STORIA
E IDENTITÀ
DI GENERE
Ipertesto
Comunismo e identità
di genere
le parole
Tre donne soldato russe
appartenenti al
Battaglione femminile
della morte.
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
1
Comunismo e identità di genere
La rivoluzione di febbraio, che provocò l’abdicazione dello zar e la proclamazione della repubblica, secondo il calendario occidentale ebbe inizio l’8 marzo 1917. Le prime a ➔L’8 marzo
scendere in piazza furono le operaie, decise a protestare per il fatto che i loro salari erano notevolmente inferiori a quelli degli operai maschi. Come occasione per la loro manifestazione di rivendicazione salariale, le operaie scelsero la Festa della donna, istituita
nel 1910 dalla Conferenza internazionale dei movimenti femminili.
Il 20 luglio 1917, un decreto del governo provvisorio concesse alle donne russe pieni ➔Parità di diritti
diritti in campo politico, dichiarandole elettrici ed eleggibili senza riserve. Inoltre, in
occasione dell’ultima offensiva russa (nell’estate del 1917) fu creato il Battaglione femminile della morte, organizzato su iniziativa di Marija Botchkareva, la quale – a titolo personale – aveva
Festa della donna
già ottenuto di potersi arruolare nel 1914 e di combattere al fronSu proposta di Rosa Luxenburg, fu indivite. La speranza della Botchkareva, nel momento in cui propose
duato l’8 marzo, per ricordare quanto era accaduto due anni prima, nel 1908, a New York.
la costituzione di un battaglione composto da sole donne, era di
Durante uno sciopero, le donne che lavorasuscitare nei maschi un’ondata di emulazione e di orgoglio. La
vano presso l’industria tessile Cotton avevano
presenza delle donne al fronte avrebbe dovuto bloccare l’esodo
occupato uno stabilimento. Per farle uscire
e obbligarle a riprendere il lavoro, il propriein massa dei disertori; feriti nell’onore – si diceva e si sperava –
tario della fabbrica, Johnson, appiccò il
i soldati maschi non avrebbero più abbandonato quelle trincee
fuoco. Il risultato fu la morte di 129 operaie.
che invece, con rinnovato patriottismo, le donne avrebbero di-
IPERTESTO A
La rivoluzione dei ruoli e dei comportamenti
Ipertesto
UNITÀ III
➔Critiche
al matrimonio
IL COMUNISMO IN RUSSIA
2
Manifesto sovietico del
1926 che esalta il ruolo
della donna lavoratrice.
La scritta infatti dice:
«Donna emancipata,
costruisci il socialismo!».
feso a oltranza, in nome della nuova repubblica. In realtà, le soldatesse ottennero sui
soldati l’effetto opposto, in quanto la loro presenza convinse molti uomini del fatto che
il governo inviava al fronte le donne perché non c’erano più riserve: dunque, la guerra era irrimediabilmente perduta.
Come i loro colleghi maschi, la maggior parte delle soldatesse non sopravvisse all’offensiva; infine, quanto restava del battaglione femminile fece parte dello sparuto gruppo di
soldati che – senza particolare impegno – difese il palazzo d’Inverno al momento del colpo di stato bolscevico, nell’ottobre 1917.
Il periodo iniziale del regime comunista registrò un’esplosione di innovazioni radicali e di proposte rivoluzionarie, nei campi della famiglia, della condizione femminile
e della gestione della sessualità. per molti bolscevichi, il matrimonio era un’istituzione borghese, basata sul principio della subordinazione della moglie al marito, e finalizzata solo a uno scopo: permettere a chi possedeva i mezzi di produzione di tramandare
la proprietà, di generazione in generazione. Dunque, la forma che il rapporto di coppia e la famiglia avrebbero assunto nella società del futuro era tutta da ripensare e da
reinventare.
Nel nuovo gruppo dirigente, per l’originalità e la radicalità delle sue opinioni, si distinse subito Aleksandra Kollontaj, che si eresse a teorica dell’amore-gioco, una modalità estremamente libera di vivere gli affetti e la sessualità. Nelle relazioni amorose, secondo Kollontaj, non esisteva nulla di eterno; per non soffocare la spontaneità dei sentimenti, nessuno doveva più essere obbligato a convivere con qualcuno che non amava. Quanto ai
figli, la società tutta se ne sarebbe fatta carico, superando anche a questo livello la concezione borghese sul ruolo educativo insostituibile dei genitori.
Innovazioni nel diritto di famiglia
L’idea secondo cui la società nel suo complesso poteva farsi carico del mantenimento
e dell’educazione dei bambini naufragò in breve tempo, alla prova dei fatti. Dopo la
guerra civile e la carestia del 1921-1922, infatti, il paese fu invaso da una vera ondata
di orfani e di bimbi abbandonati, che vivevano di furti,
di elemosine e di prostituzione. Il loro numero non fu mai
valutato con precisione, ma era elevatissimo, oscillando tra
i 7 e i 9 milioni, a seconda delle stime. Molti si aggregarono in bande di teppisti pericolosi e tossicodipendenti.
A partire dal 1923, l’unica misura che il governo seppe adottare fu di inviare coloro i quali venivano arrestati al lager
delle isole solovki.
Quanto alle idee libertarie della Kollontaj, esse furono accolte con entusiasmo da molti studenti, da numerosi giovani e dagli artisti d’avanguardia, ma non erano assolutamente condivise da Lenin, che non era interessato a queste tematiche e anzi era preoccupato per gli effetti devastanti che un’eccessiva libertà sessuale poteva comportare sulla disciplina. Ben più importante della spontaneità
sentimentale ricercata dalla Kollontaj, Lenin metteva al primo posto la totale dedizione alla causa del partito, che poteva comportare anche rinunce e sacrifici. Così, la prima
immagine ideale di donna bolscevica che fu lanciata ufficialmente, in un poster appositamente creato per l’8 marzo 1920, non aveva nulla di sensuale; certo, era figura emancipata dal suo ruolo tradizionale, ma appariva prima di tutto un’operaia competente e una militante responsabile, consapevole che i suoi gravosi compiti economici e politici le avrebbero lasciato ben poco spazio per una faccenda
frivola come l’amore.
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Ipertesto
DOCUMENTI
Il testo seguente riporta un severo giudizio, che l’autrice attribuisce a Lenin. Il passo è tratto dalle
memorie di Klara Zetkin, una militante bolscevica che nel 1929 pubblicò i suoi ricordi relativi alla figura del leader rivoluzionario, che a più riprese dimostrò di non condividere le opinioni di Aleksandra Kollontaj sul libero amore.
IPERTESTO A
Mi hanno detto che gli argomenti principali trattati nelle serate di lettura e discussione
delle compagne sono il sesso e il matrimonio. Essi costituiscono il principale argomento
di interesse, di istruzione e di educazione politica. Quando me lo hanno detto non riuscivo
a credere alle mie orecchie. Il primo paese di dittatura del proletariato, accerchiato dai controrivoluzionari di tutto il mondo. Nella stessa Germania, la situazione richiede la massima
concentrazione possibile di tutte le forze proletarie, rivoluzionarie, per debellare la controrivoluzione, sempre più forte e diffusa. E le compagne discutono di problemi sessuali… Queste idee sbagliate sono particolarmente dannose, particolarmente pericolose, soprattutto
nel movimento giovanile. Per alcune persone possono facilmente contribuire alla sovreccitazione e all’esagerazione nella vita sessuale, sprecando la salute e l’energia della gioventù…
Come è noto, esiste una famosa teoria secondo cui nella società comunista la soddisfazione dei desideri sessuali, dell’amore, sarà semplice e priva d’importanza come bere un
bicchier d’acqua. La teoria del bicchier d’acqua ha fatto diventare pazzi i nostri giovani, completamente pazzi… I giovani in particolare hanno bisogno della gioia e della forza della vita.
Uno sport sano, il nuoto, la corsa, la marcia, l’esercizio fisico di tutti i tipi, e interessi intellettuali multiformi… Menti sane in corpi sani.
r. pIpes, Il regime bolscevico. Dal Terrore rosso alla morte di Lenin, Mondadori, Milano 2000,
pp. 384-385, trad. it. L.A. DALLA FoNtANA
Si può affermare che, per Lenin, la liberazione sessuale fosse uno degli obiettivi prioritari
della rivoluzione?
In quale direzione devono essere incanalate, secondo Lenin, la salute e l’energia della gioventù?
Che cos’era la «teoria del bicchier d’acqua»?
Non furono poche le donne comuniste che si identificarono appieno in questo ideale di
donna sobria, indipendente, nubile, in ultima istanza dura, mascolina e, tutto sommato,
asessuata. per molte di loro fu addirittura una forma di legittima difesa, di fronte alla
tradizionale supremazia maschile nell’ambiente familiare o, peggio ancora, di fronte a un’interpretazione maschilista delle idee libertarie, che materialmente si esprimevano in atteggiamenti cinici e brutali, mascherati da trasgressioni antiborghesi.
Il diritto di famiglia, comunque, fu completamente rinnovato. Il matrimonio, naturalmente, fu sganciato da qualsiasi rito religioso e divenne una faccenda puramente civile; inoltre, il marito non poté più imporre il proprio nome alla moglie e fu sancita la
più assoluta eguaglianza tra i coniugi. per lo stato, le unioni di fatto ebbero lo stesso
valore di quelle di diritto; del resto, le procedure per ottenere il divorzio furono semplificate in una maniera che non aveva equivalenti in nessun altro paese. L’aborto, infine,
venne autorizzato senza limitazioni il 20 novembre 1918.
Di fronte a questi bruschi cambiamenti, l’opinione pubblica occidentale reagì spesso in
modo indignato e sprezzante. Nei resoconti di viaggio di chi, negli anni trenta, visitò l’Unione sovietica, è frequente trovare l’accusa secondo cui la rivoluzione aveva ucciso la femminilità, o per lo meno fatto appassire la grazia della donna slava. Gli avversari del comunismo, soprattutto i cattolici, mettevano l’accento, invece, sullo sfascio dell’istituzione familiare e sul crollo della moralità. Anne Louise strong, giornalista americana sposata per alcuni anni con un moscovita, dopo aver sottolineato la serietà delle ragazze russe, fece invece il punto della situazione nel modo seguente: «per noi, l’essenza del matrimonio è un’amicizia durevole e il soddisfacimento di una normale vita fisica, mentale ed
emotiva. solo il futuro può dirci quanto possa durare; noi speriamo per tutta la vita, ma
non facciamo alcuna promessa».
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3
Riferimento
storiografico
1
pag. 5
➔Libertà di divorzio
e di aborto
Comunismo e identità di genere
Le perplessità di Lenin sul libero amore
Ipertesto
Le nuove rigidità staliniane
➔Aborto come
contraccettivo
➔Eroi del lavoro
2
Riferimento
storiografico
UNITÀ III
pag. 6
IL COMUNISMO IN RUSSIA
4
➔Rimozione dell’eros
stalin era ancora più cauto di Lenin, in fatto di sessualità, e nemico di rivoluzione dei costumi tradizionali, in questo campo. pertanto, negli anni trenta, il dittatore adottò una
serie di misure finalizzate a riportare ordine nella caotica situazione della famiglia russa.
In effetti, a Mosca, i divorzi toccarono nel 1935 il 44,3% delle coppie sposate, mentre le
interruzioni di gravidanza, nel 1934, erano 3 per ogni nascita: di fatto, le donne russe avevano adottato l’aborto come strumento di contraccezione.
La campagna staliniana per la restaurazione della famiglia e della moralità tradizionale iniziò nel 1934, con la criminalizzazione dell’omosessualità, avanzando il pretesto che il
mondo degli omosessuali costituisse un pericoloso gruppo di pressione politica, pericoloso per il governo e lo stato. Nei due anni seguenti, le procedure per il divorzio vennero notevolmente appesantite, mentre l’aborto fu dichiarato illegale nel giugno del 1936.
Nel medesimo tempo, l’arte ufficiale sovietica (il realismo socialista) fece proprio il modello virile neoclassico e incominciò a rappresentare gli eroi del lavoro con sembianze alquanto simili a quelle dei guerrieri e degli atleti nazisti: la principale differenza, a livello
iconografico, sta nel fatto che, mentre in Germania il razzismo spingeva a un uso sistematico del corpo nudo, i virili operai dell’arte comunista erano quasi sempre vestiti o, al
massimo, a torso nudo. I ruoli sessuali, dunque, nella russia degli anni trenta vennero
via via ridefiniti con estrema precisione: mentre il compito primario della donna era la
maternità, quelli dell’uomo erano il lavoro e la difesa della patria socialista.
È altresì vero che moltissime donne russe, per far fronte alle difficili condizioni economiche in cui versava l’Urss, erano costrette a lavorare: nel 1940, la manodopera femminile operaia era il 43% del totale. tale percentuale subì
un ulteriore, notevole incremento negli anni di guerra, al punto che,
nel 1945, le donne costituivano il 56% del totale degli operai e degli
impiegati. Durante il conflitto mondiale, inoltre, si diffuse l’abitudine di abilitare le donne anche a lavori particolarmente duri e pesanti.
sull’intera società russa gravava una densa cappa di puritanesimo,
che provocò una formidabile e collettiva rimozione dell’eros. secondo alcuni storici, questo nuovo clima in cui crebbero i giovani sovietici negli anni trenta aiuta a comprendere la brutale esplosione di stupri verificatasi in Germania nella primavera
del 1945 a opera dei soldati dell’Urss. L’ondata di violenza
contro le donne tedesche
(almeno 2 000 000, in totale; oltre 100 000 nella
sola città di Berlino) non si
spiegherebbe solo come una vendetta
per le atrocità commesse dai tedeschi in Unione sovietica. piuttosto, l’ingresso da trionfatori in Germania fu vissuto dai soldati e dalle autorità
dell’Armata rossa (che non posero alcun freno agli stupri di massa) come un eccezionale momento di sospensione della norma: un’improvvisa e quasi vulcanica
esplosione istintuale, da tollerare, prima
del ritorno dei giovani alla rigida
normalità sovietica.
Vera Muchina, Il lavoratore e la ragazza del
collettivo agricolo, 1935 (San Pietroburgo,
Museo russo di Stato).
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Donne e famiglie in URSS negli anni Trenta
[Secondo Stalin,] la costruzione del socialismo esige una società stabile con una cellula
di base, la famiglia, forte ed unita. Si devono colmare inoltre le perdite provocate dalle guerre
e dalla repressione. Gli imperativi economici e ideologici si saldano per creare un nuovo modello in cui la famiglia è riabilitata. Denigrarla diventa il segno di un pregiudizio borghese ed
estremista. Esce di scena l’androgina esaltata. D’ora in poi si glorifica la Mater Familias [la
madre di famiglia, n.d.r.] dai fianchi larghi. La “Pravda” esalta la mungitrice scelta che con
le sue dita agili fa sgorgare fiumi di latte, simbolo di fertilità. Nell’agosto del 1935, il giornale
“Izvestija” dichiara: «Le nostre donne, cittadine a pieno titolo del paese più libero del
mondo, hanno ricevuto dalla Natura il dono di essere madri. Possano custodirlo gelosamente
per mettere al mondo degli eroi sovietici!». Nell’aprile del 1936, Stalin scrive sul giornale
“Trud”: «L’aborto che distrugge la vita è inammissibile nel nostro paese. La donna sovietica
ha gli stessi diritti dell’uomo, ciò però non la esime dal grande e nobile dovere datole dalla
natura: la donna è madre, dà la vita».
Nel 1935 si scatena una virulenta campagna di stampa attorno a due problemi: l’aborto
e il divorzio. Nel 1928, vi erano 1,5 volte più aborti che nascite; nel 1934, a Mosca, vi erano
tre aborti per ogni nascita. Nel maggio del 1935, la percentuale di divorzi in città è del 44,3%.
L’aborto viene dunque soppresso nel giugno del 1936, salvo per ragioni mediche, nonostante l’opposizione evidente delle donne che si manifesta in un gran numero di lettere ai
giornali. In compenso, viene introdotto un sistema di assegni familiari e vengono aumentati
gli assegni alimentari. La procedura per il divorzio, d’altro canto, viene appesantita: presenza
obbligatoria dei coniugi, iscrizione sulle carte d’identità, sentenza pubblica, costo accresciuto. Viene tuttavia mantenuto il matrimonio di fatto.
Con queste riforme si stabilisce un forte legame tra maternità, matrimonio permanente
e famiglia individuale solida. Nel 1935 viene ristabilita anche l’autorità paterna. Da principio
gli effetti sono spettacolari. In un anno, la percentuale dei divorzi cala del 61,3%. A Mosca,
fra l’ottobre del 1935 e l’ottobre del 1936, gli aborti diminuiscono di quindici volte. La natalità ricomincia a crescere, ma in scarsa misura. La caduta è inesorabile: 44,7% nel 1925;
39,2% nel 1939; 31% nel 1940. Restando immutate le condizioni oggettive, le donne continuano ad abortire. Lo fanno clandestinamente, con tutti i rischi che ciò comporta.
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IPERTESTO A
All’inizio degli anni Trenta, Stalin prese atto del caos in cui era precipitata l’URSS sotto il profilo delle relazioni di genere e delle dinamiche interne alla famiglia. Pertanto, gran parte delle norme libertarie degli anni Venti fu ritirata o modificata in senso restrittivo. Malgrado ciò, la presenza femminile nel
mondo del lavoro continuò a crescere, passando dal 28,8% del 1928 al 43% del 1940. L’industrializzazione forzata, con il suo crescente bisogno di manodopera, non era più di tanto compatibile con il recupero dei ruoli tradizionali.
5
Marito e moglie in un
dipinto russo degli anni
Trenta del Novecento.
Stalin, pur riconoscendo
l’importanza del lavoro
femminile nelle
fabbriche, sottolineava
la necessità per le donne
di essere prima di tutto
buone mogli e madri.
Comunismo e identità di genere
1
Ipertesto
Riferimenti storiografici
Ipertesto
Spiega l’espressione
«Esce di scena
l’androgina esaltata».
Come fu accolta dalle
donne russe
l’introduzione del
divieto di abortire?
Quali sono le principali
accuse mosse alle
donne arrestate
nell’URSS degli anni
Trenta?
Per dominare l’intera società ed assicurarsi un apparato devoto, Stalin utilizza lo strumento del terrore. Nel 1935 la pena di morte è in vigore già da 12 anni; nel 1937 viene autorizzata la tortura; arresti arbitrari e in massa, spettacolari processi truccati scandiscono i
giorni e le notti. Tra il gennaio del 1937 e il dicembre del 1938, si contano 7 milioni di persone arrestate e 3 milioni di vittime fucilate o decedute nei campi. Fra i comunisti arrestati,
le donne sono il 12-14%. Le accuse sono identiche per tutte: sabotaggio, trotzkismo, spionaggio… A queste si aggiunge, dall’agosto del 1934, la nozione di parente di un traditore,
che colpisce soprattutto le mogli e le sorelle: da 2 a 5 anni di campo per mancata denuncia di un marito o di un fratello nemico del popolo, 5 anni di confino per il solo fatto di ignorarlo. I figli sono inviati negli orfanotrofi. La delazione, incoraggiata, smembra di fatto le famiglie e i rapporti umani, mentre i manifesti si illuminano di volti sorridenti.
Nel 1937, l’eroina di un libro riassume in questi termini ciò che ci si aspetta da lei: «“Una
moglie dev’essere anche una madre felice, capace di creare attorno a sé un’atmosfera serena senza per questo abbandonare il suo lavoro, per il bene della comunità. Deve anche
saper conciliare tutte queste cose rivaleggiando con le prestazioni del marito sul lavoro”.
“Esatto”, dice Stalin». È un obiettivo tanto più difficile da raggiungere in quanto il governo
non mantiene le sue promesse. Le disposizioni del 1936 in materia di asili-nido e scuole materne rimangono un pio desiderio. Nel 1951, la loro rete è inferiore a quella del 1934 e nelle
campagne è il deserto. La vita è dura, ma a sostenere la gente provvedono la speranza in
un futuro migliore, l’accettazione dei sacrifici o la rassegnazione.
F. NAvAILh, Il modello sovietico, in G. DUBy, M. perrot, Storia delle donne in Occidente. Il Novecento,
a cura di F. théBAUD, Laterza, roma-Bari 1996, pp. 287-290, trad. it. A. ChItArIN
UNITÀ III
2
IL COMUNISMO IN RUSSIA
6
Una donna ucraina
detenuta nel lager di
Vorkutlag negli anni
Quaranta del
Novecento, si fa
fotografare davanti
all’ex mattonificio
nel quale lavorava
come detenuta.
Donne in lager
Lo scrittore polacco Gustaw Herling passò circa due anni (tra il 1940 e il 1942) in un lager sovietico della regione di Kargopol´. Nelle sue memorie, ricorda la drammatica condizione delle donne deportate, esposte a soprusi e umiliazioni ulteriori, rispetto agli uomini. Sotto questo profilo, il lager fu lo specchio della società sovietica che, al di là delle apparenze e delle solenni dichiarazioni
di principio, conservava ancora una fortissima dose di maschilismo, carico di conseguenze negative per le donne russe.
[In Germania e nella Russia sovietica] si è sperimentato che, quando il fisico di un uomo
ha raggiunto il limite estremo di resistenza, non si può più contare, come si riteneva prima,
sulla forza di carattere e sul rispetto dei valori spirituali; non c’è nulla in realtà che
l’uomo non possa essere indotto a fare dalla fame e dalla sofferenza fisica.
[…] Sono giunto al convincimento che l’uomo può essere umano solo in
condizioni umane, e considero assurdo il giudicarlo severamente dalle
azioni che egli compie in condizioni disumane, come sarebbe assurdo
misurare l’acqua dal fuoco, e la terra dall’inferno. E la difficoltà, per
uno scrittore che intenda descrivere obiettivamente un campo di
lavoro sovietico, è ch’egli è costretto a scendere nelle profondità
dell’inferno dove non è possibile trovare ragioni umane che spieghino azioni disumane. E di laggiù i volti dei suoi compagni morti
e di quelli forse ancora in vita guardano a lui, e le loro labbra, livide di fame e di freddo, sussurrano: «Racconta tutta la verità
su di noi, di’ che cosa siamo stati costretti a fare».
In difesa delle donne va detto che la morale del campo,
come ogni altro sistema di valori, aveva la sua ipocrisia. Così,
per esempio, a nessuno sarebbe passato per la mente di biasimare un giovane se, per migliorare la sua situazione, diventava l’amante dell’anziana dottoressa dell’ospedale, ma la graziosa ragazza che si dava per fame al vecchio ripugnante
addetto al deposito del pane, era naturalmente una prostituta.
[…] Le donne si prestavano benissimo a servire da capri espiatori, non solo perché di rado avevano da vendere qualcos’altro che
il proprio corpo, ma anche perché persino nel campo portavano su
di sé il peso della morale convenzionale vigente nel mondo esterno,
secondo la quale l’uomo che possiede una donna dopo un breve corteggiamento è un brillante seduttore, ma la donna che si dà a un uomo
appena conosciuto è di facili costumi. Il criterio morale, e la conseguente ipo-
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Ipertesto
IPERTESTO A
Un gruppo di donne
vengono imbarcate
su un piroscafo diretto
al lager delle isole
Solovki. Le condizioni
di vita delle detenute
nei lager era
particolarmente
drammatica non solo
per le terribili sofferenze
fisiche ma anche per
i continui soprusi a cui
dovevano sottostare.
crisia, varia secondo le condizioni di vita del prigioniero prima dell’arresto. Il problema non
esisteva in realtà per i russi, abituati ai matrimoni da cinque rubli e alle unioni carnali nei gabinetti pubblici secondo gli immediati istinti fisiologici, e il loro atteggiamento verso di esso
si esprimeva nello scherno con cui salutavano l’istituzione dell’eguaglianza legale concessa
alle donne dal nuovo regime. I prigionieri stranieri, e anche i comunisti più anziani, scuotevano sovente la testa sul generale declino della moralità in Russia.
Comunque, è certo che la fame più di ogni altra cosa vinceva la resistenza delle donne;
e dopo, non c’erano più ostacoli a fermarle per quella china che le riduceva ai più bassi gradi
dell’animalità sessuale. Alcune cedevano, non solo per migliorare la propria situazione o per
trovare un protettore potente, ma anche nella speranza della maternità. E questo non va inteso in senso sentimentale: le donne incinte nel campo erano libere dal lavoro tre mesi prima
e sei mesi dopo il parto. Sei mesi era un periodo stimato sufficiente per l’allattamento del
neonato, che veniva poi tolto alla madre e portato via per qualche ignoto destino. La baracca della maternità di Ercevo era sempre piena di donne che con patetica gravità spingevano avanti a fatica il peso dei loro ventri gonfi, andando in direzione della cucina a prendere la minestra. Ma riesce difficile parlare di sentimenti, di reali sentimenti umani in quella
situazione, quando si era costretti a far l’amore in presenza dei compagni di prigione, o, nella
migliore delle ipotesi, nel magazzino degli abiti vecchi, su pile di stracci sudati e maleodoranti. A distanza di tanti anni resta nella memoria una sensazione di disgusto come nel rotolarsi nel fondo melmoso di una fontana disseccata, e un profondo disprezzo per se stesso
e per la donna che una volta sembrava così vicina…
G. herLING, Un mondo a parte, Feltrinelli, Milano 1994, pp. 151-154, trad. it. G. MAGI
Per quale motivo la morale del campo è definita ipocrita?
Con che atteggiamento, a giudizio dell’autore, i maschi russi guardavano alle norme che
proclamavano l’uguaglianza tra uomini e donne?
Che cosa spingeva le donne del campo a cercare la maternità?
F.M. Feltri, Chiaroscuro © SEI, 2010
Comunismo e identità di genere
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