via Borgoleoni, 21 Tel. 0532/20.98.53 - 20.34.71 44100 Ferrara ASSOCIAZIONE S O M M A R I O 2 Iasos, campagna di scavo 2004 6 La campagna di ricognizione del 2004: la cinta di terraferma e l'Akarca Tepe Fede Berti Raffaella Pierobon Benoit 13 Le cisterne di Iasos: alcune considerazioni 17 Tombes hellénistiques à Iasos (suite) 20 Graffito cario su piede di coppa attica 22 Les étrangers à Iasos au debout de l’époque hellénistique 26 Ancient Carians and Their Language: an Unsolved Mistery 32 Archaeological Survey at Laodicea of Phrygia, 2002 37 Viaggiatori in Caria: George Sandys 42 Rassegna bibliografica 46 Recensione Iasos tra VI e IV sec. a.C. Miscellanea storico-archeologica Francesco Bosso Olivier Henry Fede Berti, Lucia Innocente Fabrice Delrieux n° 11 anno 2005 Abuzer Kızıl Sauro Gelichi Lucia Innocente Hanno collaborato Fede Berti Daniela Baldoni Fede Berti Francesco Bosso Fabrice Delrieux Carlo Franco Sauro Gelichi Olivier Henry Lucia Innocente Abuzer Kızıl Raffaella Pierobon Benoit Carlo Franco 50 Notiziario 54 Bollettino: indice tematico 1995-2004 a cura di Daniela Baldoni Daniela Baldoni, Carlo Franco 1 Iasos, campagna di scavo 2004 di Fede Berti 1. Restauro di vasi della campagna 2004 si sono svolti dal 12 di agosto al 30 di settembre: al Ilavori loro buon andamento ha grandemente contribuito il rappresentante del governo tur- co, dottore Melih Arslan, funzionario del Museo delle Culture Anatoliche di Ankara, che ringraziamo calorosamente poiché ha agevolato in ogni maniera le nostre attività. Hanno fatto parte della missione Simonetta Angiolillo, Daniela Baldoni, Stefano Bertocci, Francesco Bosso, Michele Cannoni, Romina Carboni, Claudia Cincotti, Kristian Civetta, Michele Cornieti, Emiliano Cruccas, Melih Ekinci, Marco Giuman, Luca Granata, Olivier Henry, Maria Adele Ibba, Carl Knappert, Luigi Leurini, Federico Mailland, Ida Mailland, Maurizia Manara, Nicoletta Momigliano, Paolo Ortelli, M. Trinitad Oviedo, Antonella Romualdi, Laura Ruffoni, Filippo Scapini, Micol Siboni, Criastian Soverini, Maria Assunta Spolverin, Michelangelo Tiefenthaler. iii 2. Pannello a muro all’ingresso dell’agora 3. Pannello a piede nell’agora Non poche energie, nel periodo iniziale dei lavori, sono state dedicate al risanamento della casa della missione. I disagi sono stati molteplici e si sono protratti nel tempo; non è tuttavia il caso di richiamarli in questa sede, nella quale va dato spazio ad altri aspetti dell’attività svolta, che si è concentrata sullo studio e sul restauro, ma che, attraverso saggi mirati, ha altresì condotto accertamenti di carattere strutturale e cronologico in alcuni punti dell’antico insediamento. Si è poi rinnovato il ‘sistema’ didattico-illustrativo del sito. Inaugurato nel 1994 e costituito da 12 pannelli con testi in turco e in italiano, ossia di una postazione introduttiva con la pianta della città, ubicata all’ingresso degli scavi, e di successivi 11 tableaux (il dodicesimo dei quali era stato aggiunto nel 2002, per illustrare le vicende della torre di IV sec. a.C. che si trova sull’angolo della 2 agora), esso denunciava vistosamente i danni subiti e richiedeva consoni provvedimenti. I nuovi pannelli descrittivi sono di due tipi: a muro e su piede. In questi ultimi, che utilizzano il supporto dei precedenti, testi e piante si presentano separati. Il numero delle postazioni, sebbene vi siano stati alcuni cambiamenti nella loro distribuzione topografica, resta invariato. Tenendo conto di quanto era stato da più parti osservato, ai testi in italiano e turco si è aggiunto quello in inglese; anche se destinati a rimanere all’esterno, i pannelli sono stati agganciati al piede con un sistema che, se ve ne fosse la necessità, consente di staccarli facilmente e di ricoverarli al coperto. Testi e planimetrie, anch’essi modificati rispetto a quanto era prima disponibile, sono stati elaborati da D. Baldoni; in quanto alla realizzazione, vi ha lavorato la Nipas A.S., che fa capo ad Adnan Göloğlu, di Ankara. palesato le peculiarità del suolo e ha restituito materiali il cui arco cronologico sembra scendere oltre la fine dell’ellenismo. Contestualmente – e in funzione di una possibile ripresa delle indagini nell’area, la quale, nel più generale contesto urbano, è di fortissima rilevanza topografica e monumentale – si è rivolta l’attenzione al ‘Propileo’ stesso, che, come è noto, consta di due ambienti comunicanti. Ad uno si accedeva da nord tramite una gradinata che, riprendendo sul lato opposto, si apriva verso il mare e il porto occidentale; l’altro era dotato di nicchie sulle pareti. Una accurata ‘pulizia’ dei piani pavimentali di entrambe le stanze ne ha posto in evidenza gli aspetti strutturali (quali, ad esempio, il piano di allettamento del mosaico 4. ‘Propileo della Punta Sud’: trincea a ridosso del muro del podio iii Per ciò che riguarda l’attività di scavo, un saggio è stato condotto nelle adiacenze del cosiddetto ‘Propileo della Punta Sud’, più precisamente nel vano compreso tra ‘Propileo’ e vicino podio. Vi hanno lavorato F. Mailland, L. Granata e F. Scapini. L’intendimento è stato quello di osservare le caratteristiche del terreno e iniziare a raccogliere elementi per una più articolata cronologia delle strutture: la trincea aperta a ridosso del muro del podio, quindi con andamento nord-nordest/sud-sud-ovest, ha raggiunto in due punti la roccia nativa (che anche qui è a gradoni), ha dell’ambiente con nicchie, piano sul quale sono visibili le linee guida che corrispondevano ai rinfasci del tessellato ed altri interessanti dettagli), aspetti che in seguito ha rilevato M. Manara. Indagine ripresa dal 2003, dopo un iniziale censimento dei pozzi, delle cisterne e delle fontane è stata quella che ha avuto come argomento il sistema di raccolta, distribuzione e smaltimento delle acque nella città. In tale prospettiva di ricerca (cui spetta a buon diritto il titolo di ‘Acqua iasia’), I. Mailland, K. Civetta e P. Ortelli (al quale si devono piante e sezioni) hanno analizzato nel dettaglio la canaletta che attraversa il piazzale sul porto orientale spuntando da sotto il ‘tompagno’ della porta dell’agora, mentre F. Bosso ha preso in esame il tracciato idrico circostante il ginnasio della Porta Est, che dalla fase tardo ellenistica iniziale giunse alla piena età romana imperiale. Alcuni saggi hanno avuto qui lo scopo di veri- 3 5. ‘Propileo della Punta Sud’: piano di allettamento del mosaico dell’ambiente con nicchie 6. Piazzale sul porto orientale: canaletta 7. Complesso della Porta Est: pozzo 8. Necropoli settentrionale: tomba a camera ficare raccordi e interferenze di adduzione e di drenaggio, soffermandosi in modo particolare sulla organizzazione dei condotti (principale e secondari) corrispondenti alla strada nord-nordovest/ sud-sud-est e al più stretto vicolo che vi si immette proprio all’angolo dell’edificio. Si è poi svuotato sino alla quota di affioramento della falda freatica (a - m 3 ca. dalla imboccatura e quindi non completamente, poiché non si è giunti alla base della muratura), il pozzo rettangolare che si trova nell’angolo nord-ovest della zona. Da tempo individuato, precedentemente ci si era limitati a ripulirne l’imboccatura: ebbene, con la ripresa dello scavo ne è uscito un insieme di materiali databili tra II-I sec. a.C. e I sec. d.C. veramente straordinario, sia per la varietà tipologica e formale (trattasi di vasi a vernice nera, di pasta grigia, di ‘presigillate’, di coppe decorate a matrice, di lucerne, unguentari, brocche, olle, tegami, anfore, etc.) sia per la quantità, sia ancora per il fatto che il vasellame potrà in buona parte essere ricomposto. Non va tuttavia lasciato questo quartiere senza aver ricordato come, attraverso campionature, analisi (prontamente realizzate ad Ankara da K. 9. Complesso della Porta Est: materiali dal pozzo 4 Türeli) e rilievi (di M. Manara), si sia avviato anche lo studio del pavimento in lastre marmoree policrome dell’aula absidata che, in una delle fasi più recenti del ginnasio, corrispose al suo lato orientale. Va ricordato, infine, come le indagini sulle tipologie tombali iasie (da tempo intraprese da O. Henry) abbiano acquisito nuovi dati grazie allo scavo di una delle sepolture a camera della necropoli settentrionale, depredata ab antiquo. Ne avevamo iniziato la pulizia già qualche anno addietro, tralasciandone tuttavia il completo svuotamento. La singolarità della costruzione sta nell’apparente contrasto tra il ‘rozzo’ sistema di copertura (enormi lastre di scisto sommariamente lavorate) e il nitido apparato dei blocchi che, all’interno del piccolo vano, rivestono le pareti. Anche in questo come in altri casi analoghi, i materiali rinvenuti, poco rappresentativi (salvo, probabilmente, una moneta) e poco numerosi, offrono un supporto alla datazione assai incerto. iii Nei restauri, eseguiti da M. Siboni (Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia e Romagna) e da T. Pasies Oviedo, sono state ‘fissate’ al supporto murario delle pareti le irregolari sezioni di affreschi della chiesa lascaride (lato orientale della penisola) e si è consolidato e integrato il grande clipeo del tessellato pavimentale del vano orientale della ‘Casa dei Mosaici’, estendendo contestualmente ad alcuni settori dell’adiacente pastas le prove di riempimento delle lacune. Importantissimo complemento che va a integrare i molteplici lavori intrapresi (di scavo, di studio) e che sarà certamente di supporto anche al prosieguo dei restauri e al loro monitoraggio, è stata la nuova e capillare campagna di rilevamento della scavo del 2003 nella ‘Casa dei Mosaici’: il lavoro è stato condotto dai colleghi del Dipartimento di Scienze Archeologiche della Università di Cagliari, ossia da S. Angiolillo, L. Leurini, R. Carboni, E. Cruccas, M. Giuman, M.A. Ibba. Si è dato l’avvio all’analisi delle ceramiche bizantine (C. Cincotti). Supporto imprescindibile a tali attività sono stati i disegni dei materiali, realizzati da C. Cincotti, L. Ruffoni, M.A. Spolverin, e le loro riprese fotografiche, dovute, come di consueto, a D. Baldoni. 10. Chiesa lascaride: il consolidamento degli affreschi parietali ‘Casa dei Mosaici’, realizzata da S. Bertocci, M. Cannoni, M. Cornieti e M. Tiefenthaler (Dipartimento di Progettazione dell’Architettura, Università di Firenze). Alla pulitura, alla cernita e all’incollaggio di alcune forme vascolari (una cinquantina) tra quelle provenienti dallo svuotamento del pozzo e individuate come le più rappresentative è stato chiamato M. Ekinci. iii 11. ‘Casa dei Mosaici’, vano orientale: ricostruzione del tappeto musivo centrale Infine gli studi: N. Momigliano (Università di Bristol), nelle battute finali del lavoro di analisi delle fasi dell’insediamento risalenti all’età del bronzo medio e tardo, ha avuto l’ausilio di C. Knappert (Università di Exeter). È proseguito il censimento dei materiali provenienti da un gruppo di sepolture a camera di periodo tardo classico ed ellenistico (D. Baldoni), delle importazioni attiche a figure rosse (F. Berti) e delle associazioni (vasellame importato, coroplastica) presenti nel santuario di Demetra e Kore (A. Romualdi). È stato analizzato e schedato il materiale proveniente dallo 12. ‘Casa dei Mosaici’, vano orientale: il tappeto musivo centrale ricostruito Il nostro ringraziamento e la nostra gratitudine vanno a quanti, con il loro contributo finanziario, hanno consentito la realizzazione dei lavori della Missione Archeologica di Iasos, alla quale il Ministero per la Cultura e il Turismo della Repubblica di Turchia, nella persona del Direttore Generale dr. Nadir Avci, ha confermato, anche per la campagna 2004, il proprio consenso: • al Ministero per gli Affari Esteri, • al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, • all’Institute of Aegean Prehistory, Philadelphia (USA), • alla University of Bristol (UK), • ad Alvaro Orpelli della Cava S. Nicolò S.r.l., Ferrara, • al Lion’s Club di Codigoro (Ferrara), • alla FAR Film S.r.l., Codigoro (Ferrara), • alla Associazione Lombarda Archeologica (A.L.A.), Milano, • all’Associazione Iasos di Caria. 5 La campagna di ricognizione del 2004: la cinta di terraferma e l’Akarca Tepe di Raffaella Pierobon Benoit 1. Pianta della cinta di terraferma I l territorio di Iasos appare disseminato di strutture difensive, varie per forma, tecnica, e, per quanto è possibile stabilire in base ai ritrovamenti di superficie, anche per cronologia, definibile tra l’età arcaica e la tarda età ellenistica. Il fatto che tali costruzioni siano così numerose pone una serie di problemi interpretativi, di cui il principale è, evidentemente, quello della loro effettiva funzione, e più in generale, dell’esistenza 2. Cinta di terraferma: particolare della torre riutilizzata come muro della stalla di un sistema capillare di controllo del territorio, sviluppatosi e perfezionatosi nel tempo. Proprio per cercare di riconoscere la logica di questo sistema, molto spazio è stato dedicato, nelle ultime campagne, all’analisi dei cosiddetti edifici lelegi, e delle cinte fortificate, cui si sono aggiunte torri isolate (Pierobon 2003), e nel 2004, alla più importante opera difensiva conosciuta, nota come cinta di terraferma, che ha riservato una serie di interessanti novità che qui si presentano, rimandando ad altra sede la considerazione del problema generale. Molto ben conservata per lunghi tratti, la cinta è stata vista e descritta con notevole accuratezza 6 fin dalle prime esplorazioni del sito, nel ’700. Grazie alle notizie e ai documenti – disegni e fotografie – pubblicati nel tempo, e in parte riprodotti sulle pagine di questo Bollettino a cura di P. Belli, questa importante opera è rapidamente entrata nel dibattito scientifico sul mondo antico, in relazione ai temi della difesa, e più specificamente delle tecniche poliorcetiche, ma anche in rapporto al complesso problema delle relazioni tra coloni e popolazioni indigene, nel caso specifico carie e/o leleghe, suscitando opinioni assai diversificate. Uno dei primi problemi che si pongono agli studiosi riguarda il circuito stesso dalla fortificazione, che cinge la sommità dell’Akarca Tepe, ad una quota pressoché costante, all’incirca a 2/3 dell’altezza della collina. Il muro è molto ben conservato sul versante settentrionale, mentre la prosecuzione sul versante meridionale, prospiciente il mare, è stata fino ad oggi rintracciata solo in piccola parte (von Gerkan 1924, p. 115, n. 1; Tomasello in stampa). Come abbiamo potuto constatare nelle prospezioni effettuate la scorsa estate, le mura, con una lunghezza totale di 2500 m, si rintracciano, sul versante nord, solo a partire dal limite dell’espansione attuale del villaggio di Kıyıkışlacık; qui, usato come muro di una stalla, di recente costruzione, se ne può osservare il primo troncone, ben riconoscibile per la caratteristica opera muraria a grossi blocchi sbozzati, e probabilmente pertinente ad una torre; non se ne conserva la connessione al muro vero e proprio, visibile comunque a pochi metri di distanza, e conservato, in questo primo tratto, solo per pochi filari di altezza. Da questo punto, al momento ancora 3. Una delle torri prospicienti la valle del Batmaz Dere, con finestra e feritoia non interessato dall’espansione moderna, il muro è conservato, in direzione ovest, in perfetto stato, raggiungendo nel tratto più occidentale fino 3,80 m in elevato. Seguendo l’andamento della collina il tracciato forma quindi un angolo chiaramente riconoscibile, proseguendo verso nord e dopo aver superato il letto di un torrente, risale sul versante opposto, dove se ne ritrova il secondo tratto, sempre ad andamento est-ovest. È possibile che l’attuale interruzione del tracciato sia dovuta proprio alla presenza del torrente, cui si aggiunge l’uso, almeno parziale, dei grossi blocchi nei moderni muretti divisori delle proprietà, e di contenimento delle acque del torrente stesso. A 600 m circa, il muro forma un secondo, deciso angolo in direzione nord, e, seguendo il profilo della collina, piega poi, con un’ampia curva, verso sud/sud-est, fronteggiando il Mezar Boğazı. In quest’ultimo segmento il muro è a tratti parzialmente crollato, forse per una diversità della messa in opera originaria, forse per vicende di spoliazione, apparentemente non moderne. La presenza di una fitta vegetazione, unita alla mancanza di tempo, ci hanno impedito di proseguire la ricerca sul versante meridionale della collina, punto cruciale per la ricostruzione della struttura. Su questo lato indicazioni provengono, da ultimo, dallo studio di F. Tomasello, che ne ha riconosciuto un segmento, prospiciente il mare, in corrispondenza di alcuni edifici lelegi, ed ha confermato l’appartenenza alla struttura dell’angolo individuato dagli scavi sul Mancarlı Burun (Levi 1969-1970, p. 526). Il muro, a doppia cortina, è costruito con blocchi di grandi dimensioni – decisamente più grandi nella cortina esterna – , grossolanamente sbozzati, e messi in opera a secco, secondo assise che risultano irregolarmente orizzontali. Le due cortine sono unite a distanze più o meno regolari da blocchi trasversali. L’emplecton è di pietre di dimensioni ridotte, frammiste a terra. I blocchi poggiano direttamente sulla roccia, appena intagliata, secondo quanto è stato possibile osservare nei saggi di scavo effettuati nel 1960 presso la porta principale (Levi 1961-1962, p. 512). Queste caratteristiche generali si ritrovano lungo tutto il tracciato, anche se non mancano differenze, nella disposizione dei blocchi e nelle loro dimensioni, e nello spessore del muro, con distanza variabile tra le due cortine (fra 1,75 e 2 m). Ciò fa pensare che, se com’è ovvio, il progetto dovette essere unitario, l’esecuzione 4. Particolare di una feritoia, dall’interno 7 5. Cinta di terraferma: particolare della tecnica costruttiva, con le due cortine e l’emplecton 6. La cortina dall’interno, con una delle rampe di accesso al camminamento dovette essere affidata a maestranze diverse. Il muro non è continuo, ma è costituito da tronconi che si collegano l’uno all’altro con un’accentuata risega, con un tracciato definibile ‘a cremagliera’. In corrispondenza della risega si apre una porta, che risulta perpendicolare al tracciato, e quindi, in qualche sorta, protetta. Allo stato attuale è stata riconosciuta invece un’unica porta ‘frontale’, che si apre nel segmento che piega a nord, subito dopo l’angolo, evidentemente per fornire una supplementare protezione, oltre quella data dalle tre feritoie affiancate sulla cortina a sud dell’apertura, che è inoltre rientrante. All’interno la presenza di rampe che si addossano al muro lascia ipotizzare un cammino di ronda, che doveva portare l’altezza totale della costruzione a 5 m (o secondo altri studiosi 8 m). L’elemento più interessante, dal punto di vista ‘strategico’ è costituito dalle torri. A pianta semicircolare con lati rettilinei, con una sola eccezione, presentano tre accessi, rispettivamente alle estremità, a ridosso della cortina e accessibili dall’esterno, ed una, in posizione variabile – centrale o laterale – consentiva invece l’accesso interno, il tutto per il piano inferiore. Scale laterali portavano al secondo piano. Cinque finestre disposte a raggiera completavano la struttura, consentendo una completa visibilità dell’esterno. Le torri scandiscono tutto il circuito: si appoggiano alla cortina esterna, e sono poste sempre all’incirca alla metà dei segmenti di muro. Delle 18 identifi- 8 cate dai precedenti studiosi le prime 6, disposte sul primo tratto del circuito, fino alla porta, sono ancora ben visibili; a queste ne vanno aggiunte, sullo stesso tratto, altre due, non riconosciute in precedenza probabilmente perché conservate a livello delle fondazioni e almeno in parte coperte dalla vegetazione. Altre tre torri, così come rilevato nella pianta dello Judeich (e nelle versioni successive), sono lungo il successivo tratto in direzione nord, mentre sicuramente una si trova – e altre due sono ipotizzabili – sull’ampio tratto ricurvo che segna il passaggio al settore occidentale. Qui delle 7 torri identificate in precedenza se ne individuano solo 6, essendosi la nostra ricerca interrotta prima dell’angolo in direzione sud, con la 18, elementi anche questi non visibili, a causa della vegetazione praticamente impenetrabile. Il grande numero di aperture, inabituale per le fortificazioni sia di tipo greco che cario, ha una sua funzionalità dal punto di vista dei difensori: la facilità di uscita infatti rende possibili le sortite, e del resto, se è vero che un alto numero di aperture può essere, in teoria, utile anche al nemico, la loro particolare disposizione, grazie al sistematico arretramento del muro, ne facilita invece la difesa. È questa caratteristica dell’opera, unita al ruolo che le torri hanno nell’uso dell’artiglieria, in particolare le catapulte, ad aver fornito elementi utili per la datazione: questo grande circuito difensivo, infatti, sembra costituire una sorta di 7. Tratto occidentale del circuito, ben visibile l’andamento a cremagliera; sullo sfondo l’edificio 28 applicazione dei precetti di Filone di Bisanzio (79, 6), teorico e scrittore di cose militari, vissuto nel III secolo d.C., data che costituisce quindi un termine ante quem non. Meno utile, viceversa, è l’analisi della tecnica muraria, che può definirsi senza tempo, ricorrendo sia in costruzioni sicuramente più antiche, sia in costruzioni più recenti. Non sono viceversa dirimenti, a mio avviso, le convulse vicende che hanno interessato la regione, la cui storia, considerata sui tempi lunghi, vede un’ininterrotta serie di guerre, scorrerie, successioni di poteri, dalla seconda metà del V secolo a.C. alla costituzione della provincia romana, dopo il 133, con un breve momento di respiro al tempo dell’affermazione ecatomnide. Non è un caso che proprio il collegamento con un preciso evento storico ha per lungo tempo complicato l’attribuzione cronologica del manufatto, che è variata dall’età arcaica (ipotesi tuttavia rapidamente accantonata), alla fine del V secolo, alla prima età ellenistica, al II secolo. Sfortunatamente i sondaggi eseguiti nel 1960 non hanno fornito elementi dirimenti, e quelli effettuati nel 1970, con il rinvenimento di 6 tombe dalla non chiara relazione con la fortificazione, hanno contribuito a riaccendere il dibattito (Levi 1961-1962, p. 512; 1969-1970, pp. 526-527). Neppure le indagini condotte nel mese di settembre hanno fornito elementi diretti per la datazione, in quanto il materiale raccolto in superficie può indicare solo i periodi di frequentazione dell’area, ma, come si è visto, l’analisi dettagliata della struttura sembra confermare le ipotesi che ne collegano la costruzione al III secolo a.C. Le ricognizioni hanno invece dato importanti novità per quanto riguarda l’occupazione dell’area, che si è rivelata ricca di costruzioni sia all’interno che all’esterno della cinta muraria, fornendo elementi utili al riconoscimento della funzionalità della fortificazione, ugualmente oggetto fino ad ora di interpretazioni contrastanti. Ci si troverebbe di fronte ad un insediamento arcaico poi abbandonato in favore di quello insulare (Judeich, Jost) o, viceversa, si tratterebbe di un “camp retranché des Lelèges” (secondo Ch. Texier), o piuttosto vi si dovrebbe riconoscere un ‘Gelandemauer’, vale a dire di una cinta fortificata per ospitare la popolazione – rurale? – in caso di pericolo, o, più semplicemente, per una guarnigione, a difesa, o, piuttosto per il controllo militare del territorio, (Krischen, poi seguito da Guidi, Akarca, Bean e Cook, fino a McNicoll). La prima ipotesi è stata facilmente superata dal tempo, e dai risultati degli scavi, che hanno dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che il primo insediamento dei coloni greci – senza 9 8. Grande macina all’esterno dell’edificio lelego 28 9. Villaggio lelego sulla sommità dell’Akarca Tepe, all’interno della cinta di terraferma 10. Uno degli edifici quadrangolari all’interno delle mura; sullo sfondo la porta vista dall’interno voler risalire all’età del Bronzo – era sull’isola, senza contare che le ragioni tecniche di ‘arcaicità’ del muro non sono più accettabili né accettate. Anche la seconda, che si è fondata sull’erroneo presupposto dell’assenza di abitati all’interno della cinta, va oggi rivista, confermando quanto già suggerito da D. Levi (1969-1970, p. 526) e ignorato da studiosi successivi che continuano a parlare di aree deserte (McNicoll 1997; Pimouguet-Pedarros 2000). Le ricerche effettuate sui due versanti della collina, e in particolare quanto si è rilevato nell’ultima campagna, fanno piazza pulita, una volta per tutte, di questa immagine negativa. L’ Akarca Tepe, infatti, appare essere stata abbastanza densamente abitata, e su lunghi periodi. Ad una fase più antica di occupazione sembrano doversi attribuire, anche in assenza di materiali datanti, le numerose capanne di tipo lelego, ritrovate in più punti della collina, sia all’interno che all’esterno della cinta; l’anteriorità di queste costruzioni, almeno in un caso, è assicurata dal fatto che uno degli edifici è stato tagliato dal muro, che vi si sovrappone, e la parte rimasta esterna sembra essere stata utilizzata come torre. Non è ancora possibile riconoscere una precisa logica nella disposizione spaziale di queste costruzioni, e di eventuali relazioni reciproche, mentre è possibile riconoscerne la destinazione d’uso. Per lo più gli edifici sono isolati, e si distribuiscono lungo il pendio, con due ec- 10 cezioni: un gruppo di quattro edifici occupa la vasta area pianeggiante alla sommità dell’Akarca Tepe; qui, lo scavo eseguito nel 1960 (Levi 1961-1962, pp. 514-516), ha messo in vista la pianta di uno degli edifici, tipicamente ovale, con ingresso sul lato lungo, e una scala a chiocciola per un secondo piano (edificio 28). La capanna si addossa ad un basso muretto che delimita un ampio spazio, probabilmente destinato ad accogliere il bestiame, secondo lo schema tipico dei “compound Anlage”; a breve distanza un più piccolo ambiente, quadrangolare, forse destinato a deposito, cui si addossa una grande pressa per olio, elemento che fornisce la prova definitiva della destinazione del complesso, evidentemente legato ad attività produttive. Molto meno conservate, altre due capanne, a poca distanza, sembrano ripetere comunque lo stesso schema, che si può riconoscere anche nella quarta costruzione, molto meglio conservata, ma il cui stato di crollo non consente più precise osservazioni. Un’immagine e un uso apparentemente diverso forniscono invece le costruzioni, sempre di tipo lelego – cioè sempre caratterizzate dalla muratura pseudo poligonale -, ma a pianta absidata, e di dimensioni decisamente minori, che si distribuiscono sul versante opposto, a mezza costa, con ottima visibilità sul mare. Se ne sono individuate 6, collocate su strette terrazze rinforzate da muri di terrazzamento, che sembrano costituire un vero e proprio sistema: in questo caso ne sembra indubbia, almeno come destinazione principale, quella difensiva: è possibile che tale sistema sia stato messo in opera prima della costruzione della cinta, che le avrebbe successivamente utilizzate. Elementi relativi alla successiva frequentazione della collina, sempre anteriormente alla costruzione della cinta, vengono da un’altra serie di abitati, individuati al margine della zona di attuale urbanizzazione, all’estremità orientale della collina, ancora una volta sui due versanti. Sul versante meridionale, in vista del mare, è stato possibile localizzare topograficamente, l’abitato segnalato da D. Levi (19611962, p. 513) corrispondente verosimilmente al sito 1.02): accanto ad una serie di accumuli di pietre, probabili crolli di abitazioni monocellulari, è ben conservata una cisterna, grosso modo quadrangolare e con gli angoli smussati, elemento tipico già per l’età ellenistica, mentre più antiche potrebbero essere le tombe a cista scavate nella roccia, ricavate ugualmente nei pressi. In questo caso abbiamo solo un’indicazione generica di frequentazione, mancando elementi precisi di riferimento alla cinta, il cui tracciato, almeno ipoteticamente, sembrerebbe tuttavia dover passare a monte di queste costruzioni. Ben altra rilevanza ha un altro insediamento, a sua volta connesso ad una necropoli, individuato quasi al sommo della collina, ma sicuramente rivolto al mare. Nell’ampia area pianeggiante a sud, nell’area definita Geçilmez Orman, si è individuato un insediamento di notevole estensione (sito 7.04, forse da identificare con l’altro agglomerato messo in vista con un breve intervento di scavo: Levi 1961-1962, p. 513) costituito da piccole abitazioni, di cui si conservano nella maggioranza dei casi solo le fondazioni, che consentono di riconoscerne tuttavia la pianta, rettangolare o ovale, in generale monovano, e la tecnica muraria abituale, di blocchi grossolanamente sbozzati, messi in opera a secco. La copertura doveva essere a spioventi, a giudicare dall’alto numero di tegole rinvenute. In grande quantità è presente anche ceramica, che copre un ampio arco cronologico, almeno dal IV secolo a.C., fino al I-II d.C. Si tratta in gran parte di ceramica comune e di anfore, ma non è assente la ceramica fine, come dimostrano i frammenti di un piede di cratere attico. Che si tratti di un vero e proprio abitato sembra confermato infine dalla presenza di almeno due cisterne. Verosimilmente collegate a questo abitato sono alcune tombe identificate sullo stesso pianoro, e il più consistente nucleo di tombe a camera conservate all’esterno della fortificazione, in corrispondenza del primo tratto di mura. Tombe, isolate o a piccoli gruppi si trovano, sempre all’esterno, anche in corrispondenza del tratto centrale della cinta. Anche qui, la parte centrale dell’area è stata occupata da abitazioni, attribuibili, sulla base della ceramica raccolta, ad un arco cronologico che va dall’età ellenistica alla prima età imperiale romana. Le costruzioni sono prevalentemente vicine ai tipi lelegi, a pianta ovale. A differenza di quanto osservato a sud, dove le costruzioni sono abbastanza ravvicinate, in questa seconda zona appaiono invece piuttosto isolate le une dalle altre. Anche in questo caso il materiale raccolto in superficie – si segnala in particolare un grosso contrappeso da frantoio – testimoniano dell’uso agricolo degli impianti individuati. Nel complesso, quindi, l’area sembra essere stata abitata per scopi ‘civili’ sia prima che dopo la co- 11 11. Frammenti del cratere attico rinvenuto nell’edificio 7b 12. Tomba a camera, all’esterno della cinta struzione delle mura. Resta da chiarire se, con la costruzione della fortificazione, gli abitanti siano stati, sia pure temporaneamente, ‘espulsi’, o se abbiano conservato case e attività, in condizioni di maggior sicurezza. La presenza di abitanti all’interno della fortificazione, accanto a più o meno numerose guarnigioni, escluderebbe definitivamente l’ipotesi dell’incompletezza del circuito avanzata in passato e giustificherebbe la grandezza della superficie protetta, che pure ha posto molti problemi di interpretazione: la topografia della collina, con le sue due cime, avrebbe infatti consentito una costruzione difensiva di dimensioni ridotte, ugualmente efficace per il controllo dei passaggi, e più facilmente difendibile da un ristretto contingente militare. Resta da chiedersi chi fossero gli abitanti di queste terre, e per quali motivi si sia resa necessaria una difesa ‘parallela’ a quella urbana. Il problema, come aveva notato, sia pure con conclusioni diverse, C. Franco, investe il problema del rapporto città/territorio, confermando l’importanza di quest’ultimo per la sopravvivenza della città. BIBLIOGRAFIA & Akarca 1954 = A. e T. Akarca, Milas, Istanbul 1954. & Bean, Cook 1957 = G.E. Bean, J.M. Cook, The Carian Coast. III, BSA, 52, 1957, pp. 100-106. & Franco 1994 = C. Franco, Le mura di Iasos. Riflessioni tra archeologia e storia, REA, 96, 1994, pp. 173-184. & Garlan 1974 = Y. Garlan, Recherches de poliorcétique grecque, Paris 1974. & Von Gerkan 1924 = A. Von Gerkan, Griechische Städteanlagen, Berlin 1924. & Judeich 1890 = W. Judeich, Iasos, AM, 1890, p. 137 ss. & Jost 1935 = G. Jost, Iasos in Karien, ein antikes Stadtbild, Hamburg 1935. & Lawrence 1979 = A.W. Lawrence, Greek Aims in Fortifications, Oxford 1979. & Levi 1963 = D. Levi, Le due prime campagne di scavi a Iasos (1960-61), ASAtene, n.s. 23-24 (1961-62), 1963, pp. 505-571. & Levi 1972 = D. Levi, Iasos. Le campagne di scavo 1969-70, ASAtene, n.s. 31-32 (1969-1970), 1972, pp. 461532. & McNicoll 1997 = A.W. McNicoll, Hellenistic Fortifications from the Aegean to the Euphrates, Oxford 1997 (rev. by N.P. Milner). & Ober 1992 = J. Ober, Towards a Typology of Greek Artillery Towers: the First and Second Generations, (c. 375275 B.C.), in Fortificationes Antiquae, Ottawa Conference 1983 (S. van De Maele et J.M. Fossey edd.), Amsterdam 1992. & Pimouguet-Pedarros 2000 = I. Pimouguet-Pedarros, Archéologie de la défense. Histoire des fortifications antiques de Carie. Époques classique et hellénistique, Luxeuil-les Bains 2000. & Radt 1977-1978 = W. Radt, Ein “lelegischer” Großbau bei Iasos, IstMitt, 27-28, 1977-1978, pp. 127-130. & Winter 1971a = F.E. Winter, Greek Fortifications, Toronto 1971. & Winter 1971b = F.E. Winter, The Indented Trace in Later Greek Fortifications, AJA, 75, 1971, pp. 413-426. & Tomasello in stampa = F. Tomasello, ...Il giovane Anacharsis transitò da Iasos...,Appunti di una vecchia ricognizione del territorio, in Leggere un territorio: la Caria attraverso le recenti indagini archeologiche, Atti del Convegno Internazionale (Napoli, 23-25 ottobre 2003), PP, LI, 1-2, 2005 in stampa. 12 Le cisterne di Iasos: alcune considerazioni di Francesco Bosso N ella campagna di scavo 2003 è stata avviata l’analisi delle strutture per l’utilizzo dell’acqua presenti nella penisola di Iasos, sulla base di una bibliografia che ne analizza puntualmente diversi singoli aspetti. Oltre agli annuali resoconti di scavo, che includono descrizioni di alcuni dei suddetti manufatti, sono pubblicati: un attento studio dell’acquedotto romano della città (Tomasello 1991) e due fontane iasie inserite da Dorl-Klingenschmid nel suo recente catalogo (Dorl-Klingenschmid 2001); nella Archeologia dell’acqua TölleKastenbein analizza bacini e canaline posti fuori dalla Porta est (Tölle-Kastenbein 1990). Un punto di osservazione a più vasta scala ha potuto sottolineare una notevole varietà non solo tipologica di queste strutture. Si tratta, infatti, di manufatti realizzati per l’uso di qualità differenti di acque, a partire da un capillare sistema di smaltimento delle ‘acque nere’; a questo si aggiunga la continuità di frequentazione della penisola, dalla quale deriva un’organizzazione del sistema idrico variabile nel tempo. Ad esempio, l’intenso sfruttamento 1. Cisterna interna al castello dell’acropoli (CAc1) dell’acqua piovana, in età anche cronologicamente distanti, è testimoniato dalla presenza in più punti del sito di numerose cisterne: attualmente, tra le diverse tipologie esistenti, è infatti possibile riconoscerne ventuno. 2. Cisterna CBE1, di età tarda, con resti di copertura a botte L’uso sistematico di questa risorsa idrica diviene esigenza necessaria per la morfologia della penisola di Iasos e sottintende che essa fosse considerata a tutti gli effetti potabile. L’antico empirismo in materia è sottolineato dall’opinione discordante che emerge dalla vasta letteratura che le fonti presentano in merito: l’interpretazione stessa del ciclo idrologico naturale ha un contorto travaglio, che si segue a fatica percorrendo il pensiero dei classici. Due autori quali Plinio il Vecchio e Vitruvio, tra gli altri, descrivendo i diversi tipi di acqua, ci lasciano pareri differenti su quella piovana, il cui uso è fortemente sconsigliato da Plinio (Naturalis historia XXXI, 31), mentre Vitruvio (De architectura VIII, 2,1) ne elogia le qualità. Quelli sono anni ormai in cui coscienza e conoscenza tecniche più evolute rendono possibile la presenza nella maggioranza 13 3. Vista dall’alto della cisterna CV4, formata dall’unione di più camere 4. Cisterna CTG1: particolare degli strati d’intonaco delle città dell’impero romano di una rete idrica cittadina allacciata agli acquedotti, per cui l’esigenza della costruzione di cisterne è soprattutto dovuta a una diversa gestione delle acque pubbliche e private. La più elevata coscienza fa però in modo che siano previsti dei sistemi di depurazione e pulizia, per un’acqua che in cisterna risulta comunque stagnante: accorgimenti suggeriti dalle fonti stesse e che ritroviamo utilizzati in diversi manufatti di Iasos. Ma nella città caria è però, come detto, la morfologia del territorio a dettare nel corso del tempo le necessità di sfruttamento delle acque. Sin dalle sue prime fasi di vita è possibile pensare a una chiara concentrazione delle cisterne nella parte alta della città e in quella della punta a sud, zone in cui risulta particolarmente difficile ricavare acqua dai pozzi e in cui, pur dopo la costruzione dell’acquedotto, le condutture a esso legate non arrivano, anche per la scarsa portata del nuovo impianto (Tomasello 1991). Con ogni probabilità, gli sporadici casi di cisterne per acqua piovana presenti nella zona pianeggiante a nord della città fanno riferimento, per 5. Cisterna CTG1: vista da est 14 riscontro tipologico con la grande cisterna posta al centro della fortezza sull’acropoli (CAc4*), a un periodo più tardo in cui si hanno necessità pratiche diverse. I numerosi pozzi presenti nella zona sono, infatti, chiusi da tempo e l’acquedotto ha già perso ogni sua funzionalità. Si tratta di due piccole costruzioni di forma rettangolare (CPE1: 4.9x3.6 metri dimensioni interne; CBE1: 2.74x2.94 metri dimensioni interne. Fig. 2), realizzate in corsi successivi di blocchetti di scisto e originariamente chiuse con una volta a botte, posizionate rispettivamente: CPE1 a ovest dell’edificio triabsidato presso la porta est e CBE1 immediatamente a sud dell’area d’ingresso alla così detta basilica presso la porta est (insieme a Cac4, si tratta degli unici casi sicuramente voltati a botte). Nelle parti alte e a sud della città la cisterna per l’acqua piovana rimane quindi a lungo l’unico sistema di approvvigionamento idrico. Si tratta per lo più, anche nel corso del tempo, di strutture medio-piccole singolarmente riferibili a un’abitazione (si veda il clamoroso esempio, per continuità d’uso, legato alle parti sotterranee della ‘Casa dei Mosaici’) o a nuclei residenziali, con un posizionamento che sembra seguire i diversi livelli di isoipse e suggerire, a uno studio più approfondito, la struttura e lo sviluppo urbano del sito. Tendenzialmente, anche in età romana, potremmo con ogni probabilità parlare di un uso privato dell’acqua. Solo una di queste cisterne, infatti, ha dimensioni e composizione tali da far pensare a strutture pubbliche di raccolta: si tratta di un edificio attualmente ancora non scavato (CV4. Fig. 3) e posizionato a nord della ‘Casa dei 6. Cisterna CAc5: affioramento delle lastre Mosaici’ su di uno sperone roccioso rivolto a est. Esso è costituito da un insieme di cinque camere, tre di queste risultano a muratura completamente chiusa, ed esiste una fistula di terracotta per il collegamento (diametro interno 11.5 cm) tra due di questi vani. Il collegamento tra i due ambienti richiama i sug- gerimenti costruttivi di Plinio e Vitruvio, i quali, per una maggiore salubrità, indicano entrambi di costruire cisterne doppie o triple, per il decantare delle acque nel passaggio dall’una all’altra (Plinio, Naturalis historia XXXVI, 52; Vitruvio, De architectura VIII, 6, 14). Le tre camere hanno forma rettangolare, con i lati più lunghi di circa 4.5 metri e un’altezza attualmente conservata di 2.8 metri. Anche per il fatto di non essere ancora scavato l’edificio non consente ipotesi per la sua copertura e per il suo sistema di raccolta, ma fa comunque pensare a un sistema pubblico in virtù della presenza sul lato sud, fronte est, dei resti di una conduttura (diametro interno 8 cm) in terracotta per una possibile distribuzione esterna. Altre strutture paragonabili a questa per modalità costruttive fanno riferimento al quartiere a sud del teatro, dove esistono al- meno altre due cisterne a camera multipla, una delle quali risulta essere sotterranea a una corte interna di abitazione. Sono queste tutte cisterne che hanno ormai assunto una forma di pianta rettangolare ben regolarizzata, che si protrarrà negli esempi più tardi di età bizantina presenti nell’acropoli e nella basilica dell’acropoli. Quella visibile esternamente è sita sulla terrazza superiore al quartiere scavato, con un lato di muratura che appoggia direttamente alla roccia. Si tratta di due camere tra loro ortogonali e chiuse, una delle quali è divisa in due parti con la creazione di una vasca di decantazione, collegata tramite fistula (diametro interno 8 cm). Le limitate dimensioni della struttura (non più di quattro metri quadrati, l’unico ambiente completamente misurabile in pianta) fanno pensare un uso esclusivamente privato di quest’acqua, relativo probabilmente a una singola abitazione costruita allo stesso livello. La pianta rettangolare impone due tipi di soluzioni per la sigillatura degli angoli, usate entrambe anche in epoche diverse. L’una prevede una smussatura che rende curvo l’angolo, l’altra la creazione di un controspigolo sporgente a novanta gradi all’interno dell’angolo. Il trattamento finale delle pareti è in spessi strati d’intonaco con un rilevante uso di cocciopesto. 7. Cisterna CTG2: particolare del foro per l’ingresso dell’acqua 8. Cisterna CTG2: vista interna 15 9. Cisterna CTG2: vista frontale da est La continuità d’uso di queste strutture è poi testimoniata dal sovrapporsi di successivi strati d’intonaco, tecnica rintracciabile anche nelle cisterne più antiche presenti nella parte alta della città (fig. 1). A est e a nord dell’acropoli è presente, infatti, una serie di cisterne di forma irregolare con gli angoli fortemente smussati e scavate in parte nella roccia. Si tratta di tre strutture, due delle quali scavate negli anni ’60 (CTG1. Figg. 4-5, CTG2. Figg. 7-9) a est dell’acropoli e una non ancora scavata, posta a nord dell’acropoli e a ovest del teatro (CAc5. Fig. 6). Esse sono chiuse superiormente con lastre in pietra piane (larghezza costante di circa 140 cm), tra le quali è ricavata un’apertura circolare che ne favorisce l’ingresso dell’acqua piovana o diretto o per scorrimento sulle lastre di pietra (CTG2. Fig. 7). Sono cisterne delimitate verso valle da corsi di pietra locale con uso di malta: la loro datazione risulta incerta, tranne che per una di esse (CTG2), inserita nel terrazzamento a est dell’acropoli e databile al IV sec. a.C. (Levi 1967). L’acqua di questa cisterna riforniva le abitazioni delle terrazze inferiori mediante una conduttura ritrovata ancora in situ, a m 1,70 dal soffitto (fig. 9). * Le sigle fanno riferimento a una catalogazione alfanumerica con cui sono state individuate le strutture per la gestione delle acque della città di Iasos. La prima lettera, C, indica il termine ‘Cisterna’, mentre le successive individuano l’area della città in cui la struttura è situata: T= Quartiere a Sud del Teatro, V= Villa dei Mosaici, Ag= Agora, Ac= Acropoli, P= Propileo Sud, S= Punta Sud, PE= Porta Est, AA= Santuario di Artemis Astias, ZM= Santuario di Zeus Megistos; BE= Basilica Est, CL= Chiesa Lascaride, TG= Terrazza Acropoli e Cinta Geometrica. BIBLIOGRAFIA & Berti, Desantis 2003 = F. Berti, P. Desantis, Indagini subacquee a Iasos di Caria (Turchia), in A. Benini, M. Giacobelli (edd.), Atti del II Convegno Nazionale di Archeologia Subacquea (Castiglioncello, 7-9 settembre 2001), Bari 2003, pp. 21-34. & Dorl-Klingenschmid 2001 = C. Dorl-Klingenschmid, Prunkbrunnen in Kleinasiatischen Städten, München 2001. & Levi 1967 = D. Levi, Le campagne 1962-1964 a Iasos, ASAtene, n.s. 27-28 (1965-1966), 1967, cc. 406-408. & Levi 1969 = D. Levi, Gli scavi di Iasos, ASAtene, 45-46, n.s. 29-30 (1967-1968), 1969, cc. 557-559. & Levi 1970 = D. Levi, Le campagne di scavo 1969-1970, ASAtene, 47-48, n.s. 31-32 (1969-1970), 1970, c. 474. & Tölle-Kastenbein 1990 = R. Tölle-Kastenbein, Archeologia dell’acqua, Milano 1990. & Tomasello 1991 = F. Tomasello, L’acquedotto romano e la necropoli presso l’istmo, Roma1991. 16 Tombes hellénistiques à Iasos (suite) par Olivier Henry 1. Tombe T01 ‘Orologio’: seuil E n 2000 nous avions procédé à une reconnaissance des structures funéraires situées dans la zone nord-est du site, autour de l’‘Orologio’1. Ces tombes sont connues depuis longtemps, sans toutefois qu’une identification et/ou une chronologie précises aient pu être établies2. Un premier sondage avait alors été mené dans une structure laissant apparaître un angle de mur inséré dans un espace aménagé entre deux ressauts de la roche mère. Le tout était couvert d’un couple de très grandes dalles grossièrement taillées. Le sondage, pratiqué au pied du mur, n’avait malheureusement livré qu’un matériel très pauvre, difficilement identifiable. Cette année il a donc été décidé de vider entièrement la structure. Deux jours ont été nécessaires afin de nettoyer la chambre funéraire du remblai d’abandon/destruction qui l’avait aux trois quarts comblée. Cette opération a permis de mettre au jour les contours très nets de la chambre funéraire et de procéder à son analyse. La tombe est aménagée dans une cavité creusée dans la roche naturelle affleurante au sol. Il est possible qu’il s’agisse de l’élargissement d’une formation naturelle. En effet, la légère pente marquée par les dalles de sol dans la chambre semble indiquer un tassement du sous-sol qui ne doit pouvoir s’expliquer que par la présence d’un remblai rapporté. Il est donc possible que la cavité originelle ait été plus profonde que celle dans laquelle s’est installée la structure funéraire. Le caractère friable des roches formant les parois latérales de cette vaine, en masquant les éventuelles traces d’outils, empêche de déterminer si elles ont été retaillées. La tombe est entièrement construite et ses murs latéraux et du fond viennent habiller et masquer le rocher naturel. La chambre est de plan rectangulaire, elle mesure 2,70 m sur 1,87 m et 1,62 m de hauteur maximale. Ses murs sont composés de quatre assises très régulières de 40-41 cm de haut. Ils 17 2. Tombe T01 ‘Orologio’: plan et coupes 3. Tombe T01 ‘Orologio’: vue générale 4. Tombe T01 ‘Orologio’: chambre 5. Tombe T01 ‘Orologio’: seuil sont fondés sur de grandes dalles schisteuses posées en travers de la cavité. Les blocs des murs ont été taillés dans un calcaire très compact jaune de bonne qualité. Bien que l’on ne remarque pas de polissage des faces antérieures il est clair qu’un soin particulier a été porté à l’assemblage des élévations qui montre un très beau système de joints alternés. Les blocs ne sont pas liés entre eux, cependant des nodules d’un mortier grossier ont été mis au jour lors du nettoyage de la structure entre les élévations de la chambre et le rocher naturel. Il est possible que cette technique ait été utilisée pour renforcer la construction en améliorant l’adhérence du parement au rocher. Le plafond de la chambre était assuré par une dalle de dimensions très imposante, aujourd’hui scindée en deux parties. Elles mesurent plus de 50 cm d’épaisseur et couvrent largement tout l’espace définit par la chambre en surplombant très largement la façade de la structure. Cet aménagement semble indiquer que la tombe devait être visible depuis l’extérieur et non remblayée. Enfin il faut souligner l’importance de la mise en œuvre lors de la conception de cette structure. En effet, une dalle semblable doit largement peser plus de 10 tonnes3. L’entrée de la tombe, bien que largement démontée, montre encore très clairement de nombreuses traces du système de fermeture. Le seuil est très bien conservé. Il est taillé dans un matériau analogue aux parements. C’est le seul élément qui porte des vestiges de scellement à travers deux cavités rectangulaires, de 8 cm de côté et 4 cm de profondeur, placées de part et d’autre de l’ouverture. Ces cavités disposent chacune d’un canal d’écoulement permettant d’y fondre le plomb scellant les tenons métalliques, dont la partie supérieure devaient s’insérer dans une mortaise creusée dans le lit de pose des montants de la porte. D’autre part, entre les mortaises on note la présence de marques de levier ayant servi à la mise en place des piédroits. Ceux-ci doivent avoir représenté une masse importante et donc probablement taillés dans une seule pièce pour qu’un tel système ait été utilisé. Enfin, l’espacement de ces marques qui devaient être masquées après la pose des blocs, nous permet d’estimer une largeur de l’ouverture à environ 52 cm. Une dernière cavité, circulaire, de 3 cm de diamètre et de 0,5 cm de profondeur, a été creusée dans la partie centrale du seuil, entre les deux mortaises des piédroits. Cette cavité semblerait, à priori, correspondre au système de verrouillage d’une porte pivotante à deux vantaux. Cependant, il est clair que les mortaises correspondent, par la 18 présence des canaux d’écoulement et des traces de leviers, au scellement d’un bloc taillé plutôt qu’à une crapaudine. De plus, la largeur de l’ouverture semble bien faible pour que l’on y installe une double porte. Enfin, l’absence de butée sur le seuil ne cesse d’étonner si l’on décide d’y placer un tel système de fermeture. En l’absence d’une autre interprétation possible, il nous faut nous résoudre à envisager cette cavité circulaire comme étant la base d’un support renforçant une partie haute de la structure (linteau ?). Bien qu’une stratigraphie nette n’ait pu être mise en évidence, nous avons considéré trois niveaux généraux dans les remblais: le premier correspond à la couche de surface, le second au corps principal du remblai, le dernier au contact du sol de la chambre. Le matériel céramique, en cours d’étude, n’a pas montré d’élément particulièrement significatif, si ce n’est un fragment de céramique à vernis noir et une monnaie (en cours de restauration) dans le premier niveau de surface. Ainsi, même si une datation sûre ne peut être établie, la présence des nodules de mortier dans les niveaux inférieurs du remblai et dans l’espace séparant le parement des murs internes de la paroi rocheuse nous incitent à proposer une période de construction de la structure autour de la fin de la période hellénistique4. Cette chronologie apporterait un éclairage nouveau sur les nombreuses interprétations proposées par les anciens voyageurs pour lesquels ce type de constructions utilisant des éléments structurels massifs ne pouvaient, semble-t-il, que provenir d’un passé très ancien, et relever d’une culture Lélège5. D’autre part, la localisation de cette structure, relativement éloignée du centre urbain de Iasos, nous permet de reconsidérer l’emprise des nécropoles urbaines de la ville, jusqu’ici limitées aux abords immédiats du mur d’enceinte6, et une extension sérieuse de ces implantations vers l’est. Sur cette structure, voir Masturzo 1998. Une première opération avait été menée par Berti 1994. 3 La densité du calcaire varie de 2,6 à 2,7. 4 Les efforts développés pour la mise en œuvre de cette tombe s’accordent mal avec la pleine période romaine durant laquelle on aura préféré, pour un même coût de construction, un monument plus ostentatoire. 5 Voir par exemple Texier, Pullan 1849, p. 140. 6 Voir Levi 1964, ou encore Tomasello 1991. 1 2 BIBLIOGRAPHIE &Berti 1994 = F. Berti, Iasos 1993, 16. Kazı Sonuçları Toplantısı (Ankara 1994), Ankara 1995, pp. 338-339. &Levi 1964 = D. Levi, Le oreficerie di Iasos, BdA, IV, 49, 1964, pp. 199-217. &Masturzo 1998 = N. Masturzo, Il restauro della tomba monumentale chiamata ‘Torre dell’Orologio’, Bollettino dell’Associazione Iasos di Caria, 4, 1998, pp. 8-10. &Texier, Pullan 1849 = Ch.Texier, P. Pullan, Description de l’Asie Mineure, vol. III, Paris: Firmin-Didot frères, 1849. &Tomasello 1991 = F. Tomasello, L’acquedotto romano e la necropoli presso l’istmo, Roma 1991. 19 6. Tombe T01 ‘Orologio’: angle nordest Graffito cario su piede di coppa attica di Fede Berti e Lucia Innocente 1. Iasos: ‘Area di Artemis Astias’ I 2. Piede di coppa attica a vernice nera l frammento di coppa attica a vernice nera inv. 7402 è stato ritrovato nel 1971 nella cosiddetta ‘Area di Artemis Astias’, nello scavo della “Trincea a nord di π, portico est”, a una profondità compresa tra m -0,30 e m -0,75. È conservato per un’altezza di cm 2; il diametro ricostruito del piede è di cm 5. Le lettere graffite sono di cm 0,4/0,5. Il frammento comprende un tratto di piede e di parete; il piede è ad anello e ha parte poggiante e fondo risparmiati. Al centro di quest’ultimo è riconoscibile un cerchiello a vernice nera. Il frammento appartiene a una ‘stemless cup’, una tazza che, creata nella seconda metà del V sec. a.C. e in voga sino al primo quarto del IV, ebbe nell’ultimo quarto del V secolo il periodo di maggiore diffusione. Privo com’è di un importante connotato quale è il labbro, esso non può trovare confronti tra il materiale dell’agora di Atene. Tuttavia, per il peculiare raccordo piede-vasca si veda B.A. Sparkes, L. Talcott, The Athenian Agora, XII, Black and Plain Pottery of the 6th, 5th and 4th Centuries BC, Princeton-New Jersey 1970, p. 98 ss.: di datazione troppo alta i nn. 469, 470 e 472, tav. 22; con profilo diverso, di maggiore dimensione e parete più spessa il n. 474 (‘plain rim’, tra il 460 e il 450, tav. 22, fig. 5); con stampiglie e con parte interna al piede diversamente decorata il n. 481 (tav. 22, del 425 a.C.: ma qui il raccordo ha un’altra articolazione). Si dovrà infine osservare che se gli anni successivi al 440 a.C. parrebbero inadeguati a costituire una nicchia cronologica corretta in quanto sul pezzo non compaiono quelle stampigliature divenute da allora in poi usuali, è proprio la restante ceramica attica a vernice nera trovata in associazione con il frammento a far sì che si possa far risalire la sua presenza a Iasos al periodo compreso tra lo scorcio del V secolo a.C. e gli inizi del secolo successivo. Sulla base della datazione suggerita dall’archeologia, la coppetta viene pertanto ad aggiungersi a quei reperti vascolari iasei iscritti più ‘recenti’ – come lo skyphos a vernice nera (inv. 6422) e un’altra coppa attica a vernice nera (inv. 2545) – i quali hanno come limite inferiore il V secolo a.C. Sul piede del reperto si distingue nitidamente un graffito di tre segni, ascrivibili all’alfabeto cario: la scritta parrebbe costituita da queste tre sole lettere, dato che sembrano distanziate regolarmente, anche rispetto alle estremità. 3 20 2 1 Pare condotta in senso sinistrorso, dal centro del basamento verso il bordo, come indica l’orientamento del terzo segno, e va letta assumendo come base la parte integra del vaso, in quanto, in caso contrario, il primo segno risulterebbe palesemente rovescio. È in qualche modo significativo che esso, nei 6 esempi finora attestati, compaia ben 3 volte ad inizio certo di parola dopo segno separatore. Peraltro il secondo segno, per la brevità dell’asta centrale, non potrebbe, in posizione rovesciata, essere letto come segno a freccia (40 Masson). La funzione del graffito non è ricavabile, tuttavia una relativa cura nella definizione delle lettere parrebbe suggerire un tracciato anche se estemporaneo, abbastanza sorvegliato. Il primo segno è il più interessante e singolare. Abbastanza nitido nella sua definizione grafica, va 3. Piede di coppa attica a vernice nera con segni graffiti con ogni probabilità identificato col segno 41 della numerazione Masson, in quanto non sembra si debba attribuire valore grafico, per evidente difformità di tratto, al lieve segno superficiale che si intravede a congiungimento delle due aste parallele. Ad ogni buon conto, una iscrizione su pietra, la prima in cario recentissimamente venuta alla luce a Mylasa, attesta per ben 8 volte proprio il , che peraltro è da ritenere una variante dello stesso. segno Per quanto attiene al valore fonetico dei tre segni, il 41 è ritenuto da Adiego come un fonema vicino ad /u/ e viene trascritto convenzionalmente con <ü>; si propende a considerarlo come variante del segno 5 <ù>. Al secondo segno (22 Masson), che in cario ha una frequenza abbastanza alta, è stato ora attribuito il valore di /n/, mentre un tempo rispondeva al valore di /k/; l’ultimo grafema, nella trascrizione Adiego, è considerato un allografo della sibilante reso con š. I tre segni di per sé non risultano comparire altrove nella medesima sequenza. Tuttavia, se si condera la ü come variante epicorica di ù, la sequenza ünš della coppetta di Iasos verrebbe a corrispondere ad -ùns, in cui si è voluto riconoscere un suffisso –ùn – per cui cfr. luvio wani(i) – formante etnici e attestato nella forma kbdùnš (acc. pl., essendo kbdùn = ‘caunio’) nella ‘nuova’ bilingue di Cauno. C’è peraltro da tenere in considerazione il fatto che, trattandosi secondo questa ipotesi di un morfema, non si vede dove potesse essere, nel reperto in questione, posizionata la imprescindibile base onomastica. La particolarità della scritta iasea consiste comunque nell’attestare, sia pure su un reperto asportabile, la presenza di un segno di per sé raro, che viene così a confermarsi tipico e finora esclusivo delle varietà epicoriche occidentali dell’alfabeto cario – Sinuri, Kildara, e appunto ora anche Iasos e, nell’allografo indicato, Mylasa – , rimanendone estranea l’attestazione a Cauno. BIBLIOGRAFIA &I.-J. Adiego Lajara, La neuva bilingüe greco-caria de Cauno y el desciframiento del cario, AulaOr, 16, 1998, pp. 5-26. &F. Berti, L. Innocente, Due nuovi graffiti in alfabeto cario da Iasos, in Colloquium Caricum. Akten der Internationalen Tagung über die karisch-griechische Bilingue von Kaunos (31.10-1.11.1997 in Feusisberg bei Zurich), Berlin - New-York 1998, pp. 137- 142. &W. Blümel, A. Kızıl, Eine neue Karische Inschrift aus der Region von Mylasa, Kadmos, 43, 2004, 131-138. &L. Deroy, Les inscriptions cariennes de Carie, AntCl, 24, 1955, pp. 305-335. &O. Masson, Carian Inscriptions from North Saqqâra and Buhen, London 1978. 21 Les étrangers à Iasos au debout de l’époque hellénistique par Fabrice Delrieux 1. Iasos: plaque en marble avec inscription funéraire (D. Levi, G. Pugliese Carratelli, Nuove iscrizioni di Iasos, in ASAtene, 23-24, 1963) E n 1997, a été réalisée par nos soins une étude des étrangers présents à Iasos au IIe s. a.C. (Delrieux 2001, p. 137-155). Il nous avait été alors possible de suivre, sur près d’un siècle, des mouvements de populations aux amplitudes très irrégulières, la cité ayant été particulièrement visitée vers le milieu de la période. L’abondance du matériel consulté à cette occasion nous avait amené à réfléchir sur la présence des étrangers à Iasos à d’autres époques. Ainsi avons-nous pu remonter à une loi iasienne de la fin du Ve s. a.C. nommant les parts auxquelles le prêtre de Zeus Mégistos avait droit dans les offrandes faites au dieu par les citoyens, les étrangers (de passage?) et les métèques (IK 28, 220). Si les informations deviennent plus précises au début du siècle suivant, ce n’est qu’à la fin du IVe s. a.C., voire au début du IIIe, que le nombre des étrangers mentionnés dans les inscriptions d’Iasos est suffisamment important pour que l’on puisse envisager une étude d’une certaine ampleur. Celle dont nous présentons les grandes lignes dans le Bollettino a été réalisée d’après 37 inscriptions dont le choix a reposé sur toute une série de paramètres que nous avons pris le parti de ne pas exposer ici (publication à venir). 22 Le tableau qui suit dresse l’inventaire de ces étrangers du début de l’époque hellénistique en donnant successivement, quand ils sont connus, leur lieu d’origine (par ordre alphabétique des cités ou des régions), puis leur nom, enfin les références aux inscriptions auxquelles ils appartiennent. Tous les textes sélectionnés, quand ils sont suffisamment bien conservés, ont notamment pour point commun d’être des décrets honorifiques votés le plus souvent pour des raisons dont le détail nous échappent aujourd’hui, à l’exception de cinq, voire six cas. Le premier renvoie à Eupolémos fils de Pôtalos (IK 28, 32), Macédonien qui, dans les années 315-313 a.C., fut très probablement stratège et épimélète du roi Cassandre en Carie et en Lycie (Descat 1998, p. 167-190). Dans les deux cas suivants, Aristodémos et un inconnu (IK 28, 33 et 34) sont honorés comme soldats ayant eu la charge de défendre le territoire iasien contre un ennemi indéterminé (sur Aristodémos, cf. par exemple Robert 1936, p. 75-76). Dans le quatrième cas (IK 28, 43), les Iasiens expriment leur reconnaissance à Hermophantos de Call... pour avoir sauvé “nombre de citoyens des plus grands dangers” sans qu’on nous dise malheureusement de quelle nature ils étaient. Dans le cinquième Lieux d’origine A... (Macédoine) Athènes Athènes Call... Callipolis Caunos Gomphoi Halicarnasse Halicarnasse Hydisos Macédoine Méliboia Milet Rhodes Rhaucos Théangéla Zacynthos ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? Noms ? Aristonicos fils de Théopropos Glaucos fils de Théopropos Hermophantos fils de Nouménios ? Hestiaios fils de Boiscos ? fils de Mélanops Antiochos fils de Bricôn Ménodôros fils d’Iatroclès Théophilos fils d’Iatragoras Eupolémos fils de Pôtalos Theuclès fils de Thersias Antipatros fils de Léôn Athénagoras fils de Téléias Théodôros fils de Sôtadès Ményllos fils de Nossos Xénoclès fils de ? Aristodémos fils de ? Callias fils de ? Diodôros fils d’Héracleidès Héliodôros fils d’Héracleidès Mélésias fils de Strombichos Théodôros fils d’Hégyllos ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? ? Références IK 28, 60, l. 7-8 IK 28, 42, l. 4 IK 28, 42, l. 3-4 IK 28, 43, l. 1 IK 28, 59, l. 8-9 IK 28, 45, l. 5 IK 28, 57, l. 4-5 IK 28, 37, l. 5 IK 28, 48, l. 4-5 IK 28, 56, l. 6-7 IK 28, 32, l. 5 IK 28, 54, l. 4-5 et 8 IK 28, 39, l. 6 IK 28, 40, l. 4-3 IK 28, 53, l. 5 IK 28, 50, l. 4 IK 28, 27, l. 4-5 IK 28, 33, l. 4 IK 28, 46, l. 2 IK 28, 41, l. 5 IK 28, 41, l. 5 IK 28, 47, l. 3 IK 28, 52, l. 5 IK 28, 31 IK 28, 34 IK 28, 38 IK 28, 44 IK 28, 49 IK 28, 55 IK 28, 61 IK 28, 62 IK 28, 63 IK 28, 64 IK 28, 65 IK 28, 67 IK 28, 68 IK 28, 69 IK 28, 70 IK 28, 71 23 2. Iasos: petite stèle en marble (D. Levi, G. Pugliese Carratelli, Nuove iscrizioni di Iasos, ASAtene, 23-24, 1963) cas (IK 28, 54), Theuclès de Méliboia fait l’objet d’un décret voté en son honneur pour avoir notamment pris soin des Iasiens se rendant dans sa cité. Enfin, dans le sixième cas (IK 28, 70), l’étranger cette fois encensé, d’après les quelques indices que le texte le mentionnant a conservés de lui, devait être, selon J. et L. Robert (1971, p. 622), “un grand personnage, quelque fonctionnaire royal ”. Partout ailleurs, les inscriptions dont on peut encore lire les considérants nous apprennent, sans plus de précision, combien les étrangers à l’honneur furent bons, voire empressés, envers la cité et ses habitants. Plus variées en revanche sont les récompenses qu’on leur a accordées. Objets de la reconnaissance des Iasiens, les étrangers concernés reçoivent le plus souvent, en même temps que leurs descendants en général, la citoyenneté (avec inscription dans une tribu et une “patrie” [pour phratrie] d’après IK 28, 47, l. 4), le titre de proxène (ainsi dans IK 28, 45, l. 7-8), une place d’honneur lors des concours organisés par la cité, à savoir les Dionysies (comme le précise IK 28, 43, l. 9-10), ainsi que “le droit de débarquer et d’embarquer, en temps de paix à l’abri des saisies comme en temps de guerre en dehors des conventions” (ainsi dans IK 28, 37, l. 10-1; traduction d’après Gauthier 1972, p. 221, et Gauthier 1985, p. 163). Leur sont également destinés l’atélie simple ou dont la cité est maîtresse (comme dans IK 28, 42, l. 7, et 61, l. 5), signe de la dépendance des Iasiens au moment où ils ont pris ce genre de décision, le titre de bienfaiteur et l’éloge public (ainsi dans IK 28, 56, l. 9 et 10). De manière cette fois exceptionnelle, on peut également accorder à l’étranger méritant une couronne d’or (IK 28, 43, l. 4, pour services apparemment extraordinaires), le droit de se présenter le premier devant le conseil et le peuple immédiatement après les affaires sacrées (IK 28, 44, l. 1), celui de posséder une terre et une maison (IK 28, 61, l. 2-3), ou encore peut-être celui d’exercer une prêtrise, en l’occurrence celle de Zeus Idrieus et [Héra Ada ?] (d’après les restitutions proposées dans IK 28, 52, l. 7-8). Entre autres enseignements, ces honneurs montrent que beaucoup des étrangers les ayant reçus ne résidaient sans doute pas à Iasos, contrairement à ce que l’on peut lire dans les inscriptions du IIe s. a.C. Tel est ce à quoi nous invite le titre de proxène conféré à au moins 19 reprises. Dans les textes iasiens de la fin du IVe/début IIIe s. a.C., ce titre va presque toujours de pair avec l’octroi de la citoyenneté, ce qui en soi n’est pas surprenant. En effet, comme l’a souligné Cl. Vial (1972, p. 196), “à l’époque hellénistique, on confère souvent la proxénie et la citoyenneté en même temps: tant que le personnage reste dans sa cité d’origine, il est proxène et le droit de cité qui lui a été donné n’est que virtuel; s’il se fixe dans la cité qui l’a honoré, il devient réellement citoyen après avoir fait les démarches administratives nécessaires, tout en conservant ses honneurs de proxène”. Dans le même ordre d’idées, un décret d’Iasos stipule que l’étranger mis ici à l’honneur doit recevoir le droit de cité et celui de posséder des biens fonciers et immobiliers, comme si la jouissance de l’un n’impliquait pas automatiquement celle de l’autre (IK 28, 61, l. 3). Dans un second texte, il est cette fois indiqué que le bénéficiaire, fait également citoyen, doit être enregistré dans une tribu et une patrie/phratrie, comme si, encore, cela n’allait pas de soi (IK 28, 47, l. 4). En fait, ces précisions pourraient être rapprochées de mesures semblables votées ailleurs pour des militaires et signifieraient une intégration dans le corps civique “effective et immédiate” plutôt que virtuelle (Gauthier 1985, p. 203-204). Détail concordant, les étrangers mentionnés dans les inscriptions n° 47 et 61 ne reçoivent pas le titre de proxène, signe qu’ils ne résident probablement plus dans leur cité d’origine. Quoi qu’il en soit, si l’on examine les lieux d’origine des étrangers honorés par les Iasiens, le tableau et la carte complétant cette étude montrent qu’ils correspondent d’abord à des cités installées dans la région d’Iasos : Caunos (1 ressortissant), Halicarnasse (2), Hydisos (1), 24 Milet (1), Rhodes (1) et Théangéla (1). Une telle proximité géographique, que l’on perçoit aussi dans la mention d’Iasiens hors de leurs patrie (1 à Didymes [Didyma II, 483] et peut-être 1 à Samos [Habicht 1957, p. 194, 26]), s’inscrit parfaitement dans la continuité de ce que l’on peut déjà constater dans la première moitié du IVe siècle. En effet, quelques décrets de cette époque, votés également en l’honneur d’étrangers, nous apprennent que ces derniers (quand le lieu d’origine peut être identifié) viennent tous de cités cariennes: Chalcétor (1 ressortissant [Pugliese Carratelli 1985, p. 153.a]), Cnide (1 [ibid., p. 153.c]), Eurômos (1 [ibid., p. 153.b]) et sans doute Mylasa (3 [ibid. p. 155, et Pugliese Carratelli 1987, p. 290.a]; sur un site au nom aujourd’hui perdu, cf. IK 28, 66). La nouveauté à la fin du siècle tient à ce qu’une partie significative des étrangers mentionnés à Iasos vient également de régions embrassant désormais tout le bassin égéen, voire davantage. Ainsi rencontre-t-on des gens de cités sises dans les détroits (Callipolis: 1 ressortissant), en Crête (Rhaucos: 1), en Macédoine (sites inconnus: 2) et surtout en Grèce d’Europe (Athènes [2], Gomphoi [1], Méliboia [1] et Zacynthos [1]). Un tel élargissement peut aussi se mesurer à travers les mentions contemporaines d’Iasiens hors de la Carie: 1 à Délos (IG XI, 4, 529), 3 au Pirée (IG II, 3, 3036) et un nombre indéterminé à Méliboia (IK 28, 54). Si tous ces témoignages sont bien datés, cette ouverture au monde, préfigurant celle, plus large encore, du IIe s. a.C., se situe à un moment troublé de l’histoire d’Iasos. En effet, après le calme apparent des années passées sous le règne d’Alexandre le Grand, la cité vécut d’abord sous la domination du satrape Asandros (Diodore, XIX, 75, 1) avant d’être conquise en 313 par Antigone le Borgne qui y plaça une garnison (ibid., XIX, 75, 5). Celle-ci tint la ville jusqu’en 309, date de l’arrivée des troupes de Ptolémée d’Égypte qui semble encore contrôler le pays vers 300 (IK 28, 2 et 3). Comme on peut le constater, ces tensions, certes parfois violentes, ne furent qu’épisodiques et, de fait, ne sauraient avoir pénalisé durablement les liens d’Iasos avec l’étranger. BIBLIOGRAPHIE � Delrieux 2001 = F. Delrieux, Les étrangers dans l’épigraphie iasienne du IIe siècle a.C., in A. Bresson, R. Descat, Les cités d’Asie Mineure occidentale au IIe siècle a.C., Collection “Études”, 8, Bordeaux 2001, p. 137-155. � Descat 1998 = R. Descat, La carrière d’Eupolémos, stratège macédonien en Asie Mineure, REA, 100, 1998, n° 1-2, pp. 167-186. � Didyma II = A. Rehm, Didyma. II. Die Inschriften, Berlin 1958. � Gauthier 1972 = Ph. Gauthier, Symbola. Les étrangers et la justice dans les cités grecques, Annales de l’Est, 42, Nancy 1972. � Gauthier 1985 = Ph. Gauthier, Les cités grecques et leurs bienfaiteurs (IVe-Ier siècle avant J.-C.). Contribution à l’histoire des institutions, BCH, suppl. XII, 1985. � Habicht 1957 = Chr. Habicht, Samische Volksbeschlüsse des hellenistischen Zeit, AM, 72, 1957, p. 152-274. � IG XI, 4 = P. Roussel, Inscriptiones Graecae, XI.4: Inscriptiones Deli liberae, Berlin 1914. � IG II, 3 = J. Kirchner, Inscriptiones Graecae, II.3: Inscriptiones Atticae Euclidis anno posteriores, fasc. 2, Berlin 1940. � IK 28 = W. Blümel, Inschriften griechischer Städte aus Kleinasien, 28: Die Inschriften von Iasos, Bonn 1985 � Pugliese Carratelli 1985 = G. Pugliese Carratelli, Cari in Iasos, RendLinc, 40, 1985, p. 149155. � Pugliese Carratelli 1987 = G. Pugliese Carratelli, Ancora su Iasos e i Cari, RendLinc, 42, 1987, p. 289-292. � Robert 1936 = L. Robert, Collection Frœhner, I: inscriptions grecques, Paris 1936. � Robert 1971 = J. et L. Robert, Bulletin épigraphique, REG, 84, 1971, p. 397-540. � Vial 1972 = Cl. Vial, Lexique d’antiquités grecques, Paris 1972. 25 Ancient Carians and Their Language: an Unsolved Mistery by Abuzer Kızıl* 1. Coin with shield D 2. According to the Greek sources, the Carians are the natives of mainland and they migrated to the Aegean islands uring the antique age, the Carians lived in the Southwestern corner of Anatolia. They lived in the region enclosed by the river Maiandros (Büyük Menderes) on the north, by Babadağ, Honozdağ, and Bozdağ mountains on the east, by Dalaman creek on the south, and by the Aegean sea on the west. This area was called the Carian region1. To be sure, we still don’t know how the ‘Carians’ called themselves in their own language or literature2. Ancient Greek sources considered the Carians, together with the Leleges and the Pelasgians, as one of the oldest nations of Anatolia3 (fig. 2). According to Herodotus, the Carians came to mainland from the Aegean islands4 (fig. 3). On the other hand, Herodotus says that the Carians rejected this origin, claiming that they were indigenous of the mainland5. Carians did not pay tribute to king Minos, they only used to send sailors when he needed. Due to the fame of the mythical king of Crete, Minos, Carians were considered as the most famous and crowded nation. Homer, in his well-known epic, states the following for Carians: “Nastes led the rude talking Carians. They lived in Miletus, on Phtiron mountain which has plenty of leaves and on the coasts of Maiandros, and the skirts of the high-peaked Mycale.” Homer, in these lines, claims that the Carians were a nation with an Asian origin, living near Miletus and Mycale mountains of Western Anatolia (fig. 4). They fought in Troy as the allies of king Priamus6. This idea is supported by Herodotus who said that in the cities of Miletus, Myus and Priene people used a common language, possibly Carian7. Strabo of Amasia, following Homer8, states that the Leleges and the Carians were different nations, but, because of their wars abroad, they spread and lost their ethnic identity9 (fig. 5). Here are some of Starbo’s statements about the Carians: “The Carians lived under the rule of king Minos. They were called at that time Leleges and they lived in the islands. 26 3. According to Herodotus, the Carians came to mainland from the Aegean islands Afterwards, they migrated to the mainland and invaded the most parts of the coast and of the inland, taking it away from its previous lords, who were for the most part Leleges and Pelasgians. In turn the Greeks took some parts of their land, I mean Ionians and Dorians. As evidence of their enthusiasm in military activities, some authors adduce shield-handles, shield-emblems and crests, being all these called “Carians”. Anacreon says: “Come and put your arm through the shield-handle, work of the Carians”. And Alcaeus also says: “shaking the Carian crest” ,,10. In the Carian region, especially in Mylasa, a marble block with the relief of a tufted helmet (fig. 6) and shield, like coins with figures of tufted helmet and shield (fig. 1, 7-8), proofs that idea. Thucydides indicates that Carians were islanders who lived on piracy and they were exiled to the mainland by king Minos. He tries to proof this idea, claiming that nearly half of the weapons gathered from tombs and the burial system was typical of the Carians. He claims that this stuff was discovered by Athenian people in Delos, during the purification of the island11. However, this idea was challenged by other archeological discoveries12. Both the ‘ss’ and ‘nd’ suffix, which are to be found in the geographical names of Delos and among personal names in Cretan myths of Anatolian origin witness that Aegean islanders came originally from Anatolia13. As can be seen, in antique sources the opinions expressed 27 4. According to Homer, the Carians lived near Miletus and Mycale mountains of Western Anatolia 5. According to Strabo, Carians migrated to Greece and disappeared by spreading into mainland 6. Cylindrical marble block with the relief of a tufted helmet (Milas Museum. Inv. nr. 2350) about the historical location of Carians are somewhere inconsistent. It is known where they had generally lived, but the considered area is somewhat large. In the second millennium B.C. they probably used to live both in the mainland and the islands14. Historically they had predominant relations with the Greece, Aegean islands, Persia, and Egypt. Ancient Greek tradition defined Carians mostly as sailors and soldiers15. In addition to these sources, Egyptian and eastern sources give us further information about the existence of Carians. They were listed as ‘krs’ and ‘grs’ on the frescos of Esna and Kom Ombos temples of Egypt16. Also, it known that they served as mercenaries in the city of Memphis17. They are also mentioned in old Persian sources. Darius the Great states that Carians and Ionians came to Susa city from Babylon: Ionians were called as Yauna while the Carians were called as Carka. Furthermore, Ionian and Carian soldiers were depicted on the frescos of king tombs18. The words ‘karg’ in Persian, ‘kark’ in Pehlevi Persian, ‘kahrkatas’ (with the the suffix ‘t’), and ‘krka vakav’ in old Indian mean ‘cock’. Likewise, Plutarch states that Persians called the Carians ‘cocks’, because of the tufted war helmets which they wore19. Instead of ‘karka’ word in Persian, in Akad version we find the form ‘kurba-an-ni-e-su’ (=Bannesu Land). This land was probably the coastal city of the Persian Gulf, Shatt el Arab, where some exiled Carians lived. It is claimed that Carians came to this city from the Kressa harbor20. In addition to Persian and Akadian sources, Aramean sources, too, mention Carian language and people21. Among the peoples mentioned in II. Samuel and II. Kings book of the Old Testament there are perhaps the Carians. The names ‘keretis’ and ‘karis’ have been associated with them22. According to linguists, in Hittite cuneiform texts dating to the second millennium B.C., the words in Uru Karkiya, ‘Karkiya city’, and (Kur)uru Karkisa, ‘Karkisa land’, and ‘Karkisa city people’ were used for naming a region and a people23. Karkiya and Karkisa names could be associated with and may indicate the Carian region in Western Anatolia24. Historically, subjects regarding Karkisa city goes back to I. Suppiluliuma (1380-1345, B.C.) period25. According to the texts belonging to this epoch, Karkisa city and people were western allies of Hittites26. According to the sources, in 1285 a.C., in the Kadesh battle between Hittites and Egyptians in North Syria, Carians were allied with Hittites27. When considered from another point of 28 view, with this information and possibilities, interesting historical conclusions can be drown from this evidence. One of the conclusions is that the Carians were, like the Lycians and the Lydians, a Western Anatolian nation originated from Bronze Age. Another postulation is that they fought against the Egyptians in Kadesh as allies of the Hittites; then, as mentioned in western sources, they fought in several battles in Troy, North Africa, Palestine and Mesopotamia. However, from the linguistic point of view, the origins of their language and alphabet are still unclear. Some dark points will be possibly cleared by linguists with further research. 7. Coin with tufted helmet Carian language, sources and centers found The nature of Carian language was discussed even in antiquity28. As sources related to this problem we have some literary statements, inscriptions, graffiti, and coins29. Some words of alleged Carian origin, as ‘stone’, ‘tomb’, ‘king’, ‘horse’, ‘victoria’ did not develop our knowledge of this language30. The editors of the bilingual Greek-Carian inscription, recently found in Kaunos, P. Frei and C. Marek, could fix the phonetic value of some 10 signs31. According to these discoveries, it was concluded that Carian was an indo-european language32. A new age in the study of Carian language is beginning33. A new inscription, in ten lines, which was recently found by the author in Kırcağız village of Milas (fig. 9), is hoped to help in the interpretation of Carian34. Until now, over 250 Carian inscriptions have been found. It is interesting that most of these inscriptions were found outside Anatolia. Some regions where Carian scripts were found are as follows: 8. Coin with shield (Milas Museum. Inv. nr. 320) • Africa: Abu Simbel, Abousir, Abydos, Gebel Seyh Süleyman, Memphis-Sahara, Silsilis, Thebes (Egypt); Buhen (Sudan), Murwaw (Ethiopia). • Anatolia: in Carian region (fig. 10): Euromos, Tralles, Khalketor35, Hyllarima, Kaunos, Kildara, Kindya, Sinuri, Stratonikeia, Didyma, Halikarnassos36, Iasos37, Keramos38, Labraunda39, Kırcağız. Out of Caria region: Belevi40, Sardes41, Smyrna42, Telmessos43. • Greece: bilingual inscription of Athens44. • Islands: graffiti of Kos45. • Persia: inscription of Persian (on a bronze bowl) 46. 9. Carian inscription found in Kırcağız (Milas) 29 10. Centers in Caria where Carian scripts were found * Asst. Prof. Dr. Abuzer Kızıl MuğlaÜni. Milas Sitki Koçman Vocational School 48200 Milas – Muğla Turkey. E-Mail: [email protected] Keywords: Caria, Carian language, Western Anatolia Akarca, Akarca 1954, p. 53; Ramsay 1961; Akurgal 1987; Bean 1987, 11; Tırpan 1987, 1; Kızıl 1999, p. 5; Kızıl 2002, p. 3; Tekoğlu 1999, p. 227. 2 Tekoğlu, 1999, p. 228 and for same reference see footnote 3. 3 Akarca, Akarca 1954, p. 54; Kızıl, 1999, p. 5; Kızıl 2002, p. 3. 4 Herodotus I, 171. 5 Herodotus I, 171. 6 Homer, Ilias, II, 867-870. 7 Herodotus I, 142. 8 Homer, Ilias, X, 428. 9 Strabo XIII, I, 58-59. 10 Strabo XIV, II, 27. 11 Thucydides III, 104. 12 Bean 1987, p. 9. 13 Herodotus I, 64; Mansel 1984, p. 20. 14 Mellink 1991, p. 663. 15 Tekoğlu 1999, p. 228. 16 Edel, Mayrhofer 1971, p. 9-10. 17 Masson 1975, p. 412. 18 Tekoğlu 1999, p. 228. 19 Tekoğlu 1999, p. 229. 20 Herzfeld 1968, p. 8-9, 310; Tekoğlu 1999, p. 229. 21 Masson 1975, p. 410; Dupont-Sommer 1979, p. 140-142; Tekoğlu 1999, p. 229. 22 Tekoğlu 1999, p. 230. 1 30 Tekoğlu 1999, p. 230. Tekoğlu 1999, p. 230. 25 Friedrich 1932, p. 1-4. 26 Tekoğlu 1999, p. 231. 27 Tekoğlu 1999, p. 232. 28 Homer, Ilias, II, 867; Strabo XIV, II, 28. 29 Tekoğlu 1999, p. 233. 30 Tekoğlu 1999, p. 233. 31 Frei, Marek 1997, p. 1-89. 32 Tekoğlu 1999, p. 233. 33 Tekoğlu1999, p. 244-245; Öğün, Işık 2001, p. 1819. 34 Blümel, Kızıl 2004. 35 Neumann 1969, p. 152-157; Blümel 1988, p. 261-264. 36 Meier-Brügger 1978, p. 109-115. 37 Berti, Innocente 1998; Innocente 2002; Innocente 2004. 38 Varinlioğlu 1986, p. 11-12. 39 Meier-Brügger 1983; Hellström 1987, footnotes 37- 41. 40 Dressler 1966-1967, p. 73-76. 41 Hanfmann, Masson 1967, p. 123-134. 42 Jeffery 1964, p. 42. 43 Meier-Brügger 1981, p. 76-78. 44 Masson 1977, p. 87-94. 45 Metzger 1973, p. 74-77. 46 Tekoğlu 1999, p. 237. 23 24 BIBLIOGRAPHY & Akarca, Akarca 1954 = A. Akarca, T. Akarca, Milas, Coğrafyası, Tarihi ve Arkeolojisi, İstanbul 1954. & Akurgal 1987 = E. Akurgal, Anadolu Ugarlıkları, İstanbul 1987. & Bean 1987 = G.E. 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It started again after 10th c. A.D., when the whole area was affected by conflicts between the Byzantines and the Seljuks; it is in this period that Laodicea-Ladık begins to be heard of again, but in an ambivalent manner. The transfer of the town to the nearby Denizli, a few kilometres away, which took place towards the mid 13th century, is an established fact; there remains the problem of whether this was a new foundation of the Seljuk Turks or whether the settlement may be attributed (as some have supposed) to the local population. In any case, the impression one has of the complex from written sources is that already in the 11th century there was no longer an inhabited area with the features of a town where the ancient town had stood (even if one cannot exclude different forms of occupation of these same areas). It is clear, therefore, how archaeological exploration may be decisive for an understanding of the changes the ancient town underwent towards the Middle Ages. Archaeological research at Laodicea of Phrygia 2. Plan of Laodicea with the main classical monuments and postantique investigated areas Laodicea and its ruins were the goal of many travellers in the 18th and 19th century (Sperti 2001), as it is witnessed by many views that depicts nomadic people settled among what is left of the stadium or the theatre, which may be found in books Antiquities of Ionia (Revet et al. 1797) and Voyage de la Syrie et de l’Asie Mineure (Laborde 1838). The first true archaeological study on Laodicea dates back to the Canadian excavation in 1961-1963 (published in Des Gagniers 1969). The Canadian team studied mainly the nymphaeum, a fountain of Classical Age re-used in Post-Antique Age. After this first archaeological approach a second mission followed in 1992, lead by a Turkish team from the Museum of Denizli. They continued working on the same area and also excavated the main colonnaded street (Yıldız 1994). From 1995 until 2001 the Ca’ Foscari University of Venice carried out a long 32 3. The post-antique village (Ottoman?) located in the stadium term mission of topographical and archaeological survey, now published (Traversari 2001). The aims of this mission where to create a new topographical map of the town and a new analysis and interpretation of the main monuments of the ancient town, drawing new plans of them. The result is a new, complete map of Laodicea made through the use of a total station and complete with altitude levels and correct topographical coordinates. Finally, in 2002 another Turkish team lead by the Denizli Museum and the Pamukkale University carried on with the excavation of the colonnaded street. As yet, this work is still unpublished (website only in Turkish language: www.pau.edu.tr/laodikeia/). Post antique Laodicea The archaeological activities just mentioned were involving mainly on the Classical Age of Laodicea. In 1999 a new project started (Gelichi, Negrelli 2001; Gelichi, Negrelli 2002; Gelichi, Negrelli in print). A small team of the Ca’ Foscari University took an interest in the study of the Post-Antique phases of the town. The aims of the mission were the reconstruction of the topographical evolution of Post-Antique settlement and of the social and cultural transformation of the area after the Classical Age (fig. 2). The strategy employed was based on an extensive archaeological survey along the following lines: • an extensive survey and analysis of the city wall and of its path around the town; • a more focused analysis of the Late-Antique and Byzantine monuments, with particular attention paid to churches and ecclesiastical complexes by intensive and selective survey; • the construction of a series of building techniques; • the attempt to build a series on Late-Antique, Byzantine and Post-Byzantine ceramics and objects. Strategy This strategy of study gave rise to some problems, first of all visibility. The monuments of the town are not well preserved, in particular churches and ecclesiastical complexes often survive only in ruins 4. Selected pottery form the survey: 1-6. Late antique and Byzantine; 7-10. Post-antique (Sgraffito Ware, Slip painted and Iznik Ware) 33 5. Ecclesiastical complex (n. 35) of scarce entity. Many monuments were robbed already in the Late Antique and Early Byzantine Period (for example the structure of Period II of the ecclesiastical complex 35), whereas others, which probably collapsed because of one of many earthquakes, were re-used in the Post-Byzantine age. The nearby Caravansaray of Saray was built with many stones that were probably taken from Laodicea (and possibly Colossae, which is not so distant from the town). They were also used to build the castle of Denizli, named by written sources already in the 13th century and probably other Muslim monuments in the town. The villages near Laodicea probably also re-used many building materials from the ancient town. The archaeological visibility is also influenced by the agricultural use of the land and by the season. We basically found three different situations: the uncultivated soil, with spontaneous vegetation that covers the archaeological remains, the burning to fertilize the area, which gives us a reasonably good visibility and lastly, a light ploughing, usually very restricted in extension, which brings to the surface some archaeological finds that can be spotted by a survey. Another big problem in the study of pottery and other finds is that notions and comparisons about them in the area are quite scarce and not well defined for the Post-Antique, Byzantine and Post-Byzantine periods. Post-antique Laodicea: from a town to villages. A first reconstruction of the archaeological sequence. It was probably during the 5th century that the town walls were built. This chronology is based upon the analogies with those of nearby Hierapolis, but an earlier chronology (late 3rd - 4th centuries) is not impossible. An important episcopal church is mentioned only by written sources, but its archaeological remains are not yet identified with certainty. During the 5th-6th century many new churches and ecclesiastical complexes are built and distributed in the town. At least five have been indicated, in various degrees of preservation. One of these (complex 35) (fig. 5) was explored more closely in 1999 and it was possible to define a structured sequence of alterations, recorded through the changes of construction techniques, but at present they are not precisely dated due to the impossibility of excavations. The city wall was restored and around some of the churches other defence walls were built. This is the first sign of clustered settlements inside the town. In the 7th century some churches were still in use, with evident signs of restoration and enlargement of the surrounding area. Other structures start to appear, showing new techniques that for the first time include the use of bricks. They might have had a defensive function but this cannot be determined precisely at the moment. A structured sequence of building transformations has been identified in the area of the Canadian excavations. A reinterpretation of the stratigraphic reports of the constructions brought to light and a detailed analysis of the constructions techniques has been, in this case, fundamental for 34 the clue to a prolonged settlement period of a non-ecclesiastical nature, testifying to a certain economic vitality of the site until at least the 6-7th century A.D. From surface exploration a considerable quantity of pottery from this period has emerged (from the production of tableware to vessels for transport, of both local and imported manufacture) (fig. 4, n. 1-6); these indications also appear to support the idea that the town was still sufficiently active until the 7th century. Between the 8th and the 11th century there is apparently no archaeological evidence. We have only a single fragment of ceramic that can be dated to the late 7th or 8th century and was discovered by the Canadian excavation (Kahil 1969), but this is a very uncertain piece of evidence. We have not found any glazed monochrome ware (White Glazed Ware) like the found in the early Byzantine contexts of Hierapolis (Arthur 1997). Furthermore, other kinds of pottery discovered in Hierapolis for the same period have not been found in Laodicea (such as Micaceous White Painted Ware of the Byzantine Period (Cottica 1998), while we have found only White Painted Ware probably connected with the Ottoman Age). We have found no evidence of restoration in ancient monuments. The settlement patterns of this town do not seem, in any case, to differ from those found or hypothesized in many other ancient sites of Anatolia (Foss 1976; Foss 1977; Foss 1979). Although it is true that until now little attention has been paid to the Post-Classical phases of these sites (thus undoubtedly limiting our ability of interpretation), it seems quite clear that, with few exceptions, in most of the ancient towns processes of reorganization and splitting up settlements tended to increase. A process of this kind may be identified in archaeological terms by the nucleated characteristic (and some cases the fortification) of the settlement (Ward Perkins 1996), as has also been shown by a series of quite recent investigations in nearby cities (e.g. Hierapolis: ex inf. Arthur). It is evident that the archaeological survey, both extensive and intensive, is not an effective way to know the evolution of the town and the settlement for these ‘Dark Ages’. After the 10th century we have much more evidences of a new kind of settlement in the town and the connections with the written sources are not so clear enough to define the characteristics of the settlement. This area was a frontier during the war between Byzantines and Muslims; some Byzantine sources of the 12th century describe new Laodicean fortifications in that period, but at the moment we have no archaeological information about them. Later on, nomadic populations probably moved into the town and started building little scattered villages, characterized by square houses, or tents, built with big blocks of limestone and a fireplace on one side. They often exploited the ancient monuments to find shelter and as places selected to establish their villages. We have examples in the stadium (fig. 3 and 6), along the walls of the thermae-gymnasium complex and along part of the city walls, generally in the southern sector of the town. In close associations with these very distinct structures we constantly found pottery of a completely different kind from what can be found in the other parts of the town. We have very little green-glazed, monochrome sgraffito pottery and coarse ware of the 12th-14th century. Moreover, many fragments of Late Seljuk and Ottoman pottery were discovered (as Miletus Ware, Kutaya Ware, Iznik Ware and local slip painted ware) (fig. 4, n. 7-10). The lack of proper comparisons for these materials, and the fact that the research has been done only through a survey and not with an excavation, prevents us from giving a precise chronological definition of these villages, which can be generally assigned to the Late Byzantine, Seljuk or Ottoman Age. However, it is interesting to see that this kind of settlement, with exactly 35 6. Stadium: house or tent (Ottoman village?) the same shape for the houses, is found still nowadays among nomadic populations (Cribb 1993). Unfortunately, also in this case, the data of the survey alone, although indicative, do not enable us to define some essential aspects of the sequence, either in chronological terms or in terms of functional reconstruction of the occupations. Unpublished paper presented to the 25th International Excavation, Survey and Archaeological Symposium (Ankara, may 2003). * Prof. Sauro Gelichi Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente Ca’ Foscari University of Venice BIBLIOGRAPHY & Arthur 1997 = P. Arthur, Un gruppo di ceramiche alto medievale da Hierapolis (Pamukkale, Denizli), Turchia occidentale, AMediev, 24, 1997, p. 531-540. & Bejor 2001 = G. Bejor, Per una ricerca di Laodicea ellenistica, in Traversari (ed.) 2001, p. 15-23. & Cottica 1998 = D. Cottica, Ceramiche bizantine dipinte e unguentari tardoantichi dalla “Casa dei Capitelli Ionici” a Hierapolis, RdA, 22, 1998, p. 81-90. & Cribb 1993 = R. Cribb, Nomads in Archaeology, Cambridge 1993. & Foss 1976 = C. Foss, Byzantine and Turkish Sardis, Cambridge 1993. & Foss 1977 = C. Foss, Archaeology and the “Twenty Cities” of Byzantine Asia, AJA, 81, 1977, p. 469-486. & Foss 1979 = C. 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London: Printed for Ro: Allot, 1632, 309 pp. (Biblioteca Nazionale Marciana : Rari Tursi 15) I began my Iourney through France, hard upon the time when that execrable murther was committed upon the person of Henry the fourth [...]. At Venice I will begin my Iuornal. (p.1). [...] we departed from Costantinople in the Trinity of London: a ship of better defense than sail (p.87) [...]. (pp. 88-92) [...] ispatched at lenght, not without some gifts and much sufferance, we hoysed [n.d.r.: <hoys> variante di <hoist>]; sayls: and the night ensuing were tossed to and fro, on the west of Mitylen. The next day we laboured to get in betweene Chios and the Continent, but failed. When sailing on the other side of the Iland, the wind came about whereof we tooke the benefit for Alexandria. Hard by, and on the left hand, left we Samos, now Samo, in which it was said that Iuno was borne, under a white willow, close by the river Imbrasius: & for that she was there brought up whilest yet a Virgin, it was called Parthenia. Allegorically she is taken for the element of the aire: & fained [n.d.r.: <faine>, qui e in seguito, variante di<feign>] for that cause to have bene borne in Samos; for that the aire is here so pure and so excellent. Samos doth [n.d.r.:arc. per<does>] also challenge one of the Sibyls, whose name was Pytho, and Heriphile: and flourished in the dayes of Numa Pompilius, of Christ thus prophecying: The God thou foolish Iuda knewft not: knowne Not unto earthly minds: but crowned hast His browes with thornes and give him gall to taste. Tu enim stulta Iudaea Deum tuum non cognovisti Ludentem mortalium mentibus Sed spinis coronasti, horridumque fel miscuisti. 37 But in nothing more famious then in the birth of Pithagoras: From heaven though far remov’d he with his mind Drew neere the Gads [n.d.r.: dial.per <Gods>] what natures power denies To humane sights, he saw with his soules eyes. — isque licet coeli regione remotus. Mente deos adiit. & quae natura negabat Visibus humanis oculis, a pectori hausit. Ovid. Met. l. 1,5. The first that brought Philosophy into Greece, and from thence into Italy. This Iland is not above a quarter of a mile distant from the Continent of Asia. Fruitfull in all things but vines: which is the rather to be noted, in that the countries round about produce such store, and so excellent. At the South end stood the Citie of Samia, with a goodly harbour adioyng: now (as the rest) by reason of the Pirats that infest their Seas, almost altogether desolate. Of the earth thereof were those vessels made of such great esteem: soveraigne also for divers uses both in physicke, and surgery. The Northwest of the Ile is high land, environed with unaccessable cliffers, full of tall wood within, and most commodious for building of ships. On the right hand, and neere, lyeth Niceria, heretofore Icaria, taking that name, as doth the adiacent Sea, as the Poets faine, from the fall of Icarus. When crying, Helpe, ô father! his exclame The blue Seas stopt; which tooke from him their name. Oraque caerulea patrium clamantia nomen Excipiuntur aqua: quae nomen traxit ab illo. Ovid. Met. l. 8. And in this Iland, he Cursing his arts, interr’d the corps, that gave The land a name which had given a grave; Devovitque suas artes, corpusque sepulchro condicit, & tellus a nomine dicta sepulti etc. Ibid. called Pergamum before. Who were said to flie in regard of their sails, by Daedalus than first invented, to out-strip the pursuite of Minos; when Icarus in another vessel, by bearing too great a sail, suffered ship-wracke hereabout. It is now rarely inhabited, yet abounding with good pastorage: corne it also produceth plentifully. It hath no haven, but divers roades, sufficiently commodious. Betweene these two Ilands lie those sharpe rocks, in times past called Melanthii and now the Fornoli. Well knowne, and in the night much feared by marriners. South of these we sailed by Palmosa, formerly Patmos. A little Iland consisting onely of three or foure rockie mountaines. On one of them stands a towne; and on the very top thereof a Monastery of Greek Coloieros, having large exhibition from sundry places of Christädome. Men ignorant in letters, studious for their bellies, and ignominiously lazie: unlesse some few that give themselves to 38 navigation, and become indifferent good Pilots. About Ile there are variety of excellent harbours, and not so few as fortie saile of ships belonging to the towne, by the trading whereof they bring in that sustenance which the soile affordeth not; being so barren that nothing growes, as I have heard, especially neere unto the towne, except on such earth as is brought thither from other places. And therefore inflicted as a punishment unto Saint John, hither banished by the Emperour Traian, or, as some write, by Domitian; for so the Romanes accustomed to confine offenders: If thou intend’st to thrive do what deserves Short Gyaros, or gyves: praisd Vertue sterves. Aude aliquid brevibus Gyaris aut carcere dignum, Si vis esse aliquid: probitas laudatur & alget. Iuv. Sat. I. On the North side of this hil, we saw the house wherein (they say) he writ his Revelation; and a little above, the cave, in which it was revealed; both held in great devotion by those Christians. After the death of the Emperour, he removed into Ephesus, and being an hundred and twentie yeeres old, causing a grave to be made, is said to have entred it alive, in the preference of divers; to whose seeming dead, they covered him with earth; which if we may beleeve, Saint Augustine* (*Aug. In Ioh. Trac. 124.) bubleth like water, to testifie his breathing, and that he is not dead, but sleepeth. In that Monastery is reserved a dead mans hand, which they affirme to be his: and that the nailes thereof being cut, do grow againe. Amongst divers other Ilands, we passed by Coos, now called Longo: a delicate countrey to behold, lying for the most part levell, onely towards the East not unprofitably mountainous, from whence fall many springs, which water the plaines below, and make them extraordnarily frutifull: where grow those wines so celebrated: Cypresse trees and Turpentine [n.d.r.: terebinto], with divers others, as well delightfullas profitable. In this was Hippocrates borne, who revived Physicke then almost lost, and the ancient practice of Æsculapius: unto whom this Iland was consacrated. In the suburbs he had his Temple, famous, & rich with offerings. Those that had bin sicke, upon recovery there registred their cures, and the experiments wherby they were effected: of these Hippocrates made an abridgment, and committed them to posterity. In this Temple stood that rare picture of Venus naked as if newly rising from the sea, made by Apelles, who was also this country man: after removed unto Rome by Octavius Cæsar, and dedicated unto Iulius; she being reputed the mother of their family. It is said, that at this drawing thereof, he assembled together the most beautiful women in the Iland, comprehending in that his one worke their devided perfections. For this picture the Cooans had a hundred talents remitted of their tribute. The towne and citadell are now onely inhabited by Turks; the villages by Grecians; whereof in all are but two. Next unto this stands Rhodes, of all the rest the most famous and beautifull: once covered with the sea, or at least an unhabitable marish; as they faine, beloved of the Sunne & erected above the waves by his powerfull influence. For no day passeth wherein the Sunne here shines not clearely, perhaps the occasion of that fable, Others will praise bright Rhodes: laudabunt alii claram Rhodum. Hor. l. od 7. 39 obtaining thereby that title as a peculiar epithete. Some write that it tooke this name of Rhoda a Nymph of the seas, and there compressed by Apollo: others, that he lay with Venus, and of her begat Rhoda. Rhodes was begot by Sol on Cyprides Of whose theree sonnes descended are three Cities* (*Lindus, Camirus, Ialisus) Then when the God approacht the Godnesse, showers Of gold powrd [n.d.r.: sic per <powder>], downe with roses, and white flowers. Insula dicta Rhodos de Sole & Cipride nata est: De tribus & natis horum tres sunt simul urbes. Cumque Deam Deus accessit, guttis pluit auri. Purpureaeque rosae fudere, ac lilia flores. For Rhodes in the Greek tongue signifieth a rose, and by likelihood so called of the abundance of roses, which this soyle produceth. This Iland therefore saw the Sunne held sacred, to whõ they erected that huge Colossus of brasse, worthily reputed amongst the world’s seven wonders: made by Charetes of Lindus, the servant of Lisippus; and whereof, as some affirme, they were called * Colossians. (Zonaras lib. 3 Annal.) In height it was threescore and ten cubits, every singers as great as an ordinary statue, and the thumbe too great to bee fathomed. Twelve yeeres it was a making, and about threescore and six yeeres after throwne downe by an earth-quake, which terribly shooke the whole Iland, (*Pausan. in Corinth) prophesied of by the Sibyl. The pieces thereof made wonderfull ruptures in the earth: and another wonder it was to see the masse of stones contained therein, wherely the workman had confirmed it against the violence of weather. With the brasse thereof none hundred Camels were laden. No place in times past was held superior unto this for conveniency of harbour, magnificent buildings, and other excellencies. Famous it was for government; and men so expert in navigation, that they became Lords, an for many yeeres held the soveraignty of these seas. The aire is here most temperate, producing fruites abundãntly: rich pastures sprinkled with flowers, and trees still flourishing. The felicitie of the place affording an argument to that fable of the golden showres that fell thereon. Their wines thus Virgil celebrateth. Receiv’d by Gods, and last-crown’d cups, will I The Rhodia, nor thy long-big rapes, go by. Non ego te Diis & mensis accepta fecundis Transierim Rhodia & tumidis bumasta racemis. Georg. l .2 Where also it is said the vine was first found out and planted. After that the Knignt of Saint John de Acre had lost the City of Acre, the last that they held in the Holy land; they had this place consigned them by Emanuel the Greek Emperour in the yeere 1308, which they tooke from the Turke, and maintained to his terror. Having then one City onely, but that well fortified; seated towards the morning Sunne, on the ascendng hill, apart or the levell shore, embracing, as it were, a most safe and admirable haven: treble walled, adorned with towers, and fortified with strong fortresses. Offen invaded, and to little purpose, at lenght it wastaken by Solyman the magnificent (Villerius being the Great Master) with six moneths siege, a world of people, and losse of most 40 of them, in the yeere 1522 after it had been by them defended against the Infidels two hundred and fourteene yeeres; and then honorably surrendred, although to the gererall dishonour of the Christian Princes in their tardy succours. Bright Rhodes, bright in times past, now blacke with clowds: Thy shining for head a dire tempest shrowds, O griefe! O death! O what then grife is worse And death! then that! if there be such a curse, Sleepe? And the fell wolfe seizeth the best spoile? O shame to have ta’ne a voluntary foile! Clara Rhodos; sed clara olim: nunc orrida nimbis: obnubit nitidum dira procella caput, Ah dolor, ah mors, ah aliquid morte atque dolore Durius aut etiam tetrius esse potest: Stertitits?& ferus armenti lupus optima carpit? O iam fit iam aliquis velle perire pudor I.C. Scal. (Giulio Cesare Scaligero [1484-1558], padre di Giuseppe Giusto) Unto this lamentable subversion (though meant perhaps by a former) may that prophesie of Sibyls be unwrestedly applyed Daughter of Phoebus, Rhodes, long shalt thou raigne: Aboundin wealth, and rule of seas obtaine. Yet forc’t by those that covet thee, at last Yok’t shalt thou be, rich-faire, for glory past. Tuque diu nulli Rhode subdita, filia Solis Durabis, multaque olim pollebis opum vi Imperioque maris primas evecta tenebis Praeda tamen studio tandem rapieris amantum Cervicemque iugo, dives formosaque subdes. Orac. Sib. 3 Such as would, according to composition were suffred to depart: who from hence removed unto Malta. a cura di Lucia Innocente SANDYS (George): poeta, viaggiatore e colonizzatore inglese, nato a Bishopsthorpe il 2 marzo 1578, morto a Boxley Abbey, presso Maidstone (Kent) nel 1644. Studiò ad Oxford; nel 1610 intraprese un viaggio attraverso la Francia, l’Italia settentrionale, dove da Venezia passò a Costantinopoli e indi in Egitto, in Palestina, Sicilia, Napoli, Roma. Nel 1615 pubblicò di tali viaggi un resonconto (The Relation of a Journey begun an. Dom. 1610 in Four Books) che costituì un notevole contributo alle conoscenze geografiche ed etnografiche ed ebbe grande diffusione. La fama di S. è affidata principalmente alla sua traduzione delle Metamorfosi di Ovidio, Ne apparve una prima parte nel 1621. In questo anno partì con incarichi ufficiali per la Virginia, dove tuttavia continuò la traduzione, il cui compimento apparve nel 1626. Tornato in Inghilterra nel 1631, il S. curò una nuova edizione elaborata della traduzione (Oxford 1632). Nel 1636 pubblicò Paraphrase upon the Psalms and Hymns dispersed Throughout the Old and New Testaments, cui seguì nel 1641 Paraphrase of the Song of Songs. Nel 1640 aveva pubblicato una tragedia, Christ’s Passion, imitata da quella di Grozio sul medesimo argomento. Una sua traduzione dell’Eneide non andò oltre il primo libro. Il S. fu forse il primo che, reagendo alle artificiosità in cui era caduta la poesia inglese, mirò con coscienza artistica a uno stile poetico semplice e a racchiudere con naturalezza il pensiero nel distico (couplet). E’ soprattutto nella traduzione d’Ovidio che egli giunse a questo risultato, il quale pone degnamente il S. accanto al Denham e al Waller. Salvatore Rosati in Enciclopedia Italiana, xxx vol., Roma 1936, p. 639. 41 Rassegna bibliografica di Fede Berti 1. Iasos: frantoio nella necropoli preistorica I nizio lo spoglio delle ‘novità’ concernenti Iasos ed edite tra il 2002 e il 2004 menzionando tre opere da tempo attese: della più recente in termini di tempo, intitolata Iasos tra VI e IV sec. a.C. Miscellanea storico-archeologica e presentata a Ferrara nel 2004 quale supplemento al volume 81° degli Atti dell’Accademia delle Scienze di Ferrara, tratta in altre pagine di questo Bollettino Carlo Franco. Pressoché contemporanea nell’uscita le è stata Carian Iasos/Karia’ da Bir Liman Kenti, ossia la guida della città. Come si arguisce dai titoli, trattasi di due volumetti, uno in lingua inglese, uno in lingua turca, pubblicati da Homerkitabevi (Istanbul 2004): hanno testi di Daniela Baldoni, Paolo Belli, Carlo Franco, Maurizia Manara e la presentazione di Fede Berti. Del 2003 è invece il III volume della collana monografica della Missione Archeologica Italiana di Iasos, edito da Giorgio Bretschneider: Vasi a matrice di età imperiale a Iasos, di Daniela Baldoni: l’autrice, attraverso un percorso di analisi formale, cronologica e iconografica di tutto il vasellame fittile a matrice restituito dagli scavi urbani, ne tratteggia la circolazione a partire dal I sec. d. C. nel quadro dei circuiti commerciali del Mediterraneo orientale. 42 Il rapporto sulla campagna di scavi a Iasos del 2002 (F. Berti, Iasos 2002), presentato in occasione del 25. Kazı Sonuçları Toplantısı tenutosi ad Ankara nel maggio del 2003, figura nel 1° volume degli Atti, pubblicati nel 2004. Di Indagini subacquee a Iasos di Caria (Turchia) trattano Fede Berti e Paola Desantis negli Atti del II Convegno Nazionale di Archeologia Subacquea (Castiglioncello 7-9 settembre 2001). In tale sede si dà ragione delle prospezioni condotte in entrambi i bacini portuali dell’insediamento, avendo le autrici – nella parte iniziale del contributo – avuto cura di sunteggiare quanto (nella storia, nell’epigrafia, nell’archeologia) possa riflettere o documentare la ‘vocazione’ marittima della città. Con la produttività agricola locale si confronta Simonetta Angiolillo in Un impianto per la lavorazione dell’olio a Iasos, in Atti della Tavola Rotonda Internazionale in memoria di Giovanni Tore (Cagliari, 17-19 dicembre 1999). Trattasi di un frantoio, posto immediatamente a settentrione della ‘Casa dei Mosaici’ e che doveva far parte degli annessi dell’edificio funzionali alla lavorazione e alla conservazione dei prodotti alimentari, come sembra attestare anche quanto venne riportato alla luce nella medesima area nel corso delle prime indagini. Dell’impianto restano poche tracce sulla roccia che forma una sorta di gradone: si tratta di indizi labili ma convincenti, quali una depressione circolare, un frammento di mola in pietra e, più sotto, sulla parete verticale del gradone, un incasso destinato – parrebbe – all’appoggio di recipienti. Di un più celebre (e più tardo) prodotto che sostenne l’economia della città, ovvero del noto marmo di cava locale, danno alcune precisazioni, importanti sia per l’ubicazione delle aree di estrazione, sia per i dati cronologici derivanti dagli scavi più recenti, Alberto Andreoli, Fede Berti, Lorenzo Lazzarini, Raffaella Pierobon Benoit in New Contribution on Marmor Iassense (ASMOSIA VI, Proceedings of the Sixth International Conference, Interdisciplinary Studies on Ancient Stone, [Venezia, 15-18 giugno 2000]). Il marmo rosso iasio, opportunamente analizzato da C. Gorgoni, L. Lazzarini, P. Pallante (New Archeometric Data on Rosso Antico and Other Red Marbles Used in Antiquity, ibidem) ritorna poi nel catalogo della mostra romana I marmi colorati della Roma imperiale, dove ne tratta nuovamente Lorenzo Lazzarini (La determinazione della provenienza delle pietre decorative usate dai romani. Rocce metamorfiche. cipollino rosso, marmo cario, marmo iassense, africanone). Nel corso degli scavi della stoa orientale dell’agora venne ritrovato un frammento di rilievo raffigurante Artemis di prospetto, il capo volto a sinistra, un braccio sollevato e appoggiato a una torcia: una rappresentazione che, pur appartenendo al II sec. a.C., ricalca iconograficamente modelli di due secoli più antichi. Ne scrive Simonetta Angiolillo (Ostendunt et Iasii Dianam manibus eorum factam) in Aristeo. Quaderni del Dipartimento di Scienze Archeologiche e StoricoArtistiche della Università degli Studi di Cagliari: un’ampia digressione sul carattere del culto della dea a Iasos, sul suo significato, sulla sua originaria iconografia che, come avviene per la Artemis Kindyas di Bargylia, si fonde con quella delle numerosissime altre divinità anatoliche dispensatrici di fecondità. Diverso, ovvero connesso alla ‘convenzionale’ ubicazione del santuario a ridosso dell’agora, il punto di osservazione dell’argomento ‘Artemis’ per Fabrice Delrieux (Les témoignages isiaques sur les monnaies grecques de Carie et d’Ionie aux époques hellénistique et romaine, in Isis en Occident, Actes du IIème Colloque International sur les Études Isiaques [Lyon III, 16-17 mai 2002]) il 43 2. Iasos: frammento di rilievo con raffigurazione di Artemis degli scavi dell’agora quale – come di consuetudine – parte dal dato numismatico per approdare giustappunto anche a Iasos e, sulla base di alcuni (suggestivi, è innegabile) indizi, per ipotizzare che il culto di Iside fosse ospitato proprio nell’edificio che chiamiamo ‘esedra di Artemis Astias’. Delle relazioni e dei rapporti internazionali che favorirono la vita della comunità tratta Carlo Franco (Iasos ellenistica tra politica e cultura, in Studi di Archeologia in onore di Gustavo Traversari, I, Roma 2004) tracciando il profilo dei cittadini iasei assurti all’onore delle antiche cronache perché gravitanti nell’orbita di Alessandro Magno (ad esempio i fratelli Gorgos e Minnion, dediti ad attività politiche e amministrative, il poeta Choirilos) oppure dei Tolemei, come nel caso del filosofo Diodoro ‘Kronos’, vissuto alla corte di Alessandria e morto verosimilmente nel secondo decennio del III sec. a.C. Ad Alessandria forse soggiornò anche lo iasio Hermocrates, maestro di Callimaco; a Dymas, poeta tragico, risale inoltre la tradizione di più recenti contatti di Iasos con l’isola di Samotracia (II sec. a.C.). Per quanto riguarda l’epigrafia, va registrato l’interesse suscitato da un decreto di prossenia pubblicato e commentato nel 2001 (cfr. Gianfranco Maddoli e Roberta Fabiani in La Parola del Passato, vol. LVI, rispettivamente pp. 15 ss. e 69 ss.). Ripreso subito da Christian Habicht (Späte Wiederaufzeichnung eines athenischen Proxeniedekrets, ZPE, 137, 2001), che pose in evidenza la brevità della lacuna che divide i due frammenti ateniesi (=IG II 2 3, di cui la nostra iscrizione è copia tarda), il testo è stato esaminato anche da Enrica Culasso Gastaldi (Un decreto ateniese di prossenia per tre individui di Iasos [IG II 2 3 + 165], ZPE, 142, 2003). Essa riconosce l’appartenenza all’originale di un terzo pezzo corrispondente alla porzione marginale superiore sinistra dell’iscrizione (=IG II 2 165) e – sulla base sia dell’apparato formulare sia della iconografia di tale frammento (Atena appoggiata allo scudo) – data l’iscrizione negli anni posteriori al 403/2 anziché al 412 a.C. In Considérer la mort: de la protection des tombes dans l’antiquité à leur conservation aujourd’ hui (Les Dossiers de l’IFEA, 2, Istanbul 2003), Olivier Henry situa un caso iaseo di monumentalizzazione funeraria (la cosiddetta ‘tomba macedone’) nel quadro ampio, articolato (e innovativo per certi aspetti dell’ approccio proposto) che già di per sé il titolo del quaderno prefigura. Esemplare per la tempestività nella elaborazione dei dati iasei e di grande interesse è poi il lavoro di H. Hubler, M. Bichler, A. Musilek, Identification of Pumice and Volcanic Ash from Archaeological Sites in the Eastern Mediterranean Region Using Chemical Fingerprinting, in Egypt and the Levant, International Journal for Egyptian and Related Disciplines, basato sulle analisi di 286 campioni di materiale vulcanico raccolto, oltre che a Creta, lungo la costa del Mediterraneo orientale compresa tra Mileto e l’Egitto. A Iasos, l’insediamento preistorico venuto in luce nell’agora venne ricoperto da uno strato di cenere espulsa dal cono di Santorini nel corso dell’eruzione avvenuta tra il 1650 e il 1450 a.C. Un quadro, in breve, di estrema articolazione, nel quale è possibile distinguere le aree di provenienza della pomice (isole egee, Anatolia centrale), è possibile associarla ad eventi eruttivi così come, nella stratificazione della cenere (tephra) iasea, è possibile riconoscere una sequenza deposizionale complessa. 44 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA � A. Andreoli, F. Berti, L. Lazzarini, R. Pierobon Benoit, New Contribution on Marmor Iassense, in L. Lazzarini (ed.), ASMOSIA VI, Proceedings of the Sixth International Conference, Interdisciplinary Studies on Ancient Stone (Venezia, 15-18 giugno 2000), Padova 2002, pp. 13-15. � S. Angiolillo, Un impianto per la lavorazione dell’olio a Iasos, in Architettura, arte e artigianato nel Mediterraneo dalla preistoria all’Alto Medioevo, Atti della Tavola Rotonda Internazionale in memoria di Giovanni Tore (Cagliari 17-19 dicembre 1999), a cura dell’Associazione Culturale “Filippo Niscardi”, Cagliari s. d., pp. 339-352. � S. Angiolillo, Ostendunt et Iasii Dianam manibus eorum factam, Aristeo. Quaderni del Dipartimento di Scienze Archeologiche e Storico-artistiche della Università degli Studi di Cagliari, I, 1, 2004, pp. 161-182. � D. Baldoni, Vasi a matrice di età imperiale a Iasos, Roma 2003. � D. Baldoni, P. Belli, C. Franco, M. Manara, Carian Iasos/Karia’da Bir Liman Kenti, İstanbul 2004. � F. Berti, Iasos 2002, in 25. Kazı Sonuçları Toplantısı (Ankara 26-31 mays 2003), Ankara 2004, pp. 13-18. � F. Berti e P. Desantis, Indagini subacquee a Iasos di Caria (Turchia), in A. Benini, M. Giacobelli (edd.), Atti del II Convegno Nazionale di Archeologia Subacquea (Castiglioncello 7-9 settembre 2001), Bari 2003, pp. 21-34. � E. Culasso Gastaldi, Un decreto ateniese di prossenia per tre individui di Iasos (IG II 2 3 + 165), ZPE, 142, 2003, pp. 109-118. � F. Delrieux, Les témoignages isiaques sur les monnaies grecques de Carie et d’Ionie aux èpoques hellénistique et romaine, in Isis en Occident, in L. Bricault (ed.), Actes du IIème Colloque International sur les Études Isiaques (Lyon III, 16-17 mai 2002), Leiden-Boston 2004, pp. 331-355. � Descat 1998= R. Descat, La carrière d’Eupolémos, stratège macédonien en Asie Mineure, REA, 100, 1998, n° 1-2, pp. 167-186. � C. Franco, Iasos ellenistica tra politica e cultura, in M. Fano Santi (ed.), Studi di Archeologia in onore di Gustavo Traversari, I, Roma 2004, pp. 383-395. � C. Gorgoni, L. Lazzarini, P. Pallante, New Archeometric Data on Rosso Antico and Other Red Marbles Used in Antiquity, in L. Lazzarini (ed.), ASMOSIA VI, Proceedings of the Sixth International Conference, Interdisciplinary Studies on Ancient Stone (Venezia, 15-18 giugno 2000), Padova 2002, pp. 199-206. � C. Habicht, Späte Wiederaufzeichnung eines athenischen Proxeniedekrets, ZPE, 137, 2001, pp. 113- 116. � O. Henry, Considérer la mort: de la protection des tombes dans l’antiquité à leur conservation aujourd’hui, Les Dossiers de l’IFEA, 2, Istanbul 2003. � H. Hubler, M. Bichler, A. Musilek, Identification of Pumice and Volcanic Ash from Archaeological Sites in the Eastern Mediterranean Region Using Chemical Fingerprinting, in M. Bietak (ed.), Egypt and the Levant, International Journal for Egyptian and Related Disciplines, XIII, s.d., pp. 83-105. � Iasos tra VI e IV sec. a.C. Miscellanea storico-archeologica (Supplemento al vol. 81° degli Atti dell’Accademia delle Scienze di Ferrara, Anno Accademico 181°, 2003-2004), Ferrara 2004. � L. Lazzarini, La determinazione della provenienza delle pietre decorative usate dai romani, Rocce metamorfiche. Cipollino rosso, marmo cario, marmo iassense, africanone, in M. Nuccio e L. Ungaro (edd.), I marmi colorati della Roma imperiale (Cat. Mostra Roma), Venezia 2002, pp. 248-250. 45 Recensioni Iasos tra VI e IV sec. a.C. Miscellanea storico-archeologica, Ferrara 2004 [Supplemento al volume 81° degli Atti dell’Accademia delle Scienze di Ferrara], pp. 180. s.i.p. di Carlo Franco A ncora un tassello nel ripensamento che la Missione Archeologica Italiana conduce sui problemi posti dal lavoro a Iasos: focalizzata è qui l’epoca classica. Nei dati di scavo questo periodo è risultato un poco sacrificato – ossia meno documentato, allo stato attuale – rispetto alla fase arcaica e a quella ellenistico-romana. Ad esempio, come viene ricordato esplicitamente (da F. Berti, p. 101), non sono state finora rinvenute estese necropoli per il periodo VI-IV a.C.; il che, insieme ad altri fattori, ha avuto evidenti conseguenze anche nello sviluppo della riflessione storica ed archeologica. Tutto questo accresce l’importanza delle messe a punto e delle ricerche che i saggi riuniti nel volume ora presentano, e spiega anche come mai la contestualizzazione dei dati iasei – talora scarsi o ambigui – debba cercare intensamente, per questo periodo, il riscontro o l’analogia con altre situazioni ritenute paragonabili. Così avviene nel lavoro introduttivo di Roberta Fabiani (Linee di storia iasia tra il VI e gli inizi del IV secolo a.C., pp. 11-47), che affronta con attenzione minuta ed analitica un periodo tanto cruciale per la ‘grande’ storia greca, quanto mal noto per Iasos. Giovandosi del risultato di recenti ricerche, anche personalmente condotte dall’A., il saggio si propone metodicamente di inserire i frammenti di storia iasia noti per il periodo in esame entro la griglia, decisamente meglio conosciuta, della storia internazionale greca. Accanto al posizionamento dei frammenti, come nei buoni restauri, è fornita l’indicazione delle integrazioni proposte, motivandone il grado di probabilità. Il lettore così può comprendere bene dove arrivi il dato e donde ne cominci l’interpretazione, e lo studioso trova delineata una ipotesi di lavoro su cui inserire domani anche eventuali nuovi elementi. Molti sono infatti gli eventi epocali per i quali si deve postulare, ma non è esplicitamente attestato, un coinvolgimento di Iasos: lo storico confronto tra Ellade e Persia e poi le guerre tra Elleni, ma anche l’evoluzione della Caria, nel confronto con le culture iranica e greca. Giacché il più antico dato storico superstite databile si riferisce – come è noto – alla presenza di Iasos nell’alleanza ateniese, nel 450/49 a.C. Il quadro tracciato dall’A., con metodica cautela e meditato aggiornamento bibliografico, consente di dare un senso alle poche ed isolate notizie superstiti su Iasos, dalle tradizioni di fondazione alla presenza dei Cari, dal coinvolgimento nell’impero ateniese al confronto con 46 Mausolo. E in tale contesto si inquadra anche la discussione su problemi annosi quali la discussa distruzione della città da parte di Lisandro (che l’A. documenta non essersi mai verificata), o le relazioni tra Iasos e Atene (riconsiderate di recente a seguito di una riscoperta epigrafica). È certamente molto utile che il libro si apra con questo reassessment, che la ricerca su Iasos farà bene da ora a tenere di riferimento. Del breve contributo di Werner Johannowsky (Osservazioni sull’evoluzione urbana di Iasos in Caria, pp. 49-53) si segnala il taglio personale, frutto di una lunga consuetudine con il sito. Con interessanti sottolineature il lavoro ha l’intento di delineare l’urbanistica della città secondo una linea evolutiva particolarmente attenta al dato sacrale. Maurizio Landolfi si sofferma Sulle prime importazioni attiche a figure nere di Iasos (pp. 55-72). La ceramica di età classica rinvenuta nello scavo non ha ricevuto sinora, anche per la problematicità e la frammentarietà dei materiali, un’attenzione adeguata: qui se ne studia preliminarmente una classe, inquadrandone la diffusione nei commerci di VI secolo. Si tratta, per Iasos, di pochi elementi, che però divengono ‘parlanti’ attraverso una rete di confronti, convincentemente proposti dall’A., e attraverso riflessioni sulla possibile funzione della ceramica nel rito e nella vita di Iasos arcaica, ad esempio nelle pratiche simposiali, elemento identitario delle élites. Ancora a materiali ceramici, di altro tipo, si rivolge l’attenzione di Maria Adele Ibba (La fontana ‘arcaica’ dell’agora di Iasos e i suoi materiali, pp. 73-99). La struttura di provenienza fu scavata alcuni anni or sono (prosegue dunque, lentamente, il recupero degli ‘arretrati’ di scavo) ma lo studio effettuato per l’occasione ha consentito la ricostruzione almeno parziale di varie forme. Anfore, brocche, hydriai, coppe, crateri, si spiegano agevolmente in rapporto appunto ad una fontana, anche se alcuni esemplari di anfore ‘commerciali’ sollevano qualche incertezza. Di interesse il quadro cronologico: dalla seconda metà del VII a.C. agli inizi del V, in una Iasos cioè ‘ionica’ e ‘milesia’, 1. Iasos: frammento di coppa a figure nere con Artemis 2. Fontana ‘arcaica’ dell’agora di Iasos 47 3. Brocca dalla fontana ‘arcaica’ dell’agora di Iasos mermnade e persiana. A Fede Berti si debbono gli Appunti per lo studio dei vasi attici a figure rosse di Iasos (pp. 101-117). I dati frammentari relativi a questa classe ceramica sono esaminati con opportuna prudenza. Il contesto funerario, i riferimenti al mondo del simposio evinti dall’iconografia sono prospettati in forma di ipotesi di lavoro. Interessante la topografia di alcuni rinvenimenti, spesso legati ad aree sacre, ma di interpretazione non univoca. Indizi importanti vengono dalla tipologia del vasellame, ad esempio per la scarsità di vasi potori, e da un trend cronologico che vede uno sviluppo delle importazioni dopo il 450 a.C.: difficile eludere un collegamento con le relazioni tra Iasos e Atene e poi con la ‘ellenizzazione’ della Caria degli Ecatomnidi. Va notata a questo punto la coerenza di fondo dei risultati di ricerche diverse presentate nel volume. Di seguito Francesca Curti esamina Frammenti di ceramica attica da Iasos (pp. 119-126), in particolare un cratere a figure rosse del V a.C. con scena di quadriga in corsa, sulla cui interpretazione sono formulate caute ipotesi. Le Indagini sulle murature di una torre del lato orientale della cinta di Iasos in Caria, proposte da Stefano Bertocci (pp. 127-139), nel quadro di una completa ricognizione del circuito murario della città, si soffermano determinatamente sulla torre quadrangolare superstite sul lato orientale, di cui viene rilevata e studiata la muratura, con l’analisi delle caratteristiche tecniche. La torre è diversa dal resto della cinta, pur mal conservato, e con ogni probabilità è più antica, almeno per il basamento. Le caratteristiche strutturali invitano poi secondo l’A. al confronto con resti di edifici iasii dell’età arcaico classica, ma appaiono necessarie altre ricerche. Allo stato attuale, dunque, si può osservare che la storia della cinta urbana si conferma sempre più come una stratificazione molto complessa (a contrasto con l’unitarietà di concezione ed esecuzione della cinta ‘di terraferma’). Va da sé che la presenza di una evoluzione della cinta fin dall’età classica toglierebbe ulteriore consistenza all’idea di una distruzione totale della città a fine V secolo a.C. A ripensare idee radicate induce anche il lavoro di Nicolò Masturzo su Alcune osservazioni sul tempio 4. Torre del lato orientale della cinta di Iasos 48 in antis nel ‘santuario’ dell’agora di Iasos (pp. 141-157). L’area a cui ci si riferisce è infatti quella tradizionalmente indicata come ‘santuario di Artemis Astias’, qui molto opportunamente designata – fin dal titolo – in termini più generici. Il complesso formato da porticato, tempio ed esedre è stato indagato solo parzialmente, lasciando aperte molte questioni. L’A. riprende qui i dati di scavo disponibili, dipanando una sequenza cronologica a ritroso dalle tarde strutture superficiali agli interventi di età imperiale, alle fasi arcaiche: queste ultime particolarmente interessate dalle ristrutturazioni che l’area appare aver subito nel tempo. Particolare attenzione è riservata al tempietto che sorge al centro del complesso, studiato dal punto di vista tecnico e con ricostruzione di pianta e alzato. Per le caratteristiche strutturali se ne propone una datazione al IV secolo, coerente con talune realizzazioni ecatomnidi. Naturalmente tale antichità dell’edificio rende ancora più forti gli interrogativi sulla sua lunga storia, soprattutto vista la monumentalizzazione dell’area circostante il tempietto, avvenuta in età imperiale. È prospettabile un cambio d’uso? Esce dalla città, per indagarne la chora, il saggio di Raffaella Pierobon Benoit, che chiude il volume (Il territorio di Iasos tra VI e V secolo a.C., pp. 159-176). Sguardo d’insieme su varie ricerche particolari condotte in anni anche recenti, il lavoro introduce la ‘lunga durata’ propria dei tempi di un territorio, tra insediamenti agro-pastorali e strutture di sorveglianza e difesa, tracce di attività produttive e luoghi sacri extramurani. La definizione di una cronologia precisa appare spesso ardua per il carattere ‘conservativo’ e puramente funzionale delle strutture emergenti, appena temperato da qualche reperto: non mancano elementi riferibili all’età classica. Dall’indagine esce ancora ribadita l’idea che la chora della città ebbe ampia frequentazione e differenziate funzioni, da pensare sempre in rapporto (economico, strategico, cultuale) con il centro, ma in cui stavano presenze non greche (donde i celebri edifici ‘lelegi’) la cui natura richiederà altri sondaggi. E in effetti il volume risulta stimolante proprio perché molti dei lavori contenuti, sottolineando il carattere provvisorio delle acquisizioni, richiamano la spinta ad ulteriori indagini sul campo, ma anche l’importanza della riflessione criticamente condotta, più solida ed utile quanto più lontana dalle soluzioni ‘facili’ e vistose. 5. Iasos: frammento di kantharos tipo St. Valentin 6. Territorio di Iasos: cinta di terraferma 49 N O T I Z I A R I O a cura di Daniela Baldoni Attività dall’Associazione L’Associazione ‘Iasos di Caria’ ha lo scopo di patrocinare le attività di scavo, di restauro e di pubblicazione dei ritrovamenti effettuati nel centro cario dalla Missione Archeologica Italiana, nonché di promuovere ogni iniziativa atta alla loro divulgazione. Secondo quanto stabilito dallo Statuto, i contributi finanziari ricevuti nel corso dell’anno sono stati in gran parte destinati alla campagna 2004 della Missione Archeologica, dal momento che le quote sociali versate hanno coperto interamente le spese di costituzione e di gestione dell’Associazione. Il ‘Bollettino dell'Associazione Iasos di Caria’ La diffusione del ‘Bollettino dell’Associazione Iasos di Caria’ costituisce un valido strumento tanto per l’informazione sulle attività svolte dall’Associazione, quanto per la divulgazione delle notizie relative ai lavori effettuati dalla Missione Archeologica Italiana. Esso viene inviato, con scadenza annuale, ai soci ed a tutti coloro (Enti, Istituti, Associazioni, Soprintendenze, Musei, Università, Biblioteche, studiosi) che si ritengono interessati agli argomenti trattati. Vi saremmo grati se voleste contribuire all’iniziativa comunicandoci suggerimenti e proposte in merito ai contenuti del fascicolo. Saremo inoltre lieti di poter ospitare vostri eventuali contributi, redatti secondo le modalità che potremo indicarvi se vorrete mettervi in contatto con noi presso la sede dell’Associazione o all’indirizzo e-mail: [email protected] Convegni e conferenze � Dal 18 al 21 febbraio 2004 si è svolto a Lecce il “X Colloquio della Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico (AISCOM)”. Le Esperienze italiane di restauro musivo all’estero: il caso dei pavimenti della ‘Casa dei Mosaici’ a Iasos (Turchia) sono state presentate da Fede Berti e dalle restauratrici Morena Del Gaudio e Micol Siboni. � Il 15 marzo a Roma, presso l’Istituto di Studi sulle Civiltà dell’Egeo e del Vicino Oriente, C.N.R., Nicoletta Momigliano, docente presso l’Università di Bristol (UK), ha tenuto una conferenza su tema: Iasos e le isole dell’Egeo prima dell’eruzione di Santorini. � Nel mese di aprile 2004, presso la Scuola Italiana di Atene, in occasione della “10th International Aegean Conference” sul tema Emporia: Aegeans in the Eastern and Western Mediterranean, Nicoletta Momigliano (University of Bristol, UK), ha presentato una comunicazione dal titolo: Iasos and the Aegean Islands Before the Santorini Eruption. � Nell’ambito di una serie di incontri svoltisi nel 2004 presso la sede milanese della Associazione Lombarda Archeologica (A.L.A.), alcuni dei soci hanno illustrato le attività svolte presso la Missione Archeologica di Iasos nel corso delle ultime campagne di scavo. Il 13 maggio Sergio Castelletti e Federico Mailland hanno tenuto una conferenza dal titolo: Ricerche a Iasos di Caria (Turchia). 50 N O T I Z I A R I O Il 10 novembre Federico e Ida Mailland hanno svolto una relazione sul tema: Iasos di Caria. Saggi di scavo all’esterno della stoa sud e presso il propileo sud. Nella stessa occasione è stata presentata dall’autrice, Maurizia Manara, la dispensa Iasos, 3000 anni di storia sulle rive dell’Egeo. � Dal 24 al 28 maggio 2004 si è tenuto a Konya il “26. Uluslararası Kazı, Araştırma ve Arkeometri Semposyumu”, Convegno annuale sugli scavi, le ricognizioni topografiche e l’archeometria in Turchia, promosso dal T.C. Kültür ve Turizm Bakanlığı - Kültür Varlıkları ve Müzeler Genel Müdürlüğü. Fede Berti, direttrice della Missione Archeologica Italiana di Iasos, ha illustrato l’attività svolta nel corso della campagna del 2003 (Iasos. Campaign 2003). Raffaella Pierobon Benoit, responsabile della Missione di Survey nel Golfo di Mandalya, ha presentato i risultati delle ultime ricognizioni effettuate nel territorio di Iasos (Survey of the Mandalya Gulf: Report on the 2003 Campaign). � Martedì 4 giugno 2004, presso il Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, Fede Berti e Simonetta Angiolillo hanno presentato il volume Iasos tra VI e IV sec. a.C. Miscellanea storico-archeologica, supplemento al volume 81 degli Atti accademici 2003-2004 della Accademia delle Scienze di Ferrara. La manifestazione è stata aperta dal presidente, prof. Roberto Tomatis, che ha rivolto agli intervenuti il saluto dell’Accademia ferrarese. � Dall’8 al 14 settembre 2004 si è tenuto a Darfo - Boario Terme (Brescia) il “XXI Valcamonica Symposium. Arte preistorica e tribale” sul tema Nuove scoperte, nuove interpretazioni, nuovi metodi di ricerca, organizzato dal CCPS Centro Camuno di Studi Preistorici in cooperazione con il CAR (ICOMOS International Committee on Rock Art). Federico ed Elena Mailland hanno presentato una comunicazione dal titolo The Rock Engravings of Narlı, Iasos (Turkey), illustrando le problematiche relative alle figure incise sopra una roccia scoperta nei pressi della insenatura di Narlı, località situata nelle immediate vicinanze di Iasos. � In occasione della International Conference on Remote Sensing Archaeology, svoltasi a Pechino dal 18 al 21 ottobre, M. Bini, S. Bertocci, A. Mrakic e S. Parrinello hanno presentato una comunicazione sul tema: Information Technology with the Menagement of Archaeological Heritage: Petra (Jordan), Iasos (Turkey), Park of 100 Roman Farms at Lucca (Italy) and the Archaeological Park of Rocca San Silvestro (Italy). � Il 1° novembre, a Salisburgo, in occasione del Convegno Middle Helladic Synchronisms, organizzato da SCIEM e dalla Accademia Austriaca, Nicoletta Momigliano (University of Bristol, UK) ha illustrato alcune delle classi ceramiche dell’età del Bronzo presenti a Iasos in una comunicazione dal titolo Kamares or not Kamares? This Is the Question...on the SE Aegean LOD and DOL ware. 51 N O T I Z I A R I O Cagliari: pannelli della mostra fotografica dedicati allo scavo della ‘Casa dei Mosaici’ Mostre � Il 7 febbraio 2004, negli spazi espositivi del Dipartimento di Scienze Archeologiche e Storico-Artistiche dell’Università di Cagliari, è stata inaugurata la mostra fotografica Ricerche in Cittadella, comprendente una sezione dedicata ai lavori che Simonetta Angiolillo e gli allievi della Scuola di Specializzazione in Archeologia conducono da tempo a Iasos. Gli scavi nella ‘Casa dei Mosaici’ sono stati illustrati da poster curati da Simonetta Angiolillo, Marco Giuman, Maria Adele Ibba e Alfonso Stiglitz. Nel corso del periodo di apertura della esposizione i docenti e alcuni dei loro allievi hanno tenuto un ciclo di conferenze relative alle ricerche in corso. Il 28 febbraio, in coincidenza con la chiusura della manifestazione, Mario Torelli e Marina Falla Castelfranchi hanno presentato il primo volume di Aristeo. Quaderni del Dipartimento di Scienze Archeologiche e Storico-Artistiche dell’Università di Cagliari, contenente un articolo di S. Angiolillo sul culto di Artemis a Iasos (Ostendunt et Iasii Dianam manibus eorum factam). � Dal 18 settembre al 3 ottobre 2004 nelle sale del Castello Estense di Ferrara si è svolta la mostra fotografica: Antiche immagini dell’uomo. Le pitture rupestri preistoriche del Latmo, nella Turchia occidentale, curata da Anneliese Peschlow, docente presso l’Università di Berlino e direttrice della Missione Archeologica di Eraklea al Latmos. L’esposizione era stata precedentemente allestita a Lecce e a Roma, nella sede del Museo Etnografico Pigorini. 52 N O T I Z I A R I O Sito Web � Si segnalano gli aggiornamenti riguardanti la Missione Archeologica di Iasos nel sito MISART Missioni Archeologiche Italiane in Turchia una guida alle Missioni Archeologiche Italiane in Turchia, redatta in lingua italiana, turca e inglese, che è possibile consultare in rete, all’indirizzo www.misart.it I nuovi inserimenti riguardano le pubblicazioni più recenti (in “Bibliografia”), i lavori della campagna di scavo 2004 (in “News”) e le immagini del sito (in “Galleria delle immagini”). Il sito web, patrocinato dal Ministero degli Affari Esteri e dall’Ambasciata Italiana ad Ankara, è stato curato dal Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Lecce, grazie al supporto finanziario dell’ENI. l sito web, patrocinato dal Ministero degli Affari Esteri e dall’Ambasciata Italiana ad Ankara, è stato curato dal Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Lecce, grazie al supporto finanziario dell’ENI. Vita della Missione � Rappresentante del Governo di Turchia presso la Missione Archeologica Italiana di Iasos è stato, nel 2004, il dott. Melih Arslan, specialista in Numismatica presso il Museo delle Civiltà Anatoliche di Ankara. A lui va il nostro caloroso ringraziamento per averci aiutato a superare le grandi e piccole difficoltà quotidiane, alleviando con la sua gentilezza le nostre fatiche e allietando le nostre serate con il suo buonumore e le sue indiscutibili doti…di ballerino. Gli siamo inoltre particolarmente grati per avere stoicamente e pazientemente sopportato i molteplici disagi causati dai lavori di ristrutturazione della casa della Missione, che hanno spesso e a lungo privato i suoi occupanti dell’elettricità, dell’acqua e dell’uso dei servizi igienici. Un grazie di cuore anche per aver accettato di buon grado la convivenza, spesso problematica, con i gatti, i cani e gli altri animali che nel corso dell’estate hanno, come di consueto, frequentato numerosi e assidui il nostro giardino, fedeli amici e ospiti abituali alla nostra tavola. � Anche nel corso dell’ultima campagna numerosi sono stati gli amici che hanno raggiunto Iasos e la Missione. Ricordiamo con piacere le visite del professore e della signora Blümel, di Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli, di Marie Lesvigne con un gruppo di colleghi provenienti da Xanthos; proficuo l’incontro con alcuni membri della Missione franco-turca di Hyllarima per lo scambio di opinioni sulla comune realtà caria. Esra Cayır, ha trascorso un breve periodo di studio presso la nostra Missione, allo scopo di completare la sintesi storica sulla città di Iasos, finalizzata al completamento della sua tesi di laurea. Siamo particolarmente grati al dr. Kemal Türeli, geologo presso il Mineral Research and Exploration Institute. Natural History Museum di Ankara, che ha effettuato la campionatura e l’analisi dei marmi della ‘Basilica della Porta Est’, fornendo utili indicazioni sulla loro tipologia. 53 Melih Arslan Indice tematico 1995-2004 a cura di Daniela Baldoni e Carlo Franco A distanza di undici anni dalla nascita del Bollettino dell’Associazione Iasos di Caria, abbiamo creduto opportuno stilare un indiceriepilogo dei temi trattati nei 10 numeri precedenti, ordinandoli per argomento e indicando il fascicolo nel quale sono stati pubblicati di volta in volta. Una sorta di guida schematica per orientare chi volesse rileggere – o leggere per la prima volta – un articolo che gli sta a cuore senza dovere sfogliare l’intera collezione. Editoriali F. Berti, L’Associazione ‘Iasos di Caria’ F. Berti, L’Associazione ‘Iasos di Caria’: bilancio di un anno di attività F. Berti, 1996: risultati e progetti F. Berti, Missioni archeologiche italiane all’estero: una occasione di incontro F. Berti, Editoriale/Editörün önsözü F. Berti, Editoriale M.C. Luciani, Il Bollettino compie 10 anni 1, 1995 2, 1996 3, 1997 4, 1998 5, 1999 6, 2000 10, 2004 Rapporti annuali 1, 1995 2, 1996 3, 1997 4, 1998 5, 1999 6, 2000 7, 2001 8, 2002 9, 2003 10, 2004 54 D. Baldoni, Lo scavo nell’area della porta orientale dell’agora 1, 1995 Balık Pazarı-Antiquarium F. Berti, Il Balık Pazarı e l’allestimento dell’Antiquarium F. Berti, L’Antiquarium di Iasos R. Parapetti, Il tempietto funerario del Balık Pazarı. 1, 1995 2, 1996 2, 1996 Basiliche e necropoli bizantine D. Baldoni, Tombe bizantine all’esterno del Balık Pazarı U. Serin, Le chiese paleocristiane e bizantine di Iasos: considerazioni cronologiche e problemi relativi alla topografia cristiana 2, 1996 7, 2001 Campagna fotografica S. Orselli, La campagna fotografica 1998: il trattamento dei negativi in B&N 5, 1999 ‘Casa dei Mosaici’ a cura degli allievi della Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università di Cagliari Lo scavo nella ‘Casa dei Mosaici’ La seconda campagna di scavo nella ‘Casa dei Mosaici’ La terza campagna di scavo nella ‘Casa dei Mosaici’ 3, 1997 4, 1998 10, 2004 P. Belli, N. Momigliano, Il progetto B.A.C.I. (Bronze Age Carian Iasos) P. Belli, N. Momigliano, B.A.C.I. 2000. La seconda campagna di studio dei livelli dell’età del Bronzo a Iasos P. Belli, N. Momigliano, La terza campagna di studio dei livelli dell’età del Bronzo a Iasos P. Belli, Le campagne di studio 2002 e 2003 del gruppo B.A.C.I. a Iasos 6, 2000 7, 2001 8, 2002 10, 2004 Necropoli ellenistica D. Baldoni, Una tomba della necropoli ellenistica O. Henry, Tombe ellenistiche a Iasos O. Henry, Une tombe monumentale hellénistique à Iasos 5, 1999 8, 2002 10, 2004 Prospezioni subacquee Materiali D. Baldoni, Un frammento di tegola dal Çanancık Tepe F. Berti, Una mensa clôturée in marmo iasio F. Berti, Mortaria con marchio a Iasos I. Morabito, Una marca da vasaio (potters’mark) da Iasos R. Bonifacio, Statuette arcaiche dal santuario di Demetra e Kore a Iasos N. Momigliano, Un «şish kebab» preistorico a Iasos? M.A. Ibba, Bracieri ellenistici da Iasos A. Stiglitz, Un frammento di ceramica invetriata dalla Porta Est di Iasos D. Gandolfi, Appunti sulle ceramiche sigillate di Iasos di Caria A. Carcaiso, Le anfore raccolte nella chora di Iasos A. Stiglitz, Tra Oriente e Occidente: le anfore di Cos L. Innocente, Ritrovamenti scrittorî a Iasos Agora Insediamento dell’età del Bronzo di F. Berti I lavori a Iasos nel 1994 I lavori a Iasos nel 1995 La campagna a Iasos nel 1996 I lavori a Iasos nel 1997 I lavori a Iasos nel 1998 I lavori a Iasos nel 1999 La campagna 2000 Iasos, i lavori del 2001 I lavori della Missione a Iasos nel 2002 Iasos, campagna di scavo 2003 Scavi e ricerche a Iasos 2, 1996 3, 1997 4, 1998 7, 2001 8, 2002 8, 2002 9, 2003 9, 2003 10, 2004 10, 2004 10, 2004 10, 2004 R. Bonazza, A. Bottacin, M.T. Bernabei, M.P. Marano, La campagna di rilevamento subacqueo M.T. Bernabei, La campagna di prospezione subacquea 5, 1999 7, 2001 Rilievo archeologico M. Andreussi, Progetto di rilevamento delle strutture murarie emergenti per la ricostruzione diacronica del tessuto urbano di Iasos M. Cannoni, M. Cornieti, C. Soverini, M. Tiefenthaler, La campagna di rilievo archeologico delle strutture murarie a Iasos di Caria: impressioni, modalità, obiettivi 4, 1998 9, 2003 Santuario del Çanacık Tepe D. Baldoni, Nuovi scavi nel santuario sul Çanancık Tepe D. Baldoni, Saggi di accertamento nel santuario sul Çanancık Tepe 1, 1995 2, 1996 Territorio R. Pierobon Benoit, La chora di Iasos R. Pierobon Benoit, Nuovi dati dalle ricognizioni nel Golfo di Mandalya 8, 2002 10, 2004 Turchia M. Manara, La casa turca M. Manara, Milas: il caravanserraglio M. Landolfi, Giuseppe Moretti e gli esordi dell’archeologia italiana in Anatolia M. Landolfi, Le Marche, l’archeologia e la Turchia Restauri 3, 1996 5, 1999 8, 2002 9, 2003 Storia, cultura, epigrafia a Iasos C. Franco, Le celebrità di Iasos ellenistica 3, 1997 L. Leurini, Osservazioni sullo Zeus ‘Idrieus’ di Iasos 5, 1999 G.P. Ghini, Iasos: i miti delle origini, i racconti della fine 5, 1999 G.P. Ghini, Iasos: l’età bizantina 6, 2000 L. Leurini, Ermocrate di Iasos: un maestro dimenticato 6, 2000 A. Andreoli, La sede episcopale di Iasos di Caria 6, 2000 C. Franco, Una iscrizione funeraria da Iasos 6, 2000 C. Franco, Aristotele e Iasos 7, 2001 L. Leurini, Diodoros Kronos, un bizzarro filosofo di Iasos 7, 2001 L. Innocente, Panoramica sul cario 8, 2002 L. Innocente, Tegola di Iasos 8, 2002 R. Fabiani, Considerazioni sugli erétai di Iasos. A proposito dell’epigrafe iasea inv. 3402 9, 2003 C. Franco, Un ‘nuovo’ retore di Iasos 9, 2003 Ricordi di Iasos P. G. Guzzo, Memorie carie P. Belli, Scavare a Iasos. I ricordi di Clelia Laviosa T. Akarca, Iasos, com’era P. Belli, F. Berti, Iasos prima degli scavi. Documenti di un viaggio in Caria E. Pagello, Un ‘amarcord’ iasio1973-2001: dalla Willis al B737 L. Lanza, Il ‘Balık Pazarı’, errore giustissimo M.C. Luciani, L’isola del tesoro. Cartolina da Iasos 1, 1995 2, 1996 5, 1999 8, 2002 8, 2002 9, 2003 9, 2003 Altri siti Bargylia M. Falla Castelfranchi, Bargylia non è più dimenticata 7, 2001 Caria P. Åström, Excursion in Caria P. Åström, In the Country of a Thousand Sleeping Beauty Cities (I) P. Åström, In the Country of a Thousand Sleeping Beauty Cities (II) P. Åström, In the Country of a Thousand Sleeping Beauty Cities (III) 5, 1999 6, 2000 7, 2001 8, 2002 6, 2000 Latmo A. Peschlow Bindokat, Il Latmo: una dichiarazione d’amore a un paesaggio 4, 1998 Milas A. Kızıl, Milas Müzesinde yer alan çocuk Eros kabartması 9, 2003 Mileto B. e W.-D. Niemeier, Mileto nell’etá del Bronzo: un ponte tra il mondo egeo e l’Anatolia 1, 1995 7, 2001 3, 1997 4, 1998 Viaggiatori in Caria a cura di P. Belli Della Seta Esplorazioni italiane in Caria negli anni ’20: A. Della Seta Deschamps Viaggiatori in Caria: G. Deschamps von Richter Viaggiatori in Caria: O.F. von Richter Ibn Battûta Viaggiatori in Caria: Ibn Battûta Texier Viaggiatori in Caria: Charles Texier (I) Viaggiatori in Caria: Charles Texier (II) Viaggiatori in Caria: Charles Texier (III) Viaggiatori in Caria: Charles Texier (IV) Chandler Viaggiatori in Caria: R. Chandler 2, 1996 4, 1998 5, 1999 6, 2000 6, 2000 7, 2001 8, 2002 9, 2003 10, 2004 Aggiornamenti bibliografici a cura di F. Berti Iasos: aggiornamento bibliografico Iasos: aggiornamento bibliografico Iasos: aggiornamento bibliografico Iasos: aggiornamento bibliografico Rassegna bibliografica 2, 1996 4, 1998 5, 1999 7, 2001 9, 2003 Recensioni AA.VV., Arslantepe Hierapolis Iasos Kyme (di C. Franco) AA.VV., Sinus Iasius. I, 2 (di M. Andreussi) P. E. Pecorella, La cultura preistorica di Iasos in Caria (di P. Belli) AA.VV., Iasos di Caria. Un contributo ferrarese alla archeologia microasiatica (di C. Franco) F. Tomasello, L’acquedotto romano e la necropoli presso l’istmo (di M. Andreussi e P. Belli) M. Spanu, Keramos di Caria. Storia e monumenti (di F. Berti) G. Traversari (a cura di), Laodicea di Frigia I (di P. Belli) 1, 1995 2, 1996 3, 1997 4, 1998 5, 1999 7, 2001 10, 2004 Notiziario Laodicea sul Lico L. Sperti, Ricognizione archeologica a Laodicea sul Lico ‘Casa dei Mosaici’ M. Manara, Il progetto di copertura della ‘Villa dei Mosaici’ M. Manara, La copertura della ‘Casa dei Mosaici’ Torre del porto N. Masturzo, Il restauro della torre del porto di Iasos ‘Orologio’ N. Masturzo, Il restauro della tomba monumentale chiamata ‘Torre dell’Orologio’ 6, 2000 a cura di D. Baldoni Notiziario Notiziario Notiziario Notiziario Notiziario Notiziario Notiziario Notiziario Notiziario Notiziario 1, 1995 2, 1996 3, 1997 4, 1998 5, 1999 6, 2000 7, 2001 8, 2002 9, 2003 10, 2004 55 1 Acquedotto 14 Complesso della basilica presso la porta Est 2 Basilica ad Est del mausoleo romano 15 Teatro greco 3 Mausoleo romano (Balık Pazarı) 16 Quartiere a Sud del teatro 4 Tomba ellenistica 5 Tombe a camera ellenistico-romane 17 Cinta di età geometrica e terrazze sotto l'acropoli 6 Agora 18 Basilica dell'acropoli 7 Saggio all'interno dell' agora 19 Castello medievale 8 Bouleuterion 20 Tempio sull'acropoli 21 Villa dei mosaici 9 Complesso di Artemis Astias 10 Tempietto in antis 22 Complesso del propileo Sud 11 Caesareum 23 Santuario di Demeter e Kore 12 Porte Est 24 Torre del porto 13 Santuario di Zeus Megistos 25 Tomba ellenistica 56