Capitolo 13
Come agisce l’evoluzione
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L’evoluzione biologica e la teoria di Darwin
13.1 Le teorie evolutive prima di Darwin
Le specie viventi si trasformano nel tempo
• Nel 1700 lo studio dei fossili dimostrava l’esistenza di
antichi organismi talvolta molto diversi da quelli attuali,
suggerendo che le specie viventi si trasformano nel
tempo.
• Il naturalista Georges-Louis
Buffon (1707-1788) avanzò
l’ipotesi che i viventi si fossero
originati da un esiguo numero di
antichissimi antenati.
Figura 13.1A
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Il naturalista inglese Erasmus Darwin (1731-1802),
nonno di Charles Darwin, era tra coloro che sostenevano
che le specie viventi si trasformano nel tempo e che tali
cambiamenti, testimoniati dai fossili, sono il risultato
dell’interazione delle popolazioni con l’ambiente.
Figura 13.1B
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L’evoluzionismo secondo Lamarck
• Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829) formulò una
teoria sull’evoluzione coerente e sistematica,
secondo la quale le specie si evolvono tramite
l’interazione con l’ambiente.
• Il punto debole della teoria
risiedeva nella convinzione che
le caratteristiche acquisite in tal
modo fossero trasmissibili alla
progenie.
Figura 13.1C
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Cuvier e le teorie del catastrofismo
Georges Cuvier (1760-1832), fondatore della degli studi
di paleontologia dei vertebrati, spiegava la scomparsa di
specie presenti un tempo sulla Terra attraverso la teoria
del catastrofismo.
Figura 13.1D
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Le basi del pensiero evoluzionistico di Darwin
Gli studi del geologo scozzese Charles Lyell (1797-1875)
fornirono le basi per il pensiero evoluzionistico; infatti, Lyell
nel suo Principles of Geology
• si oppose alla teoria del catastrofismo;
• affermò che i lenti e costanti cambiamenti nella storia
della Terra sono causati da forze naturali che
operano in tempi molto lunghi.
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13.2 Nel suo viaggio intorno al mondo Darwin gettò
le basi della sua teoria dell’evoluzione
Charles Darwin nacque nel 1809 in Inghilterra; iniziò gli
studi di medicina e poi di teologia, ma la sua vera
passione erano le scienze naturali.
Figura 13.2A
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Il viaggio con il Beagle
Durante il suo viaggio durato cinque anni (1831-1836)
sul brigantino inglese Beagle, Darwin osservò le
somiglianze tra organismi viventi e fossili e la diversità
della vita sulle isole Galápagos.
Figura 13.2B
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Dalla pratica alla teoria
• Le osservazioni che Darwin fece durante il suo
viaggio sul Beagle lo aiutarono a elaborare la sua
teoria sull’evoluzione.
• Quando fece ritorno in Gran Bretagna, scrisse un
saggio in cui descriveva i principi della sua teoria
dell’evoluzione, parlando di discendenza con
modificazioni.
• Darwin si rese conto dell’unità tra le specie,
secondo cui tutti i viventi sono correlati tra loro
attraverso un comune progenitore di qualche
specie sconosciuta, vissuto in epoca remota.
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• Prevedendo le polemiche che le sue idee avrebbero
potuto suscitare, Darwin preferì ritardare la
pubblicazione del suo libro.
• Alfred Wallace, un altro naturalista inglese, concepì una
teoria identica a quella di Darwin, che venne presentata
nel 1858, citando il precedente saggio di Darwin.
• Darwin nel 1859 pubblicò il volume Sull’origine delle
specie mediante selezione naturale, che divenne un
caposaldo delle scienze naturali.
Figura 13.2D
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13.3 Secondo Darwin la selezione naturale è alla
base dei meccanismi dell’evoluzione
Darwin osservò che gli organismi di tutte le specie:
• hanno la tendenza a produrre prole in eccesso,
con un numero di individui superiore a quello che
l’ambiente può sostenere;
• variano in molte caratteristiche individuali che
possono essere ereditate (trasmesse da una
generazione a quella successiva).
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La selezione naturale
• Darwin osservò che la sopravvivenza dipende almeno
in parte dalle caratteristiche ereditate dai genitori.
• All’interno di una popolazione diversificata, gli individui
dotati di tratti ereditari che permettono di adattarsi
meglio all’ambiente, hanno maggiore probabilità di
sopravvivere e riprodursi.
• Secondo Darwin, in seguito alla selezione naturale le
caratteristiche vantaggiose saranno rappresentate
sempre più frequentemente nelle generazioni
successive, mentre quelle sfavorevoli lo saranno
sempre meno.
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La selezione artificiale
Darwin trovò prove convincenti a sostegno delle sue
teorie osservando i risultati della selezione artificiale,
cioè la coltivazione e l’allevamento selettivi di piante e
animali.
Incroci condotti dall’uomo
per migliaia di anni
(selezione artificiale)
Cane ancestrale (simile al lupo)
Figura 13.3A
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Figura 13.3B
• Secondo Darwin le diverse forme di vita si sono
originate, attraverso successive modificazioni, da
un antenato comune.
• Il meccanismo che ha portato alla formazione delle
diverse specie è stato la selezione naturale.
Licaone
Coyote
Lupo
Volpe
Selezione naturale
avvenuta
nel corso di milioni di anni
Figura 13.3C
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Canide ancestrale
Sciacallo
Le prove dell’evoluzione
13.4 Lo studio dei fossili fornisce prove a favore
dell’evoluzione
I fossili e la documentazione fossile, ossia la serie
ordinata di fossili che affiorano dagli strati di rocce
sedimentarie, forniscono una delle prove più importanti
dell’evoluzione.
Figura 13.4A-F
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La documentazione fossile testimonia che gli esseri
viventi si sono evoluti in una sequenza cronologica.
Figura 13.4G
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Molti fossili mettono in collegamento le specie attuali con
i loro antenati estinti.
Figura 13.4H
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13.5 Altre prove che confermano la teoria evolutiva
La biogeografia
• Alcune discipline scientifiche sono di supporto allo
studio dei fossili nel sostenere la teoria evolutiva.
• La biogeografia, la distribuzione geografica delle
specie, suggerì per prima a Darwin che gli
organismi si evolvono da antenati comuni.
• Darwin notò che gli animali delle Galápagos
assomigliavano di più alle specie continentali che
agli animali di altre isole tropicali (con un ambiente
più simile).
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L’anatomia comparata
• Un altro supporto alla teoria dell’evoluzione è
fornito dall’anatomia comparata, la disciplina che
mette a confronto le strutture corporee di specie
diverse.
• Somiglianze anatomiche che accomunano le
specie costituiscono un indicatore di discendenza
comune.
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• I biologi chiamano strutture omologhe le strutture
che sono simili perché derivano da un antenato
comune.
• Spesso le strutture omologhe hanno funzioni diverse.
Figura 13.5A Specie umana
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Gatto
Balena
Pipistrello
L’embriologia comparata
• L’embriologia comparata, lo studio delle strutture
che compaiono durante lo sviluppo dei diversi
organismi, fornisce ulteriori prove delle origini
comuni dei viventi.
• Spesso, infatti, le specie strettamente imparentate
presentano stadi simili nel loro sviluppo
embrionale.
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Molti vertebrati hanno strutture omologhe nei loro
embrioni.
Tasche
branchiali
Coda
Embrione umano
Embrione di pollo
Figura 13.5B
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La biologia molecolare
• Un supporto alla teoria dell’evoluzione è stato fornito
recentemente dalla biologia molecolare, la
disciplina che paragona sequenze di DNA e proteine
in organismi differenti.
• Le specie che risultano
strettamente correlate
hanno in comune
una percentuale di DNA e
di proteine maggiore rispetto
alle specie non imparentate.
Tabella 13.5
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COLLEGAMENTI
13.6 La selezione naturale in azione
Il mimetismo degli insetti che si sono evoluti in ambienti
molto diversi è un esempio di adattamento evolutivo e
dei risultati ottenuti dalla selezione naturale.
Una mantide
orchidea
(Malesia)
Una mantide
foglia
(Costa Rica)
Figura 13.6A
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Un altro esempio di evoluzione in atto è la comparsa
della resistenza agli insetticidi negli insetti.
Gene che
conferisce
resistenza
al pesticida
Applicazione del pesticida
Individuo resistente
Le successive somministrazioni
dello stesso pesticida saranno
sempre meno efficaci e
il numero di individui
resistenti nella popolazione
di insetti aumenterà
progressivamente
Figura 13.6B
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Da Darwin alla sintesi moderna
13.7 Le popolazioni sono le unità su cui agisce
l’evoluzione
• La popolazione (un gruppo di individui della
stessa specie che vivono nello stesso posto
nello stesso momento) rappresenta l’insieme
più piccolo di organismi soggetto
all’evoluzione.
• Una specie è un gruppo di individui,
generalmente concentrati in
popolazioni, che sono in grado
di incrociarsi tra loro
e produrre prole fertile. Figura 13.7
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• La genetica delle popolazioni, nata intorno al
1920, è la scienza che si occupa dei cambiamenti
genetici delle popolazioni.
• La sintesi moderna (o teoria sintetica
dell’evoluzione), sviluppatasi all’inizio degli anni
Quaranta, è una teoria evolutiva che considera le
popolazioni come le unità dell’evoluzione e tiene
conto di gran parte dei concetti espressi da Darwin.
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• L’insieme di tutti gli alleli di tutti gli individui che
compongono una popolazione, presenti in qualsiasi
momento, costituisce il pool genico della
popolazione.
• La microevoluzione è un cambiamento nella
frequenza relativa degli alleli nel pool genico di una
popolazione.
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13.8 In una popolazione che non si evolve il pool
genico rimane immutato nel corso delle generazioni
In una popolazione che non si evolve il mescolamento di
geni che accompagna la riproduzione sessuata non
altera la composizione genetica della popolazione.
Figura 13.8A
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Zampa con
membrana
Zampa senza
membrana
Questo principio è chiamato equilibrio di HardyWeinberg e stabilisce che il mescolamento dei geni
durante la riproduzione sessuata non altera le frequenze
dei diversi alleli in un pool genico.
Fenotipi
Genotipi
Numero di animali
(totale  500)
Frequenze
genotipiche
Numero di alleli
del pool genetico
(totale  1000)
Frequenze alleliche
Figura 13.8B
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WW
Ww
320
160
20
160  0,32
500
320  0,64
500
640 W
ww
160 W  160 w
800  0,8 W
1000
20  0,04
500
40 w
200  0,2 w
1000
Per verificare l’equilibrio di Hardy-Weinberg si possono
seguire gli alleli in una popolazione.
Ricombinazione
degli alleli
della prima generazione
(genitori)
Gameti maschili
W maschile w maschile
p  0,8
q  0,2
Ww
WW
pq  0,16
p2  0,64
W femminile
p  0,8
Gameti
femminili
w femminile
q  0,2
wW
qp  0,16
q2
ww
 0,04
Seconda generazione:
Frequenze genotipiche
Frequenze alleliche
Figura 13.8C
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0,64 WW
0,32 Ww
0,8 W
0,04 ww
0,2 w
Perché una popolazione si mantenga all’interno
dell’equilibrio di Hardy-Weinberg devono essere
soddisfatte le seguenti cinque condizioni:
• la popolazione deve essere molto vasta;
• la popolazione deve essere isolata;
• non devono avvenire mutazioni che alterino il pool
genico;
• l’accoppiamento tra gli individui deve essere casuale;
• tutti gli individui devono avere pari successo
riproduttivo;
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13.9 L’equazione di Hardy-Weinberg è utile nello
studio delle malattie genetiche
• I consultori genetici utilizzano l’equazione di HardyWeinberg per stimare la percentuale dei soggetti
portatori di alleli responsabili di alcune malattie
ereditarie.
• Conoscere la frequenza di un allele dannoso è utile
per qualunque programma di sanità pubblica che si
occupi di malattie genetiche.
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13.10 La deriva genetica e il flusso genico possono
contribuire alla microevoluzione
La deriva genetica
• La deriva genetica è un cambiamento nel pool
genico di una piccola popolazione.
• Può alterare le frequenze alleliche in una
popolazione.
• È un esempio di microevoluzione in cui non è
coinvolta la selezione naturale.
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Esistono due modi in cui la deriva genetica può avere un
effetto sulle frequenze alleliche:
• l’effetto collo di bottiglia;
• l’effetto del fondatore.
Popolazione
iniziale
Effetto
collo di bottiglia
Figura 13.10A
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Popolazione
sopravvisuta
Figura 13.10B
Il flusso genico
Il flusso genico è un altro fattore che può determinare
microevoluzione:
• si verifica quando individui fertili entrano a fare parte
di una popolazione o se ne allontanano, oppure
quando si verifica un trasferimento di geni;
• tende a ridurre le differenze genetiche tra le
popolazioni.
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Il ruolo delle mutazioni
• Anche le mutazioni (cambiamenti casuali nel DNA
di un organismo che possono dare origine a un
nuovo allele) possono determinare
microevoluzione.
• Le mutazioni sono la causa principale della
variabilità genetica e rappresentano il punto di
partenza dei processi evolutivi.
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L’accoppiamento non casuale
• All’interno delle popolazioni che si riproducono per
via sessuata, alcuni individui (genotipi che
presentano caratteristiche più efficienti) generano
più figli di altri.
• In questo modo, la selezione naturale dà luogo al
mantenimento dei caratteri che permettono
l’adattamento di una popolazione al proprio
ambiente.
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Variabilità e selezione naturale
13.11 Gran parte delle popolazioni è caratterizzata
da una notevole variabilità
Il polimorfismo
Molte popolazioni mostrano polimorfismo, diverse
varianti di una caratteristica fenotipica.
Figura 13.11A, B
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• Oltre alle variazioni all’interno delle popolazioni,
nella maggior parte delle specie esistono variazioni
tra le popolazioni.
• Le popolazioni possono mostrare anche variazioni
geografiche.
• Talvolta un cambiamento geografico progressivo
dà origine a un cline, cioè a una variazione
graduale di una caratteristica ereditaria.
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La misura della variabilità genetica
Per misurare la variabilità genetica, i genetisti prendono
in considerazione:
• la variabilità a livello di geni (media percentuale di
loci genici eterozigoti in una popolazione);
• la variabilità nei nucleotidi (confronto delle
sequenze nucleotidiche in campioni di DNA).
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13.12 Le mutazioni e la ricombinazione sessuale
sono alla base della variabilità genetica
• Le mutazioni possono creare nuovi alleli.
• Una mutazione genica puntiforme può essere
innocua se avviene in un tratto di DNA che non
influenza la funzione della proteina codificata.
• Le mutazioni cromosomiche si originano nel
corso della meiosi, coinvolgono tratti di DNA
abbastanza lunghi e sono quasi certamente
dannose.
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La ricombinazione sessuale produce variazioni
mescolando gli alleli durante la meiosi.
Genitori
A1
A1
X
A2
A3
Meiosi
Gameti
A2
A1
A3
Fecondazione
Figura 13.12A, B
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Prole
con nuove
combinazioni
di alleli
A1
A2
A1
e
A3
13.13 La selezione naturale influenza la variabilità
genetica
• La presenza di due corredi di cromosomi negli
eucarioti diploidi impedisce che le popolazioni
diventino geneticamente uniformi.
• Negli eterozigoti l’allele recessivo è mascherato
dall’allele dominante e protetto dalla selezione
naturale.
• L’«oscuramento» da parte degli alleli dominanti
permette a un gran numero di alleli recessivi di
rimanere in un pool genico.
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• Negli organismi diploidi la variabilità genetica può
essere preservata proprio dalla selezione naturale.
• Quando la selezione naturale mantiene stabile per
lunghi periodi di tempo la frequenza di due o più
fenotipi in una popolazione si parla di selezione
bilanciante.
• Questi poliformismi bilanciati possono essere il
risultato della cosiddetta superiorità
dell’eterozigote o della selezione frequenzadipendente.
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Esistono variazioni neutrali, cioè variazioni di una
caratteristica ereditaria che non favorisce selettivamente
alcuni individui rispetto ad altri.
Figura 13.13
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13.14 Le specie a rischio di estinzione presentano
spesso una scarsa variabilità
• Le specie in pericolo d’estinzione sono caratterizzate
da una bassa variabilità genetica.
• La bassa variabilità genetica può ridurre la capacità
di alcune specie (come il ghepardo) di sopravvivere
ai cambiamenti che gli esseri umani causano nel
loro ambiente.
Figura 13.14
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13.15 Il successo riproduttivo dipende dalla
trasmissione dei geni
• Il successo riproduttivo, o fitness, è il contributo
di un individuo al pool genetico della generazione
successiva rispetto a quello di altri individui.
• Gli individui più avvantaggiati in un determinato
contesto evolutivo sono quelli che contribuiscono
maggiormente con i loro geni alla generazione
seguente.
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13.16 La selezione naturale agisce in tre modi
diversi
• La selezione stabilizzante favorisce le varietà
intermedie.
• La selezione direzionale tende a eliminare uno
dei due estremi delle varianti fenotipiche.
• La selezione divergente favorisce gli individui
posti a entrambi gli estremi della gamma fenotipica.
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Numero di individui
I tre possibili effetti della selezione naturale:
Popolazione
di partenza
Figura 13.16
Popolazione
che si è evoluta
Selezione stabilizzante
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Popolazione
di partenza
Varianti fenotipiche
(colore della pelliccia)
Selezione direzionale
Selezione divergente
13.17 La selezione sessuale influenza il dimorfismo tra
i sessi
La selezione sessuale porta all’evoluzione di caratteri
sessuali secondari (dimorfismo sessuale) che possono
conferire agli individui un vantaggio nell’accoppiamento.
Figura 13.17A
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Figura 13.17B
13.18 La selezione naturale non può «confezionare»
organismi perfetti
Ci sono almeno quattro buone ragioni per cui la selezione
naturale non può produrre individui perfetti:
• gli organismi sono condizionati dalla loro storia;
• gli adattamenti sono spesso dei compromessi;
• il caso interagisce con la selezione naturale;
• la selezione può soltanto far emergere le varianti
esistenti.
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