IL KAHAL MEDIEVALE DI ALGHERO
INDAGINI ARCHEOLOGICHE 1997-1999
di
MARCO MILANESE, MONICA BALDASSARRI
MARCO BIAGINI, LAURA BICCONE, FRANCO CAMPUS,
ALESSANDRA DEIANA, MAURO FIORI
1. PROBLEMI DI STORIA E DI TOPOGRAFIA
URBANA
1.1 Alghero, i Doria e la conquista catalana
Città portuale di “fondazione” medievale, Alghero è
posta a controllo di un’ampia baia ubicata sulla costa nord
occidentale della Sardegna (Fig. 1), nella parte meridionale
di quella regione storica della Sardegna chiamata Logudoro.
Alghero compare per la prima volta nella documentazione scritta solo nel 1288, anche se è possibile che già dal
secolo precedente il sito fosse frequentato dai genovesi, che
ne fecero un punto strategico della loro presenza in Sardegna, come scalo per il commercio del corallo e come punto
di controllo del territorio: è tuttavia un dato di fatto che il
borgo di Alghero non sia menzionato nei cartulari della
colonia di Bonifacio della prima metà del XIII secolo, nei
quali compaiono invece numerose citazioni del vicino porto di Bosa (BROWN 1994, pp. 49-50).
Nel periodo della conquista catalano-aragonese della
Sardegna, i Doria organizzarono in Alghero la loro resistenza e, dopo la definitiva occupazione operata da Pietro
IV nel 1354, potè essere attuato il ripopolamento della città
(Alguer) ad opera di pobladors catalano-aragonesi, originari di Maiorca, di Barcellona e dell’area catalana e, successivamente, provenienti dalla Francia meridionale (OLLA
REPETTO 1994, p. 151; MELONI 1994; CONDE 1994).
Una simile colonizzazione interessò la città di Cagliari
un trentennio prima (ANATRA 1994, p. 327), ma, nel caso di
Alghero, questa trasformazione determinò una vera e propria frattura che distingue ancora oggi, innanzitutto linguisticamente, gli algheresi nel contesto sardo.
1.2 Gli ebrei ed il kahal di Alghero
La presenza ebraica in Sardegna è un tema storiografico di lunga durata, indagato a partire dalla seconda metà
dell’ottocento (OLLA REPETTO 1994, p. 149; TASCA 1995, p.
881): un fondamentale momento di questo problema è costituito dalla conquista aragonese della Sardegna, attuata
da Alfonso III d’Aragona nel 1323-24, per la cui realizzazione furono determinanti i prestiti concessi al re dagli ebrei
catalani (ABULAFIA 1996, p. 87).
Per quanto riguarda Alghero, dopo un primo nucleo
demico, stabilitosi in seguito alla conquista, di 30-40 famiglie ebraiche di provenienza catalana, aragonese, maiorchina, castigliana e siciliana, tra il 1370 e l’inizio del XV secolo si insediarono in città altre famiglie ebraiche di ricchi
mercanti di origine provenzale (TASCA 1990, p. 146).
Fra questi ultimi, ebbero un ruolo decisivo i Carcassona,
la famiglia ebraica più illustre ed economicamente potente
della Sardegna, i cui membri furono anche concessionari di
incarichi di prestigio (OLLA REPETTO 1994, p. 153; DE
MAGISTRIS 1997).
La presenza dei Carcassona, per i rapporti privilegiati
che questa famiglia ebbe con la corte aragonese, dovette
alleggerire, per gli ebrei algheresi, il peso della crescente
discriminazione attuata, nel XV secolo, nei confronti dei
giudei residenti nei territori della Corona: in Sardegna come
nel resto del regno, questa repressione culminò, com’è noto,
con l’espulsione decretata nel 1492 da Ferdinando il Cattolico (ABULAFIA 1996, p. 93).
Anche per questa ed altre presenze prestigiose, la comunità ebraica (aljama) di Alghero non fu meno importante di quella più numerosa di Cagliari.
Ancora nella prima metà del XV secolo troviamo ebrei
algheresi impegnati a lavorare o a finanziare opere pubbliche, come tratti di fortificazioni urbane (OLIVA 1992, p. 9;
ABULAFIA 1996, p. 92).
L’aljama algherese, organizzata come quelle di Cagliari e di Sassari secondo la tradizione degli ebrei barcellonesi, era insediata in prossimità del porto, nel settore nordoccidentale della città, in un’area circondata da tre lati dalle mura civiche. Tuttavia, per i buoni rapporti che la comunità ebbe sempre con i cristiani, il quartiere ebraico (juharia,
kahal ad Alghero) non sembra delimitato da confini esatti
rispetto alle altre zone della città (TASCA 1995, p. 885; TASCA 1997, p. 19).
La sua posizione nella topografia urbana è indicata dalla
convergenza di fonti documentarie, toponomastiche e dalla
stessa tradizione locale e coincide con l’area dell’attuale
Piazza di S. Croce e con quella del vecchio ospedale civile
di Alghero, le zone interessate dal programma di archeologia preventiva, che aveva pertanto come obiettivo non secondario quello di indagare l’assetto dell’area del quartiere
ebraico e le sue vicende precedenti e successive alla cacciata dei giudei.
Da un noto documento del 1381, utilizzato per l’ubicazione topografica del kahal (TASCA 1992, pp. 129-133), dal
quale apprendiamo che i coniugi giudei Jacob e Bet Bessach
vendettero all’aljama una casa con cortile …per teneri sinagoga sive schola…, si evince che questo immobile era
ubicato nei pressi del Castellas (una sorta di “cittadella” o
struttura difensiva dalla configurazione ancora indefinita)
e confinava con abitazioni di due cristiani.
A causa dell’incremento demografico della comunità
ebraica, particolarmente florida tra il tardo Trecento e la
metà del Quattrocento, la sinagoga fu ampliata nel 1438 e
nel 1454 fu concesso, in seguito ad una richiesta avanzata
dai segretari dell’aljama Samuel de Carcassona e Jacob
Cohen, di esporre sulla porta del tempio lo stemma della
Corona d’Aragona.
Attorno alla sinagoga si estendeva il quartiere ebraico:
vi si trovavano sia i palazzi delle famiglie emergenti (come
i Carcassona ed i Cohen), ma anche più semplici case con
botteghe e magazzini ai piani terreni, circondate da cortili
ed orti (TASCA 1990, pp. 151-153), una diversificazione di
tipologia edilizia che corrispondeva all’articolata stratificazione sociale dell’aljama (OLLA REPETTO 1994, p. 152) e
che trova ora chiari riscontri nelle fonti archeologiche documentate con le campagne di scavo, negli edifici a più piani, con cortile (dotato talora di pozzo), magazzino ed attività artigianali al piano terreno, situazioni identificate negli
scavi del cortile dell’ospedale e di piazza S. Croce.
I dati archeologici, ancora in elaborazione, suggeriscono una cronologia della demolizione degli edifici rinvenuti
nel campione urbano che sembra compatibile con il tardo
XV secolo, momento della cacciata degli ebrei dai territori
regi, determinata dall’editto di Ferdinando il Cattolico nel
1492. A questa stessa fascia cronologica, che sembra sancire una cesura nella topografia delle zone indagate, è attribuibile anche la defunzionalizzazione di un pozzo rinvenuto nel settore 1500, che ha restituito documenti archeobotanici di straordinario interesse per la ricostruzione del paesaggio agrario e delle abitudini alimentari nel tardo XV secolo.
La caratterizzazione delle trasformazioni del quartiere,
probabilmente avvenute in occasione dell’allontanamento
degli ebrei, si fonda per ora solo sulle prime fonti archeologiche raccolte negli scavi 1997/1999, in quanto le fonti scritte note non consentono di definire quale sia stata la sorte
delle case degli ebrei che sorgevano nei pressi della sinagoga, in quella parte del kahal che nel XVII secolo sarà occupato dal monastero delle Isabelline e, successivamente, dall’ospedale civile della città.
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Non tutti i giudei algheresi lasciarono comunque la città,
in quanto in parte si convertirono al cristianesimo, comportamento che seguirono alcuni membri della famiglia
Carcassona, che poterono pertanto conservare posizioni di prestigio nella comunità cittadina, come Francesco Carcassona,
capo della dogana di Alghero nel 1515 (TASCA 1995, p. 887).
Un problema certamente non secondario riguarda la
cultura materiale della comunità ebraica e la mancanza di
indicatori connotanti, emersi nel corso delle indagini. La
riconoscibilità delle strutture della sinagoga rappresenta
almeno in parte un falso problema, in quanto è noto che
frequentemente non si trattava di un edificio specifico, ma
in realtà di funzioni attribuite ad ambienti di comune abitazione (ai piani superiori, in quanto quelli inferiori erano
occupati da spazi di servizio, come appena sottolineato, almeno fino a quando la crescita della comunità lo consentiva): per il caso specifico di Alghero sussiste inoltre la possibilità che la sinagoga si trovasse nelle adiacenze immediate dell’area scavata (vedi oltre, 3.2).
L’eventuale riconoscibilità archeologica della cultura
materiale della comunità ebraica algherese è problema di complessa risoluzione, che dovrà essere affrontato, nella provvisoria assenza di elementi caratterizzanti, su base analitica dei
materiali recuperati nelle campagne di scavo e comparativa
di contesti urbani coevi variamente distribuiti nella città e al di
fuori di questa, nei numerosi centri della Sardegna che hanno
ospitato comunità ebraiche, come Cagliari, Sassari, Thiesi,
Sennori e in altre aree culturalmente confrontabili.
In alcune città europee, come Londra ed Amsterdam,
dove il problema dei traccianti archeologici della presenza
ebraica è stato affrontato sulla base di numerosi scavi, le
situazioni sono diversificate. A Londra si sottolinea l’estrema rarità di manufatti connotati (lampade, ceramiche, sigilli) negli scavi urbani, anche in quelle aree dove è nota
l’esistenza di sinagoghe: per questo motivo è lecito ipotizzare che la comunità ebraica londinese utilizzasse nella vita
quotidiana manufatti simili a quelli circolanti in città e si
osserva che «only those items intended for religious or ritual
usage can be recognized with any confidence as created for
or by the Jewish community» (PEARCE 1998, p. 106 ss.). Un
maggior numero di testimonianze materiali sono state recuperate ad Amsterdam, negli scavi d’emergenza dell’area
di Waterlooplein, ma i traccianti sono sempre rappresentati
da oggetti metallici per il culto o con scritte ebraiche
(kosher), legate alle abitudini alimentari della comunità,
imposte dalle esigenze religiose (BAART 1997, pp. 47-48;
PEARCE 1998, p. 107).
1.3 Dalla sinagoga ebraica alla chiesa di Santa Croce
In seguito alla cacciata degli ebrei, secondo una sorte
comune ad altri casi (come Cagliari), la sinagoga fu sostituita dalla chiesa di S. Croce (OLLA REPETTO 1994, p. 154):
anche ad Alghero, infatti, negli stessi luoghi interessati dalla sinagoga, ritroviamo nel XVI secolo la chiesa di S. Croce, che dovette subentrare al tempio ebraico in un breve
lasso di tempo, se già nel 1505 un atto notarile cita il vico
Sanctae Crucis (NUGHES 1990, p. 95).
Su queste basi si fonda principalmente la proposta di
ubicazione della sinagoga ebraica nell’area dell’attuale piazza S. Croce, dove si trovava l’omonima chiesa, fino alla sua
demolizione realizzata agli inizi del novecento nel contesto
dei lavori per la costruzione dell’Ospedale Civile (TASCA
1997, p. 31) (Fig. 3).
Definire più esattamente le modalità di questa probabile transizione o trasformazione risulta impossibile sulla base
delle fonti documentarie disponibili, al di là di alcune ipotesi che fanno coincidere la sinagoga e la chiesa di S. Croce
nello stesso edificio (DELIPERI-SECHI COPELO 1983, p. 7 ss.) e
proprio ad un’analisi di questa problematica su base archeologica è stato indirizzato lo scavo della piazza S. Croce.
La chiesa di S. Croce risulta inoltre sede della Confra-
Fig. 1 – Ubicazione del sito di Alghero nel contesto regionale.
ternita di Orazione e Morte, almeno a partire dal 1568: le
principali finalità di questo sodalizio, al quale aderivano
sia membri dell’oligarchia, sia popolani di infima calitat,
erano quelle di raccogliere e di dare sepoltura ai cadaveri
abbandonati dei poveri, dei carcerati e dei condannati a morte
(NUGHES 1990, p. 274; SERRA 1995, pp. 9-11).
Una fonte del 1593 ci informa che in quell’anno erano
in corso (o in programmazione) lavori per la iglesia nova
de Santa Creu, in quanto vengono registrati lasciti testamentari con quella finalità (SERRA 1995, p. 11): i resti di
questa iglesia nova (la datazione in base alla sequenza stratigrafica è compatibile con quella archivistica) sono stati
identificati nello scavo della piazza S. Croce.
Per quanto riguarda la gestione dell’oratorio di S. Croce da parte della Confraternita, è possibile che i frati Cappuccini, dopo il loro insediamento in Alghero nel 1595, si
siano occupati del servizio liturgico nella chiesa di S. Croce. Lo stesso fecero, successivamente, i Carmelitani dal 1644
al 1652 e i Mercedari dal 1654, che celebravano due messe
settimanali nell’oratorio e assistevano la Confraternita nelle processioni, il tutto per una somma annua di 80 lire. Il
rapporto tra la Confraternita ed i Mercedari, che ricevettero
nel 1677 l’autorizzazione a seppellire nell’Oratorio i religiosi defunti, non fu comunque facile: la Confraternita lamentò il maltratamiento della struttura ecclesiastica da parte
dei Mercedari, che causò un esborso di 200 lire per i restauri resisi necessari (SERRA 1995, pp. 14-15) e solo nel 1726,
i frati Mercedari abbandonarono l’oratorio di S. Croce, dando luogo a nuovi contrasti con la Confraternita.
2. LA PROGETTAZIONE E LE STRATEGIE
DELL’INTERVENTO ARCHEOLOGICO
Nel 1996, in seguito ad un intervento di emergenza effettuato in quell’anno dalla Soprintendenza Archeologica
di Sassari e Nuoro nell’area dei bastioni a mare della città
di Alghero, il Comune di Alghero chiamò l’Università di
Sassari per iniziare a lavorare ad un più ampio progetto di
archeologia della città (MILANESE 1998).
I punti di partenza sarebbero state alcune aree del centro storico di Alghero, che da tempo erano al centro di un
dibattito relativo alle modalità di recupero urbanistico ed
alle possibili soluzioni di riuso, per sottrarle all’abbandono, al preoccupante degrado strutturale ed alla frequentazione sempre più assidua da parte dei tossicodipendenti, che
hanno creato non pochi problemi anche allo svolgimento
delle indagini archeologiche.
Le aree al centro del progetto, almeno nella sua redazione iniziale, erano sostanzialmente due: il cortile dell’ospedale vecchio della città e la vicina piazza S. Croce, così
denominata dall’omonima chiesa, demolita all’inizio del se-
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Fig. 2 – Localizzazione degli interventi archeologici nel centro storico di Alghero. 1. Cortile dell’Ospedale Vecchio; 2. Piazza
S.Croce; 3. Bastione S.Giacomo.
colo per la costruzione di una parte del complesso ospedaliero (Fig. 2).
A queste aree si aggiunse successivamente il sito del
Bastione S. Giacomo, intervento non commentato in questa
sede sia per la scelta tematica del presente contributo, sia
per l’interesse, prevalentemente postmedievale, delle stratificazioni indagate.
La possibilità di intervenire in modo sistematico, con
cantieri estensivi, in quello che è senza dubbio uno dei centri
storici meglio conservati e di maggiore interesse della Sardegna, è sembrata subito una rilevante opportunità scientifica.
Gli obiettivi della ricerca (oltre a quelli urbanistici, citati a parte) potevano essere diversi: 1. iniziare a conoscere
anche dal punto di vista dell’archeologia questa città di fondazione medievale, prima base commerciale genovese ed
in seguito centro demico catalano a partire dal XIV secolo;
2. studiare con metodologie stratigrafiche l’area urbana
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occupata dal kahal ebraico tre-quattrocentesco; 3. contribuire allo sviluppo dell’archeologia medievale e postmedievale regionale, con l’acquisizione di sequenze, contesti
ed osservazioni che questo centro, aperto ai traffici ed alle
relazioni economiche con l’intero Mediterraneo occidentale, avrebbe certamente restituito.
È stato così definito un rapporto di collaborazione tra il
Comune di Alghero, le Università di Sassari, Genova e Siena (sede di Arezzo) e la Soprintendenza Archeologica per
le Province di Sassari e Nuoro. Dopo una fase progettuale,
messa a punto nel 1996, le indagini sul campo hanno avuto
inizio con un intervento di valutazione, attuato mediante
carotaggi meccanici nel gennaio 1997, seguito dalle prime
due campagne di scavo stratigrafico in estensione, realizzate nei mesi di maggio e di agosto dello stesso anno: a
queste hanno fatto seguito un’altra campagna nel 1998 ed
una successiva nel 1999 (MILANESE 1998; 1999).
Nel progetto d’intervento, elaborato in stretto rapporto
con l’amministrazione comunale, è stato ben chiaro sin
dall’inizio che le indagini archeologiche, incentrate nell’area
del dismesso ospedale civile di Alghero, sarebbero state
indirizzate non solo all’acquisizione di informazioni sulla
storia di questo spazio urbano nel lungo periodo, ma anche
di indicazioni utilizzabili per la progettazione del piano urbanistico complessivo della zona, in vista di un recupero
dell’area, attualmente in rovina, per un suo reinserimento,
con rinnovate funzioni, nella vita della città.
Nel corso della progettazione, sono state pertanto individuate differenti necessità, dall’obbiettivo della valutazione della risorsa archeologica presente nell’area, alle potenzialità di un riuso o fruizione di alcune parti del complesso
nel contesto del previsto recupero urbanistico. Un ulteriore
obiettivo posto al progetto è stato anche quello di capire e
di definire, attraverso l’analisi di primi campioni di stratificazioni urbane, quali dati sulla storia di Alghero un programma di ricerche archeologiche condotto in città potesse
ragionevolmente sperare di ottenere (in sostanza, una valutazione quantitativa e soprattutto qualitativa del potenziale
archeologico).
Interrogativi più specifici sono stati individuati nelle
principali trasformazioni della zona, quali le fasi di più antica frequentazione (il castellas), la connotazione del quartiere ebraico che tra XIV e XV secolo aveva contraddistinto l’area, la cultura materiale di questa comunità, le vicende del setto urbano dopo l’allontanamento degli Ebrei dalla
Sardegna, con una lettura condotta anche attraverso una
possibile analisi archeologica della sinagoga e delle sue trasformazioni in chiesa di S. Croce, tra fine XV-inizi XVI.
La caratterizzazione di questo particolare momento della
storia urbana di Alghero, fino all’insediamento del grande
complesso monastico postmedievale delle Isabelline ed alle
successive fasi ottocentesche, costituivano alcuni dei perni
problematici della lettura storica dell’area.
Nelle parti in cui il complesso architettonico risultava
agibile è stata inoltre avviata, durante la prima campagna di
scavo, una contestuale analisi degli elevati, con le metodologie proprie dell’archeologia dell’architettura.
M.M.
3. LO SCAVO ARCHEOLOGICO DELLA PIAZZA
S. CROCE (AREA 2000)
3.1 L’indagine archeologica condotta in Piazza S. Croce ha
seguito, dunque, due indirizzi di ricerca.
La prima serie di quesiti riguardava le fasi medievali
più antiche di questa parte dell’insediamento algherese,
dove, secondo le fonti scritte e le attestazioni toponomastiche, si doveva collocare la sinagoga della comunità ebraica. Una delle altre finalità dello scavo stratigrafico era dare
connotato più preciso, soprattutto dal punto di vista materiale, alle vicende che avevano coinvolto la sinagoga dopo
l’editto di espulsione degli ebrei di Ferdinando il Cattolico, nel 1492. Rimanevano da chiarire, infatti, le dinamiche
con le quali alla struttura ed al culto ebraico si erano succeduti quelli cattolici: tramite una riutilizzazione della fabbrica della sinagoga, oppure con un restauro articolato della
stessa, o ancora con la demolizione totale e la ricostruzione di un nuovo edificio.
Le ricerche in Piazza Santa Croce si sono articolate in
tre successive campagne di scavo (primavera ed estate 1997,
estate 1998) e le operazioni hanno seguito una strategia di
scavo che ha interessato una parte piuttosto cospicua della
piazza. A tale scopo è stata aperta un’area (a. 2000) di 80
metri quadri (10×8) nell’angolo Nord/Est dello spiazzo, tenendo come limite quello dell’attuale marciapiede.
La scelta di concentrare l’indagine stratigrafica in questa zona del centro storico di Alghero è stata presa in base
al rilevamento della pianta della chiesa di S. Croce nella
produzione cartografica Sette-Ottocentesca della città
(A.S.C.A., prot. 815, Genio Militare 1864; A.S.S. Cessato
Catasto Mappe, abitato n. 1, 1876) e sulla scorta delle indicazioni dei funzionari comunali riguardo ai più recenti interventi urbanistici. La zona nord-occidentale dell’attuale
piazza appariva come la parte in cui il deposito stratigrafico poteva presentarsi più intatto e potenzialmente più ricco
di informazioni riguardo l’ampio arco cronologico interessato, come era stato confermato anche da una serie di carotaggi effettuati prima dello scavo.
I risultati di queste indagini archeologiche hanno permesso di ricostruire la sequenza degli eventi, che hanno
interessato questa parte di Alghero tra il Medioevo e l’epoca subattuale. La vita di Piazza S. Croce è scandita in cinque
periodi principali, che vanno dalle frequentazioni tardo Duecentesche, all’insediamento di una bottega di fabbro in epoca
catalana, fino alle recenti sistemazioni dello spazio antistante
il vecchio Ospedale Marino. Tuttavia un’ipotesi ricostruttiva
definitiva, compresa la definizione più dettagliata delle cronologie e dei mutamenti funzionali per tutti i periodi di riferimento, sarà possibile solo dopo un’ulteriore fase di studio
della documentazione e dei reperti dei contesti principali.
3.2 Tramite l’analisi dei carotaggi preventivi ed un approfondimento stratigrafico di 2×1 m nella fase finale dello
scavo, si è potuto appurare che in un’epoca precedente a quella
medievale il sito doveva avere la configurazione di una spiaggia, seguita dalla formazione di una banchina naturale in
arenaria, la cui datazione deve essere ancora definita.
Solamente nel periodo bassomedievale tutta l’area ha
visto un’ingente azione antropica di preparazione e di consolidamento della banchina stessa. Tale intervento sembra
essere avvenuto tra la seconda metà del XIII e il pieno XIV
secolo e ha comportato il riempimento di alcune fosse naturali del bacino in arenaria con letti di malta, con il successivo riporto di un banco di argilla rossa sterile a spianamento
definitivo della zona, con la collocazione di pali e ganci di
ormeggio per le imbarcazioni. I rari materiali, rinvenuti in
questi depositi e nei livelli immediatamente soprastanti
(frammenti di Graffita Arcaica Savonese ed un denaro di
Genova del XIII secolo), confermano la preponderante influenza genovese nel periodo pre-catalano. Queste sono le
tracce di frequentazione antropica più antiche dell’area, che
testimoniano i primi sforzi compiuti nella trasformazione
della spiaggia di un villaggio di pescatori in un fiorente porto
del Mediterraneo, sotto l’egida dei Doria.
Sopra i livelli tardo-duecenteschi sono state ritrovate le
murature di un edificio, probabilmente a due piani, il cui
impianto risale al tardo XIV secolo e la cui frequentazione
sembra prolungarsi almeno fino alla fine del quattrocento.
La struttura portata alla luce riguarda solo il primo livello,
articolato in più vani, il cui piano di calpestio era leggermente seminterrato rispetto a quello del piano stradale.
All’interno di uno di essi sono state rinvenute le tracce
di un focolare, prima collocato su terra battuta e poi all’in-
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Fig. 5 – Area 2000. Ambiente Est. Particolare di una fossa di
scarico di residui di lavorazione dei metalli.
Fig. 3 – Area 2000. L’ambiente Ovest nelle fasi d’uso tardotrecentesche. Sullo sfondo, la soglia dell’ambiente ed il focolare
in muratura.
Fig. 4 – Area 2000. L’ambiente Ovest durante la fase di utilizzo
come bottega adiacente all’area di lavorazione del fabbro.
terno di una struttura rettangolare in pietra, e i resti di una
muratura più antica, connessa con una piccola gradinata (Fig.
3). Un altro sembra essere stato adibito a magazzino e ad
attività di tipo artigianale, tra cui quella di lavorazione di
metallo. Alcune scorie, l’elevata presenza di metalli da riciclo, il ritrovamento di un crogiolo, insieme con tracce di
fuochi e di altre impronte di più difficile riconoscimento
qualificano quest’attività come quella di un fabbro (Figg.
4-5), con evidenze che trovano analogie in casi documentati in numerosi siti dell’Italia centro-settentrionale (TRONTIVALENTI 1997, pp. 225-231).
Se l’attribuzione ad un orizzonte cronologico bassomedievale è piuttosto certa, meno chiara è la reale funzione di
tutti i vani e la loro possibile identificazione con quelli del
piano inferiore della casa di Jacob e Bet Bassach, divenuta
poi la sinagoga (TASCA 1990, p. 146). In quest’epoca, infatti, le funzioni artigianali non escludevano l’impiego dei vani
superiori per lo studio ed il culto. Date le particolari caratteristiche legate alla lavorazione dei metalli (fumi, rumore), e visto il rinvenimento di strutture murarie di una certa
imponenza nell’area immediatamente adiacente a questa
(area 2800), sembra più probabile che la casa dei Bassach
fosse ubicata un poco più ad occidente.
Le strutture identificate nell’area 2000, invece, potrebbero essere state adibite a bottega e ad abitazione di un altro ebreo loro vicino, che aveva dovuto cessare la propria
attività tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento, forse in conseguenza dell’editto di re Ferdinando. Alla fine del XVI secolo, infatti, sia la casa, sia l’ambiente artigianale erano stati già smantellati e le murature
rasate fino all’altezza di 50 cm dalla fondazione; i ruderi
rimasti erano stati coperti fino alla sommità, a colmatura,
con riporti successivi di terreno, nei quali sono stati rinvenuti abbondanti materiali di piena cronologia cinquecentesca (maioliche di Montelupo con decorazione in blu graffito, maioliche ispano-moresche a lustro metallico con decoro a tripetrazo ed in lustro e blu, denari minuti algheresi
con contromarca)
Invece, non è stata rinvenuta alcuna traccia materiale
del primo impianto della chiesa di S. Croce, attestata dalle
fonti scritte fino dai primissimi anni del Cinquecento. Poiché l’area indagata con lo scavo è situata all’estremità orientale dell’edificio cattolico, che si è rivelata la porzione corrispondente alla facciata più recente, probabilmente i resti
della fabbrica più antica della chiesa si trovano più ad occidente, in una zona oggi occupata da edifici, che è stato possibile sondare solo relativamente all’area 2800 (cfr. infra).
I livelli di colmata, originati da butti successivi sopra le
rasature dell’abitazione trecentesca, databili alla seconda
metà del XVI secolo, costituiscono il livellamento per il
piano di calpestio a partire dal quale sono state realizzate le
trincee di fondazione per l’edificazione della chiesa, che
finiscono per tagliare questi depositi. Pertanto, le strutture
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murarie relative a S. Croce, documentate nell’area 2000,
possono essere state costruite solo alla fine del XVI secolo. Alla luce di tale evidenza è possibile ipotizzare che i
restauri attestati dalle fonti scritte per il 1593 abbiano comportato anche l’ampliamento dell’edificio e il rifacimento
completo della facciata, probabilmente in posizione più
avanzata rispetto alla precedente.
A partire dalla fine del Cinquecento l’area è rimasta
divisa in due bacini stratigrafici differenziati che hanno
verificato dinamiche deposizionali diverse. Nella zona esterna prospiciente a S. Croce, dopo un primo livello di calpestio in terra battuta, sono stati trovate le tracce di diversi
strati di preparazione per la copertura del sagrato, che, almeno nella sua ultima versione, era realizzata con ciottoli
di mare (fine XVIII-XIX secolo). Nello stesso periodo una
parte del sagrato adiacente alla chiesa è stato interessato da
ripetuti depositi di limi, probabilmente causati dalle perdite
di una fognatura (Cfr. A.S.C.A. prot. 802, nn. 103, 350),
una porzione della quale è stata individuata nell’angolo Est
dell’area. A causa di questa situazione, nel corso del XIX
secolo, fu costruita una piattaforma di forma trapezoidale,
collocata di fronte all’ingresso dell’edificio sacro, che costituiva una sorta di zona di rispetto sopraelevata dal piano
di calpestio circostante.
Nella zona compresa tra i perimetrali della chiesa una
serie di inumazioni di fasi diverse, connesse agli interventi
di rifacimento della pavimentazione, testimoniano l’attività assistenziale della Confraternita di Orazione e Morte, che
ebbe sede in S. Croce fino all’Ottocento.
Per tale motivo il piano più antico dell’edificio, in tozzetti di ardesia e marmo, si è conservato solamente in un
lacerto all’estremità Sud-Ovest. Tutta la superficie rimanente si è rivelata coperta da mattonelle fittili, che è stato
possibile distinguere e collegare ad interventi diversi, grazie alla differente ubicazione e alle variazioni delle caratteristiche morfologiche degli strati di preparazione. Alla prima metà del XIX secolo sembra pertinente l’ultimo dei rattoppi del pavimento, realizzato come copertura delle inumazioni avvenute prima del 1868, quando la Confraternita
si trasferì presso la chiesa di S. Francesco (NUGHES 1990, p.
274, NUGHES 1991, p. 68). Gli individui inumati si sono rivelati di genere sia femminile, sia maschile, ed appartenenti a varie fasce d’età. Ad un primo esame compiuto sui resti
scheletrici al momento dello scavo alcuni di essi hanno già
rivelato interessanti patologie, ma un ulteriore studio dei
resti umani asportati potrà fornire altri dati paleodemografci. A questo periodo sembra risalire anche un intervento di consolidamento delle murature della chiesa con
la costruzione di un muro di rifasciamento di una parte del
perimetrale orientale fino all’angolo S/E dell’edificio. Nello scavo all’interno della chiesa, invece, non si è giunti alle
fasi di fondazione, che sono state esaminate solo in quanto
esposte in sezioni occasionali, ottenute con lo svuotamento
delle trincee ottocentesche.
Tra le evidenze più significative di età contemporanea
e sub-attuale, è stata messa in luce una serie attività negative condotte sui resti della Chiesa di Santa Croce. Alcune di
queste sono da collegare ai lavori urbanistici avvenuti negli
anni Ottanta e ad azioni di spoliazione delle strutture causate dalla demolizione dell’edificio ecclesiastico, connessa
alla costruzione dell’Ospedale Marino (inizio XX secolo).
Più difficile è identificare la natura e la cronologia di altre
buche e trincee, realizzate tra la fine del XIX e la metà del
XX secolo. Per il momento si è ipotizzato che esse possano
costituire i segni delle antiche esplorazioni “archeologiche”
volte alla ricerca del sidado degli ebrei, il tesoro entrato a
fare parte della mitologia popolare algherese.
M.Ba.
3.3 Lo scavo del settore 2800
In linea con l’orientamento della ricerca archeologica
Fig. 6 – Settore 2800: sepolture all’interno della chiesa di S.
Croce.
portata avanti a partire dal maggio del 1997 nell’area del
vecchio ospedale marino, nel centro storico di Alghero, si
è deciso, nell’agosto del 1998, durante la terza campagna
di scavo, di indagare per mezzo di un piccolo saggio, l’interno di un cortile prospiciente Piazza Santa Croce.
La scelta è maturata già nel corso delle precedenti campagne come verifica e completamento del documento stratigrafico dello scavo condotto in quasi tutta l’area della Piazza Santa Croce. In particolare per completare il quadro di
informazioni relative alla Chiesa di Santa Croce e delle sue
presistenze. In modo che un analisi incrociata con i dati
emersi dalle indagini nell’area 2000, potesse permettere una
definitiva ricostruzione della storia dell’edificio ed eventualmente di una parte del quartiere ebraico.
È stato quindi aperto un saggio di circa 25 metri quadri
a ridosso della parete della struttura dell’ospedale da cui ci
si è dovuti allontanare dopo i primi giorni di lavoro, restringendo l’area di scavo, dopo aver messo in luce una conduttura, probabilmente parte dell’impianto fognario dell’ospedale.
A differenza dei dati emersi dallo scavo dell’interno
della chiesa nell’area 2000, l’ultimo piano pavimentale della
chiesa non è interessato da tagli per le inumazioni.
Al di sotto di un innalzamento di quota si è potuto mettere in luce la preparazione di un secondo piano pavimentale pertinente alla chiesa, interessato da una serie di inumazioni di fasi diverse, che cronologicamente sono riconducibili genericamente al settecento.
Un’ulteriore preparazione pavimentale obliterata da un
consistente strato di circa 20 cm, lascia ipotizzare un grosso cantiere di ristrutturazione dell’edificio tra il seicento e
il settecento. Questa fase non sembra essere connessa con
delle nuove sepolture almeno in maniera distinguibile.
Una fase presumibilmente di fine cinquecento è testimoniata da un’altra serie di sepolture che sembra intaccare
un pavimento in terra battuta. Gli individui sono probabilmente le prime inumazioni all’interno della chiesa dopo la
rifunzionalizzazione dell’area del quartiere ebraico dopo
l’espulsione (Fig. 6).
Rimossi i livelli pertinenti al piano in terra battuta, si è
potuto documentare il residuo di una struttura, con murature abbastanza consistenti, che difficilmente possono far pensare ad un normale edificio abitativo, ma piuttosto ad uno
privilegiato. La struttura rinvenuta sembra essere quel che
resta di un grosso vano con pianta articolata, rasato all’altezza del pavimento che si è parzialmente conservato. Una
prima classificazione dei reperti restituiti dallo scavo degli
strati legati alla fondazione della struttura ha permesso di
datare la sua costruzione o ristrutturazione entro la meta
del quattrocento. Considerati i limiti della porzione conservata, risulta difficile una interpretazione funzionale dell’edificio ed un eventuale associazione con la sinagoga.
La sequenza qui ricostruita conferma e arricchisce i dati
documentati nello scavo della Piazza, un ulteriore confronto e studio delle documentazioni dovrebbe infine portare a
una ricostruzione definitiva a partire dal bassomedioevo.
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M.F.
4. IL CORTILE DELL’OSPEDALE VECCHIO (Fig. 7)
4.1 Settore 1100
All’interno del cortile dell’Ospedale Vecchio nel settore 1100 sono state documentate diverse attività che coprono un arco cronologico molto ampio che, a partire dalla fine del XIII secolo o dai primi anni del XIV, arriva sino
ai nostri giorni. In questa sede il contributo darà maggiore
spazio alle fasi medievali (fino al XV secolo), le fasi posteriori saranno necessariamente sintetizzate.
Il periodo più antico cronologicamente può essere datato tra la fine del XIII o gli inizi del XIV secolo, per l’associazione costante di maiolica arcaica pisana e graffita arcaica savonese rinvenuta in strati che hanno presentato grossi
problemi di interpretazione perché individuati in una striscia di circa 1,10 m di larghezza compresa tra un muro di
XV secolo e una cisterna per gasolio degli anni 60-70 del
XX secolo. Probabilmente le us individuate sono da interpretare, in base alla loro componente organica, come azioni
di butto e di accumulo di rifiuti legate ad una frequentazione dell’area nell’arco cronologico definito sopra.
Successivamente l’area indagata è stata interessata dalla presenza di un edificio (Fig. 8) che, molto probabilmente, faceva parte delle abitazioni del quartiere ebraico localizzato dalle fonti in questa zona del centro storico e la cui
presenza è ancora attestata da alcuni toponimi riferiti delle
vie circostanti (es. carrer dels hebreus) alla zona dell’intervento archeologico.
Proprio la presenza della comunità ebraica nella città,
da sempre impegnata in fiorenti attività economiche, viene
considerata dagli storici uno dei motivi della ‘tenuta’ dell’economia algherese, in particolare grazie al commercio del
corallo, anche nel XV secolo quando la Sardegna progressivamente inizia ad interessare sempre meno le correnti dei traffici
commerciali internazionali (ANATRA 1994, pp. 328-29).
L’abitazione individuata nel settore 1100 venne costruita nella metà del XV secolo come suggeriscono i materiali
diagnostici recuperati all’interno della fossa di fondazione
del muro perimetrale: associazione di maiolica italo moresca in monocromia blu, ispano moresche in blu e lustro e in
solo blu secondo tipologie della metà circa del XV (Palmas
abiertas y circulos, Flores de puntos, Hojas macizas de
perfil, Loza azul clasica con decoro ad onde e pesci) confrontabili in particolare con le ceramiche rinvenute nel relitto dell’isola di cavoli datato tra il 1425 e il 1440 (MARTIN
BUENO 1993, p. 80) e, ancora in associazione, una moneta
aragonese di Alfonso V il Magnanimo (1416-1458).
L’abitazione presenta un grosso muro perimetrale realizzato con pietre non lavorate di origine vulcanica poste a
filari irregolari (Fig. 9) e legate con argilla rossa, all’interno è presente rivestimento di rifinitura costituito da un sottile strato di intonaco di colore bianco distribuito in maniera discontinua nella parte destinata a giardino scoperto, mentre nella zona interna sembra essere presente in tutta la porzione di cortina pertinente all’ambiente 1.
All’interno lo spazio della casa era suddiviso in due
ambienti, separati da un tramezzo in blocchi rettangolari in
arenaria abbastanza sottili, dello spessore di circa 20 cm,
comunicati attraverso un’apertura, formata da un battente
ammorsato al muro perimetrale e l’altro legato al tramezzo.
Non è stato possibile definire l’intero perimetro dell’edificio poiché i problemi di statica dell’Ospedale Vecchio non
hanno permesso di allargare l’indagine. Sulla destinazione
d’uso dei due ambienti permangono ancora molti dubbi causati dalla mancata possibilità di indagarli nella loro completa estensione. Tuttavia è stato possibile delineare due fasi:
nella prima l’ambiente meridionale (N°1) certamente interno, si presentava pavimentato con terra battuta, con una scala
Fig. 8 – Settore 1100: veduta generale degli ambienti 1 e 2 nella
fase successiva alla ristrutturazione tardo quattrocentesca.
Fig. 7 – Veduta generale del settore 1500 a fine scavo 1999.
davanti all’ingresso appoggiata al muro perimetrale che
permetteva l’accesso ai piani superiori, mentre quello settentrionale (N° 2), esterno e molto probabilmente essere privo di copertura, sembra essere destinato a cortile, di cui
non è stata individuata la paleosuperficie di vita verosimilmente sconvolta dalle azioni successive che hanno partico-
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Fig. 10 – Settore 1100: obliterazione dell’edificio (fine XVI inizi
XVII).
ressata da diverse attività di cantiere legate alla vita dell’Ospedale Vecchio e alla successiva trasformazione in scuola.
L.B., F.G.R.C.
4.2 Settore 1500
Fig. 9 – Settore 1100: fossa di fondazione dell‘edificio
quattrocentesco con buche per la struttura lignea di cantiere.
larmente interessato questa zona. Il confronto con le situazioni documentate nell’area 1500, per quanto riguarda
la distribuzione spaziale degli ambienti chiusi attorno ad
un cortile centrale, è stato uno degli elementi che ha indotto a spingere verso questo tipo di interpretazione.
Nella seconda fase l’edificio sembra aver subito delle
profonde ristrutturazioni, ascrivibile ai primi anni del XVI
secolo, verosimilmente da correlare con l’espulsione degli
ebrei dalla città (1492). La datazione è suggerita dalla presenza, negli strati di cantiere, di maiolica di Montelupo con
decoro a ovali e rombi, boccali graffiti policromi di produzione savonese, ispano moresche in blu, in solo lustro e in
blu e lustro associati a monete del primo quarto del cinquecento. La ristrutturazione ha interessato la parte orientale
del tramezzo, probabilmente sostituito forse a causa di un
cedimento, conservando però l’originario battente ammorsato al muro perimetrale. I lavori hanno anche comportato
l’innalzamento della quota della soglia mediante un parziale tamponamento dell’ingresso con due lastre di arenaria
non allineate alla struttura, ma leggermente sporgenti verso
l’interno; la pavimentazione in terra è sostituita da una gettata di calce e ghiaia alta in media 30 cm sulla cui paleosuperficie vennero successivamente realizzate una serie di
buche, in prevalenza in prossimità della scala, verosimilmente destinate per la sistemazione di qualche struttura in
legno di difficile definizione sia funzionale che strutturale.
Una serie di strati maceriosi con coppi, malta, blocchi
di arenaria, datati tra la fine del cinquecento e gli inizi del
seicento, sono stati interpretati come il frutto della demolizione simultanea dell’edificio; demolizione da ascrivere in
una serie di intensi lavori urbanistici documentati in tutta
l’area (settori 1100 e 1500), verosimilmente da collegare
con all’arrivo delle monache di S. Chiara datato alla prima
metà del XVII secolo (Fig. 10).
Dopo la demolizione dell’abitazione, l’area del settore
1100 venne adibita a giardino senza soluzione di continuità
dagli inizi del XVII fino al XIX secolo, in seguito è stata inte-
Il settore di scavo 1500 è ubicato nella porzione sudovest del cortile dell’Ospedale Vecchio e a sud-ovest dell’area 1100, con cui è allineato lungo il suo limite est. Nell’arco dei tre anni di scavo, l’indagine ha interessato una
superficie rettangolare di circa m2 140, oltre ad una stretta
area rettangolare aperta a collegamento dei settori 1100 e
1500 lungo il loro limite est.
Al di sotto dell’attuale manto d’asfalto – al momento
dell’intervento coperto da cumuli di macerie dovuti alla
presenza di famiglie di abusivi all’interno dell’edificio negli anni subito anteriori allo scavo – è stata indagata una
complessa stratigrafia che concorre a definire, con le informazioni della vicina area 1100, la sequenza diacronica insediativa di questa parte di abitato dal XIV secolo fino ai
giorni nostri.
Il primo momento di frequentazione è rappresentato da
una serie di strati a matrice argillo-sabbiosa, poveri di reperti e ricchi di frammenti di laterizi, individuati in diversi
punti dell’area a diretto contatto con la superficie rocciosa
e di spessore differente, condizionato in questo dalla morfologia e dall’andamento della roccia stessa. I pochi reperti
rinvenuti inquadrano orientativamente questo periodo nel
corso della prima metà del XIV secolo. Sono state rinvenute anche alcune monete – attualmente in fase di restauro –
che sicuramente contribuiranno a definire meglio la datazione di questa prima frequentazione.
In corrispondenza dell’angolo nord-est dell’area, lo scavo ha evidenziato la presenza di una canaletta (Fig. 11) di
probabile smaltimento dell’acqua che attraversa l’area da
nord-est a sud, formata da un primo tratto in direzione estovest esclusivamente costituito da coppi sia sul fondo che
in copertura e da uno successivo costituito semplicemente
da un taglio nel banco roccioso in direzione nord/est-sud/
ovest con spallette in pietre calcaree di medie dimensioni
rudimentalmente sbozzate. Non sono state individuate nell’area di scavo le strutture a cui la canaletta e i livelli di
sistemazione dovevano essere pertinenti.
Analogamente a quanto evidenziato per il settore 1100,
in un momento immediatamente successivo, nell’area dell’Ospedale Vecchio vengono costruite una serie di strutture
abitative, verosimilmente interpretabili con l’insediamento
in questa parte della città della comunità ebraica, come testimoniato dalle fonti (vd. sopra). Il settore 1500 viene occupato da un edificio (Fig. 12) probabilmente caratterizzato da una serie di unità abitative disposte a schiera lungo
una viabilità ancora in parte rilevabile nel moderno tessuto
urbanistico e solamente successivamente interrotto dal-
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Fig. 11 – Settore 1500: canaletta in coppi tardo medievale.
Fig. 13 – Settore 1500: crollo degli intonaci riferibili ad un
tramezzo ligneo.
Fig. 12 – Settore 1500: veduta generale di uno degli ambienti
tardo trecenteschi.
l’attuale corpo di fabbrica dell’ospedale vecchio, sorto nel
XVII secolo come convento delle suore Isabelline.
Lo scavo ha evidenziato la presenza di almeno quattro
vani contigui creati dall’incrocio di due muri in direzione
NE-SW e NW-SE, conservati per un’altezza media di circa
cm 50. La fondazione di questi muri, evidenziata in alcuni
tratti, taglia gli strati anteriori prima citati e in parte anche
la superficie rocciosa almeno nella parte a nord dell’area,
dove questa appare più rilevata.
Dei quattro ambienti individuati, sono stati indagati
completamente o in gran parte quelli a sud-ovest (amb. 3) e
a sud-est (amb. 4) mentre solo parzialmente i vani nord-est
(amb. 5) e nord-ovest (amb. 6).
In questa fase, i muri sono realizzati con pietre non lavorate di origine vulcanica poste su filari irregolari e legate con abbondante argilla rossa, rivestiti da un sottile stra-
Fig. 14 – Settore 1500: primo riempimento del pozzo.
to di intonaco di colore bianco conservato per larghi tratti,
ma solo su alcune delle pareti individuate. L’edificio era delimitato a nord e a sud da due massicci muri perimetrali di
cui quello a sud appare successivamente rifasciato e rinforzato nell’ambito della costruzione nell’area del citato convento.
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Lo scavo delle fosse di fondazione dei muri di questa
fase hanno restituito reperti che inquadrano cronologicamente la costruzione dell’edificio attorno alla metà del XIV
secolo, in fase con le notizie storiche dell’arrivo della comunità ebraica ad Alghero (2).
Gli ambienti 3 e 4 presentavano gli accessi verso sud,
probabilmente in relazione ad una strada, successivamente
tamponati in occasione della ristrutturazione seicentesca.
L’ambiente 3 è un vano rettangolare di circa 7×6,50 m
diviso a nord dall’ambiente 6 mediante un tramezzo largo
20 cm di cui rimane solamente l’impronta per la successiva
spoliazione nelle fasi di occupazione secentesche. Il piano
originario ha subito un ribassamento nel corso della sua vita,
registrabile con un notevole salto di quota rispetto alla soglia d’ingresso che ha comportato l’inserimento in corrispondenza di questo di un blocco di pietra in funzione di
gradino, la presenza di una fascia non intonacata alla base
dei muri perimetrali – in quanto originariamente interrati –
e la conseguente messa a vista della risega di fondazione. Il
nuovo piano pavimentale era costituito da uno strato di calce bianca su cui era inserita una struttura leggera in legno
ed argilla, probabilmente circolare, di cui rimangono i tagli
nel pavimento per l’inserzione dei paletti dell’intelaiatura e
diversi frammenti di incannicciato relativi al rivestimento
delle pareti (Fig. 13). La localizzazione ribassata e le caratteristiche del piano pavimentale, la scarsa cura di rifinitura
delle murature e la presenza di strutture leggere inserite sembra escludere un uso abitativo – almeno nella sua ultima
fase di utilizzo – e suggerire un impiego quale magazzino o
bottega, analogamente a quanto ancora riscontrabile in diversi ambienti a pian terreno del quartiere.
Il contiguo ambiente 4, non comunicante con il precedente, sembra caratterizzarsi come uno spazio aperto rettangolare – forse un cortile interno – largo m 4,60 per una
lunghezza di almeno m 7. La pavimentazione di questa corte, il cui accesso dall’esterno avveniva da sud mediante un
ingresso con stipiti strombati, era costituita da un lastricato
in pietre e ciottoli solo parzialmente conservato. A lato dell’ingresso è stata rinvenuta una piattaforma quadrangolare
in pietre e malta, probabilmente identificabile come base
per una scala d’accesso ad un eventuale piano superiore.
Nella parte est del vano era localizzato un pozzo (Fig.
14). La struttura, profonda circa m 4,60, è costituita da una
vera del diametro di m 1,50 – conservata per un’altezza di
m 0,60 – in pietre di medie dimensioni, al di sotto della
quale il pozzo è costituito direttamente da un taglio verticale nella roccia. Sulla parte sud e nord della parete rocciosa
sono presenti alcune pedarole, poste ad altezza alternata,
per la risalita degli scavatori al momento della realizzazione del pozzo. Lo scavo ha permesso di indagare l’ultimo
uso della struttura come discarica di rifiuti domestici, rappresentati da limi neri formati in ambiente anaerobico, ricchi di ossa animali, oggetti in legno (piatti, trottole, fasciame di botti etc.) ed in sughero, semi, noccioli e rami. Sono
state rinvenute numerose ceramiche – tra cui anche vasi
interi soprattutto utilizzati per attingere acqua (boccali) – riferibili a produzioni spagnole decorate a lustro, boccali in graffita policroma e maioliche di Montelupo Fiorentino con decoro in blu graffito, che hanno permesso d’inquadrare cronologicamente il momento di utilizzo finale o di primo abbandono del pozzo tra la fine del XV e i primi decenni del
XVI secolo. Allo stesso arco cronologico potrebbe essere
riferibile l’obliterazione dell’acciottolato che viene coperto da un rudimentale piano in malta presente su tutta l’area
del cortile.
Ad analoga datazione è riferibile la distruzione ed il
parziale riempimento mediante macerie e rifiuti dell’ambiente 3. La natura del deposito e lo stato di frammentazione dei reperti sembra suggerire una serie di apporti volti a
livellare l’ambiente al piano degli altri ambienti e della sede
stradale e ridurre l’area a destinazione ortiva.
Nel corso della prima metà del XVI secolo l’ambiente
4 sembra subire progressive spoliazioni, testimoniate da
livelli di macerie ricchi di reperti ed elementi di edilizia
leggera alternati a dilavamenti del legante argilloso dei
muri, che sembrano denunciare un totale stato di abbandono delle strutture presenti, mentre il pozzo viene definitivamente riempito con apporti maceriosi e numerose pietre anche di grandi dimensioni.
Anche nell’ambiente 5 sono stati evidenziati notevoli
interventi di distruzione ed apporti maceriosi, in relazione
con quelli evidenziati per gli altri due ambienti. Di questo
vano, lo scavo ha individuato unicamente parte dei muri
nord – perimetrale dell’edificio verso il vicolo su cui si affacciava l’abitazione rinvenuta nel settore 1100 – e sud, nel
quale era presente una nicchia trapezoidale. Tali interventi
hanno previsto il tamponamento della nicchia ed il totale
riempimento dell’ambiente, con notevole innalzamento di
quota, mediante l’apporto di diversi strati molto ricchi di
rifiuti di pasto e ceramica (ispano moresca decorata a
tripetrazo, maiolica di Montelupo decorata a spirali arancio), cronologicamente inquadrabili tra la metà/seconda metà
del XVI e gli inizi del XVII secolo
La limitata porzione scavata dell’ambiente 6, invece, ha
dato per questo periodo scarse informazioni in quanto disturbata dai pesanti interventi di ristrutturazione secenteschi.
Pare in definitiva di riconoscere un momento cronologicamente inquadrabile tra la fine del XV e gli inizi del
XVI secolo in cui l’edificio sembra subire un generale abbandono con una ruralizzazione dell’area che viene adibita
forse ad orto e a cava di materiale edile da riutilizzo. Il dato
potrebbe essere messo in relazione ai provvedimenti presi
in seguito all’editto di Ferdinando il Cattolico del 1492 con
cui gli ebrei venivano espulsi dalla Spagna e da tutti i territori in suo controllo e che quindi anche in questo quartiere
di Alghero dovette avere tangibili ripercussioni.
Tale condizione di abbandono sembra persistere fino
alla metà del XVII secolo, quando – in occasione della
costruzione del monastero delle isabelline – si assiste ad
una riorganizzazione degli spazi con il mantenimento del
perimetrale nord e la costruzione di un potente muro in pietre e malta bianca largo 0,90 m, che ingloba probabilmente
il muro perimetrale sud dell’edificio precedente, costituendo il limite sud del complesso monacale. In questo momento l’area costituisce l’ala sud del convento, strutturata al
suo pian terreno come un’unica ampia sala divisa in tre navate da due allineamenti di pilastri, di cui la ricerca archeologica ha posto in luce le fondazioni a sacco, mentre il settore 1100 viene occupato dall’area del giardino.
Il settore manterrà questa connotazione fino al XIX secolo quando il corpo di fabbrica verrà trasformato in armeria del Regio Esercito Sabaudo. Tale mutamento di funzione ha previsto l’abbattimento dei pilastri e la costruzione di
un muro continuo lungo l’asse mediano est-ovest dell’edificio che ha dato vita a due “navate” con soffitto a doppia
volta a botte, percepibili ancora oggi dal prospetto del muro
perimetrale ovest della struttura (ancora in elevato e delimitante a ovest l’area 1500).
L’impianto dell’ospedale vecchio agli inizi del XX secolo ha infine comportato la rasatura al suolo di gran parte
della struttura per essere adibita insieme al settore 1100 come
giardino e area di deambulazione dei malati. La copertura
mediante asfalto nel successivo utilizzo della struttura ospedaliera come scuola e il seguente degrado per l’abbandono
delle strutture ha infine completato il quadro diacronico di
frequentazione e reso impellente l’azione di recupero dell’edificio e della memoria storica dell’area.
M.Bi.
5. INDAGINI ARCHEOBOTANICHE
Le aree sottoposte ad intervento archeologico hanno
restituito un’ingente quantità di materiale vegetale, alquanto
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eterogeneo, composto da legni, carboni e semi di piante
coltivate e/o spontanee.
I metodi adottati per il recupero dei macro e dei microresti sono stati differenziati e calibrati sui diversi tipi di
contesto e soprattutto in rapporto ad una maggiore o minore concentrazione di sostanza organica. Di norma, fermo restando la raccolta a vista dei frammenti di più grosse
dimensioni (legni e carboni), si è scelto di effettuare una
campionatura standard di sedimento (stimata in circa 10
Kg per US), decisa sulla base dell’evidenza archeobiologica
di ogni singola US; tuttavia, in alcuni casi si è reso necessario effettuare la campionatura totale.
Tali campioni sono stati sottoposti in parte a setacciatura a secco su colonna di setacci con maglie spesse mm 4/
2,5/1,5, in parte a vagliatura sotto getto d’acqua sempre sulla
solita colonna di setacci.
In particolare, si è optato per la campionatura totale,
riguardo il sedimento contenuto in un pozzo, ubicato all’interno del cortile dell’Ospedale Vecchio, collocato al centro
di uno spazio aperto e riferibile ad una fase insediativa tardo-medievale, che rappresenta uno dei contesti più ricchi
di informazioni archeobotaniche; la setacciatura in acqua,
effettuata direttamente sullo scavo, ha rivelato la presenza
di un enorme quantitativo di semi, (per la maggior parte
vinaccioli d’uva), noccioli di piante da frutto e frammenti
di legno, fra cui diversi manufatti (trottole, pedine di scacchi, pettini), in ottimo stato di conservazione, che rappresentano un unicum per la Sardegna, nell’ambito dei ritrovamenti di età medievale e postmedievale.
Su una campionatura di vinaccioli sono state eseguite
analisi morfologiche e biometriche, che hanno evidenziato
la presenza di 5 morfotipi il cui valore tassonomico risulta
ancora da precisare.
L’analisi silotomica, condotta su un consistente numero di frammenti di legno, ha evidenziato, per buona parte di
questi, un piano di struttura microscopica riconducibile alla
vite (Vitis vinifera L.); le altre presenze riguardano per lo
più alcune specie del genere Prunus, coltivate presumibilmente nelle vicinanze dell’insediamento, che giustificherebbero la consistente presenza dei noccioli.
Il legno impiegato nella fabbricazione di una parte dei
manufatti (pettini e un piatto) appartiene ad acero (Acer sp.),
mentre sono tuttora in corso le analisi volte alla determinazione della struttura anatomica delle specie utilizzate nella
realizzazione di alcuni oggetti di uso domestico (probabilmente tatti per grossi contenitori), associabili a prodotti derivati da pratiche agrarie quali la viticoltura e l’olivicoltura.
A.D.
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