L’ipossia determina un
aumento delle resistenze arteriose polmonari con una evoluzione finale che col tempo si
traduce in ipertensione polmonare e cuore polmonare cronico.
Clinica
L’esordio lento e aspecifico si caratterizza nelle prime fasi da dispnea, prima da sforzo e poi
a riposo e tosse secca, stizzosa, persistente, che non risponde ai comuni antitossigeni.
Meno frequentemente si può avere emottisi (specie in caso di vasculopatie), dolore toracico
e una sintomatologia aspecifica caratterizzata da febbricola, astenia, dolori muscolari,
artralgie e sintomi extrapolmonari quali secchezza oculare, artralgie, ematuria. La presenza
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dei sintomi extrapolmonari è ovviamente condizionata dal tipo di patologia che sottende
alla interstiziopatia.
L’anamnesi familiare può aiutare per patologie come sarcoidosi o fibrosi polmonare
idopatica (FPI). L’età e il sesso sono indicativi per linfangioleiomiomatosi (praticamente
esclusiva del sesso femminile), FPI, istiocitosi X, malattie del connettivo. I farmaci di cui
tenere conto sono: amiodarone, metothrexate, ciclofosfamide, eroina, ossigeno. Il fumo è
correlato con istiocitosi X, IPF e Goodpasture. Importante è inoltre indagare la precedente
esposizione lavorativa a sostanze irritanti.
Infine l’anamnesi patologica remota può rivelare LES, AR, sarcoidosi o vasculiti.
L’EO inizialmente è negativo in quanto le lesioni sono minime; successivamente si
apprezzano crepitii secchi alle basi (“a velcro”, un suono simile allo strofinio dei capelli),
cianosi, segni di cuore polmonare e ippocratismo digitale (Clubbing).
Anatomia patologica
L’ interstiziopatia può manifestarsi come malattia:
granulomatosa con distorisione dell’interstizio In genere si ha restitutio, almeno
-
parziale (es. Sarcoidosi, Berilliosi, TBC miliare);
infiltratva con distruzione dell’interstizio (es. IPF): danno Pneumociti I e II , perdita di
-
capillari, proliferazione prevalente Pneumociti II, migrazione cell.bronchiolari verso
l’alveolo, infiltrazione cellule infiammatorie edema infiammatorio . proliferazione
fibroblasti e fibrosi.
Il quadro terminale comune a tutte le patologie che progrediscono è l’ Honeycombing
(polmone a favo d’api).
Iter diagnostico
Esami di laboratorio:
-
emocromo;
-
indici di flogosi: VES, PCR
-
ACE
-
tipizzazione linfocitaria;
-
ricerca immunopatologica: ANA test, C3-C4, fattore reumatoide, p-ANCA e c-ANCA,
immunoglobuline, immunocomplessi;
-
esame microbiologico dell’espettorato.
Nessuno di questi esami è specifico e permette di fare diagnosi di certezza di una patologia
in particolare.
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Più importanti sono le prove di funzionalità respiratoria:
-
spirometria: rivela un deficit ventilatorio restrittivo (↓ CPT e diminuzione “armonica”
di tutti i volumi polmonari, VEMS e CV ↓; VEMS/CV normale o ↑);
-
la DLCO (capacità di diffusione del monossido di carbonio) è diminuita, spesso già in
fase precoce di malattia;
-
emogasanalisi: all’esordio rileva ipossiemia con normo/ipocapnia; in fase avanzata
ipossiemia con ipercapnia.
Imaging:
-
RX torace: la specificità per queste malattie è molto bassa tuttavia i quadri di più
frequente riscontro sono: reticolare, micronodulare/miliare o nodulare;
-
TAC ad alta risoluzione (HRCT): molto più specifica e sensibile della radiografia
standard è in grado di: rilevare interstiziopatie in pazienti sintomatici con RX
negativa o dubbia, descrivere accuratamente l’aspetto morfologico e la topografia
delle lesioni (alta correlazione aspetti radiologici/istopatologici), guidare la scelta del
tipo e del sito di biopsia polmonare, descrivere il grado di attività della malattia e la
potenziale reversibilità del danno polmonare: l’aspetto a vetro smerigliato infatti è in
fattore prognostico positivo dal momento che è indizio della presenza di flogosi sulla
quale è ancora possibile intervenire; l’aspetto a favo d’api indica invece una zona in
cui prevale l’aspetto cicatriziale e di conseguenza una situazione irreversibile.
Anatomia patologica:
-
BAL (lavaggio broncoalveolare): per alcune interstiziopatie può essere diagnostico da
solo (es. polveri inorganiche, neoplasie polmonari, infezioni opportunistiche,
istiocitosi X, proteinosi alveolare); per altre può esserlo, con buona sensibilità e
specificità, se associato agli altri dati clinico-strumentali (es. sarcoidosi, IPF). Dal
momento che l’alveolite è il denominatore comune di queste malattie e precede e poi
sostiene il danno strutturale e funzionale dell’interstizio, il BAL è caratterizzato dal
riscontro di cellule infiammatorie di tipo diverso a seconda del tipo di patologia
sottostante: prevalenza linfocitaria (sarciodosi CD4+, alveolite allergica estrinseca
CD8+, collagenopatie, asbestosi), prevalenza neutrofila (FPI, ARDS, collagenopatie,
asbestosi);, prevalenza eosinofila (polmonite cronica eosinofila, ipersensibilità a
farmaci, Churg-Strauss);
-
biopsia: è la metodica che permette la diagnosi di certezza e perciò deve essere
eseguita prima di iniziare la terapia. La decisione su tipo, sito e dimensioni della
biopsia dipendono da: sospetto per la specifica patologia (es. nella fibrosi polmonare
idiopatica è indicata la biopsia toracotomia mentre nella sarcoidosi quella
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transbronchiale), distribuzione e dimensioni delle lesioni (HRCT), condizioni generali
del paziente. I tipi di biopsia che possono essere effettuati sono:
a) transbronchiale: spesso il materiale è insufficiente o inadeguato, diagnostica
solo nel 38-79% dei casi;
b) toracoscopica:
diagnostica
nel
86-95%
dei
casi,
meno
sicura
della
transbronchiale ma con minor morbidità rispetto alla toracotomia;
c) toracotomica: diagnostica nel 93-100% dei casi. Va eseguita in anestesia
generale, vi sono complicanze nel 7% dei casi e la mortalità è dell’1%
d) percutanea: alto tasso di complicanze (PNX 50%), mortalità 0.1-3.1%; elettiva
per lesioni focali >2 cm.
Follow-up
È importante il follow-up che genere va eseguito con visite periodiche ed esami strumentali
(prove di funzionalità respiratoria, emogasanalisi a riposo e sotto sforzo, RX torace). Le
indagini più costose ed invasive (HRCT e BAL) vengono eseguite più di rado oppure in
presenza di significativo ed imprevisto aggravamento delle condizioni cliniche. L’intervallo
di tempo tra un controllo e l’altro è definito sostanzialmente dal tipo di patologia e dalle
condizioni cliniche del paziente che guidano sempre nella programmazione del follow-up.
FIBROSI POLMONARE IDIOPATICA
Generalità
La FPI costituisce una delle oltre 150 malattie facenti parte delle pneumopatie interstiziali
diffuse o interstiziopatie polmonari, che costituiscono quindi un ampio ed eterogeneo
gruppo di patologie acute e croniche che hanno in comune alcune caratteristiche clinocoradiologico-funzionali quali la dispnea da sforzo, un’alterazione radiologica (infiltrazione
irregolare
diffusa
del
tipo
lineare
o
micro
nodulare
all’rx
torace)
e
ipossemia
all’emogasanalisi.
Il termine FPI è stato usato per descrivere un gruppo di malattie polmonari interstiziali non
granulomatose, ad eziologia non nota, con caratteri istopatologici, risposta alla terapia e
prognosi differenti.
Più precisamente si intende per fibrosi polmonare idiopatica una forma specifica di
interstiziopatia polmonare cronica fibrosante limitata al polmone ad eziologia sconosciuta
ed associata a reperto istologico su biopsia polmonare di Polmonite Interstiziale Usuale
(UIP).
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Si parla quindi di FPI quando l’esame istologico indica la presenza di una UIP che ha delle
caratteristiche istologiche ben precise. Tutte le altre forme rientrano nelle interstiziopatie
ma non nella FPI e questo è importante perché il pz con FPI è più grave rispetto agli altri.
Questa patologia ha infatti una sopravvivenza simile a quella del tumore del polmone e non
risponde a terapia, quindi etichettare il pz con FPI è una responsabilità importante da
prendere. Occorre in genere una biopsia chirurgica per via videotoracoscopica o
toracotomia per avere un pezzo di parenchima polmonare su cui fare diagnosi di UIP.
Epidemiologia
La IPF interessa 3-6 persone su 100000 negli USA (simili percentuali in Italia) e più
frequentemente i maschi in un’età compresa tra i 40 e i 70 anni (comunque rara prima dei
50 anni). È diffusa in tutto il mondo senza predilezione per aree urbane o rurali o per etnie.
La sopravvivenza media dal momento della diagnosi è di 2.8 anni.
Classificazione
La classificazione anatomopatologica delle polmoniti interstiziali idiopatiche (IIP) (ospite
immunocompetente) distingue:
-
fibrosi polmonare idiopatica o polmonite interstiziale usuale (UIP);
-
polmonite interstiziale desquamativa (DIP);
-
bronchiolite respiratoria associata a malattia interstiziale (RBILD);
-
polmonite interstiziale acuta (AIP);
-
polmonite interstiziale non specifica (NSIP).
Eziopatogenesi
Non si conoscono agenti eziologici specifici e si parla piuttosto di fattori di rischio che
sembrano essere correlati con la malattia:
-
fumo di tabacco
-
fattori ambientali
-
agenti infettivi
-
predisposizione genetica.
Esistono due ipotesi eziopatogenetiche: una infiammatoria sul modello discusso per le
interstiziopatie in generale in cui la riparazione anomala è sostenuta da un assetto a favore
dei Th2 rispetto ai Th1; l’altra è l’ipotesi non infiammatoria che ritiene che l’IPF sia dovuta
principalmente ad una alterazione funzionale di fibroblasti e cellule epiteliali che porta a
dei meccanismi di riparazione tissutale eccessivi e ridondanti.
Clinica
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La sintomatologia comprende dispnea, tosse secca, calo ponderale, malessere generale,
astenia, segni di cuore polmonare cronico in fasi avanzate.
Diagnosi
La diagnosi viene effettuata seguendo l’iter descritto in generale per le interstiziopatie.
Come già detto gli esami di laboratorio sono aspecifici (da notare che la VES è elevata nel
90% dei pazienti). Si riscontra positività per ANA, fattore reumatoide, crioglobuline,
fenomeno LE. Sono poco utili, semmai aumentano gli indici di flogosi.
Radiologicamente sono presenti diffuse opacità interstiziali, più evidenti alle basi, spesso
con aspetti honeycombing (a favo d’api) evidenti già al momento della diagnosi: ciò che è
importante è che raramente la radiografia del torace è normale.
La HRTC è caratterizzata da opacità reticolari basali che corrispondono ad aree di fibrosi
irregolare intralobulare. Altri segni di fibrosi sono l’ispessimento dei setti interlobulari e le
bronchiectasie da trazione fino ai quadri di sovvertimento microcistico (honeycombing).
Accanto agli aspetti di fibrosi sono anche osservabili aspetti a vetro smerigliato (ground
glass) che corrispondono alle zone in cui è presente l’alveolite e quindi malattia attiva.
Caratteristica della UIP è la disomogeneità dei reperti radiologici: coesistenza di aree di
fibrosi e flogosi nello stesso paziente, nello stesso polmone e nello stesso lobo.
La diagnosi di certezza è anatomopatologica su biopsia chirurgica che è raccomandata in
tutti i pazienti con sospetto di IPF e che non hanno controindicazioni all’intervento. Il
reperto istopatologico che identifica i pazienti con IFP è la polmonite usuale interstiziale
(UIP) caratterizzata da:
-
coesistenza di lesioni temporalmente diverse;
-
nell’interstizio si osservano aree alternanti di infiammazione, fibrosi, honeycombing,
tessuto sano;
-
focolai fibroblastici proliferanti rivestiti da pneumociti alveolari iperplastici, il cui
reperto è necessario per la diagnosi. Da tenere presente che la presenza di foci
fibroblastici è indice di peggior prognosi nella UIP.
Trattamento
Per quanto concerne il trattamento farmacologico non esiste ad oggi alcun farmaco che
possa curare o rallentare il decorso di questa malattia. I corticosteroidi costituiscono
tuttora l’approccio terapeutico di scelta, nonostante nessuno studio abbia dimostrato la
loro reale efficacia nel trattamento delle IPF. In alternativa od in aggiunta possono essere
indicati gli immunosoppressori quali l’azatioprina o la ciclofosfamide. Il trattamento
chirurgico consiste nel trapianto di polmone.
Le complicanze della FPI sono numerose:
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-
cuore polmonare cronico
-
sovrainfezioni polmonari
-
neoplasia polmonare
-
reflusso gastroesofageo
-
fase accelerata di malattia
-
insufficienza respiratoria.
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SARCOIDOSI
Generalità
Patologia multi sistemica (non interessa solamente il polmone), ad eziologia non nota,
caratterizzata dalla formazione di granulomi non caseificanti negli organi e nei tessuti
affetti.
Epidemiologia
Diffusa in tutto il mondo; più frequente prima dei 40 anni (80%); picco 20-29 anni; F>M;
rara nei fumatori; nei neri le forme sono più gravi (la prevalenza è diversa nei diversi gruppi
razziali e questo conferma il ruolo di fattori genetici peraltro non noti). La prevalenza 1-40 :
100.000 (N.America, S.Europa) 64 : 100.000 (Neri e Scandinavi).
Eziologia
L’eziologia non è nota, ma la teoria più plausibile suppone che la malattia colpisca
individui geneticamente suscettibili esposti ad uno specifico fattore causale non ancora
identificato (infettivo, inorganico, organico). Per anni si è pensato che la causa della
malattia fosse un micobatterio ma studi di biologia molecolare non hanno avvalorato
l’ipotesi.
La predisposizione genetica è verosimilmente multigenica: sono stati chiamati in causa
differenti alleli dell’ HLA e polimorfismi dell’ACE e del recettore per la Vit D.
Antigeni o epitopi persistenti e poco degradabili causerebbero un’ alveolite CD4+/Th1
oligoclonale che in conseguenza della secrezione dei fattori di crescita IL-12, IL-2, INFgamma, TNF-beta, provocherebbe un accumulo di macrofagi attivati con formazione di
granulomi. I macrofagi attivati secernerebbero a loro volta citochine infiammatorie
amplificando il danno.
Anatomia patologica
Il quadro istologico è caratterizzato da granulomi:
-
non confluenti, non caseificanti, a cellule epitelioidi e giganti;
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-
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nel polmone si localizzano in genere nell’interstizio peribroncovascolare ricco in vasi
linfatici ed in zona subpleurica;
-
possono evolvere in fibrosi e/o ialinizzazione oppure si può avere restitutio ad
integrum; rari sono i casi di sarcoidosi necrotizzante.
Il granuloma sarcoideo è costituito da:
-
linfociti T CD4+ attivati;
-
macrofagi molto differenziati: sia cellule epitelioidi con interdigitazioni e proiezioni
secretorie, sia cellule giganti con corpi asteroidi e di Schaumann;
-
rari CD8+, plasmacellule e mastociti.
La fibrosi e/o ialinizzazione è classicamente centripeta.
Clinica
La sarcoidosi come detto è una malattia multisistemica ed il quadro clinico è molto
variabile da acuto ad asintomatico:
-
sintomi aspecifici: febbre/febbricola, calo ponderale, astenia;
-
sintomi organo specifici: la sarcoidosi può riguardare il polmone (90% dei casi), i
linfonodi (50-80%), la cute, gli occhi, il cuore, il fegato e le ossa;
-
assenza dei sintomi: 30-50% dei casi, riscontro occasionale all’Rx.
L’esordio acuto può configuare il quadro della cosiddetta sindrome di Lofgren (febbre,
eritema nodoso, adenopatia ilomediastinica bilaterale, poliartrite severa, uveite) che si
associa a risoluzione spontanea nell’80% dei casi; oppure della sindrome di Heerdorft
(febbre, ingrossamento parotideo dolente, uveite anteriore, paralisi faciale) o di Mikulicz
(parotite e dacriocistite).
L’esordio insidioso è caratterizzato da tosse, dispnea e sintomi sistemici aspecifici.
Per quanto riguarda l’interessamento d’organo, l’apparato respiratorio e/o i linfonodi
intratoracici sono colpiti in modo variabile in circa il 90% dei casi. Più spesso la malattia
colpisce il parenchima esitando in una sindrome restrittiva; meno spesso l’interessamento
è endobronchiale lobare o segmentario con conseguente sindrome ostruttiva.
I seni paranasali e le vie aeree superiori sono colpiti nel 5-18% dei casi.
Gli occhi sono interessati nel 25% dei casi, soprattutto nei neri, con un tipico quadro di
uveite anteriore granulomatosa.
Nel 25% dei casi è colpita la cute (eritema nodoso soprattutto nelle donne europee, lupus
pernio nelle persone di colore); più raramente cuore e SNC.
L’ rx torace consente di stadiare la malattia:
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-
stadio 0: nessuna lesione visibile all’RX in presenza di lesioni extrapolmonari;
-
stadio I: adenopatia ilare bilaterale, parenchima indenne;
-
stadio II: adenopatia ilare bilaterale ed infiltrato parenchimale interstiziale;
-
stadio III: infiltrato parenchimale interstiziale senza adenopatia;
-
stadio IV: fibrosi e distorsione polmonare.
La TC visualizza lesioni non visibili all’rx e consente di distinguere tra zone di fibrosi e zone
di alveolite attiva.
Il quadro d’esordio tipico è caratterizzato da piccoli noduli irregolari (1-5 mm) subpleurici e
nell’interstizio broncovascolare; in fase più avanzata si notano invece masse conglomerate
di noduli, fibrosi diffusa e bronchiectasie da trazione.
Diagnosi
Il BAL evidenzia un aumento della cellularità assoluta
(5-6 volte rispetto al normale),
aumento dei linfociti T, aumento del rapporto CD4/CD8, dosaggio dei mediatori
infiammatori (TNF-a,b, citochine).
La biopsia viene eseguita sul sito più accessibile (es. cute, linfonodi superficiali). La biopsia
transbronchiale è poco invasiva ma ha una sensibilità molto variabile (dal 40 al 90%) a
seconda dell’esperienza dell’operatore e dalla distribuzione anatomica della malattia. VATS,
mediastinoscopia o interventi di chirurgia toracica hanno una sensibilità superiore al 90%,
tuttavia sono metodiche più invasive.
Gli esami di laboratorio sono spesso aspecifici:
-
linfocitopenia;
-
VES
-
ipercalcemia
-
percalciuria
-
alterazione indici di funzionalità epatica e renale
-
ACE.
La spirometria indica un quadro funzionale di tipo restrittivo o ostruttivo DLCO: diminuita
EGA: ipossiemia/normo-ipocapnia - ipossiemia/ipercapnia.
Prognosi e follow-up
Nel 50-70% dei casi si verificano delle remissioni spontanee e solo nel 20-30% danni
funzionali residui. Il decorso è cronico o progressivo nel 10-30% dei pazienti: la gran parte
di questi se trattati con steroidi si stabilizza, ma raramente si riesce a sospendere o a
ridurre la dose minima stabilizzante. La sarcoidosi è causa diretta di morte nel 5% dei casi:
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la causa più frequente è
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l’insufficienza respiratoria, meno spesso l’interessamento del
miocardio e del snc.
I fattori prognostici negativi sono lo stadio radiologico (più precoce è lo stadio più alta è la
percentuale di remissioni spontanee, 0% di sopravvivenza per lo stadio IV), l’età superiore a
40 anni, l’interessamento del miocardio e del SNC ed il lupus pernio.
I neri americani presentano in genere una malattia più grave.
La presenza della sindrome di Lofgren rappresenta invece un fattore prognostico positivo.
Nei casi non trattati (85% remissioni spontanee) un follow-up clinico strumentale stretto è
consigliato per almeno 2 anni. I parametri che devono essere valutati sono: sintomi,
PFR/DLCO, test da sforzo, emogasanalisi, RX torace o ancor meglio la TAC.
Terapia
Evidenze dimostrano che lo steroide orale migliori la sintomatologia ed il quadro radiologico
ma non che influenzi la progressione della malattia. Per i quadri più lievi (lesioni cutanee
lievi, uveite anteriore, stadio I polmonare) la terapia è sintomatica eventualmente associata
all’uso di uno steroide topico; negli altri casi si instaura una terapia steroidea per via
sistemica.
Sono in corso degli studi su trattamenti con metotrexate, azatioprina, ciclofosfamide,
clorochina e idroclorochina ed infine sulla possibilità di trapianto e sulle recidive sul
polmone trapiantato. Al momento si tratta comunque di studi isolati e non ancora
conclusivi.
ISTIOCITOSI X O ISTIOCYTOSI A CELLULE DI LANGERHANS
Generalità
L’istiocitosi X è una pneumopatia granulomatosa legata al fumo di sigaretta. La malattia
può coinvolgere un singolo organo ma può essere anche una patologia multiorgano. E’
caratterizzata dall’ infiltrazione, focale o diffusa, di cellule di Langerhans dell’organo
coinvolto.
Epidemiologia
L’incidenza esatta non è conosciuta ed è difficile da determinare poiché può decorrere
asintomatica e risolversi spontaneamente. È frequente soprattutto nei giovani adulti, con
un picco di incidenza compreso tra i 20 e i 40 anni. Rappresenta meno del 5% delle
interstiziopatie diagnosticate
Anatomia patologica
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Caratterizzata da infiltrati di cellule di Langerhans che formano noduli multipli, bilaterali,
interstiziali, peribronchiolari che frequentemente conducono a cavitazioni.
Il coinvolgimento polmonare può essere isolato o parte di una patologia multiorgano.
Reperti caratteristici:
-
BAL: presenza di cellule di Langerhans altamente suggestiva di istiocitosi X;
-
Biopsia transbronchiale: scarsamente diagnostica a causa della natura patchy della
patologia
-
Biopsia chirurgica: tecnica migliore per la diagnosi istologica
Caratteristiche istologiche rilevanti sono:
-
infiltrati cellulari interstiziali di cellule di Langerhans, linfociti, macrofagi, eosinofili,
plasmacellule e fibroblasti. Tali infiltrati formano noduli nelle piccole vie aeree, con
cavitazioni;
-
le lesioni nodulari progrediscono in noduli fibrotici, stellati, connessi tra loro, honeycombing, allargamento degli spazi aerei ed iperinflazione
-
negli stadi terminali prevale la fibrosi cicatriziale e le cellule di langerhans sono
scarsamente rappresentate
Eziologia
Il fumo rappresenta un fattore di rischio molto importante per lo sviluppo della malattia.
Numerosi studi hanno infatti dimostrato chiaramente che più del 90% dei pazienti affetti
da istiocitosi X sono fumatori o ex-fumatori.
Clinica
I sintomi clinici più frequenti comprendono dispnea tosse, dolore toracico. Sintomi meno
frequenti sono l’emottisi, pnx spontaneo bilaterale o ricorrente (10%). I sintomi sistemici
comprendono febbre, astenia, sudorazioni notturne, anoressia, perdita di peso. Sintomi
extrapolmonari sono le lesioni ossee (cranio, coste,pelvi) diabete insipido lesioni cutanee.
Da tenere presente che circa il 25% dei pazienti è asintomatico e la patologia viene scoperta
con un riscontro accidentale alla Rx- torace.
Diangosi
L’esame obiettivo: spesso negativo. PFR: deficit ventilatorio restrittivo, ostruttivo, misto e
riduzione della DLCO. All’rx torace si reperta una combinazione di noduli scarsamente
definiti o stellati, opacità reticolari o nodulari nella zona mediana o sup. del polmone, cisti
o aspetto a nido d’api nella zona superiore sono altamente specifici.
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All’HRCT si descrive un coinvolgimento predominante dei lobi superiori con risparmio
relativo delle basi polmonari; reticolazioni e noduli nelle fasi iniziali e cisti nelle fasi
avanzate.
Sono caratteristici quindi le cisti a parete sottile nell’intero parenchima e i piccoli noduli
interstiziali
Prognosi
L’evoluzione della patologia è variabile:
-
in alcuni pazienti avviene una remissione spontanea dei sintomi
-
in altri la patologia evolve in pneumopatia fibrotica all’ultimo stadio.
Terapia
È importante smettere di fumare. La terapia con steroidi va riservata a coloro che non
migliorano né si stabilizzano con l’astensione dal fumo. Nelle forme che evolvono verso
l’insufficienza respiratoria va preso in considerazione il trapianto polmonare.
POLMONITI
Generalità
Con il termine polmonite nella pratica clinica, si intende una sindrome causata da un
processo flogistico acuto (più spesso ad eziologia batterica) a carico del parenchima
polmonare (alveoli) e/o l’interstizio o la parte distale dei bronchioli e caratterizzata da segni
clinici e/o radiografici di addensamento di uno o più segmenti di uno o di entrambi i
polmoni. Le polmoniti hanno un importante impatto socio-economico provocando perdita
di giornate lavorative, perdita di giornate di scuola, ridotta produttività, disagi familiari,
aumento spesa sanitaria
Epidemiologia
Nonostante l’importanza clinica delle polmoniti, le valutazioni epidemiologiche risultano
particolarmente difficili: in Italia, come negli altri Paesi occidentali, le polmoniti non sono
soggette ad obbligo di denuncia. Nell’anno 1999, negli ospedali italiani sono stati ricoverati
per polmonite circa 130.000 pz. Si tratta quindi di una patologia importante nei giorni
nostri e soprattutto in passato: prima dell’era antibiotica la mortalità era elevatissima
(80%).
Attualmente grazie alla terapia antibiotica la mortalità si è ridotta, ma tuttora è rilevante e
si aggira intorno al 5-6%.
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In particolare rimane elevata soprattutto in alcune fasce di popolazione: tra i giovani adulti
di età compresa tra i 20 e i 35 anni la mortalità è molto bassa, al contrario di ciò che
avviene nei bambini, negli anziani e nei pz immunodepressi.
La mortalità in Italia è più alta nei soggetti con più di 65 anni, mentre nei paesi in via di
sviluppo i decessi interessano maggiormente i piccoli.
Nel corso del 1998 si sono verificate 3500 morti a causa della polmonite e delle
manifestazioni ad essa secondarie.
Eziologia
La polmonite riconosce svariate cause, le più diffuse sono quelle ad eziologia infettiva.
Bisogna tenere presente che nel tempo si sono verificate profonde modificazioni
dell’ecologia batterica e dell’ epidemiologia dovute a numerose cause:
-
miglioramento dell’igiene;
-
vaccinazioni efficaci;
-
nuovi metodi di identificazione e isolamento degli agenti microbici (ad es. se si
riconosce l’agente patogeno Chlamydia si eviterà di usare un inibitore della parete
cellulare verso cui il microrganismo è naturalmente resistente);
-
maggior durata della vita;
-
introduzione in terapia di agenti antimicrobici, nonché loro uso eccessivo (pressione
selettiva);
-
fenomeno della resistenza batterica.
Attualmente la situazione è caratterizzata da:
-
polimorfismo eziologico
-
patogeni diversi nelle infezioni emergenti, soprattutto nosocomiali
-
nuovi agenti eziologici (legionella…).
Le infezioni acute delle vie respiratorie nei 2/3 dei casi riguardano le alte vie respiratorie (di
cui la maggior parte di natura virale) e nel rimanente terzo le basse vie.
Ci sono patogeni diversi anche in base all’età e alle condizioni del paziente.
considerando che solo nel 50% dei casi il laboratorio di microbiologia è in grado di chiarire
la natura della polmonite spesso è necessario trattare il paziente basandosi su dati
epidemiologici.
a) Bambino
-
70% eziologia virale;
-
20% batteri;
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-
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10% atipici
b)Adulto immunocompetente
-
60% Streptococcus pneumoniae;
-
10-15% Gram - ;
-
20% Mycoplasma,Chlamydia;
-
5-10% Haemophilus, S. Aureus.
c) Nei soggetti
giovani immunocompetenti il patogeno più frequentemente implicato è il
Mycoplasma pneumoniae. Gli anaerobi, sia G+ che G-, sono presenti nell’orletto gengivale
di pazienti con scarsa igiene orale (spesso anziani e con turbe della coscienza).
d) Adulto ospedalizzato
-
20% G+;
-
60-70% G- ;
-
10% S. aureus ;
-
5% virus.
L’Haemophilus è una delle più importanti cause di riacutizzazione nei pz con BPCO.
La polmonite nosocomiale colpisce tra lo 0,5 e il 5% dei pz ricoverati e si colloca al 2° posto
dopo le infezioni urinarie e da ferita. I fattori di rischio sono:
-
intubazione;
-
ricovero in una unità di terapia intensiva;
-
precedente antibiotico-terapia;
-
intervento chirurgico, in particolare del torace e addome superiore;
-
BPCO;
-
età avanzata;
-
immunosopressione.
Per scongiurare il pericolo di polmonite nosocomiale è bene adottare alcune misure di
prevenzione:
-
smettere di fumare;
-
curare l’igiene personale e delle attrezzature;
-
astenersi, se possibile, da manovre invasive.
e) Adulto immunodepresso
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-
60-70% G-;
-
15% miceti;
-
15% S. aureus;
-
5% virus.
Nei pz immunodepressi con febbre e opacamento polmonare bisogna eseguire una
broncoscopia al fine di raccogliere campioni con un catetere a spazzole protette, eseguire
un lavaggio broncoalveolare, effettuare biopsie transbronchiali. L’utilizzo di procedure così
invasive è giustificato dalla necessità di effettuare una terapia aggressiva e dalla
conseguente necessità di giungere ad una diagnosi eziologica microbiologica.
Patogenesi
Nonostante normalmente le vie aeree al di sotto della laringe siano sterili i microrganismi
patogeni o i saprofiti delle alte vie aeree possono arrivare al parenchima superando le
difese dell’ospite (muco, funzione ciliare, glottide, sistema immunitario dell’ospite, etc…);
una volta raggiunto il tratto respiratorio inferiore i microbi possono causare danni sia
direttamente
sia
inducendo
l’infiammazione
con
richiamo
e
accumulo
di
cellule
infiammatorie e di essudato.
Classificazione delle polmoniti
La classificazione è importante in quanto influisce anche sulla clinica e sulla terapia, ma
non sempre è di facile realizzazione: la classificazione eziologica, di fondamentale
importanza è possibile solamente nel 50% dei casi.
Nella stragrande maggioranza dei casi infatti, si imposta una terapia empirica.
I criteri classificativi delle polmoniti sono le seguenti:
1) classificazione anatomica: polmonite lobare, broncopolmonite (lobulare) e atipica
2) classificazione
istopatologia:
alveolare,
interstiziale,
alveolo-interstiziale,
necrotizzante
3) classificazione clinica-epidemiologica: CAP (polmonite acquisita in comunità) HAP
(polmonite nosocomiale) e polmonite nell’immunocompromesso.
4) classificazione etiologica: batteriche, virali, micotiche, portozoarie, elmintiche
1) Classificazione anatomica
a) Polmonite lobare (tipica): polmonite causata da batteri tipici, primo fra tutti lo
S.Pneumoniae di cui ne sono stati identificati 84 sierotipi. La PL si presenta con forte
dolore toracico (per frequente associazione con la pleurite fibrinosa). A volte il processo
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infiammatorio esita in aderenze scissurali per cui può non essere facile distinguere
successivamente i lobi. La sintomatologia tipica compredne respirazione rapida e poco
profonda e tosse con espettorato rugginoso. Il decorso classico (oggi raro a causa delle
terapie antibiotiche) comprende:
-
Congestione: dura meno di 24 ore e dal punto macroscopico si presenta con un
polmone spiccatamente rosso con superficie di taglio umida con trasudazione di
liquido schiumoso rosso. L’aspetto microscopico comprende dilatazione dei capillari,
fluido edematoso eosinofilo negli alveoli e presenza di emazie, neutrofili e batteri
negli alveoli;
-
Epatizzazione rossa: caratterizzato da un aspetto macroscopico con polmoni rossi
con aspetto “carnoso”, prova “dacimosica” positiva con il pezzo di parenchima
polmonare che non galleggia in acqua perché è privo di aria. La superficie pleurica
inoltre si presenta con esseduto fibrinoso (è la fase in cui compare il dolore toracico
e gli sfregamenti all’auscultazione). Dal punto di vista microscopico: si descrivono
filamenti di fibrina in via di organizzazione all’interno degli alveoli e che si estendono
da un alveolo all’altro attraverso i pori di Kohn accompagnati da flogosi con
numerosi neutrofili e batteri.
-
Epatizzazione grigia: l’aspetto macroscopico evidenzia polmoni compatti grigi mentre
dal punto di vista microscopico vi è riduzione della congestione, infiltrato
infiammatorio prevalentemente macrofagico e fibrina intra-alveolare.
Se il soggetto è immunocompetente la risoluzione si verifica dopo otto giorni: si ha lisi della
fibrina in seguito al rilascio dell’attivatore del plasminogeno da parte dei macrofagi. La
fibrina lisata è rimossa attraverso il drenaggio linfatico e con l’espettorato.
Complicanze:
-
Locali: cavitazione del parenchima con formazione di un ascesso; se il fenomeno è
esteso l’interessamento della pleura può non limitarsi alla pleurite essudativa ma vi
può essere colonizzazione dello spazio pleurico con sviluppo di un empiema pleurico.
Si assiste a cicatrizzazione se è presente una grossa necrosi del parenchima
(alternativa alla cavitazione).
-
Generalizzate:
la
batteriemia
durante
la
fase
acuta
espone
al
rischio
di
colonizzazione metastatica (endocarditi, meningiti, peritoniti etc…).
Aspetti suggestivi di una polmonite tipica sono quindi l’esordio acuto, febbre e brividi,
dolore toracico, tosse produttiva con espettorato purulento, dispnea, concordanza tra
quadro obiettivo toracico significativo e quadro radiologico, herpes simplex, leucocitosi ( >
15.000 +/- neutrofilia ).
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b) Broncopolmonite (polmonite lobulare): frequente in epoca infantile, tra gli anziani
debilitati o nelle persone con fattori di rischio quali bronchiti croniche, turbe circolatorie,
fibrosi cistica etc. Da un punto di vista macroscopico si osservano in sezione focolai
centrolobulari giallastri e confluenza con formazione di ascessi. L’aspetto microscopico i
bronchioli e alveoli contengono elementi infiammatori e batteri e vi è spesso erosione della
mucosa dei bronchi. In pratica il processo infiammatorio ha avuto come primo bersaglio la
parete bronchiale.
Questa classificazione però è poco utile ai fini della terapia, perciò si distinguono le
polmoniti in:
-
polmonite a delimitazione scissurale (ben localizzata) ed estensione lobare. Riguarda
soprattutto giovani e adulti;
-
broncopolmonite senza delimitazione scissurale con focolai talvolta multipli (è tipica
soprattutto di bambini e anziani);
-
polmonite interstiziale con focolai sfumati, andamento clinico a ping-pong ed
epidemico: è la cosiddetta “polmonite atipica primaria”. L’azione dei patogeni si
esplica prevalentemente a livello interstiziale.
c) Polmonite atipica: così chiamata per differenziarla da quella tipica (lobare). In quanto
presenta caratteristiche cliniche e radiologiche diverse dalla polmonite Pneumococcica.
Al contrario della polmonite tipica infatti si osserva mancanza di essudato alveolare e
alterazioni infiammatorie a focolai limitate al setto alveolare e all’interstizio (polmonite
interstiziale). È causata da vari microrganismi: M. Pneumoniae, Cl.Pneumoniae, Rickettsie,
Virus influenzali tipo A e B, Virus respiratorio sinciziale, Adenovirus, Rhinovirus, Virus
parainfluenzale, Virus della varicella, Virus della rosolia. Ciascuno di questi agenti può
causare una semplice infezione delle vie aeree superiori o una infezione più grave delle
basse vie respiratorie che è associata a elementi favorenti (i classici, età avanzata,
malnutrizione…).
La gravità della polmonite può dipendere anche da una superinfezione batterica: il
coinvolgimento bronchiale infatti può determinare necrosi dell’epitelio ciliato con riduzione
della clereance muco-ciliare e quindi aumentata suscettibilità alle infezioni batteriche. La
polmonite
atipica
a
volte
inizia
come
polmonite
interstiziale
e
poi
evolve
in
broncopolmonite.
Aspetti suggestivi della polmonite atipica sono l’esordio subdolo, mucosite delle prime vie
aeree, febbre continuo-remittente, mialgie, cefalea, confusione mentale, astenia, tosse non
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produttiva, dissociazione tra quadro obiettivo toracico modesto e quadro radiologico
evidente, assenza di leucocitosi e interessamento multiorgano
2) Classificazione istopatologica
a) Polmonite a prevalente componente alveolitica: si caratterizzano per la presenza
essudato infiammatorio nel lume alveolare. Possono essere a focolaio (interessamento di un
intero lobo o segmento di un lobo) oppure con contemporaneo interessamento dell’albero
bronchiale (broncopolmonirti). Il polmone quindi va incontro ad addensamento per cui alla
percussione si riscontra ipofonesi, vi sono processi a focolaio unico o multiplo che
colpiscono un’area di polmone corrispondente ad un lobo o ad un segmento;
b) Polmoniti prevalentemente interstiziali: presenza di un’infiltrazione inter-alveolare, si
apprezzano all’obiettività fini crepitii auscultatori. Sono causate da batteri atipici (es.
M.Pneumoniae) o da agenti non batterici
-
broncopolmoniti;
-
bronchioliti: sono tipiche dei bambini.
L’esordio è di tipo simil-influenzale con temperatura mai elevatissima; cefalea, mucosità
(sindrome mucositica), artralgie. La tosse è modestamente produttiva (solo una piccola
quantità di espettorato passa negli alveoli) e non c’è un interessamento respiratorio
importante, non compare dispnea né si arriva mai all’insufficienza respiratoria. Il decubito
è indifferente.
Da tenere presente che questa è una classificazione di utilità didattica ed è abbastanza
approssimativa; in realtà ci sono delle polmoniti interstiziali, per esempio da virus
(influenzale o altri), che comportano una grave insufficienza respiratoria perché c’è un
grave danno dell’interstizio a livello del quale avvengono normalmente gli scambi.
c) Polmoniti necrotizzanti: caratterizzati da estesi processi di necrosi che evolgono verso
l’ascessualizzazione.
3) Classificazione clinica (epidemiologica)
a) Polmonite acquisita in comunità (CAP): si definisce come una polmonite che si
manifesta in un pz non ospedalizzato oppure ricoverato da meno di 48-72 ore. Rappresenta
il 90% delle polmoniti trattate in ospedale, contro il 10% delle polmoniti nosocomiali, con
un'incidenza, in Italia, di 3 casi ogni 100 abitanti, inferiore a quella registrata in altri Paesi
(USA, Francia, Gran Bretagna e Germania). Il maggior agente eziologico è rappresentato
dallo. S. Pneumonaiae seguito dal H. Influeenzae, S.Aureus, L.Pneumophila. Può quindi
essere tipica o atipica (Mi.Pneumoniae, C.Pneumoniae, C.Psittaci). In presenza di
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concomitanti fattori di rischio e nei soggetti HIV-positivi notevole è l'incidenza di infezioni
da Pneumocystis Carinii, Micobatteri tipici ed atipici, rara la polmonite da B. Anthracis,
Yersinia Pestis e Francisella Tularensis). L'incidenza delle CAP è maggiore nelle età estreme
della vita (< 10 aa. - > 65 aa.) e nel sesso maschile. Tipico è l'andamento stagionale per il
Mycoplasma Pneumoniae (autunno, con ciclicità quadriennale), la Legionella Pneumophila
ed i virus Parainfluenzali (estate, inizio autunno), i Virus respiratori (primi tre mesi
dell'anno). La diagnosi clinica nelle CAP non è facile in quanto c’è una variabilità
nell’interpretazione dei segni fisici i quali possono essere variabili e transitori. I segni clinici
di focolaio, quando presenti, sono poco sensibili. I rantoli sono i segni più sensibili di CAP.
Per la corretta identificazione dei pazienti da ospedalizzare è stato proposto un
sistema
basato su punteggi da assegnare ai pazienti in base a sintomi, segni età, patologia
concomitanti e rischio di morte.
b) Polmonite nosocomiale: infezione del parenchima polmonare che non è presente
clinicamente nè in incubazione al momento del ricovero ospedaliero e insorge dopo almeno
48 – 72h dal ricovero o entro 48 – 72h dalla dimissione, comunque non in incubazione al
momento dell’accesso in ospedale. L’incidenza delle PN è tra 0,5-5% dei pz ospedalizzati e
costituiscono la terza infezione più frequente in ospedale dopo infezione urinaria e
chirurgica. L’eziologia è riconosce prevalentemente forme legate a G-, batteri resistenti e
anaerobi. I meccanismi patogenetici comprendono:
-
compromissione dei fattori di difersa polmonari
-
colonizzazione batterica sono legati ad una abnorme colonizzazione: oro-faringea:
(placca dentale, sinusite, mucosa nasale) gastrica (acloridia, alcalinizzazione succo
gastrico) e polmonare;
-
aspirazione di secrezioni respiratorie con specie batteriche potenzialmente patogene
e alla successive aspirazione del materiale da tali distretti nelle vie aeree inferiori
dove si può sviluppare una infezione parenchimale. Le PN si verificano soprattutto in
pz con compromissione delle difese sistemiche e locali (meccaniche, cellulari e
umorali).
La provenienza della flora batterica è varia: trasmissione oro-fecale (flora endogena del pz),
trasmissione da parte del personale ospedaliero o dell’ambiente ospedaliero, via inalatoria
(aeresosol o contaminazione di strumentazione respiratoria), aspirazione di materiale
gastrico nei pz allettati con compromissione del sensorio.
Dal punto di vista clinico l’esordio dei sintomi si presenta da almeno 48 – 72 h o più prima
del ricovero o dopo dimissione. Elementi anamnestici importanti sono il recente intervento
chirurgico; VM; utilizzo areosol e/o protesi ventilatorie etc. Quadri tipici delle PN
comprendono
tosse,
febbre,
escreato
purulento,
leucocitosi
(>12’000G.B),
nuovo/i
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addensamento/i polmonare/i (es. clinico, Xgrafia torace). La diagnosi si basa su elementi
di sospettabilità clinica, rx torace, emocultura. La diagnosi di certezza si ottiene mediante
BAL, sierologia, ago aspirato e biopsia.
Nelle PN sono molto importanti le misure di prevenzione:
-
convincere il paziente a smettere di fumare
-
restare molta attenzione all’igiene personale e all’attrezzatura utilizzata
-
attenzione alle manovre invasive a livello delle vie aeree ( es. broncoscopia).
-
attenzione alla terapia antibiotica.
c) Polmonite nei pz immunodepressi: fenomeno rilevante e problematico per l’aumento
dell’uso di farmaci immunosoppressivi e per l’aumento dell’incidenza di AIDS. Le infezioni
polmonari nell’AIDS coinvolgono prevalentemente i patogeni P.Carinii, CMV, Candida,
Pneumococco e H. Influenzae. L’Aspergillus fumigatus è responsabile di polmoniti fungine e
di quello che viene chiamato megamicetomo che è una raccolta fungina all’interno di cavità
polmonari, spesso si tratta di vecchie caverne tubercolari.
d) Polmonite ricorrente: polmoniti che si ripetono più volte in uno stesso pz e che
colpiscono una stessa sede sono causate da una lunga lista di fattori tra cui corpi estranei,
adenomi, carcinomi, broncopneumopatie locali, compressione da parte di linfonodi,
carnificazioni polmonari cioè un esito in carnificazione di un focolaio di polmonite che non
si è risolta ma che è andata in carnificazione e si può superinfettare, bronchiectasie, etc.
e)
Polmonite
a
caratterizzazione
geografica:
si
verificano
preferenzialmente
in
determinate aree, ma è importante conoscerle dato l’elevato tasso di immigrazione e
l’attuale facilità degli spostamenti da un paese all’altro.
4) Classificazione etiologica
-
Batteri
-
Virus
-
Miceti
-
Protozoi
La classificazione anatomo-patologica presenta una buona correlazione con l’eziologia
Principali agenti infettanti e parassitari dell’apparato respiratorio:
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Batterici
Gram+ e Gram-
Batteri atipici o non batterici
Batteri: Mycoplasma pneumoniae Chlamydia
(polmonite interstiziale)
Virus: VRS, virus influenzale A e B, adenovirus, CMV,
Miceti:
Aspergillus,
Candida,
Hystoplasma,
Criptococcus, Mucorales
Protozoi: Pneumocystiis carinii
Come si vede dalla tabella ai microrganismi classicamente causa di polmonite bisogna
aggiungere Legionella e Chlamydia pneumoniae, che costituiscono due infezioni emergenti,
e microrganismi già noti ma che hanno assunto un altro significato (es. da commensali a
patogeni opportunisti) come Maraxella catharralis, Pneumocystis carinii, Micobatteri
atipici, CMV, Toxoplasma gondii.
Inoltre bisogna tener presente i batteri con aumentata resistenza agli antibiotici: S. aureus,
Haemophilus, Streptococcus pneumoniae, Pseudomonas,etc…
Polmoniti specifiche
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-
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Polmonite pneumococcica: causata da Streptococcus pneumoniae. Rappresenta il
50-60% di tutte le polmoniti acquisite in comunità ed è quindi la più diffusa di tutte
le forme batteriche anche se oggi, grazie alla terapia antibiotica, si osserva molto
raramente il quadro classico della “polmonite lobare franca”. E’ disponibile un
vaccino, consigliabile soprattutto per i gruppi più a rischio.
-
Polmonite stafilococcica: è la più importante delle polmoniti nosocomiali. E’
causata da S. Aureus per cui bisogna tenere conto del problema della resistenza agli
antibiotici. Tra le polmoniti nosocomiali è quella gravata dalla più alta mortalità.
-
Polmonite da Streptococcus Pyogenes: è una forma sporadica.
-
Polmoniti da enterobacteriaceae (G-): polmoniti peculiari dell’ambito ospedaliero.
In generale tutte le polmoniti causate da anaerobi sono dovute al passaggio nelle vie
aeree inferiori di batteri provenienti dall’orletto gengivale di pz con scarsa igiene
orale. Un’altra causa è la polmonite ab ingestis.
-
Polmonite
da
Mycoplasma
e
da
Chlamydia:
diffusa
tra
i
pz
giovani
immunocompetenti ed è caratterizzata da una sintomatologia poliviscerale con
manifestazioni extratoraciche (ematologiche, dermatologiche, gastroenteriche..). Lo
stesso dicasi per le polmoniti causate da Chlamydia, che si è dimostrata essere
causa di pneumopatie croniche e riacutizzazioni ed in alcuni casi forse anche di
asma
bronchiale
(probabilmente
incrementando
la
broncocostrizione
come
meccanismo riflesso alla necrosi epiteliale che essa induce).
-
Polmonite da Legionella: frequente nei soggetti immunocompromessi in ambiente
ospedaliero. Il microrganismo vive nelle acque stagnanti, per cui
il rischio di
contrarre
con
l’infezione
era
legato
alla
presenza
di
condizionatori
scarsa
manutenzione.
-
Polmoniti da patogeni non batterici: le polmoniti da miceti si dividono in micosi
cosmopolite (da Aspergillus, da Candida, da Criptococcus) e in micosi extraeuropee
meno note da noi.
-
Polmoniti parassitarie: sono causate da una varietà di protozoi e metazoi.
Clinica
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Esistono alcuni dati che ci orientano verso l’eziologia batterica
-
coesistenza di condizioni predisponenti (etilismo, pneumopatie croniche, diabete...)
-
esordio improvviso e rapido con brivido e febbre elevata
-
quadro semeiologico tipico
-
interessamento pleurico e difficoltà respiratoria. L’interessamento di uno o più lobi
del polmone può portare a un coinvolgimento della pleura (pleuropolmonite, PP).
Questo è importante perché soprattutto nei casi di PP senza versamento, ma con
accumulo di fibrina, si ha dolore toracico. Questo dolore molto spesso si accentua
con gli atti del respiro per il fatto che la fibrina accumulatasi tra i due foglietti
pleurici provoca lo sfregamento dei foglietti stessi. Da tenere presente che la
scomparsa del dolore non è necessariamente indice di miglioramento; se infatti dalla
PP senza versamento si ha un peggioramento verso la PP con versamento, il dolore
toracico può addirittura scomparire per il fatto che l’essudato infiammatorio
accumulatosi tra i due foglietti pleurici li distanzia in modo tale che non ci sia più
sfregamento. Quindi non più dolore, ma aumento della difficoltà respiratoria;
-
espettorazione abbondante: sono forme in cui c’è un essudato endoalveoalre
-
leucociti nel sangue periferico >15000/mm3 (specie neutrofili);
-
presenza di manifestazioni di attivazione dell’Herpes Simplex (es. a livello labiale);
-
RX torace: addensamenti omogenei unici e/o multipli.
I dati che orientano invece verso un’eziologia non batterica (prevalentemente interstiziali)
cioè di un quadro “simil-influenzale”:
-
esordio meno rapido ed improvviso
-
presenza di marcata cefalea, astenia e/o mialgie;
-
mucosite delle prime vie aeree;
-
tosse non produttiva (stizzosa) e dolenzia retrosternale simile a quella della
tracheite;
-
leucociti nel sangue periferico < 15000/mm3 (no leucocitosi)
-
sproporzione tra il reperto semeiologico modesto e il quadro radiologico
-
RX torace: addensamento disomogeneo;
-
sintomatologia poliviscerale: nelle polmoniti lobari, salvo il caso di metastatizzazioni
batteriche, i sintomi sono invece localizzati ematologica (anemie emolitiche),
dermatologica (Stevens-Johnson), gastroenterica: (es. epatite), cardiaca (pericarditi,
miocarditi).
Da tenere presente che nel corso degli anni l’eziologia delle polmoniti è cambiata
progressivamente:
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-
agenti batterici prima non identificati: Legionella, Chlamidia Pneumonite;
-
agenti batterici già noti, ma con altro significato: Moraxella Catarrhalis che da
semplice commensale del cavo orofaringeo è diventato patogeno (soprattutto
polmonite nell’anziano) ; Pneumocistis carinii, CMV, Micobatteri atipici (diversi da
quelli tubercolare e patogeni soprattutto negli immunodepressi. E’ importante
distinguerli da quelli tubercolari perché non rispondono al trattamento anti-TBC) e
Toxoplasma Gondii.
-
agenti batterici con aumentata resistenza agli AB. Sono molto pericolosi.
Diagnosi
Nella diagnosi delle polmoniti i reperti semeiologici variano a seconda delle fasi. Nella
polmonite batterica si distinguono tre classiche fasi:
-
si apprezzano inizialmente i crepitii (crepitatio indux) dovuti al progressivo
riempimento degli alveoli da parte dell’essudato infiammatorio;
-
successivamente scomparsa del murmure vescicolare (fase di epatizzazione),
presenza del soffio bronchiale se i bronchi sono pervi, ottusità alla percussione ed
aumento del FVT;
-
infine di nuovo crepitii (segno della fase di risoluzione o crepitatio redux) dovuti alla
compresenza di aria ed essudato.
Nella polmonite interstiziale si apprezzano semplicemente fini crepitii. Nell’ambito delle
polmoniti è molto importante l’anamnesi per verificare la necessità di una terapia empirica.
È necessario considerare attentamente la storia familiare, storia di viaggi, contatti
inconsueti, recente ospedalizzazione, omosessualità, forme di dipendenza e gli emofilici (per
la necessità di sangue possono incorrere in infezioni come epatite C e AIDS).
Esame obiettivo della polmonite batterica
-
Palpazione: FVT (fremito vocale tattile) aumentato per l'epatizzazione. Anziché esserci
tessuto e aria c’è un tessuto molto compatto per cui la trasmissione delle vibrazioni
provenienti dalle corde vocali si apprezza meglio.
-
Percussione: suono plessico ipofonetico fino a una franca ottusità (suono di coscia).
Escursione respiratoria ridotta o assente sempre a causa della epatizzazione.
-
Ascoltazione: reperto variabile a seconda dello stadio e delle caratteristiche del
focolaio; rantoli a piccole bolle e crepitanti (nelle aree di ipofonesi) possono essere
presenti nelle fasi iniziali, quando l’essudato comincia e riversarsi negli alveoli;
dopodiché questi rumori possono scomparire e può essere apprezzabile quello che
definiamo soffio bronchiale dovuto alla trasmissione del suono attraverso una
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superficie compatta quale è quella del polmone epatizzato. E’ chiaro che per avere
questo reperto ascoltatorio è necessario che il bronco sia pervio. Quando poi si
risolve l’epatizzazione e le secrezioni cominciano ad essere eliminate ricompaiono i
rumori crepitanti (crepitatio redux).
-
Indici di laboratorio: c’è leucocitosi neutrofila e c’è una VES elevata
-
Quadro radiologico: area più o meno estesa di minor trasparenza (opacità) o
compatta o disomogenea ma di tipo lobare. Ci possono essere chiazze di opacità
diffuse (broncopolmonite) e possibili segni di pleurite.
Esame obiettivo della polmonite interstiziale
-
Interessamento delle più
fini terminazioni bronchiali e infiltrati nel tessuto
interstiziale.
-
Mancanza di segni fisici particolari
-
Ci possono essere crepitii
-
Non ci sono indici di infezione: formula leucocitaria e VES sono normali
Quadri radiologici
-
polmonite lobare: addensamento lobare compatto (è visibile la delimitazione
scissurale);
-
broncopolmoniti: addensamenti a chiazze;
-
polmonite interstiziale: addensamenti vari, soprattutto ai lobi inferiori, con aspetto a
vetro smerigliato.
Esami di laboratorio
-
esame dell’espettorato: non sempre diagnostico. Le procedure di raccolta devono
tendere a minimizzare il rischio di contaminazione (esame molto complesso)
-
emocolture ed esami sierologici: la sierologia consente di individuare virus,
Legionella, Mycoplasma, Chlamydia ma solo dopo alcune settimane quando è già
stata intrapresa la terapia;
-
scintigrafia con Gallio in casi particolari come per esempio il sospetto di polmonite
da Pneumocystiis carnii;
-
broncoscopia.
Esami invasivi
-
Broncoscopia con biopsia polmonare
-
Lavaggio broncoalveolare
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In corso di broncoscopia è possibile eseguire una biopsia polmonare per avere maggiori
informazioni ed evidenziare la presenza di patogeni nel parenchima.
Il broncolavaggio consiste nell’introdurre e poi riaspirare dai bronchi del liquido fisiologico
a temperatura corporea.
Indici di gravità clinica
-
frequenza respiratoria >35 atti/minuto
-
insufficienza respiratoria ipossiemica PaO2 < 65 mmHg
-
necessità di supporto ventilatorio
-
infiltrati multi lobari
-
setticemia;
-
multi organ failure.
Complicanze delle polmoniti
-
pleurite (soprattutto quando la causa è batterica) con eventuale evoluzione in
empiema specie se sono implicati i G-. Si presente nel 20% delle polmoniti batteriche
caratterizzate da un aumento della permeabilità del microcircolo pleurico e
polmonare; in particolare si deve temere l’empiema pleurico.
-
ascessualizzazione della polmonite: rappresenta uno dei possibili esiti di una
polmonite batterica che sono: risoluzione con formazione di una cicatrice, oppure
una superinfezione con appunto l’ascessualizzazione.
-
Acute Respiratory Distress Sindrome (ARDS) o sindrome da distress respiratorio: si
presenta come un edema polmonare non cardiogeno conseguente al danno del
microcircolo. E’ una complicanza molto grave.
-
MOF o Insufficienza multi organo: molto grave in corso di ARDS, più freqeunte nelle
forme da G-.
Terapia
a) Forme virali
-
solo sintomatica
-
uso di antibiotici giustificato in soggetti ad alto rischio di superinfezioni batteriche
(primissima infanzia, BPCO, cardiopatie, immunodeficit)
b) Forme batteriche
-
terapia
antibiotica
empirica
in
base
ai
dati
clinici
ed
epidemiologici
(amoxicillina/clavulonato, ampicillina/sulbactam o cefalosporina o fluorochiniloni)
-
terapia antibiotica eziologica
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La terapia antibiotica deve essere preferibilmente impostata sull’identificazione del germe
(antibiogramma) specie per i G-. In alternativa ci si basa sul criterio clinico-epidemiologico.
È importante verificare clinicamente e radiologicamente l’efficacia della terapia (focolai non
facilmente raggiungibili, scarsa reattività, resistenza) e utilizzare posologia a dosi piene
(controllo funzionalità epatica e renale). È necessario continuare la terapia per 5-10gg
anche dopo la remissione clinico-radiologica. La terapia di supporto si basa su riposo a
letto, fluidificazione, idratazione (ossigenoterapia e ventilazione nelle forme più gravi).
VERSAMENTO PLEURICO
Generalità
Per versamento pleurico si intende la presenza massiva di liquido nello spazio pleurico,
spazio virtuale compreso tra pleura parietale e viscerale.
La pleura si divide in:
a) parietale:
o presenza di fibre nervose dolorifiche nello strato connettivo;
o vascolarizzazione fornita dal circolo sistemico;
b) viscerale:
o assenza di fibre nervose;
o vascolarizzazione fornita dal circolo polmonare.
In condizioni fisiologiche il cavo pleurico contiene solo 10-15 ml di liquido con funzione
lubrificante con bassa concentrazione proteica. Normalmente il liquido giunge allo spazio
pleurico dai capillari e viene rimosso dai linfatici. Il liquido pleurico è un liquido
interstiziale e come tale rispetta la legge di Starling. La causa principale di versamento
infatti è data dallo squilibrio delle forze di Starling: dati due spazi lo spazio con maggiore
pressione spinge il liquido verso lo spazio con minore P idrostatica, al contrario per la P
oncotica.
Eziologia
Il versamento pleurico può formarsi per uno squlibrio delle forze di Starling per:
-
aumento pressione idrostatica capillare (scompenso cardiaco congestizio)
-
diminuzione della pressione oncotica plasmatica
-
traumi
-
processi flogistici
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-
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tumori.
Tipi di versamento
Si distinguono due tipologie di versamenti:
-
trasudato: si forma a causa delle forze di Staring senza alterazione permeabilità
capillare. Ci sono poche proteine
-
essudato: aumento permeabilità dei capillari e alterazioni del drenaggio linfatico. Ci
sono molte proteine.
Rapporto tra concentrazione proteica
totale nel liquido pleurico e nel siero
Rapporto tra concentrazione di LDH nel
liquido pleurico e nel siero
Concentrazione di LDH nel liquido
pleurico
Trasudato
Essudato
< 0,5
> 0,5
< 0,6
> 0,6
< 200 UI
> 200 UI
Cause di trasudato pleurico
-
insufficienza cardiaca congestizia in più del 90% dei casi;
-
sindrome nefrosica;
-
sindrome di Heigs (caratterizzata dalla triade trasudato pleurico + ascite + tumore
ovarico benigno);
-
cirrosi epatica;
-
di natura iatrogena: si ha quando nel drenare un PNX l’espansione avviene in maniera
troppo rapida.
Cause di essudato pleurico
-
polmonite (si parla allora di pneumo-polmonite);
-
neoplasia polmonare;
-
embolia polmonare (queste prime tre cause rappresentano l’80% del totale)
-
malattie dell’addome: perforazione esofagea, ascesso subfrenico, ascesso intraepatico,
chirurgia addominale, malattia pancreatica;
-
TBC;
-
trauma;
-
malattie del collagene: raramente, perché esse sono più spesso responsabili di
interstiziopatie;
-
sindrome di Drenler: si verifica in paziente di recente sottoposto a intervento
cardiochirurgico ed è caratterizzata dalla comparsa di febbre e pleuro-pericardite.
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Clinica
I sintomi dipendono da due elementi principali: entità del versamento e velocità di
formazione.
Un versamento pleurico raramente è asintomatico. La sintomatologia tipicamente
comprende:
-
dolore da irritazione della pleura parietale che diminuisce con l’incremento del volume
del versamento perché si riduce lo sfregamento tra le due pleure. Il dolore è esacerbato
dalla tosse e dagli atti respiratori;
-
dispnea: prima da sforzo, poi a riposo;
-
febbre.
All’EO è possibile apprezzare segni solo se il volume del liquido è superiore ai 300 ml: con:
-
ipomobilità della base omolaterale
-
ottusità alla percussione;
-
FVT aumentato;
-
MV ridotto o assente a seconda della quantità di liquido interposto;
-
soffio bronchiale.
Diagnosi
I sintomi e l’E/O possono essere suggestivi. Gli esami strumentali ai quali si fa ricorso
comprendono:
-
rx torace: a seconda della gravità del versamento si va dal riscontro di aree di opacità
di densità omogenea all’opacamento dell’intero emitorace. L’RX mostra l’obliterazione
del seno costo-frenico quando il volume è superiore ai 200 ml. In decubito laterale si
ha movimento del liquido
-
è possibile il riscontro di versamento saccato specie in polmoni con precedenti
interventi chirurgici o episodi infettivi che hanno determinato la formazione di aderenze
-
ecografie: si fa a completamento, soprattutto per eseguire la toracentesi in modo
preciso può essere utile un ecografia;
-
TAC: è utile soprattutto nelle forme recidivanti per vedere cosa ci sia alla base di un
versamento (leggi cancro);
-
toracoscopia videoassistita e toracotomia: si utilizzano in caso non si riesca ad arrivare
ad una diagnosi senza istologia.
Esame del liquido ottenuto per toracentesi
a) Esame macroscopico:
-
colore chiaro: trasudato;
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-
torbido: essudato;
-
torbido e vischioso: empiema;
-
lattescente: versamento chiloso;
-
rosso-brunastro: versamento emorragico (campanello d’allarme perché nella grande
maggioranza dei casi è sostenuto da una neoplasia, primitiva ma anche metastatica
come per esempio da carcinoma della mammella. Cause più rare sono la TBC ed i
traumi);
-
Esame chimico-fisico: criteri già visti;
-
Esame batteriologico;
-
Esame citologico: una linfocitosi è suggestiva di TBC.
Terapia
-
toracentesi: a meno che non si tratti di una quantità minima che possa essere
riassorbita. Se i versamenti sono recidivanti è possibile porre un drenaggio
permanente;
-
trattamento della malattia causale.
FIBROSI CISTICA
Generalità
La fibrosi cistica (chiamata anche mucoviscidosi) è una patologia genetica autosomica
recessiva, che si manifesta quindi pienamente soltanto negli omozigoti e con nessuna
sintomatologia clinica negli eterozigoti. La FC è causata da una mutazione del gene CFTR
(cystic fibrosis transmembrane conductance regulator) che codifica per una proteina di
1480 aminoacidi situata sulla membrana cellulare delle cellule epiteliali, la cui funzione,
normalmente, è quella di trasportare il Cl- e il Na+ (e conseguentemente l'H2O) attraverso
le membrane cellulari a livello della membrana apicale delle cellule epiteliali delle vie aeree,
del pancreas, dell'intestino, delle ghiandole sudoripare e dei vasi deferenti. La mutazione
causa quindi uno squilibrio ionico a cui consegue un'alterazione della secrezione da parte
delle cellule epiteliali di ioni Cl- e un conseguente maggior riassorbimento di Na+ e H2O. Di
conseguenza queste ghiandole secernono un muco denso e vischioso e quindi poco
scorrevole. Negli organi interessati, le secrezioni mucose, essendo anormalmente viscide,
determinano un'ostruzione dei dotti principali, provocando l'insorgenza di gran parte delle
manifestazioni cliniche tipiche della malattia, come la comparsa di infezioni polmonari
ricorrenti, di insufficienza pancreatica, di steatorrea, di stati di malnutrizione, di cirrosi
epatica, di ostruzione intestinale e di infertilità maschile.
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Epidemiologia
La FC è la più frequente malattia ereditaria a esito letale nella popolazione bianca, si
verifica in circa 1/3300 nati vivi di razza bianca, 1/15300 di razza nera e 1/32000 di razza
asiatico-americana; il 30% dei pazienti è costituito da adulti.
Circa il 3% della popolazione bianca è portatore del gene della FC, che si trasmette con
modalità autosomica recessiva. Il gene responsabile è stato localizzato a livello di 250000
paia di basi del DNA genomico sul braccio lungo del cromosoma 7. Esso codifica come
detto per una proteina associata alla membrana detta proteina regolatrice transmembrana
della fibrosi cistica (CFTR). La mutazione genetica più comune, DF508, determina l'assenza
di un residuo fenilalaninico nella posizione 508 della proteina CFTR e si riscontra in circa il
70% degli alleli della FC; più di 600 mutazioni meno frequenti danno luogo al rimanente
30%. Sebbene la funzione precisa della CFTR sia sconosciuta, essa sembra far parte di un
canale del cloro AMPc-dipendente e sembra che regoli il trasporto di Cl e Na attraverso le
membrane epiteliali. Gli eterozigoti possono mostrare lievi anomalie del trasporto epiteliale
ma sono asintomatici.
Le persone affette da assenza congenita bilaterale dei dotti deferenti o da altre cause di
azoospermia ostruttiva presentano una frequenza aumentata di mutazioni in uno o
entrambi i geni CFTR oppure una mutazione a penetranza incompleta (5T) in una regione
non codificante della CFTR. Queste persone generalmente non manifestano alcun disturbo
respiratorio o pancreatico e possono avere nel sudore concentrazioni di Cl normali, al limite
o elevate.
Patogenesi e anatomia patologica
Quasi tutte le ghiandole esocrine sono interessate in modo più o meno grave. Le ghiandole
coinvolte sono di 3 tipi:
-
quelle che vengono progressivamente ostruite da materiale eosinofilo vischioso o solido
presente nel lume (pancreas, ghiandole intestinali, dotti biliari intraepatici, colecisti,
ghiandole sottomascellari);
-
quelle che hanno un'istologia anomala e producono secrezioni in eccesso (ghiandole
tracheobronchiali e di Brunner);
-
quelle che sono istologicamente normali ma secernono in eccesso Na e Cl (ghiandole
sudoripare, parotidee e salivari minori).
Le secrezioni duodenali sono vischiose e contengono un mucopolisaccaride anomalo.
L'infertilità si verifica nel 98% dei soggetti adulti di sesso maschile per alterato sviluppo dei
dotti deferenti o per altre forme di azoospermia ostruttiva. Alcune donne affette non sono in
grado di concepire a causa della viscosità delle secrezioni cervicali, ma molte altre riescono
a portare la gravidanza a termine. Comunque, l'incidenza di complicanze in gravidanza è
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aumentata. È stato dimostrato che i polmoni sono istologicamente normali alla nascita. Il
danno polmonare inizia probabilmente con una ostruzione diffusa nelle vie aeree di piccolo
calibro a causa delle secrezioni mucose abnormemente spesse. L'ostruzione e l'infezione
delle
vie
aeree
mucopurulente
determinano
occludenti.
Le
episodi
di
alterazioni
bronchiolite
e
formazione
bronchiali
sono
più
di
comuni
secrezioni
di
quelle
parenchimali. L'enfisema non è rilevante. Data l'evoluzione della lesione polmonare, le
pareti bronchiali s'ispessiscono, le vie aeree si riempiono di secrezioni viscose e purulente,
si formano aree atelettasiche e i linfonodi ilari si ingrandiscono. L'ipossiemia cronica
determina ipertrofia muscolare delle arterie polmonari, ipertensione polmonare e ipertrofia
del
ventricolo
destro.
Molte
delle
lesioni
polmonari
possono
essere
provocate
dall'infiammazione immunomediata conseguente al rilascio di proteasi da parte dei
neutrofili nelle vie aeree. Il liquido di lavaggio broncoalveolare, anche nelle prime epoche di
vita, contiene un numero abbondante di neutrofili e concentrazioni aumentate di elastasi
neutrofila libera, DNA e IL-8.
Negli stadi precoci della malattia, lo Staphylococcus aureus è l'agente patogeno più
frequentemente isolato nel tratto respiratorio, ma, con il progredire della malattia, lo
diventa lo Pseudomonas aeruginosa. Una variante mucoide dello Pseudomonas si trova
unicamente nella fibrosi cistica. La colonizzazione da parte della Burkholderia cepacia
interessa fino al 7% dei pazienti adulti e può essere associata a un rapido deterioramento
polmonare.
Clinica
L'ileo da meconio, causato dall'ostruzione dell'ileo da parte di meconio viscoso, è la
manifestazione più precoce ed è presente nel 15-20% dei neonati affetti. Spesso è associato
a volvolo, perforazione o atresia e, con rare eccezioni, è sempre seguito dagli altri segni di
FC. La FC può anche essere associata a ritardata emissione neonatale di meconio e alla
sindrome del tappo di meconio, una forma transitoria di ostruzione dell'intestino terminale
secondaria alla presenza di uno o più tappi di meconio ispessito al livello dell'ano o del
colon.
Nei neonati senza ileo da meconio, l'esordio della malattia si ha frequentemente con un
tardivo recupero del peso della nascita e un aumento ponderale inadeguato a 4-6 sett. di
vita. I lattanti con FC, se allattati con latte di soia o con latte materno, possono presentare
ipoproteinemia con edemi e anemia secondari a malassorbimento di proteine.
Il 50% dei pazienti si presenta con sintomi respiratori, di solito tosse cronica e respiro
sibilante insieme a infezioni polmonari ricorrenti o croniche. La tosse è il sintomo più
molesto, spesso accompagnata da espettorato, conati di vomito, vomito e disturbi del
sonno. Con il progredire della malattia, compaiono rientramenti intercostali, uso dei
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muscoli respiratori accessori, torace a botte, dita a bacchetta di tamburo e cianosi.
L'interessamento delle vie respiratorie superiori determina poliposi nasale e sinusite
cronica o ricorrente. Gli adolescenti possono presentare ritardo di crescita, pubertà
ritardata e ridotta tolleranza all'esercizio fisico. Le complicanze polmonari negli adolescenti
e negli adulti sono: pneumotorace, emottisi e insufficienza cardiaca destra secondaria a
ipertensione polmonare.
L'insufficienza pancreatica si evidenzia clinicamente nell'85-90% dei pazienti, si manifesta
in genere precocemente e può essere progressiva. I sintomi sono rappresentati da frequenti
scariche di feci abbondanti, maleodoranti e untuose, da addome voluminoso e da ridotto
accrescimento con tessuto sottocutaneo e massa muscolare poco rappresentati, nonostante
un appetito normale o vorace. Il prolasso rettale si verifica nel 20% dei lattanti e dei
bambini non trattati. Vi possono essere manifestazioni cliniche dovute a carenza di
vitamine liposolubili.
L'eccessiva sudorazione durante un periodo caldo o per febbre può causare episodi di
disidratazione ipotonica e insufficienza circolatoria. Nei climi secchi i lattanti possono
andare incontro ad alcalosi metabolica cronica. La formazione di cristalli di sale e il sapore
salato sulla pelle sono molto suggestivi di FC.
Nel 10% dei pazienti adulti si verifica un diabete insulino-dipendente e nel 4-5% degli
adolescenti e adulti si ha una cirrosi biliare multilobulare con varici e ipertensione portale.
La presenza di dolore addominale cronico e/o ricorrente può essere correlata a
invaginazione, ulcera peptica, ascesso periappendicolare, pancreatite, reflusso gastroesofageo, esofagite, patologia colecistica o a episodi di parziale ostruzione intestinale
secondaria a feci abnormemente viscose.
Alcune complicanze infiammatorie possono essere la vasculite e l'artrite.
Diagnosi
La diagnosi è suggerita dai suoi tipici segni clinici e di laboratorio e confermata dal test del
sudore2. In un paziente che presenta uno o più elementi clinici indicativi di FC o ha un
2 Test del sudore: la diagnosi è confermata da un valore elevato della concentrazione di Cl nel sudore. L'unico
test del sudore attendibile è il test quantitativo ottenuto mediante ionoforesi pilocarpinica: si stimola
farmacologicamente la parte prescelta, si misura la quantità di sudore e la sua concentrazione di Cl. Nei
pazienti con quadro clinico sospetto o con anamnesi familiare positiva, una concentrazione di Cl > 60 mEq/l
conferma la diagnosi; è verosimile che meno di 1:1000 pazienti con FC presenta una concentrazione di Cl nel
sudore < 50 mEq/l. Risultati falsamente negativi sono rari ma si possono avere in presenza di edemi o
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fratello con FC, la diagnosi può anche essere confermata dalla identificazione di due
mutazioni note della FC. L'analisi delle mutazioni può essere usata per la diagnosi
prenatale e per identificare i portatori nelle famiglie di un bambino affetto. L'analisi delle
mutazioni può essere ugualmente utilizzata per l'identificazione dei portatori nella
popolazione generale, ma non è ancora raccomandata per uno screening di massa. La
diagnosi è di solito confermata nella prima o seconda infanzia, ma il 10% dei pazienti
sfugge alla diagnosi fino all'adolescenza o all'inizio dell'età adulta.
L'insufficienza
abnormemente
pancreatica
viscose,
si
con
manifesta
assenza
o
con
la
presenza
riduzione
di
secrezioni
dell'attività
duodenali
enzimatica
e
una
concentrazione diminuita di HCO3- ; la tripsina e la chimotripsina sono assenti o ridotte
nelle feci. I test di assorbimento dei grassi, inclusa l'escrezione dei grassi nelle feci di 72h,
mostrano indirettamente il quadro della funzionalità esocrina del pancreas. I pazienti con
funzione pancreatica esocrina normale non rispondono allo stimolo della secretina EV con
la produzione di HCO3-. Circa il 40% dei pazienti più grandi presenta una curva glicemica
di tipo diabetico per insufficiente o tardiva risposta all'insulina, ma solo il 10% sviluppa un
diabete mellito connesso alla FC. Nei pazienti con steatorrea si trova a digiuno una
diminuzione dei livelli ematici di carotenoidi, vitamina A ed E, acidi grassi essenziali e
colesterolo. Le proteine sieriche totali sono inizialmente normali, ma con il progredire della
malattia si verifica la riduzione dell'albumina e l'aumento delle a1-, a2-e g-globuline.
Nei neonati con FC, la concentrazione sierica della tripsina immunoreattiva è elevata. La
misurazione di questo enzima, associata al test del sudore e all'analisi della mutazione,
costituisce la base dei programmi di screening neonatale per la FC in molte parti del
mondo.
I segni radiologici polmonari possono essere d'aiuto nella diagnosi. L'iperespansione
toracica e l'ispessimento della parete bronchiale sono i segni più precoci. Successivamente
sono visibili infiltrati, aree di atelettasia e adenopatia ilare. Con il progredire della malattia
si verificano atelettasie segmentarie o lobari, formazione di cisti, bronchiettasie, aumento di
volume dell'arteria polmonare e del ventricolo destro. Sono caratteristiche le opacità
ipoprotidemia o per la raccolta di una quantità di sudore inadeguata. Risultati falsamente positivi sono da
attribuire
in
genere
dellaconcentrazione
a
di
errori
Cl
tecnici
nel
o
sudore
all'uso
può
di
metodi
essere
non
adeguati.
associato
a
Un
aumento
situazioni
di
transitorio
deprivazione
ambientalemaltrattamento, trascuratezza) e si può verificare in pazienti affetti da anoressia nervosa. Sebbene i
risultati siano già attendibili dopo le prime 24 ore di vita, può essere difficile ottenere un'adeguata quantità di
sudore (> 75 mg su carta da filtro o > 15 ml con capillare) prima di 3-4 sett. di vita. Benché la concentrazione di
Cl nel sudore di regola aumenti lievemente con l'età, il test è ancora valido negli adulti.
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ramificate, digitiformi, espressione di bronchi dilatati ostruiti da secrezioni mucoidi. In
quasi tutti i casi, le radiografie e le TC dei seni paranasali evidenziano una opacizzazione
persistente.
I test di funzionalità respiratoria mostrano ipossiemia e riduzione della capacità vitale
forzata (Forced Vitality Capacity, FVC), del volume espiratorio forzato in 1 secondo (Forced
Expiratory Volume in 1 second, FEV1) e del rapporto FEV1/ FVC e aumento del volume
residuo e del rapporto del volume residuo/capacità polmonare totale. Il 50% dei pazienti
manifesta una iperreattività delle vie aeree.
Una piccola percentuale di pazienti, definita come affetta da FC atipica, presenta bronchite
cronica da Pseudomonas, normale funzione pancreatica e concentrazioni di Cl nel sudore
normali o intermedie. I pazienti affetti da FC presentano un aumento delle differenze di
potenziale transepiteliale nasale secondario a un riassorbimento elevato di Na attraverso
l'epitelio, che è relativamente impermeabile al Cl. Questa osservazione può essere utile dal
punto di vista diagnostico quando i valori di Cl nel sudore sono al limite o normali e le due
mutazioni della FC non sono identificate.
Prognosi
Il decorso, ampiamente influenzato dal grado di interessamento polmonare, è molto
variabile. D'altra parte, il peggioramento è inevitabile, portando a debilitazione e infine alla
morte, dovuta di solito all'associazione di cuore polmonare e insufficienza respiratoria. La
prognosi è molto migliorata negli ultimi 5 decenni, specialmente per l'attuazione di una
terapia aggressiva prima dell'inizio dei danni polmonari irreversibili. La sopravvivenza
media è di 31 anni. Una più lunga sopravvivenza si osserva in modo significativo nei
pazienti senza insufficienza pancreatica. La colonizzazione precoce dello Pseudomonas
mucoide, il sesso femminile, l'esordio con sintomi respiratori e l'iperreattività delle vie aeree
sono associati a una prognosi talvolta peggiore. Il FEV1, adattato all'età e al sesso, è il
miglior indice predittivo della mortalità.
TUBERCOLOSI
Generalità
La TBC, è una patologia causata dal bacillo Mycobacterium Tuberculosis, o BK (Bacillo di
Koch), da Robert Koch che lo scoprì nel 1882. È una malattia che nella maggior parte dei
casi interessa i polmoni, ma qualsiasi organo può esserne colpito. Si tratta di una patologia
infettiva molto importante dal punto di vista sociale e persone di tutte le età, di tutte le
nazionalità, di ogni stato sociale possono contrarre la TBC. Alla fine del 1800 e nei primi
decenni del 1900 la TBC era la principale causa di morte in Europa e negli Stati Uniti. Il
miglioramento delle condizioni di vita e la scoperta dei farmaci antitubercolari hanno
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ridotto moltissimo la diffusione e la pericolosità della malattia nel mondo occidentale,
tuttavia più di 25000 persone si ammalano ogni anno di TBC negli USA. Ma il problema è
di dimensioni mondiali. Si calcolano oltre 2 miliardi di persone con infezione tubercolare,
otto milioni di nuovi casi all'anno con circa 3 milioni di morti soprattutto nei Paesi in via di
sviluppo dove il problema è drammatico per l'inadeguatezza delle cure, costose per molte
nazioni, e per l'associazione di questa malattia con l'AIDS.
Nonostante quindi sia una malattia prevenibile e curabile, la TBC costituisce oggi una delle
emergenze sanitarie più drammatiche, tanto da essere stata dichiarata emergenza globale
nel 1993 dall’Oms per l’enorme carico sanitario, economico e sociale che l’accompagna.
Epidemiologia
Un terzo della popolazione mondiale attuale è infettata dalla TBC, e nuove infezioni
avvengono alla velocità di una per secondo. Non tutte le persone infette sviluppano la
malattia completa; infezioni asintomatiche latenti sono molto comuni. Nonostante questo,
circa una su dieci diventerà malattia attiva, che, se non trattata, uccide più della metà
delle sue vittime.
Nel 2004 le statistiche di mortalità e morbosità mostravano 14,6 milioni di casi attivi, 8,9
milioni di casi nuovi e 1,6 milioni di morti, concentrati soprattutto nei paesi in via di
sviluppo. Inoltre, un sempre crescente numero di persone nei paesi sviluppati contraggono
la
tubercolosi
poiché
il
loro
sistema
immunitario
è
compromesso
da
sostanze
immunosoppressori, abuso di droga o HIV/AIDS.
L'aumento delle infezioni di HIV e la mancanza di programmi di controllo della TBC hanno
permesso la ricomparsa della tubercolosi. L'emergere di ceppi resistenti agli antibiotici ha a
sua volta contribuito a questa nuova epidemia, con il 20% dei casi di TBC resistenti ai
trattamenti standard e il 2% resistenti a farmaci di seconda linea. L'incidenza di TBC varia
notevolmente anche tra stati confinanti, apparentemente a causa delle differenze tra le
varie assistenze sanitarie. L’OMS ha dichiarato la TBC un'emergenza sanitaria globale nel
1993, e la Stop TB Partnership ha sviluppato un Piano mondiale di lotta alla Tubercolosi
che prevede di salvare 14 milioni di vite tra il 2006 e il 2015.
Eziologia e patogenesi
Agente eziologico principale della TBC è il Mycobacterium tuberculosis, batterio aerobiotico
che si divide ogni 16-20h, velocità estremamente lenta se si pensa che altri batteri
solitamente si dividono in meno di un'ora (uno dei più veloci batteri a replicarsi è un ceppo
del batterio Escherichia coli, che si divide circa ogni 20 min.) Poiché l'MTB ha una parete
cellulare, ma non una membrana esterna, viene classificato come un batterio Gram+.
Tuttavia, se viene applicata una colorazione di Gram, l'MTB risulta o Gram+ in modo
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estremamente debole, o non mantiene la colorazione, a causa dell'elevato contenuto di
lipidi e acido micolico della sua parete cellulare. L'MTB è un piccolo Bacillus a forma di
bastoncello, che può resistere a deboli disinfettanti e sopravvivere in uno stato disidratato
per settimane. In natura il batterio può crescere solo all'interno delle cellule di un
organismo ospite, ma l'M. tuberculosis può essere coltivato in vitro. Usando pigmenti
istologici su campioni di espettorato è possibile identificare l'MTB con un normale
microscopio (colorazione di Ziehl-Neelsen). Il complesso MTB include altri tre micobatteri
causa di tubercolosi: M. bovis, M. africanum e M. microti. I primi due causano la malattia
in persone immunocompetenti solo in casi rarissimi. Tuttavia, nonostante il M. microti non
sia normalmente patogenico, è possibile che la prevalenza di infezioni causate dall'M.
microti sia stata sottovalutata.
La trasmissione del bacillo non è facilissima. Devono ricorrere alcune condizioni essenziali:
-
l'ammalato deve essere affetto da TBC polmonare bacillifera detta anche "aperta" cioè
la parte malata deve essere comunicante con l'albero bronchiale e, quindi, con l'esterno
-
deve esserci una carica batterica molto elevata;
-
il paziente non deve essere in terapia;
-
vi deve essere un ricambio d'aria ambientale scarso o assente.
È molto improbabile quindi che si possa contrarre la TBC da una persona che tossisce
all'aria aperta, nella metropolitana o nel ristorante. La TBC inoltre non viene trasmessa da
indumenti, lenzuola, né da oggetti personali in genere. Le persone non possono essere
infettate dal bacillo attraverso la stretta di mano, sedendosi in una toilette, o facendo uso
di piatti e posate in comune con un malato di TBC. La TBC di altri organi, come reni o ossa
usualmente non è contagiosa.
Quando persone che soffrono di TBC polmonare attiva tossiscono, starnutiscono, parlano o
sputano, espellono goccioline di aerosol da 0.5 a 5 µm di diametro. Un singolo starnuto,
per esempio, può rilasciare fino a 40.000 particelle.
Persone con contatti prolungati, frequenti o intensi sono a particolare rischio di infezione,
con una percentuale del 22% circa di contagio. Una persona con tubercolosi attiva ma non
trattata può infettare 10-15 persone all'anno. Altri soggetti a rischio includono persone che
vivono in aree in cui la TBC è molto diffusa, persone che si iniettano sostanze utilizzando
aghi non disinfettati, residenti ed impiegati in luoghi di raduno ad alto rischio, pazienti
immunocompromessi da malattie come HIV e AIDS, persone che prendono farmaci
immunosoppressori e personale di assistenza sanitaria che trattano pazienti di questo tipo.
La trasmissione può avvenire solamente da persone con TBC attiva. La possibilità di
infezione tra due soggetti quindi dipende dal numero di particelle infette emesse dal
portatore, dall'efficacia del sistema di ventilazione, dalla durata di esposizione e dalla
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virulenza del ceppo di MTB. La catena di trasmissione può quindi essere interrotta isolando
pazienti con la malattia attiva e iniziando un'efficace cura anti-tubercolare. Dopo due
settimane di trattamento, le persone con tubercolosi attiva non resistente cessano di essere
contagiosi. Se qualcuno viene infettato, saranno necessari almeno 21gg o 3-4 settimane
prima che questo possa trasmettere la propria malattia agli altri. La TBC può essere
trasmessa anche dall'ingestione di carne o latte bovino se il bestiame è infetto da
tubercolosi. Il responsabile di questa infezione è il Mycobacterium bovis.
Circa il 90% delle persone infette dal Mycobacterium tuberculosis ha un'infezione TBC
asintomatica (chiamata anche LTBI, da latent tuberculsis infection), e solamente il 10% di
possibilità nella vita che un'infezione latente si sviluppi in TBC. Tuttavia, se non trattata, il
tasso di mortalità dei casi attivi di TBC e superiore al 50%.
L'infezione tubercolare inizia quando i micobatteri raggiungono gli alveoli polmonari, dove
attaccano e si replicano all'interno dei macrofagi alveolari. Il sito primario di infezione nei
polmoni è chiamato focolaio di Ghon. I batteri vengono raccolti dalle cellule dendritiche,
che non permettono la loro replicazione ma che possono trasportare i bacilli ai linfonodi
mediastinali locali. L'ulteriore diffusione attraverso il flusso sanguigno si dirige verso i
tessuti e gli organi più distanti, dove lesioni secondarie di TBC si possono sviluppare negli
apici polmonari, nei linfonodi periferici, nei reni, nel cervello e nelle ossa. Ogni parte del
corpo può essere influenzata dalla malattia, che tuttavia raramente colpisce il cuore, i
muscoli scheletrici, il pancreas e la tiroide.
La tubercolosi è classificata come una delle condizioni infiammatorie granulomatose.
Macrofagi, linfociti T, linfociti B e fibroblasti sono le cellule aggredite che formano il
granuloma, con i linfociti che circondano i macrofagi infetti. Il granuloma non solo
impedisce la diffusione dei micobatteri, ma fornisce un
ambiente locale per la
comunicazione delle cellule del sistema immunitario. Dentro al granuloma, i linfociti T
(CD4+) producono citochine come l'interferone gamma, che provoca la distruzione da parte
dei macrofagi dei batteri con cui sono infetti. I linfociti T (CD8+) possono anche uccidere
direttamente le cellule infette.
Significativamente, i batteri non vengono sempre eliminati all'interno del granuloma, ma
possono diventare dormienti, e svilupparsi in infezione latente. Un'altra caratteristica dei
granulomi della tubercolosi umana è lo sviluppo di necrosi caseosa, cioè della morte delle
cellule, al centro dei tubercoli (tubercolosi).
Se i batteri della TBC riescono ad accedere al flusso sanguigno da un'area di tessuto
danneggiato, si diffondono nell'organismo e creano molti focolai di infezione, tutti con
l'aspetto di piccoli tubercoli bianchi nei tessuti. Questa grave forma di tubercolosi è molto
diffusa nei bambini e negli anziani, ed è chiamata tubercolosi miliare. I pazienti con la TBC
disseminata hanno una mortalità del 20% circa, persino con un trattamento intensivo.
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In molti pazienti l'infezione cresce e diminuisce. La distruzione dei tessuti e la necrosi è
bilanciata dalla guarigione e dalla fibrosi. I tessuti affetti vengono rimpiazzati da cicatrici e
le cavità riempite di materiale necrotico bianco. Nella malattia attiva parte del materiale
necrotico si unisce all'aria passante per i bronchi, e questo viene tossito. Esso contiene
batteri attivi, e quindi può diffondere l'infezione. Un trattamento con antibiotici appropriati
uccide i batteri e permette la guarigione. Durante questa, le aree affette vengono
lentamente rimpiazzate da tessuto cicatriziale.
La progressione dall'infezione tubercolosa alla malattia avviene quando i bacilli della TBC
prevalgono sulle difese del sistema immunitario e iniziano a moltiplicarsi. Nella TBC
primaria (1-5% dei casi) questo avviene poco dopo l'infezione. Tuttavia, nella maggior parte
dei casi, si verifica un'infezione latente che non ha sintomi chiari. Questi batteri dormienti
possono produrre tubercolosi nel 2-23% dei casi latenti, spesso diversi anni dopo
l'infezione.
Il rischio di riattivazione aumenta con l'immunosoppressione, causata da
fattori come l'HIV. In pazienti infettati sia da M. tuberculosis che da HIV, il rischio di
riattivazione aumenta del 10% all'anno.
Clinica
Quando la malattia si attiva, il 75% dei casi interessa il polmone con una sintomatologia
che include dolori al torace, emottisi, e una tosse di durata maggiore di tre settimane.
Sintomi sistemici includono febbre, brividi, sudorazione notturna, perdita di appetito,
cachessia, pallore e una tendenza ad affaticarsi molto facilmente.
Nel restante 25% dei casi attivi, l'infezione si diffonde dai polmoni, causando altri tipi di
TBC, più comuni in persone immunosoppresse o giovani bambini. Infezioni extrapolmonari
includono la pleura, il snc nelle meningiti, il sistema linfatico nella scrofula del collo, il
sistema genito-urinario nella tubercolosi urogenitale, ed ossa e articolazioni nel morbo di
Pott della spina dorsale. Una forma estremamente grave è la TBC disseminata (tubercolosi
miliare). Nonostante la TBC extrapolmonare non sia contagiosa, essa può coesistere con la
TBC polmonare, che è contagiosa.
Diagnosi
La tubercolosi può essere una malattia difficile da diagnosticare, soprattutto a causa della
difficoltà di coltivare questo bacillo a lenta crescita in laboratorio (4-12 settimane in coltura
arricchita). Una completa valutazione medica della TBC deve comprendere anche la storia
medica del paziente, rx torace e un esame obiettivo. La radiologia della tubercolosi è
utilizzata nella diagnosi della TBC. Questa può includere test cutanei alla tubercolina, test
sierologici, strisci microbiologici e colture di batteri. L'interpretazione dei test cutanei alla
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tubercolina dipendono dai fattori di rischio della persona per l'infezione e la progressione
della TBC, come l'esposizione ad altri casi di TBC e l'immunosoppressione.
Attualmente l'infezione latente viene diagnosticata in una persona non immunizzata con il
test cutaneo, che provoca una reazione ritardata di tipo ipersensitivo ad un estratto di M.
tuberculosis. Gli immunizzati alla TBC o quelli con una infezione terminata in precedenza
risponderanno al test cutaneo con una ipersensività ritardata identica a coloro che hanno
attualmente l'infezione attiva, quindi il test deve essere utilizzato con cautela, specialmente
sulle persone provenienti da paesi dove l'immunizzazione alla TBC è diffusa. Nuovi test per
la TBC vengono sviluppati per offrire la speranza di test più economici, veloci e accurati.
Questi test utilizzano il rilevamento della reazione a catena della polimerasi di DNA
batterico e campioni di anticorpi per rilevare il rilascio di interferone gamma in risposta ai
micobatteri. Questi test non sono affetti dall'immunizzazione, e quindi generano meno falsi
positivi. Diagnosi sempre più rapide ed economiche sono particolarmente importanti nei
paesi in via di sviluppo, dove la possibilità di test costosi limita la diagnosi, e quindi la
possibile cura, ad un numero estremamente limitato di persone.
Altre condizioni che aumentano il rischio comprendono l'assunzione di droghe, in
particolare via e.v., una recente infezione di TBC o una storia medica di TBC
inadeguatamente trattata; diabete mellito; silicosi; terapie prolungate di corticosteroidi ed
altre terapie immunosoppressive; cancro alla testa e al collo; malattie ematologiche e
reticoloendoteliali come la leucemia e la morbo di Hodgkin; malattie terminali ai reni;
bypass intestinale o gastrectomia; sindromi da malassorbimento croniche; peso corporeo
ridotto.
Terapia
I due antibiotici maggiormente utilizzati sono la rifampicina e l'isoniazide. Al contrario delle
normali terapie antibiotiche, la TBC necessita di periodi molto più lunghi (dai 6 ai 12 mesi)
per eliminare completamente i micobatteri dall'organismo. Il trattamento per la TBC latente
utilizza solitamente un singolo antibiotico, mentre la TBC attiva viene curata in modo più
efficace con la combinazione di diversi antibiotici, per ridurre la possibilità che i batteri
sviluppino una resistenza agli antibiotici. Persone con infezioni latenti vengono curate per
prevenire la possibile evoluzione della TBC nella sua forma attiva. Tuttavia, il trattamento
utilizzante la Rifampina e la Pyrazinamide non è senza rischia a causa dell'alto numero di
ospedalizzazioni e decessi da danni al fegato associati con l'utilizzo combinato di questi due
farmaci.
La tubercolosi resistente ai farmaci si trasmette allo stesso modo della normale TBC. La
resistenza primaria avviene nelle persone che sono infette da un ceppo resistente di TBC.
Un paziente con TBC normale sviluppa una resistenza secondaria (o resistenza acquisita)
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durante la terapia contro la TBC a causa del trattamento inadeguato, del non
mantenimento delle cure prescritte o dell'utilizzo di medicine di bassa qualità. La TBC
resistente ai farmaci è un problema in molti paesi in via di sviluppo, poiché il trattamento è
più prolungato e richiede farmaci più costosi. La tubercolosi multi resistente (MDR-TB) è
definita come TBC resistente ai due medicinali più efficaci di prima linea: la rifampicina e
l'isoniazide. La tubercolosi estensivamente resistente ai farmaci (XDR-TB) è immune anche
a tre o più dei farmaci di seconda linea.
Prevenzione
La prevenzione e controllo della TBC ha due approcci paralleli. Nel primo, le persone con la
TBC e le persone a loro vicine vengono identificate e trattate. L'identificazione delle infezioni
spesso implica l'esame dei gruppi ad alto rischio per la TBC. Nel secondo approccio, i
bambini vengono vaccinati per proteggerli dalla TBC. Sfortunatamente nessun vaccino
disponibile provvede una protezione affidabile per gli adulti. Tuttavia, nelle aree tropicali
dove i livelli di altre specie di micobatteri sono elevati, l'esposizione a micobatteri non
tubercolari da' una parziale protezione alla TBC.
Molte nazioni utilizzano il Bacillo di Calmette-Guérin (BCG) come parte dei loro programmi
di controllo della TBC, specialmente per i bambini. Questo è il primo vaccino per la TBC e
fu sviluppato dall'Istituto Pasteur in Francia tra il 1905 e il 1921. Tuttavia le vaccinazioni
di massa con il BCG non iniziarono fino a dopo la seconda guerra mondiale. L'efficacia
protettiva del BCG per prevenire forme gravi di TBC (ad esempio la meningite) nei bambini
è maggiore dell'80%; la sua efficacia protettiva per prevenire TBC polmonare negli
adolescenti e negli adulti varia dallo 0 all'80%. In Sudafrica, il paese con la più alta
concentrazione di TBC, il vaccino viene dato a tutti i bambini sotto i tre anni. Tuttavia il
BCG è meno efficace in aree dove i micobatteri sono meno prevalenti, quindi il BCG non
viene distribuito all'intera popolazione di queste nazioni.
Il BCG protegge parzialmente contro alcune forme gravi di TBC pediatrica, ma si è
dimostrato inefficace contro la TBC polmonare adulta, che compone la maggior parte dei
casi mondiali. Attualmente ci sono più casi di TBC sul pianeta di quanti ce ne siano stati
in qualunque altra epoca storica, e molti concordano nell'urgenza dello sviluppo di un
nuovo vaccino più efficace, che prevenga tutte le forme di TBC, compresi i ceppi resistenti,
in ogni fascia d'età, e tra le persone affette da HIV. Diversi vaccini per prevenire le infezioni
di TBC sono in corso di sviluppo. Il primo vaccino ricombinante è entrato nella fase di
studio clinico negli USA nel 2004.
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PNEUMOLOGIA I polmoni del peso di 850