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ECONOMIA
«Lo scoppio della bolla cinese non causerà
un'altra recessione globale»
Perché sono crollate le Borse? E cosa ci aspetta adesso? Analisti ed economisti analizzano quanto sta
avvenendo sui mercati finanziari asiatici. E dicono: i rischi per l'Europa ci sono, anche per l'Italia, ma non sarà
una nuova Lehman Brothers
DI LUCA STEINMANN E STEFANO VERGINE
09 luglio 2015
Il 5 giugno, poco più di
un mese fa, l'indice
principale della Borsa di
Shanghai aveva toccato
il massimo storico degli
ultimi sette anni. Poi è
iniziata la discesa e il
valore medio delle
azioni, oggi, risulta
ridotto di quasi un terzo.
La stessa tendenza ha
colpito le altre grandi
piazze cinesi, quelle di
Shenzen e Hong Kong.
BRUCIATI 3,2
MIGLIAIA DI
MILIARDI DI
DOLLARI
Un crollo così, sui mercati finanziari, non si vedeva dai tempi
del fallimento della Lehman Brothers, la banca americana che
andando in bancarotta diede il via alla crisi i cui effetti si fanno
sentire ancora oggi in Europa. Le autorità di Pechino hanno
provato a fermare l'emorragia in vari modi. Hanno tagliato i
tassi d'interesse, con l'obiettivo di fornire agli investitori denaro
meno costoso. Hanno obbligato i fondi pensione a investire in
azioni. Hanno dato un giro di vite sui “margin loan”, il processo
con cui molti investitori si sono fatti prestare denaro per
investire. Tutto inutile. La discesa verso il basso dei listini è
continuata fino a portare il pallottoliere all'impressionante cifra
di 3,2 migliaia di miliardi di dollari persi. Per capirci, è più del
valore combinato delle Borse di Parigi e Madrid.
Ecco perché economisti e investitori, piccoli e grandi, cercano di
capire che cosa succederà all'economia mondiale se i listini
della Repubblica popolare continueranno la caduta verso il
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basso. Anche perché al crollo dei mercati finanziari cinesi si
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unisce la crisi della Grecia, che potrebbe uscire dall'euro, e la
possibilità adombrata dalla governatrice Janet Yellen che la
banca centrale americana (Federal Reserve) possa a breve
alzare i tassi d'interesse rendendo più costoso il costo del
denaro.
LE CAUSE DELLA BOLLA
La prima domanda a cui gli investitori stanno cercando di dare
una risposta è semplice, in teoria. Perché, dopo mesi di rialzi da
record, all'improvviso in Cina è crollato tutto? Nessuno lo sa
con certezza. «Non è chiaro cosa abbia innescato il crollo
proprio in questo momento, non c’è stato un lampante
peggioramento del quadro economico», dice ad esempio Juan
Nevado, manager di alcuni fondi d'investimento per M&G,
società basata nel Regno Unito. Come si è propagato il crollo lo
spiega Fabio Caldato, analista finanziario indipendente:
«Milioni di persone nei mesi scorsi avevano comprato titoli a
leva, cioè per capirci investivano 10 per comprare 70. Non
appena c'è stato un ribasso importante sulle Borse, questi
investitori si sono trovati costretti a vendere. Questo ha
generato un effetto domino pure sugli investitori più oculati,
che hanno venduto per portare a casa i guadagni acquisti fino
ad allora. Non appena sono iniziati i ribassi è entrato in scena
un altro fattore devastante: gli shortisti, che in parole povere
sono quelli che speculano sul ribasso del mercato. Tutto questo
ha causato il crollo delle Borse cinesi».
Non ci sarebbe stata, dunque, una causa scatenante per il
crollo. Secondo Alberto Forchielli, direttore generale di
Mandarin Capital Partners, un fondo di private equity che
investe in aziende italiane e cinesi, le origini della crisi
finanziaria di questi giorni sono certamente più profonde. «I
mercati erano fuori controllo già da mesi», spiega: «Il governo
voleva una Borsa alta per creare un canale di finanziamento per
i privati. In Cina i risparmiatori si muovono in branco, quando
la Borsa è rialzista arriva a livelli incredibili, ma lo stesso vale
quando scende, per cui abbiamo assistito a un effetto domino
che è andato a travolgere fino a 100 milioni di piccoli
risparmiatori».
LA BORSA SALE, L'ECONOMIA SCENDE
A gonfiare la bolla non è stato però un miglioramento
dell'economia del Dragone, come avvenuto ad esempio tra il
2006 e il 2008. Guardando i grafici che mostrano l'andamento
dei mercati azionari della Cina si nota che l'impennata
borsistica iniziata a metà dell'anno scorso è coincisa con il
rallentamento dell'economia nazionale. L'apparente
contraddizione, spiegano parecchi analisti, dipende soprattutto
dal boom dello shadow banking, un sistema di credito parallelo
a quello tradizionale bancario, meno regolato ed arrivato negli
ultimi anni a rappresentare, secondo lo stesso Forchielli, il 30
per cento dell'intero mercato del credito nazionale. Un sistema
che ha fornito agli investitori, non solo quelli istituzionali ma
anche milioni di privati cittadini, la liquidità necessaria per
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DAI CASINO' DI MACAO ALLA FINANZA
A gonfiare la bolla ha contribuito negli ultimi mesi anche un
altro fattore, che ha apparentemente poco a che fare con la
Borsa. Si tratta di Macao, l'ex colonia portoghese famosa per
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essere il paradiso dei giocatori d'azzardo cinesi. Alla fine
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dell'anno scorso il governo di Pechino ha messo a punto una
serie di misure per bloccare il riciclaggio di denaro attraverso i
casinò della penisola. Una mazzata per le principali società del
settore come Galaxy, Sands e Mgm, che infatti hanno perso in
quei giorni parecchi punti percentuali in Borsa. I ribassi hanno
evidenziato un aspetto noto tra gli addetti ai lavori: i soldi
illegali rappresentavano una buona parte degli incassi dei
casinò, fino al 40 per cento dicono alcune stime. E dove sono
andati a finire tutti quegli yuan dopo la stretta di Pechino su
Macao? Su altre scommesse, anch'esse molto rischiose, ma
stavolta in Borsa. Soldi che hanno alimentato la bolla dei listini
cinesi sgonfiatasi all'improvviso a partire da inizio giugno.
TREMA SOPRATTUTTO LA GERMANIA
Nessuno sa dire con certezza se i ribassi continueranno, ma di
certo se questo avverrà gli effetti si faranno sentire anche fuori
dalla Cina. Lo sostiene Francesco D'Aprile, consulente di P&D
Consulting, una società che si occupa di sviluppare progetti per
le imprese straniere in Cina: «Parliamo di una nazione che è
grande consumatrice di prodotti europei, quindi se la caduta
continuerà ci potrebbero essere impatti pesanti a seguito della
contrazione dei consumi delle famiglie cinesi. I Paesi europei
più esposti a questo rischio sono quelli che maggiormente vi
esportano beni di consumo, processi e prodotti di lusso, cioè la
Germania e la Svizzera”.
L'IMPATTO SULL'ITALIA
Lo scenario immaginato da D'Aprile si avvererebbe se la crisi da
finanziaria diventasse economica e rallentasse così la domanda
della Cina, che già si è contratta rispetto agli scorsi anni visto
che la crescita ufficiale del Pil quest'anno è ufficialmente
stimata dal governo al 7 per cento, il minimo da sei anni.
Franco Bruni, docente di politica monetaria internazionale
all'università Bocconi e vice presidente dell'Ispi, fa notare che
«le province cinesi sono molto indebitate, i privati pure, le
banche hanno in pancia questi crediti, i prezzi delle case sono
molto alti. Ci sono parecchi elementi tipici per pensare ad una
bolla che sta scoppiando. Insomma la crisi finanziaria in Cina
rischia di bloccare la ripresa che si inizia a intravedere anche in
Italia. E a questo punto la Grecia diventa un problema
infinitesimale».
NON CI SARA' UNA NUOVA RECESSIONE
Siamo quindi alla vigilia di una seconda grande recessione dopo
quella iniziata nel 2008 con il crollo delle Borse americane? Di
sicuro tra la Cina e gli Stati Uniti c'è una grande differenza in
campo finanziario. La capitalizzazione totale delle società
quotate nell'ex Impero Celeste è oggi pari a circa il 66 per cento
del prodotto interno lordo nazionale, mentre negli Usa il
rapporto vale più del doppio (140 per cento). Per questo Andrea
Goldstein, economista dell'Ocse che si appresta a tornare in
Italia per lavorare a Nomisma, dice che i rischi per l'economia
globali sono relativamente contenuti: «Il settore borsistico
cinese non è così importante come era Wall Street per gli Stati
Uniti, quindi vedo più difficile che la crisi finanziaria si
trasmetta con forza all'economia. Il vero rischio è che il panico
da bolla porti a un aumento dell'instabilità politica, a una
perdita di autorevolezza del governo di Pechino, che potrebbe
non avere più la forza per approvare le riforme economiche
promesse, come quella sulla lotta alla corruzione”.
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I RISCHI PER IL REGIME COMUNISTA
Sono proprio gli esiti politici il grande enigma di queste ore. Il
Partito comunista cinese, negli oltre 90 anni di storia, ha
superato indenne diverse crisi, dalla guerra civile alla rivolta di
Tienammen. Una crisi finanziaria così violenta, però, non era
mai capitata. E non essendoci precedenti, le conseguenze non
possono che essere imprevedibili. Al momento, però, a Pechino
devono avere tirato un sospiro di sollievo. L'ultima mossa
pensata per fermare il crollo dei mercati qualche frutto l'ha
dato. Ieri la polizia di Stato è stata incaricata di andare a caccia
di chi vende azioni con scopo fraudolento (“malicious shortselling of stocks", lo hanno definito), ma soprattutto il governo
ha imposto a chi ha in mano oltre il 5 per cento del capitale di
una società di non vendere nulla per i prossimi sei mesi.
L'effetto si è sentito subito. Oggi gli indici cinesi hanno chiuso
in positivo.
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CINA
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