Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società Immunopatogenesi della psoriasi • Girolomoni G, Cocuroccia B, Gubinelli E, Gisondi P Istituto Dermopatico dell’Immacolata, IRCCS, Roma La psoriasi è una malattia infiammatoria cronica la cui patogenesi è complessa e multifattoriale L’esistenza di una predisposizione genetica alla psoriasi riguarda sia le risposte immunitarie che le funzioni infimmatorie/proliferative dell’epidermide. La psoriasi è contraddistinta da quattro principali processi fisiopatologici: infiammazione, iperplasia epidermica, alterato differenziamento dei cheratinociti, e neoangiogenesi nel derma papillare. L’infiltrato infiammatorio è costituito da linfociti T CD4+ o CD8+, monociti, cellule dendritiche, cellule natural killer e granulociti neutrofili. Le risposte T linfocitarie anno certamente un ruolo essenziale nella patogenesi della psoriasi, come dimostrato dall’efficacia di varie terapie che interferiscono direttamente con l’attivazione, la sopravvivenza o le funzioni dei linfociti T. Tuttavia è ancora ignoto l’antigene (o gli antigeni) verso il quale queste risposte sono dirette. I linfociti T patogenetici sono del tipo 1, che rilasciano prevalentemente IFN-γ e TNF-α. È pure verosimile che cellule natural killer e cellule T natural killer, che riconoscono epitopi lipidici ristetti da molecole CD1d, siano una sorgente ulteriore di IFN-γ e TNF-α. Queste citochine a loro volta attivano le cellule residenti (cheratinociti, mastociti, cellule endoteliali, fibroblasti) a esprimere molecole d’adesione, e a produrre citochine e chemochine che amplificano la reazione infiammatoria. I cheratinociti in particolare rappresentano una fonte importante di chemochine (CCL2, CCL20, CCL27, CXCL8, CXCL10), capaci di attrarre i linfociti T e altre cellule infiammatorie nella cute. Inoltre, le cellule endoteliali sono indotte ad esprimere CX3CL1 che favorisce il reclutamento di linfociti Th1. Determinanti nella patogenesi della psoriasi sono pure alterazioni intrinseche (e geneticamente determinate) dei cheratinociti. In particolare, i cheratinociti psoriasici hanno un’abnorme sensibilità ai fattori di crescita e resistenza all’apoptosi ed un anomalo programma di differenziazione. Inoltre, i cheratinociti psoriasici manifestano un’aberrante produzione di fattori proflogistici ed un’alterata sensibilità all’azione del’IFN-γ. Alcune di queste anomalie sono secondarie ad un’alterato controllo dell’attivazione di fattori di trascrizione quali NF-κB e Stat-1. Per il ruolo fisiopatologico, i cheratinociti rappresentano pertanto un bersaglio estremamente importante per interventi terapeutici mirati. Aspetti clinici della psoriasi • Gisondi P, Gubinelli E, Cocuroccia B, Girolomoni G Istituto Dermopatico dell’Immacolata, IRCCS, Roma La psoriasi è una malattia infiammatoria cronica che si manifesta più comunemente con placche eritemato-squamose distribuite simmetricamente. Le dimensioni delle lesioni psoriasiche sono molto variabili, da quelle di una goccia a lesioni molto vaste che ricoprono ampie superfici corporee. Il decorso clinico della psoriasi cronica a placche è cronico-recidivante con esacerbazioni alternate a fasi di remissioni di durata variabile. La severità della psoriasi viene generalmente calcolata mediante un indice (Psoriasi Area and Severity Index, PASI) che tiene conto dell’estensione e dello spessore delle lesioni, e dell’intensità dell’eritema. L’estensione delle lesioni viene misurata in termini di percentuale di superficie corporea interessata dalla malattia (body surface area, BSA). Tuttavia, la gravità della malattia è anche condizionata dalle sedi colpite (es. mani, genitali, cuoio capelluto), dalla frequenza delle recidive, dalla risposta ai trattamenti, da come la malattia viene percepita dal paziente, e dai sintomi. In letteratura la sintomatologia associata alla psoriasi viene raramente riportata; il prurito è ritenuto una rara complicazione della malattia in parte dovuto alle terapie, in parte legato a particolari condizioni emotive del paziente. I dati raccolti in uno studio condotto su 936 pazienti ricoverati presso l’Istituto Dermopatico dell’Immacolata fornisce una ampia descrizione riguardo alla presenza dei sintomi nei pazienti affetti da psoriasi, consente una stima della loro prevalenza e do- 79° Congresso Nazionale SIDeMaST cumenta il grande impatto della sintomatologia sulla loro qualità di vita. Riteniamo, pertanto, che ogni strumento atto a misurare la severità della psoriasi non possa prescindere da un attenta valutazione della sintomatologia associata alla malattia. Balaniti e balanopostiti • Argenziano G, Farro P Dipartimento Dermatologia, seconda Università di Napoli Le balaniti e le balanopostiti (BB), spesso considerate una patologia di scarso interesse e pertanto sottovalutate sia sotto il profilo diagnostico che terapeutico, sono in realtà manifestazioni piuttosto frequenti e tendenti fatalmente alla cronicizzazione ed a complicazioni quando non si tenga conto dei numerosi fattori etiologici che ne sono alla base. Schematicamente le dermopatie a sede balano prepuziale possono essere classificate in: • Infettive: - Candida sp., - Ameba, - Trichomonas vaginalis, - Batteri, - Micoplasma sp., - Treponemi (B. di Folmann), - Papova virus, - Herpes virus; • DAC, ipersensibilità ad antigeni di Candida albicans, • Da farmaci: - per via generale (eritema fisso da medicamento, s.di Stevens-Johnson); - per via locale (es. Dequalinium necrosis penis); • Irritative: carenze igieniche, ritenzione di smegma o saponi, uso improprio di antisettici, detergenti ecc.; • Traumatiche: coito, masturbazione, cerniera lampo, pratiche esoteriche o tribali; • Localizzazione balano prepuziali di altre dermatosi (psoriasi, dermatite seborroica, pemfigo v.c., m. di Behçet, m. di Reiter, lichen r.p., ecc); • Neoplastiche (carcinoma, melanoma, m.di Kaposi); • Di incerta classificazione (es. B. acuta umida semplice recidivante; B. di Zoon, B. pseudoepiteliomatosa cheratosica e micacea, B. xerotica obliterante). In senso più restrittivo vengono comunemente indicate come BB solo alcune tra le citate forme infettive, da farmaci e di incerta classificazione. Faremo alcune considerazioni soltanto su alcuni dei quadri più singolari: • Tutti conosciamo le BB da Candida albicans ma meno nota è la capacita di questo lievito di determinare fenomeni di sensibilizzazione locale con conseguente BB recidivante, disabitata, in partners di donne affette. Né va dimenticata la sempre maggiore prevalenza di Candida “glabrata”, specie notoriamente resistente agli anticandidosici tradizionali. • La B. erosiva circinata di Berdal Bataille viene collegata alla s. di Reiter ma va ricordato che quadri similari possono osservarsi anche per localizzazioni psoriasiche in soggetti immuno-compromessi, o per infezioni strepto-spirillari o bacteroides-fuso-spirillari (da contatto oro-gentitale: quarta malattia venerea di Corbus). • La B. acuta umida semplice recidivante è fra le più comuni ma non chiara è la sua genesi poiché la banale flora batterica polimorfa che si rinviene non sembra in grado di giustificare la manifestazione. • La B. pseudoepiteliomatosa cheratosica e micacea di Lortat Jacob-Civatte, al contrario, è di raro riscontro e potrebbe rappresentare una reazione in senso produttivo ad uno stimolo piogenico. • La B. necrotizzante è un raro evento conseguente ad applicazione al glande di Dequalinium (base ammonica quaternaria), soprtattutto in presenza di prepuzio lungo. • La balanite gangrenosa di Fournier è una grave ed estensiva fascite necrotizzante che insorge acutamente, in soggetti immunodepressi, dopo un trauma anche di lieve entità per sovrapposizione di anaerobi (Bacteroides) + Gram negativi. • La B. plasmacellulare di Zoon, non rara, appare ancora oggi di non chiara classificazione anche se dai più viene interpretata come una 69 conseguenza di B. croniche di altra natura in condizioni di scarsa areazione locale. Sifilide • Bongiorno MR, Nicotra D, Aricò M Cattedra di Dermatologia - Unità Operativa Complessa di Dermatologia e MTS (Direttore: Prof. M. Aricò), Università degli Studi di Palermo Negli ultimi due anni presso la Clinica Dermatologica di Palermo è stato riscontrato un notevole incremento dei casi di Sifilide. In particolare, il 40% dei pazienti era affetto da sifilide in fase di silenzio clinico o paucisintomatica, e avevano consultato la struttura dermatologia per tutt’altra patologia. Il 40% presentava una sifilide florida in fase secondaria, e solo il 20% infezione luetica in fase primaria. L’età dei pazienti era compresa fra 17 e 45 anni con una età media di 34 anni. La popolazione più interessata era autoctona e solo il 25% interessava la popolazione di immigrazione. Tutti questi soggetti appartenevano ad un livello socio-culturale non elevato. I dati su riportati consigliano una attenta valutazione delle cause sociali e comportamentali del contagio; una messa a punto di un piano di interventi miranti a ridurre il rischio di contagio. Al fine di giungere in tempi brevi ad una realistica ed accurata conoscenza sulla diffusione delle patologie MTS nel territorio è necessaria una stima della rilevanza delle patologie MTS nella popolazione; impostando delle campagne di prevenzione per patologie MTS. La dermochirurgia genitale • Cervadoro G Clinica Dermatologica, Università di Pisa Si è volutamente scelto il titolo dermochirurgia genitale, per limitare giustamente il campo alla patologia di interesse dermatologico risolvibile con terapia chirurgica dermatologica in senso lato, intendendo trattare quelle lesioni strettamente di pertinenza dermatologica ma la cui risoluzione affidata al dermatologo esperto possa avvenire sia con chirurgia classica,diatermochirurgia e laser chirurgia. Esulando dal trattare, pur magari sapendola fare quella chirurgia che essendo in una zona di confine tra l’Urologia, la Ginecologia e la Chirurgia Plastica, si presta ad essere territorio di tutti. Viene fatta pertanto una rassegna delle risoluzioni chirurgiche della patologia dermatologica con sede ai genitali,maschili e femminili,invitando i colleghi a non disperdere tale patologia e trattarla,o farla trattare dai dermochirurghi, ma anche a non invadere il campo altrui augurandosi che le specialità “limitrofe” facciano altrettanto sempre nell’ambito delle proprie competenze. Le infezioni da herpes virus • Di Carlo A Ist. Dermovenereologico S. Gallicano, IRCCS, Roma L’herpes genitalis è una delle piu importanti malattie sessualmente trasmesse ed appare nel mondo in continua espansione. Responsabile nella maggior parte dei casi è l’HSV2 ed in circa il 20% l’HSV1, virus alfa-erpetici caratterizzati da neurotropismo e dalla elevata capacità replicativa. Negli ultimi 30 anni è stato osservato nei Paesi occidentali un rapido incremento della patologia erpetica con aumenti di circa 6-10 volte in Gran Bretagna ed in Usa, ed una incidenza annuale di 600.000 nuovi casi in Francia. Elevata inoltre è la percentuale di soggetti con positività degli anticorpi anti HSV-2 osservata presso i Servizi MST-AIDS. 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società Il quadro clinico è caratterizzato dalla presenza di vescicole e/o erosioni con tipica disposizione a grappolo localizzate a livello dei genitali esterni, della cervice, del retto, del perineo, e da linfoadenopatia loco-regionale. L’obiettività cutanea spesso si associa a dolore locale, prurito, disuria, secrezione uretrale e vaginale e, particolarmente nella primo-infezione erpetica, sintomatologia generale rappresentata da febbre, cefalea e mialgie. La diagnosi di laboratorio si basa attualmente sull’impiego di tecniche atte a rilevare la presenza dell’antigene (ELISA, PCR). Meno impiegati sono il test citologico (Tzanck, poco sensibile e specifico), e l’isolamento del virus in coltura tessutale. Lo studio sierologico può essere utile per valutare i partners asintomatici di pazienti affetti da herpes genitale ed in gravidanza. L’herpes genitale sintomatico iniziale, specie da primo-infezione, esordisce in maniera lieve e rapidamente evolve in una prima fase acuta della durata di 4-8 giorni caratterizzata da vescicole ed erosioni associata di frequente a sintomatologia generale. Segue una fase successiva della durata di 10-15 giorni in cui le lesioni assumono un aspetto siero-crostoso e si osserva la scomparsa dei sintomi generali. Segue infine la completa riepitelizzazione. La durata di questi episodi è in media di 2-3 settimane (rispettivamente 19,5 gg nelle donne e 16,5 negli uomini), con un massimo di intensità tra 7 e 11 giorni. Dal punto di vista virologico l’herpes genitalis è caratterizzato, specie nella forma primaria, dalla elevata escrezione di virus infettante che può perdurare anche per mesi. Le recidive che seguono all’episodio primario sono frequenti e in caso di recidiva da HSV2 il tempo mediano è di 0.34 recidive/mese. I dati di letteratura evidenziano che dopo il primo episodio sintomatico la metà dei soggetti colpiti avrà almeno 1 recidiva entro i primi 4 mesi e andrà incontro a 6-10 episodi nel corso dell’intero anno. La chemioterapia antivirale si avvale oggi di analoghi nucleosidici che agiscono interrompendo la sintesi del DNA virale attraverso l’inibizione della DNA polimerasi. L’acyclovir (Elion e Hitching, 1977) raggiunge tale effetto attraverso la biotrasformazione endocellulare, mediata dalla timidochinasi (TK), ad acyclovir monofosfato, quindi trifosfato in grado di bloccare la DNA polimerasi virale. La biodisponibilità non elevata del farmaco (15%-20%) comporta un maggior numero di somministrazioni nelle 24 ore, tuttavia esso ha una affinità 100 volte maggiore del penciclovir trifosfato per la DNA polimerasi. Il famciclovir (1995) è il diacetildiossiestere del penciclovir, analogo della guanosina, che dopo conversione a penciclovir viene fosforilato dalle TK virali e cellulari a penciclovir trifosfato, anch’esso in grado di bloccare la DNA-polimerasi virale. In vitro l’emivita intracellulare del penciclovir trifosfato è di 7-20 ore mentre in vivo la sua biodisponibilità è notevole (77%). Il valaciclovir è l’estere dell’acyclovir: ha una biodisponibità superiore di 3- 5 volte a quella dell’acyclovir e raggiunge una concentrazione ematica pari a quella dell’acyclovir endovena. La patologia ano-perianale • Donofrio P Clinica Dermatologica - Ambulatorio di Dermatologia Genitale - Università degli Studi di Napoli Federico II La regione ano-perianale è spesso sede di manifestazioni dermatologiche: si stima che circa 2 soggetti adulti su 3 soffrano di disturbi in questa sede. Prurito, bruciore, eritema, tumefazioni, sanguinamento generalmente vengono attribuiti dai pazienti e talora dagli stessi medici ad una presunta patologia di natura emorroidaria: basti pensare alla grande quantità di farmaci topici antiemorroidari prescritti e/o adoperati senza alcun riscontro clinico. Il più delle volte un corretto esame obiettivo è reso difficile sia da condizioni “ambientali” sfavorevoli che dalla reticenza del paziente a sottoporsi ad una visita “intima” ed imbarazzante. Le caratteristiche anatomiche di questa regione (stretto contatto tra le superfici cutanee; variazioni di umidità dovute ad alterazioni dello sfintere anale; ipersudorazione; scarsa igiene) possono determinare fenomeni di sfregamento e macerazione che concorrono a far assumere alle patologie dermatologiche aspetti clinici insoliti, rendendo talora difficile la diagnosi. In sede ano-perianale si possono localizzare dermatosi comuni (psoriasi, lichen planus, dermatite seborroica); manifestazioni di malattie sistemiche (rettocolite ulcerosa, amebiasi) che possono precedere o seguire anche di molti anni la malattia di base; lesioni di malattie a trasmissione sessuale (sifilide, verruche ano-genitali); quadri clinici strettamente proctologici (marische, papille, ragadi, cisti, fistole, ascessi, emorroidi); lesioni traumatiche che pongono il dermatologo in una condizione di “imbarazzo” sia nel raccogliere l’anamnesi che nel formulare la diagnosi date le peculiari caratteristiche sia anatomiche che “psicologiche” della sede. Obesità, diabete, presenza di peli in eccesso, alterazioni anatomiche (ano ad imbuto) rappresentano condizioni favorenti la comparsa di patologie dermatologiche. Le patologie in sede ano-perianale vengono generalmente tenute nascoste dal paziente, per cui anche se nella nostra professione ci viene insegnato a “guardare” sempre avanti a volte una “guardatina” dietro non guasta. 71 La detersione della cute e delle mucose genitali • Grandolfo M Unità di Dermatologia, Dipartimento di Medina Interna, Immunologia e Malattie Infettive, Università di Bari In passato la parola igiene intima era semplicemente sinonimo di pulizia. Oggi, con l’ampliamento delle conoscenze scientifiche, il termine ha acquisito un significato più ampio e comprende tutto ciò che serve come prevenzione; infatti, se parliamo di igiene, facciamo riferimento a tutte quelle pratiche utili a mantenere in eccellente stato di salute gli organi genitali e in buona efficienza le loro funzioni. Le aree genitali maschili e femminili, anche se diverse anatomicamente, devono essere curate igienicamente per salvaguardare la loro specifica microflora, il loro pH e le loro stesse secrezioni. La detersione intima deve eliminare l’eccesso di secrezioni e materiale cellulare, ridurre la flora batterica residente ed esterna, non irritare e sensibilizzare, rispettare le condizioni fisiologiche delicate e variabili della sede genitale. A quest’ultimo proposito, si deve tenere conto del pH vulvo-vaginale e di come esso varia nelle diverse età della donna. Il detergente intimo deve possedere una reazione acida in età fertile e neutra o debolmente alcalina in età pre-puberale e in menopausa. La scelta dei tensioattivi deve escludere quelli troppo schiumogeni e delipidizzanti, dotati di azione irritante. Deve contenere estratti vegetali, quali quelli di equiseto, camomilla, salvia e altre sostanze dotate di azione emolliente, idratante e lenitiva. Bibliografia • Vignini M., Pelfini C. Feminine hygiene both daily and in relation to sexual intercourse. In: Cosmetic Dermatology. Morganti P., Ebling F.J.G., eds, 1991; 2: 235-43. • Scuderi R. Detersione al femminile. La Pelle, 2002; 5: 29. • Panin G. Principi di cosmesi pediatrica. Coop. Libraria Editrice Università di Padova, 2002. Lichen sclerosus • Micali G, Nasca MR Clinica Dermatologica, Università di Catania Il lichen sclerosus (LS) è un’affezione cutanea e/o mucosa, a carattere infiammatorio e decorso cronico e recidivante, ad etiologia sconosciuta e patogenesi non ancora completamente definita, che coinvolge principalmente l’area genitale ed occasionalmente l’area extragenitale. Clinicamente, è caratterizzato dalla presenza di macule o papule di colorito biancastro e di aspetto atrofico, spesso multiple e confluenti in placche, le quali in soggetti di sesso maschile interessano per lo più il glande e/o il prepuzio, associandosi sovente a fimosi e/o stenosi del meato uretrale, e configurando il quadro descritto in letteratura con il termine di balanite xerotica obliterans. Istologicamente, è contraddistinto da atrofia epidermica con degenerazione idropica delle cellule basali, e da una banda di ialinizzazione edematosa nel connettivo subepidermico associata ad un infiltrato flogistico di cellule mononucleate. Sebbene la sua prognosi sia generalmente benigna, il LS genitale è stato, a differenza di quello extragenitale, correlato ad un significativo rischio di trasformazione carcinomatosa sia nelle donne, in cui l’insorgenza di un carcinoma invasivo su LS vulvare è osservata nel 3-6% dei casi, che negli uomini, nei quali il ruolo predisponente del LS genitale verso l’insorgenza del carcinoma del pene è complessivamente meno delineato. D’altro canto, reperti tipici di LS sono stati spesso istologicamente identificati in prossimità di carcinomi sia della vulva che del pene, mentre altri studi hanno segnalato la possibile presenza nel LS di un’anomala espressione di taluni markers tumorali. Sulla base di tali osservazioni, viene pertanto suggerita l’esistenza, sia nell’uomo che nella donna, di un subset di carcinomi genitali (vulvare e del pene) non HPV-correlati ed associati in misura statisticamente significativa al LS genitale. L’AIDS ed il dermatologo • Valenzano L Istituto Dermatologico S. Gallicano, Roma Ancora oggi, all’inizio del terzo millennio, lo Specialista Dermatologo è fortemente coinvolto nelle problematiche clinico-scientifiche e gestionali dell’AIDS. La malattia da HIV ha compiuto un lustro di vita ed ha certamente subito profonde modificazioni in rapporto a vari fattori, favorevolmente influenzata dalle sempre più efficaci ed innovative terapie antiretrovirali. La terapia HAART, introdotta nel 1996, mediante il controllo della replicazione virale ritarda e riduce l’immunocompromissione e quin- 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società di rallenta notevolmente l’evoluzione della malattia. Si è ottenuto finora una prognosi meno sfavorevole con minor incidenza di patologie opportunistiche e di conseguenza una migliorata aspettativa e qualità di vita dei pazienti. Ma il ripristino delle difese immunitarie, la cosiddetta “immunorestoration disease” e la relativa prolungata sopravvivenza dei pazienti sono a loro volta responsabili di tutta una serie di patologie e di implicazioni dermatologiche che ancora costituiscono una vera e propria sfida aperta per il clinico. Infatti, in rapporto alle nuove e più efficaci terapie, sono state segnalate, con percentuali variabili dal 10 all’80% a seconda delle varie statistiche, importanti alterazioni metaboliche, antiestetiche modificazioni della ridistribuzione del tessuto sottocutaneo, gravi reazioni da farmaci ed, in assai minor misura, anche un aumento di alcune patologie neoplastiche cutanee ed una variazione della loro tipologia. Questa realtà è però presente solo nei Paesi a più alto tenore socio-economico e al contrario, nella maggior parte dei paesi del mondo dove la pandemia da HIV è ancora in aumento ed ha raggiunto livelli assai elevati (Africa sub-sahariana, Sud-Est asiatico, America centro-meridionale, Europa dell’Est ecc), le espressioni dermatologiche e le relative implicazioni nella stragrande maggioranza dei pazienti sono quelle definite della fase pre-HAART. Poiché infine da tali Regioni è in atto una continua ed incontrollata migrazione forzata alla ricerca anche di terapie non facilmente fruibili nei luoghi di origine, ben si comprende come gli attuali problemi anche in Italia e per il Dermatologo sono molti e di difficile soluzione. I linfomi cutanei: la clinica • Baliva G ed il Gruppo di studio dei linfomi cutanei dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata Istituto Dermopatico dell’Immacolata, IRCCS, Roma I problemi clinici che si pongono al curante che affronta i pazienti con linfoma cutaneo sono numerosi e non ancora risolti. Nuove analisi molecolari ed immunofenotipiche mirate, con i dati provenienti dall’esperienza clinica e dall’elaborazione epidemiologica sono fondamentali per generare nuove conoscenze, scoprire nuovi meccanismi patogenetici ed individuare nuove possibilità terapeutiche. La stessa nuova classificazione dei linfomi dell’OMS riconosce autonomia ai linfomi cutanei, recependo indicazioni già avanzate dall’EORTC nel 1998: questo è uno strumento di lavoro che tiene conto non solo dell’istopatologia ma anche degli aspetti clinici evolutivi e prognostici della patologia linfoproliferativa, consentendoci scelte terapeutiche più appropriate alla maggiore o minore gravità della malattia. Una delle innovazioni della class. OMS è il riconoscimento della S. di Sezary come entità autonoma. Su questa sindrome abbiamo nel nostro Istituto focalizzato l’attenzione negli ultimi anni. Nell’ambito del linfoma T eritrodermico uno dei problemi clinici principali è rappresentato dal riconoscimento della presenza o meno e dalla quantizzazione del clone tumorale circolante. La rilevazione di questo dato è essenziale per le scelte terapeutiche. Sui criteri diagnostici della Sindrome di Sezary non è stato raggiunto ancora un accordo dall’International Society for Cutaneous Lymphomas. A tutt’oggi il consenso sui criteri ematologici per la diagnosi di SS(B2 stadio IVA) è rappresentato dai seguenti punti: conta citomorfologica cell.Sez>1000; rapporto CD4/CD8>10; deficit markers panT (CD2,CD3,CD4,CD5,); popolazione CD4+CD7- e/o CD4+CD26- >33%; conta citomorfologica cell.Sez. >20% dei linfociti tot. e monoclonalità (Southern Blot, PCR); aberrazioni cromosomiche nel clone T linfocitario. L’analisi della clonalità non rappresenta un problema se si adottano le tecniche molecolari e immunofenotipiche adeguate. Tralasciando le tecniche molecolari ci soffermeremo sull’utilizzazione dell’analisi del repertorio del T Cell Receptor V beta in citofluorimetria. Questo è un utile e semplice metodo diagnostico che potrebbe da solo, in presenza dei segni clinici, consentire la diagnosi di SS in sostituzione degli altri criteri di laboratorio. Nonostante i notevoli progressi nella diagnostica, i risultati terapeutici in questa malattia, a causa delle scarse conoscenze sulla sua patogenesi, sono tuttora insoddisfacenti. L’analisi con microarrays Affymetrix, che stiamo conducendo all’IDI su 18 pazienti, potrebbe rappresentare uno strumento utile alla definizione di profili di malattia e di nuovi meccanismi patogenetici alla base dei linfomi cutanei a cellule T.. Una patologia così rara va studiata in collaborazione tra molti centri. Inoltre i dati vanno inseriti in banche dati per una facile consultazione ed analisi. Nel nostro Istituto abbiamo un Data-Base informatico contenente i dati di 390 pazienti a partire dal 1980, correlato con tumor-bank (tissutale e linfomonocitario) e siero criopreservato, e con archivio fotografico digitalizzato. Dall’analisi dei dati dei pazienti con Micosi Fungoide è emerso che il numero dei linfociti CD8+ circolanti e di GB al momento del reclutamento sono fattore predittivo di sopravvivenza. Pazienti con alti GB (≥9000 cell/microL) e bassi CD8+ (<250 cell/microL) hanno un rischio di mortalità (22.4% sopravvivenza a 5 anni) maggiore del gruppo con bassi GB (<6000 cell/microL) e alti CD8+ (>600 cell/microL) (88.9% sopravvivenza). 73 Attualità in tema di terapia dei linfomi cutanei • Bertani E, Guizzardi M Unità Operativa di Dermatologia - Azienda Ospedaliera di Gallarate I linfomi primitivi cutanei sono un gruppo eterogeneo NH a cellule T e B con una marcata variabilità di presentazione clinica, di istologia, di immunofenotipo e prognosi. Dopo i linfomi del tratto digerente sono i più comuni NHL extranodali, con un’incidenza compresa tra 0,5 e 1,0 per 100.000. I linfomi primitivi cutanei sono quei NHL che si presentano nella cute senza concomitante interessamento extracutaneo al momento della diagnosi e per almeno sei mesi dal momento della diagnosi. La terapia si basa sul loro stato evolutivo. Per i linfomi cutanei a cellule T la terapia degli stadi iniziali (chiazze - placche) è la seguente: • corticosteroidi topici ad elevata potenza che agiscono sul ricettore citoplasmatico dei glicocorticoidi che, attivato, regola l’attivazione o l’inattivazione trascrizionale dei geni nucleari che mediano l’apoptosi; • retinoidi topici (bexarotene) che agiscono bloccando la proliferazione e favorendo l’apoptosi dei linfociti neoplastici; • monochemioterapia topica (mostarde azotate: mecloretamina, agente altamente alchilante che inibisce la sintesi del DNA dei linfociti che infiltrano la cute); • carmustina (BCNU), agente alchilante che inibisce la sintesi del DNA dei linfociti che infiltrano la cute; • fototerapia UVA a onda lunga (340-400 nm): induce l’apoptosi dei linfociti che infiltrano l’epidermide e il derma superficiale; • fotochemioterapia (PUVA): induce l’apoptosi dei linfociti che infiltrano la cute; • radioterapia (fino a 40 GY nelle forme localizzate, total skin electron beam radiation nelle forme diffuse). Per Micosi Fungoide con mucinosi follicolare la terapia è la seguente: • radioterapia, fototerapia con PUVA e chemioterapia topica con carmustina. Per Reticulosi Pagetoide la terapia è la seguente: • escissione chirurgica, fotochemioterapia e radioterapia. Per CTCL a grandi cellule CD30+: • nelle forme localizzate: escissione chirurgica o radioterapia a basso dosaggio; • nelle forme diffuse: chemioterapia. Per Papulosi Linfomatoide: • nelle forme modeste: corticosteroidi topici; • nelle forme impegnative: corticosteroidi sistemici, PUVA-terapia, radioterapia a basso dosaggio, methotrexate. Nella MF avanzata e nella sindrome di Sèzary la terapia è costituita dai retinoidi sistemici (acitretina, isotretinoina, bexarotene) oppure fotoferesi extracorporea: terapia immunostimolante che si basa sulla esposizione extracorporea delle cellule periferiche mononuclate all’8-MOP fotoattivato con successiva reinfusione al paziente delle cellule trattate. • Monochemioterapia: con analoghi delle purine; • Polichemioterapia con vicop-b (etoposide, idarubicina, ciclofosfamide, vincristina, prednisone e bleomicina), CHOP; • trapianto di cellule staminali; • anticorpi monoclonali: alemtuzumab. Per Granulomatous Slack Skin: • escissione chirurgica o radioterapia. Terapia dei linfomi a cellule B del centro follicolare Terapia antibiotica se concomita infezione da B. Burdorgferi: • nelle forme localizzate escissione chirurgica o radioterapia locale o INF-alfa2a intralesionale oppure rituximab intralesionale; • nelle forme diffuse: radioterapia multifocale rituximab sistemico e polichemioterapia con CHOP o CHOP-simili. 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società Terapia dei linfomi a cellule B della zona marginale (immunocitoma) • Terapia nelle forme localizzate: escissione chirurgica, radioterapia, escissione chirurgica più radioterapia, INF-alfa2a intralesionale • Nelle forme diffuse: monochemioterapia non aggressiva: chlorambucil oppure polichemioterapia non aggressiva con chlorambucil più prednisone, oppure ciclofosfamide più vinc ristina più prednisone, oppure polichemioterapia aggressiva: CHOP fludarabina più VP16. Terapia dei CBCL a grandi cellule della gamba • Nelle forme localizzate: escissione chirurgica o radioterapia; • nelle forme multifocali: polichemioterapia con CHOP o CHOP-simili. In tema di TBC cutanea: attualità cliniche • Valenzano L Istituto Dermatologico S. Gallicano, Roma La tubercolosi (TBC) è ancora un grave problema medico e socio-economico in molti paesi del mondo: è infatti la seconda causa di morte per patologia infettiva nella popolazione adulta mondiale. Di riflesso anche la TBC cutaneo-mucosa è quindi tornata all’osservazione dei Dermatologi negli USA ed in molte grandi nazioni europee (Germania, Francia, Spagna, Italia, ecc.). Contrariamente a quanto avviene nei paesi a più alta incidenza di TBC cutanea (India, Pakistan e altri paesi tropicali e subtropicali) ove prevalgono lo scrofuloderma, la TBC verrucosa e la ulcerosa, specie in età giovanile o infantile, è oggi prevalente nei nostri climi e negli adulti il lupus volgare che da solo rappresenta oltre il 60% di tutte le forme di TBC cutanee osservate e che può assumere un notevole polimorfismo espressivo, come è evidenziabile anche nella nostra casistica. Di eccezionale riscontro nella pratica clinica sono invece le tuberculidi (papulo-necrotiche, lichen scrofulosorum ed eritema indurato di Bazin) quali espressioni iperergiche cutanee provocate da antigeni provenienti da focolai tubercolari viscerali, spesso ignorati. In rapporto alla pratica della vaccinazione tubercolare ed al sempre crescente impiego del bacillo di Calmette-Guérin (BCG) nei protocolli di immunoterapia anche in campo oncologico, è infine possibile osservare talune complicazioni cutanee secondarie specifiche (ascesso, adenite, lupus volgare, TBC verrucosa, TBC gommosa, BCGite localizzata o disseminata e tuberculidi) o aspecifiche (rash, orticaria, eczema, eritema nodoso, eritema polimorfo e proliferazioni benigne). Vengono quindi illustrati gli aspetti clinici più tipici e significativi di una casistica di 36 casi (17 M e 21 F) da noi raccolta nell’arco di 3 anni. Dye laser: applicazioni non convenzionali • Bencini PL AIDA-GILD, Milano Il dye laser rappresenta oggi il laser vascolare per antonomasia grazie alla sua estrema selettività; ma accanto agli impieghi classici, le sue lunghezze d’onda (585-600nm) sono in grado di trattare patologie ed in estetismi dermatologici non vascolari: • modulazione delle cicatrici recenti e prevenzione dei cheloidi • trattamento dei cheloidi e delle cicatrici ipertrofiche • trattamento delle strie distense • trattamento degli esiti eritematosi acneici • fotoringiovanimento del volto • trattamento dell’acne attiva In tutte queste applicazioni la procedura è diversa da quella standardizzata per le patologie vascolari: si impiegano infatti basse fluenze variabili a seconda dello spot utilizzato e delle durate d’impulso selezionate. L’autore discute i risultati della proprie casistica in riferimento alla letteratura internazionale 75 Lesioni pigmentate e tatuaggi: trattamento laser • Bencini PL AIDA-GILD, Milano Le strutture patologiche responsabili dell’alterazione cromatica delle lesioni pigmentarie benigne e dei tatuaggi sono molto piccole (melanosoma e pigmenti esogeni) e pertanto caratterizzate da un TRT estremamente breve. Si impiegano, quindi, laser particolari, chiamati Q-switched (in grado di emettere impulsi della durata di nanosecondi con potenze di picco nell’ordine dei megawatt), che determinano la distruzione del target principalmente con meccanismi fotomeccanici e non cogulatori. Lesioni pigmentarie Cromoforo. È principalmente la melanina contenuta all’interno dei melanosomi, che hanno un trt attorno ai 100nsec. La melanina assorbe un’ampia gamma di radiazioni luminose, la scelta della lunghezza d’onda ottimale dipende quindi dalla profondità di localizzazione del pigmento. Lesioni epidermiche (lentigo, efelidi, chiazze caffè-latte, nevus spilus, melasma epidermico). Si utilizzano laser Q-switched con lunghezza d’onda breve (nell’ordine: KTP 532 nm, rubino, alessandrite). Prudenza nel trattamento del nevus spilus (rischio di degenerazione melanomatosa?). Particolare attenzione al melasma (in tutte le sue varietà) che dà risultati incostanti e recidive frequentissime. Lesioni dermo epidermiche (Cloasma misto, iperpigmentazione post infiammatoria melanica, nevo di Becker). Si utilizzano Q-switched laser alessandrite e Nd-YAG 1064 nm. Nel caso del nevo di Becker è necessario utilizzare anche un laser long-pulse per trattare l’ipertricosi associata. Lesioni dermiche (Nevi fascicolati dermici, nevo di Ota, Ito e chiazze mongoliche). Si consiglia di utilizzare come prima scelta il laser NdYAG, per le sue caratteristiche di penetrazione, o in alternativa laser ad alessandrite. Nevi nevocellulari giunzionali e composti. Si sconsiglia l’impiego di sorgenti luminose con laser selettivi per la mancata possibilità di documentazione istologica e per le possibilità di recidive amelanotiche, che impediscono un’accurata sorveglianza clinica. Tatuaggi Scelta della lunghezza d’onda. La sorgente laser va scelta in base alla capacità del pigmento (cioè del suo colore) di assorbire selettivamente determinate bande luminose. • Pigmenti neri: per fototipi scuri è preferibile utilizzare la lunghezza d’onda 1064 nm. • Blu-verde: hanno un picco di assorbimento per le lunghezze d’onda comprese fra 625 e 755 nm. Utilizzare laser rubino od alessandrite • Rosso, arancione, bruno, viola, colori carnei: laser KTP 532 nm • Giallo: riflette le l.o > 520 nm. Tentare con KTP 532 nm. Problematiche Numero di sedute: il numero di sedute è estremamente variabile. L’intervallo ottimale fra le singole sedute è ritenuto di 4-6 settimane. Effetti collaterali: • Microcicatrici • Iper ed ipopigmentazioni • Persistenza profonda del pigmento • Annerimento del tatuaggio (per tatuaggi carnei contenenti pigmenti ferrici) Luce pulsata incoerente ad ampio spettro (IPLS): nozioni di base • Bencini PL AIDA-GILD, Milano Questa metodica utilizza come sorgente luminosa una lampada flash, che genera una luce ad ampio spettro e quindi estremamente diversa dalla luce laser, non essendo monocromatica, nè coerente, nè collimata. L’emissione è pulsata con durata degli impulsi variabile da 2 a 25 msec, mentre la densità di energia emessa dai 3 ai 90 J/cm2, grazie a modalità di emissione di impulsi singola, doppia o tripla, con pause tra un impulso e l’altro estremamente variabili (da 2 a 100 msec). Per ovviare alla totale assenza di selettività queste apparecchiature sono dotate di particolari filtri colorati in grado di tagliare le lunghezze d’onda non desiderate. 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società • Vantaggi: grande versatilità del sistema in grado di emettere un ampio frange di lunghezze d’onda, durate di impulso e di intervalli tra un impulso e l’altro. • Svantaggi: Numerosi parametri di scelta, che richiedono un lungo periodo di addestramento, frequenze di ripetizione estremamente lente (ogni 8 secondi). Le principali indicazioni della metodica sono rappresentate da: • lesioni vascolari ed epilazione: La durata di impulsi nell’ordine dei millisecondi, cioè entro i limiti del TRT dei vasi e dei peli, e la possibilità di utilizzare svariate lunghezze d’onda con un ampio range di lunghezze d’impulso (che bene si adattano alla enorme varietà delle strutture da trattare) bene si prestano al loro utilizzo nella patologia vascolare cutanea e nella epilazione. • lesioni pigmentate e tatuaggi: Le apparecchiature oggi esistenti emettono impulsi estremamente superiori (>1.000.000 volte) a quelle del TRT del melanosoma e dei pigmenti impiegati per i tatuaggi, che appartengono all’ordine di grandezza dei nanosecondi. Pertanto queste considerazioni non consigliano l’impiego di questa tecnica come trattamento di scelta. • fotoringiovanimento non ablativo del volto: Rappresenta una delle indicazioni più recenti con risultati buoni soprattutto sulla componente vascolare del fotoaging. • decorso post-operatorio: Durante la seduta possono manifestarsi lesioni eritemato-edematose e vescicolose. È necessario che il paziente eviti l’esposizione a sorgenti ultraviolette e mantenga una adeguata fotoprotezione per almeno 4 settimane dal trattamento. Trattamento laser delle malformazioni vascolari • Bonan P*, Campolmi P, Cannarozzo G* U.O. Fisioterapia Dermatologica, Dip. Scienze Dermatologiche, Università degli Studi di Firenze; *AIDA-GILD Sono ormai numerosi i laser che, sfruttando i picchi di assorbimento dell’emoglobina, sono in grado di trattare numerose lesioni vascolari acquisite e congenite. L’introduzione dei laser “pulsati” basati sulla teoria della fototermolisi selettiva (1), ha permesso una distruzione termica “mirata” del target vascolare attraverso l’utilizzo di lunghezze d’onda ben assorbite dal cromoforo bersaglio e di durate di impulso il cui confine spaziale, contenuto all’interno del tempo di rilasciamento termico (TRT) dell’intera struttura vascolare, permette una efficace trattamento con basso rischio di effetti indesiderati. Non esiste attualmente un sistema “unico” ed “elastico” in grado di adattare, caso per caso, i parametri operativi alle caratteristiche clinico-istologiche delle anomalie vascolari (teleangectasie del volto, angectasie degli arti inferiori,malformazioni congenite, emangiomi etc.). Sono quindi disponibili sul mercato vari sistemi laser e sorgenti di luce pulsata la cui utilizzazione conduce a risultati variabili a seconda del tipo di sistema, dell’esperienza dell’operatore e delle caratteristiche della lesione da trattare (2-6). È quindi necessaria una adeguata conoscenza teorico-pratica dei vari sistemi e delle loro variabili operative per poter gestire adeguatamente ogni lesione vascolare tenendo conto delle rispettive caratteristiche anatomiche, funzionali ed emodinamiche. Gli autori riportano la loro esperienza nel trattamento di numerose lesioni vascolari e suggeriscono i criteri che conducono alla scelta del sistema, al protocollo operatorio ed alla valutazione dei risultati in termini di efficacia ed effetti collaterali. Bibliografia • 1Anderson RR, Parrish JA. Selective photothermolysis: precise microsurgery by selective absorbtion of pulsed radiation. Science 1983; 220:524. • 2Goldmann MP, Fitzpatrick RE: Laser treatment of cutaneous vascular lesions. In: Cutaneous Laser Surgery: the art and science of selective photothermolysis, Goldmann MP, Fitzpatrick RE eds cap 2°, pag. 19, IInd edition Mosby St Louis 1999 • 3Dover JS, Arndt KA: New Approaches to the treatment of vascular lesions. Laser Surg Med 2000; 26: 158-163 • 4Bonan P, Campolmi P, Cannarozzo G: Trattamento laser delle lesioni vascolari cutanee. In Campolmi P, Bonan P, Cannarozzo G: Laser e sorgenti luminose in dermatologia, ed. Masson, Milano 2003, 41-51 • 5Cannarozzo G, Bonan P: I Laser in Dermatologia. Aggiornamenti per il I° Corso di Formazione Professionale Permanente in Dermatologia 2000; 20-28. • 6Major A, Brazzini B, Campolmi P, Bonan P, et al: Nd: YAG 1064 nm laser in the treatment of facial and leg teleangectasias. JEADV 2001; 15: 559-565. 77 Trattamento laser degli epiteliomi basocellulari con citologia seriata ed esame istologico • Campolmi P, Bonan P*, Mavilia L, Cappugi P, Cannarozzo G* U.O. Fisioterapia Dermatologica, Dip. Scienze Dermatologiche, Università degli Studi di Firenze; *AIDA-GILD Il carcinoma basocellulare è la neoplasia più comune nei soggetti caucasici. Colpisce per lo più soggetti in età superiore ai 50 anni e può interessare qualsiasi distretto cutaneo anche se più frequentemente interessa le zone fotoesposte. I trattamenti più frequenti sono la diatermocoagulazione, l’escissione chirurgica la crioterapia la radioterapia. La recente introduzione di nuovi Sistemi laser ha permesso l’applicazione di questi strumenti nel trattamento di numerose patologie dermatologiche fra cui i basaliomi. Nel nostro studio abbiamo valutato l’efficacia del Laser CO2, impiegato in regime superpulsato nel trattamento di 150 casi di carcinoma basocellulare con un controllo citologico e istologico. In base alla nostra esperienza li Laser CO2 impiegato in regime superpulsato si è dimostrato un valido strumento in alternativa alle terapie più tradizionali. Sottolineamo però che l’efficacia di questo trattamento è solo per i carcinomi basocellulari nodulari di piccole dimensioni o superficiali anche estesi o multipli localizzati in sedi facilmente aggredibili. In particolare questa tecnica garantisce efficacia terapeutica, guarigione in tempi rapidi e buoni risultati estetici. Laser chirurgici: teoria e pratica • Cannarozzo G*, Bonan P*, Campolmi P U.O. Fisioterapia Dermatologica, Dip. Scienze Dermatologiche, Università degli Studi di Firenze; *AIDA-GILD Negli ultimi dieci anni, con l’evolversi della tecnologia nel settore dei laser chirurgici, si è resa possibile una maggiore utilizzazione della conversione dell’energia elettromagnetica in calore. Come è noto l’innalzamento termico determina a seconda della temperatura raggiunta in un certo volume vari effetti come coagulazione, vaporizzazione o ablazione. Nella pratica dermatologica, i laser chirurgici sono diventati uno strumento largamente utilizzato. Indipendentemente dalle caratteristiche ottiche del tessuto, dalla sua conduttività termica e dalla presenza di fluidi in circolazione, la variazione soprattutto della lunghezza d’onda, della durata d’impulso e della frequenza ha permesso di realizzare laser chirurgici in grado di sfruttare il massimo effetto ablativo sulla lesione dermatologica riducendo al minimo il danno termico ai tessuti contigui perilesionali. I principali laser chirurgici come il CO2 (10,600 nm) ed Er:YAG (2,940 nm), che emettono nella regione dello spettro del lontano infrarosso (1400 nm-1 mm) dove è prevalente l’assorbimento da parte delle molecole di acqua, agiscono attraverso la vaporizzazione del tessuto per l’evaporazione dell’acqua in esso contenuta. L’assorbimento da parte dell’acqua determina una penetrazione nei tessuti che varia dai pochi micron del laser Er:YAG a qualche micron del laser CO2. Gli autori riportano l’esperienza clinica degli ultimi 5 anni nell’uso dei laser CO2 ed Er:YAG con il progressivo perfezionamento, sia della tecnica di trattamento, che del sistema laser. I soddisfacenti risultati ottenuti in numerose indicazioni dermatologiche suggeriscono la necessità di una adeguata esperienza operativa e di una opportuna conoscenza delle interazioni laser-tessuto. Selezionando correttamente i parametri operativi, si può distruggere il bersaglio voluto, limitando i danni ai tessuti sani circostanti. Su queste basi fisiche ed operative saranno descritte le indicazioni, le tecniche, i vantaggi e i limiti che i due laser chirurgici presentano. Bibliografia essenziale • Bonan P., Campolmi P., Cannarozzo G., Bellini M., Vallecchi C. Superpulsed CO2 laser operative parameters: advantages and clinical applications in dermatology. In: Abstract Book of Dermatology 2000. Vienna, 1993: 279. • Cannarozzo G., Bonan P. I Laser in Dermatologia. Aggiornamenti per il I° Corso di Formazione Professionale Permanente in Dermatologia 2000; 20-28. • Dover JS, Arndt KA, Geronemus RG, Alora MBT. Illustred Coutaneous & Aesthetic Laser Surgery. Appleton & Lange, 2000. pp:23-80. • Bonan P, Campolmi P, Cannarozzo G. Trattamento laser delle lesioni vascolari cutanee. In Campolmi P, Bonan P, Cannarozzo G: Laser e sorgenti luminose in dermatologia, ed Masson, Milano 2003, 17- 40. 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società Trattamento delle teleangectasie del volto • Galimberti MG AIDA-GILD, Milano Le teleangectasie definiscono varicosità dei piccoli vasi superficiali dermici visibili ad occhio nudo sulla superficie cutanea. La terapia ideale dovrà essere efficiente e scevra di effetti collaterali e cicatriziali, dato il rilevante motivo estetico che porta i pazienti al trattamento. Importante è il colloquio preliminare col paziente per capire quali siano le sue aspettative, chiarire risultati ed effetti collaterali, soprattutto se le dilatazioni capillaro-venose coesistono con una condizione eritrosica diffusa. In questo caso è essenziale chiarire se il paziente voglia un miglioramento delle singole teleangectasie,dell’eritrosi o di entrambe. Trattamenti tradizionali Microscleroterapia: indicata soltanto su ectasie venulari del volto superiori a 0,4mm di diametro. Il limite della metodica è soprattutto dovuto ai patterns di drenaggio venulare distale, come il plesso retro-orbitario e il circolo endocranico, nei quali possono essere convogliati gli agenti sclerosanti con importanti effetti collaterali. Diatermochirurgia: rischi di necrosi cutanee puntate o lineari che possono dare esiti cicatriziali. Trattamenti laser Dye-laser: sia il dye laser tradizionale (585nm, 450µsec) che i dye lasers long pulse (585-600nm, 1.5-msec, 595nm 1.5-40msec) sono molto efficaci. Il limite consiste nella porpora post-operatoria. La metodica è ideale per trattare eritrosi o teleangectasie molto diffuse, sottili e ravvicinate, essendo dotato di spot piuttosto grandi. Con l’introduzione dei dye lasers long pulse la porpora post-operatoria è meno intensa e meno duratura. KTP 532nm long pulse: laser ad impulso variabile (1-50msec) con lunghezza d’onda di 532nm, che è ben assorbita dalla emoglobina e dalla melanina. Purtroppo ha una breve lunghezza di estinzione e risulta poco penetrante. Occorrono trattamenti più numerosi rispetto al dye laser per ottenere lo schiarimento dei vasi, ma l’assenza di porpora post-operatoria lo rende accettabile da parte dei pazienti. Nd:YAG ad impulso lungo, laser a diodi: queste lunghezze d’onda maggiori possono trattare anche vasi moderatamente profondi e di calibro variabile, quali quelli dell’ala del naso. Le fluenze usate sono elevate e necessitano quindi di un sistema di raffreddamento. Altri lasers: argon laser, laser a vapori di rame e kripton laser. Questi laser non vengono oggi più impiegati a causa dell’alta incidenza di esiti cicatriziali, che li rende meno idonei al trattamento delle teleangectsie sottili del volto, anche se con la introduzione degli scanner questa incidenza si è parzialmente ridotta. Luce incoerente pulsata ad ampio spettro: non è un laser ed emette un ampio range di lunghezze d’onda e di durate di impulso potenzialmente utili per trattare l’ampia varietà di teleangectasie. Gli svantaggi di questo dispositivo sono rappresentati dall’ampia gamma di variabili da “settare” per ottenere un trattamento efficace e quindi dal lungo addestramento necessario all’operatore per utilizzare la macchina. Luce pulsata: applicazioni in dermatologia • Pugliese S AIDA-GILD, Monopoli (BA) La luce pulsata incoerente ad ampio spettro (I.P.L.) è una recente metodica che utilizza come sorgente una lampada flash in grado di emettere un fascio luminoso pulsato, ad altissima potenza, che non ha le caratteristiche del laser, in quanto non collimato e non coerente. Il raggio luminoso emesso è ad ampio spettro (tra 515 e 1200 nm) e, con l’ausilio di opportuni filtri, la lunghezza d’onda emessa può essere opportunamente tagliata in funzione del target da colpire. Questo particolare, non di scarso significato pratico, rende la metodica estremamente versatile in campo dermatologico, nel trattamento di variegate patologie quali le vascolari, l’invecchiamento cutaneo nelle sue varie manifestazioni cliniche, le lesioni discromiche ed in particolare quelle ipercromiche, le smagliature, le cheratosi attiniche, senili e seborroiche ed in tante altre condizioni cliniche anche di interesse dermoestetico quali ad esempio l’ipertricosi. La validità terapeutica è, in alcune di queste condizioni, già avvolorata dalla letteratura internazionale mentre è ancora in corso di validazione per altre. L’Autore, prendendo spunto da queste premesse ed in virtù della personale esperienza, corredata da una carrellata di quadri clinici variegati trattati, esterna le sue considerazioni sull’utilizzo della luce pulsata in dermatologia rifuggendo dall’enfasi che ordinariamente avvolge ogni nuova metodica ma anche dai facili pregiudizi di chi è restio ad avvalorare le nuove metodologie, mettendo in risalto van- 79 taggi ma anche limiti di questa nuova affascinante proposta terapeutica. Sarcoma di Kaposi • Aricò M, Bongiorno MR Cattedra di Dermatologia - Unità Operativa Complessa di Dermatologia e MTS, Università degli Studi di Palermo Il sarcoma di Kaposi è una malattia sistemica che si manifesta nella cute con macule violacee che tendono a progredire verso papule, placche e noduli. Tutte queste espressioni sono caratterizzate da una proliferazione di cellule di aspetto endoteliale. Vi è una buona correlazione fra il quadro clinico e gli aspetti istopatologiche fra le differenti fasi della malattie anche se non vi sono differenze istopatologiche fondamentali fra le varie forme cliniche del sarcoma di Kaposi. Le forme maculari sono caratterizzate da un infiltrato di cellule monucleate perivascolari e un incrementato numero di spazi vascolari frastagliati delimitati da cellule endoteliali sottili. Queste strutture mostrano una tendenza ad avvolgere preesistenti strutture annessiali o vasi sanguigni assumendo l’aspetto del cosiddetto “segno del promontorio”. Cellule infiammatorie, principalmente linfociti e plasmacellule, si osservano in corrispondenza di questi nuovi vasi neoformati. Gli aspetti istopatologici su riferiti assurgono ad un vero e proprio segno specifico per le lesioni maculose del sarcoma di Kaposi. L’infiltrato infiammatorio può variare non solo in relazione al tipo di lesione, ma anche in relazione al momento patogenetico che ha scatenato le quattro distinte varianti del sarcoma di Kaposi. Nelle lesioni a placca la proliferazione vascolare coinvolge il derma superficiale e profondo e si accompagna a proliferazione di cellule fusate che si organizzano in cordoni e fasci intorno agli spazi vascolari. Vi è marcata estravasione di eritrociti e deposito di emosiderina, indentazione di spazi vascolari abnormi con elementi vascolari normali. Nei noduli la componente di cellule fusate predomina formando larghi aggregati. Atipie nucleari, pleomorfismo e figure mitotiche possono essere osservate, ma usualmente esse sono non preminenti. Angiomatosi bacillare-like/bartonellosi • Borroni G Clinica Dermatologica dell’Università degli Studi di Pavia, IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia Le infezioni umane da Bartonella spp. sono generalmente considerate patologie emergenti note per interessare tipicamente, ma non esclusivamente, i pazienti immunocompromessi, ed in particolare sia quelli affetti da HIV che quelli sottoposti a trapianto d’organo o affetti da malattie oncoematologiche. Descriviamo 3 pazienti, due giovani e un adulto, sottoposti a trapianto di midollo osseo per malattie oncoematologiche, tutti e tre con storia di GvHD della mucosa orale nel periodo successivo al trapianto, che hanno sviluppato in seguito lesioni vegetative e pseudomembranose sulla mucosa orale. Al momento della prima osservazione di tali lesioni erano tutti in discrete condizioni generali e in terapia con Ciclosporina A. L’esame istologico eseguito su biopsie delle lesioni al cavo orale ha mostrato un infiltrato infiammatorio misto composto principalmente da neutrofili e senza vasculite, ma con diffusa leucocitoclasia ed esaltata neogenesi vascolare. Questo quadro istologico, solo a prima vista assimilabile ad un tessuto di granulazione, ma in realtà sovrapponibile a quello dell’angiomatosi bacillare, ci ha indotti ad eseguire PCR per il gene 16s, specifico per Bartonella spp., risultato positivo. I prodotti della PCR sono quindi stati sequenziali, confermando la presenza di menoma di Bartonella henselae nel materiale esaminato. È stato inoltre possibile osservare direttamente in elettromicoscopia la presenza dei batteri nella parte profonda del derma. Le lesioni sono regredite completamente in tutti e tre i pazienti in seguito a terapia antibiotica. Quindi queste manifestazioni mucose, che possono colpire pazienti immunocompromessi con anamnesi di trattamento di trapianto di midollo osseo per malattie oncoematologiche e di GvHD della mucosa orale, sono causate da Bartonella henselae, e potrebbero essere sinteticamente denominate Papillomatosi Angiomatoide Pseudomembranosa (PAP) della mucosa orale. 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società Tumori vascolari non endoteliali • Filotico R, Filotico M Laboratorio di Istopatologia Cutanea, Clinica Dermatologica II - A.O. Policlinico, Università di Bari I tumori vascolari non endoteliali rappresentano un gruppo di neoplasie benigne e maligne che prendono origine da cellule aventi capacità contrattile presenti sulla parete dei vasi cutanei. La classificazione di queste neoplasie ha subito negli anni revisioni talora sostanziali, legate al progredire delle conoscenze in campo biologico, morfologico, immunoistochimico ed ultrastrutturale. L’ultima classificazione dei “Tessuti delle Parti Molli” del WHO chiama queste neoplasie “Tumori pericitari (perivascolari)” ed include il tumore glomico nelle varianti benigna e maligna ed il miopericitoma. In questa classificazione l’emangiopericitoma, considerato tradizionalmente come facente parte del gruppo dei tumori perivascolari, viene incluso fra i “Tumori fibrosi a malignità intermedia” associato al tumore fibroso solitario. Bibliografia • Fletcher CDM, Unni KK, Mertens F (Eds): World Health Organization Classification of Tumors. Pathology and Genetics of Tumors of Soft Tissue and Bone. IARC Press: Lyon 2002. Tumori vascolari in età pediatrica • Passarini B, Fanti PA Dipartimento Medicina Clinica Specialistica e Sperimentale - Sezione di Clinica Dermatologica (Direttore Prof. C. Varotti) Nonostante le lesioni vascolari siano di riscontro frequente nell’infanzia, la loro classificazione è ancora oggetto di confusione. Abbiamo utilizzato quella approvata dall’International Society for the Study of Vascular Anomalies (ISSVA), apportando alcune modifiche. Si suddividono perciò due gruppi di anomalie vascolari, i tumori e le malformazioni. I tumori vascolari mostrano iperplasia delle cellule endoteliali e possono regredire spontaneamente, le malformazioni mostrano cellule endoteliali piatte, con normale turnover, e non regrediscono. Fra i tumori vascolari gli AA delineano i quadri istopatologici delle forme più frequenti, come l’emangioma dell’infanzia e l’emangioma capillare lobulare (granuloma piogenico), ma vengono anche descritte forme più rare, come l’amartoma angiomatoso eccrino congenito, tratto dalla casistica personale degli AA. Bibliografia: • Pediatric Dermatology; Lawrence A. Schachner & Ronald C. Hansen. Mosby Edition- 3rd Edition 2003. • Lever’s Histopathology of the Skin; David Elder, Rosalie Elenitsas, Christine Jaworsky, Bernett Johnson Jr. Lippincott-Raven Edition- Eighth Edition • Soft Tissue Tumors - Enzinger and Weiss’s; Sharon W. Weiss, John R. Goldblum. Mosby Edition- Fourth Edition • Dermatology in General Medicine; Thomas B.Fitzpatrick, Arthur Z.Eisen, Klaus Wolff, Irwin M. Freedberg, K. Frank Austen. International Edition- Fourth Edition Angiomatosi cutanee reattive • Rongioletti F Clinica Dermatologica, Università di Genova Il termine angiomatosi cutanee indica un gruppo di proliferazioni vascolari reattive che comprendono: l’angioendoteliomatosi, l’acroangiodermatite, l’angiomatosi dermica diffusa, l’istiocitosi intravascolare, l’angioendoteliomatosi glomeruloide e l’angiopericitomatosi. Sebbene queste angioproliferazioni possono mimare delle neoplasie vascolari, esse sono reattive perché derivano da occlusioni vascolari causate da processi locali o sistemici e risolvono dopo che lo stimolo ipossico è cessato. Questa presentazione illustra tutte queste forme di angiomatosi e propone un unico meccanismo patogenetico comune. 81 La qualità della vita come criterio di efficacia nella valutazione farmacologica • Chimenti S Clinica Dermatologica - Università degli studi di Roma “Tor Vergata” La psoriasi, così come altre patologie dermatologiche a carattere cronico recidivante, incide profondamente sulla qualità della vita (QOL) del paziente e sulle sue relazioni interpersonali. L’impatto della malattia sulla QOL, è in relazione all’età del paziente, alla gravità, alla localizzazione, al coinvolgimento articolare e alle caratteristiche psicosociali proprie di ogni individuo. La psoriasi determina un forte coinvolgimento emotivo; questo si verifica sia per la visibilità delle lesioni, e per la conseguente reazione negativa che scatena nelle persone, sia per l’imprevedibilità della malattia. Il paziente incontra, inoltre, notevoli difficoltà nello svolgere le semplici attività quotidiane e nell’usufruire di strutture e di servizi pubblici. Si è quindi ritenuto indispensabile porre l’attenzione su questi aspetti per sensibilizzare maggiormente i dermatologi e per utilizzare la QOL come indice di efficacia terapeutica. Una terapia che sia in grado di ridurre in breve tempo la disabilità fisica indotta da una compromissione articolare, o che migliori significativamente l’aspetto e l’immagine di una persona, è sicuramente una terapia valida, o che comunque permette una migliore convivenza con la malattia. A tal fine sono stati introdotti nell’attività clinica e nei vari trials, questionari e indici come il Psoriasis Disability Index (PDI), Dermatology Life Quality Index (DLQI), Illness Perception Questionnaire (IPQ), Health Assessement Questionnaire Disability Index (HAQDI) SKINDEX-29, che osservino e valutino nel tempo l’influenza del trattamento dal punto di vista fisico e psicosociale. In generale, i trattamenti farmacologici che si sono dimostrati terapeuticamente efficaci sono strettamente correlati ad un miglioramento di questi indici. Con l’intento di valutare la correlazione tra efficacia clinica di un trattamento farmacologico topico ed il miglioramento della qualità della vita, recentemente è stato avviato uno studio clinico che valuterà tramite il questionario SKINDEX-29 la QOL di pazienti psoriasici trattati con l’associazione precostituita calcipotriolo-betametasone dipropionato o con il solo calcipotriolo. Lo studio multicentrico italiano, prevede la partecipazione di 150 pazienti. L’A.I.S.P. e la ricerca sulla psoriasi • Finzi AF Clinica Dermatologica - Università di Milano In Europa c’è una popolazione di 726 milioni di abitanti e viene calcolato che circa 14.5 milioni siano affetti da psoriasi. Secondo i dati statistici dell’IMS (Institute for Medical Statistic) 12 milioni di pazienti Europei affetti da psoriasi si rivolgono ogni anno al loro medico per cure specifiche. La National Psoriasis Foundation afferma che la psoriasi colpisce 7 milioni di abitanti negli Stati Uniti d’America. In Italia ci sono circa 1.200.000 pazienti psoriasici, con almeno 1.450.000 consultazioni mediche dovute alla malattia, anche se queste cifre sono molto probabilmente sottostimate. In una prima vasta ricerca in Italia (promossa dell’AISP), con la partecipazione di quasi tutti I Centri Dermatologici Ospedalieri ed Universitari Italiani, sono stati valutati 7.992 pazienti psoriasici. Il 70% di questi consulta un medico più di due volte all’anno a causa della psoriasi, il 53% ha cambiato più di 4 dermatologi e il 21% era stato all’estero per curarsi. Il costo medio annuale per paziente è stato calcolato in € 905 ed il costo globale per il Servizio Sanitario Nazionale in € 1.085 milioni. Negli Stati Uniti d’America in costo annuo per paziente è stato valutato in 800 dollari nel 1997, con un totale di $ 5.600 milioni (Feldman et al., 1997). È ovviamente difficile calcolare la spesa totale per trattamenti farmacologici o fisici pagati personalmente dal paziente, per i soggiorni in stazioni termali o marine, per i viaggi della speranza in località esotiche, per giornate lavorative perse o per inabilità temporanea o permanente. Dal punto di vista individuale la malattia ha effetti talora devastanti dal punto di vista sociale, emotivo, economico e occupazionale. Questo è particolarmente evidente quando la malattia inizia in giovane età, nel sesso femminile, se si localizza a sedi visibili o quando si accompagna ad artropatia od a onicopatia. Episodi o sensazioni di ripulsa da parte degli altri sono spesso causa di gravi problemi di adattamento nelle relazioni sociali e nell’ambito lavorativo, che talora possono portare all’alcolismo, all’abuso di psicofarmaci o di droghe e perfino al suicidio. 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società La valutazione clinica della severità della psoriasi deve quindi tenere in considerazione il vissuto del paziente e l’impatto sulla qualità della vita; parimenti, le sue aspettative e preferenze per quanto riguarda il trattamento devono essere oggetto di attenta valutazione nella scelta della cura. Una terapia basata non solo sulla valutazione oggettiva della severità della psoriasi, ma anche sulle speranze, tempo di risposta, condizioni sociali ed economiche del paziente conduce ai migliori risultati. Proprio sulla base delle considerazioni sopra esposte, alcuni anni fa, insieme ad un gruppo di ricercatori, che non includeva soltanto dermatologi, ma anche immunologi, farmacologi, reumatologi e psichiatri, abbiamo fondato una Società Scientifica, associata alla SIDEMAST, dedicata allo studio delle psoriasi, denominata A.I.S.P. (Associazione Interdisciplinare per lo Studio della Psoriasi). Tale Associazione durante la sua vita ha condotto vari studi clinici, economici e statistici su vasti gruppi di pazienti che sono stati oggetto di numerose pubblicazioni scientifiche. Terapia topica: quali novità? • Giannetti A Clinica Dermatologica, Università di Modena e Reggio Emilia La terapia topica rimane l’unico presidio per la psoriasi lieve e lieve-moderata e un’eccellente combinazione con la fototerapia o i trattamenti sistemici nelle forme più severe. Nel corso degli anni l’armamentario terapeutico tradizionale dei prodotti topici si è notevolmente ridotto per la riconosciuta necessità di conoscere al meglio i meccanismi cellulari e molecolari dei prodotti impiegati, la loro farmacocinetica e dall’obbligo di applicare le regole della medicina basata sull’evidenza ai trial clinici. Inoltre l’opportunità di validare l’efficacia dei prodotti con i test sulla qualità della vita dà una dimensione più completa e più scientifica alle proposte terapeutiche. Le esperienze internazionali supportano l’efficacia e la tollerabilità dell’associazione precostituita calcipotriolo-betametasone dipropionato ed evidenziano come tale preparato possa essere considerato la migliore alternativa per la gestione della terapia topica del paziente psoriasico. Questi risultati hanno trovato conferma sul territorio nazionale attraverso una sperimentazione clinica condotta su 30 pazienti trattati per emiparti con l’associazione calcipotriolo-betametasone dipropionato o con il solo calcipotriolo; dopo 4 settimane di trattamento è stato evidenziato un netto miglioramento degli emisomi trattati con l’associazione, significativamente superiore rispetto agli emisomi trattati con il solo calcipotriolo. Nel 2003, l’AISP (Associazione Interdisciplinare per lo Studio della Psoriasi) ha condotto uno studio osservazionale sui trattamenti topici di pazienti affetti da psoriasi. I risultati di tale osservazione comprovano la buona efficacia clinica e tollerabilità dell’associazione precostituita calcipotriolo-betametasone dipropionato e ne indicano il razionale di utilizzo come farmaco di prima scelta per il trattamento topico della psoriasi volgare. Le problematiche sociali del paziente psoriasico • Maccarone M ADIPSO - Roma La psoriasi, come è noto, può comparire improvvisamente, senza alcun preavviso, ed all’esordio è difficile stabilirne la severità e l’impatto che avrà in futuro sulla qualità di vita. La psoriasi comporta innumerevoli problematiche sociali poiché altera profondamente l’equilibrio psico-fisico della persona che ne è affetta; basti pensare alla diffidenza/indifferenza della gente, dovuta essenzialmente a mancanza d’informazione, scarsa conoscenza della malattia e pregiudizi duri a morire. Un altro problema è costituito, inoltre, dall’atteggiamento “superficiale” degli addetti ai lavori i quali, ancor oggi, non considerano la psoriasi come una malattia invalidante e trattano il paziente con superficialità non tenendo conto delle immense difficoltà che giornalmente è costretto ad affrontare. Proprio per affermare il sacrosanto diritto ad una buona qualità di vita, il che implica, fra l’altro, l’accesso alle cure migliori, il paziente deve prefigurarsi alcuni obiettivi/diritti che possono essere così sintetizzati: • Diritto di non essere socialmente escluso o discriminato a causa dell’aspetto della pelle. • Diritto ad ottenere una buona qualità di vita con cure appropriate per ciò che concerne gli aspetti sia emotivi che fisici della malattia. • Promozione di una corretta informazione del pubblico sulla malattia in modo da poterla affrontare meglio. 83 • Sviluppo e rafforzamento del legame medico-paziente, con riequilibrio del ruolo di quest’ultimo e legittima aspirazione ad una pariteticità di rapporto. • Ideazione ed elaborazione di programmi di educazione pubblica per cancellare i pregiudizi legati alla malattia. • Promozione di una ricerca valida e indipendente sui problemi fisici, psicologici e sociali della patologia. Il ruolo degli emollienti nel trattamento della psoriasi • Piaserico S, Peserico A Clinica Dermatologica, Università di Padova La placca psoriasica è caratterizzata da una marcata ipercheratosi dell’epidermide e da una alterazione della struttura dello strato corneo, nel cui contesto è possibile individuare cellule nucleate ed una variazione della struttura lipidica intercheratinocitaria. Tali alterazioni causano una perdita della funzione di barriera cutanea, come è possibile evidenziare attraverso la misurazione della Trans Epidermal Water Loss (TEWL), che risulta caratteristicamente aumentata nella cute psoriasica. L’applicazione di un prodotto emolliente costituisce uno dei cardini della terapia della psoriasi. In alcuni casi di psoriasi lieve o nei periodi che intercorrono tra le tipiche poussé del quadro clinico, gli emollienti, da soli, possono rappresentare un trattamento soddisfacente. La loro funzione è quella di idratare l’epidermide, limitare la TEWL, riducendo di conseguenza il prurito e limitando quindi il grattamento della superficie cutanea che può, a sua volta, peggiorare la flogosi e talvolta scatenare un fenomeno di isomorfismo reattivo (di Koebner). L’utilizzo di un prodotto emolliente può anche migliorare l’efficacia delle terapie farmacologiche della psoriasi. L’applicazione una volta al giorno di un prodotto emolliente, in combinazione con il corticosteroide una volta al giorno, migliora significativamente il quadro clinico delle chiazze rispetto all’applicazione una volta al giorno del solo corticosteroide topico. Inoltre, non si osserva nessuna differenza in termini di miglioramento clinico delle lesioni tra le chiazze trattate con il corticosteroide due volte al giorno rispetto alle chiazze simmetriche trattate invece nello stesso paziente con il corticosteroide una volta al giorno, in combinazione con l’emolliente applicato una volta al giorno. Gli emollienti sono inoltre in grado di prevenire la disidratazione provocata dalle radiazioni UV in caso di fototerapia e di aumentare la penetrazione delle stesse radiazioni attraverso l’epidermide. La quota di radiazioni UV riflesse dallo strato corneo risulta infatti significativamente ridotta dopo l’applicazione di un prodotto emolliente, dal momento che le molecole lipidiche contenute in esso andando a colmare le lacune presenti tra le lamelle cornee e limitando la presenza in esse dell’aria, riducono la differenza in termini di indice di rifrazione rispetto ai corneociti. È utile inoltre ricordare la necessità di utilizzare prodotti emollienti nel caso di pazienti che assumano retinoidi per os, che provocano marcata xerosi e talvolta cheilite, condizioni che possono essere risolte con tali prodotti in modo del tutto soddisfacente. L’urea possiede importanti e riconosciuti requisiti che ne giustificano l’ampio uso in dermocosmesi. Anzitutto l’assenza di tossicità sistemica per assorbimento cutaneo, legato al fatto di essere un prodotto del metabolismo umano. L’urea costituisce infatti il 7% del Natural Moisturizing Factor (NMF). Inoltre l’urea si distingue per l’attività idratante che esercita a livello dello strato corneo sulla cute sana o danneggiata tramite la diretta interazione con le cheratine, che vengono rese più recettive ed affini nei confronti delle molecole d’acqua dell’ambiente circostante. Numerosi studi hanno dimostrato l’elevata attività idratante dell’urea, sia su cute sana che su cute psoriasica e ittiosica. All’urea vengono inoltre riconosciute importanti attività farmacologiche evidenziabili già a basse concentrazioni, quali l’attività desquamante, favorente la penetrazione degli attivi e di inibizione della iperproliferazione corneocitaria. Per tali ragioni, gli emollienti a base di urea possono essere considerati il complemento dermocosmetico ideale per il trattamento della psoriasi. Vantaggi e limiti della terapia sistemica della psoriasi • Vena GA, Cassano N U.O. Dermatologia II, Dipartimento M.I.D.I.M., Università degli Studi di Bari La psoriasi è una malattia ad eziologia sconosciuta caratterizzata da un decorso cronico-recidivante. Pertanto, il trattamento della stessa non può essere che sintomatico, inteso a indurre la remissione temporanea delle lesioni o rendere le stesse tollerabili da parte del paziente. A questo scopo si dispone di un vasto armamentario terapeutico che include composti topici o sistemici, con differenti meccanismi di azione: azione decappante aspecifica, regolazione della proliferazione e/o differenziazione dei cheratinociti, modulazione degli eventi infiammatori e della abnorme risposta cellulo-mediata. La scelta di un trattamento sistemico deve essere vagliata attentamente ed è influenzata principalmente dalla gravità della psoriasi. È in- 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società dubbio che in forme gravi per sintomi e per estensione non si può prescindere dal trattamento sistemico. Nella decisione finale entrano però in gioco altri fattori, quali esperienza del medico, costi di gestione, risultati ottenuti con pregresse terapie, caratteristiche del paziente (aspetti psicologici, compliance e disponibilità ad eseguire il trattamento, attività professionale, etc.). Particolare attenzione va riservata alla presenza di controindicazioni assolute o relative al trattamento farmaci specifici, e quindi alla presenza di malattie e terapie concomitanti, e al monitoraggio degli effetti collaterali. Altro aspetto di particolare importanza è rappresentato dalla necessità di evitare gravidanze in pazienti che assumono farmaci teratogeni. Le problematiche della cosmetologia maschile • Barba A, Schena D Dipartimento di Scienze Biomediche e Chirurgiche Università di Verona - UO Clinica Dermatologica L’utilizzo dei cosmetici nei soggetti di sesso maschile è notevolmente aumentato nell’ultimo decennio e questo ha comportato la formulazione da parte di quasi tutte le grandi case cosmetiche di linee specifiche che comprendono non solo prodotti per la rasatura, profumi, deodoranti e prodotti per capelli da tempo utilizzati dai maschi, ma anche di prodotti per il viso e per il corpo per l’idratazione, la prevenzione e cura dell’invecchiamento cutaneo, il make-up, il rassodamento etc. L’aumentato uso di cosmetici, spesso associato a procedure che alterano la barriera cutanea (rasatura, epilazione, ...) ha favorito l’insorgenza di varie forme di dermatosi, che frequentemente non giungono all’attenzione del dermatologo, o per la paucità dei sintomi e la tendenza all’autorisoluzione con la cessazione dell’utilizzo del/dei prodotti o per deliberata scelta del paziente. Allo scopo di valutare l’entità di utilizzo dei cosmetici nella popolazione maschile e le problematiche dermatologiche secondarie a tale utilizzo abbiamo steso un questionario che è stato somministrato a 500 soggetti afferenti alla Clinica Dermatologica per vari motivi (pazienti, accompagnatori, visitatori, personale sanitario etc). I quesiti rivolti indagavano: l’età, stato civile, la scolarità, la professione, i cosmetici utilizzati abitualmente sia per l’igiene personale che per motivi estetici, l’utilizzo di prodotti cosmetici di linee appositamente commercializzate per il maschio o di prodotti generici, l’abituale effettuazione di trattamenti estetici e la disponibilità a sottoporsi ad interventi chirurgici a fini estetici. Venivano poi indagati i/il metodo di rasatura utilizzato ed eventuali problemi ad essa collegati. Infine i soggetti venivano pregati di riferire qualsiasi problema dermatologico e dermatosi secondarie all’utilizzo di prodotti cosmetici. I soggetti che riferivano dermatiti da contatto da cosmetici venivano successivamente sottoposti a Patch test serie standard + eventuali serie addizionali comprendenti le sostanze sospettate essere responsabili della reazione cutanea. Verranno presentati e discussi i risultati di questa indagine La cosmesi maschile negli adolescenti • Belloni Fortina A Servizio di Dermatologia Pediatrica, Dipartimento di Pediatria - Università di Padova Il make-up è sempre stato un elemento importante nella nostra cultura. Oggi sono cambiati i canoni di bellezza, ma non si è persa la necessità di curare il proprio corpo e la propria immagine, attraverso l’uso di cosmetici. Non solo le donne hanno molta cura per il proprio aspetto: anche gli uomini e gli adolescenti considerano molto importante il loro look. Un dato interessante è offerto proprio dal mondo dei consumatori. Se il mercato della cosmesi è sempre stato dominato dalle donne, le ultime tendenze mostrano come anche gli uomini non siano immuni alla “vanità” ed acquistino con regolarità prodotti cosmetici. I ragazzi compresi tra i 15 e i 24 anni stanno cambiando le proprie abitudini e guardano alla bellezza con maggiore attenzione. Complici in questo le riviste, che dedicano sempre più spazio all’analisi dell’immagine e alla diffusione delle mode. Acquistano regolarmente prodotti per la pulizia della pelle, in particolare quella del viso, ritenuta indispensabile per avere un bell’aspetto. Ciò che non viene sottovalutata, anche dai giovani consumatori, è l’attenzione alle caratteristiche “salutari” del prodotto. Il concetto moderno di bellezza va di pari passo con quello di benessere. Ecco perché è sempre maggiore la richiesta di quei prodotti composti da ingredienti “naturali” e dagli “effetti benefici”, oltre che determinanti per l’immagine. 85 Gli uomini e la bellezza • Fabbrocini G Clinica Dermatologica, Università degli Studi di Napoli Federico II Oggi l’attenzione maschile per la cura del corpo e del viso e quindi della propria pelle è sempre più forte; di qui l’esigenza di una preparazione mirata da parte dello specialista per fornire risposte soddisfacenti al paziente più esigente. La pelle ha una forte valenza estetica e se è sana e curata rende l’aspetto gradevole comunicando un’immagine di sicurezza ed efficienza, caratteristiche sempre più ricercate da manager e professionisti in carriera. I cosmetici sono senz’altro uno strumento efficace per il corretto equilibrio della pelle perché permettono quella “ordinaria manutenzione” di cui la pelle ha bisogno per essere sana e luminosa. Ma lo specialista deve ricordare che la pelle dell’uomo è diversa da quella della donna: essa è più spessa, più grassa ma subisce gli stessi stress per cui necessita di riequilibrare la sua barriera idrolipidica in maniera costante. Molto bene, quindi, prodotti a base di lipidi vegetali ed insaturi. E per la rasatura cosa consigliare? Per molti uomini la rasatura è una vera tortura, la pelle si arrossa quotidianamente e sono molti gli uomini che vanno incontro ad una follicolite resistente e recidivante. Anche qui il dermatologo può, valutando il tipo di pelle del paziente, consigliare trattamenti sia farmacologici che cosmetologici, che preparino la pelle alla rasatura per evitare antiestetiche conseguenze. E allora meglio il gel o il sapone o la schiuma? A questi e ad altri interrogativi comuni si risponderà in questo breve studio sulla bellezza al maschile. L’uomo e i capelli • Guarrera M, Dal Sacco D Disem, Sezione di Dermatologia, Università di Genova Il rapporto dell’uomo con la calvizie è da sempre vissuto in maniera complessa. Da poco più di dieci anni è stata provata l’efficacia terapeutica di farmaci in grado di contrastare in maniera efficace il diradamento e la perdita dei capelli. Nonostante l’esistenza di studi controllati ed eseguiti su larga scala su tali farmaci, l’uomo continua ad inventare numerosi trucchi ed espedienti per mascherare e contrastare inutilmente la sua calvizie. Vengono presi in esame e commentati alcuni di tali espedienti a volte ridicoli ed assurdi, con nessuna base scientifica seria. I prodotti cosmetici per l’uomo (Men’s Cosmetics, una sfida formulativa) • Rigano L, Lionetti N, Rigoni C Milano La cosiddetta body-revolution ha enfatizzato che lo strumento essenziale per migliorare la comunicazione sociale è avere un aspetto gradevole. Questa richiesta ricade su entrambi i sessi, anche se gli uomini sono apparentemente più riluttanti all’uso di prodotti per il trattamento della pelle. Tuttavia, l’attività regolare in palestra e i rituali del dopo-doccia, l’esigenza di aumentate attenzioni per la pelle che invecchia e le occasioni sociali in cui bisogna mostrare il proprio “star bene” hanno risolto molti uomini all’impiego di strategie cosmetiche. L’industria ha prontamente offerto prodotti specifici, con nuove formulazioni. Sorprendentemente, gli usuali ingredienti attivi cosmetici non prendono in considerazione le caratteristiche distintive della pelle maschile, e il ruolo chiave viene invece giocato dai veicoli cosmetici, con il loro insieme di proprietà sensoriali. Rispetto alla domanda se la pelle maschile sia così diversa da richiedere prodotti specifici, la risposta scientifica è lacunosa, con pochi studi in proposito. Tuttavia, la pelle sana maschile ha caratteristiche tali da richiedere formulazioni su misura. In primo luogo, l’acidità cutanea, normalmente più elevata di quella femminile. Poi, il maggiore spessore dello strato corneo, che riduce il passaggio trans-epidermico degli ingredienti. Inoltre, l’influenza ormonale, abbastanza costante piuttosto che ciclica, ha un effetto duraturo sulla struttura e durata dei peli corporei e sull’attività delle ghiandole sebacee. Il gran numero di follicoli piliferi agisce inoltre da “shunt” per la penetrazione di alcuni ingredienti. Infine, la rasatura regolare causa sia un rinnovamento cutaneo del viso che fenomeni irritativi. Queste caratteristiche richiedono una strategia formulativa bilanciata, che deve tener conto anche del ruolo sociale e della percezione maschile dei cosmetici. Sono necessarie speciali proprietà sensoriali: assenza di lucentezza, facile distribuzione, immediata gratificazione dopo l’uso, con sensazione tonica o di freschezza, nessuna influenza sulla perspirazione per i prodotti per il viso. I prodotti per la cura del corpo hanno caratteristiche ancora più complesse: veloce asciugatura o assorbimento, forte ma evanescente sensazione olfattiva, nessun residuo percepibile, preferenza per le emulsioni a basso contenuto oleoso. Nuove categorie di emollienti giocano il ruolo chiave: le loro ca- 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società ratteristiche sono di buona massaggiabilità e stesura, nessuna oleosità, trasparenza e assenza di colore, sensazione emolliente. Con esempi formulativi specifici, si dimostra che è possibile formulare prodotti adatti alla pelle maschile che invecchia, al rinnovamento cellulare cutaneo, al massaggio dopo-sport e alle pratiche pre-sportive. Nuovi concetti sull’uso della tossina botulinica nel ringiovanimento del volto • Ghersetich I, Brazzini B, Lotti T Dipartimento di Scienze Dermatologiche, Università degli Studi di Firenze La tossina botulinica rappresenta una delle più interessanti ricerche in campo del ringiovanimento del volto degli ultimi anni. In particolare la tossina botulinica di tipo A viene utilizzata nella temporanea eradicazione delle rughe d’espressione, determinando una paralisi flaccida dei muscoli implicati. L’esatto meccanismo d’azione, le ripercussioni sul sistema immunitario e la valutazione della risposta biologica del tessuto a media e lunga scadenza sono ancora oggetto di studio. Gli autori discuteranno le indicazioni e i limiti di tale interessante procedura, che rappresenta sicuramente una delle più importanti innovazioni in campo della medicina estetica, ma che richiede comunque un “know how”molto specifico prima di essere effettuata. Bibliografia • K.S. Denianke, M.I. Perez. Botulin Toxin Type A for rhytides and hyperhidrosis: a brief review. Cosmetic Dermatology, 2004:17; 20-32 Reazioni da filler • Lorenzi S, Tosti A Dipartimento di Medicina Clinica Specialistica e Sperimentale Sezione di Clinica Dermatologica Università di Bologna Alma Mater Studiorum I filler, letteralmente “riempitivi”, sono materiali impiegati per il trattamento delle rughe cutanee, cicatrici o per l’aumento di volume delle labbra. Tutti i filler vengono iniettati localmente nell’area da trattare e la maggior parte consente di ottenere un effetto temporaneo, di durata variabile e dipendente dal tipo di materiale impiegato. In base alla loro origine possono essere divisi in eterologhi, omologhi, autologhi e di sintesi. Il principale filler eterologo ed il primo ad essere impiegato su vasta scala è il collagene bovino. Reazioni di ipersensibilità ed allergiche che interessano il 3% dei pazienti rappresentano il principale problema all’uso di questo filler, tale da richiedere un test cutaneo prima di iniziare il trattamento. I principali filler di sintesi sono rappresentati dal polimetilmetacrilato (Artecoll), l’acido ialuronico (Restylane e similari), ed il Formacryl (capostipite della famiglia dei filler a base di poliacrilamide). In letteratura sono segnalati numerosi casi di reazioni granulomatose da filler non riassorbibili e se l’acido ialuronico era considerato fino ad ora come privo di effetti collaterali, recenti pubblicazioni hanno documentato casi di edema e reazioni granulomatose di natura allergica. Il silicone, nonostante sia vietato dal 1993, continua ad essere utilizzato a fini estetici con effetti collaterali severi. La verità sulle creme acide nel trattamento del fotoinvecchiamento • Monti M Università degli Studi e Istituto Clinico Humanitas, Milano Il peeling chimico è la tecnica maggiormente utilizzata per trattare gli inestetismi dovuti all’invecchiamento e al fotoinvecchiamento. L’effetto di resurfacing è principalmente dovuto all’enorme liberazione di citochine da parte cheratinociti necrotizzati sulle strutture dermiche sottostanti. I dermatologi preferiscono raggiungere risultati evidenti ed immediati utilizzando peeling forti ma lo stesso risultato può essere ottenuto con l’impiego di sostanze peeling a bassa concentrazione applicate tutti i giorni. Questa tecnica è denominata micro-peeling. I vantaggi del micro-peeling vanno dall’assenza degli effetti collaterali, all’assenza del cosidetto periodo di impresentabilità, al basso costo; gli svantaggi sono principalemente quelli dovuti allo scetticismo e ai “credo” cosmetici dei pazienti. Un trattamento micro-peeling a domicilio deve durare almeno 6 mesi, una applicazione al giorno, la sera. All’inizio la cute diventa secca e rugosa e le lesioni sono più evidenti. Inoltre non è facile convincere il paziente che il trattamento micro-peeling sia migliore della tradizionale crema da notte. È stato quindi formulato un prodotto micro-peeling in crema. Tuttavia è noto che gli acidi sono agenti destabilizzanti delle 87 emulsioni tant’è che molti prodotti commerciali sono tamponati, dunque molto meno efficaci. Nel nostro Istituto abbiamo dispensato un’emulsione acida contenente acido glicolico al 10% e acido salicilico al 2%, a pH 2, a pazienti sopra i 50 anni con segni clinici di fotoinvecchiamento, una applicazione la sera per 6 mesi. Nei primi mesi è stato osservato un miglioramento in termini di morbidezza e brillantezza della cute. Dopo 6 mesi di trattamento sono stati osservati anche riduzione delle iperpigmentazioni, dell’untuosità e della grandezza dei pori e per assottigliamento dello strato corneo diminuzione apparente delle linee cutanee. Nessun effetto collaterale significativo è stato riportato. Il trattamento micro-peeling con crema acida può essere considerato un nuovo approccio dermatologico al problema del “ringiovanimento” cutaneo. Uso del videofonino nella valutazione dermatologica • Monti M Università degli Studi e Istituto Clinico Humanitas, Milano I nuovi sistemi di telecomunicazione mobile universale (UMTS) permettono oggi servizi di connessione video interpersona. Questo progresso multimediale può essere sfruttato in ambito dermatologico soprattutto per seguire l’evoluzione cutanea dopo un trattamento chirurgico o durante una terapia medica. Per valutare le possibilità attuali in campo dermatologico dei nuovi sistemi si è proceduto al seguente esperimento consistente nella prova di trasmissione a distanza via videofonino di immagini dermatologiche e successivo confronto tra immagine digitale ed immagine reale. Nella prova sono stati coinvolti 25 soggetti che si sono presentati spontaneamente alla postazione di trasmissione immagine per la ripresa attraverso il videofonino di un immagine cutanea a loro scelta. Successivamente il soggetto che aveva inviato l’immagine cutanea era visitato dal dermatologo che aveva ricevuto l’immagine per il confronto tra immagine digitale ed immagine reale. Per la trasmissione dell’immagine è stato utilizzato un videofonino fornito dalla società H3G Italia. Per la ricezione immagine è stato utilizzato sia un videofonino fornito dalla società H3G Italia sia un computer che riceveva le immagini trasmesse via e-mail internet. Il collegamento tra postazione di trasmissione e di ricevimento era anche via audio attraverso videofonino. Per ogni individuo è stata compilata una scheda di valutazione dell’immagine trasmessa e di quella clinica a cura del dermatologo. Nella prova relativa a 25 pazienti vi è stata una concordanza di identificazione della manifestazione cutanea in 22/25 pari all’88% dei casi. In particolare sono state trasmesse 12 immagini di nevi cutanei, 11 delle quali sono state confemate alla visita dermatologica e 1 immagine è stata scambiata per una cheratosi seborroica. È stata calcolata anche la dimensione presuntiva del nevo e comparata con quella reale misurata al momento della visita.Le dimensioni sono state sovravalutate nella misura del 30% rispetto alla dimesione reale. Sono state inoltre trasmesse 6 manifestazioni cutanee relative a neoformazioni differenti dai nevi quali cheratosi attinica, cheratosi seborroica, fibroma. In questo set di immagini trasmesse l’identificazione corretta è avvenuta in 5 casi e in 1 caso un fibroma cutaneo è stato scambiato per cheratosi seborroica. Infine sono state trasmesse 7 manifestazioni cutanee di tipo imfiammatorio quali dermatite atopica, impetigine, xerosi cutanea, eczema. In questo set sono state identificate correttamente 6 immagini e 1 non è stata identificata. Nella prova si è tenuto conto anche dell’identificazione dell’area corporea e del colore della manifestazione cutanea. Questi parametri sono stati identificati correttamente nel 100% dei casi. La prova di trasmissione a distanza via videofonino di immagini dermatologiche e confronto tra immagine digitale ed immagine reale ha dimostrato la possibilità di identificare leisoni cutanee anche complesse. Il contatto audio è risultato molto utile per guidare il posizionamento del videofonino fino ad ottenere la miglior immagine. L’illuminazione della cute è risultata fondamentale: la luce deve essere omogeneamente diffusa anche se non è necessaria una particolare intensità. 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società Il peeling fotodinamico: attualità e prospettive • Motta S Università degli Studi di Milano and Istituto Clinico Humanitas, Milano Nel tentativo di indurre un “ringiovanimento” cutaneo si possono usare molte tecniche: le più comuni sono il laser, il peeling chimico, l’acido retinoico. Nel fotodannegiamento cronico gran parte dei cheratinociti sono biologicamente in condizioni assimilabili a quelle della cheratosi attinica. Pertanto è giustificabile il ricorso alla terapia fotodinamica. Abbiamo selezionato pazienti con fotoinvecchiamento di grado medio e severo per il trattamento fotopeeling: in pratica al paziente viene applicato ALA alla concentrazione del 5% sull’intera area da trattare in occlusione per 2 ore e poi esposto alla luce rossa (Omnilux) a 80J/cm2. Alla diagnostica in fluorescenza i pazienti con fotoinvecchiamento mostrano una fluorescenza diffusa a tipo cielo stellato. I pazienti riferiscono sensazione di bruciore e di puntura durante l’esposizione alla luce. In seguito per 8/12 ore la cute rimane eritematosa ed edematosa. Dalle 24 ore in poi si formano secchezza cutanea, croste sierose e desquamazione. La cute ripara in 2 settimane senza particolari effetti collaterali. I risultati ottenuti sono: una maggiore levigatezza cutanea, la diminuzione delle linee e lo schiarimento delle pigmentazioni e in generale una maggior luminosità dell’area trattata. Il peeling fotodinamico può essere considerato quindi un metodo avanzato di trattamento del fotoinvecchiamento particolarmente efficace e ad alto grado di sicurezza. Invecchiamento cutaneo:“true ageing” • Andreassi A U.O. Dermatologia,ASL 8, Arezzo L’invecchiamento cutaneo è un processo inevitabile legato alla senescenza dell’intero organismo ma, mentre gli organi interni invecchiano per il trascorrere del tempo secondo le leggi biologiche, la cute subisce un invecchiamento aggiuntivo legato alla esposizione ai raggi solari. L’invecchiamento cutaneo di tipo attinico, detto quindi fotoinvecchiamento, simula sorprendentemente, dal punto di vista clinico, quello cronologico, cosicchè per molto tempo i due tipi di invecchiamento sono stati confusi tra di loro. Inoltre il danno solare diviene evidente con il tempo, quando anche l’invecchiamento cronologico è manifesto. Pertanto nelle aree fotoesposte il primo si sovrappone al secondo. In pratica l’invecchiamento cronologico provoca assottigliamento, rilassamento, fini rugosità, pallore ecc., mentre l’invecchiamento estrinseco di tipo attinico provoca accentuazione delle pieghe di espressione, ruvidezza e secchezza, alterazioni della pigmentazione, teleangectasie, cheratosi attiniche ecc. Quindi un certo di alterazioni possono essere riscontrabili nella cute intrinsecamente invecchiata. L’epidermide è assottigliata e la giunzione dermoepidermica è più liscia o meno interdigitata. Il ritmo del turnover dermoepidermico è rallentatato e sia i melanociti che le cellule di Langherans sono ridotte di numero. Il derma poi è più chiaramente assottigliato, ha una funzione fibroblastica ridotta, ha meno mastociti ed è meno vascolarizzato. Inoltre gli studi funzionali dimostrano che esso è meno elastico e meno resistente ai traumi. Dermatite atopica: quali cure dentro e fuori le terme? • Belloni Fortina A*, Peserico A Dipartimenti di *Pediatria e Dermatologia, Università di Padova La Dermatite Atopica è un’affezione cronica con etiopatogenesi e fisiopatologia complesse e multifattoriali. Di conseguenza anche il trattamento deve esser indirizzato a intervenire in maniera articolata sui diversi aspetti di tale complessa patologia e deve quindi necessariamente giovarsi di approcci terapeutici diversi anche se spesso complementari tra loro. Tra gli approcci terapeutici da poter utilizzare nel trattamento della Dermatite Atopica può senz’altro essere annoverata anche la terapia termale ed in particolare la crenoterapia e la balneoterapia. Tali terapie sono utilizzate da lungo tempo e hanno dato prove di efficacia tanto più se integrate con altri presidi terapeutici (quale ad esempio la foto-terapia) Nonostante alle cure termali si sia fatto ricorso fin dall’antichità, non sono ancora stati completamente chiariti i meccanismi d’azione di tali terapie. Tuttavia, alla luce di alcuni recenti indagini, si possono sicuramente ipotizzare effetti chimici, termici e meccanici che vanno a modificare il sistema immunologico e neuroendocrino. 89 Dermatosi croniche e acidi grassi essenziali • Frati C U.O. Dermatologia Ospedale di Frosinone Gli acidi grassi polinsaturi (AGE), caratterizzati dalla presenza di doppi legami nella loro molecola, non possono essere sintetizzati dall’organismo e debbono essere introdotti con la dieta. In particolare l’uomo non è in grado di sintetizzare i capostipiti della famiglia n-3 (acido alfalinoleico) e della famiglia n-6 (acido linoleico): l’intervento di alcuni enzimi (elongasi, desaturasi) permette la formazione di composti (acido eicosapentaenoico e docosaenoico per la serie omega-3; acido gammalinolenico e diomogammalinolenico per la serie omega-6) importanti per il mantenimento della funzione barriera epidermica e per la regolazione di fenomeni biologici (infiammazione, trombogenesi, vasocostrizione, aggregazione piastrinica). Una terapia con AGE è indicata in alcune dermatosi croniche, che si giovano anche di trattamenti termali. Nel presente lavoro sono riferite esperienze personali riguardanti la psoriasi e la dermatite atopica. La terapia con olio di pesce (omega 3 ed in particolare EPA e DHA) è valida nella psoriasi (notevole riduzione dell’eritema) in generale: altri effetti biologici importanti sono l’aumento della fotoprotezione (riduzione della MED,maggiori risultati clinici nella fototerapia con UVB a banda stretta TL 01 abbinata al trattamento con AGE), la riduzione della produzione di trigliceridi e di colesterolo VLDL. L’inserimento di acido gammalinolenico (omega 6) aumenta in modo evidente il tasso di colesterolo HDL in pazienti affetti da psoriasi e dislipidemia. L’olio di pesce è in grado di eliminare alcuni effetti collaterali (la ipertrigliceridemia) presenti in psoriasici trattati con acitretina. I risultati clinici più evidenti sono stati riscontrati nei pazienti sottoposti ad una terapia combinata (fototerapia TL 01, olio di pesce ed acitretina). Per quanto riguarda la dermatite atopica, una terapia con omega 6 è giustificata da alcuni reperti di laboratorio (alti livelli plasmatici di acido linoleico e bassi livelli di acido gammalinolenico a causa di un difetto dell’enzima delta-6-desaturasi, che favorisce questo passaggio): razionale è il trattamento con acido gammalinolenico (140-280 mg/die. Risultati positivi sono stati riscontrati in bambini affetti da dermatite atopica, ma non da allergia alimentare: è possibile che in questa dermatosi esista anche un difettoso assorbimento intestinale degli EFA. Invecchiamento cutaneo: photoaging • Ghersetich I, Brazzini B, Lotti T Dipartimento di Dermoscienze, Università degli Studi di Firenze L’invecchiamento cutaneo è collegabile a due distinti fenomeni: l’invecchiamento intrinseco relativo al fisiologico processo di invecchiamento, e l’invecchiamento estrinseco o fotoinvecchiamento, relativo al danno attinico cronico ed evidenziabile a livello delle regioni fotoesposte. Le più importanti alterazioni del fotoinvecchiamento sono una fine rugosità, un ispessimento della cute, alterazioni della pigmentazione, una cute elastosica, modificazioni della vascolarizzazione cutanea e pseudocicatrici. L’epidermide tende ad ispessirsi, mentre nel derma si assiste ad una frammentazione delle fibre elastiche (elastosi solare), ad una diminuzione delle fibre collagene. L’elastosi solare, cioè la particolare degenerazione delle fibre elastiche dovuta all’insulto solare, si manifesta clinicamente con due caratteristiche: il colore giallo e l’irregolarità a ciottolato che gli ammassi di fibre elastotiche conferiscono alla pelle. Il fotodanneggiamento produce un’accentuazione delle rughe. Le rughe dinamiche e d’espressione, si accentuano proporzionalmente al fotodanneggiamento delle fibre elastiche e collagene ma secondo una sensibilità legata a più fattori tra cui la razza. Anche la profondità della tramatura cutanea, che si accentua sia con il fotoinvecchiamento che con l’invecchiamento intrinseco, è condizionata da fattori individuali. Si può quindi concludere che le rughe, pur così frequentemente riportate come esempio del fotoinvecchiamento, rappresentano uno dei segni meno attendibili di danno solare. Il danno solare cronico provoca inoltre danni a livello della pigmentazione dovuti ad una serie di alterazioni indotte su melanociti e cheratinociti e si manifestano principalmente sottoforma di: efelidi solari, lentigo solari, cheratosi pigmentate, lentigo-cheratosi, atrofia epidermica focale, ipercheratosi focali, “ipocheratosi” o “atrofocheratosi” focali, ipomelanosi guttata, lesione precancerose (cheratosi attiniche) e lesioni francamente neoplastiche (carcinomi basocellulari e spinocellulari). Il danno attinico provoca infine alterazioni dei vasi che appaiono dilatati e tortuosi, e divengono evidenti sulla superficie cutanea. 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società Psoriasi: quali cure dentro e fuori le terme? • Zumiani G Unità Operativa di Dermatologia, Presidio Ospedaliero S. Chiara, Trento La psoriasi è una dermatosi cronica molto diffusa che colpisce in egual misura uomini e donne, con esordio tra i giovani adulti. La predisposizione genetica influenza il suo decorso cronico-recidivante. La malattia causa un peggiormanto della qualità della vita. La terapia sistemica con retinoidi, ciclosporina e metotrexate è molto efficace ma può essere utilizzata solo per brevi periodi a causa dei gravi effetti collaterali. La fotochemioterapia sistemica o topica è anch’essa molto efficace ma presenta diverse difficoltà organizzative e di costi. Le terapie topiche con steroidi, ditranolo, calcipotriolo, tacalcitolo e tazarotene non sempre danno dei risultati ottimali e spesso non sono ben tollerate dai pazienti. Le più moderne terapie UV (UVB TL01-UVA1) danno dei buoni risultati solo in alcune forme. Tra le terapie naturali il termalismo, l’elioterapia e la talassoterapia incontra una maggiore compliance nei pazienti. Recenti studi in vitro hanno dimostrato il ruolo delle acque bicarbonato-calcio-magnesiache sul sistema immunitario cellulomediato ed in particolare sulla riduzione dei linfociti e sul rilascio di alcune citochine. Gli Autori riferiscono i risultati di uno studio in doppio cieco su 50 pazienti affetti da psoriasi in chiazze di media gravità (balneoterapia con acqua della sorgente termale vs acqua di acquedotto). I risultati hanno documentato un miglioramento significativo nel 64.4% dei pazienti trattati con balneoterapia con acqua termale di Comano e solo del 11.5% nei controlli. Leishmaniosi cutanea: esperienza in Amazzonia • Fiallo P La leishmaniosi cutanea in Brasile si verifica in due situazioni epidemiologico-ambientali differenti: • in aree di recente colonizzazione, in relazione ad opere di deforestazione ed apertura di nuove strade; • in zone di colonizzazione antica, spesso lontane dalla foresta. Nel primo caso i sebatoi animali di Leishmania sono gli animali selvatici della foresta mentre nel secondo gli animali domestici (cani, cavalli) ed i roditori. Nella regione amazzonica i principali serbatoi animali sono i mammiferi selvatici. La trasmissione della malattia avviene attraverso la puntura di un flebotomo. Il principale vettore della leishmaniosi in Brasile è la Lutzomia umbratilis. Le specie di Leishmania che più comunemente sono causa di lesioni cutanee in Brasile sono la L. braziliensis e la L. guyanensis, che rappresenta la specie più comune nella regione amazzonica. La L. amazonensis è invece responsabile della leishmaniosi cutanea diffusa. Gli aspetti clinici della leishmaniosi cutanea sono estremamente variabili e nella maggior parte dei casi consistono in lesioni papulari, papulo-ulcerative, verrucose o vegetanti. Il trattamento della leishmaniosi prevede l’utilizzo di uno dei seguenti farmaci: l’antimoniato di N-metil glucamina (Glucantim), l’Amfotericina B e la Pentamidina. La profilassi della leishmaniosi deve tenere in conto la situazione epidemiologico-ambientale. Nelle aree di colonizzazzione antica ed in presenza di trasmissione domiciliare è consigliato l’uso di insetticidi per combattere gli insetti vettori. Nelle zone di recente colonizzazione od in caso di soggiorni in foresta invece è consigliabile prevenire le punture di insetto mediante l’utilizzo di vestiti adeguati o di repellenti e, se possibile, evitare di uscire all’aperto al tramonto e nelle ore notturne. Leishmaniosi cutanea Sudamericana • Leigheb G Clnica Dermatologica Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro”, Novara Vengono esposti gli aspetti biologici e clinico-classificativi delle forme di Leishmaniosi riscontrate in America Centro Meridionale. Si considera la distribuzione geografica della malattia in aree tropico-equatoriali americane. Segue casistica di pazienti personalmente fotografati in ambiente naturale o presso strutture sanitarie in Guatemala, Venezuela ed Ecuador. 91 Patologia cutanea dei Pigmei del Cameroun • Nunzi E Scienze della Salute - Università degli Studi di Genova I Pigmei rappresentano una delle popolazioni primordiali africane. Le prime tracce di questo popolo abitante l’Africa centrale risalgono al regno di mezzo egiziano, circa 2000 anni a.C. I pigmei sono ricordati come cacciatori e danzatori anche nella Iliade e nella Bibbia. Oggi le popolazioni pigmee sono ridotte in piccoli gruppi residenti in una striscia di territorio equatoriale ricoperto da foreste tra la costa atlantica del Sud Cameroun e la provincia orientale della Repubblica Democratica del Congo. Viene presentato uno studio delle patologie cutanee presentate da un gruppo pigmeo dell’Est del Cameroun (Bakà). Alcune patologie sono oggi presenti nella popolazione Bakà (es. il pian) e non nei soggetti di stirpe bantù residenti nello stesso territorio. Altre patologie cutanee sono comuni alle due stirpi. Sono discussi fattori determinanti queste differenze epidemiologiche. Progres en dermatologie tropicale parasitaire amazonienne • Pradinaud R Institut Guyanais de Dermatologie Tropicale (IGDT, Cayenne, Guyane Française) Le Département Français de la Guyane, France Equinoxiale, donc “Européenne” politico-administrativement, par sa position Amazonienne, au nord du Brésil, est dermatologiquement baignée dans des eco-systèmes équatoriaux qui lui confèrent une place de choix pour l’étude des secteurs parasitologiques. Le développement du Centre Spatial Guyanais avec les activités du CNES (Centre National d’Etudes Spatiales) et de l’ESA (European Space Agency) où le concours de l’Italie est précieusemnt important, s’élargit jusqu’à la Russie qui déménage sur Kourou une partie de ses activités de Baïkonour. La création de l’Institut Guyanais de Dermatologie Tropicale permet de disposer avec le Service de Dermatologie du Centre Hospitalier de Cayenne, d’un instrument de Documentation, Recherche et Formation continue. Les moyens modernes de travail dans une zone tropicale, les contacts obligatoites avec l’environnement, tant pour les autochtones que les missionnaires scientifiques, leur familles et les touristes, autorisent et nécessitent une progression constante de nos connaissances et la mise au point de techniques de diagnostics et de tratements les plus modernes, grâce à la dimension Européenne de ce Département Français à part entière...bien que “entièrement à part”. Notre succeseur, le Dr Pierre COUPPIE, y a même institué en 2003 le premier DU (Dipôme Universitaire) de Dermatologie Tropicale sur le terrain, complètant ainsi les activités d’enseignement des structures en France et en Italie. Les progrès que nous présentons à la SIDEV 2004 concernent essentiellement: • le diagnostic biologiques des leishmaniose cutanées, • leurs traitements avec la pentamidine et accessoirement le fluconazole, ainsi que l’association antimoniate de méglumine + interféron gamma dans une forme anergique diffuse liée à Leishmania amazonensis, • les traitements avec l’Ivermectine par voie orale dans les larva migrans, les gâles, et en instillations locales dans les myiases des plaies et les myiases furonculeuses, • le traitement local des tungoses par application de vaseline salicylée pendant 48h avant extraction des indésirables locataires. L’IGDT, intrument de communication souhaite aussi devenir un terrain de stage pour les Dermatologistes d’Italie désireux de se familiariser avec des pathologies de plus en plus fréquemment importées en Europe à partir de notre paradis écologique amazonien “Européen” qui, fort heureusement comporte des charmes touristiques hors du commun, avec une gatronomie très originale, une climatologie fort agréable et même des possibilités professionelles particulièrement estimables. Une très sympathiques “colonie Italienne” rayonnant sur Kourou et Cayenne nous a permis de nous rapprocher de tous les trésors culturels de votre si belle Péninsule. Elle bénéficie en Guyane de toutes les possibilités diagnostiques et thérapeutiques de notre artistique et scientifique spécialité. Remerciemnts à Emmanuel CLYTI, Eric CAUMES, Jean-Pierre DEDET, Hervé DARIE et Pascal DEL GIUDICE pour leur très précieuse contribution à ce travail. 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società Sindrome di Gorlin-Goltz • Bongiorno MR, Aricò M Cattedra di Dermatologia - Unità Operativa Complessa di Dermatologia e MTS, Università degli Studi di Palermo La sindrome del carcinoma basocellulare è una malattia autosomica dominante caratterizzata dalla comparsa di nevi basocellulari e di carcinomi basocellulari in giovane età, di pits palmari e plantari nel 65-80% dei casi, di calcificazioni della falce cerebrale e di malformazioni vertebrali. La maggior parte dei pazienti con sindrome del carcinoma basocellulare ed alcuni pazienti con basaliomi sporadici mostrano la perdita regionale di un allele nel cromosoma 9q22.3. La mappa fisica di questo locus porta all’identificazione della proteina Patched. La proteina Patched è una proteina transmenbranaria coinvolta nel sentiero genetico dell’Hedgehog. Il sentiero genetico dell’Hedgehog è responsabile della modulazione embriogenetica (Drosophila) e del pattern di formazione di alcuni tessuti. Il Sonic Hedgehog, in particolare, opponendosi all’arresto del ciclo cellulare, incrementa la capacità replicativa delle cellule epiteliali. Nella sindrome del nevo-basocellulare il Sonic Hedgehog non solo inizia ma mantiene lo stato di malignanza. La proteina Patched riceve e trasduce il segnale dell’Hedgehog attivando il gene Smoothened, che attraverso il suo effettore intracellulare, il protooncogene GLI1, stimola i geni intranucleari target WNT, TGF-β e PTCH stesso. I geni della famiglia WNT e TGF-β, infatti, possono essere i principali mediatori dei segnali dell’Hedgehog attraverso effetti autocrini e paracrini sui tessuti circostanti. L’inibizione del segnale Smoothened è determinante per la soppressione tumorale. Il ruolo del Patched come tumor suppressor gene suggerisce che mutazioni ed inattivazione del Patched, mutazioni ed attivazione di Smoothened, o una eccessiva espressione di sonic hedgehog siano tappe essenziali nello sviluppo della sindrome di Gorlin-Goltz. Angiosarcoma • Cozzani E, Parodi A DiSEM - Sezione di Dermatologia, Università degli Studi di Genova L’angiosarcoma è un tumore maligno che origina dalla cellula endoteliale. È raro e colpisce più frequentemente i soggetti anziani. Nel 50% dei casi si localizza al tratto cefalico. Clinicamente è caratterizzato da placche e noduli asintomatici di colore rosso-bluastro. L’angiosarcoma può insorgere agli arti, spesso agli arti superiori nelle donne con linfedema post chirurgico dopo asportazione di una neoplasia della mammella. In qualche caso può insorgere in aree trattate con radioterapia. Istologicamente si caratterizza per la presenza di canali circondati da un endotelio anomalo in cui le cellule mostrano vari gradi di atipie. Tali canali si insinuano tra le fibre collagene. La prognosi è infausta. La terapia d’elezione è chirurgica anche se spesso è impossibile ottenere margini liberi da neoplasia. Carcinoma a cellule di Merkel • Massi D, Ketabchi S, Pimpinelli N* Dipartimento di Patologia Umana ed Oncologia e *Dipartimento di Scienze Dermatologiche, Università degli Studi di Firenze Il termine di Carcinoma Primitivo Neuroendocrino Cutaneo (CNPC) è quello attualmente utilizzato per definire la neoplasia descritta originariamente da Toker nel 1972 come carcinoma trabecolare, e successivamente definita carcinoma a cellule di Merkel in base alla dimostrazione ultrastrutturale di granuli neurosecretori nel citoplasma delle cellule neoplastiche. Il CNPC è un tumore associato ad una prognosi infausta. Infatti, è stato riportato che circa il 25-33% dei pazienti va incontro a recidiva locale, mentre il 55-75% sviluppa metastasi ai linfonodi regionali ed il 33-40% metastasi a distanza. Poiché si tratta di una neoplasia rara, a tutt’oggi non è stato ancora stabilito quali siano i fattori clinico e/o patologici capaci di influenzare il comportamento clinico della malattia. I dati della letteratura suggeriscono che lo stadio della malattia e le dimensioni del tumore abbiano un impatto sulla sopravvivenza, mentre più controverso è il significato prognostico di altri parametri, quali sede anatomica di insorgenza, età e sesso del paziente, pattern architetturale e presenza di infiltrato infiammatorio peritumorale. Nella nostra esperienza, oltre allo stadio della malattia, una elevata espressione immunoistochimica di metalloproteasi della matrice extracellulare MMP-1 e MMP-3 ha un impatto negativo sulla sopravvivenza, sebbene all’analisi multivariata, solo lo stadio della malattia sia risultato un fattore prognostico indipendente. MMP-1 e MMP-3 potrebbero influenzare il potenziale invasivo e metastatico dei CNPC favorendo il processo di degradazione proteolitica dei componenti della membrana basale e della matrice extracellulare. Il trattamento di elezione dei pazienti affetti da CNPC consiste nell’escissione ampia del tumore primitivo, seguita da 93 terapia adiuvante radio, chemioimmunoterapica in funzione dello stadio della malattia. Sindrome di Muir-Torre • Peris K, Fargnoli MC, Piccolo D, Chimenti S* Clinica Dermatologica, Università degli Studi di L’Aquila; *Clinica Dermatologica, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” La sindrome di Muir-Torre (MTS) è una genodermatosi a trasmissione autosomica dominante caratterizzata dallo sviluppo sincrono o successivo di neoplasie delle ghiandole sebacee (adenoma, epitelioma o carcinoma) associate ad almeno una neoplasia maligna viscerale. Una varietà di neoplasie cutanee, che includono il cheratoacantoma, le cheratosi attiniche, il carcinoma baso- e squamocellulare, sono state riportate in alcuni pazienti affetti da MTS. La maggior parte delle neoplasie viscerali insorgono a livello del tratto gastrointestinale, prevalentemente nel colon, anche se carcinomi renali, endometriali e laringei, ed i linfomi non Hodgkin sono stati descritti in tali pazienti. Le neoplasie viscerali sono caratterizzate da un basso grado di malignità, lento decorso clinico e prolungata sopravvivenza. La MTS è attualmente considerata una variante della “hereditary nonpolyposis colon cancer (HNPCC, Lynch syndrome)” con cui condivide aspetti genetici e molecolari. La maggior parte delle neoplasie sia nella MTS che nella HNPCC mostrano un’elevata instabilità dei microsatelliti (MSI-H), determinata da un’alterazione del sistema di riparazione del DNA (DNA mismatch repair system; MMR). Nei pazienti con MTS così come in quelli affetti da HNPCC sono state identificate alterazioni germinali quali mutazioni puntiformi e ampie delezioni dei geni hMLH1 e hMSH2 del sistema MMR, con prevalente coinvolgimento del gene hMSH2 nei pazienti affetti da MTS. Per la presenza di un’elevata predisposizione a sviluppare neoplasie maligne di diversa origine tissutale, è consigliato un programma di sorveglianza a lungo termine per i pazienti affetti da MTS e per i familiari non affetti. Dermatofibrosarcoma di Darier-Ferrand • Quaglino P, Savoia P, Fierro MT, Bernengo MG Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana - Sezione di Dermatologia, Università di Torino Il dermatofibrosarcoma protuberans (DP) è un tumore fibroblastico intradermico, classificabile nei sarcomi a basso grado di malignità. Proprio la denominazione proposta da Darier e Ferrand (“fibroma che evolve in sarcoma”) ne individua la posizione intermedia tra i tumori connettivali benigni e quelli maligni (sarcoma fibroblastico). La sua incidenza è pari a circa 0,8 nuovi casi per milione di persone all’anno, colpisce gli adulti di entrambi i sessi, con una localizzazione preferenziale al tronco ed alla radice degli arti. Clinicamente si presenta come una lesione nodulare dura, non dolente, a lenta crescita, che progressivamente infiltra il derma e l’ipoderma; con il tempo, la lesione assume aspetti multinodulari, bozzuti, potendo raggiungere anche dimensioni ragguardevoli. Ne esiste anche una varietà pigmentata (tumore di Bednar). La malignità del tumore è pressochè esclusivamente locale; una percentuale variabile di pazienti (fino al 60%) sviluppa una recidiva locale, più frequente in presenza di una escissione chirurgica non radicale. Molto più raramente, possono svilupparsi metastasi per via linfatica (1% dei casi) o ematogena (prevalentemente ai polmoni, 4%-5% dei casi). Da un punto di vista istologico, è costituito da una proliferazione dermo-ipodermica monomorfa di cellule fusiformi tipicamente CD34+, che può presentare un aspetto storiforme (“a tappeto intrecciato”); l’espressività istologica può variare da aspetti che ricordano un istiocitofibroma (grande abbondanza di fibre collagene e solo modeste atipie a carico degli elementi fusocellulari) a quadri molto simili a quelli di un fibrosarcoma vero (atipie cellulari marcate, elevato indice mitotico, scarsità di fibre collagene). Da un punto di vista genetico, è interessante sottolineare come la pressochè totalità dei casi di DP mostrano una traslocazione che coinvolge i cromosomi 17 e 22, e risulta in una fusione dei geni che codificano la catena alfa1 del collagene di tipo I e la subunità beta del Platelet-derived-Growth-factor (PDGFβ). Il prodotto del gene consiste nella forma attiva del PDGFβ, che esplica i suoi effetti patogeni per via autocrina o paracrina attraverso l’attivazione di tirosinochinasi di membrana conseguente al legame con uno specifico recettore transmembrana (PDGFβ-R). Nel presente lavoro, oltre all’analisi delle principali casistiche pubblicate in letteratura, saranno esaminate le più recenti acquisizioni in campo genetico-molecolare e clinico-terapeutico. In particolare, sono presenti alcune segnalazioni sull’impiego di imatinib (un analogo dell’ATP, inibitore selettivo non solo della chinasi PDGβ-R, ma anche delle chinasi KIT e ABL), nel trattamento di lesioni non suscettibili di asportazione chirurgica o metastatiche. A questo riguardo, presentiamo i risultati del trattamento con imatinib di una voluminosa lesione a livello pettorale a progressiva crescita da 20 anni; dopo 1 mese di terapia, si è ottenuta una riduzione dimensionale del 50%, con una ulteriore riduzione nei mesi successivi. 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società Dermatologia psicosomatica, passato-presente e futuro • Linder D Vengono presentati i risultati dell’attività svolta dai Gruppi di Discussione Clinica in dermatologia, attivi a Venezia a partire dal 1998. Attraverso l’analisi delle situazioni cliniche di comune osservazione nella pratica medica, viene proposto un approccio psicosomatico alle malattie dermatologiche che a partire dal sintomo, comprenda nell’osservazione, altri elementi utili ai fini diagnostici e terapeutici, quali: la modalità relazionale che si instaura tra curante e paziente, la rete affettiva e psicosociale presentata durante la visita, il significato economico e difensivo del sintomo, gli affetti controtransferali evocati nel medico durante l’incontro clinico. Si delineano così i confini dell’approccio psicosomatico in dermatologia e le affinità che questo presenta con la clinica psicologica. Rispetto a questa specialità medica viene rilevata l’importanza, per i dermatologi che vogliono accostarsi ad una metodologia di lavoro integrata, di dotarsi di un linguaggio comune, caratterizzato da una coerenza interna, che prenda spunto da teorie riconoscibili nell’ambito della psicologia medica. Il modello che viene presentato trae le proprie acquisizioni dall’approccio psicodinamico. La conduzione dei gruppi ad opera di uno psicoanalista permette l’apprendimento di “strumenti di lavoro teorici” a partire dalle proprie esperienze cliniche e consente l’accesso a concetti normalmente poco rappresentati nella cultura di base del medico. UV e danno degli acidi nucleici • Calzavara Pinton PG Divisione Dermatologica, Spedali Civili, Brescia La radiazione solare induce effetti acuti e cronici nella cute. Elevati dosaggi cumulativi di ultravioletti (UV) dovuti a esposizioni croniche anche a dosi suberitemigene sono considerate la principale causa patogenetiche delle cheratosi attiniche e degli epiteliomi spinocellulari. Episodi ripetuti e saltuari di ustioni solari dovute a sovradosaggi acuti paiono invece in relazione causale con la comparsa di epiteliomi basocellulari e melanoma maligno. Nell’ambito della radiazione solare, è noto che la radiazione UVB ha elevata attività mutagena e carcinogena ma recentemente anche il ruolo di UVA è emerso in modo preoccupante. I danni diretti portano alla formazione di dimeri di tipo ciclobutano - pirimidina e (6-4) - fotoprodotti. Le principali lesioni del DNA indotte da un danno ossidativo sono l’8-ossi-guanina, gli idrati delle pirimidine e il glicole di timina. Gli effetti carcinogenetici degli UV sono dovuti a mutazioni geniche (iniziazione), sovraregolazione dell’espressione genica attraverso vie intracellulari di traduzione del segnale (promozione) e soppressione delle risposte immuni e induzione di tolleranza agli antigeni (progressione). Recenti evidenze sperimentali hanno chiarito i meccanismi di danno diretto del DNA (mediati soprattutto, ma non esclusivamente da UVB) e quelli indiretti mediati dalla formazione di specie reattive dell’ossigeno (mediati prevalentemente, ma non solo, da UVA). Inoltre alcuni studi hanno migliorato le nostre conoscenze sui sistemi di riparazione del DNA denominati NER (nucleotide excision repair) e BER (base excision repair). È stato recentemente dimostrato che IL-12 può aumentare l’attività NER. NER è un processo complesso che coinvolge più di 30 prodotti genici e in cui si identificano 5 principali tappe: • il riconoscimento di una lesione del DNA; • incisione di una singola catena ai lati che fiancheggiano la lesione; • escissione di un nucleotide del DNA su una singola catena (di norma 24- 32 basi); • sintesi di DNA riparativo per rimpiazzare la lesione del DNA escissa; • legazione della singola catena riparata. Inoltre è emersa in modo rilevante, l’importanza patogenetica delle modificazioni UV- indotte nei geni p53, ras e patched. Epidemiologia dei tumori cutanei fotoindotti • Fabbrocini G Clinica Dermatologica - Università degli Studi di Napoli Federico II La radiazione solare è considerata un importante fattore etiopatogenetico nello sviluppo del processo fotocarcinogenetico. Studi recenti hanno dimostrato il ruolo chiave svolto dalla radiazione ultravioletta nelle diverse tappe della fotocarcinogenesi. Molti sono, difatti, gli effetti sia diretti che indiretti che la radiazione ultravioletta svolge sia sulle strutture genomiche che sul sistema im- 95 munitario. La produzione di innumerevoli ed ancora non totalmente conosciuti fotoprodotti e l’interazione di questi con le strutture gnomiche nonché con il sistema immunitario può essere considerato, alla luce delle recenti evidenze scientifiche, il punto cruciale del ruolo svolto dall’ultravioletto quale agente cacinogenetico completo. Studi epidemiologici hanno dimostrato che l’interazione tra il tipo di radiazione ed il tipo di tumore cutaneo può essere ben diversa. Il non melanoma skin cancer (gli epiteliomi) è prevalentemente correlato alla dose cumulativa di UV ricevuta nel corso della vita mentre il melanoma può essere maggiormente messo in relazione con esposizioni all’ultravioletto intense ma intermittenti. Per meglio comprendere il meccanismo biomolecolare alla base de processo carcinogenetico dei tumori fotoinddotti è necessario definire ulteriormente le interazioni tra sistema genomico, sistema immunitario e radiazione ultravioletta. Riportiamo alcune considerazioni effettuate in nostri studi recenti sul carcinoma del labbro inferiore quale interessante modello fotocarcinogenetico. Tumori cutanei: nuove strategie terapeutiche • Fimiani M Dipartimento di Medicina Clinica e Scienze Immunologiche; Sezione di Dermatologia - Università di Siena La cura dei tumori cutanei si arricchisce continuamente di nuove possibilità. Accanto alla terapia chirurgica, che rimane tuttavia il gold standard per la quasi totalità delle neoplasie, si vanno sviluppando numerose nuove strategie alcune delle quali non chirurgiche, con l’intento di rendere più semplice ed in alcuni casi più agevole il trattamento. Tra le forme di trattamento non chirurgico necessitano di essere ricordati alcuni prodotti per uso topico a base di tazarotene, imiquimod, diclofenac, cidofovir ed alcuni farmaci già noti da tempo quali la talidomide, gli interferoni e la IL-2. Tra i trattamenti invasivi la terapia fotodinamica è quella che sicuramente offre le migliori prospettive di sviluppo. Nelle forme di danno solare cronico grave trovano impiego nuove tecniche combinate che prevedono l’impiego di laser resurfacing con successiva copertura della cute cruentata mediante innesti di cheratinociti autologhi espansi in vitro prelevati da cute non fotodanneggiata. Sostanze antiradicaliche e riduzione del rischio attinico • Picardo M Istituto Dermatologica San Gallicano, Roma Ogni anno dati epidemiologici mettono in evidenza un numero crescente di cancri cutanei non-melanoma nella popolazione mondiale. Sulla base di tali evidenze e tenendo conto della stretta relazione esistente tra dose cumulativa di raggi ultravioletti (UV) assorbita dalla pelle e comparsa di cancri cutanei si sono moltiplicati gli studi per chiarire il meccanismo d’azione degli UV e identificare possibili strategie preventive. L’esposizione agli UV attiva una serie di risposte biologiche, che comprendono eritema, infiammazione, formazione di cellule apoptotiche (le cosiddette sunburn cells), alterazioni immunologiche, fenomeni di foto-invecchiamento e foto-carcinogenesi. Gli effetti precoci osservati a livello cutaneo dopo esposizione agli UV sono la conseguenza diretta dell’assorbimento di fotoni UVB (290-320nm) da parte del DNA cellulare, e dello stress ossidativo generato da svariate reazioni indirette che coinvolgono principalmente l’assorbimento della radiazione UVA (290-320nm) da parte di sostanze cromofore intracellulari. Lo stress ossidativo è dovuto alla produzione di radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno (ROS), che attivano processi di lipoperossidazione delle membrane cellulari e la formazione di prodotti di foto-ossidazione delle basi del DNA. L’eritema attinico è la conseguenza ultima del danno al DNA indotto in modo diretto dagli UV e della produzione indiretta di specie radicaliche e/o della liberazione di citochine. I ROS prodotti dagli UV comprendono l’anione superossido, l’ossigeno singoletto, e l’idrossil-radicale; tali radicali sono coinvolti nel cancro cutaneo, in alcune fotodermatosi, nel foto-invecchiamento. Sia i danni diretti al DNA, sia quelli indiretti devono essere riparati prima della divisione della cellula per ridurre o evitare la comparsa di mutazioni nel corredo genetico e processi di carcinogenesi. Una strategia adottata dalle cellule per “guadagnare tempo” e riuscire ad attivare tutti i sistemi di riparo del danno al DNA è l’attivazione della risposta apoptotica. È stato osservato, infatti, che l’esposizione ai raggi UV di porzioni di cute normalmente non foto-esposta induce l’espressione di proteine proapoptotiche, come p53, p21, e bax, che generano cellule apoptotiche in una quantità direttamente correlata alla dose di UV. Al fine di proteggersi dai danni provocati dallo stress ossidativo UV-indotto, la pelle possiede un sofisticato sistema antiossidante composto da antiossidanti enzimatici e non-enzimatici che sono in grado di neutralizzare gli intermedi di reazione dell’ossigeno. Tali sostanze ad azione protettiva, quali antiossidanti diretti, stabilizzatori di membrana, ligandi dei ROS, cofattori essenziali per il corretto funzionamento di antiossidanti enzimatici deputati alla detossificazione dei lipoperossidi, concorrono a limitare i danni indotti dall’esposizione agli UV al 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società genoma dell’epidermide. L’integrità delle cellule viene preservata dagli antiossidanti enzimatici, tra i quali catalasi, glutatione perossidasi, e glutatione reduttasi, che in modo sinergico neutralizzano il perossido di idrogeno e i lipoperossidi, mentre l’anione superossido viene detossificato dalla superossido dismutasi. Gli antiossidanti non-enzimatici della cute si localizzano nel citosol, come il glutatione e l’acido ascorbico, o a livello delle membrane cellulari, come la vitamina E o l’ubichinolo-10. L’ampia gamma di sostanze antiossidanti e la loro differente localizzazione nelle strutture cellulari fornisce una adeguata protezione nei confronti dei danni ossidativi prodotti dalle specie radicaliche. Tuttavia gli antiossidanti endogeni costituiscono anche un bersaglio preferenziale degli UV e il loro livello risulta notevolmente diminuito dopo esposizione solare. Una strategia interessante per potenziare la foto-protezione consiste nel supportare il sistema antiossidante endogeno della pelle con una supplementazione esogena. Negli ultimi anni, svariati studi sono stati condotti sia in vivo che in vitro per verificare che le sostanze antiossidanti, da sole o in associazione tra loro, applicate topicamente o somministrate per via sistemica, siano in grado di contrastare il foto-danno UV-indotto, identificando anche i loro meccanismi di azione. Questa relazione fornisce una panoramica dello stato dell’arte di tali studi, riassumendo i risultati relativi a terapie antiossidanti già validate per il rischio attinico, senza tralasciare nuove formulazioni di sostanze antiossidanti che hanno dato risultati promettenti nella protezione dal danno attinico. Eritema polimorfo, Sindrome di Stevens-Johnson, Necrolisi epidermica tossica: eziopatogenesi, generalità • Caproni M, Cardinali C, Giomi B, Torchia D, Volpi W, Fabbri P e Gruppo di Immunopatologia Cutanea Clinica Dermatologica, Università di Firenze L’Eritema polimorfo (EP), la Sindrome di Stevens-Johnson (SSJ) e la Necrolisi epidermica tossica (NET) rappresentano uno spettro di malattia caratterizzate da severe manifestazioni cutaneo-mucose, etiologicamente correlate con l’attività di numerosi farmaci (trimetoprimsulfametossazolo, sulfamidici, aminopenicilline, chinoloni, cefalosporine, corticosteroidi, carbamazepina, fenitoina, fenobarbital, acido valproico, anti-infiammatori non steroidei (FANS) del tipo oxicam, e allopurinolo) e di specifici agenti microbici [HSV (60% dei casi), HBV, HIV, EBV, virus della parotite epidemica, Mycoplasma, Chlamydia trachomatis, Histoplasma capsulatum]. Si tratta di patologie acute, di particolare gravità soprattutto nei casi caratterizzati da un’ampia disepitelizzazione in grado talora di determinare un esito fatale in un terzo circa dei casi farmaco-correlati. La patogenesi dello spettro di malattia sembra essere sostenuta da un’immunoreazione linfocitaria che si realizza in individui geneticamente predisposti (HLA-B44+, -B12+) caratterizzati da peculiari difetti enzimatici (come ad es. una ridotta capacità di N-acetilazione per i sulfamidici). È presumibile che la somministrazione di un farmaco o una particolare infezione virale inducano una reazione immunologica linfocito-mediata con una prevalenza di linfociti T CD4+, polarizzati in senso Th1, nelle lesioni EP-like ed una prevalenza di linfociti T CD8+ forniti di attività citotossica nelle forme SSJ/NET. In particolare i linfociti TCD8+ sarebbero specificatamente rivolti contro cheratinociti epidermici o epiteliociti delle mucose che esprimono, in associazione con molecole di I classe, antigeni farmaco - e virus-correlati sulle loro membrane cellulari. La liberazione di mediatori citotossici come granzime B e perforina, l’interazione Fas/Fas ligando (FasL) e l’aumentata produzione di nitrossido (NO) - sintetasi determinerebbero i fenomeni apoptotici cheratinocitari caratteristici della malattia. Inoltre, l’attivazione dei macrofagi ad opera di citochine come INF-γ, prodotte dai linfociti T CD4+ infiltranti il derma superficiale, potrebbe rappresentare un meccanismo implicato nella flogosi cutanea immunomediata in associazione alla liberazione di TNF-α documentato in elevata concentrazione nella cute lesionale. Bibliografia • Fabbri P. Immunodermatologia. ISED, Brescia, 2002. • Auquier-Dunant A, Mockenhaupt M, Naldi L et al. Correlations between clinical patterns and causes of erythema multiforme majus, Stevens-Johnson syndrome, and toxic epidermal necrolysis. Arch Dermatol 2002; 138: 1019-1024. • Posadas SJ, Padial A, Torres MJ et al. Delayed reactions to drugs show levels of perforin, granzyme B, and Fas-L to be related to disease activity. J Allergy Clin Immunol 2002; 109: 155-61. 97 Eritema polimorfo, Sindrome di Stevens-Johnson, Necrolisi epidermica tossica: terapia • Guerriero C, De Simone C Istituto di Dermatologia Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma L’eritema polimorfo, la sindrome di Stevens-Jonson e la necrolisi epidermica tossica costituiscono uno spettro di malattie cutanee di gravità variabile indotte da differenti stimoli. La gravità del quadro dermatologico e il grado di coinvolgimento sistemico costituiscono parametri fondamentali nell’approccio terapeutico. L’eritema polimorfo è una forma clinica ad andamento in genere autorisolutivo spesso provocata da infezioni (herpes virus 1 e 2, Mycoplasma pneumoniae, streptococchi), oltre che da diversi farmaci. Rari casi sono stati attribuiti a lupus eritematoso, carcinomi (rene, ovaio e stomaco) e sarcoidosi. Nei casi più lievi sono indicate terapie sintomatiche quali antistaminici sistemici e corticosteroidi topici per ridurre il prurito. Se è documentata la presenza di un’infezione può essere indicata una terapia sistemica mirata. Nelle forme ricorrenti (più di 6 recidive/anno) sono state proposte varie terapie a lungo termine tra le quali è considerata di prima scelta l’aciclovir, ma anche il dapsone, l’azatioprina e la talidomide sono state utilizzate con risultati contrastanti. Quando sono presenti lesioni mucose (circa 70% dei casi) sono consigliate terapie sintomatiche topiche e una dieta priva di sostanze irritanti. Nelle forme severe può essere indicata una terapia con corticosteroidi sistemici, ed è stata proposta l’utilizzazione di levamisolo in monoterapia o in associazione con prednisone. Le lesioni congiuntivali vanno trattate con antibiotici topici allo scopo di prevenire infezioni secondarie e con l’eventuale sbrigliamento delle aderenze. La sindrome di Stevens-Johnson e la necrolisi epidermica tossica rappresentano due forme cliniche di gravità maggiore entrambe caratterizzate da distacco dermo-epidermico e da coinvolgimento delle mucose. In molti casi queste forme sono scatenate dall’assunzione di farmaci. L’approccio terapeutico prevede oltre all’immediata sospensione di tutte le terapie farmacologiche introdotte nelle quattro settimane precedenti alla comparsa dei sintomi l’attivazione di misure atte a mantenere l’idratazione, la termoregolazione e la prevenzione della sepsi oltre ad un adeguato apporto nutrizionale e a una eventuale analgesia. L’utilizzazione di corticosteroidi sistemici in queste forme rimane controverso. Alcuni autori suggeriscono che l’uso di tali farmaci aumenterebbe la morbilità e la mortalità aumentando il rischio di sepsi. Al contrario altri lavori sostengono che l’utilizzazione di alte dosi di corticosteroidi nelle fasi precoci di queste forme bloccherebbe il distacco dermo-epidermico sebbene questo non sia stato ancora documentato in studi controllati. Anche l’utilizzazione di immunoglobuline endovenose rimane controverso: alcuni autori, infatti, riportano una significativa riduzione di mortalità con l’utilizzazione di questa terapia dovuta la blocco dell’apoptosi Fas-mediata, ma questo dato non è confermato da altri studi. Infine, sono presenti in letteratura segnalazioni di pazienti trattati con ciclosporina con risultati soddisfacenti e casi trattati con plasmaferesi, pentossifillina e ciclofosfamide ma la esiguità dei dati non consente una valutazione effettiva della efficacia di questi trattamenti. Eritema polimorfo, Sindrome di Stevens-Johnson, Necrolisi epidermica tossica: cellule e mediatori del danno tissutale • Marzano AV, Frezzolini A*, Vaccaro M°, Vanotti M, Venegoni L, ^Berti E Istituto di Scienze Dermatologiche, Università degli Studi di Milano - IRCCS Ospedale Maggiore di Milano *Laboratorio di Immunologia e Allergologia, Istituto Dermopatico dell’Immacolata - IRCCS, Roma °Istituto di Dermatologia, Università di Messina ^Università di Milano “Bicocca” La sindrome di Stevens-Johnson (SJS) e la necrolisi epidermica tossica (TEN) sono patologie cutanee ad esordio acuto, di rara osservazione, indotte nella maggioranza dei casi da farmaci e che rappresentano varianti con diversa gravità all’interno di uno spettro anatomo-clinico. Tale gruppo di patologie comprende, oltre a forme di transizione tra SJS e TEN, anche l’eritema polimorfo (EM) nella sua variante major, entità nella quale è tuttavia possibile dimostrare un’eziologia virale da herpes simplex in un’elevata percentuale di casi. I meccanismi patogenetici sarebbero distinti nelle diverse forme sopra menzionate. Si è ipotizzato che un’ipersensibilità di tipo ritardato, sostenuta da linfociti T helper-inducer CD4+ responsabili di un’aumentata secrezione di interferone-γ, sia implicata nella patogenesi dell’EM associato ad infezioni virali. Una risposta allergica citotossica, mediata da linfociti T CD8+ e da cellule NK, svolgerebbe invece un importante ruolo patogenetico nelle varianti farmaco-indotte, in particolare nella SJS e nella TEN. Si ritiene che in tali forme il principale meccanismo di induzione della morte cheratinocitaria sia rappresentato dall’apoptosi, avviata dalle cellule citotossiche ed elicitata da citochine apoptotiche, in particolare il TNF-α, dal rilascio di molecole quali le perforine e da interazioni cellulari mediate da recettori come il FAS e il proprio ligando. Abbiamo pertanto analizzato la casistica di pazienti con diagnosi di EM major, SJS e TEN seguiti in diversi centri dermatologici italiani negli ultimi 15 anni e condotto uno studio immunoistochimico rivolto alla caratterizzazione fenotipica dell’infiltrato 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società cellulare e alla valutazione dell’espressione dei principali mediatori del danno tissutale, quali proteine citotossiche, citochine e molecole coinvolte nella regolazione dell’apoptosi. I risultati dello studio vengono presentati nell’intento di contribuire al chiarimento della patogenesi delle suddette forme. Bibliografia • Kokuba H, Aurelian L, Burnett J. Herpes simplex virus associated erythema multiforme (HAEM) is mechanistically distinct from druginduced erythema multiforme: interferon gamma is expressed in HAEM lesions and tumor necrosis factor-alpha in drug-induced erythema multiforme lesions. J Invest Dermatol 1999;113:808-815. • Inachi S, Mizutani H, Shimizu M. Epidermal apoptotic cell death in erythema multiforme and Steven-Johnson syndrome. Contribution of perforin-positive cell infiltration. Arch Dermatol 1997;133:845-849. • Abe R, Shimizu T, Shibaki A, Nakamura H, Watanabe H, Shimizu H. Toxic epidermal necrolysis and Steven-Johnson syndrome are induced by soluble Fas Ligand. Am J Pathol 2003;162:1515-1520. Eritema polimorfo, Sindrome di Stevens-Johnson, Necrolisi epidermica tossica: sierologia • Parodi A, Cozzani E DiSEM Sezione di Dermatologia, Università degli Studi di Genova La patogenesi dell’eritema polimorfo, della sindrome di Stevens-Johnson e della necrolisi epidermica tossica è mediata dai linfociti T. Tuttavia a volte si possono reperire, con l’immunofluorescenza diretta, degli anticorpi che si legano ad antigeni della membrana cellulare dei cheratinociti. Alcuni Autori, hanno anche trovato nel siero di questi pazienti anticorpi diretti verso proteine della placca desmosomiale identificate come la desmoplachina I e II. Verrà discusso il ruolo ed il significato di queste alterazioni immunologiche. Eritema polimorfo, Sindrome di Stevens-Johnson, Necrolisi epidermica tossica: istologia • Quaglino P, Tomasini C, Soro E, Osella-Abate S, Novelli M Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana, Sezione di Dermatologia - Università di Torino Saranno presentati schematicamente i quadri istopatologici salienti riscontrabili nelle lesioni cutanee di pazienti affetti da eritema polimorfo, sindrome di Stevens-Johnson e necrolisi epidermica tossica. Gli aspetti istopatologici sono caratteristici e specifici e sono costituiti, come è noto, da: • degenerazione vacuolare a livello della giunzione dermo-epidermica; • apoptosi dei cheratinociti delle assise inferiore dell’epidermide; • spongiosi; • infiltrato infiammatorio superficiale a disposizione perivascolare intorno ai vasi dilatati del plesso dermico superficiale. La differente espressività istopatologica di tali fattori, riscontrabili non solo a livello delle macule e delle papule eritemato-edematose, ma anche a livello delle macule e papule “a coccarda” incompleta, delle papule “a coccarda” completa e delle vescicole e bolle, costituisce il substrato alla base del polimorfismo clinico delle lesioni cutanee. Pertanto, le alterazioni istopatologiche riscontrabili nelle lesioni a macula sono costituite dall’aggressione degli strati basali da parte dei linfociti dell’infiltrato superficiale, associata a lieve spongiosi, comparsa di focali aree di degenerazione vacuolare ed induzione di apoptosi cheratinocitaria. Nell’area centrale delle lesioni “a coccarda” si determina, in considerazione della persistenza degli eventi patologici che hanno indotto il danno tessutale, un incremento dei fenomeni apoptotici, associato ad una più cospicua presenza di edema intercellulare e degenerazione dei cheratinociti anche degli strati sopra-basali; nelle aree periferiche, invece, che costituiscono da un punto di vista evolutivo le aree di più recente insorgenza, il quadro istopatologico è sovrapponibile a quello della macula. La bolla, che origina a livello della giunzione dermo-epidermica ma diventa in seguito anche intraepidermica, si forma per l’azione combinata dell’edema intercellulare, della degenerazione vacuolare e dell’apoptosi cheratinocitaria. Nelle lesioni di pazienti con necrolisi epidermica tossica, le alterazioni dell’epidermide prevalgono nettamente su quelle a carico del derma; infatti, la massiva necrosi confluente a tutto spessore dell’epidermide si associa alla presenza di uno scarso infiltrato infiammatorio e di un modesto edema papillare. Questi rilievi, se da un lato suggeriscono la presenza di tratti in comune tra le tre patologie, ne sottolineano tuttavia le profonde differenze, non solo da un punto di vista clinico-patologico, ma anche e soprattutto eziopatogenetico. Infatti, la prevalenza dei danni isto- 99 patologici a carico dell’epidermide caratterizzerebbe quei quadri clinici (eritema polimorfo major, sindrome di Stevens-Johnson, necrolisi epidermica tossica) più frequentemente associati ad una eziologia da farmaci; al contrario, nell’eritema polimorfo minor, associato ad una eziologia virale, prevalgono i fenomeni infiammatori associati ad una solo modesta presenza di degenerazione vacuolare ed apoptosi cheratinocitaria. Dermatofizie profonde suppurative • Aste N Clinica Dermatologica, Università di Cagliari Le dermatofizie profonde sono prevalentemente ed essenzialmente sostenute da processi infiammatori che si svolgono a livello dermico e la cui genesi, più che ad un parassitamento diretto di strutture epidermiche cheratinazzate, è legata a reazioni specifiche secondarie di tipo essudativo acuto. Queste dermatofizie presentano talvolta, sin dal loro inizio, una chiara tendenza all’infiltrazione e alla suppurazione follicolare; altre volte iniziano come dermatofizie epidermiche o pilari superficiali torpide e solo in un secondo momento assumono un andamento acuto infiammatorio ed essudativo con interessamento follicolare e perifollicolare. I miceti maggiormente responsabili sono quelli zoofili tra cui Tricophyton mentagrophytes, Tricophyton verrucosum, Microsporum canis e le forme più frequenti sono la dermatofizia follicolare agminata, la sicosi ed il kerion celsi. Immunoregulation of allergic contact dermatitis • Cavani A Laboratory of Immunology, Istituto Dermopatico dell’Immacolata, IRCCS, Rome, Italy Allergic contact dermatitis (ACD) to haptens can serve as a valuable paradigm for understanding the physiopathology of T cell mediated immune responses. In sensitized individuals, exposure to the relevant hapten initiates clinical expression of ACD, which depends on the rapid activation of specific T cells. Mechanisms of tissue damage include direct cytotoxicity against keratinocytes, mostly mediated by CD8+ T cells, and T cell release of cytokines, which amplify the inflammatory response by targeting resident skin cells. The expression of ACD is actively regulated by specialized subsets of T lymphocytes with suppressive functions. In particular, T regulatory cells 1, which produce IL-10 and block the antigen presenting function of dendritic cells, and CD4+CD25+ T cells. The latter subset of T regulatory cells maintain peripheral tolerance to haptens by acting through a cytokine-independent, cell-to-cell contact-dependent mechanism. Understanding the role of suppressor T cells and the requirements for their in vivo and in vitro expansion are critical steps for the development of specific desensitization protocols in hapten-allergic individuals. This information may also provide the basis for novel interventions in other immune-mediated diseases. The natural immune system of keratinocytes • Hashimoto K Ehime University School of Medicine, Ehime, Japan Recently, it has been shown that natural immunity plays an important in the defense mechanism for bacterial infection. We hypothesized that epidermal differentiation regulates innate immunity, since epidermal differentiation is thought to protect the body from the outside environment. Previously, we reported that apoptosis signal regulating kinase-1 (ASK1) is an intracellular regulator of keratinocyte differentiation, especially late phase differentiation. Therefore, we clarified the role of ASK1 in epidermal innate immunity. Epidermal keratinocytes produce the human antimicrobial peptides beta-defensin-1 (hBD1), hBD2, and hBD3. We examined the effect of ASK1 on the production of BDs. Transfection of the constitutively active form of ASK1 to normal human keratinocytes using adenovirus vector markedly enhanced hBD1, hBD2, and hBD3 mRNA expression, 2.9-, 22-, and 44-fold compared to controls, respectively, as analyzed by ribonuclease protection assay. This induction was almost completely abolished by the addition of p38 inhibitors: SB203580 and SB202190. Next, we analyzed the role of ASK1 in BD production in mouse keratinocytes obtained from ASK1-/- mice. Direct contact between heatinactivated S. aureus and cultured ASK1+/+ mouse keratinocytes for 18 h enhanced mBD2 and mBD6 mRNA expression, 3.8- and 1.6fold compared to controls, respectively. In contrast, ASK1-/- mouse keratinocytes did not induce mBD2 or mBD6 mRNA (1.1- and 0.9- 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società fold, respectively). These data demonstrate that ASK1, an intracellular regulator of keratinocyte differentiation, is an integral part of the natual immune system of keRatinocytes. Risultati del progetto Sole Sì-Sole No GISED • Chatenoud L1, Naldi L2 1 Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano - 2U.O. di Dermatologia, Ospedali Riuniti di Bergamo Ai fini della prevenzione della maggior parte dei tumori cutanei epiteliali e del melanoma, l’importanza di un cambiamento nelle abitudini di esposizione al sole non può essere sottovalutata. Una valutazione controllata dell’efficacia degli interventi, dovrebbe costituire parte integrante dei programmi di prevenzione primaria. Per essere efficace, un intervento educativo deve poter influenzare l’esposizione solare in una fase precoce della vita mantenendo effetti protratti nel tempo. Viene presentato uno studio controllato e randomizzato per quantificare l’efficacia di un intervento educativo relativo ad una corretta esposizione solare. Lo studio, iniziato durante l’anno scolastico 2001-2002, si concluderà alla fine dell’anno scolastico corrente. Partecipano allo studio 18 centri GISED di varie aree geografiche coinvolgendo un campione di circa 100 scuole elementari Italiane (classi II e III), per un totale di oltre 12000 bambini. Le scuole sono state randomizzate a ricevere o meno un intervento educativo strutturato (50% dei bambini in ogni braccio di randomizzazione). Tale intervento, condotto da insegnanti opportunamente formati, si è svolto con il supporto di materiale sviluppato ad hoc. Nelle scuole randomizzate al gruppo di controllo, non è stato condotto alcun intervento specifico. Una prima valutazione di efficacia dell’intervento riguarda la misura delle abitudini di esposizione solare degli alunni e del grado di conoscenza circa gli effetti del sole sulla pelle effettuata tramite un questionario (compilato dalle famiglie). Questa prima valutazione è stata effettuata al basale (precedente l’intervento per le scuole randomizzate ad intervento attivo) e viene ripetuta a fine dell’anno scolastico successivo. Una seconda valutazione di efficacia si focalizza su di un sotto-gruppo di classi scelte direttamente dai centri partecipanti in numero comparabile per ogni braccio di randomizzazione (circa 4500 bambini). Nelle classi selezionate si esegue un’esercitazione guidata da un dermatologo, nel corso della quale si valutato il fenotipo dei bambini e si procede alla conta dei nevi melanocitici sugli arti superiori. La fase allargata del progetto Sole Si-Sole No GISED è iniziata durante l’anno scolastico 2002-2003 e si concluderà durante l’anno scolastico 2003-2004 con i dati relativi al Follow-Up. La percentuale di partecipazione allo studio è stata buona, circa 80% di tutti i bambini inizialmente contatti. A titolo esclusivamente esplorativo, sono stati analizzati i dati della fase pilota dello studio, conclusasi con l’anno scolastico 2002-2004, coinvolgendo un totale di 5000 bambini circa. Da questa analisi preliminare è risultato che circa il 20% dei bambini si espone intensamente ai raggi solare durante l’anno, il 12% accusa almeno una ustione solare nell’anno precedente ed il 50% dei bambini ha meno di 10 nevi melanocitici sugli arti superiore. Per i fattori analizzati, non si sono riscontrate differenze significative tra i due gruppi di randomizzazione nè considerando i valori basali (comme auspicabile), ma nemmeno quando per questi stessi fattori sono state analizzate le differenze entro-pazienti (Follow-Up vs Basale). Tuttavia, qualsiasi conclusione riguardante l’efficacia dell’intervento educativo sarebbe ad oggi inadeguata poiché basata sul 42% del campione complessivo previsto a fine studio. In generale, lo studio Sole Si- Sole No-GISED è uno studio originale per il suo disegno, ad oggi infatti, pochi studi hanno randomizza un intervento educativo effettuando successivamente un Follow-Up che permetta di associare in modo univoco le risposte temporali dei singoli bambini. Nuovi dati del programma EpiEnlist • Ingordo V Reparto Dermatologia - Ospedale Principale Marina Militare, Taranto Dal 2002 il GISED, in collaborazione con il Reparto Dermatologia dell’Ospedale M.M. di Taranto, ha attivato il progetto EpiEnlist, che prevede lo studio della prevalenza di alcune patologie dermatologiche tra i giovani sottoposti a visita di leva, i quali sono un campione rappresentativo della popolazione giovanile italiana. Le manifestazioni finora sottoposte a studio sono: l’ittiosi, la vitiligine, la neurofibromatosi, il nevo di Becker ed il nevo congenito. I dati sono in continuo aggiornamento. Sino ad oggi, l’ittiosi legata al sesso è stata stimata con una frequenza dello 0.02%, su circa 92.000 giovani esaminati. Su 23.000 giovani, la NFs-1 è stata rilevata con una prevalen- 101 za dello 0.02% e la vitiligine ha mostrato una prevalenza dello 0.19%. Il nevo di Becker è stato osservato nello 0.28% di 27.000 giovani, mentre il nevo congenito è stato diagnosticato nello 0.81% di 12.000 giovani visitati. I dati sono grossolanamente sovrapponibili a quelli disponibili in letteratura Paratormone ed ormoni pancreatici • Micali G, Nasca MR Clinica Dermatologica, Università di Catania Sia l’iper che l’ipoparatiroidismo possono accompagnarsi a manifestazioni dermatologiche, rispettivamente rappresentate, nel primo, dal prurito e dalla calcinosi con possibili complicanze necrotiche, e, nel secondo, da xerosi cutanea e distrofia degli annessi; in quest’ultimo caso è anche segnalata una possibile associazione con talune dermatosi, quali la candidosi e l’impetigo herpetiformis. Tali evenienze sono tuttavia di rara osservazione nella pratica clinica. Ben più importante, complesso e variegato è il quadro delle manifestazioni cliniche di interesse dermatologico osservabili in seguito ad alterazioni a carico della secrezione degli ormoni pancreatici, principalmente rappresentati dall’insulina e dal glucagone. Mentre l’aumento di quest’ultimo, di infrequente riscontro, è causa della comparsa di un quadro dermatologico raro ma caratteristico noto come eritema necrolitico migrante, l’alterata produzione di insulina è una condizione estremamente frequente nella popolazione generale, che si associa alla malattia diabetica ed ad un gran numero di dermatosi, tra cui lo scleredema diabeticorum, la necrobiosi lipoidica, gli xantomi eruttivi, il granuloma anulare disseminato, il mal perforante plantare, la pseudo-acanthosis nigricans, la bullosi idiopatica, il prurito anogenitale e le infezioni batteriche (foruncolosi, erisipela, gangrena settica, intertrigini da gram negativi, etc.) e fungine (candidosi, etc.), solo per citarne alcune. Tali affezioni, di volta in volta riconducibili a meccanismi patogenetici vari (turbe dismetaboliche correlate all’iperglicemia ed alla dislipidemia, micro e macroangiopatia diabetica, alterazione dei meccanismi difensivi aspecifici e immunomediati, etc.) sono complessivamente osservate in oltre un terzo dei pazienti affetti da diabete e, pertanto, in considerazione dell’alta incidenza che tale patologia ha nella popolazione generale, sono di frequente riscontro nella pratica dermatologica e clinica in genere. Scopo della trattazione è fornire un’ampia ed esaustiva panoramica delle sovramenzionate affezioni, anche allo scopo di indicare i possibili provvedimenti terapeutici utili al loro trattamento. La terapia topica delle ulcere cutanee infette: i detergenti e gli antisettici • Carrera C, Veraldi S Istituto di Scienze Dermatologiche- I.R.C.C.S.- Ospedale Maggiore di Milano La detersione costituisce il primo approccio terapeutico di un’ulcera cutanea. Sitratta di un gesto molto importante, in quanto una detersione effettuata consostanze o con metodiche non corrette può influenzare negativamente lariepitelizzazione. Glistessi antisettici, potenzialmente citotossici, vanno utilizzati concautela. Scopo della detersione è di rimuovere dall’ulcera, chimicamente e meccanicamente,l’essudato, il sangue, la fibrina, i frammenti necrotici, i detriti cellulari ei batteri. La detersione permette anche di diminuire o di eliminare l’eventualeodore sgradevole dell’ulcera, migliorando la qualità di vita delpaziente. Levariabili che devono essere prese in considerazione nella detersione diun’ulcera sono. Le modalità della detersione, la temperatura con cui siutilizzano i detergenti, le sostanze detergenti, la durata delle detersione e lafrequenza della detersione. Clinica delle ulcere cutanee infette • Farris A U.O. Dermatologia Ospedale S. Paolo - Savona Negli ultimi anni il concetto di infezione dell’ulcera cutanea cronica è profondamente cambiato. È infatti ormai accettato che alle definizioni di contaminazione, colonizzazione ed infezione debba essere aggiunto quello di colonizzazione critica. Esistono inoltre evidenze tendenti a dimostrare come non sia più il solo dato quantitativo della carica batterica da tenere in considera- 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società zione ma anche e soprattutto il rapporto con la capacità dell’organismo ospite a difendersi. A tutto ciò vanno aggiunti i nuovi concetti di sinergia batterica, di “quorum sensing” e di “biofilm”. Vengono infine presentati i sintomi oggettivi e soggettivi dell’infezione superficiale e profonda dell’ulcera cutanea cronica. Ulcere cutanee infette: metodiche di prelievo • Farris A U.O. Dermatologia Ospedale S. Paolo - Savona Nella relazione l’Autore presenta le varie tecniche a tutt’oggi descritte in letteratura per effettuare in maniera adeguata i prelievi e le relative indagini di laboratorio per poter valutare in maniera adeguata l’eventuale colonizzazione critica e/o infezione dell’ulcera cutanea cronica. La terapia topica delle ulcere: gli antibiotici - La terapia sistemica delle ulcere • Motolese A U.O. di Dermatologia - Ospedale “Alessandro Manzoni”, Lecco Nella terapia topica e sistemica delle ulcere, le terapie antibiotiche rappresentano ad oggi in molti paesi un problema crescente a causa delle multiresistenze da parte dei microorganismi. Le revisioni sistematiche presenti in letteratura riguardo l’uso topico e sistemico di molecole antibiotiche rivela scarse evidenze sulla efficacia clinica in relazione anche ai costi effettivi delle terapie. Nella maggior parte delle “consensus” riguardanti la terapia delle ulcere, redatte da esperti della materia, l’uso di antibiotici sistemici in caso di infezioni acute in corso di lesioni croniche, è sempre consigliato. Peraltro, la relazione esistente fra colonizzazione batterica e “wound healing” rimane per certi aspetti ancora da chiarire. E’ noto (dai dati presenti in letteratura) che ritardi certi nel processo di guarigione possano avvenire quando il numero dei microorganismi sia valutabile intorno o al di sopra di 106/108 (gr/tessuto), e che i microorganismi streptococcici sono probabilmente associati a interferenze nel wound healing a numeri inferiori. E’ quindi pensabile che una valutazione quantitativa della colonizzazione batterica possa fornire dati meglio interpretabili sullo stato di infezione delle ulcere stesse. Un altro problema importante è rappresentato dai “biofilms” batterici, zone translucide di infezione, nei quali il materiale necrotico e una probabile mancata risposta da parte dell’ospite creano un ambiente favorevole ed ulteriori resistenze alla azione di farmaci topici e sistemici utilizzati a scopo antimicrobico. In un lavoro svedese del ’98 è emerso che il 60% di 240 pazienti affetti da ulcere degli arti avevano effettuato terapia sistemica con uno o più antibiotici negli ultimi 6 mesi, con una predominanza dei chinolonici, ed il 38% in ambiente ospedaliero. È dunque attualmente presente in alcune “consensus” (Swedish consensus, p.es.) così come in alcune linee guida riguardanti le ulcere da pressione (EPUAP) la raccomandazione di utilizzare gli antibiotici sistemici soltanto in presenza di segni evidenti di infezione e nei decubiti solo in presenza di “batteriemia, sepsi, cellulite ed osteomielite”. Riguardo gli antibiotici topici, sembra di poter dire che soltanto in pochissimi casi ne sia consigliabile l’utilizzo, considerando quanto efficace e non lesivo dei tessuti sia l’uso degli antisettici a lento rilascio (in particolare, argento in nanocristalli e iodio cadexomero). I fenomeni relativi alla sensibilizzazione per contatto nei confronti di queste molecole sono comunque ridotti, da una parte per il loro limitato uso, dall’altra poiché si utilizzano sempre meno molecole ad alto potere sensibilizzante quali neomicina, cloramfenicolo ecc. Batteri aerobi: nuovi concetti microbiologici per vecchie ulcere • * Papi M, ° Fiscarelli E ° Ospedale Bambin Gesù, IRCCS - Roma; * Istituto Dermopatico Immacolata, IRCCS - Roma Nonostante gli eccezionali progressi realizzati nel mondo della riparazione tessutale negli ultimi 20 anni, il problema dello sviluppo e della presenza dei microbi nelle ferite acute e croniche resta ancora un argomento dibattuto, di difficile valutazione sul piano dei parametri diagnostici e fonte di scelte e impostazioni terapeutiche controverse. Presupposto per un nuovo approccio alle interazioni tra microbi e lesioni ulcerative è, a nostro avviso, l’approfondimento di alcuni concetti di fisiopatologia microbiologica. L’evento “infezione” dell’ulcera infatti, è la conseguenza della rottura di uno stato di equilibrio tra paziente e microrganismi colonizzanti, favorito da specifiche condizioni patologiche (diabete, malnutrizione, immunodepressione) e dalle caratteristiche biologiche dei microbi (numero, ag- 103 gressività, fenomeni di sinergismo-antagonismo). Efficacia e tollerabilità di un nuovo idrogel nella gestione delle ulcere da pressione • Romanelli M, Bocchietto E*, Pecis L* Clinica Dermatologica, Università di Pisa, *ICIM International, Milano Le ulcere da pressione sono caratterizzate da un pesante carico di assistenza nella loro gestione quotidiana. Le lesioni possono manifestarsi in differente stadiazione in base al coinvolgimento dermo-epidermico e delle strutture sottocutanee e frequentemente giungono alla attenzione del dermatologo come lesioni cavitarie con consistente perdita di sostanza. L’ambiente umido che si viene a creare attraverso l’uso di medicazioni avanzate favorisce le varie fasi della riparazione tessutale di una lesione ulcerativa e consente una migliore gestione del paziente. Gli idrogel costituiscono una tipologia di medicazioni avanzate che trova favorevole impiego in presenza di ulcere da pressione in stadio III e IV e spesso con complicanze quali sottominature e fistolizzazioni. In questo studio è stata valutata l’efficacia e tollerabilità in vitro ed in vivo di un nuovo idrogel con caratteristiche antimicrobiche e di stimolo cellulare. Il prodotto è stato sottoposto in vitro a test di citotossicità preliminari su fibroblasti umani primari, rivelandosi privo di effetti tossici anche a concentrazioni elevate. La valutazione della MIC su ceppi quali Pseudomonas aeruginosa e Stafilococco aureo ha rilevato una buona attività antibatterica. Gli autori riportano la loro esperienza prospettica in una serie non controllata di casi clinici di ulcere da pressione in differente stadiazione ed in associazione all’uso di dispositivi medici per lo scarico della pressione. Ulcere cutanee infette: ruolo dei batteri anaerobi • Veraldi S, Dassoni F, Frasin LA, Schianchi R Istituto di Scienze Dermatologiche, I.R.C.C.S., Università di Milano Il ruolo dei batteri anaerobi nelle ulcere cutanee croniche è stato fino a oggi poco studiato: a priori, e probabilmente erroneamente, è stata loro attribuita una scarsa importanza. Tuttavia, recenti dati della letteratura confermerebbero un ruolo non secondario dei batteri anaerobi nel ritardare la guarigione delle ulcere cutanee. Gli autori presentano la loro esperienza microbiologica (con particolare riferimento a Peptostreptococcus spp. e Bacteroides spp.) e clinica ed esaminano criticamente quanto è stato fino a oggi pubblicato nella letteratura internazionale. Trattamento dell’alopecia androgenetica maschile tramite LPG sistem®: risultati preliminari • Calvieri S, Rossi A, Pistola G, Cantisani C Dipartimento di Malattie Cutanee Veneree e Chirurgia Plastica Ricostruttiva Università degli Studî di Roma “La Sapienza” (Direttore: Prof. S. Calvieri) Alcuni Autori ritengono che il massaggio metodico del cuoio capelluto possa indurre crescita di capelli. Per verificare questo fenomeno, presso il nostro Dipartimento, abbiamo reclutato alcuni pazienti di sesso maschile, di età compresa tra 20 e 30 anni affetti da alopecia androgenetica maschile (AGA) del III-IV-V grado secondo la scala di Hamilton-Norwood. I pazienti sono stati sottoposti a due differenti schemi di trattamento con il dispositivo LPG Systems® Cellu M6® IP. La valutazione dell’efficacia è stata valutata al basale (T0), dopo tre mesi (T1) e dopo 6 mesi (T2), mediante fotografia globale (Canfield Scientific Inc.) e videomicroscopia digitale (TRICOSCAN®). Gli autori discutono i risultati, i vantaggi, gli svantaggi e le possibili nuove prospettive terapeutiche apportate da questa metodica. 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società Valutazione del turnover dei capelli nelle bambine in fase pre-postmenarca relazionabile a modificazioni ormonali • Chieregato C, Germi L, Moghetti P*, Maffeis C° Dipartimento di Scienze Biomediche e Chirurgiche dell’Università di Verona, Sezione di Dermatologia e Venereologia (Direttore: Prof. Giancarlo Chieregato) Divisione di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo* (Direttore: Prof. Michele Muggeo) Clinica Pediatrica° (Direttore: Prof. Luciano Tatò) L’indagine si svolge nell’ambito di uno studio sulla normalità in tricologia (GITRI - Congresso Nazionale SIDEV Palermo 2002). In questo contesto la valutazione da noi effettuata, utilizzando il wash test come metodo per la misurazione della caduta dei capelli, ha evidenziato che vi era un aumento della caduta nelle bambine con qualche anno di anticipo rispetto all’età menarcale: tra gli 8 e 10 anni. Si poteva ipotizzare una variazione quantitativa della caduta in rapporto a modificazioni ormonali nelle bambine collegabili alle variazioni della secrezione surrenalica in tale fascia di età. Riprendendo gli studi sopracitati si è organizzata una ricerca più approfondita insieme ai Colleghi Endocrinologi e Pediatri per verificare tale ipotesi. Come metodica sono stati utilizzati il wash test per quantificare la caduta dei capelli ed il dosaggio, nelle urine delle 24 ore, dei metaboliti urinari degli androgeni responsabili di tale modificazione nel turnover dei capelli. Vengono esposti e valutati i risultati ottenuti in bambine di età compresa tra 6 e 14 anni. Wash test rivisto e corretto • Guarrera M, Vecchio F, Baldari M Clinica Dermatologica, Università di Genova Il wash test è una metodica non invasiva utilizzata per quantificare la caduta di capelli e per monitorare gli effetti di trattamenti anticaduta. Tale tecnica consiste nel contare il numero di capelli persi al lavaggio, e, così come viene eseguita fino ad ora, offre solo notizie quantitative ma non qualitative. La determinazione del diametro del fusto e della sua lunghezza potrebbe dare informazioni più precise ed utili alla diagnosi. Infatti nell’alopecia androgenetica il pelo è miniaturizzato mentre nel telogen effluvium diametro e spessore non sono diminuiti. Abbiamo quindi misurato la lunghezza e lo spessore del fusto di capelli raccolti al lavaggio, consegnatici da pazienti dell’ambulatorio tricologico, e ne abbiamo calcolato la percentuale in relazione a diverse classi di lunghezza e confrontato la diagnosi clinica con quella derivante dall’analisi del wash test. I risultati ottenuti sembrano dimostrare che questa nuova metodica può essere di valido aiuto nella diagnosi differenziale tra l’alopecia androgenetica e telogen effluvium. Il telogen: una fase dinamica • Piraccini BM, Iorizzo M, Antonucci A Dipartimento di Medicina Clinica Specialistica e Sperimentale, Università degli Studi di Bologna - Sezione di Clinica Dermatologica Lo studio microscopico delle radici dei capelli ottenute tramite pull test e tricogramma nei pazienti affetti da telogen effluvium mostra vari tipi di radici, che rappresentano probabilmente stadi diversi delle fasi catagen e telogen del ciclo follicolare. Possiamo distinguere radici in catagen, di forma clavata, colore nero - in quanto non cheratinizzate - e provviste di guaine, e diversi tipi di radici in telogen, caratterizzate dalla presenza di • una certa quantità di pigmento, ad indicare una cheratinizzazione non completa; • una “radicetta” cheratinica, che si diparte dalla estremità prossimale della radice, forse implicata nell’adesione della radice telogen al follicolo; • il sacco epiteliale, che suggerisce un’adesione più stretta della radice al follicolo. Attorno al fusto di molti capelli si possono osservare manicotti cheratinici, che suggeriscono la presenza di dermatite seborroica. Vengono presentati i risultati delle studio microscopico delle radici ottenute con pull test e tricograma in 100 pazienti affetti da telogen 105 effluvium, e suggerita una possibile sequenza di stadi evolutivi delle radici nelle fasi catagen e telogen del ciclo follicolare. Ruolo del testosterone e dell’epitestosterone nella predizione e nella prognosi dell’alopecia androgenetica maschile • Rossi A, Pistola G, Mari E, Barbieri L°, Biolcati G°, Picardo M°, Calvieri S Università degli Studi di Roma “La Sapienza” - Dipartimento di Malattie Cutanee Veneree e Chirurgia Plastica Ricostruttiva (Direttore: Prof. S. Calvieri); °Istituto San Gallicano (I.R.C.C.S), Istituti Fisioterapici Ospitalieri di Roma L’alopecia androgenetica maschile (AGA) è considerata un evento parafisiologico osservabile in oltre il 50% degli uomini ma con notevoli variazioni razziali, familiari e dipendenti dall’età. La sua manifestazione può essere causa di profondo disagio psicologico. Da quando Hamilton, nel 1942, intuì il ruolo chiave degli ormoni steroidei nella patogenesi dell’alopecia androgenetica maschile, si sono avute ulteriori acquisizioni scientifiche che hanno evidenziato il ruolo del testosterone (T) e dell’epitestosterone (EpiT). A tale proposito, nel nostro Dipartimento, abbiamo disegnato uno studio per dosare i livelli di testosterone e di epitestosterone sul fusto del capello di soggetti di sesso maschile affetti da AGA, su di un gruppo di controllo e rispettivamente sui figli dei soggetti con e senza alopecia androgenetica. Per la determinazione quantitativa di T ed EpiT abbiamo utilizzato una metodica opportunamente modificata, in uso nei laboratori antidoping, basata su gascromatografia accoppiata a spettrometria di massa (GC/MS). Il prelievo dei campioni è stato effettuato in modo standardizzato previa individuazione dell’area. I risultati dei dosaggi delle molecole in esame a livello del fusto del capello hanno mostrato una diminuzione dei valori quantitativi dell’epitestosterone ed un aumento del rapporto T/E nei pazienti affetti e nei loro figli. Gli autori riferiscono circa i risultati ottenuti e li discutono. Dermatoscopia del cuoio capelluto • Tosti A, Vincenzi C, Piraccini BM Dipartimento di Medicina Clinica Specialistica e Sperimentale, Università degli Studi di Bologna - Sezione di Clinica Dermatologica La dematoscopia del cuoio capelluto è un esame rapido e non invasivo che permette di ottenere informazioni importanti per la diagnosi di diverse patologie dei capelli e del cuoio capelluto. La videodermatoscopia in particolare consente di visualizzare il cuio capelluto ad ingrandimenti molto elevati, e di visualizzare aspetti morfologici non visibili all’esame clinico. I segni dermatoscopici osservabili a livello del cuoio capelluto includono alterazioni vascolari, alterazioni di colore della cute e alterazioni del fusto dei capelli. È tipica l’alterazione dei capillari delle papille dermiche nei pazienti con psoriasi del cuoio capelluto, che mostrano dilatazioni e tortuosità caratteristiche. I follicoli piliferi delle aree androgeno dipendenti di pazienti con alopecia androgenetica mostrano spesso le cosiddette “depressioni peripilari”, che sono indice di infiammazione perifollicolare. Nell’alopecia androgenetica è altrettanto tipico osservare una variabilità del diametro dei fusti, criterio diagnostico importante nelle forme iniziali della malattia. La pigmentazione cutanea è alterata nei pazienti con alopecia severe in quanto mostra segni di danno solare. Le alterazioni del fusto sono molto facilmente studiabili ed evidenziabili. La decisione clinica e la gestione del paziente con lesioni pigmentate • Argenziano G1, Pellacani G2, Piccolo D3, Ruocco E1 Clinica Dermatologica, 12a Università di Napoli, 2Università di Modena e Reggio Emilia, 3Università dell’Aquila Se un paziente consulta il dermatologo per una o più lesioni pigmentate cutanee, la sua aspettativa non è tanto relativa alla diagnosi che si pone, ma piuttosto alla procedura che si intende adottare. In altre parole, il paziente vuol sapere se intendiamo asportare o no la lesione. Con l’aiuto della dermoscopia, la capacità di differenziare le lesioni benigne da quelle sospette si è molto raffinata. Questo perché esistono pattern dermoscopici specificamente riconducibili alle varie lesioni pigmentate benigne, che consentono di escludere la biopsia nella maggior parte dei casi. Al contempo, esistono criteri di malignità che, combinati più o meno fra loro, influenzano in modo determinante la decisione di asportare la lesione. La presenza di questi differenti criteri incrementa in modo variabile l’indice di sospetto per 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società melanoma, ma esiste anche un gruppo di lesioni che appaiono benigne ma che in realtà non lo sono. Tra queste, certamente un posto di rilevo spetta alle lesioni spitzoidi ed alle lesioni con regressione che devono essere “maneggiate con cura” per la possibilità non remota di false interpretazioni diagnostiche. Una situazione particolare è rappresentata dai pazienti con nevi atipici multipli, la cui gestione richiede un attento esame clinico e dermoscopico. Per questi pazienti, il controllo clinico e dermoscopico nel tempo costituisce un valido ausilio, al fine di selezionare in maniera più accurata le lesioni da asportare. Durante la presentazione saranno proposti diversi modelli di comportamento a seconda delle differenti situazioni cliniche che il dermatologo si trova ad affrontare nella pratica routinaria, con particolare riferimento ai pazienti con nevi atipici, nevi con aspetti spitzoidi o regressivi e lesioni Come si effettua la visita dermatoscopica negli ambulatori specialistici • Piccolo D1, Argenziano G2, Pellacani G3, Ferrari A1, Peris K1 Clinica Dermatologica, 1Università dell’Aquila, 22a Università di Napoli, 3Università di Modena e Reggio Emilia La metodica dell’epiluminescenza (dermatoscopia, microscopia di superficie) permette di visualizzare strutture poste al di sotto della superficie cutanea altrimenti non visibili ad occhio nudo. Il primo impiego di un microscopio ottico per l’osservazione in vivo delle lesioni pigmentate risale a 30 anni fa. Il successo della tecnica fu favorito dalla non invasività, dalla possibilità di eseguire indagini ripetute senza alcun rischio per il paziente, e dal miglioramento dell’accuratezza diagnostica del melanoma maligno, riducendo il numero di asportazioni di lesioni benigne ed incrementando quello di melanomi di spessore sottile. Inoltre, il parallelo sviluppo delle tecniche di acquisizione e digitalizzazione dell’immagine ha permesso lo sviluppo dell’”epiluminescenza digitale” (D-ELM), in cui alla metodica di visualizzazione vengono abbinati sistemi digitali di acquisizione ed archiviazione particolarmente utili per il follow-up delle lesioni pigmentate di diagnosi incerta. Strumenti impiegati: Attualmente esistono diversi tipi di strumenti atti alla microscopia di superficie, differenti fra loro per metodica di visualizzazione (impiego di luce polarizzata o epiluminescenza tradizionale), ingrandimenti utilizzati, variabili dal 10x al 300x, sistemi di acquisizione e digitalizzazione delle immagini. Modalità della visita: La visita di un paziente viene condotta attraverso una prima esplorazione clinica di tutta la superficie cutanea in modo da integrare le informazioni ottenute dallo strumento con quelle cliniche, non trascurando il fenotipo e fototipo del paziente. Contemporaneamente si procede alla esplorazione delle lesioni pigmentate in dermoscopia valutando i pattern presenti ed il loro significato diagnostico anche in relazione alle caratteristiche del paziente. L’ambiente in cui viene svolta la visita dovrebbe essere adeguatamente climatizzato per il comfort del paziente, dotato di illuminazione a luce diffusa possibilmente bianca evitando fasci luminosi intensi in direzione del monitor o dello strumento. Individuazione dei pazienti a rischio: nel corso della visita, accanto alla segnalazione delle lesioni clinicamente e dermoscopicamente sospette, vengono valutati anche elementi feno-fototipici e l’assetto nevico del paziente al fine di individuare soggetti a rischio. Nella stima del rischio del paziente di sviluppare melanoma occorre tenere presente il colore di cute chiaro scarsamente abbronzabile (fototipo 1 e 2), il numero di nevi, la presenza di nevi con caratteristiche cliniche di atipica e/o di nevi in sedi particolari (palmo-plantari, cuoio capelluto, glutei, congiuntiveli o iridei), la presenza di nevi congeniti ed una storia personale o familiare di melanoma. Epidemiologia delle reazioni avverse a farmaci • Cristaudo A, Severino V*, Berardesca E Servizio di Dermatologia Allergologica IFO Ist. San Gallicano - Roma; *Direzione Generale dei Farmaci Ufficio di Farmacovigilanza - Ministero della Salute - Roma Nonostante i rilevanti progressi realizzati nel campo della farmacovigilanza (nuovo quadro normativo, culturale ed operativo-procedurale), le segnalazioni spontanee di reazioni avverse a farmaci restano ancora molto basse. Le manifestazioni cutanee rappresentano le reazioni avverse più frequentemente segnalate alle autorità sanitarie di farmacovigilanza preposte. Infatti nel 2002 su un totale di 6.914 reazioni avverse il 24.9% presentavano lesioni localizzate a livello cutaneo. I quadri clinici erano prevalentemente descritti come eritema e/o rash cutanei (di vario tipo: esantematico, purpurico, ecc), orticaria, angioedema e prurito. La sensibilità della diagnosi aumentava in rapporto alla qualifica professionale del segnalatore. È raro che gli effetti collaterali di un nuovo farmaco siano rilevanti nel corso degli studi preclinici che precedono la registrazione del prin- 107 cipio attivo, mentre nella maggior parte dei casi le manifestazioni insorgono soltanto dopo la registrazione del prodotto, quando un gran numero di pazienti è sottoposto al trattamento. Si riscontra un leggero predominio femminile in parte spiegato dal maggior consumo di farmaci tra le donne. Inoltre la frequenza delle tossidermie è più elevata nei pazienti anziani. I gruppi di farmaci che più frequentemente sono in grado di provocare reazioni cutanee sono gli antimicrobici generali per uso sistemico, i farmaci del sistema muscolo-scheletrico, dell’apparato cardiovascolare e del sistema nervoso. Eruzioni cutanee di recente individuazione • Foti C Dipartimento di Medicina Interna, Immunologia e Malattie Infettive, Sezione di Dermatologia, Università degli Studi di Bari I recenti progressi scientifici nella diagnostica microbiologica e le nuove tecniche di biologia molecolare hanno permesso di stabilire la causa precisa di eruzioni cutanee in passato non correttamente diagnosticate. Anche nello spettro delle “eruzioni da farmaco” sono state riconosciute nuove entità cliniche quali la sindrome da ipersensibilità e la pustolosi esantematica acuta generalizzata. Tuttavia quello che appare interessante è che spesso le eruzioni cutanee da farmaco necessitano di fattore concausali per potersi estrinsecare e in alcuni casi riconoscono una duplice eziologia, microbica (spesso virale) e farmacologica. In questo intervento saranno illustrati nuovi aspetti clinici e diagnostici nelle eruzioni cutanee e le possibili interazioni tra i virus e i farmaci nella induzione di tali manifestazioni cutanee. Reazioni avverse ad anestetici generali • Lisi P, Meligeni L, Hansel K Sezione di Dermatologia clinica, allergologica e venereologica, Dipartimento di Specialità medico-chirurgiche, Università di Perugia Le reazioni avverse a farmaci (RAF) in corso di anestesia generale sono evento raro ma associato a elevata mortalità, nonostante la più agevole possibilità di assicurare tempestivi e adeguati provvedimenti terapeutici. Nella gran maggioranza dei casi le reazioni coinvolgono contemporaneamente più organi e apparati (cute, mucose, apparato cardiovascolare, respiratorio e, più raramente, digerente). Tra le estrinsecazioni cliniche cutaneo-mucose, quelle più comuni sono orticaria e/o angioedema, anafilassi, eruzioni esantematiche maculo-papulose a diversa morfologia, eruzioni eczematiformi o a tipo eritema anulare. Non tutte le RAF che si verificano in corso o subito dopo interventi chirurgici, però, sono da ricondurre alle sostanze utilizzate durante la preanestesia (benzodiazepine, anticolinergici, analgesici oppioidi, inibitori H2) o l’anestesia bilanciata (effettuata associando miorilassanti, ipnotici e oppiacei), in quanto possono essere in causa pure altri presidi medicali, quali succedanei del plasma, mezzi di contrasto radiografico, antibiotici, protamina, chimopapaina, ossido di etilene, emoderivati e, non ultimo, latice. Tutto ciò, ovviamente, complica enormemente l’identificazione a posteriori del farmaco responsabile, anche se tra quelli perioperatori sono più spesso coinvolti i miorilassanti (e in particolare vecuronio, atracurium e succinilcolina); sicuramente meno frequenti le reazioni avverse da ipnotici, oppiacei e, soprattutto, da benzodiazepine. I test in vitro non forniscono dati attendibili, mentre quelli in vivo (prick test e test intradermico) sono sicuramente utili, anche se andrebbero eseguiti 4-6 settimane dopo l’insorgenza della sintomatologia e con modalità standardizzata, anche perché molte molecole spesso elicitano reazioni falsamente positive da ricondurre a liberazione di istamina. I dati della letteratura sull’argomento, tuttavia, sono spesso parziali e poco omogenei. In considerazione di ciò verrà presentato un nostro protocollo di studio, i cui risultati consentono di prospettare le diluizioni ottimali per l’esecuzione dei test cutanei allergodiagnostici. Necrolisi epidermica tossica: diagnosi e terapia • Schena D Dipartimento di Scienze Biomediche e Chirurgiche, Università di Verona - UO Clinica Dermatologica La necrolisi epidermica tossica è una rara patologia mortale farmacoindotta, e più di 100 tipi di farmaco sono stati segnalati quali causa della malattia, con maggiore frequenza sulfamidici, anticonvulsivanti, allopurinolo ed oxicams. L’incidenza della malattia varia tra 0.4 e 1.2 casi per milione di abitanti per anno. Il tasso di mortalità varia fra il 15 ed il 40% e fattori prognostici negativi, rilevati nelle prime 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società 24 ore di ricovero, ed alla base dello SCORTEN scala di gravità specifica della TEN, sono rappresentati da: • età > 40 anni, • BSA coinvolta > 10%, • presenza di neoplasia, • azotemia > 10mmol/L, • glicemia > di 14mmol/L, • bicarbonato < di 20 mmol/L, • tachicardia > 120 b/min. L’esordio della TEN è associato a febbre, mal di gola e bruciore oculare e nell’arco di 2-3 giorni compaiono le manifestazioni cutanee rappresentate dapprima da macule eritematose con area centrale purpurica con diffusione centrifuga, formazione di bolle con coalescenza e scollamento epidermico, cui si associa interessamento delle mucose orali, oculari, genitali, respiratorie e gastrointestinali. Recenti lavori hanno evidenziato che il meccanismo patogenetico della TEN è caratterizzato da apoptosi massiva dei cheratinociti indotta dall’interazione tra Fas alla superficie dei cheratinociti e dal suo ligando sFas-L (CD95-L) originato dai linfociti. È stato dimostrato che il Fas viene espresso in grande quantità dai cheratinociti di pazienti con TEN rispetto ai cheratinociti normali e che la secrezione di s FasL ed i livelli di mRNA per Fas L sono regolati dal farmaco in causa nei linfociti. La diagnosi della TEN si basa attualmente principalmente sul quadro clinico e sull’istologia, in fase di studio sono alcuni marcatori sierici. La gestione del paziente affetto da TEN richiede: immediata sospensione del farmaco responsabile (è stata dimostrata una riduzione della mortalità nei pazienti nei quali farmaci ad emivita breve venivano interrotti precocemente) e tempestivo ricovero in centri di terapia intensiva. Nessuno fra i trattamenti segnalati ha dimostrato su casistiche significative una reale utilità nel ridurre la mortalità della malattia, ed anche le IVIG che sembravano in grado di bloccare la malattia in pochi giorni si stanno rivelando non sempre efficaci. Ivermectina è un farmaco sicuro? • Veraldi S Istituto di Scienze Dermatologiche, I.R.C.C.S., Università di Milano L’autore presenta una revisione critica della letteratura internazionale relativa alla tossicità dell’ivermectina, farmaco che, dopo essere stato impiegato nell’oncocercosi, è da alcuni anni utilizzato anche nella scabbia. Diagnosi delle lesioni sottocutanee • Arcangeli F U.O. di Dermatologia, Ospedale “M.Bufalini”, Cesena Le lesioni nodulari, a sede dermica o sottocutanea talora non presentano caratteri morfologici o topografici sufficientemente distintivi da consentire una diagnosi di certezza. In questi casi l’esame clinico e soprattutto la puntigliosa palpazione delle lesioni possono offrire preziose informazioni supplementari in merito alla loro consistenza, comprimibilità e mobilità. Anche le indagini diagnostiche strumentali di imaging - radiografia, xeroradiografia, ecografia, ecocolordoppler, TAC e RNM - possono contribuire a un più corretto inquadramento diagnostico, per quanto nella maggior parte dei casi si rivelino del tutto deludenti poiché incapaci di risolvere i problemi interpretativi. La biopsia o l’asportazione chirurgica, seguite naturalmente dall’esame istologico, sono raramente necessarie ma diventano imprescindibili nel caso in cui persista una incertezza diagnostica, specialmente in presenza di sospetta neoplasia. 109 La secrezione sebacea: dalla fisiologia alla patologia • Bettoli V, Borghi A, Virgili A Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Sez. di Dermatologia, Azienda Osp. Univ. Ferrara Le sempre nuove acquisizioni sul ruolo del sebo nella fisiologia della cute, oltre che nella patogenesi di svariate affezioni di comune riscontro nella pratica clinica, giustificano l’esigenza di un approfondimento, il più possibile aggiornato, sulla ghiandola sebacea. Richiami anatomici introducono la revisione. Vengono presentate le caratteristiche citoarchitetturali della ghiandola sebacea, dalla genesi embrionale fino alla completa differenziazione, e contestualmente si prendono in esame le peculiarità della produzione olocrina e della biochimica del sebo, con riferimento alle specifiche metodiche di misurazione. Alla luce delle attuali conoscenze, si dedica particolare attenzione ai numerosi fattori, endogeni ed esogeni, che intervengono nella seboregolazione. L’azione ormonale, segnatamente degli androgeni, nella modulazione dell’attività ghiandolare, che rende ragione delle differenze nella secrezione sebacea tra i due sessi e nel corso della vita, conserva un ruolo di primo piano. Ciò nonostante, le basi dell’interazione tra processi proliferativi e sintetici della ghiandola sebacea e sistema nervoso, alimentazione, da sempre motivo di dibattito, genetica, temperatura, radiazione attinica e farmaci, risultano oggi maggiormente definite e sono fatte oggetto di disamina. Quanto esposto costituisce un background imprescindibile per l’approccio alla disfunzione ghiandolare e per la gestione delle proteiformi espressioni della patologia dell’annesso pilosebaceo. Iperseborrea, acne, dermatite seborroica, anomalie di natura iperplastica, neoplastica e amartomatosa della ghiandola sebacea, sono trattate a completamento dell’analisi. La revisione pertanto si propone come un possibile supporto nell’adozione di efficaci strategie diagnostiche, preventive e terapeutiche. Malattie rare “più frequenti”: approccio clinico-diagnostico • El Hachem M, Diociaiuti A, Ciasulli A U.O. Dermatologia - Ospedale Pediatrico Bambino Gesù-IRCCS, Roma Le malattie rare (MR) costituiscono un capitolo particolare della dermatologia, la cui peculiarità è dovuta a una serie di fattori: • sono malattie che per definizione hanno una bassa incidenza nella popolazione (fino a 5 casi ogni 10.000 abitanti per la popolazione europea) ma, considerate nel loro insieme, sono causa di frequente morbilità in epoca pediatrica; • lo scarso numero di casi determina le difficoltà diagnostico-terapeutiche; infatti, a causa della loro complessità e rarità, solo pochi possiedono le competenze necessarie per la gestione di questi pazienti; • si ipotizza per tutte le MR una eziologia genetica, ma solo per alcune di loro è stata dimostrata una mutazione o più mutazioni del DNA; solo per alcune è possibile avere dei marcatori biologici o biochimici utili a scopo di monitoraggio clinico e prognostico; • la maggior parte di esse sono definite solo sulla base di un’associazione di segni clinici; • l’assistenza ha caratteristiche di multidisciplinarietà con tutti i problemi di integrazione e organizzazione che questa comporta e che solo pochi centri sono in grado di erogare. La distribuzione di questi centri sul territorio italiano è estremamente disomogenea e determina il fenomeno “di flussi migratori” delle famiglie affette; • gli studi genetici non sono realizzabili in un unico Istituto o Paese per l’alto costo; inoltre i pazienti assistiti ottengono il counselling genetico solo grazie a una rete di spontanea collaborazione; • alcune di queste patologie hanno manifestazioni cliniche di tipo acuto e “iperacuto” che richiedono un team di pronto intervento con caratteristiche spesso multidisciplinari che prevedono l’utilizzo di tecniche sofisticate e costose. Questa serie di problemi ha spinto il nostro Ministero della Sanità a istituire la Rete Nazionale delle Malattie Rare e di prevedere l’esenzione dal pagamento delle prestazioni sanitarie per circa 350 MR (DM 18 maggio 2001, n. 279, GU n. 160, del 12.07.2001 Suppl. Ord. n. 180/L). Le malattie rare in dermatologia costituiscono un gruppo eterogeneo di patologie che comprende le genodermatosi, le dermatosi autoimmuni e le malattie sistemiche con coinvolgimento mucocutaneo. 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società Le forme riscontrate più frequentemente sono rappresentate da: • Incontinentia pigmenti • Epidermolisi bollosa • Ittiosi • Ehlers-Danlos • Pseudoxantoma elasticum • Neurofibromatosi • Sclerosi tuberosa • Istiocitosi L’incontinentia pigmenti (Sindrome di Bloch-Sulzberger) è caratterizzata da manifestazioni cutanee ed extracutanee (1). Il quadro clinico cutaneo si manifesta secondo fasi differenti: vescicolosa, papulo-ipercheratosica, pigmentata, ipopigmentata (IP achromians). Le manifestazioni extracutanee sono rappresentate da alterazioni a carico dell’apparato oculare, del sistema nervoso centrale, anomalie dentarie, scheletriche e cardiache. L’epidermolisi bollosa comprende un gruppo di genodermatosi caratterizzate da una marcata fragilità mucocutanea con la tendenza allo sviluppo di lesioni bollose (2). L’evento patogenetico è rappresentato dal distacco dermoepidermico che si verifica in corrispondenza della membrana basale. In relazione al livello in cui questo si verifica si distinguono forme semplici, distrofiche e giunzionali. La forma di epidermolisi bollosa semplice (EBS) comprende alcune varianti; le più frequenti sono: EBS tipo Weber-Cockayne (localizzata a mani e piedi), EBS generalizzata, EBS erpetiforme (tipo Dowling-Meara). Le EB distrofiche (DEB) sono dovute a distacco dermo-epidermico che si verifica al di sotto della lamina lucida della membrana basale. Sono caratterizzate da lesioni bollose che compaiono alla nascita o poco dopo, con tendenza alla guarigione con esiti cicatriziali. In tali forme si può verificare il coinvolgimento di tutte le mucose, soprattutto di quella del tratto gastro-intestinale, con conseguenti problemi nutrizionali e anemia. Nei casi più gravi si verificano problemi di motilità articolare. La prognosi è estremamente variabile in relazione alla variabilità del grado di compromissione sistemica. Le EB giunzionali sono così definite in quanto la formazione delle lesioni avviene per un distacco epidermico che si verifica all’interno della lamina lucida della membrana basale. Si distinguono forme di EB giunzionali tipo Herlitz (letali alla nascita o in utero) e non-Herlitz (non letali). Queste ultime rappresentano, comunque, le forme più gravi con compromissioni muco-cutanee (erosioni dolenti, atrofia, cicatrici, epiteliomi, mutilazioni, difficoltà nutrizionali) e sistemiche di grave entità. Le ittiosi costituiscono un gruppo di genodermatosi di cui si conoscono varie forme cliniche (3): ittiosi volgare, ittiosi X-linked, ittiosi lamellare, eritrodermia ittiosiforme bollosa/non bollosa, ittiosi istrice. Devono essere ricordati anche il feto arlecchino e il collodion baby, che sono espressioni particolarmente gravi delle suddette forme. I pazienti affetti da tali patologie necessitano di terapie topiche (emollienti, antisettici/antibiotici topici, medicazioni) e sistemiche (acitretina per alcuni mesi nel collodion baby) da effettuarsi alla nascita in regime di ricovero. La sindrome di Ehlers-Danlos comprende un gruppo eterogeneo di patologie ereditarie caratterizzate da un’alterata sintesi del collagene che determina lassità del tessuto connettivo (4). Clinicamente si riscontrano: iperestensibilità cutanea (reversibile), cute morbida e vellutata, ecchimosi, cicatrici papiracee e/o molluscoidi. Le alterazioni extracutanee sono rappresentate da ipermobilità delle grandi e/o piccole articolazioni, fragilità aortica, varici ed ernie, parodontopatia precoce, oftalmopatie, alterazioni dell’aggregazione piastrinica. Lo pseudoxantoma elastico si manifesta con piccole papule giallastre confluenti in placche localizzate al collo e alle pieghe, mucosa orale di colorito giallastro, cute anelastica e con aspetto “a buccia d’arancia” (5). Le manifestazioni extracutanee riguardano l’apparato oculare, vascolare, gastroenterico e, raramente, il SNC. Le neurocristopatie sono patologie derivanti da anomalie del processo embrionale di formazione della cresta neurale. A tale gruppo appartengono la sclerosi tuberosa e la neurofibromatosi. La neurofibromatosi è caratterizzata da macchie caffè-latte, freckling ascellare (segno di Crowe), neurofibromi, macchie acromiche. La malattia può coinvolgere altri organi e apparati (SNC e periferico, ossa, occhio) (6). La sclerosi tuberosa è una sindrome genetica, a trasmissione autosomica dominante, caratterizzata da manifestazioni cutanee e/o sistemiche (7). A livello cutaneo si riscontrano: macule ipomelanotiche (aspetto a foglia di frassino), angiofibromi, tumori di Konen, chiazze a zigrino. A livello sistemico si possono manifestare disturbi del SNC, del sistema endocrino, disturbi oculari, auricolari, anomalie cardiache e renali. Le istiocitosi costituiscono un gruppo eterogeneo di sindromi genetiche. Vengono classificate in istiocitosi a cellule di Langerhans (8) e istiocitosi non-Langerhans (9). Le prime comprendono un vasto spettro di manifestazioni cliniche: granuloma eosinofilo (forma cronica); sindrome di Hand-Schuller-Christian (forma subacuta), malattia di Letterer Siwe (forma acuta) e la sindrome di Hashimoto-Pritzker (for- 111 ma benigna neonatale); tali forme possono essere acute o croniche, localizzate o disseminate. Alcune regrediscono spontaneamente, altre evolvono verso forme persistenti con compromissioni sistemiche (app. scheletrico, polmone, fegato, milza, app. gastrointestinale, sistema linfatico, endocrino, SNC). Non è inusuale l’associazione con neoplasie maligne. Le istiocitosi non-Langerhans sono suddivise in forme sistemiche e cutanee. Le prime sono forme gravi, spesso di pertinenza oncologico-pediatrica. Le seconde sono rappresentate da forme benigne, con tendenza alla regressione spontanea (xantogranuloma giovanile, istiocitosi cefalica benigna, istiocitoma eruttivo generalizzato, xantoma papulare, xantoma disseminato, forme non classificate). Nel corso del 2002, la rilevanza sociale delle MR ha spinto il Comune di Roma a ricercare nell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù il partner istituzionale per l’avvio del progetto “Rari ma non soli”. Questo progetto, innovativo nella forma e nei contenuti, vuole assicurare alle famiglie affette da MR un’assistenza globale, attraverso l’istituzione di un “call center per le MR” tramite il nostro portale sanitario, di un punto di accoglienza e accesso all’assistenza “dedicato”. La realizzazione di questo ambizioso progetto vuole essere non solo l’occasione per migliorare la capacità di assistenza clinica e diagnostica ai pazienti affetti da MR, ma anche l’opportunità per meglio organizzare le competenze e le risorse già presenti. Bibliografia • 1Holmstrom G, Bergendal B, Hallberg G, Marcus S, Hallen A, Dahl N. Incontinentia pigmenti. A rare disease with many symptoms. Lakartidningen. 2002 Mar 21;99(12):1345-50. • 2Trent JT, Kirsner RS. Epidermolysis bullosa: identification and treatment. Adv Skin Wound Care. 2003 Nov;16(6):284-90. • 3Rubeiz N, Kibbi AG. Management of ichthyosis in infants and children. Clin Dermatol. 2003 Jul-Aug;21(4):325-8. • 4Zheng Y, Guan H, Zhang J, Liu C, Li Y, Li B, Huang Z. Ehlers-Danlos syndrome: case and pedigree report and review. Zhonghua Yu Fang Yi Xue Za Zhi. 2002 Dec;36(7):491-4. • 5Hu X, Plomp AS, van Soest S, Wijnholds J, de Jong PT, Bergen AA. Pseudoxanthoma elasticum: a clinical, histopathological, and molecular update. Surv Ophthalmol. 2003 Jul-Aug;48(4):424-38. • 6Lopez-Pison J, Cuadrado-Martin M, Boldova-Aguar MC, Munoz-Mellado A, Cabrerizo de Diago R, Pena-Segura JL. Neurofibromatosis in children. Our experience. Rev Neurol. 2003 Nov 1-15;37(9):820-5. • 7Lendvay TS, Marshall FF. The tuberous sclerosis complex and its highly variable manifestations. J Urol. 2003 May;169(5):1635-42. • 8Martinez Peric R, Villas C, Barrios RH, Sierra Sesumaga L, Beguiristain JL. Histiocytosis X. Rev Med Univ Navarra. 1993 Apr-Jun;38(2):41-7. • 9Stephan JL. Langerhans and non-Langerhans histiocytosis. Arch Pediatr. 2002 Sep;9(9):934-41. Novità sulla patogenesi della dermatite atopica • Girolomoni G Istituto Dermopatico dell’Immacolata, IRCCS, Roma La dermatite atopica (DA) è una patologia infiammatoria cronica associata a xerosi cutanea e a un’abnorme produzione di IgE verso allergeni. Notevoli progressi sono stati ottenuti nella comprensione della malattia, che permettono un approccio preventivo e terapeutico più efficace. Fattori genetici e ambientali contribuiscono a rendere la cute iperreattiva nei confronti di diversi stimoli infiammatori e a favorire le risposte IgE-mediate. La secchezza cutanea viene attribuita a una sintesi alterata dei lipidi epidermici, ed è responsabile non solo dell’aumentata permeabilità ad allergeni e irritanti, ma anche della produzione di numerosi mediatori pro-infiammatori da parte dei cheratinociti. Risposte immunitarie prevalentemente Th2, ma anche Th1 dirette contro allergeni sono certamente importanti in una parte di pazienti con DA. Alterazioni genetiche possono contribuire anche a rendere le cellule cutanee residenti (cheratinociti) particolarmente prone a produrre aumentati livelli di fattori di crescita, citochine e chemochine, che a loro volta favoriscono l’accumulo nella cute e l’attivazione delle cellule dendritiche e dei linfociti T. Le cellule dendritiche grazie alla presenza dei recettori specifici per le IgE operano una potente amplificazione nell’attivazione linfocitaria specifica. Inoltre, esse sono fonte principale di chemochine che attraggono i linfociti T nella cute in corso di DA. I mastociti e gli eosinofili partecipano pure alla flogosi e al danno tissutale tipico della DA. La flogosi prevalentemente Th2-mediata favorisce l’adesione e l’accumulo di S. aureo sull’epidermide, e la difettosa produzione di peptidi antimicrobici da parte dei cheratinociti. A loro volta, i superantigeni rilasciati da S. aureo contribuiscono alla flogosi cutanea. In tal modo, un complesso dialogo tra cellule residenti e immigranti basato su numerosi mediatori solubili favorisce lo stabilirsi e la cronicizzazione della flogosi in corsi di DA. 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società Le dermatiti da autoaggressione in età pediatrica • Paradisi M, Provini A, Finore ED*, Andreoli E* Divisione Dermatologica Pediatrica - Laboratorio di Psicologia Clinica* - IDI IRCCS, Roma Nella pratica clinica può accadere di trovarsi di fronte ad un bambino o adolescente con lesioni dermatologiche che reputiamo essere conseguenti a condotte di autoaggressività. Alcune sono banali abitudini, come la onicotillomania e l’onicofagia, “normali” in alcune fasi dello sviluppo, mentre altre come in particolare la tricotillomania assumono un significato diverso a seconda dell’età in cui si manifestano. Nell’aggravamento di dermatosi preesistenti, come per esempio la psoriasi o la dermatite atopica, i fattori psicologici possono giocare un ruolo importante. A questi si penserà quando le escoriazioni o la allegata sensazione di prurito sembrano sproporzionati all’obiettività della lesione, generalmente lichenificata ed escoriata. Casi esemplificativi sono rappresentati dall’acne escoriata e dalla neurodermite. La dermatite artefatta si può definire un “insieme di lesioni di tipo artefatto, senza alcun substrato anatomo-patologico reale, provocate e mantenute dal paziente, senza che da esse ottenga particolari benefici”. In Italia i termini di dermatite artefatta o patomimia vengono per lo più usati come sinonimi. Dal punto di vista psicologico, gli elementi per valutare la presenza di dermatite artefatta sono un elevato livello di pulsionalità di tipo aggressivo, in genere (iper) controllata, vissuti più o meno consapevoli di colpa, a volte ipercompensati, un’autoimmagine molto ambivalente ed una forte dipendenza da persone significative che viene negata o avversata. Quasi sempre presente è il denominatore comune di un disagio in ambito familiare o scolastico o sociale profondo che il soggetto non sa come affrontare adeguatamente. Le caratteristiche cliniche sono facilmente riconoscibili ad un occhio esercitato: sono lesioni situate in sedi accessibili, che appaiono improvvisamente, a morfologia molto variabile, talvolta geometriche, bizzarre, nettamente separate dalla cute sana, che vengono provocate dal soggetto con vari metodi (manuale, con oggetti...). Non c’è in genere una sufficiente consapevolezza: i piccoli pazienti vi ricorrono per il bisogno di distinguersi, per attirare l’attenzione, per opposizionismo o spinti per la presenza di colpa. È una condotta compulsiva che scarica tensioni ed ansia e può assicurare un vantaggio secondario. Negli interventi terapeutici bisogna considerare l’intervento medico, l’intervento psicosociale, e quello eventualmente farmacologico, ed è importante mantenere una sistematica e reciproca collaborazione medico-psicologo. Sclerodermia infantile • Peserico A, Vallongo C*, Martini G*, Belloni-Fortina A*, Zulian F* Dipartimenti di Dermatologia e *Pediatria, Università di Padova La Sclerodermia Infantile comprende essenzialmente due gruppi di malattie: le forme localizzate e le forme sistemiche, più rare, con interessamento di organi interni e potenzialmente letali. La sclerodermia localizzata (SL) suddivisa nelle forme lineare, a placche, generalizzata e profonda è molto più frequente della sclerodermia sistemica, con un rapporto di almeno 5-8:1. In un nostro studio internazionale multicentrico che ha raccolto 727 pazienti con SL, la forma lineare è risultata di gran lunga più frequente interessando il 66% dei pazienti seguita da morfea a placche (25%), morfea generalizzata (7%) e profonda (2%). Le forme miste, nelle quali coesistono nello stesso individuo più sottotipi di SL, sono probabilmente più comuni di quanto si possa pensare. La diagnosi di SL è essenzialmente clinica ma alcune indagini diagnostiche di supporto possono essere utili. Gli anticorpi antinucleo sono presenti in circa il 40% dei casi, il fattore reumatoide in circa il 20% dei pazienti. La VES risulta elevata all’esordio della malattia solo in un quinto dei pazienti mentre la presenza di eosinofilia, che si riscontra in generale in circa il 15% dei casi, è un elemento patognomonico della fascite eosinofila. Tecniche come la termografia, la RMN e l’ecografia ad alta frequenza rappresentano un valido supporto nella diagnosi e nel monitoraggio clinico dei pazienti. La Sclerosi Sistemica Giovanile (SSG), molto più rara in età pediatrica, è caratterizzata da un indurimento cutaneo diffuso variabilmente associato a sclerodattilia, ulcere digitali, fibrosi polmonare o interessamento di altri organi interni. La malattia è simile alla sua controparte dell’adulto, salvo per la frequenza relativa dei due sottotipi, limitata e diffusa, essendo infatti nel bambino la forma diffusa di gran lunga più frequente. Il fenomeno di Raynaud (FR) rappresenta spesso il sintomo d’esordio della malattia e, successivamente nel corso della malattia, si manifesta nella quasi totalità dei pazienti. La copresenza di anticorpi antinucleo o di particolari alterazioni capillaroscopiche sono gli altri due aspetti che, all’esordio della malattia, dovrebbero spingere il clinico a ricercare una sottostante SSG. L’interessamento polmonare è presente nella maggioranza dei pazienti con SSG. In un studio multicentrico da noi effettuato, su 188 pazienti, il 65% presentava coinvolgimento polmonare caratterizzato da alterazioni interstiziali e, in alcuni casi, da iper- 113 tensione polmonare. In questi pazienti le prove di funzionalità respiratoria e la TAC ad alta risoluzione dovrebbero essere eseguite precocemente e controllate periodicamente in quanto un precoce ed adeguato trattamento può migliorare la prognosi in modo considerevole. L’interessamento gastrointestinale, presente in circa il 50% dei pazienti, è costituito essenzialmente dalla malattia da reflusso gastroesofageo. Rene, sistema nervoso e cuore sono colpiti in misura minore e più tardivamente nel corso della malattia. Un attento esame capillaroscopico del letto ungueale risulta utile per confermare la diagnosi di SSG: le dilatazioni capillari e le aree avascolari sono anomalie piuttosto tipiche anche se non patognomoniche di questa malattia. Nella SSG la positività degli ANA varia tra 40 e 80% e quella dell’anti-SCl 70 si riscontra in circa il 40% dei pazienti ANA positivi. Gli anticorpi anticentromero si ritrovano raramente e riflettono la rarità della forma di SS limitata nei bambini. Per quanto riguarda la prognosi, è opinione comune che la SSG progredisca inesorabilmente verso il deterioramento degli organi interni e la morte proprio come nell’adulto. Nuovi protocolli di trattamento ed una stretta collaborazione tra pediatri e dermatologi rappresentano, pertanto, elementi chiave per una corretta gestione di questi pazienti. Sifilide: la casistica del centro MTS di Milano • Cusini M Centro MTS - Istituto di Scienze Dermatologiche - IRCCS Ospedale Maggiore Milano Dopo un periodo di circa 20 anni in cui la malattia è apparsa in calo in tutto il mondo occidentale la prevalenza della sifilide è tornata ad aumentare sia negli Stati Uniti che in Europa; questo incremento nel modo occidentale è stato preceduto da una ingente epidemia che si è verificata nell’ex Unione Sovietica dopo la caduta del regime. In Italia i casi di sifilide recente sono aumentati in maniera significativa nelle grandi città e particolarmente nei soggetti maschi omosessuali. Tale aumento di casi ha riguardato anche pazienti con infezione da HIV a dimostrazione di una diminuita attenzione verso le pratiche di sesso sicuro in parte conseguenza dell’avvento della terapia anti retrovirale altamente attiva. Il significativo aumento dei casi ha riportato l’attenzione dei colleghi dermatologi su questa infezione cha da sempre è stata caratterizzata da un polimorfismo di manifestazioni davvero unico. Presso il centro MTS di Milano abbiamo osservato negli ultimi tre anni più di trecento casi di sifilide recente. Presentiamo una rassegna della nostra casistica con particolare attenzione a quelle manifestazioni che per morfologia o sede hanno posto particolari problemi diagnostici sia in caso di sifilide primaria che di sifilide secondaria. Sifilide e immigrazione • D’Antuono A Clinica Dermatologica - Università degli Studi di Bologna (Dir. Prof. C. Varotti) La presenza di immigrati nel nostro paese (2,4 milioni di regolari all’inizio del 2003, con 700.000 domande di regolarizzazione) appare in evidente crescita. Secondo il Sistema di Sorveglianza delle malattie Sessualmente Trasmesse (MST) dell’ISS la prevalenza di tali patologie tra la popolazione straniera è dell’11%. I dati più recenti confermano l’ipotesi di una riemergenza della sifilide su scala mondiale, europea e nazionale, pur con caratteristiche epidemiologiche geografiche diverse. Anche in Italia l’incidenza della sifilide è in netto aumento. Presentiamo i dati relativi ai casi incidenti di sifilide I-II e latente, osservati negli ultimi anni (1991-2003) presso il Centro MST di Bologna, analizzando in particolare quelli relativi a cittadini stranieri. I casi di sifilide I-II osservati sono stati 48 (33 uomini e 15 donne), su un totale di 280; quelli di sifilide latente 299 (83 uomini e 216 donne) su un totale di 1064. L’età media è più bassa tra gli stranieri, i quali provengono principalmente dal Marocco (in particolare gli uomini) e dai paesi dell’Est-Europa (in particolare le donne). Dall’analisi dei dati emerge che la diffusione delle forme primo-secondarie tra gli stranieri è contenuta e che questi sono scarsamente coinvolti nell’epidemia di sifilide (che interessa per lo più uomini omosessuali italiani) registrata negli ultimi anni nel nostro paese. Le donne straniere sono fortemente rappresentate tra i casi incidenti di sifilide latente, provenendo per lo più da paesi ad elevata endemia. Tra queste è stato osservato un elevato numero di diagnosi effettuate in gravidanza. Poniamo l’accento sulla necessità di continuare a monitorare il fenomeno anche tra gli stranieri, per i quali pare opportuno inoltre approntare strategie di prevenzione mirate ed accessibili. 79° Congresso Nazionale SIDeMaST Interventi preordinati - Riunioni di Gruppi, Associazioni e Società Sifilide: la casistica dell’Istituto S. Gallicano • Di Carlo A Servizio MST-AIDS - Istituto Dermovenereologico S. Maria e S. Gallicano (IRCCS) - Roma Allo scopo di valutare l’entità della riemergenza dei casi di sifilide osservati presso il nostro Istituto (Servizio MST-AIDS) abbiamo posto a confronto il gruppo dei pazienti osservati in questi ultimi 4 anni (gruppo A) con quello relativo al periodo precedente (1991-1999) (gruppo B). Inoltre sono stati considerati nell’ambito del gruppo A i fattori di rischio, quali il comportamento sessuale e la sieropositività HIV (rilevata prima o al momento della diagnosi di lue). Metodo. Sono stati considerati i casi di sifilide primo-secondaria osservati e notificati all’Osservatorio epidemiologico regionale tra il 1991 ed il 2003. In tutti i soggetti sono stati eseguiti sia test non treponemici (RPR) che treponemici (TPHA, EIA IgG-IgM). Risultati. Il numero di casi di sifilide primo-secondaria, stabile in media intorno ai 5-15 casi/anno nel decennio 1991-2000, è risalito a 40 casi nel 2001, a 72 casi nel 2002 ed infine a 104 nel 2003. Per quanto riguarda gli aspetti demografici, nel gruppo A è stata osservata una età mediana di 31,3 anni (range 18-68), ed una larga prevalenza di soggetti maschi (F:M = 1:15 nel 2000, 2:36 nel 2001, 3:69 nel 2002, 2:102 nel 2003). Tra i co-fattori di rischio va rilevata il frequente riscontro di soggetti omo-bisessuali, che sono stati nel 2000 il 56,2 % (9 sul totale dei 16 casi di lue), nel 2001 il 72,5% (29/40), nel 2002 del 75% (54/72) ed infine nel 2003 il 74% (77/104). Il test HIV è risultato positivo in 4 casi su 8 testati nel 2000 (pari al 50%), in 12 casi su 30 testati nel 2001 (40%), in 15 casi su 60 testati nel 2002 (25%) ed infine in 8 casi degli 80 testati nel 2003 (pari al 10%). Commento. I dati riportati confermano l’aumento dei casi di sifilide primo-secondaria osservati nelle metropoli occidentali. Dal punto di vista clinico non infrequenti sono stati casi di sifilomi multipli o di esantemi secondari precoci. Tra i fattori di rischio va sottolineata la larga prevalenza di maschi omo-bisessuali con aumentata esposizione (pluripartner, pratiche a rischio, assenza di condom, sesso orale, sesso anonimo: e.g. partner conosciuto via internet, etc.). La elevata percentuale di soggetti HIV positivi tra i soggetti luetici probabilmente è da riferire alle migliorate condizioni psico-fisiche generali di questi pazienti raggiunte dopo terapia ART, con conseguente maggior rischio di esposizione. Inoltre è da considerare la possibile recrudescenza di focolai di infezione HIV per l’elevato rischio di co-morbidità tra HIV e sifilide. È pertanto necessaria la continua sorveglianza di questi casi, il controllo dei partners e l’esigenza di collaborazione multidisciplinare tra i diversi specialisti (infettivologi, ginecologi, etc.). Sifilide: il ruolo della PCR • Ghislanzoni M, Cusini M, Venegoni L, Garavaglia M, Alessi E Centro MTS - Istituto di Scienze Dermatologiche - IRCCS Ospedale Maggiore, Milano In risposta all’aumentata incidenza di sifilide recente negli ultimi anni, spesso con caratteristiche cliniche atipiche, abbiamo integrato le indagini diagnostiche di routine con la polymerase chain reaction (PCR). La sifilide primaria e secondaria vengono abitualmente diagnosticate sulla base di criteri clinici e indagini sierologiche. Tuttavia la dimostrazione diretta del Treponema pallidum in sede di lesione offre un importante aiuto nei casi in cui i test sierologici di screening falliscono (nei soggetti immunocompromessi, nella sifilide pre-sierologica e nella reinfezione). Mentre l’esame a luce polarizzata è caratterizzato da scarsa sensibilità e dalla necessità di un operatore esperto, una valida alternativa è offerta dalla PCR. Abbiamo utilizzato una metodica di PCR per identificare il DNA del Treponema pallidum in lesioni ano-genitali di sifilide primaria e secondaria di pazienti HIV positivi e negativi. Il materiale è stato prelevato sia con tampone di calcio alginato, che tramite biopsia della lesione. Il materiale nucleare estratto da tampone o da materiale fresco congelato è stato testificato con primer della ditta Nuclear Laser Medicine, specifici per il Treponema pallidum. Il materiale estratto è stato quindi amplificato con metodica di PCR e analizzato su gel di agarosio. È stata considerata positiva la comparsa di una banda specifica a 273 bp. Tutti i test positivi sono stati confermati dalle indagini sierologiche. Riteniamo la PCR un test molto sensibile e specifico per identificare il Treponema pallidum e un importante contributo alla sierologia treponemica per la diagnosi di sifilide recente. 115