Paper del Dipartimento Ricerca Roma, 23/09/2013 LA POLITICA ESTERA ITALIANA E L’ARRESTO DEI DUE FUCILIERI DI MARINA NELLO STATO INDIANO DEL KERALA COMMENTO a cura di Carlo Jean – Link Campus University L’arresto da parte dello stato indiano del Kerala di due fucilieri della Marina Militare Italiana, in servizio anti-pirateria a bordo di una petroliera italiana, con l’accusa di aver ucciso due pescatori locali, scambiati per pirati, sta provocando accesi dibattiti. A parte la sorte personale dei nostri due militari e delle loro famiglie, a cui va espressa piena solidarietà, i dibattiti non riguardano solo la giurisdizione né i motivi della rigidità indiana. Investono anche un giudizio sulla condotta dell’Italia di far rispettare i propri diritti e di proteggere i propri cittadini, soprattutto se al servizio dello Stato. Per la giurisdizione è presto detto. Secondo la Convenzione internazionale sulla Legge del Mare (UNCLOS), non vi sono dubbi. La richiesta che la giurisdizione spetti all’Italia è del tutto giustificata. Insostenibile è la pretesa del tribunale del Kerala di riferirsi alla Convenzione di Roma del 1988, che riguarda il terrorismo marittimo. Il tentativo dell’India di utilizzarla per estendere la propria sovranità sulla Zona Economica Esclusiva (200 miglia) era stato subito respinto da vari paesi, fra cui l’Italia. Accoglierlo, avrebbe compromesso la Convenzione di Montego Bay, sul diritto internazionale del mare. Per tutelare la libertà di navigazione, esso prevede che la giurisdizione in acque internazionali, appartenga allo stato di bandiera della nave. L’arresto dei nostri militari viola l’immunità funzionale ad essi internazionalmente riconosciuta ed anche il Codice di Condotta di Gibuti del 2009 dell’IMO (International Maritime Organization), che regola l’anti-pirateria nell’Oceano Indiano Occidentale. Il dirottamento dell’Enrica Lexie è avvenuto con un sotterfugio, a cui si è prestato l’armatore, ordinando al comandante della nave di aderire alle richieste delle autorità indiane. Non si sa perché l’abbia fatto, se sia stato autorizzato a farlo e da chi e se ne avesse l’autorità. I motivi della rigidità indiana sono di politica interna. Decine di pescatori erano stati uccisi per errore. I pescherecci si avvicinano spesso alle navi mercantili, per evitare che trancino le loro reti. Ciò li può fare scambiare per pirati. Inoltre, centinaia erano stati catturati da pirati e banditi e liberati con il pagamento di riscatti. L’opinione pubblica indiana è esasperata. In India sta crescendo il nazionalismo. La politica ne deve tener conto. Il processo ai nostri militari è diventato politico. Il punto che qui più ci interessa è il comportamento del governo italiano. Taluni l’hanno giudicato debole e acquiescente rispetto alle prepotenze e prevaricazioni indiane. Esse non si sono esaurite solo nell’arresto dei due marò. Hanno riguardato anche la condotta delle indagini. I nostri esperti sono stati esclusi dalla perizia balistica, pur decisiva per stabilire la verità. Le richieste e proteste italiane sono state ignorate. Cedere alle prepotenze costituisce sempre una perdita di prestigio. Nessun altro Paese ci ha dato una mano. Gli unici successi, conseguiti dalla nostra diplomazia, sono consistiti nell’evitare che i nostri due connazionali fossero rinchiusi in carcere e nel sostegno che alla posizione italiana hanno dato esperti internazionalisti anche in India. 1 Taluni approvano la “cauta fermezza” italiana. Altri la ritengono eccessivamente prudente, se non timida. Certamente, siamo stati mossi non solo dal fatto che siamo portati a collocare il diritto internazionale e il multilateralismo al di sopra dell’interesse nazionale, ma anche da una maledizione propria del carattere italiano: la ricerca dell’accordo ad ogni costo e la persuasione che l’India avrebbe riconosciuto le nostre buone ragioni. Non dovrebbe violare il diritto internazionale, anche perché ambisce a divenire membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Gli USA glielo hanno promesso. E’ per essi un alleato indispensabile per gli equilibri asiatici, anche se spesso è difficile e ambiguo. Dopo il “non-allineamento” della Guerra Fredda, non ha ancora ben deciso quale politica seguire e ruolo giocare nel “nuovo ordine mondiale”. Ma ciò ha impedito agli USA di appoggiarci nel caso dei marò, anche perché Washington non ha ratificato Montego Bay. C’è da chiedersi se l’Italia avrebbe potuto adottare un atteggiamento più determinato e duro e ottenere più forti appoggi internazionali: dall’ONU o dall’UE. Economicamente, l’India conta più dell’Italia, almeno in prospettiva. Ma molti si sono meravigliati che l’Italia non sia stata adeguatamente sostenuta, almeno dall’UE. L’ineffabile Lady Ashton, “ministro degli esteri europeo”, si è limitata a qualche buona parola. Non esiste una politica estera europea su cui poter fare affidamento! Le possibilità italiane di far pressioni sull’“elefante indiano” sono oggettivamente ridotte. D’altronde, per le stesse ragioni di opportunità che hanno indotto gli altri Stati a non sostenerci apertamente, anche noi non abbiamo denunciato l’India alla Corte di Giustizia Internazionale o a quella dell’IMO. Siamo ricorsi alla diplomazia e ai massimi principi. Ma la diplomazia senza muscoli si riduce a semplici chiacchiere e a retoriche dichiarazioni di essere dalla parte del giusto. Forse la vicenda dei due marò, ci servirà a prendere atto di quanto poco contiamo nel mondo post-bipolare, sebbene ciò non giustifichi cautele e arrendevolezza eccessive. 2 IL FATTO* a cura di Andrea Kellum – Link Campus University Il 15 Febbraio 2012 in acque internazionali a largo del Mar Arabico, la nave battente bandiera italiana Enrica Lexie in trasferimento da Galle (Sri Lanka) a Gibuti, in transito lungo le coste dello Stato del Kerala subisce un attacco pirata. I due marò a bordo dopo le dovute segnalazioni luminose sparano colpi di avvertimento in acqua e in aria come segnali di avvertimento. L’attacco pirata viene sventato senza feriti e la piccola imbarcazione fugge rapidamente. Nella stessa giornata, il peschereccio indiano St. Anthony rientra nel porto di Kochi con i corpi di due pescatori uccisi da assalitori sconosciuti. La Guardia Costiera indiana e la polizia locale instaurano da subito una relazione causa-effetto tra i due eventi. Infatti, a seguito delle prime ricostruzioni delle autorità, i fucilieri di Marina vengono accusati di aver erroneamente colpito i due pescatori confondendoli per pirati. Successivamente la Guardia Costiera indiana comunica alla Enrica Lexie di dover procedere al riconoscimento dei presunti pirati assalitori. La nave italiana, avvertito l'armatore e preventivamente informato la catena di comando militare, invertiva la rotta ed entrava così scortata nella rada di Kochi, in acque territoriali indiane. La Guardia Costiera indiana richiede di salire a bordo presidiando nel frattempo la nave con uomini armati. Il 19 febbraio le autorità del Kerala procedono all’arresto dei due marò del reggimento San Marco, il capo di prima classe Massimiliano Latorre e il secondo capo Salvatore Girone, accusandoli di aver ucciso i due pescatori. Sul piano giuridico la sentenza della Corte Suprema Indiana afferma che l’incidente che ha causato la morte dei due pescatori è avvenuto alle 16:30 circa del 15 febbraio quando il 3 peschereccio stava rientrando da una spedizione di pesca attendendo il passaggio della petroliera quando l’inaspettata sparatoria ha ferito mortalmente il conduttore e un pescatore morto poco dopo per le ferite riportate. L'equipaggio italiano afferma invece che è stato aperto il fuoco per autodifesa contro pirati armati. Il comandante dell'Enrica Lexie e i soldati italiani affermano che una barca di pirati armati si è avvicinata alla petroliera e che la barca non era quella dei pescatori della St. Anthony. Agli eventi e alle ricostruzioni giuridiche, seguono interviste e varie ricostruzioni giornalistiche. Un’intervista rilasciata dal proprietario della barca di pescatori circa l’orario in cui la barca avrebbe subìto l’attacco aumenta le ombre sul caso. Infatti l’orario del presunto attacco dei nostri fucilieri di Marina alla barca dei pescatori e l’orario che viene indicato dai pescatori per l’attacco al peschereccio non coincidono. Inoltre un attacco simile a quello subito dall’Enrica Lexie viene descritto in un report presentato all’IMO lo stesso giorno da parte della Olympic Fair, nave battente bandiera greca anch’essa vicina alla costa dello Stato del Kerala, di stazza e colore simile alla Enrica Lexie. L’orario dell’attacco subito dall’Olympic Flair coincide con quello testimoniato dai pescatori il che porterebbe a pensare che non fu l’Enrica Lexie a imbattersi nella nave dei pescatori ma piuttosto la nave greca. A confondere ulteriormente il quadro, c’è l’intervista rilasciata ad un televisione indiana del Sottosegretario agli Affari Esteri Staffan De Mistura che ha definito l’uccisione dei pescatori come “accidentale” e il risarcimento di 145 mila euro (10 milioni di rupie) che il Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola ha così definito: «È stato un atto di donazione, di generosità, ex gratia, al di fuori di un contesto giuridico>>. Sul piano politico il Primo Ministro dello Stato del Kerala, Oommen Chandy impegnato nella campagna elettorale per le elezioni locali, il 16 Febbraio rilascia una dichiarazione ufficiale prima della conclusione delle indagini dichiarando che non c’è il minimo dubbio circa la colpevolezza dei marò italiani e che non avrebbe esercitato alcun tipo di clemenza se rieletto. Lo stato del Kerala ha infatti considerato sin dall’inizio l’intera faccenda di propria competenza in competizione con la giurisdizione del governo centrale. Nel frattempo, il governo centrale attraverso il Ministro degli Affari Esteri indiano Krishna non ha preso immediatamente una posizione sull’accaduto, subentrando solo in seguito nella querelle diplomatica. Ad oggi, dopo la decisione del governo indiano di istituire un tribunale speciale per il giudizio, dopo il permesso ricevuto dalle autorità indiane per permettere ai due fucilieri di partecipare alle scorse elezioni politiche, dopo la decisione del Ministro degli Affari Esteri Terzi di Sant’Agata di non farli rientrare in India e l’opposta decisione del Presidente del Consiglio Monti di far ritornare in India i marò, i due marinai italiani arrestati sono ancora detenuti in India agli arresti domiciliari dietro cauzione. *ricostruzione tratta da fonti aperte 4