via Borgoleoni, 21
Tel. 0532/20.98.53 - 20.34.71
44100 Ferrara
ASSOCIAZIONE
S O M M A R I O
2
Iasos, campagna di scavo 2004
6
La campagna di ricognizione del 2004: la cinta di terraferma e
l'Akarca Tepe
Fede Berti
Raffaella Pierobon Benoit
13
Le cisterne di Iasos: alcune considerazioni
17
Tombes hellénistiques à Iasos (suite)
20
Graffito cario su piede di coppa attica
22
Les étrangers à Iasos au debout de l’époque hellénistique
26
Ancient Carians and Their Language: an Unsolved Mistery
32
Archaeological Survey at Laodicea of Phrygia, 2002
37
Viaggiatori in Caria: George Sandys
42
Rassegna bibliografica
46
Recensione
Iasos tra VI e IV sec. a.C. Miscellanea storico-archeologica
Francesco Bosso
Olivier Henry
Fede Berti, Lucia Innocente
Fabrice Delrieux
n° 11 anno 2005
Abuzer Kızıl
Sauro Gelichi
Lucia Innocente
Hanno collaborato
Fede Berti
Daniela Baldoni
Fede Berti
Francesco Bosso
Fabrice Delrieux
Carlo Franco
Sauro Gelichi
Olivier Henry
Lucia Innocente
Abuzer Kızıl
Raffaella Pierobon Benoit
Carlo Franco
50
Notiziario
54
Bollettino: indice tematico 1995-2004
a cura di Daniela Baldoni
Daniela Baldoni, Carlo Franco
1
Iasos, campagna di
scavo 2004
di Fede Berti
1. Restauro di vasi
della campagna 2004 si sono svolti dal 12 di agosto al 30 di settembre: al
Ilavori
loro buon andamento ha grandemente contribuito il rappresentante del governo tur-
co, dottore Melih Arslan, funzionario del Museo delle Culture Anatoliche di Ankara,
che ringraziamo calorosamente poiché ha agevolato in ogni maniera le nostre attività.
Hanno fatto parte della missione Simonetta Angiolillo, Daniela Baldoni, Stefano Bertocci, Francesco
Bosso, Michele Cannoni, Romina Carboni, Claudia Cincotti, Kristian Civetta, Michele Cornieti,
Emiliano Cruccas, Melih Ekinci, Marco Giuman, Luca Granata, Olivier Henry, Maria Adele Ibba,
Carl Knappert, Luigi Leurini, Federico Mailland, Ida Mailland, Maurizia Manara, Nicoletta Momigliano, Paolo Ortelli, M. Trinitad Oviedo, Antonella Romualdi, Laura Ruffoni, Filippo Scapini,
Micol Siboni, Criastian Soverini, Maria Assunta Spolverin, Michelangelo Tiefenthaler.
iii
2. Pannello a muro
all’ingresso dell’agora
3. Pannello a piede
nell’agora
Non poche energie, nel
periodo iniziale dei lavori,
sono state dedicate al risanamento della casa della
missione.
I disagi sono stati molteplici
e si sono protratti nel tempo; non è tuttavia il caso di
richiamarli in questa sede,
nella quale va dato spazio
ad altri aspetti dell’attività
svolta, che si è concentrata
sullo studio e sul restauro,
ma che, attraverso saggi
mirati, ha altresì condotto accertamenti di carattere strutturale e cronologico in alcuni punti
dell’antico insediamento.
Si è poi rinnovato il ‘sistema’ didattico-illustrativo del sito.
Inaugurato nel 1994 e costituito da 12 pannelli
con testi in turco e in italiano, ossia di una postazione introduttiva con la pianta della città,
ubicata all’ingresso degli scavi, e di successivi
11 tableaux (il dodicesimo dei quali era stato
aggiunto nel 2002, per illustrare le vicende della
torre di IV sec. a.C. che si trova sull’angolo della
2
agora), esso denunciava vistosamente i danni subiti e richiedeva consoni provvedimenti.
I nuovi pannelli descrittivi sono di due tipi: a
muro e su piede. In questi ultimi, che utilizzano il supporto dei precedenti, testi e piante si
presentano separati. Il numero delle postazioni,
sebbene vi siano stati alcuni cambiamenti nella
loro distribuzione topografica, resta invariato.
Tenendo conto di quanto era stato da più parti
osservato, ai testi in italiano e turco si è aggiunto
quello in inglese; anche se destinati a rimanere
all’esterno, i pannelli sono stati agganciati al piede con un sistema che, se ve ne fosse la necessità,
consente di staccarli facilmente e di ricoverarli
al coperto.
Testi e planimetrie, anch’essi modificati rispetto
a quanto era prima disponibile, sono stati elaborati da D. Baldoni; in quanto alla realizzazione,
vi ha lavorato la Nipas A.S., che fa capo ad Adnan Göloğlu, di Ankara.
palesato le peculiarità del suolo e ha restituito
materiali il cui arco cronologico sembra scendere
oltre la fine dell’ellenismo.
Contestualmente – e in funzione di una possibile
ripresa delle indagini nell’area, la quale, nel più
generale contesto urbano, è di fortissima rilevanza topografica e monumentale – si è rivolta
l’attenzione al ‘Propileo’ stesso, che, come è noto,
consta di due ambienti comunicanti. Ad uno
si accedeva da nord tramite una gradinata che,
riprendendo sul lato opposto, si apriva verso il
mare e il porto occidentale; l’altro era dotato di
nicchie sulle pareti. Una accurata ‘pulizia’ dei
piani pavimentali di entrambe le stanze ne ha
posto in evidenza gli aspetti strutturali (quali,
ad esempio, il piano di allettamento del mosaico
4. ‘Propileo della Punta
Sud’: trincea a ridosso del
muro del podio
iii
Per ciò che riguarda l’attività di scavo, un saggio
è stato condotto nelle adiacenze del cosiddetto
‘Propileo della Punta Sud’, più precisamente nel
vano compreso tra ‘Propileo’ e vicino podio. Vi
hanno lavorato F. Mailland, L. Granata e F. Scapini. L’intendimento è stato quello di osservare le
caratteristiche del terreno e iniziare a raccogliere
elementi per una più articolata cronologia delle
strutture: la trincea aperta a ridosso del muro
del podio, quindi con andamento nord-nordest/sud-sud-ovest, ha raggiunto in due punti
la roccia nativa (che anche qui è a gradoni), ha
dell’ambiente con nicchie, piano sul quale sono
visibili le linee guida che corrispondevano ai rinfasci del tessellato ed altri interessanti dettagli),
aspetti che in seguito ha rilevato M. Manara.
Indagine ripresa dal 2003, dopo un iniziale censimento dei pozzi, delle cisterne e delle fontane
è stata quella che ha avuto come argomento il
sistema di raccolta, distribuzione e smaltimento
delle acque nella città.
In tale prospettiva di ricerca (cui spetta a buon
diritto il titolo di ‘Acqua iasia’), I. Mailland, K.
Civetta e P. Ortelli (al quale si devono piante e
sezioni) hanno analizzato nel dettaglio la canaletta che attraversa il piazzale sul porto orientale spuntando da sotto il ‘tompagno’ della porta
dell’agora, mentre F. Bosso ha preso in esame il
tracciato idrico circostante il ginnasio della Porta
Est, che dalla fase tardo ellenistica iniziale giunse
alla piena età romana imperiale.
Alcuni saggi hanno avuto qui lo scopo di veri-
3
5. ‘Propileo della Punta
Sud’: piano di allettamento
del mosaico dell’ambiente
con nicchie
6. Piazzale sul porto
orientale: canaletta
7. Complesso della
Porta Est: pozzo
8. Necropoli
settentrionale:
tomba a camera
ficare raccordi e interferenze di adduzione e di
drenaggio, soffermandosi in modo particolare
sulla organizzazione dei condotti (principale e
secondari) corrispondenti alla strada nord-nordovest/ sud-sud-est e al più stretto vicolo
che vi si immette proprio all’angolo
dell’edificio.
Si è poi svuotato sino alla quota di
affioramento della falda freatica (a - m
3 ca. dalla imboccatura e quindi non
completamente, poiché non si è giunti
alla base della muratura), il pozzo rettangolare che si trova nell’angolo nord-ovest
della zona.
Da tempo individuato, precedentemente
ci si era limitati a ripulirne l’imboccatura: ebbene, con la ripresa dello scavo ne
è uscito un insieme di materiali databili
tra II-I sec. a.C. e I sec. d.C. veramente straordinario, sia per la varietà tipologica e formale
(trattasi di vasi a vernice nera, di pasta grigia,
di ‘presigillate’, di coppe decorate a matrice,
di lucerne, unguentari, brocche, olle, tegami,
anfore, etc.) sia per la quantità, sia ancora per il
fatto che il vasellame potrà in buona parte essere
ricomposto.
Non va tuttavia lasciato questo quartiere senza
aver ricordato come, attraverso campionature,
analisi (prontamente realizzate ad Ankara da K.
9. Complesso
della Porta Est:
materiali dal
pozzo
4
Türeli) e rilievi (di M. Manara), si sia avviato
anche lo studio del pavimento in lastre marmoree
policrome dell’aula absidata che, in una delle
fasi più recenti del ginnasio, corrispose al suo
lato orientale.
Va ricordato, infine, come le indagini sulle tipologie tombali iasie (da tempo intraprese da
O. Henry) abbiano acquisito nuovi dati grazie
allo scavo di una delle sepolture a camera della
necropoli settentrionale, depredata ab antiquo.
Ne avevamo iniziato la pulizia già qualche anno
addietro, tralasciandone tuttavia il completo
svuotamento. La singolarità della costruzione sta
nell’apparente contrasto tra il ‘rozzo’ sistema di
copertura (enormi lastre di scisto sommariamente lavorate) e il nitido apparato dei blocchi che,
all’interno del piccolo vano, rivestono le pareti.
Anche in questo come in altri casi analoghi, i
materiali rinvenuti, poco rappresentativi (salvo,
probabilmente, una moneta) e poco numerosi,
offrono un supporto alla datazione assai incerto.
iii
Nei restauri, eseguiti da M. Siboni (Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia e
Romagna) e da T. Pasies Oviedo, sono state ‘fissate’ al supporto murario delle pareti le irregolari
sezioni di affreschi della chiesa lascaride (lato
orientale della penisola) e si è consolidato
e integrato il grande clipeo del tessellato
pavimentale del vano orientale della ‘Casa
dei Mosaici’, estendendo contestualmente
ad alcuni settori dell’adiacente pastas le
prove di riempimento delle lacune.
Importantissimo complemento che va a
integrare i molteplici lavori intrapresi (di
scavo, di studio) e che sarà certamente di
supporto anche al prosieguo dei restauri
e al loro monitoraggio, è stata la nuova e
capillare campagna di rilevamento della
scavo del 2003 nella ‘Casa dei Mosaici’: il lavoro
è stato condotto dai colleghi del Dipartimento
di Scienze Archeologiche della Università di
Cagliari, ossia da S. Angiolillo, L. Leurini, R.
Carboni, E. Cruccas, M. Giuman, M.A. Ibba. Si
è dato l’avvio all’analisi delle ceramiche bizantine
(C. Cincotti).
Supporto imprescindibile a tali attività sono
stati i disegni dei materiali, realizzati da C.
Cincotti, L. Ruffoni, M.A. Spolverin, e le loro
riprese fotografiche, dovute, come di consueto,
a D. Baldoni.
10. Chiesa lascaride:
il consolidamento degli
affreschi parietali
‘Casa dei Mosaici’, realizzata da S. Bertocci, M.
Cannoni, M. Cornieti e M. Tiefenthaler (Dipartimento di Progettazione dell’Architettura,
Università di Firenze).
Alla pulitura, alla cernita e all’incollaggio di
alcune forme vascolari (una cinquantina) tra
quelle provenienti dallo svuotamento del pozzo
e individuate come le più rappresentative è stato
chiamato M. Ekinci.
iii
11. ‘Casa dei Mosaici’, vano
orientale: ricostruzione del
tappeto musivo centrale
Infine gli studi: N. Momigliano (Università di
Bristol), nelle battute finali del lavoro di analisi
delle fasi dell’insediamento risalenti all’età del
bronzo medio e tardo, ha avuto l’ausilio di C.
Knappert (Università di Exeter).
È proseguito il censimento dei materiali provenienti da un gruppo di sepolture a camera
di periodo tardo classico ed ellenistico (D.
Baldoni), delle importazioni attiche a figure
rosse (F. Berti) e delle associazioni (vasellame
importato, coroplastica) presenti nel santuario
di Demetra e Kore (A. Romualdi). È stato analizzato e schedato il materiale proveniente dallo
12. ‘Casa dei Mosaici’,
vano orientale: il tappeto
musivo centrale ricostruito
Il nostro ringraziamento e la nostra gratitudine vanno a quanti, con il loro contributo finanziario,
hanno consentito la realizzazione dei lavori della Missione Archeologica di Iasos, alla quale il Ministero
per la Cultura e il Turismo della Repubblica di Turchia, nella persona del Direttore Generale dr. Nadir
Avci, ha confermato, anche per la campagna 2004, il proprio consenso:
• al Ministero per gli Affari Esteri,
• al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca,
• all’Institute of Aegean Prehistory, Philadelphia (USA),
• alla University of Bristol (UK),
• ad Alvaro Orpelli della Cava S. Nicolò S.r.l., Ferrara,
• al Lion’s Club di Codigoro (Ferrara),
• alla FAR Film S.r.l., Codigoro (Ferrara),
• alla Associazione Lombarda Archeologica (A.L.A.), Milano,
• all’Associazione Iasos di Caria.
5
La campagna di
ricognizione del 2004:
la cinta di terraferma e
l’Akarca Tepe
di Raffaella Pierobon Benoit
1. Pianta della cinta di terraferma
I
l territorio di Iasos appare disseminato di
strutture difensive, varie per forma, tecnica,
e, per quanto è possibile stabilire in base ai ritrovamenti di superficie, anche per cronologia, definibile tra l’età arcaica e la tarda età ellenistica.
Il fatto che tali costruzioni siano così numerose
pone una serie di problemi interpretativi, di cui
il principale è, evidentemente, quello della loro
effettiva funzione, e più in generale, dell’esistenza
2. Cinta di terraferma:
particolare della torre
riutilizzata come muro
della stalla
di un sistema capillare di controllo del territorio,
sviluppatosi e perfezionatosi nel tempo.
Proprio per cercare di riconoscere la logica di
questo sistema, molto spazio è stato dedicato,
nelle ultime campagne, all’analisi dei cosiddetti edifici lelegi, e delle cinte fortificate, cui si
sono aggiunte torri isolate (Pierobon 2003), e
nel 2004, alla più importante opera difensiva
conosciuta, nota come cinta di terraferma, che
ha riservato una serie di interessanti novità che
qui si presentano, rimandando ad altra sede la
considerazione del problema generale.
Molto ben conservata per lunghi tratti, la cinta
è stata vista e descritta con notevole accuratezza
6
fin dalle prime esplorazioni del sito, nel ’700.
Grazie alle notizie e ai documenti – disegni e
fotografie – pubblicati nel tempo, e in parte
riprodotti sulle pagine di questo Bollettino a cura
di P. Belli, questa importante opera è rapidamente entrata nel dibattito scientifico sul mondo
antico, in relazione ai temi della difesa, e più
specificamente delle tecniche poliorcetiche, ma
anche in rapporto al complesso problema delle
relazioni tra coloni e popolazioni indigene,
nel caso specifico carie e/o leleghe, suscitando opinioni assai diversificate.
Uno dei primi problemi che si pongono
agli studiosi riguarda il circuito stesso
dalla fortificazione, che cinge la sommità
dell’Akarca Tepe, ad una quota pressoché
costante, all’incirca a 2/3 dell’altezza della
collina. Il muro è molto ben conservato sul
versante settentrionale, mentre la prosecuzione sul versante meridionale, prospiciente il mare, è stata fino ad oggi rintracciata
solo in piccola parte (von Gerkan 1924,
p. 115, n. 1; Tomasello in stampa).
Come abbiamo potuto constatare nelle prospezioni effettuate la scorsa estate, le mura, con una
lunghezza totale di 2500 m, si rintracciano, sul
versante nord, solo a partire dal limite dell’espansione attuale del villaggio di Kıyıkışlacık; qui,
usato come muro di una stalla, di recente costruzione, se ne può osservare il primo troncone,
ben riconoscibile per la caratteristica opera muraria a grossi blocchi sbozzati, e probabilmente
pertinente ad una torre; non se ne conserva la
connessione al muro vero e proprio, visibile comunque a pochi metri di distanza, e conservato,
in questo primo tratto, solo per pochi filari di
altezza. Da questo punto, al momento ancora
3. Una delle torri
prospicienti la valle
del Batmaz Dere, con
finestra e feritoia
non interessato dall’espansione moderna, il
muro è conservato, in direzione ovest, in perfetto
stato, raggiungendo nel tratto più occidentale
fino 3,80 m in elevato. Seguendo l’andamento
della collina il tracciato forma quindi un angolo chiaramente riconoscibile, proseguendo
verso nord e dopo aver superato il letto di un
torrente, risale sul versante opposto, dove se ne
ritrova il secondo tratto, sempre ad andamento
est-ovest. È possibile che l’attuale interruzione
del tracciato sia dovuta proprio alla presenza del
torrente, cui si aggiunge l’uso, almeno parziale,
dei grossi blocchi nei moderni muretti divisori
delle proprietà, e di contenimento delle acque
del torrente stesso.
A 600 m circa, il muro forma un secondo, deciso
angolo in direzione nord, e, seguendo il profilo
della collina, piega poi, con un’ampia curva, verso sud/sud-est, fronteggiando il Mezar Boğazı.
In quest’ultimo segmento il muro è a tratti
parzialmente crollato, forse per una diversità
della messa in opera originaria,
forse per vicende di spoliazione,
apparentemente non moderne.
La presenza di una fitta vegetazione, unita alla mancanza di
tempo, ci hanno impedito di
proseguire la ricerca sul versante
meridionale della collina, punto
cruciale per la ricostruzione della
struttura. Su questo lato indicazioni provengono, da ultimo,
dallo studio di F. Tomasello, che
ne ha riconosciuto un segmento,
prospiciente il mare, in corrispondenza di alcuni edifici lelegi,
ed ha confermato l’appartenenza
alla struttura dell’angolo individuato dagli scavi
sul Mancarlı Burun (Levi 1969-1970, p. 526).
Il muro, a doppia cortina, è costruito con blocchi
di grandi dimensioni – decisamente più grandi
nella cortina esterna – , grossolanamente sbozzati, e messi in opera a secco, secondo assise che
risultano irregolarmente orizzontali. Le due cortine sono unite a distanze più o meno regolari
da blocchi trasversali. L’emplecton è di pietre di
dimensioni ridotte, frammiste a terra. I blocchi
poggiano direttamente sulla roccia, appena intagliata, secondo quanto è stato possibile osservare
nei saggi di scavo effettuati nel 1960 presso la
porta principale (Levi 1961-1962, p. 512).
Queste caratteristiche generali si ritrovano
lungo tutto il tracciato, anche se non mancano
differenze, nella disposizione dei blocchi e nelle
loro dimensioni, e nello spessore del muro, con
distanza variabile tra le due cortine (fra 1,75
e 2 m). Ciò fa pensare che, se com’è ovvio, il
progetto dovette essere unitario, l’esecuzione
4. Particolare di una
feritoia, dall’interno
7
5. Cinta di terraferma:
particolare della tecnica
costruttiva, con le due
cortine e l’emplecton
6. La cortina
dall’interno, con
una delle rampe
di accesso al
camminamento
dovette essere affidata a maestranze diverse. Il
muro non è continuo, ma è costituito da tronconi
che si collegano l’uno all’altro con un’accentuata
risega, con un tracciato definibile ‘a cremagliera’.
In corrispondenza della risega si apre una porta,
che risulta perpendicolare al tracciato, e quindi,
in qualche sorta, protetta. Allo stato attuale è
stata riconosciuta invece un’unica porta ‘frontale’, che si apre nel segmento che piega a nord,
subito dopo l’angolo, evidentemente per fornire
una supplementare protezione, oltre quella data
dalle tre feritoie affiancate sulla cortina a sud
dell’apertura, che è inoltre rientrante.
All’interno la presenza di rampe che si addossano al muro lascia ipotizzare un cammino di
ronda, che doveva portare l’altezza totale della
costruzione a 5 m (o secondo altri studiosi 8 m).
L’elemento più interessante, dal punto di vista
‘strategico’ è costituito dalle torri. A pianta semicircolare con lati rettilinei, con una sola eccezione, presentano tre accessi, rispettivamente
alle estremità, a ridosso della cortina e accessibili
dall’esterno, ed una, in posizione variabile – centrale
o laterale – consentiva
invece l’accesso interno, il
tutto per il piano inferiore.
Scale laterali portavano
al secondo piano. Cinque
finestre disposte a raggiera
completavano la struttura,
consentendo una completa
visibilità dell’esterno.
Le torri scandiscono tutto
il circuito: si appoggiano
alla cortina esterna, e sono
poste sempre all’incirca
alla metà dei segmenti di
muro. Delle 18 identifi-
8
cate dai precedenti studiosi
le prime 6, disposte sul primo tratto del circuito, fino
alla porta, sono ancora ben
visibili; a queste ne vanno
aggiunte, sullo stesso tratto,
altre due, non riconosciute
in precedenza probabilmente
perché conservate a livello
delle fondazioni e almeno in
parte coperte dalla vegetazione. Altre tre torri, così come
rilevato nella pianta dello Judeich (e nelle versioni successive), sono lungo il successivo
tratto in direzione nord, mentre sicuramente una si trova – e altre due sono
ipotizzabili – sull’ampio tratto ricurvo che segna
il passaggio al settore occidentale. Qui delle 7
torri identificate in precedenza se ne individuano solo 6, essendosi la nostra ricerca interrotta
prima dell’angolo in direzione sud, con la 18,
elementi anche questi non visibili, a causa della
vegetazione praticamente impenetrabile.
Il grande numero di aperture, inabituale per le
fortificazioni sia di tipo greco che cario, ha una
sua funzionalità dal punto di vista dei difensori: la facilità di uscita infatti rende possibili le
sortite, e del resto, se è vero che un alto numero
di aperture può essere, in teoria, utile anche al
nemico, la loro particolare disposizione, grazie
al sistematico arretramento del muro, ne facilita
invece la difesa.
È questa caratteristica dell’opera, unita al ruolo
che le torri hanno nell’uso dell’artiglieria, in
particolare le catapulte, ad aver fornito elementi utili per la datazione: questo grande circuito
difensivo, infatti, sembra costituire una sorta di
7. Tratto occidentale
del circuito, ben
visibile l’andamento
a cremagliera; sullo
sfondo l’edificio 28
applicazione dei precetti di Filone di Bisanzio
(79, 6), teorico e scrittore di cose militari, vissuto
nel III secolo d.C., data che costituisce quindi
un termine ante quem non.
Meno utile, viceversa, è l’analisi della tecnica
muraria, che può definirsi senza tempo, ricorrendo sia in costruzioni sicuramente più antiche,
sia in costruzioni più recenti.
Non sono viceversa dirimenti, a mio avviso, le
convulse vicende che hanno interessato la regione, la cui storia, considerata sui tempi lunghi,
vede un’ininterrotta serie di guerre, scorrerie,
successioni di poteri, dalla seconda metà del
V secolo a.C. alla costituzione della provincia
romana, dopo il 133, con un breve momento di
respiro al tempo dell’affermazione ecatomnide.
Non è un caso che proprio il collegamento con
un preciso evento storico ha per lungo tempo
complicato l’attribuzione cronologica del manufatto, che è variata dall’età arcaica (ipotesi
tuttavia rapidamente accantonata), alla fine del
V secolo, alla prima età ellenistica, al II secolo.
Sfortunatamente i sondaggi eseguiti nel 1960
non hanno fornito elementi dirimenti, e quelli effettuati nel 1970, con il
rinvenimento di 6 tombe dalla non
chiara relazione con la fortificazione,
hanno contribuito a riaccendere il
dibattito (Levi 1961-1962, p. 512;
1969-1970, pp. 526-527).
Neppure le indagini condotte nel
mese di settembre hanno fornito
elementi diretti per la datazione, in
quanto il materiale raccolto in superficie può indicare solo i periodi di
frequentazione dell’area, ma, come
si è visto, l’analisi dettagliata della
struttura sembra confermare le ipotesi che ne collegano la costruzione
al III secolo a.C.
Le ricognizioni hanno invece dato importanti
novità per quanto riguarda l’occupazione dell’area, che si è rivelata ricca di costruzioni sia
all’interno che all’esterno della cinta muraria,
fornendo elementi utili al riconoscimento della
funzionalità della fortificazione, ugualmente
oggetto fino ad ora di interpretazioni contrastanti.
Ci si troverebbe di fronte ad un insediamento
arcaico poi abbandonato in favore di quello insulare (Judeich, Jost) o, viceversa, si tratterebbe
di un “camp retranché des Lelèges” (secondo Ch.
Texier), o piuttosto vi si dovrebbe riconoscere
un ‘Gelandemauer’, vale a dire di una cinta fortificata per ospitare la popolazione – rurale? – in
caso di pericolo, o, più semplicemente, per una
guarnigione, a difesa, o, piuttosto per il controllo
militare del territorio, (Krischen, poi seguito da
Guidi, Akarca, Bean e Cook, fino a McNicoll).
La prima ipotesi è stata facilmente superata dal
tempo, e dai risultati degli scavi, che hanno dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che
il primo insediamento dei coloni greci – senza
9
8. Grande macina
all’esterno dell’edificio
lelego 28
9. Villaggio lelego sulla
sommità dell’Akarca
Tepe, all’interno della
cinta di terraferma
10. Uno degli edifici
quadrangolari
all’interno delle mura;
sullo sfondo la porta
vista dall’interno
voler risalire all’età del Bronzo – era sull’isola,
senza contare che le ragioni tecniche di ‘arcaicità’
del muro non sono più accettabili né accettate.
Anche la seconda, che si è fondata sull’erroneo
presupposto dell’assenza di abitati all’interno
della cinta, va oggi rivista, confermando quanto
già suggerito da D. Levi (1969-1970, p. 526) e
ignorato da studiosi successivi che continuano
a parlare di aree deserte (McNicoll 1997; Pimouguet-Pedarros 2000).
Le ricerche effettuate sui due versanti della collina, e in particolare quanto si è rilevato nell’ultima campagna, fanno piazza pulita, una volta
per tutte, di questa immagine negativa. L’ Akarca
Tepe, infatti, appare essere stata abbastanza densamente abitata, e su lunghi periodi.
Ad una fase più antica di occupazione sembrano
doversi attribuire, anche in assenza di materiali
datanti, le numerose capanne di tipo lelego, ritrovate in più punti della collina, sia all’interno che
all’esterno della cinta; l’anteriorità
di queste costruzioni, almeno in
un caso, è assicurata dal fatto che
uno degli edifici è stato tagliato
dal muro, che vi si sovrappone, e la
parte rimasta esterna sembra essere
stata utilizzata come torre. Non è
ancora possibile riconoscere una
precisa logica nella disposizione
spaziale di queste costruzioni, e
di eventuali relazioni reciproche,
mentre è possibile riconoscerne la
destinazione d’uso. Per lo più gli
edifici sono isolati, e si distribuiscono lungo il pendio, con due ec-
10
cezioni: un gruppo di quattro edifici occupa la
vasta area pianeggiante alla sommità dell’Akarca Tepe; qui, lo scavo eseguito nel 1960 (Levi
1961-1962, pp. 514-516), ha messo in vista la
pianta di uno degli edifici, tipicamente ovale, con
ingresso sul lato lungo, e una scala a chiocciola
per un secondo piano (edificio 28). La capanna
si addossa ad un basso muretto che delimita
un ampio spazio, probabilmente destinato ad
accogliere il bestiame, secondo lo schema tipico
dei “compound Anlage”; a breve distanza un più
piccolo ambiente, quadrangolare, forse destinato
a deposito, cui si addossa una grande pressa per
olio, elemento che fornisce la prova definitiva
della destinazione del complesso, evidentemente
legato ad attività produttive.
Molto meno conservate, altre due capanne, a
poca distanza, sembrano ripetere comunque lo
stesso schema, che si può riconoscere anche nella
quarta costruzione, molto meglio conservata, ma
il cui stato di crollo non consente più precise
osservazioni.
Un’immagine e un uso apparentemente diverso
forniscono invece le costruzioni, sempre di tipo
lelego – cioè sempre caratterizzate dalla muratura
pseudo poligonale -, ma a pianta absidata, e di
dimensioni decisamente minori, che si distribuiscono sul versante opposto, a mezza costa, con
ottima visibilità sul mare. Se ne sono individuate
6, collocate su strette terrazze rinforzate da muri
di terrazzamento, che sembrano costituire un
vero e proprio sistema: in questo caso ne sembra
indubbia, almeno come destinazione principale,
quella difensiva: è possibile che tale sistema sia
stato messo in opera prima della costruzione
della cinta, che le avrebbe successivamente
utilizzate.
Elementi relativi alla successiva frequentazione
della collina, sempre anteriormente alla costruzione
della cinta, vengono da
un’altra serie di abitati, individuati al margine della zona
di attuale urbanizzazione,
all’estremità orientale della
collina, ancora una volta
sui due versanti.
Sul versante meridionale,
in vista del mare, è stato
possibile localizzare topograficamente, l’abitato
segnalato da D. Levi (19611962, p. 513) corrispondente verosimilmente al sito 1.02): accanto ad una
serie di accumuli di pietre, probabili crolli di
abitazioni monocellulari, è ben conservata una
cisterna, grosso modo quadrangolare e con gli
angoli smussati, elemento tipico già per l’età ellenistica, mentre più antiche potrebbero essere
le tombe a cista scavate nella roccia, ricavate
ugualmente nei pressi. In questo caso abbiamo
solo un’indicazione generica di frequentazione,
mancando elementi precisi di riferimento alla
cinta, il cui tracciato, almeno ipoteticamente,
sembrerebbe tuttavia dover passare a monte di
queste costruzioni. Ben altra rilevanza ha un
altro insediamento, a sua volta connesso ad una
necropoli, individuato quasi al sommo della
collina, ma sicuramente rivolto al mare.
Nell’ampia area pianeggiante a sud, nell’area
definita Geçilmez Orman, si è individuato un
insediamento di notevole estensione (sito 7.04,
forse da identificare con l’altro agglomerato
messo in vista con un breve intervento di scavo:
Levi 1961-1962, p. 513) costituito da piccole
abitazioni, di cui si conservano nella maggioranza dei casi solo le fondazioni, che consentono
di riconoscerne tuttavia la pianta, rettangolare
o ovale, in generale monovano, e la tecnica
muraria abituale, di blocchi grossolanamente
sbozzati, messi in opera a secco. La copertura
doveva essere a spioventi, a giudicare dall’alto
numero di tegole rinvenute. In grande quantità
è presente anche ceramica, che copre un ampio
arco cronologico, almeno dal IV secolo a.C., fino
al I-II d.C. Si tratta in gran parte di ceramica
comune e di anfore, ma non è assente la ceramica
fine, come dimostrano i frammenti di un piede
di cratere attico.
Che si tratti di un vero e proprio abitato sembra
confermato infine dalla presenza di almeno due
cisterne. Verosimilmente collegate a questo abitato sono alcune tombe identificate sullo stesso
pianoro, e il più consistente nucleo di tombe a
camera conservate all’esterno della fortificazione,
in corrispondenza del primo tratto di mura.
Tombe, isolate o a piccoli gruppi si trovano,
sempre all’esterno, anche in corrispondenza del
tratto centrale della cinta.
Anche qui, la parte centrale dell’area è stata
occupata da abitazioni, attribuibili, sulla base
della ceramica raccolta, ad un arco cronologico
che va dall’età ellenistica alla prima età imperiale
romana. Le costruzioni sono prevalentemente
vicine ai tipi lelegi, a pianta ovale.
A differenza di quanto osservato a sud, dove
le costruzioni sono abbastanza ravvicinate, in
questa seconda zona appaiono invece piuttosto
isolate le une dalle altre. Anche in questo caso
il materiale raccolto in superficie – si segnala in
particolare un grosso contrappeso da frantoio
– testimoniano dell’uso agricolo degli impianti
individuati.
Nel complesso, quindi, l’area sembra essere stata
abitata per scopi ‘civili’ sia prima che dopo la co-
11
11. Frammenti del
cratere attico rinvenuto
nell’edificio 7b
12. Tomba a camera,
all’esterno della cinta
struzione delle mura. Resta da chiarire se, con la
costruzione della fortificazione, gli abitanti siano
stati, sia pure temporaneamente, ‘espulsi’, o se
abbiano conservato case e attività, in condizioni
di maggior sicurezza.
La presenza di abitanti all’interno della fortificazione, accanto a più o meno numerose guarnigioni, escluderebbe definitivamente l’ipotesi
dell’incompletezza del circuito avanzata in passato e giustificherebbe la grandezza della superficie protetta, che pure ha posto molti problemi
di interpretazione: la topografia della collina,
con le sue due cime, avrebbe infatti consentito
una costruzione difensiva di dimensioni ridotte,
ugualmente efficace per il controllo dei passaggi, e più facilmente difendibile da un ristretto
contingente militare.
Resta da chiedersi chi fossero gli abitanti di queste terre, e per quali motivi si sia resa necessaria
una difesa ‘parallela’ a quella urbana. Il problema, come aveva notato, sia pure con conclusioni
diverse, C. Franco, investe il problema del rapporto città/territorio, confermando l’importanza
di quest’ultimo per la sopravvivenza della città.
BIBLIOGRAFIA
& Akarca 1954 = A. e T. Akarca, Milas, Istanbul 1954.
& Bean, Cook 1957 = G.E. Bean, J.M. Cook, The Carian Coast. III, BSA, 52, 1957, pp. 100-106.
& Franco 1994 = C. Franco, Le mura di Iasos. Riflessioni tra archeologia e storia, REA, 96, 1994, pp. 173-184.
& Garlan 1974 = Y. Garlan, Recherches de poliorcétique grecque, Paris 1974.
& Von Gerkan 1924 = A. Von Gerkan, Griechische Städteanlagen, Berlin 1924.
& Judeich 1890 = W. Judeich, Iasos, AM, 1890, p. 137 ss.
& Jost 1935 = G. Jost, Iasos in Karien, ein antikes Stadtbild, Hamburg 1935.
& Lawrence 1979 = A.W. Lawrence, Greek Aims in Fortifications, Oxford 1979.
& Levi 1963 = D. Levi, Le due prime campagne di scavi a Iasos (1960-61), ASAtene, n.s. 23-24 (1961-62), 1963,
pp. 505-571.
& Levi 1972 = D. Levi, Iasos. Le campagne di scavo 1969-70, ASAtene, n.s. 31-32 (1969-1970), 1972, pp. 461532.
& McNicoll 1997 = A.W. McNicoll, Hellenistic Fortifications from the Aegean to the Euphrates, Oxford 1997
(rev. by N.P. Milner).
& Ober 1992 = J. Ober, Towards a Typology of Greek Artillery Towers: the First and Second Generations, (c. 375275 B.C.), in Fortificationes Antiquae, Ottawa Conference 1983 (S. van De Maele et J.M. Fossey edd.), Amsterdam 1992.
& Pimouguet-Pedarros 2000 = I. Pimouguet-Pedarros, Archéologie de la défense. Histoire des fortifications
antiques de Carie. Époques classique et hellénistique, Luxeuil-les Bains 2000.
& Radt 1977-1978 = W. Radt, Ein “lelegischer” Großbau bei Iasos, IstMitt, 27-28, 1977-1978, pp. 127-130.
& Winter 1971a = F.E. Winter, Greek Fortifications, Toronto 1971.
& Winter 1971b = F.E. Winter, The Indented Trace in Later Greek Fortifications, AJA, 75, 1971, pp. 413-426.
& Tomasello in stampa = F. Tomasello, ...Il giovane Anacharsis transitò da Iasos...,Appunti di una vecchia ricognizione del territorio, in Leggere un territorio: la Caria attraverso le recenti indagini archeologiche, Atti del Convegno
Internazionale (Napoli, 23-25 ottobre 2003), PP, LI, 1-2, 2005 in stampa.
12
Le cisterne di
Iasos: alcune
considerazioni
di Francesco Bosso
N
ella campagna di scavo 2003 è stata avviata
l’analisi delle strutture per l’utilizzo dell’acqua presenti nella penisola di Iasos, sulla base di
una bibliografia che ne analizza puntualmente
diversi singoli aspetti.
Oltre agli annuali resoconti di scavo, che
includono descrizioni di alcuni dei suddetti manufatti, sono pubblicati: un attento
studio dell’acquedotto romano della città
(Tomasello 1991) e due fontane iasie
inserite da Dorl-Klingenschmid nel suo
recente catalogo (Dorl-Klingenschmid
2001); nella Archeologia dell’acqua TölleKastenbein analizza bacini e canaline posti
fuori dalla Porta est (Tölle-Kastenbein
1990).
Un punto di osservazione a più vasta scala
ha potuto sottolineare una notevole varietà
non solo tipologica di queste strutture. Si
tratta, infatti, di manufatti realizzati per l’uso
di qualità differenti di acque, a partire da un
capillare sistema di smaltimento delle ‘acque
nere’; a questo si aggiunga la continuità di frequentazione della penisola, dalla quale deriva
un’organizzazione del sistema idrico variabile
nel tempo. Ad esempio, l’intenso sfruttamento
1. Cisterna interna al castello dell’acropoli (CAc1)
dell’acqua piovana, in età anche cronologicamente distanti, è testimoniato dalla presenza in più
punti del sito di numerose cisterne: attualmente,
tra le diverse tipologie esistenti, è infatti possibile
riconoscerne ventuno.
2. Cisterna CBE1, di
età tarda, con resti di
copertura a botte
L’uso sistematico di questa risorsa idrica diviene esigenza necessaria per la morfologia della
penisola di Iasos e sottintende che essa fosse
considerata a tutti gli effetti potabile.
L’antico empirismo in materia è sottolineato
dall’opinione discordante che emerge dalla
vasta letteratura che le fonti presentano in merito: l’interpretazione stessa del ciclo idrologico
naturale ha un contorto travaglio, che si
segue a fatica percorrendo il pensiero dei
classici.
Due autori quali Plinio il Vecchio e Vitruvio, tra gli altri, descrivendo i diversi
tipi di acqua, ci lasciano pareri differenti
su quella piovana, il cui uso è fortemente
sconsigliato da Plinio (Naturalis historia
XXXI, 31), mentre Vitruvio (De architectura VIII, 2,1) ne elogia le qualità.
Quelli sono anni ormai in cui coscienza e
conoscenza tecniche più evolute rendono
possibile la presenza nella maggioranza
13
3. Vista dall’alto della
cisterna CV4, formata
dall’unione di più
camere
4. Cisterna CTG1:
particolare degli strati
d’intonaco
delle città dell’impero romano di una rete idrica cittadina allacciata agli acquedotti, per cui
l’esigenza della costruzione di cisterne è soprattutto dovuta a una diversa gestione delle acque
pubbliche e private. La più elevata coscienza fa
però in modo che siano previsti dei sistemi di depurazione e pulizia, per un’acqua che in cisterna
risulta comunque stagnante: accorgimenti suggeriti dalle fonti stesse e che ritroviamo utilizzati
in diversi manufatti di Iasos.
Ma nella città caria è però, come detto, la morfologia del territorio a dettare nel corso del tempo
le necessità di sfruttamento delle acque. Sin dalle
sue prime fasi di vita è possibile pensare a una
chiara concentrazione delle cisterne nella parte
alta della città e in quella della punta a sud, zone
in cui risulta particolarmente difficile ricavare
acqua dai pozzi e in cui, pur dopo la costruzione
dell’acquedotto, le condutture a esso legate non
arrivano, anche per la scarsa portata del nuovo
impianto (Tomasello 1991).
Con ogni probabilità, gli sporadici casi di cisterne per acqua piovana presenti nella zona pianeggiante a nord della città fanno riferimento, per
5. Cisterna CTG1:
vista da est
14
riscontro tipologico con la grande cisterna posta
al centro della fortezza sull’acropoli (CAc4*), a
un periodo più tardo in cui si hanno necessità
pratiche diverse. I numerosi pozzi presenti nella
zona sono, infatti, chiusi da tempo e l’acquedotto
ha già perso ogni sua funzionalità. Si tratta di
due piccole costruzioni di forma rettangolare
(CPE1: 4.9x3.6 metri dimensioni interne; CBE1:
2.74x2.94 metri dimensioni interne. Fig. 2), realizzate in corsi successivi di blocchetti di scisto
e originariamente chiuse con una volta a botte,
posizionate rispettivamente: CPE1 a ovest dell’edificio triabsidato presso la porta est e CBE1
immediatamente a sud dell’area d’ingresso alla
così detta basilica presso la porta est (insieme
a Cac4, si tratta degli unici casi sicuramente
voltati a botte).
Nelle parti alte e a sud della città la cisterna per
l’acqua piovana rimane quindi a lungo l’unico
sistema di approvvigionamento idrico.
Si tratta per lo più, anche nel corso del tempo, di
strutture medio-piccole singolarmente riferibili
a un’abitazione (si veda il clamoroso esempio,
per continuità d’uso, legato alle parti sotterranee
della ‘Casa dei Mosaici’) o a nuclei residenziali,
con un posizionamento che sembra seguire i
diversi livelli di isoipse e suggerire, a uno studio più approfondito, la struttura e lo sviluppo
urbano del sito.
Tendenzialmente, anche in età romana, potremmo con ogni probabilità parlare di un uso
privato dell’acqua. Solo una di queste cisterne,
infatti, ha dimensioni e composizione tali da far
pensare a strutture pubbliche di raccolta: si tratta
di un edificio attualmente ancora non scavato
(CV4. Fig. 3) e posizionato a nord della ‘Casa dei
6. Cisterna CAc5:
affioramento delle
lastre
Mosaici’ su di uno sperone roccioso rivolto a est.
Esso è costituito da un insieme di cinque camere,
tre di queste risultano a muratura completamente
chiusa, ed esiste una fistula di terracotta per il
collegamento (diametro interno 11.5 cm) tra due
di questi vani.
Il collegamento tra i due ambienti richiama i sug-
gerimenti costruttivi di Plinio e Vitruvio, i quali,
per una maggiore salubrità, indicano entrambi di
costruire cisterne doppie o triple, per il decantare
delle acque nel passaggio dall’una all’altra (Plinio,
Naturalis historia XXXVI, 52; Vitruvio, De architectura VIII, 6, 14). Le tre camere hanno forma
rettangolare, con i lati più lunghi di circa 4.5
metri e un’altezza attualmente conservata di 2.8
metri. Anche per il fatto di non essere ancora
scavato l’edificio non consente ipotesi per la
sua copertura e per il suo sistema di raccolta,
ma fa comunque pensare a un sistema pubblico
in virtù della presenza sul lato sud, fronte est,
dei resti di una conduttura (diametro interno
8 cm) in terracotta per una possibile distribuzione esterna.
Altre strutture paragonabili a questa per
modalità costruttive fanno riferimento al
quartiere a sud del teatro, dove esistono al-
meno altre due cisterne a camera multipla, una
delle quali risulta essere sotterranea a una corte
interna di abitazione. Sono queste tutte cisterne
che hanno ormai assunto una forma di pianta
rettangolare ben regolarizzata, che si protrarrà
negli esempi più tardi di età bizantina presenti
nell’acropoli e nella basilica dell’acropoli. Quella
visibile esternamente è sita sulla terrazza superiore al quartiere scavato, con un lato di muratura
che appoggia direttamente alla roccia. Si tratta
di due camere tra loro ortogonali e chiuse, una
delle quali è divisa in due parti con la creazione
di una vasca di decantazione, collegata tramite
fistula (diametro interno 8 cm).
Le limitate dimensioni della struttura (non più
di quattro metri quadrati, l’unico ambiente completamente misurabile in pianta) fanno pensare
un uso esclusivamente privato di quest’acqua,
relativo probabilmente a una singola abitazione
costruita allo stesso livello.
La pianta rettangolare impone due tipi di soluzioni per la sigillatura degli angoli, usate entrambe anche in epoche diverse. L’una prevede
una smussatura che rende curvo l’angolo, l’altra
la creazione di un controspigolo sporgente a novanta gradi all’interno dell’angolo. Il trattamento
finale delle pareti è in spessi strati d’intonaco con
un rilevante uso di cocciopesto.
7. Cisterna CTG2:
particolare del
foro per l’ingresso
dell’acqua
8. Cisterna CTG2:
vista interna
15
9. Cisterna CTG2:
vista frontale da est
La continuità d’uso di queste strutture è poi
testimoniata dal sovrapporsi di successivi strati
d’intonaco, tecnica rintracciabile anche nelle
cisterne più antiche presenti nella parte alta
della città (fig. 1).
A est e a nord dell’acropoli è presente, infatti, una
serie di cisterne di forma irregolare con gli angoli fortemente smussati e scavate in parte nella
roccia. Si tratta di tre strutture, due delle quali
scavate negli anni ’60 (CTG1. Figg. 4-5, CTG2.
Figg. 7-9) a est dell’acropoli e una non ancora
scavata, posta a nord dell’acropoli e a ovest del
teatro (CAc5. Fig. 6). Esse sono chiuse superiormente con lastre in pietra piane (larghezza
costante di circa 140 cm), tra le quali è ricavata
un’apertura circolare che ne favorisce l’ingresso
dell’acqua piovana o diretto o per scorrimento
sulle lastre di pietra (CTG2. Fig. 7).
Sono cisterne delimitate verso valle da corsi
di pietra locale con uso di malta: la loro datazione risulta incerta, tranne che per una di
esse (CTG2), inserita nel terrazzamento a est
dell’acropoli e databile al IV sec. a.C. (Levi
1967).
L’acqua di questa cisterna riforniva le abitazioni
delle terrazze inferiori mediante una conduttura
ritrovata ancora in situ, a m 1,70 dal soffitto
(fig. 9).
* Le sigle fanno riferimento a una catalogazione alfanumerica con cui sono state individuate le strutture per la gestione delle acque della
città di Iasos. La prima lettera, C, indica il termine ‘Cisterna’, mentre le successive individuano l’area della città in cui la struttura è
situata: T= Quartiere a Sud del Teatro, V= Villa dei Mosaici, Ag= Agora, Ac= Acropoli, P= Propileo Sud, S= Punta Sud, PE= Porta Est,
AA= Santuario di Artemis Astias, ZM= Santuario di Zeus Megistos; BE= Basilica Est, CL= Chiesa Lascaride, TG= Terrazza Acropoli
e Cinta Geometrica.
BIBLIOGRAFIA
& Berti, Desantis 2003 = F. Berti, P. Desantis, Indagini subacquee a Iasos di Caria (Turchia), in A. Benini, M.
Giacobelli (edd.), Atti del II Convegno Nazionale di Archeologia Subacquea (Castiglioncello, 7-9 settembre 2001),
Bari 2003, pp. 21-34.
& Dorl-Klingenschmid 2001 = C. Dorl-Klingenschmid, Prunkbrunnen in Kleinasiatischen Städten,
München 2001.
& Levi 1967 = D. Levi, Le campagne 1962-1964 a Iasos, ASAtene, n.s. 27-28 (1965-1966), 1967, cc. 406-408.
& Levi 1969 = D. Levi, Gli scavi di Iasos, ASAtene, 45-46, n.s. 29-30 (1967-1968), 1969, cc. 557-559.
& Levi 1970 = D. Levi, Le campagne di scavo 1969-1970, ASAtene, 47-48, n.s. 31-32 (1969-1970), 1970, c.
474.
& Tölle-Kastenbein 1990 = R. Tölle-Kastenbein, Archeologia dell’acqua, Milano 1990.
& Tomasello 1991 = F. Tomasello, L’acquedotto romano e la necropoli presso l’istmo, Roma1991.
16
Tombes
hellénistiques à
Iasos (suite)
par Olivier Henry
1. Tombe T01 ‘Orologio’: seuil
E
n 2000 nous avions procédé à une reconnaissance des structures funéraires situées dans la
zone nord-est du site, autour de l’‘Orologio’1. Ces tombes sont connues depuis longtemps,
sans toutefois qu’une identification et/ou une chronologie précises aient pu être établies2. Un
premier sondage avait alors été mené dans une structure laissant apparaître un angle de mur
inséré dans un espace aménagé entre deux ressauts de la roche mère. Le tout était couvert d’un
couple de très grandes dalles grossièrement taillées. Le sondage, pratiqué au pied du mur, n’avait
malheureusement livré qu’un matériel très pauvre, difficilement identifiable.
Cette année il a donc été décidé de vider entièrement la structure. Deux jours ont été nécessaires
afin de nettoyer la chambre funéraire du remblai d’abandon/destruction qui l’avait aux trois
quarts comblée. Cette opération a
permis de mettre au jour les contours
très nets de la chambre funéraire et de
procéder à son analyse.
La tombe est aménagée dans une
cavité creusée dans la roche naturelle
affleurante au sol. Il est possible
qu’il s’agisse de l’élargissement d’une
formation naturelle. En effet, la légère
pente marquée par les dalles de sol
dans la chambre semble indiquer un
tassement du sous-sol qui ne doit
pouvoir s’expliquer que par la présence
d’un remblai rapporté. Il est donc
possible que la cavité originelle ait été
plus profonde que celle dans laquelle
s’est installée la structure funéraire. Le
caractère friable des roches formant
les parois latérales de cette vaine,
en masquant les éventuelles traces
d’outils, empêche de déterminer si
elles ont été retaillées.
La tombe est entièrement construite et
ses murs latéraux et du fond viennent
habiller et masquer le rocher naturel.
La chambre est de plan rectangulaire,
elle mesure 2,70 m sur 1,87 m et 1,62
m de hauteur maximale. Ses murs
sont composés de quatre assises très
régulières de 40-41 cm de haut. Ils
17
2. Tombe T01 ‘Orologio’:
plan et coupes
3. Tombe T01 ‘Orologio’:
vue générale
4. Tombe T01 ‘Orologio’:
chambre
5. Tombe T01
‘Orologio’: seuil
sont fondés sur de grandes dalles
schisteuses posées en travers de la
cavité.
Les blocs des murs ont été taillés
dans un calcaire très compact
jaune de bonne qualité. Bien que
l’on ne remarque pas de polissage
des faces antérieures il est clair
qu’un soin particulier a été porté
à l’assemblage des élévations qui
montre un très beau système de
joints alternés. Les blocs ne sont
pas liés entre eux, cependant des
nodules d’un mortier grossier ont
été mis au jour lors du nettoyage
de la structure entre les élévations de la chambre et le rocher naturel. Il est possible que cette
technique ait été utilisée pour renforcer la construction en améliorant l’adhérence du parement
au rocher.
Le plafond de la chambre était assuré par une dalle de dimensions très imposante, aujourd’hui
scindée en deux parties. Elles mesurent plus de 50 cm d’épaisseur et couvrent largement tout
l’espace définit par la chambre en surplombant très largement la façade de la structure. Cet
aménagement semble indiquer que la tombe devait être visible depuis l’extérieur et non remblayée.
Enfin il faut souligner l’importance de
la mise en œuvre lors de la conception
de cette structure. En effet, une dalle
semblable doit largement peser plus de
10 tonnes3.
L’entrée de la tombe, bien que
largement démontée, montre encore
très clairement de nombreuses traces
du système de fermeture. Le seuil est
très bien conservé. Il est taillé dans
un matériau analogue aux parements.
C’est le seul élément qui porte des
vestiges de scellement à travers deux
cavités rectangulaires, de 8 cm de côté
et 4 cm de profondeur, placées de part et d’autre de l’ouverture. Ces cavités disposent chacune
d’un canal d’écoulement permettant d’y fondre le plomb scellant les tenons métalliques, dont la
partie supérieure devaient s’insérer dans une mortaise creusée dans le lit de pose des montants
de la porte. D’autre part, entre les mortaises on note la présence de marques de levier ayant servi
à la mise en place des piédroits. Ceux-ci doivent avoir représenté une masse importante et donc
probablement taillés dans une seule pièce pour qu’un tel système ait été utilisé. Enfin, l’espacement
de ces marques qui devaient être
masquées après la pose des blocs,
nous permet d’estimer une largeur
de l’ouverture à environ 52 cm. Une
dernière cavité, circulaire, de 3 cm de
diamètre et de 0,5 cm de profondeur,
a été creusée dans la partie centrale
du seuil, entre les deux mortaises des
piédroits. Cette cavité semblerait, à
priori, correspondre au système de
verrouillage d’une porte pivotante à
deux vantaux. Cependant, il est clair
que les mortaises correspondent, par la
18
présence des canaux d’écoulement
et des traces de leviers, au scellement
d’un bloc taillé plutôt qu’à une
crapaudine. De plus, la largeur
de l’ouverture semble bien faible
pour que l’on y installe une double
porte. Enfin, l’absence de butée sur
le seuil ne cesse d’étonner si l’on
décide d’y placer un tel système
de fermeture. En l’absence d’une
autre interprétation possible, il nous
faut nous résoudre à envisager cette
cavité circulaire comme étant la base
d’un support renforçant une partie
haute de la structure (linteau ?).
Bien qu’une stratigraphie nette n’ait pu être mise en évidence, nous avons considéré trois niveaux
généraux dans les remblais: le premier correspond à la couche de surface, le second au corps
principal du remblai, le dernier au contact du sol de la chambre. Le matériel céramique, en
cours d’étude, n’a pas montré d’élément particulièrement significatif, si ce n’est un fragment de
céramique à vernis noir et une monnaie (en cours de restauration) dans le premier niveau de
surface. Ainsi, même si une datation sûre ne peut être établie, la présence des nodules de mortier
dans les niveaux inférieurs du remblai et dans l’espace séparant le parement des murs internes de la
paroi rocheuse nous incitent à proposer une période de construction de la structure autour de la fin
de la période hellénistique4. Cette chronologie apporterait un éclairage nouveau sur les nombreuses
interprétations proposées par les anciens voyageurs pour lesquels ce type de constructions utilisant
des éléments structurels massifs ne pouvaient, semble-t-il, que provenir d’un passé très ancien, et
relever d’une culture Lélège5. D’autre part, la localisation de cette structure, relativement éloignée
du centre urbain de Iasos, nous permet de reconsidérer l’emprise des nécropoles urbaines de la
ville, jusqu’ici limitées aux abords immédiats du mur d’enceinte6, et une extension sérieuse de ces
implantations vers l’est.
Sur cette structure, voir Masturzo 1998.
Une première opération avait été menée par Berti 1994.
3
La densité du calcaire varie de 2,6 à 2,7.
4
Les efforts développés pour la mise en œuvre de cette tombe s’accordent mal avec la pleine période romaine durant
laquelle on aura préféré, pour un même coût de construction, un monument plus ostentatoire.
5
Voir par exemple Texier, Pullan 1849, p. 140.
6
Voir Levi 1964, ou encore Tomasello 1991.
1
2
BIBLIOGRAPHIE
&Berti 1994 = F. Berti, Iasos 1993, 16. Kazı Sonuçları Toplantısı (Ankara 1994), Ankara 1995, pp. 338-339.
&Levi 1964 = D. Levi, Le oreficerie di Iasos, BdA, IV, 49, 1964, pp. 199-217.
&Masturzo 1998 = N. Masturzo, Il restauro della tomba monumentale chiamata ‘Torre dell’Orologio’, Bollettino
dell’Associazione Iasos di Caria, 4, 1998, pp. 8-10.
&Texier, Pullan 1849 = Ch.Texier, P. Pullan, Description de l’Asie Mineure, vol. III, Paris: Firmin-Didot
frères, 1849.
&Tomasello 1991 = F. Tomasello, L’acquedotto romano e la necropoli presso l’istmo, Roma 1991.
19
6. Tombe T01
‘Orologio’: angle nordest
Graffito cario su
piede di coppa
attica
di Fede Berti e Lucia Innocente
1. Iasos: ‘Area di Artemis Astias’
I
2. Piede di coppa attica
a vernice nera
l frammento di coppa attica a vernice nera inv. 7402 è stato ritrovato nel 1971 nella cosiddetta
‘Area di Artemis Astias’, nello scavo della “Trincea a nord di π, portico est”, a una profondità
compresa tra m -0,30 e m -0,75. È conservato per un’altezza di cm 2; il diametro ricostruito del
piede è di cm 5. Le lettere graffite sono di cm 0,4/0,5.
Il frammento comprende un tratto di piede e di parete; il piede è ad anello e ha parte poggiante e
fondo risparmiati. Al centro di quest’ultimo è riconoscibile un cerchiello a vernice nera.
Il frammento appartiene a una ‘stemless cup’, una tazza che, creata nella seconda metà del V sec. a.C.
e in voga sino al primo quarto del IV, ebbe nell’ultimo quarto del V secolo il periodo di maggiore
diffusione.
Privo com’è di un importante connotato quale è il labbro, esso non può trovare confronti tra il
materiale dell’agora di Atene. Tuttavia, per il peculiare raccordo piede-vasca si veda B.A. Sparkes,
L. Talcott, The Athenian Agora, XII, Black and Plain Pottery of the 6th, 5th and 4th Centuries BC,
Princeton-New Jersey 1970, p. 98 ss.: di datazione troppo alta i nn. 469, 470 e 472, tav. 22; con
profilo diverso, di maggiore dimensione e parete
più spessa il n. 474 (‘plain rim’, tra il 460 e il 450,
tav. 22, fig. 5); con stampiglie e con parte interna
al piede diversamente decorata il n. 481 (tav. 22,
del 425 a.C.: ma qui il raccordo ha un’altra articolazione).
Si dovrà infine osservare che se gli anni successivi
al 440 a.C. parrebbero inadeguati a costituire una
nicchia cronologica corretta in quanto sul pezzo
non compaiono quelle stampigliature divenute da
allora in poi usuali, è proprio la restante ceramica attica a vernice nera trovata in associazione con il
frammento a far sì che si possa far risalire la sua presenza a Iasos al periodo compreso tra lo scorcio
del V secolo a.C. e gli inizi del secolo successivo.
Sulla base della datazione suggerita dall’archeologia, la coppetta viene pertanto ad aggiungersi a quei
reperti vascolari iasei iscritti più ‘recenti’ – come lo skyphos a vernice nera (inv. 6422) e un’altra
coppa attica a vernice nera (inv. 2545) – i quali hanno come limite inferiore il V secolo a.C.
Sul piede del reperto si distingue nitidamente un graffito di tre segni, ascrivibili all’alfabeto cario:
la scritta parrebbe costituita da queste tre sole lettere, dato che sembrano distanziate regolarmente,
anche rispetto alle estremità.
3
20
2
1
Pare condotta in senso sinistrorso, dal centro del basamento verso il bordo, come indica l’orientamento del terzo segno, e va letta assumendo come base la parte integra del vaso, in quanto, in
caso contrario, il primo segno risulterebbe palesemente rovescio. È in qualche modo significativo
che esso, nei 6 esempi finora attestati, compaia ben 3 volte ad inizio certo di parola dopo segno
separatore. Peraltro il secondo segno, per la brevità dell’asta centrale, non potrebbe, in posizione
rovesciata, essere letto come segno a freccia (40 Masson).
La funzione del graffito non è ricavabile, tuttavia una relativa cura nella definizione delle lettere
parrebbe suggerire un tracciato anche se estemporaneo, abbastanza sorvegliato.
Il primo segno è il più interessante e singolare. Abbastanza nitido nella sua definizione grafica, va
3. Piede di coppa attica
a vernice nera con segni
graffiti
con ogni probabilità identificato col segno 41 della numerazione Masson, in quanto non sembra
si debba attribuire valore grafico, per evidente difformità di tratto, al lieve segno superficiale che si
intravede a congiungimento delle due aste parallele. Ad ogni buon conto, una iscrizione su pietra,
la prima in cario recentissimamente venuta alla luce a Mylasa, attesta per ben 8 volte proprio il
, che peraltro è da ritenere una variante dello stesso.
segno
Per quanto attiene al valore fonetico dei tre segni, il 41 è ritenuto da Adiego come un fonema vicino
ad /u/ e viene trascritto convenzionalmente con <ü>; si propende a considerarlo come variante del
segno 5 <ù>. Al secondo segno (22 Masson), che in cario ha una frequenza abbastanza alta, è stato
ora attribuito il valore di /n/, mentre un tempo rispondeva al valore di /k/; l’ultimo grafema, nella
trascrizione Adiego, è considerato un allografo della sibilante reso con š.
I tre segni di per sé non risultano comparire altrove nella medesima sequenza. Tuttavia, se si condera
la ü come variante epicorica di ù, la sequenza ünš della coppetta di Iasos verrebbe a corrispondere
ad -ùns, in cui si è voluto riconoscere un suffisso –ùn – per cui cfr. luvio wani(i) – formante etnici
e attestato nella forma kbdùnš (acc. pl., essendo kbdùn = ‘caunio’) nella ‘nuova’ bilingue di Cauno. C’è peraltro da tenere in considerazione il fatto che, trattandosi secondo questa ipotesi di un
morfema, non si vede dove potesse essere, nel reperto in questione, posizionata la imprescindibile
base onomastica.
La particolarità della scritta iasea consiste comunque nell’attestare, sia pure su un reperto asportabile, la presenza di un segno di per sé raro, che viene così a confermarsi tipico e finora esclusivo
delle varietà epicoriche occidentali dell’alfabeto cario – Sinuri, Kildara, e appunto ora anche Iasos
e, nell’allografo indicato, Mylasa – , rimanendone estranea l’attestazione a Cauno.
BIBLIOGRAFIA
&I.-J. Adiego Lajara, La neuva bilingüe greco-caria de Cauno y el desciframiento del cario, AulaOr, 16, 1998, pp.
5-26.
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- New-York 1998, pp. 137- 142.
&W. Blümel, A. Kızıl, Eine neue Karische Inschrift aus der Region von Mylasa, Kadmos, 43, 2004, 131-138.
&L. Deroy, Les inscriptions cariennes de Carie, AntCl, 24, 1955, pp. 305-335.
&O. Masson, Carian Inscriptions from North Saqqâra and Buhen, London 1978.
21
Les étrangers à
Iasos au debout
de l’époque
hellénistique
par Fabrice Delrieux
1. Iasos: plaque en marble avec inscription funéraire
(D. Levi, G. Pugliese Carratelli, Nuove iscrizioni di Iasos, in
ASAtene, 23-24, 1963)
E
n 1997, a été réalisée par nos soins une étude des étrangers présents à Iasos au IIe s. a.C.
(Delrieux 2001, p. 137-155). Il nous avait été alors possible de suivre, sur près d’un siècle,
des mouvements de populations aux amplitudes très irrégulières, la cité ayant été particulièrement
visitée vers le milieu de la période. L’abondance du matériel consulté à cette occasion nous avait
amené à réfléchir sur la présence des étrangers à Iasos à d’autres époques. Ainsi avons-nous pu
remonter à une loi iasienne de la fin du Ve s. a.C. nommant les parts auxquelles le prêtre de Zeus
Mégistos avait droit dans les offrandes faites au dieu par les citoyens, les étrangers (de passage?) et
les métèques (IK 28, 220). Si les informations deviennent plus précises au début du siècle suivant,
ce n’est qu’à la fin du IVe s. a.C., voire au début du IIIe, que le nombre des étrangers mentionnés
dans les inscriptions d’Iasos est suffisamment important pour que l’on puisse envisager une étude
d’une certaine ampleur. Celle dont nous présentons les grandes lignes dans le Bollettino a été réalisée
d’après 37 inscriptions dont le choix a reposé sur toute une série de paramètres que nous avons pris
le parti de ne pas exposer ici (publication à venir).
22
Le tableau qui suit dresse l’inventaire de ces étrangers du début de l’époque hellénistique en donnant
successivement, quand ils sont connus, leur lieu d’origine (par ordre alphabétique des cités ou des
régions), puis leur nom, enfin les références aux inscriptions auxquelles ils appartiennent.
Tous les textes sélectionnés, quand ils sont suffisamment bien conservés, ont notamment pour
point commun d’être des décrets honorifiques votés le plus souvent pour des raisons dont le détail
nous échappent aujourd’hui, à l’exception de cinq, voire six cas. Le premier renvoie à Eupolémos
fils de Pôtalos (IK 28, 32), Macédonien qui, dans les années 315-313 a.C., fut très probablement
stratège et épimélète du roi Cassandre en Carie et en Lycie (Descat 1998, p. 167-190). Dans les
deux cas suivants, Aristodémos et un inconnu (IK 28, 33 et 34) sont honorés comme soldats ayant
eu la charge de défendre le territoire iasien contre un ennemi indéterminé (sur Aristodémos, cf.
par exemple Robert 1936, p. 75-76). Dans le quatrième cas (IK 28, 43), les Iasiens expriment leur
reconnaissance à Hermophantos de Call... pour avoir sauvé “nombre de citoyens des plus grands
dangers” sans qu’on nous dise malheureusement de quelle nature ils étaient. Dans le cinquième
Lieux d’origine
A... (Macédoine)
Athènes
Athènes
Call...
Callipolis
Caunos
Gomphoi
Halicarnasse
Halicarnasse
Hydisos
Macédoine
Méliboia
Milet
Rhodes
Rhaucos
Théangéla
Zacynthos
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
Noms
?
Aristonicos fils de Théopropos
Glaucos fils de Théopropos
Hermophantos fils de Nouménios
?
Hestiaios fils de Boiscos
? fils de Mélanops
Antiochos fils de Bricôn
Ménodôros fils d’Iatroclès
Théophilos fils d’Iatragoras
Eupolémos fils de Pôtalos
Theuclès fils de Thersias
Antipatros fils de Léôn
Athénagoras fils de Téléias
Théodôros fils de Sôtadès
Ményllos fils de Nossos
Xénoclès fils de ?
Aristodémos fils de ?
Callias fils de ?
Diodôros fils d’Héracleidès
Héliodôros fils d’Héracleidès
Mélésias fils de Strombichos
Théodôros fils d’Hégyllos
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
?
Références
IK 28, 60, l. 7-8
IK 28, 42, l. 4
IK 28, 42, l. 3-4
IK 28, 43, l. 1
IK 28, 59, l. 8-9
IK 28, 45, l. 5
IK 28, 57, l. 4-5
IK 28, 37, l. 5
IK 28, 48, l. 4-5
IK 28, 56, l. 6-7
IK 28, 32, l. 5
IK 28, 54, l. 4-5 et 8
IK 28, 39, l. 6
IK 28, 40, l. 4-3
IK 28, 53, l. 5
IK 28, 50, l. 4
IK 28, 27, l. 4-5
IK 28, 33, l. 4
IK 28, 46, l. 2
IK 28, 41, l. 5
IK 28, 41, l. 5
IK 28, 47, l. 3
IK 28, 52, l. 5
IK 28, 31
IK 28, 34
IK 28, 38
IK 28, 44
IK 28, 49
IK 28, 55
IK 28, 61
IK 28, 62
IK 28, 63
IK 28, 64
IK 28, 65
IK 28, 67
IK 28, 68
IK 28, 69
IK 28, 70
IK 28, 71
23
2. Iasos: petite stèle en
marble
(D. Levi, G. Pugliese
Carratelli, Nuove
iscrizioni di Iasos,
ASAtene, 23-24, 1963)
cas (IK 28, 54), Theuclès de Méliboia fait
l’objet d’un décret voté en son honneur pour
avoir notamment pris soin des Iasiens se rendant dans sa cité. Enfin, dans le sixième cas
(IK 28, 70), l’étranger cette fois encensé,
d’après les quelques indices que le texte le
mentionnant a conservés de lui, devait être,
selon J. et L. Robert (1971, p. 622), “un
grand personnage, quelque fonctionnaire
royal ”. Partout ailleurs, les inscriptions
dont on peut encore lire les considérants
nous apprennent, sans plus de précision,
combien les étrangers à l’honneur furent
bons, voire empressés, envers la cité et ses
habitants. Plus variées en revanche sont les
récompenses qu’on leur a accordées.
Objets de la reconnaissance des Iasiens, les
étrangers concernés reçoivent le plus souvent, en même temps que leurs descendants
en général, la citoyenneté (avec inscription
dans une tribu et une “patrie” [pour phratrie] d’après IK 28, 47, l. 4), le titre de proxène (ainsi dans IK 28, 45, l. 7-8), une place d’honneur
lors des concours organisés par la cité, à savoir les Dionysies (comme le précise IK 28, 43, l. 9-10),
ainsi que “le droit de débarquer et d’embarquer, en temps de paix à l’abri des saisies comme en temps
de guerre en dehors des conventions” (ainsi dans IK 28, 37, l. 10-1; traduction d’après Gauthier
1972, p. 221, et Gauthier 1985, p. 163). Leur sont également destinés l’atélie simple ou dont la
cité est maîtresse (comme dans IK 28, 42, l. 7, et 61, l. 5), signe de la dépendance des Iasiens au
moment où ils ont pris ce genre de décision, le titre de bienfaiteur et l’éloge public (ainsi dans IK
28, 56, l. 9 et 10). De manière cette fois exceptionnelle, on peut également accorder à l’étranger
méritant une couronne d’or (IK 28, 43, l. 4, pour services apparemment extraordinaires), le droit
de se présenter le premier devant le conseil et le peuple immédiatement après les affaires sacrées (IK
28, 44, l. 1), celui de posséder une terre et une maison (IK 28, 61, l. 2-3), ou encore peut-être celui
d’exercer une prêtrise, en l’occurrence celle de Zeus Idrieus et [Héra Ada ?] (d’après les restitutions
proposées dans IK 28, 52, l. 7-8).
Entre autres enseignements, ces honneurs montrent que beaucoup des étrangers les ayant reçus
ne résidaient sans doute pas à Iasos, contrairement à ce que l’on peut lire dans les inscriptions du
IIe s. a.C. Tel est ce à quoi nous invite le titre de proxène conféré à au moins 19 reprises. Dans les
textes iasiens de la fin du IVe/début IIIe s. a.C., ce titre va presque toujours de pair avec l’octroi de
la citoyenneté, ce qui en soi n’est pas surprenant. En effet, comme l’a souligné Cl. Vial (1972, p.
196), “à l’époque hellénistique, on confère souvent la proxénie et la citoyenneté en même temps:
tant que le personnage reste dans sa cité d’origine, il est proxène et le droit de cité qui lui a été
donné n’est que virtuel; s’il se fixe dans la cité qui l’a honoré, il devient réellement citoyen après
avoir fait les démarches administratives nécessaires, tout en conservant ses honneurs de proxène”.
Dans le même ordre d’idées, un décret d’Iasos stipule que l’étranger mis ici à l’honneur doit recevoir le droit de cité et celui de posséder des biens fonciers et immobiliers, comme si la jouissance
de l’un n’impliquait pas automatiquement celle de l’autre (IK 28, 61, l. 3). Dans un second texte,
il est cette fois indiqué que le bénéficiaire, fait également citoyen, doit être enregistré dans une
tribu et une patrie/phratrie, comme si, encore, cela n’allait pas de soi (IK 28, 47, l. 4). En fait, ces
précisions pourraient être rapprochées de mesures semblables votées ailleurs pour des militaires
et signifieraient une intégration dans le corps civique “effective et immédiate” plutôt que virtuelle
(Gauthier 1985, p. 203-204). Détail concordant, les étrangers mentionnés dans les inscriptions
n° 47 et 61 ne reçoivent pas le titre de proxène, signe qu’ils ne résident probablement plus dans
leur cité d’origine. Quoi qu’il en soit, si l’on examine les lieux d’origine des étrangers honorés par
les Iasiens, le tableau et la carte complétant cette étude montrent qu’ils correspondent d’abord à
des cités installées dans la région d’Iasos : Caunos (1 ressortissant), Halicarnasse (2), Hydisos (1),
24
Milet (1), Rhodes (1) et Théangéla (1). Une telle proximité géographique, que l’on perçoit aussi
dans la mention d’Iasiens hors de leurs patrie (1 à Didymes [Didyma II, 483] et peut-être 1 à Samos
[Habicht 1957, p. 194, 26]), s’inscrit parfaitement dans la continuité de ce que l’on peut déjà
constater dans la première moitié du IVe siècle. En effet, quelques décrets de cette époque, votés
également en l’honneur d’étrangers, nous apprennent que ces derniers (quand le lieu d’origine peut
être identifié) viennent tous de cités cariennes: Chalcétor (1 ressortissant [Pugliese Carratelli
1985, p. 153.a]), Cnide (1 [ibid., p. 153.c]), Eurômos (1 [ibid., p. 153.b]) et sans doute Mylasa (3
[ibid. p. 155, et Pugliese Carratelli 1987, p. 290.a]; sur un site au nom aujourd’hui perdu,
cf. IK 28, 66). La nouveauté à la fin du siècle tient à ce qu’une partie significative des étrangers
mentionnés à Iasos vient également de régions embrassant désormais tout le bassin égéen, voire
davantage. Ainsi rencontre-t-on des gens de cités sises dans les détroits (Callipolis: 1 ressortissant),
en Crête (Rhaucos: 1), en Macédoine (sites inconnus: 2) et surtout en Grèce d’Europe (Athènes [2],
Gomphoi [1], Méliboia [1] et Zacynthos [1]). Un tel élargissement peut aussi se mesurer à travers
les mentions contemporaines d’Iasiens hors de la Carie: 1 à Délos (IG XI, 4, 529), 3 au Pirée (IG
II, 3, 3036) et un nombre indéterminé à Méliboia (IK 28, 54).
Si tous ces témoignages sont bien datés, cette ouverture au monde, préfigurant celle, plus large
encore, du IIe s. a.C., se situe à un moment troublé de l’histoire d’Iasos. En effet, après le calme
apparent des années passées sous le règne d’Alexandre le Grand, la cité vécut d’abord sous la domination du satrape Asandros (Diodore, XIX, 75, 1) avant d’être conquise en 313 par Antigone
le Borgne qui y plaça une garnison (ibid., XIX, 75, 5). Celle-ci tint la ville jusqu’en 309, date de
l’arrivée des troupes de Ptolémée d’Égypte qui semble encore contrôler le pays vers 300 (IK 28, 2
et 3). Comme on peut le constater, ces tensions, certes parfois violentes, ne furent qu’épisodiques
et, de fait, ne sauraient avoir pénalisé durablement les liens d’Iasos avec l’étranger.
BIBLIOGRAPHIE
� Delrieux 2001 = F. Delrieux, Les étrangers dans l’épigraphie iasienne du IIe siècle a.C., in A.
Bresson, R. Descat, Les cités d’Asie Mineure occidentale au IIe siècle a.C., Collection “Études”, 8,
Bordeaux 2001, p. 137-155.
� Descat 1998 = R. Descat, La carrière d’Eupolémos, stratège macédonien en Asie Mineure, REA, 100,
1998, n° 1-2, pp. 167-186.
� Didyma II = A. Rehm, Didyma. II. Die Inschriften, Berlin 1958.
� Gauthier 1972 = Ph. Gauthier, Symbola. Les étrangers et la justice dans les cités grecques, Annales
de l’Est, 42, Nancy 1972.
� Gauthier 1985 = Ph. Gauthier, Les cités grecques et leurs bienfaiteurs (IVe-Ier siècle avant J.-C.).
Contribution à l’histoire des institutions, BCH, suppl. XII, 1985.
� Habicht 1957 = Chr. Habicht, Samische Volksbeschlüsse des hellenistischen Zeit, AM, 72, 1957, p.
152-274.
� IG XI, 4 = P. Roussel, Inscriptiones Graecae, XI.4: Inscriptiones Deli liberae, Berlin 1914.
� IG II, 3 = J. Kirchner, Inscriptiones Graecae, II.3: Inscriptiones Atticae Euclidis anno posteriores, fasc.
2, Berlin 1940.
� IK 28 = W. Blümel, Inschriften griechischer Städte aus Kleinasien, 28: Die Inschriften von Iasos, Bonn
1985
� Pugliese Carratelli 1985 = G. Pugliese Carratelli, Cari in Iasos, RendLinc, 40, 1985, p. 149155.
� Pugliese Carratelli 1987 = G. Pugliese Carratelli, Ancora su Iasos e i Cari, RendLinc, 42,
1987, p. 289-292.
� Robert 1936 = L. Robert, Collection Frœhner, I: inscriptions grecques, Paris 1936.
� Robert 1971 = J. et L. Robert, Bulletin épigraphique, REG, 84, 1971, p. 397-540.
� Vial 1972 = Cl. Vial, Lexique d’antiquités grecques, Paris 1972.
25
Ancient Carians and
Their Language: an
Unsolved Mistery
by Abuzer Kızıl*
1. Coin with shield
D
2. According to the Greek
sources, the Carians are
the natives of mainland
and they migrated to the
Aegean islands
uring the antique age, the Carians lived in the Southwestern corner of Anatolia. They lived
in the region enclosed by the river Maiandros (Büyük Menderes) on the north, by Babadağ,
Honozdağ, and Bozdağ mountains on the east, by Dalaman creek on the south, and by the Aegean
sea on the west. This area was called the Carian region1. To be sure, we still don’t know how the
‘Carians’ called themselves in their own language or literature2.
Ancient Greek sources considered the Carians, together with the Leleges and the Pelasgians, as one
of the oldest nations of Anatolia3 (fig. 2).
According to Herodotus, the Carians came to mainland from the Aegean islands4 (fig. 3). On
the other hand, Herodotus says that the Carians rejected this origin, claiming that they were
indigenous of the mainland5. Carians did not pay tribute to king Minos, they only used to send
sailors when he needed. Due to the fame of the mythical king of Crete, Minos, Carians were
considered as the most famous and crowded nation. Homer, in his well-known epic, states the
following for Carians:
“Nastes led the rude talking Carians. They lived in Miletus, on Phtiron mountain which has
plenty of leaves and on the coasts of Maiandros, and the skirts of the high-peaked Mycale.”
Homer, in these lines, claims
that the Carians were a nation
with an Asian origin, living near
Miletus and Mycale mountains
of Western Anatolia (fig. 4).
They fought in Troy as the allies
of king Priamus6. This idea is
supported by Herodotus who
said that in the cities of Miletus,
Myus and Priene people used
a common language, possibly
Carian7. Strabo of Amasia,
following Homer8, states that
the Leleges and the Carians
were different nations, but,
because of their wars abroad,
they spread and lost their ethnic
identity9 (fig. 5). Here are some
of Starbo’s statements about the
Carians:
“The Carians lived under the
rule of king Minos. They were
called at that time Leleges
and they lived in the islands.
26
3. According to
Herodotus, the Carians
came to mainland from
the Aegean islands
Afterwards, they migrated to the mainland and invaded the most parts of the coast and of the
inland, taking it away from its previous lords, who were for the most part Leleges and Pelasgians.
In turn the Greeks took some parts of their land, I mean Ionians and Dorians. As evidence of their
enthusiasm in military activities, some authors adduce shield-handles, shield-emblems and crests,
being all these called “Carians”.
Anacreon says: “Come and put your arm through the shield-handle, work of the Carians”. And
Alcaeus also says: “shaking the Carian crest” ,,10.
In the Carian region, especially in Mylasa, a marble block with the relief of a tufted helmet (fig. 6)
and shield, like coins with figures of tufted helmet and shield (fig. 1, 7-8), proofs that idea.
Thucydides indicates that Carians were islanders who lived on piracy and they were exiled to the
mainland by king Minos. He tries to proof this idea, claiming that nearly half of the weapons
gathered from tombs and the
burial system was typical of
the Carians. He claims that
this stuff was discovered by
Athenian people in Delos,
during the purification of
the island11. However, this
idea was challenged by other
archeological
discoveries12.
Both the ‘ss’ and ‘nd’ suffix,
which are to be found in the
geographical names of Delos
and among personal names
in Cretan myths of Anatolian
origin witness that Aegean
islanders came originally from
Anatolia13.
As can be seen, in antique
sources the opinions expressed
27
4. According to Homer,
the Carians lived near
Miletus and Mycale
mountains of Western
Anatolia
5. According to Strabo,
Carians migrated to
Greece and disappeared
by spreading into
mainland
6. Cylindrical
marble block with
the relief of a tufted
helmet (Milas
Museum. Inv. nr.
2350)
about the historical location
of Carians are somewhere
inconsistent. It is known where
they had generally lived, but
the considered area is somewhat
large. In the second millennium
B.C. they probably used to live
both in the mainland and the
islands14. Historically they had
predominant relations with
the Greece, Aegean islands,
Persia, and Egypt. Ancient
Greek tradition defined Carians
mostly as sailors and soldiers15.
In addition to these sources,
Egyptian and eastern sources give
us further information about the
existence of Carians.
They were listed as ‘krs’ and
‘grs’ on the frescos of Esna
and Kom Ombos temples of
Egypt16. Also, it known that
they served as mercenaries in
the city of Memphis17. They are
also mentioned in old Persian sources. Darius the Great states that Carians and Ionians came
to Susa city from Babylon: Ionians were called as Yauna while the Carians were called as Carka.
Furthermore, Ionian and Carian soldiers were depicted on the frescos of king tombs18.
The words ‘karg’ in Persian, ‘kark’ in Pehlevi Persian, ‘kahrkatas’ (with the the suffix ‘t’), and ‘krka
vakav’ in old Indian mean ‘cock’. Likewise, Plutarch states that Persians called the Carians ‘cocks’,
because of the tufted war helmets which they wore19. Instead of ‘karka’ word in Persian, in Akad
version we find the form ‘kurba-an-ni-e-su’ (=Bannesu Land). This land was probably the coastal
city of the Persian Gulf, Shatt el Arab, where some exiled Carians lived. It is claimed that Carians
came to this city from the Kressa harbor20.
In addition to Persian and Akadian sources, Aramean sources, too, mention Carian language and
people21. Among the peoples mentioned in II. Samuel and II. Kings book of the Old Testament
there are perhaps the Carians. The names
‘keretis’ and ‘karis’ have been associated with
them22.
According to linguists, in Hittite cuneiform
texts dating to the second millennium B.C.,
the words in Uru Karkiya, ‘Karkiya city’, and
(Kur)uru Karkisa, ‘Karkisa land’, and ‘Karkisa
city people’ were used for naming a region and
a people23. Karkiya and Karkisa names could be
associated with and may indicate the Carian
region in Western Anatolia24. Historically,
subjects regarding Karkisa city goes back to
I. Suppiluliuma (1380-1345, B.C.) period25.
According to the texts belonging to this epoch,
Karkisa city and people were western allies of
Hittites26. According to the sources, in 1285
a.C., in the Kadesh battle between Hittites and
Egyptians in North Syria, Carians were allied
with Hittites27.
When considered from another point of
28
view, with this information and possibilities,
interesting historical conclusions can be drown
from this evidence. One of the conclusions is
that the Carians were, like the Lycians and the
Lydians, a Western Anatolian nation originated
from Bronze Age. Another postulation is that
they fought against the Egyptians in Kadesh
as allies of the Hittites; then, as mentioned in
western sources, they fought in several battles in
Troy, North Africa, Palestine and Mesopotamia.
However, from the linguistic point of view, the
origins of their language and alphabet are still
unclear. Some dark points will be possibly
cleared by linguists with further research.
7. Coin with
tufted helmet
Carian language, sources and centers found
The nature of Carian language was discussed even in antiquity28. As sources related to this problem
we have some literary statements, inscriptions, graffiti, and coins29. Some words of alleged Carian
origin, as ‘stone’, ‘tomb’, ‘king’, ‘horse’, ‘victoria’ did not develop our knowledge of this language30.
The editors of the bilingual Greek-Carian inscription, recently found in Kaunos, P. Frei and C.
Marek, could fix the phonetic value of some 10 signs31.
According to these discoveries, it was concluded that
Carian was an indo-european language32. A new age
in the study of Carian language is beginning33. A new
inscription, in ten lines, which was recently found by
the author in Kırcağız village of Milas (fig. 9), is hoped
to help in the interpretation of Carian34. Until now,
over 250 Carian inscriptions have been found. It is
interesting that most of these inscriptions were found
outside Anatolia. Some regions where Carian scripts
were found are as follows:
8. Coin with shield
(Milas Museum. Inv.
nr. 320)
• Africa: Abu Simbel, Abousir, Abydos, Gebel Seyh Süleyman, Memphis-Sahara, Silsilis, Thebes
(Egypt); Buhen (Sudan), Murwaw (Ethiopia).
• Anatolia: in Carian region (fig. 10): Euromos, Tralles, Khalketor35, Hyllarima, Kaunos, Kildara,
Kindya, Sinuri, Stratonikeia, Didyma, Halikarnassos36, Iasos37, Keramos38, Labraunda39, Kırcağız.
Out of Caria region: Belevi40, Sardes41, Smyrna42, Telmessos43.
• Greece: bilingual inscription of Athens44.
• Islands: graffiti of Kos45.
• Persia: inscription of Persian (on a bronze bowl) 46.
9. Carian inscription
found in Kırcağız
(Milas)
29
10. Centers in
Caria where Carian
scripts were found
* Asst. Prof. Dr. Abuzer Kızıl
MuğlaÜni. Milas Sitki Koçman Vocational School
48200 Milas – Muğla Turkey.
E-Mail: [email protected]
Keywords: Caria, Carian language, Western Anatolia
Akarca, Akarca 1954, p. 53; Ramsay 1961; Akurgal
1987; Bean 1987, 11; Tırpan 1987, 1; Kızıl 1999, p. 5;
Kızıl 2002, p. 3; Tekoğlu 1999, p. 227.
2
Tekoğlu, 1999, p. 228 and for same reference see
footnote 3.
3
Akarca, Akarca 1954, p. 54; Kızıl, 1999, p. 5; Kızıl
2002, p. 3.
4
Herodotus I, 171.
5
Herodotus I, 171.
6
Homer, Ilias, II, 867-870.
7
Herodotus I, 142.
8
Homer, Ilias, X, 428.
9
Strabo XIII, I, 58-59.
10
Strabo XIV, II, 27.
11
Thucydides III, 104.
12
Bean 1987, p. 9.
13
Herodotus I, 64; Mansel 1984, p. 20.
14
Mellink 1991, p. 663.
15
Tekoğlu 1999, p. 228.
16
Edel, Mayrhofer 1971, p. 9-10.
17
Masson 1975, p. 412.
18
Tekoğlu 1999, p. 228.
19
Tekoğlu 1999, p. 229.
20
Herzfeld 1968, p. 8-9, 310; Tekoğlu 1999, p. 229.
21
Masson 1975, p. 410; Dupont-Sommer 1979, p.
140-142; Tekoğlu 1999, p. 229.
22
Tekoğlu 1999, p. 230.
1
30
Tekoğlu 1999, p. 230.
Tekoğlu 1999, p. 230.
25
Friedrich 1932, p. 1-4.
26
Tekoğlu 1999, p. 231.
27
Tekoğlu 1999, p. 232.
28
Homer, Ilias, II, 867; Strabo XIV, II, 28.
29
Tekoğlu 1999, p. 233.
30
Tekoğlu 1999, p. 233.
31
Frei, Marek 1997, p. 1-89.
32
Tekoğlu 1999, p. 233.
33
Tekoğlu1999, p. 244-245; Öğün, Işık 2001, p. 1819.
34
Blümel, Kızıl 2004.
35
Neumann 1969, p. 152-157; Blümel 1988, p. 261-264.
36
Meier-Brügger 1978, p. 109-115.
37
Berti, Innocente 1998; Innocente 2002; Innocente
2004.
38
Varinlioğlu 1986, p. 11-12.
39
Meier-Brügger 1983; Hellström 1987, footnotes
37- 41.
40
Dressler 1966-1967, p. 73-76.
41
Hanfmann, Masson 1967, p. 123-134.
42
Jeffery 1964, p. 42.
43
Meier-Brügger 1981, p. 76-78.
44
Masson 1977, p. 87-94.
45
Metzger 1973, p. 74-77.
46
Tekoğlu 1999, p. 237.
23
24
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& Varinlioğlu 1986 = E. Varinlioğlu , Die Inschriften von Keramos, Bonn 1986.
31
Archaeological
Survey at Laodicea
of Phrygia, 2002
by Sauro Gelichi*
1. Laodicea
L
aodicea of Phrygia is a town founded in the Seleucid age, probably around the middle of the
3rd century B.C. (Bejor 2001). It lies in the middle valley of the river Meander, 6 kilometres
north of modern Denizli. Flourishing during the Roman age, it became a very important town for
the early Christians, as it is mentioned among the seven famous churches of Asia Minor.
Written records concerning the Post-Antique periods is, however, rather scarce. It started again
after 10th c. A.D., when the whole area was affected by conflicts between the Byzantines and the
Seljuks; it is in this period that Laodicea-Ladık begins to be heard of again, but in an ambivalent
manner. The transfer of the town to the nearby Denizli, a few kilometres away, which took place
towards the mid 13th century, is an established fact; there remains the problem of whether this
was a new foundation of the Seljuk Turks or whether the settlement may be attributed (as some
have supposed) to the local population. In any case, the impression one has of the complex from
written sources is that already in the 11th century there was no longer an inhabited area with the
features of a town where the ancient town had stood (even if one cannot exclude different forms of
occupation of these same areas). It is clear, therefore, how archaeological exploration may be decisive
for an understanding of the changes the ancient town underwent towards the Middle Ages.
Archaeological research at Laodicea of Phrygia
2. Plan of Laodicea
with the main classical
monuments and postantique investigated areas
Laodicea and its ruins were the goal of many travellers in the 18th and 19th century (Sperti 2001),
as it is witnessed by many views that depicts nomadic people settled among what is left of the
stadium or the theatre, which may be found in books Antiquities of Ionia (Revet et al. 1797) and
Voyage de la Syrie et de l’Asie Mineure
(Laborde 1838).
The first true archaeological study on
Laodicea dates back to the Canadian
excavation in 1961-1963 (published in
Des Gagniers 1969). The Canadian
team studied mainly the nymphaeum,
a fountain of Classical Age re-used in
Post-Antique Age.
After this first archaeological approach
a second mission followed in 1992, lead
by a Turkish team from the Museum
of Denizli. They continued working on
the same area and also excavated the
main colonnaded street (Yıldız 1994).
From 1995 until 2001 the Ca’ Foscari
University of Venice carried out a long
32
3. The post-antique
village (Ottoman?)
located in the
stadium
term mission of topographical and archaeological survey, now published (Traversari 2001). The
aims of this mission where to create a new topographical map of the town and a new analysis and
interpretation of the main monuments of the ancient town, drawing new plans of them. The result
is a new, complete map of Laodicea made through the use of a total station and complete with
altitude levels and correct topographical coordinates.
Finally, in 2002 another Turkish team lead by the Denizli Museum and the Pamukkale University carried on with the excavation of the colonnaded street. As yet, this work is still unpublished
(website only in Turkish language: www.pau.edu.tr/laodikeia/).
Post antique Laodicea
The archaeological activities just mentioned were involving mainly on the Classical Age of Laodicea.
In 1999 a new project started (Gelichi, Negrelli 2001; Gelichi, Negrelli 2002; Gelichi,
Negrelli in print). A small team of the Ca’ Foscari University took an interest in the study of
the Post-Antique phases of the town. The aims of the mission were the reconstruction of the topographical evolution of Post-Antique settlement and of the social and cultural transformation of the
area after the Classical Age (fig. 2). The strategy employed was based on an extensive archaeological
survey along the following lines:
• an extensive survey and analysis
of the city wall and of its path
around the town;
• a more focused analysis of the
Late-Antique and Byzantine
monuments, with particular attention paid to churches and ecclesiastical complexes by intensive
and selective survey;
• the construction of a series of
building techniques;
• the attempt to build a series
on Late-Antique, Byzantine and
Post-Byzantine ceramics and
objects.
Strategy
This strategy of study gave rise
to some problems, first of all
visibility.
The monuments of the town are
not well preserved, in particular
churches and ecclesiastical complexes often survive only in ruins
4. Selected pottery
form the survey:
1-6. Late antique
and Byzantine;
7-10. Post-antique
(Sgraffito Ware,
Slip painted and
Iznik Ware)
33
5. Ecclesiastical
complex (n. 35)
of scarce entity. Many monuments were robbed already in the Late Antique and Early Byzantine
Period (for example the structure of Period II of the ecclesiastical complex 35), whereas others,
which probably collapsed because of one of many earthquakes, were re-used in the Post-Byzantine
age. The nearby Caravansaray of Saray was built with many stones that were probably taken from
Laodicea (and possibly Colossae, which is not so distant from the town). They were also used to
build the castle of Denizli, named by written sources already in the 13th century and probably
other Muslim monuments in the town. The villages near Laodicea probably also re-used many
building materials from the ancient town.
The archaeological visibility is also influenced by the agricultural use of the land and by the season.
We basically found three different situations: the uncultivated soil, with spontaneous vegetation
that covers the archaeological remains, the burning to fertilize the area, which gives us a reasonably
good visibility and lastly, a light ploughing, usually very restricted in extension, which brings to
the surface some archaeological finds that can be spotted by a survey.
Another big problem in the study of pottery and other finds is that notions and comparisons
about them in the area are quite scarce and not well defined for the Post-Antique, Byzantine and
Post-Byzantine periods.
Post-antique Laodicea: from a town to villages. A first reconstruction of the archaeological
sequence.
It was probably during the 5th century that the town walls were built. This chronology is based
upon the analogies with those of nearby Hierapolis, but an earlier chronology (late 3rd - 4th centuries) is not impossible. An important episcopal church is mentioned only by written sources, but
its archaeological remains are not yet identified with certainty.
During the 5th-6th century many new churches and ecclesiastical complexes are built and
distributed in the town. At least five have been indicated, in various degrees of preservation. One
of these (complex 35) (fig. 5) was explored more closely in 1999 and it was possible to define a
structured sequence of alterations, recorded through the changes of construction techniques, but
at present they are not precisely dated due to the impossibility of excavations. The city wall was
restored and around some of the churches other defence walls were built. This is the first sign of
clustered settlements inside the town.
In the 7th century some churches were still in use, with evident signs of restoration and
enlargement of the surrounding area. Other structures start to appear, showing new techniques
that for the first time include the use of bricks. They might have had a defensive function but this
cannot be determined precisely at the moment.
A structured sequence of building transformations has been identified in the area of the Canadian
excavations. A reinterpretation of the stratigraphic reports of the constructions brought to light
and a detailed analysis of the constructions techniques has been, in this case, fundamental for
34
the clue to a prolonged settlement period of a non-ecclesiastical nature, testifying to a certain
economic vitality of the site until at least the 6-7th century A.D. From surface exploration a
considerable quantity of pottery from this period has emerged (from the production of tableware
to vessels for transport, of both local and imported manufacture) (fig. 4, n. 1-6); these indications
also appear to support the idea that the town was still sufficiently active until the 7th century.
Between the 8th and the 11th century there is apparently no archaeological evidence. We have only
a single fragment of ceramic that can be dated to the late 7th or 8th century and was discovered
by the Canadian excavation (Kahil 1969), but this is a very uncertain piece of evidence. We
have not found any glazed monochrome ware (White Glazed Ware) like the found in the early
Byzantine contexts of Hierapolis (Arthur 1997). Furthermore, other kinds of pottery discovered
in Hierapolis for the same period have not been found in Laodicea (such as Micaceous White
Painted Ware of the Byzantine Period (Cottica 1998), while we have found only White Painted
Ware probably connected with the Ottoman Age). We have found no evidence of restoration in
ancient monuments.
The settlement patterns of this town do not seem, in any case, to differ from those found or
hypothesized in many other ancient sites of Anatolia (Foss 1976; Foss 1977; Foss 1979).
Although it is true that until now little attention has been paid to the Post-Classical phases of
these sites (thus undoubtedly limiting our ability of interpretation), it seems quite clear that,
with few exceptions, in most of the ancient towns processes of reorganization and splitting up
settlements tended to increase. A process of this kind may be identified in archaeological terms by
the nucleated characteristic (and some cases the fortification) of the settlement (Ward Perkins
1996), as has also been shown by a series of quite recent investigations in nearby cities (e.g.
Hierapolis: ex inf. Arthur).
It is evident that the archaeological survey, both extensive and intensive, is not an effective way to
know the evolution of the town and the settlement for these ‘Dark Ages’.
After the 10th century we have much more evidences of a new kind of settlement in the town and
the connections with the written sources are not so clear enough to define the characteristics of
the settlement. This area was a frontier during the war between Byzantines and Muslims; some
Byzantine sources of the 12th century describe new Laodicean fortifications in that period, but at
the moment we have no archaeological information about them.
Later on, nomadic populations probably moved into the town and started building little scattered
villages, characterized by square houses, or tents, built with big blocks of limestone and a fireplace
on one side. They often exploited the ancient monuments to find shelter and as places selected
to establish their villages. We have examples in the stadium (fig. 3 and 6), along the walls of the
thermae-gymnasium complex and along part of the city walls, generally in the southern sector
of the town. In close associations with these very distinct structures we constantly found pottery
of a completely different kind from what can be found in the other parts of the town. We have
very little green-glazed, monochrome sgraffito pottery and coarse ware of the 12th-14th century.
Moreover, many fragments of
Late Seljuk and Ottoman pottery
were discovered (as Miletus
Ware, Kutaya Ware, Iznik Ware
and local slip painted ware) (fig.
4, n. 7-10). The lack of proper
comparisons for these materials,
and the fact that the research has
been done only through a survey
and not with an excavation,
prevents us from giving a precise
chronological definition of these
villages, which can be generally
assigned to the Late Byzantine,
Seljuk or Ottoman Age. However,
it is interesting to see that this
kind of settlement, with exactly
35
6. Stadium: house
or tent (Ottoman
village?)
the same shape for the houses, is found still nowadays among nomadic populations (Cribb 1993).
Unfortunately, also in this case, the data of the survey alone, although indicative, do not enable
us to define some essential aspects of the sequence, either in chronological terms or in terms of
functional reconstruction of the occupations.
Unpublished paper presented to the 25th International Excavation, Survey and Archaeological Symposium (Ankara,
may 2003).
* Prof. Sauro Gelichi
Dipartimento di Scienze
dell’Antichità e del Vicino Oriente
Ca’ Foscari University of Venice
BIBLIOGRAPHY
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36
Viaggiatori in
Caria
George Sandys
A Relation of Iourney begun An:
Dom: 1610
Foure bookes
Containing description of the Turkish Empire, of Ægypt, of the Holy Land, of the Remote parts of Italy
and Ilands adioynig. The third edition. London: Printed for Ro: Allot, 1632, 309 pp.
(Biblioteca Nazionale Marciana : Rari Tursi 15)
I
began my Iourney through France, hard upon the time when that execrable murther was
committed upon the person of Henry the fourth [...]. At Venice I will begin my Iuornal.
(p.1).
[...] we departed from Costantinople in the Trinity of London: a ship of better defense than sail
(p.87) [...].
(pp. 88-92) [...] ispatched at lenght, not without some gifts and much sufferance, we hoysed
[n.d.r.: <hoys> variante di <hoist>]; sayls: and the night ensuing were tossed to and fro, on the
west of Mitylen. The next day we laboured to get in betweene Chios and the Continent, but failed.
When sailing on the other side of the Iland, the wind came about whereof we tooke the benefit
for Alexandria.
Hard by, and on the left hand, left we Samos, now Samo, in which it was said that Iuno was borne,
under a white willow, close by the river Imbrasius: & for that she was there brought up whilest yet
a Virgin, it was called Parthenia. Allegorically she is taken for the element of the aire: & fained
[n.d.r.: <faine>, qui e in seguito, variante di<feign>] for that cause to have bene borne in Samos;
for that the aire is here so pure and so excellent. Samos doth [n.d.r.:arc. per<does>] also challenge
one of the Sibyls, whose name was Pytho, and Heriphile: and flourished in the dayes of Numa
Pompilius, of Christ thus prophecying:
The God thou foolish Iuda knewft not: knowne
Not unto earthly minds: but crowned hast
His browes with thornes and give him gall to taste.
Tu enim stulta Iudaea Deum tuum non cognovisti
Ludentem mortalium mentibus
Sed spinis coronasti, horridumque fel miscuisti.
37
But in nothing more famious then in the birth of Pithagoras:
From heaven though far remov’d he with his mind
Drew neere the Gads [n.d.r.: dial.per <Gods>] what natures power denies
To humane sights, he saw with his soules eyes.
— isque licet coeli regione remotus.
Mente deos adiit. & quae natura negabat
Visibus humanis oculis, a pectori hausit. Ovid. Met. l. 1,5.
The first that brought Philosophy into Greece, and from thence into Italy. This Iland is not above a
quarter of a mile distant from the Continent of Asia. Fruitfull in all things but vines: which is the
rather to be noted, in that the countries round about produce such store, and so excellent. At the
South end stood the Citie of Samia, with a goodly harbour adioyng: now (as the rest) by reason of
the Pirats that infest their Seas, almost altogether desolate. Of the earth thereof were those vessels
made of such great esteem: soveraigne also for divers uses both in physicke, and surgery. The
Northwest of the Ile is high land, environed with unaccessable cliffers, full of tall wood within,
and most commodious for building of ships.
On the right hand, and neere, lyeth Niceria, heretofore Icaria, taking that name, as doth the
adiacent Sea, as the Poets faine, from the fall of Icarus.
When crying, Helpe, ô father! his exclame
The blue Seas stopt; which tooke from him their name.
Oraque caerulea patrium clamantia nomen
Excipiuntur aqua: quae nomen traxit ab illo. Ovid. Met. l. 8.
And in this Iland, he
Cursing his arts, interr’d the corps, that gave
The land a name which had given a grave;
Devovitque suas artes, corpusque sepulchro
condicit, & tellus a nomine dicta sepulti etc. Ibid.
called Pergamum before. Who were said to flie in regard of their sails, by Daedalus than first
invented, to out-strip the pursuite of Minos; when Icarus in another vessel, by bearing too great
a sail, suffered ship-wracke hereabout. It is now rarely inhabited, yet abounding with good
pastorage: corne it also produceth plentifully. It hath no haven, but divers roades, sufficiently
commodious. Betweene these two Ilands lie those sharpe rocks, in times past called Melanthii and
now the Fornoli. Well knowne, and in the night much feared by marriners.
South of these we sailed by Palmosa, formerly Patmos. A little Iland consisting onely of three or
foure rockie mountaines. On one of them stands a towne; and on the very top thereof a Monastery
of Greek Coloieros, having large exhibition from sundry places of Christädome. Men ignorant in
letters, studious for their bellies, and ignominiously lazie: unlesse some few that give themselves to
38
navigation, and become indifferent good Pilots. About Ile there are variety of excellent harbours,
and not so few as fortie saile of ships belonging to the towne, by the trading whereof they bring in
that sustenance which the soile affordeth not; being so barren that nothing growes, as I have heard,
especially neere unto the towne, except on such earth as is brought thither from other places. And
therefore inflicted as a punishment unto Saint John, hither banished by the Emperour Traian, or,
as some write, by Domitian; for so the Romanes accustomed to confine offenders:
If thou intend’st to thrive do what deserves
Short Gyaros, or gyves: praisd Vertue sterves.
Aude aliquid brevibus Gyaris aut carcere dignum,
Si vis esse aliquid: probitas laudatur & alget. Iuv. Sat. I.
On the North side of this hil, we saw the house wherein (they say) he writ his Revelation; and a
little above, the cave, in which it was revealed; both held in great devotion by those Christians.
After the death of the Emperour, he removed into Ephesus, and being an hundred and twentie
yeeres old, causing a grave to be made, is said to have entred it alive, in the preference of divers;
to whose seeming dead, they covered him with earth; which if we may beleeve, Saint Augustine*
(*Aug. In Ioh. Trac. 124.) bubleth like water, to testifie his breathing, and that he is not dead, but
sleepeth. In that Monastery is reserved a dead mans hand, which they affirme to be his: and that
the nailes thereof being cut, do grow againe.
Amongst divers other Ilands, we passed by Coos, now called Longo: a delicate countrey to behold,
lying for the most part levell, onely towards the East not unprofitably mountainous, from whence
fall many springs, which water the plaines below, and make them extraordnarily frutifull: where
grow those wines so celebrated: Cypresse trees and Turpentine [n.d.r.: terebinto], with divers
others, as well delightfullas profitable. In this was Hippocrates borne, who revived Physicke then
almost lost, and the ancient practice
of Æsculapius: unto whom this Iland
was consacrated. In the suburbs he
had his Temple, famous, & rich with
offerings. Those that had bin sicke,
upon recovery there registred their cures,
and the experiments wherby they were
effected: of these Hippocrates made an
abridgment, and committed them to
posterity. In this Temple stood that rare
picture of Venus naked as if newly rising
from the sea, made by Apelles, who was
also this country man: after removed
unto Rome by Octavius Cæsar, and
dedicated unto Iulius; she being reputed
the mother of their family. It is said, that
at this drawing thereof, he assembled
together the most beautiful women in
the Iland, comprehending in that his
one worke their devided perfections. For this picture the Cooans had a hundred talents remitted
of their tribute. The towne and citadell are now onely inhabited by Turks; the villages by Grecians;
whereof in all are but two.
Next unto this stands Rhodes, of all the rest the most famous and beautifull: once covered with
the sea, or at least an unhabitable marish; as they faine, beloved of the Sunne & erected above the
waves by his powerfull influence. For no day passeth wherein the Sunne here shines not clearely,
perhaps the occasion of that fable,
Others will praise bright Rhodes:
laudabunt alii claram Rhodum. Hor. l. od 7.
39
obtaining thereby that title as a peculiar epithete. Some write that it tooke this name of Rhoda
a Nymph of the seas, and there compressed by Apollo: others, that he lay with Venus, and of her
begat Rhoda.
Rhodes was begot by Sol on Cyprides
Of whose theree sonnes descended are three Cities* (*Lindus, Camirus, Ialisus)
Then when the God approacht the Godnesse, showers
Of gold powrd [n.d.r.: sic per <powder>], downe with roses, and white flowers.
Insula dicta Rhodos de Sole & Cipride nata est:
De tribus & natis horum tres sunt simul urbes.
Cumque Deam Deus accessit, guttis pluit auri.
Purpureaeque rosae fudere, ac lilia flores.
For Rhodes in the Greek tongue signifieth a rose, and by likelihood so called of the abundance of
roses, which this soyle produceth. This Iland therefore saw the Sunne held sacred, to whõ they
erected that huge Colossus of brasse, worthily reputed amongst the world’s seven wonders: made
by Charetes of Lindus, the servant of Lisippus; and whereof, as some affirme, they were called *
Colossians. (Zonaras lib. 3 Annal.) In height it was threescore and ten cubits, every singers as great
as an ordinary statue, and the thumbe
too great to bee fathomed. Twelve yeeres
it was a making, and about threescore
and six yeeres after throwne downe by
an earth-quake, which terribly shooke
the whole Iland, (*Pausan. in Corinth)
prophesied of by the Sibyl. The pieces
thereof made wonderfull ruptures in the
earth: and another wonder it was to see
the masse of stones contained therein,
wherely the workman had confirmed
it against the violence of weather. With
the brasse thereof none hundred Camels
were laden. No place in times past was
held superior unto this for conveniency
of harbour, magnificent buildings, and
other excellencies. Famous it was for
government; and men so expert in navigation, that they became Lords, an for many yeeres held
the soveraignty of these seas. The aire is here most temperate, producing fruites abundãntly: rich
pastures sprinkled with flowers, and trees still flourishing. The felicitie of the place affording
an argument to that fable of the golden showres that fell thereon. Their wines thus Virgil
celebrateth.
Receiv’d by Gods, and last-crown’d cups, will I
The Rhodia, nor thy long-big rapes, go by.
Non ego te Diis & mensis accepta fecundis
Transierim Rhodia & tumidis bumasta racemis. Georg. l .2
Where also it is said the vine was first found out and planted. After that the Knignt of Saint John
de Acre had lost the City of Acre, the last that they held in the Holy land; they had this place
consigned them by Emanuel the Greek Emperour in the yeere 1308, which they tooke from the
Turke, and maintained to his terror. Having then one City onely, but that well fortified; seated
towards the morning Sunne, on the ascendng hill, apart or the levell shore, embracing, as it were,
a most safe and admirable haven: treble walled, adorned with towers, and fortified with strong
fortresses. Offen invaded, and to little purpose, at lenght it wastaken by Solyman the magnificent
(Villerius being the Great Master) with six moneths siege, a world of people, and losse of most
40
of them, in the yeere 1522 after it had been by them defended against the Infidels two hundred
and fourteene yeeres; and then honorably surrendred, although to the gererall dishonour of the
Christian Princes in their tardy succours.
Bright Rhodes, bright in times past, now blacke with clowds:
Thy shining for head a dire tempest shrowds,
O griefe! O death! O what then grife is worse
And death! then that! if there be such a curse,
Sleepe? And the fell wolfe seizeth the best spoile?
O shame to have ta’ne a voluntary foile!
Clara Rhodos; sed clara olim: nunc orrida nimbis:
obnubit nitidum dira procella caput,
Ah dolor, ah mors, ah aliquid morte atque dolore
Durius aut etiam tetrius esse potest:
Stertitits?& ferus armenti lupus optima carpit?
O iam fit iam aliquis velle perire pudor I.C. Scal.
(Giulio Cesare Scaligero [1484-1558], padre di Giuseppe Giusto)
Unto this lamentable subversion (though meant perhaps by a former) may that prophesie of Sibyls
be unwrestedly applyed
Daughter of Phoebus, Rhodes, long shalt thou raigne:
Aboundin wealth, and rule of seas obtaine.
Yet forc’t by those that covet thee, at last
Yok’t shalt thou be, rich-faire, for glory past.
Tuque diu nulli Rhode subdita, filia Solis
Durabis, multaque olim pollebis opum vi
Imperioque maris primas evecta tenebis
Praeda tamen studio tandem rapieris amantum
Cervicemque iugo, dives formosaque subdes. Orac. Sib. 3
Such as would, according to composition were suffred to depart: who from hence removed unto Malta.
a cura di Lucia Innocente
SANDYS (George): poeta, viaggiatore e colonizzatore inglese, nato a Bishopsthorpe il 2 marzo 1578, morto a Boxley
Abbey, presso Maidstone (Kent) nel 1644. Studiò ad Oxford; nel 1610 intraprese un viaggio attraverso la Francia, l’Italia
settentrionale, dove da Venezia passò a Costantinopoli e indi in Egitto, in Palestina, Sicilia, Napoli, Roma. Nel 1615
pubblicò di tali viaggi un resonconto (The Relation of a Journey begun an. Dom. 1610 in Four Books) che costituì
un notevole contributo alle conoscenze geografiche ed etnografiche ed ebbe grande diffusione. La fama di S. è affidata
principalmente alla sua traduzione delle Metamorfosi di Ovidio, Ne apparve una prima parte nel 1621. In questo anno
partì con incarichi ufficiali per la Virginia, dove tuttavia continuò la traduzione, il cui compimento apparve nel 1626.
Tornato in Inghilterra nel 1631, il S. curò una nuova edizione elaborata della traduzione (Oxford 1632). Nel 1636
pubblicò Paraphrase upon the Psalms and Hymns dispersed Throughout the Old and New Testaments, cui seguì nel
1641 Paraphrase of the Song of Songs. Nel 1640 aveva pubblicato una tragedia, Christ’s Passion, imitata da quella
di Grozio sul medesimo argomento. Una sua traduzione dell’Eneide non andò oltre il primo libro.
Il S. fu forse il primo che, reagendo alle artificiosità in cui era caduta la poesia inglese, mirò con coscienza artistica a
uno stile poetico semplice e a racchiudere con naturalezza il pensiero nel distico (couplet). E’ soprattutto nella traduzione
d’Ovidio che egli giunse a questo risultato, il quale pone degnamente il S. accanto al Denham e al Waller.
Salvatore Rosati
in Enciclopedia Italiana, xxx vol., Roma 1936, p. 639.
41
Rassegna
bibliografica
di Fede Berti
1. Iasos: frantoio nella necropoli preistorica
I
nizio lo spoglio delle ‘novità’ concernenti Iasos ed edite tra il 2002 e il 2004 menzionando tre
opere da tempo attese: della più recente in termini di tempo, intitolata Iasos tra VI e IV sec. a.C.
Miscellanea storico-archeologica e presentata a Ferrara nel 2004 quale supplemento al volume 81°
degli Atti dell’Accademia delle Scienze di Ferrara, tratta in altre pagine di questo Bollettino Carlo
Franco.
Pressoché contemporanea nell’uscita le è stata Carian Iasos/Karia’ da Bir Liman Kenti, ossia la
guida della città. Come si arguisce dai titoli, trattasi di due volumetti, uno in lingua inglese, uno
in lingua turca, pubblicati da Homerkitabevi (Istanbul 2004): hanno testi di Daniela Baldoni,
Paolo Belli, Carlo Franco, Maurizia Manara e la presentazione di Fede Berti.
Del 2003 è invece il III volume della collana monografica della Missione Archeologica Italiana di
Iasos, edito da Giorgio Bretschneider: Vasi a matrice di età imperiale a Iasos, di Daniela Baldoni:
l’autrice, attraverso un percorso di analisi formale, cronologica e iconografica di tutto il vasellame
fittile a matrice restituito dagli scavi urbani, ne tratteggia la circolazione a partire dal I sec. d. C.
nel quadro dei circuiti commerciali del Mediterraneo orientale.
42
Il rapporto sulla campagna di scavi a
Iasos del 2002 (F. Berti, Iasos 2002),
presentato in occasione del 25. Kazı
Sonuçları Toplantısı tenutosi ad Ankara
nel maggio del 2003, figura nel 1°
volume degli Atti, pubblicati nel 2004.
Di Indagini subacquee a Iasos di Caria
(Turchia) trattano Fede Berti e Paola
Desantis negli Atti del II Convegno
Nazionale di Archeologia Subacquea
(Castiglioncello 7-9 settembre 2001). In
tale sede si dà ragione delle prospezioni
condotte in entrambi i bacini portuali
dell’insediamento, avendo le autrici
– nella parte iniziale del contributo –
avuto cura di sunteggiare quanto (nella
storia, nell’epigrafia, nell’archeologia)
possa riflettere o documentare la
‘vocazione’ marittima della città.
Con la produttività agricola locale
si confronta Simonetta Angiolillo
in Un impianto per la lavorazione
dell’olio a Iasos, in Atti della Tavola
Rotonda Internazionale in memoria di
Giovanni Tore (Cagliari, 17-19 dicembre 1999). Trattasi di un frantoio, posto immediatamente a
settentrione della ‘Casa dei Mosaici’ e che doveva far parte degli annessi dell’edificio funzionali
alla lavorazione e alla conservazione dei prodotti alimentari, come sembra attestare anche quanto
venne riportato alla luce nella medesima area nel corso delle prime indagini. Dell’impianto restano
poche tracce sulla roccia che forma una sorta di gradone: si tratta di indizi labili ma convincenti,
quali una depressione circolare, un frammento di mola in pietra e, più sotto, sulla parete verticale
del gradone, un incasso destinato – parrebbe – all’appoggio di recipienti.
Di un più celebre (e più tardo) prodotto che sostenne l’economia della città, ovvero del noto
marmo di cava locale, danno alcune precisazioni, importanti sia per l’ubicazione delle aree di
estrazione, sia per i dati cronologici derivanti dagli scavi più recenti, Alberto Andreoli, Fede
Berti, Lorenzo Lazzarini, Raffaella Pierobon Benoit in New Contribution on Marmor Iassense
(ASMOSIA VI, Proceedings of the Sixth International Conference, Interdisciplinary Studies on
Ancient Stone, [Venezia, 15-18 giugno 2000]). Il marmo rosso iasio, opportunamente analizzato
da C. Gorgoni, L. Lazzarini, P. Pallante (New Archeometric Data on Rosso Antico and Other Red
Marbles Used in Antiquity, ibidem) ritorna poi nel catalogo della mostra romana I marmi colorati
della Roma imperiale, dove ne tratta nuovamente Lorenzo Lazzarini (La determinazione della
provenienza delle pietre decorative usate dai romani. Rocce metamorfiche. cipollino rosso, marmo
cario, marmo iassense, africanone).
Nel corso degli scavi della stoa orientale dell’agora venne ritrovato un frammento di rilievo
raffigurante Artemis di prospetto, il capo volto a sinistra, un braccio sollevato e appoggiato a
una torcia: una rappresentazione che, pur appartenendo al II sec. a.C., ricalca iconograficamente
modelli di due secoli più antichi. Ne scrive Simonetta Angiolillo (Ostendunt et Iasii Dianam
manibus eorum factam) in Aristeo. Quaderni del Dipartimento di Scienze Archeologiche e StoricoArtistiche della Università degli Studi di Cagliari: un’ampia digressione sul carattere del culto della
dea a Iasos, sul suo significato, sulla sua originaria iconografia che, come avviene per la Artemis
Kindyas di Bargylia, si fonde con quella delle numerosissime altre divinità anatoliche dispensatrici
di fecondità.
Diverso, ovvero connesso alla ‘convenzionale’ ubicazione del santuario a ridosso dell’agora, il
punto di osservazione dell’argomento ‘Artemis’ per Fabrice Delrieux (Les témoignages isiaques sur
les monnaies grecques de Carie et d’Ionie aux époques hellénistique et romaine, in Isis en Occident,
Actes du IIème Colloque International sur les Études Isiaques [Lyon III, 16-17 mai 2002]) il
43
2. Iasos: frammento di
rilievo con raffigurazione
di Artemis degli scavi
dell’agora
quale – come di consuetudine – parte
dal dato numismatico per approdare
giustappunto anche a Iasos e, sulla
base di alcuni (suggestivi, è innegabile)
indizi, per ipotizzare che il culto di Iside
fosse ospitato proprio nell’edificio che
chiamiamo ‘esedra di Artemis Astias’.
Delle relazioni e dei rapporti internazionali
che favorirono la vita della comunità tratta
Carlo Franco (Iasos ellenistica tra politica e
cultura, in Studi di Archeologia in onore
di Gustavo Traversari, I, Roma 2004)
tracciando il profilo dei cittadini iasei
assurti all’onore delle antiche cronache
perché gravitanti nell’orbita di Alessandro
Magno (ad esempio i fratelli Gorgos e
Minnion, dediti ad attività politiche e
amministrative, il poeta Choirilos) oppure
dei Tolemei, come nel caso del filosofo
Diodoro ‘Kronos’, vissuto alla corte di
Alessandria e morto verosimilmente nel
secondo decennio del III sec. a.C. Ad
Alessandria forse soggiornò anche lo iasio
Hermocrates, maestro di Callimaco; a
Dymas, poeta tragico, risale inoltre la
tradizione di più recenti contatti di Iasos
con l’isola di Samotracia (II sec. a.C.).
Per quanto riguarda l’epigrafia, va registrato l’interesse suscitato da un decreto di prossenia
pubblicato e commentato nel 2001 (cfr. Gianfranco Maddoli e Roberta Fabiani in La Parola del
Passato, vol. LVI, rispettivamente pp. 15 ss. e 69 ss.).
Ripreso subito da Christian Habicht (Späte Wiederaufzeichnung eines athenischen Proxeniedekrets,
ZPE, 137, 2001), che pose in evidenza la brevità della lacuna che divide i due frammenti ateniesi
(=IG II 2 3, di cui la nostra iscrizione è copia tarda), il testo è stato esaminato anche da Enrica
Culasso Gastaldi (Un decreto ateniese di prossenia per tre individui di Iasos [IG II 2 3 + 165], ZPE,
142, 2003). Essa riconosce l’appartenenza all’originale di un terzo pezzo corrispondente alla
porzione marginale superiore sinistra dell’iscrizione (=IG II 2 165) e – sulla base sia dell’apparato
formulare sia della iconografia di tale frammento (Atena appoggiata allo scudo) – data l’iscrizione
negli anni posteriori al 403/2 anziché al 412 a.C.
In Considérer la mort: de la protection des tombes dans l’antiquité à leur conservation aujourd’ hui (Les
Dossiers de l’IFEA, 2, Istanbul 2003), Olivier Henry situa un caso iaseo di monumentalizzazione
funeraria (la cosiddetta ‘tomba macedone’) nel quadro ampio, articolato (e innovativo per certi
aspetti dell’ approccio proposto) che già di per sé il titolo del quaderno prefigura.
Esemplare per la tempestività nella elaborazione dei dati iasei e di grande interesse è poi il lavoro di
H. Hubler, M. Bichler, A. Musilek, Identification of Pumice and Volcanic Ash from Archaeological
Sites in the Eastern Mediterranean Region Using Chemical Fingerprinting, in Egypt and the Levant,
International Journal for Egyptian and Related Disciplines, basato sulle analisi di 286 campioni di
materiale vulcanico raccolto, oltre che a Creta, lungo la costa del Mediterraneo orientale compresa
tra Mileto e l’Egitto. A Iasos, l’insediamento preistorico venuto in luce nell’agora venne ricoperto
da uno strato di cenere espulsa dal cono di Santorini nel corso dell’eruzione avvenuta tra il 1650 e
il 1450 a.C. Un quadro, in breve, di estrema articolazione, nel quale è possibile distinguere le aree
di provenienza della pomice (isole egee, Anatolia centrale), è possibile associarla ad eventi eruttivi
così come, nella stratificazione della cenere (tephra) iasea, è possibile riconoscere una sequenza
deposizionale complessa.
44
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
� A. Andreoli, F. Berti, L. Lazzarini, R. Pierobon Benoit, New Contribution on Marmor Iassense,
in L. Lazzarini (ed.), ASMOSIA VI, Proceedings of the Sixth International Conference, Interdisciplinary
Studies on Ancient Stone (Venezia, 15-18 giugno 2000), Padova 2002, pp. 13-15.
� S. Angiolillo, Un impianto per la lavorazione dell’olio a Iasos, in Architettura, arte e artigianato nel
Mediterraneo dalla preistoria all’Alto Medioevo, Atti della Tavola Rotonda Internazionale in memoria di
Giovanni Tore (Cagliari 17-19 dicembre 1999), a cura dell’Associazione Culturale “Filippo Niscardi”,
Cagliari s. d., pp. 339-352.
� S. Angiolillo, Ostendunt et Iasii Dianam manibus eorum factam, Aristeo. Quaderni del
Dipartimento di Scienze Archeologiche e Storico-artistiche della Università degli Studi di Cagliari, I, 1,
2004, pp. 161-182.
� D. Baldoni, Vasi a matrice di età imperiale a Iasos, Roma 2003.
� D. Baldoni, P. Belli, C. Franco, M. Manara, Carian Iasos/Karia’da Bir Liman Kenti, İstanbul
2004.
� F. Berti, Iasos 2002, in 25. Kazı Sonuçları Toplantısı (Ankara 26-31 mays 2003), Ankara 2004,
pp. 13-18.
� F. Berti e P. Desantis, Indagini subacquee a Iasos di Caria (Turchia), in A. Benini, M. Giacobelli
(edd.), Atti del II Convegno Nazionale di Archeologia Subacquea (Castiglioncello 7-9 settembre 2001),
Bari 2003, pp. 21-34.
� E. Culasso Gastaldi, Un decreto ateniese di prossenia per tre individui di Iasos (IG II 2 3 + 165),
ZPE, 142, 2003, pp. 109-118.
� F. Delrieux, Les témoignages isiaques sur les monnaies grecques de Carie et d’Ionie aux èpoques
hellénistique et romaine, in Isis en Occident, in L. Bricault (ed.), Actes du IIème Colloque International
sur les Études Isiaques (Lyon III, 16-17 mai 2002), Leiden-Boston 2004, pp. 331-355.
� Descat 1998= R. Descat, La carrière d’Eupolémos, stratège macédonien en Asie Mineure, REA, 100,
1998, n° 1-2, pp. 167-186.
� C. Franco, Iasos ellenistica tra politica e cultura, in M. Fano Santi (ed.), Studi di Archeologia in
onore di Gustavo Traversari, I, Roma 2004, pp. 383-395.
� C. Gorgoni, L. Lazzarini, P. Pallante, New Archeometric Data on Rosso Antico and Other Red
Marbles Used in Antiquity, in L. Lazzarini (ed.), ASMOSIA VI, Proceedings of the Sixth International
Conference, Interdisciplinary Studies on Ancient Stone (Venezia, 15-18 giugno 2000), Padova 2002, pp.
199-206.
� C. Habicht, Späte Wiederaufzeichnung eines athenischen Proxeniedekrets, ZPE, 137, 2001, pp. 113-
116.
� O. Henry, Considérer la mort: de la protection des tombes dans l’antiquité à leur conservation
aujourd’hui, Les Dossiers de l’IFEA, 2, Istanbul 2003.
� H. Hubler, M. Bichler, A. Musilek, Identification of Pumice and Volcanic Ash from Archaeological
Sites in the Eastern Mediterranean Region Using Chemical Fingerprinting, in M. Bietak (ed.), Egypt and
the Levant, International Journal for Egyptian and Related Disciplines, XIII, s.d., pp. 83-105.
� Iasos tra VI e IV sec. a.C. Miscellanea storico-archeologica (Supplemento al vol. 81° degli Atti
dell’Accademia delle Scienze di Ferrara, Anno Accademico 181°, 2003-2004), Ferrara 2004.
� L. Lazzarini, La determinazione della provenienza delle pietre decorative usate dai romani, Rocce
metamorfiche. Cipollino rosso, marmo cario, marmo iassense, africanone, in M. Nuccio e L. Ungaro
(edd.), I marmi colorati della Roma imperiale (Cat. Mostra Roma), Venezia 2002, pp. 248-250.
45
Recensioni
Iasos tra VI e IV sec. a.C. Miscellanea storico-archeologica, Ferrara 2004
[Supplemento al volume 81° degli Atti dell’Accademia delle Scienze di
Ferrara], pp. 180. s.i.p.
di Carlo Franco
A
ncora un tassello nel ripensamento
che la Missione Archeologica Italiana conduce sui problemi posti dal lavoro
a Iasos: focalizzata è qui l’epoca classica.
Nei dati di scavo questo periodo è risultato
un poco sacrificato – ossia meno documentato, allo stato attuale – rispetto alla
fase arcaica e a quella ellenistico-romana.
Ad esempio, come viene ricordato esplicitamente (da F. Berti, p. 101), non sono
state finora rinvenute estese necropoli per
il periodo VI-IV a.C.; il che, insieme ad
altri fattori, ha avuto evidenti conseguenze
anche nello sviluppo della riflessione storica ed archeologica. Tutto questo accresce
l’importanza delle messe a punto e delle
ricerche che i saggi riuniti nel volume ora
presentano, e spiega anche come mai la
contestualizzazione dei dati iasei – talora
scarsi o ambigui – debba cercare intensamente, per questo periodo, il riscontro
o l’analogia con altre situazioni ritenute
paragonabili.
Così avviene nel lavoro introduttivo di Roberta Fabiani (Linee di storia iasia tra il VI e gli inizi del
IV secolo a.C., pp. 11-47), che affronta con attenzione minuta ed analitica un periodo tanto cruciale
per la ‘grande’ storia greca, quanto mal noto per Iasos. Giovandosi del risultato di recenti ricerche,
anche personalmente condotte dall’A., il saggio si propone metodicamente di inserire i frammenti
di storia iasia noti per il periodo in esame entro la griglia, decisamente meglio conosciuta, della
storia internazionale greca. Accanto al posizionamento dei frammenti, come nei buoni restauri,
è fornita l’indicazione delle integrazioni proposte, motivandone il grado di probabilità. Il lettore
così può comprendere bene dove arrivi il dato e donde ne cominci l’interpretazione, e lo studioso
trova delineata una ipotesi di lavoro su cui inserire domani anche eventuali nuovi elementi. Molti
sono infatti gli eventi epocali per i quali si deve postulare, ma non è esplicitamente attestato, un
coinvolgimento di Iasos: lo storico confronto tra Ellade e Persia e poi le guerre tra Elleni, ma anche
l’evoluzione della Caria, nel confronto con le culture iranica e greca. Giacché il più antico dato
storico superstite databile si riferisce – come è noto – alla presenza di Iasos nell’alleanza ateniese,
nel 450/49 a.C. Il quadro tracciato dall’A., con metodica cautela e meditato aggiornamento bibliografico, consente di dare un senso alle poche ed isolate notizie superstiti su Iasos, dalle tradizioni
di fondazione alla presenza dei Cari, dal coinvolgimento nell’impero ateniese al confronto con
46
Mausolo. E in tale contesto si inquadra
anche la discussione su problemi annosi
quali la discussa distruzione della città da
parte di Lisandro (che l’A. documenta non
essersi mai verificata), o le relazioni tra Iasos
e Atene (riconsiderate di recente a seguito
di una riscoperta epigrafica). È certamente
molto utile che il libro si apra con questo
reassessment, che la ricerca su Iasos farà bene
da ora a tenere di riferimento.
Del breve contributo di Werner Johannowsky (Osservazioni sull’evoluzione urbana di Iasos in Caria, pp. 49-53) si segnala
il taglio personale, frutto di una lunga
consuetudine con il sito. Con interessanti
sottolineature il lavoro ha l’intento di delineare l’urbanistica della città secondo una
linea evolutiva particolarmente attenta al
dato sacrale.
Maurizio Landolfi si sofferma Sulle prime
importazioni attiche a figure nere di Iasos (pp. 55-72). La ceramica di età classica rinvenuta nello scavo
non ha ricevuto sinora, anche per la problematicità e la frammentarietà dei materiali, un’attenzione
adeguata: qui se ne studia preliminarmente una classe, inquadrandone la diffusione nei commerci
di VI secolo. Si tratta, per Iasos, di pochi elementi, che però divengono ‘parlanti’ attraverso una
rete di confronti, convincentemente proposti dall’A., e attraverso riflessioni sulla possibile funzione
della ceramica nel rito e nella vita di Iasos arcaica, ad esempio nelle pratiche simposiali, elemento
identitario delle élites.
Ancora a materiali ceramici, di altro tipo, si rivolge l’attenzione di Maria Adele Ibba (La fontana
‘arcaica’ dell’agora di Iasos e i suoi materiali, pp. 73-99). La struttura di provenienza fu scavata alcuni anni or sono (prosegue dunque, lentamente, il recupero degli ‘arretrati’ di scavo) ma lo studio
effettuato per l’occasione ha consentito la ricostruzione almeno parziale di varie forme. Anfore,
brocche, hydriai, coppe, crateri, si spiegano agevolmente in rapporto appunto ad una fontana, anche
se alcuni esemplari di anfore ‘commerciali’ sollevano qualche incertezza. Di interesse il quadro
cronologico: dalla seconda metà del VII a.C. agli inizi del V, in una Iasos cioè ‘ionica’ e ‘milesia’,
1. Iasos: frammento
di coppa a figure
nere con Artemis
2. Fontana ‘arcaica’
dell’agora di Iasos
47
3. Brocca dalla fontana
‘arcaica’ dell’agora di
Iasos
mermnade e persiana.
A Fede Berti si debbono gli Appunti per lo studio
dei vasi attici a figure rosse di Iasos (pp. 101-117).
I dati frammentari relativi a questa classe ceramica sono esaminati con opportuna prudenza.
Il contesto funerario, i riferimenti al mondo del
simposio evinti dall’iconografia sono prospettati
in forma di ipotesi di lavoro. Interessante la topografia di alcuni rinvenimenti, spesso legati ad
aree sacre, ma di interpretazione non univoca.
Indizi importanti vengono dalla tipologia del vasellame, ad esempio per la scarsità di vasi potori,
e da un trend cronologico che vede uno sviluppo
delle importazioni dopo il 450 a.C.: difficile eludere un collegamento con le relazioni tra Iasos
e Atene e poi con la ‘ellenizzazione’ della Caria
degli Ecatomnidi. Va notata a questo punto la
coerenza di fondo dei risultati di ricerche diverse presentate nel volume. Di seguito Francesca
Curti esamina Frammenti di ceramica attica da
Iasos (pp. 119-126), in particolare un cratere a
figure rosse del V a.C. con scena di quadriga in corsa, sulla cui interpretazione sono formulate
caute ipotesi.
Le Indagini sulle murature di una torre del lato orientale della cinta di Iasos in Caria, proposte da
Stefano Bertocci (pp. 127-139), nel quadro di una completa ricognizione del circuito murario della
città, si soffermano determinatamente sulla torre quadrangolare superstite sul lato orientale, di cui
viene rilevata e studiata la muratura, con l’analisi delle caratteristiche tecniche. La torre è diversa dal
resto della cinta, pur mal conservato, e con ogni probabilità è più antica, almeno per il basamento.
Le caratteristiche strutturali invitano poi secondo l’A. al confronto con resti di edifici iasii dell’età
arcaico classica, ma appaiono necessarie altre ricerche. Allo stato attuale, dunque, si può osservare
che la storia della cinta urbana si conferma sempre più come una stratificazione molto complessa
(a contrasto con l’unitarietà di concezione ed esecuzione della cinta ‘di terraferma’). Va da sé che la
presenza di una evoluzione della cinta fin dall’età classica toglierebbe ulteriore consistenza all’idea
di una distruzione totale della città a fine V secolo a.C.
A ripensare idee radicate induce anche il lavoro di Nicolò Masturzo su Alcune osservazioni sul tempio
4. Torre del lato
orientale della cinta di
Iasos
48
in antis nel ‘santuario’ dell’agora di Iasos
(pp. 141-157). L’area a cui ci si riferisce è infatti quella tradizionalmente
indicata come ‘santuario di Artemis
Astias’, qui molto opportunamente
designata – fin dal titolo – in termini
più generici. Il complesso formato da
porticato, tempio ed esedre è stato
indagato solo parzialmente, lasciando
aperte molte questioni. L’A. riprende
qui i dati di scavo disponibili, dipanando una sequenza cronologica a ritroso dalle tarde strutture superficiali
agli interventi di età imperiale, alle fasi
arcaiche: queste ultime particolarmente interessate dalle ristrutturazioni che l’area appare aver
subito nel tempo. Particolare attenzione è riservata al tempietto che sorge al centro del complesso,
studiato dal punto di vista tecnico e con ricostruzione di pianta e alzato. Per le caratteristiche
strutturali se ne propone una datazione al IV secolo, coerente con talune realizzazioni ecatomnidi.
Naturalmente tale antichità dell’edificio rende ancora più forti gli interrogativi sulla sua lunga
storia, soprattutto vista la monumentalizzazione dell’area circostante il tempietto, avvenuta in età
imperiale. È prospettabile un cambio d’uso?
Esce dalla città, per indagarne la chora, il saggio di Raffaella Pierobon Benoit, che chiude il volume (Il territorio di Iasos tra VI e V secolo a.C., pp. 159-176). Sguardo d’insieme su varie ricerche
particolari condotte in anni anche recenti, il lavoro introduce la ‘lunga durata’ propria dei tempi di
un territorio, tra insediamenti agro-pastorali e strutture di sorveglianza e difesa, tracce di attività
produttive e luoghi sacri extramurani. La definizione di una cronologia precisa appare spesso ardua
per il carattere ‘conservativo’ e puramente funzionale delle strutture emergenti, appena temperato
da qualche reperto: non mancano elementi riferibili all’età classica. Dall’indagine esce ancora ribadita l’idea che la chora della città ebbe ampia frequentazione e differenziate funzioni, da pensare
sempre in rapporto (economico, strategico, cultuale) con il centro, ma in cui stavano presenze non
greche (donde i celebri edifici ‘lelegi’) la cui natura richiederà altri sondaggi.
E in effetti il volume risulta stimolante proprio perché molti dei lavori contenuti, sottolineando il
carattere provvisorio delle acquisizioni, richiamano la spinta ad ulteriori indagini sul campo, ma
anche l’importanza della riflessione criticamente condotta, più solida ed utile quanto più lontana
dalle soluzioni ‘facili’ e vistose.
5. Iasos: frammento
di kantharos tipo St.
Valentin
6. Territorio di
Iasos: cinta di
terraferma
49
N O T I Z I A R I O
a cura di Daniela Baldoni
Attività dall’Associazione
L’Associazione ‘Iasos di Caria’ ha lo scopo di patrocinare le attività di scavo, di restauro e di pubblicazione dei ritrovamenti effettuati nel centro cario dalla Missione Archeologica Italiana, nonché
di promuovere ogni iniziativa atta alla loro divulgazione.
Secondo quanto stabilito dallo Statuto, i contributi finanziari ricevuti nel corso dell’anno sono stati
in gran parte destinati alla campagna 2004 della Missione Archeologica, dal momento che le quote
sociali versate hanno coperto interamente le spese di costituzione e di gestione dell’Associazione.
Il ‘Bollettino dell'Associazione Iasos di Caria’
La diffusione del ‘Bollettino dell’Associazione Iasos di Caria’ costituisce un valido strumento tanto per
l’informazione sulle attività svolte dall’Associazione, quanto per la divulgazione delle notizie relative
ai lavori effettuati dalla Missione Archeologica Italiana.
Esso viene inviato, con scadenza annuale, ai soci ed a tutti coloro (Enti, Istituti, Associazioni,
Soprintendenze, Musei, Università, Biblioteche, studiosi) che si ritengono interessati agli argomenti
trattati. Vi saremmo grati se voleste contribuire all’iniziativa comunicandoci suggerimenti e proposte in
merito ai contenuti del fascicolo.
Saremo inoltre lieti di poter ospitare vostri eventuali contributi, redatti secondo le modalità che potremo
indicarvi se vorrete mettervi in contatto con noi presso la sede dell’Associazione o all’indirizzo e-mail:
[email protected]
Convegni e conferenze
� Dal 18 al 21 febbraio 2004 si è svolto a Lecce il “X Colloquio della Associazione Italiana per
lo Studio e la Conservazione del Mosaico (AISCOM)”.
Le Esperienze italiane di restauro musivo all’estero: il caso dei pavimenti della ‘Casa dei
Mosaici’ a Iasos (Turchia) sono state presentate da Fede Berti e dalle restauratrici Morena Del
Gaudio e Micol Siboni.
� Il 15 marzo a Roma, presso l’Istituto di Studi sulle Civiltà dell’Egeo e del Vicino Oriente,
C.N.R., Nicoletta Momigliano, docente presso l’Università di Bristol (UK), ha tenuto una conferenza su tema: Iasos e le isole dell’Egeo prima dell’eruzione di Santorini.
� Nel mese di aprile 2004, presso la Scuola Italiana di Atene, in occasione della “10th International Aegean Conference” sul tema Emporia: Aegeans in the Eastern and Western Mediterranean,
Nicoletta Momigliano (University of Bristol, UK), ha presentato una comunicazione dal titolo:
Iasos and the Aegean Islands Before the Santorini Eruption.
� Nell’ambito di una serie di incontri svoltisi nel 2004 presso la sede milanese della Associazione Lombarda Archeologica (A.L.A.), alcuni dei soci hanno illustrato le attività svolte presso la
Missione Archeologica di Iasos nel corso delle ultime campagne di scavo.
Il 13 maggio Sergio Castelletti e Federico Mailland hanno tenuto una conferenza dal titolo: Ricerche a Iasos di Caria (Turchia).
50
N O T I Z I A R I O
Il 10 novembre Federico e Ida Mailland hanno svolto una relazione
sul tema: Iasos di Caria. Saggi di scavo all’esterno della stoa sud
e presso il propileo sud. Nella stessa occasione è stata presentata
dall’autrice, Maurizia Manara, la dispensa Iasos, 3000 anni di
storia sulle rive dell’Egeo.
� Dal 24 al 28 maggio 2004 si è tenuto a Konya il “26. Uluslararası Kazı, Araştırma ve Arkeometri Semposyumu”, Convegno
annuale sugli scavi, le ricognizioni topografiche e l’archeometria in
Turchia, promosso dal T.C. Kültür ve Turizm Bakanlığı - Kültür
Varlıkları ve Müzeler Genel Müdürlüğü.
Fede Berti, direttrice della Missione Archeologica Italiana di Iasos,
ha illustrato l’attività svolta nel corso della campagna del 2003
(Iasos. Campaign 2003).
Raffaella Pierobon Benoit, responsabile della Missione di Survey
nel Golfo di Mandalya, ha presentato i risultati delle ultime ricognizioni effettuate nel territorio di Iasos (Survey of the Mandalya
Gulf: Report on the 2003 Campaign).
� Martedì 4 giugno 2004, presso il Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, Fede Berti e
Simonetta Angiolillo hanno presentato il volume Iasos tra VI e IV sec. a.C. Miscellanea storico-archeologica, supplemento al volume 81 degli Atti accademici 2003-2004 della Accademia
delle Scienze di Ferrara. La manifestazione è stata aperta dal presidente, prof. Roberto Tomatis,
che ha rivolto agli intervenuti il saluto dell’Accademia ferrarese.
� Dall’8 al 14 settembre 2004 si è tenuto a Darfo - Boario Terme (Brescia) il “XXI Valcamonica
Symposium. Arte preistorica e tribale” sul tema Nuove scoperte, nuove interpretazioni, nuovi metodi
di ricerca, organizzato dal CCPS Centro Camuno di Studi Preistorici in cooperazione con il CAR
(ICOMOS International Committee on Rock Art).
Federico ed Elena Mailland hanno presentato una comunicazione dal titolo The Rock Engravings
of Narlı, Iasos (Turkey), illustrando le problematiche relative alle figure
incise sopra una roccia scoperta nei pressi della insenatura di Narlı, località
situata nelle immediate vicinanze di Iasos.
� In occasione della International Conference on Remote Sensing Archaeology, svoltasi a Pechino dal 18 al 21 ottobre, M. Bini, S. Bertocci, A. Mrakic
e S. Parrinello hanno presentato una comunicazione sul tema: Information
Technology with the Menagement of Archaeological Heritage: Petra
(Jordan), Iasos (Turkey), Park of 100 Roman Farms at Lucca (Italy)
and the Archaeological Park of Rocca San Silvestro (Italy).
� Il 1° novembre, a Salisburgo, in occasione del Convegno Middle Helladic Synchronisms, organizzato da SCIEM e dalla Accademia Austriaca,
Nicoletta Momigliano (University of Bristol, UK) ha illustrato alcune delle
classi ceramiche dell’età del Bronzo presenti a Iasos in una comunicazione
dal titolo Kamares or not Kamares? This Is the Question...on the SE
Aegean LOD and DOL ware.
51
N O T I Z I A R I O
Cagliari: pannelli
della mostra
fotografica dedicati
allo scavo della
‘Casa dei Mosaici’
Mostre
� Il 7 febbraio 2004, negli spazi espositivi del Dipartimento di Scienze Archeologiche e Storico-Artistiche dell’Università di Cagliari, è stata inaugurata la mostra fotografica Ricerche in
Cittadella, comprendente una sezione dedicata ai lavori che Simonetta Angiolillo e gli allievi della
Scuola di Specializzazione in Archeologia conducono da tempo a Iasos.
Gli scavi nella ‘Casa dei Mosaici’ sono stati illustrati da poster curati da Simonetta Angiolillo,
Marco Giuman, Maria Adele Ibba e Alfonso Stiglitz.
Nel corso del periodo di apertura della esposizione i docenti e alcuni dei loro allievi hanno tenuto un ciclo di conferenze relative
alle ricerche in corso.
Il 28 febbraio, in coincidenza con la chiusura della manifestazione,
Mario Torelli e Marina Falla Castelfranchi hanno presentato il primo volume di Aristeo. Quaderni del Dipartimento di Scienze
Archeologiche e Storico-Artistiche dell’Università di Cagliari,
contenente un articolo di S. Angiolillo sul culto di Artemis a Iasos
(Ostendunt et Iasii Dianam manibus eorum factam).
�
Dal 18 settembre al 3 ottobre 2004 nelle sale del Castello
Estense di Ferrara si è svolta la mostra fotografica: Antiche immagini dell’uomo. Le pitture rupestri preistoriche del Latmo, nella
Turchia occidentale, curata da Anneliese Peschlow, docente presso
l’Università di Berlino e direttrice della Missione Archeologica di
Eraklea al Latmos.
L’esposizione era stata precedentemente allestita a Lecce e a Roma,
nella sede del Museo Etnografico Pigorini.
52
N O T I Z I A R I O
Sito Web
�
Si segnalano gli aggiornamenti riguardanti la Missione Archeologica di Iasos nel sito
MISART
Missioni Archeologiche Italiane in Turchia
una guida alle Missioni Archeologiche Italiane in Turchia, redatta in lingua italiana, turca e inglese,
che è possibile consultare in rete, all’indirizzo
www.misart.it
I nuovi inserimenti riguardano le pubblicazioni più recenti (in “Bibliografia”), i lavori della campagna di scavo 2004 (in “News”) e le immagini del sito (in “Galleria delle immagini”).
Il sito web, patrocinato dal Ministero degli Affari Esteri e dall’Ambasciata Italiana ad Ankara, è
stato curato dal Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Lecce, grazie al supporto finanziario dell’ENI. l sito web, patrocinato dal Ministero degli Affari Esteri e dall’Ambasciata Italiana
ad Ankara, è stato curato dal Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Lecce, grazie al
supporto finanziario dell’ENI.
Vita della Missione
� Rappresentante del Governo di Turchia presso la Missione Archeologica
Italiana di Iasos è stato, nel 2004, il dott. Melih Arslan, specialista in Numismatica presso il Museo delle Civiltà Anatoliche di Ankara.
A lui va il nostro caloroso ringraziamento per averci aiutato a superare le
grandi e piccole difficoltà quotidiane, alleviando con la sua gentilezza le nostre
fatiche e allietando le nostre serate con il suo buonumore e le sue indiscutibili
doti…di ballerino.
Gli siamo inoltre particolarmente grati per avere stoicamente e pazientemente
sopportato i molteplici disagi causati dai lavori di ristrutturazione della casa
della Missione, che hanno spesso e a lungo privato i suoi occupanti dell’elettricità, dell’acqua e dell’uso dei servizi igienici.
Un grazie di cuore anche per aver accettato di buon grado la convivenza, spesso
problematica, con i gatti, i cani e gli altri animali che nel corso dell’estate
hanno, come di consueto, frequentato numerosi e assidui il nostro giardino,
fedeli amici e ospiti abituali alla nostra tavola.
�
Anche nel corso dell’ultima campagna numerosi sono stati gli amici che hanno raggiunto
Iasos e la Missione. Ricordiamo con piacere le visite del professore e della signora Blümel, di Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli, di Marie Lesvigne con un gruppo di colleghi provenienti
da Xanthos; proficuo l’incontro con alcuni membri della Missione franco-turca di Hyllarima per
lo scambio di opinioni sulla comune realtà caria.
Esra Cayır, ha trascorso un breve periodo di studio presso la nostra Missione, allo scopo di completare la sintesi storica sulla città di Iasos, finalizzata al completamento della sua tesi di laurea.
Siamo particolarmente grati al dr. Kemal Türeli, geologo presso il Mineral Research and Exploration Institute. Natural History Museum di Ankara, che ha effettuato la campionatura e l’analisi
dei marmi della ‘Basilica della Porta Est’, fornendo utili indicazioni sulla loro tipologia.
53
Melih Arslan
Indice tematico 1995-2004
a cura di Daniela Baldoni e Carlo Franco
A
distanza di undici anni dalla nascita del
Bollettino dell’Associazione Iasos di Caria,
abbiamo creduto opportuno stilare un indiceriepilogo dei temi trattati nei 10 numeri precedenti,
ordinandoli per argomento e indicando il fascicolo
nel quale sono stati pubblicati di volta in volta.
Una sorta di guida schematica per orientare chi
volesse rileggere – o leggere per la prima volta – un
articolo che gli sta a cuore senza dovere sfogliare
l’intera collezione.
Editoriali
F. Berti, L’Associazione ‘Iasos di Caria’
F. Berti, L’Associazione ‘Iasos di Caria’: bilancio di
un anno di attività
F. Berti, 1996: risultati e progetti
F. Berti, Missioni archeologiche italiane all’estero:
una occasione di incontro
F. Berti, Editoriale/Editörün önsözü
F. Berti, Editoriale
M.C. Luciani, Il Bollettino compie 10 anni
1, 1995
2, 1996
3, 1997
4, 1998
5, 1999
6, 2000
10, 2004
Rapporti annuali
1, 1995
2, 1996
3, 1997
4, 1998
5, 1999
6, 2000
7, 2001
8, 2002
9, 2003
10, 2004
54
D. Baldoni, Lo scavo nell’area della porta
orientale dell’agora
1, 1995
Balık Pazarı-Antiquarium
F. Berti, Il Balık Pazarı e l’allestimento
dell’Antiquarium
F. Berti, L’Antiquarium di Iasos
R. Parapetti, Il tempietto funerario del Balık
Pazarı.
1, 1995
2, 1996
2, 1996
Basiliche e necropoli bizantine
D. Baldoni, Tombe bizantine all’esterno del Balık
Pazarı
U. Serin, Le chiese paleocristiane e bizantine di
Iasos: considerazioni cronologiche e problemi relativi
alla topografia cristiana
2, 1996
7, 2001
Campagna fotografica
S. Orselli, La campagna fotografica 1998: il
trattamento dei negativi in B&N
5, 1999
‘Casa dei Mosaici’
a cura degli allievi della Scuola di Specializzazione
in Archeologia dell’Università di Cagliari
Lo scavo nella ‘Casa dei Mosaici’
La seconda campagna di scavo nella ‘Casa dei Mosaici’
La terza campagna di scavo nella ‘Casa dei Mosaici’
3, 1997
4, 1998
10, 2004
P. Belli, N. Momigliano, Il progetto B.A.C.I.
(Bronze Age Carian Iasos)
P. Belli, N. Momigliano, B.A.C.I. 2000. La
seconda campagna di studio dei livelli dell’età del
Bronzo a Iasos
P. Belli, N. Momigliano, La terza campagna di
studio dei livelli dell’età del Bronzo a Iasos
P. Belli, Le campagne di studio 2002 e 2003 del
gruppo B.A.C.I. a Iasos
6, 2000
7, 2001
8, 2002
10, 2004
Necropoli ellenistica
D. Baldoni, Una tomba della necropoli ellenistica
O. Henry, Tombe ellenistiche a Iasos
O. Henry, Une tombe monumentale hellénistique à Iasos
5, 1999
8, 2002
10, 2004
Prospezioni subacquee
Materiali
D. Baldoni, Un frammento di tegola dal
Çanancık Tepe
F. Berti, Una mensa clôturée in marmo iasio
F. Berti, Mortaria con marchio a Iasos
I. Morabito, Una marca da vasaio (potters’mark)
da Iasos
R. Bonifacio, Statuette arcaiche dal santuario di
Demetra e Kore a Iasos
N. Momigliano, Un «şish kebab» preistorico a
Iasos?
M.A. Ibba, Bracieri ellenistici da Iasos
A. Stiglitz, Un frammento di ceramica invetriata
dalla Porta Est di Iasos
D. Gandolfi, Appunti sulle ceramiche sigillate di
Iasos di Caria
A. Carcaiso, Le anfore raccolte nella chora di Iasos
A. Stiglitz, Tra Oriente e Occidente: le anfore
di Cos
L. Innocente, Ritrovamenti scrittorî a Iasos
Agora
Insediamento dell’età del Bronzo
di F. Berti
I lavori a Iasos nel 1994
I lavori a Iasos nel 1995
La campagna a Iasos nel 1996
I lavori a Iasos nel 1997
I lavori a Iasos nel 1998
I lavori a Iasos nel 1999
La campagna 2000
Iasos, i lavori del 2001
I lavori della Missione a Iasos nel 2002
Iasos, campagna di scavo 2003
Scavi e ricerche a Iasos
2, 1996
3, 1997
4, 1998
7, 2001
8, 2002
8, 2002
9, 2003
9, 2003
10, 2004
10, 2004
10, 2004
10, 2004
R. Bonazza, A. Bottacin, M.T. Bernabei, M.P.
Marano, La campagna di rilevamento subacqueo
M.T. Bernabei, La campagna di prospezione
subacquea
5, 1999
7, 2001
Rilievo archeologico
M. Andreussi, Progetto di rilevamento delle
strutture murarie emergenti per la ricostruzione
diacronica del tessuto urbano di Iasos
M. Cannoni, M. Cornieti, C. Soverini,
M. Tiefenthaler, La campagna di rilievo
archeologico delle strutture murarie a Iasos di Caria:
impressioni, modalità, obiettivi
4, 1998
9, 2003
Santuario del Çanacık Tepe
D. Baldoni, Nuovi scavi nel santuario sul
Çanancık Tepe
D. Baldoni, Saggi di accertamento nel santuario
sul Çanancık Tepe
1, 1995
2, 1996
Territorio
R. Pierobon Benoit, La chora di Iasos
R. Pierobon Benoit, Nuovi dati dalle ricognizioni
nel Golfo di Mandalya
8, 2002
10, 2004
Turchia
M. Manara, La casa turca
M. Manara, Milas: il caravanserraglio
M. Landolfi, Giuseppe Moretti e gli esordi
dell’archeologia italiana in Anatolia
M. Landolfi, Le Marche, l’archeologia e la
Turchia
Restauri
3, 1996
5, 1999
8, 2002
9, 2003
Storia, cultura, epigrafia a Iasos
C. Franco, Le celebrità di Iasos ellenistica
3, 1997
L. Leurini, Osservazioni sullo Zeus ‘Idrieus’ di Iasos
5, 1999
G.P. Ghini, Iasos: i miti delle origini, i racconti
della fine
5, 1999
G.P. Ghini, Iasos: l’età bizantina
6, 2000
L. Leurini, Ermocrate di Iasos: un maestro
dimenticato
6, 2000
A. Andreoli, La sede episcopale di Iasos di Caria
6, 2000
C. Franco, Una iscrizione funeraria da Iasos
6, 2000
C. Franco, Aristotele e Iasos
7, 2001
L. Leurini, Diodoros Kronos, un bizzarro filosofo
di Iasos
7, 2001
L. Innocente, Panoramica sul cario
8, 2002
L. Innocente, Tegola di Iasos
8, 2002
R. Fabiani, Considerazioni sugli erétai di Iasos.
A proposito dell’epigrafe iasea inv. 3402
9, 2003
C. Franco, Un ‘nuovo’ retore di Iasos
9, 2003
Ricordi di Iasos
P. G. Guzzo, Memorie carie
P. Belli, Scavare a Iasos. I ricordi di Clelia Laviosa
T. Akarca, Iasos, com’era
P. Belli, F. Berti, Iasos prima degli scavi.
Documenti di un viaggio in Caria
E. Pagello, Un ‘amarcord’ iasio1973-2001: dalla
Willis al B737
L. Lanza, Il ‘Balık Pazarı’, errore giustissimo
M.C. Luciani, L’isola del tesoro. Cartolina da Iasos
1, 1995
2, 1996
5, 1999
8, 2002
8, 2002
9, 2003
9, 2003
Altri siti
Bargylia
M. Falla Castelfranchi, Bargylia non è più
dimenticata
7, 2001
Caria
P. Åström, Excursion in Caria
P. Åström, In the Country of a Thousand Sleeping
Beauty Cities (I)
P. Åström, In the Country of a Thousand Sleeping
Beauty Cities (II)
P. Åström, In the Country of a Thousand Sleeping
Beauty Cities (III)
5, 1999
6, 2000
7, 2001
8, 2002
6, 2000
Latmo
A. Peschlow Bindokat, Il Latmo: una
dichiarazione d’amore a un paesaggio
4, 1998
Milas
A. Kızıl, Milas Müzesinde yer alan çocuk Eros
kabartması
9, 2003
Mileto
B. e W.-D. Niemeier, Mileto nell’etá del Bronzo:
un ponte tra il mondo egeo e l’Anatolia
1, 1995
7, 2001
3, 1997
4, 1998
Viaggiatori in Caria
a cura di P. Belli
Della Seta
Esplorazioni italiane in Caria negli anni ’20:
A. Della Seta
Deschamps
Viaggiatori in Caria: G. Deschamps
von Richter
Viaggiatori in Caria: O.F. von Richter
Ibn Battûta
Viaggiatori in Caria: Ibn Battûta
Texier
Viaggiatori in Caria: Charles Texier (I)
Viaggiatori in Caria: Charles Texier (II)
Viaggiatori in Caria: Charles Texier (III)
Viaggiatori in Caria: Charles Texier (IV)
Chandler
Viaggiatori in Caria: R. Chandler
2, 1996
4, 1998
5, 1999
6, 2000
6, 2000
7, 2001
8, 2002
9, 2003
10, 2004
Aggiornamenti bibliografici
a cura di F. Berti
Iasos: aggiornamento bibliografico
Iasos: aggiornamento bibliografico
Iasos: aggiornamento bibliografico
Iasos: aggiornamento bibliografico
Rassegna bibliografica
2, 1996
4, 1998
5, 1999
7, 2001
9, 2003
Recensioni
AA.VV., Arslantepe Hierapolis Iasos Kyme
(di C. Franco)
AA.VV., Sinus Iasius. I, 2 (di M. Andreussi)
P. E. Pecorella, La cultura preistorica di Iasos in
Caria (di P. Belli)
AA.VV., Iasos di Caria. Un contributo ferrarese
alla archeologia microasiatica (di C. Franco)
F. Tomasello, L’acquedotto romano e la necropoli
presso l’istmo (di M. Andreussi e P. Belli)
M. Spanu, Keramos di Caria. Storia e monumenti
(di F. Berti)
G. Traversari (a cura di), Laodicea di Frigia I
(di P. Belli)
1, 1995
2, 1996
3, 1997
4, 1998
5, 1999
7, 2001
10, 2004
Notiziario
Laodicea sul Lico
L. Sperti, Ricognizione archeologica a Laodicea
sul Lico
‘Casa dei Mosaici’
M. Manara, Il progetto di copertura della ‘Villa
dei Mosaici’
M. Manara, La copertura della ‘Casa dei Mosaici’
Torre del porto
N. Masturzo, Il restauro della torre del porto di Iasos
‘Orologio’
N. Masturzo, Il restauro della tomba
monumentale chiamata ‘Torre dell’Orologio’
6, 2000
a cura di D. Baldoni
Notiziario
Notiziario
Notiziario
Notiziario
Notiziario
Notiziario
Notiziario
Notiziario
Notiziario
Notiziario
1, 1995
2, 1996
3, 1997
4, 1998
5, 1999
6, 2000
7, 2001
8, 2002
9, 2003
10, 2004
55
1 Acquedotto
14 Complesso della basilica presso la
porta Est
2 Basilica ad Est del mausoleo
romano
15 Teatro greco
3 Mausoleo romano (Balık Pazarı)
16 Quartiere a Sud del teatro
4 Tomba ellenistica
5 Tombe a camera ellenistico-romane
17 Cinta di età geometrica e terrazze
sotto l'acropoli
6 Agora
18 Basilica dell'acropoli
7 Saggio all'interno dell' agora
19 Castello medievale
8 Bouleuterion
20 Tempio sull'acropoli
21 Villa dei mosaici
9 Complesso di Artemis Astias
10 Tempietto in antis
22 Complesso del propileo Sud
11 Caesareum
23 Santuario di Demeter e Kore
12 Porte Est
24 Torre del porto
13 Santuario di Zeus Megistos
25 Tomba ellenistica
56
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n. 11 Anno 2005 - Associazione Iasos di Caria