n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 Il “mis-Fatto Quotidiano” e la buona informazione hi-tech Poveri consumatori, confusi e spaventati; ma soprattutto male informati. Il Fatto Quotidiano, giornale a tiratura nazionale e anche stimato da molti come “stampa-verità”, nell’edizione di ieri, inseguendo maldestramente il puro sensazionalismo politico, ha confuso e travisato i fatti in maniera grottesca riguardo al rinvio dell’obbligo DVB-T2 sui TV, inserito nel decreto milleproroghe. Con una sequenza di errori, notizie false e malintesi che non dovrebbero trovare posto su una testata prestigiosa come quella in questione. Soprattutto non in prima pagina e non nell’articolo principale. Come abbiamo più volte spiegato, il rinvio in questione è un rinvio doveroso (anche se un po’ tardivo, a una settimana dall’entrata in vigore) di una norma mal pensata dal Governo Monti, che prevedeva l’obbligo di commercializzare solo TV con tuner DVB-T2 senza alcun riferimento ai codec compatibili. Se mai ci sarà DVB-T2 in Italia sarà sicuramente in unione con HEVC, ma i TV compatibili non sono ancora abbastanza e sono comunque i più costosi. Quindi, avere un obbligo a metà, avrebbe solo consentito a produttori “furbi” di iniettare sul mercato TV DVB-T2 solo sulla carta ma che non avrebbero mai potuto ricevere eventuali future trasmissioni in questo standard. Questioni già fin troppo chiare ai lettori di DDAY.it sin dalla vigilia di Natale, data di approvazione del decreto. L’incauto giornalista Carlo Tecce del Fatto Qutodiano riesce, con un pezzo del tutto sbagliato e fuorviante, a conquistarsi nientemeno che il titolo a tutta larghezza sulla prima pagina dell’edizione di ieri, “Pacco dono a Mediaset”, e non pago rinnova la fesseria a pagina 3 con altro titolone “Il digitale può attendere. Renzi fa un regalo a Mediaset”. Il Fatto Quotidiano non solo confonde l’obbligo relativo ai TV (pensato per accompagnare verso eventuali e molto future trasmissioni DVB-T2) con un rinvio della partenza delle trasmissioni nel nuovo standard, gridando sguaiatamente allo scandalo: si tratterebbe, secondo il quotidiano, di un “inciucio” tra il Governo Renzi e la Mediaset di Berlusconi. “Epic Fail” dei più evidenti: la norma, che era stata approvata e pubblicata un mese fa, non riguarda Mediaset o i broadcaster, quanto piuttosto Samsung, LG, Sony e compagnia segue a pagina 2 MAGAZINE 10.000 OLED in arrivo in Italia È l’anno buono? 02 Paolo Sandri in LG Successo iPhone 6 Il “leone” ritorna in Asia e Apple fa 04 paura a Samsung 05 nell’arena Win10: upgrade gratis per un anno Sistema operativo gratuito per chi aggiorna entro un anno Avrà Cortana e un nuovo browser chiamato Project Spartan Massima sinergia con Xbox e realtà aumentata con HoloLens 08 IVA e-book al 4%: ecco perché i prezzi non potevano scendere 13 La riduzione dell’IVA sventa un aumento dei prezzi. Interviste con Polillo, Presidente di AIE, e Magno, direttore Digital di Mauri Spagnol Acquistare il TV giusto nel 2015 La guida per scegliere il TV senza sbagliare 06 SkyTG24 arriva su digitale terrestre 20 27 Corriere e merce danneggiata Cosa fare negli acquisti on-line Come evitare fregature: ce lo dicono i corrieri Server Rai e 25 Mediaset “aperti” n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE TV E VIDEO LG presenta la gamma di TV OLED 2015: previsto un solo TV HD, poi spazio al 4K 10.000 OLED LG in arrivo in Italia nel 2015 Produzione quadruplicata e nuovi modelli: finalmente si può parlare di fenomeno OLED di Roberto PEZZALI arà l’anno dell’OLED: LG ha deciso di puntare sulla sua tecnologia più prestigiosa, forte anche della produzione quadruplicata. Gli obiettivi sono ambiziosi, ma nemmeno irraggiungibili: 600.000 TV OLED venduti in tutto il mondo, 10.000 TV pronti per essere venduti in Italia. Un target possibile: se ben spiegato e dimostrato, l’OLED si vende da solo perché è la prima vera tecnologia nuova dopo il plasma e l’LCD. Che l’OLED sia il meglio non lo dice solo LG, ma anche Samsung e tutti quelli che elogiano gli schermi di tablet e smartphone con nero perfetto, bassi consumi e colori vividi e realistici. Direttamente dall’LG Innofest di Lisbona, dove abbiamo assistito al lancio dei modelli per l’Europa, il management italiano di LG ci ha raccontato le novità che arriveranno in Italia e quando, anche se su questo punto bisogna sempre considerare le dovute tolleranze. La prima notizia è che tutta la gamma OLED di quest’anno sarà 4K: ci sarà un modello Full HD ma sarà lo stesso che è nei negozi in questi giorni, ovvero il modello 55EC930V. Il prezzo resterà di 2.999 euro, salvo promozioni particolari. I modelli nuovi arriveranno solo tra S qualche mese: 65EG9600, OLED curvo 4K da 65”, sarà uno dei primissimi ad arrivare in Italia già equipaggiato con WebOS 2.0, decoder HEVC e compatibilità streaming per il 4K. A tal proposito si rinnova la partnership tra LG e Chili TV: il provider italiano di contenuti Video On Demand proporrà film anche in Ultra HD. Dopo il modello da 65” arriverà anche 55EG9600: LG non ha ancora fissato un prezzo ma si parla di 4.000 euro circa, che per un OLED 4K è allettante. Nella seconda metà dell’anno arriverà la versione piatta 4K entry level nei formati da 55” e 65”, mentre per il gioiello 65EF9800 si dovrà attendere settem- bre. Quest’ultimo è il Flat Art Slim Design, un OLED piatto 4K con design ultraslim, finiture Premium e una soundbar wireless abbinata. Bellissimo da vedersi, in tutti i sensi. MERCATO Dichiarazioni forti da parte dell’azienda durante un incontro sul futuro di Android Cyanogen vuole “scippare” Android a Google Il CEO annuncia l’intenzione di aprire uno store alternativo a Google Play Store entro 18 mesi S di Paolo CENTOFANTI ndroid è un sistema abbastanza aperto? Per il CEO di Cyanogen, Kirt McMaster, non lo è affatto. Anche se Android è basato su una piattaforma open source e Google rilascia il codice sorgente di ogni nuova release, in realtà sempre più servizi del sistema operativo sono proprietari di Google e rilasciati solo tramite licenza. Durante un incontro sul futuro di Android, McMaster ha sottolineato come se qualcuno volesse realizzare un’app come Google Now con la versione open source standard, al momento non potrebbe, perché Google non dà un accesso così profondo al sistema operativo. Per questo motivo la mission di Cyanogen sta diventando quella torna al sommario di creare una nuova versione di Android completamente aperta e svincolata da Google. Questo vuol dire però rinunciare a tutto ciò che Google ha aggiunto di suo ad Android, comprese Google Apps e Play Store. Ed ecco l’annuncio di Cyanogen, l’intenzione di arrivare entro 18 mesi a un nuovo store alternativo a quello di Google e aperto a tutti. Cyanogen è un’azienda nata dalla community di sviluppatori che anni fa aveva iniziato a “cucinare” ROM alternative a quelle dei produttori di smartphone, le CyanogenMod, per portare gli ultimi aggiornamenti di Android a quanti più terminali possibili. Un lavoro immane, che spesso si deve scontrare con driver per l’hardware e pezzi di sistema operativo proprietari. Per questo è stata creata una società, con la capacità di raccogliere sviluppatori devoti al progetto. Da queste dichiarazioni sembra essere sempre più chiara l’intenzione di avviare un fork di Android, un nuovo ramo che procederà indipendentemente da quello di Google. Le due aziende erano già state ai ferri corti in passato, con conseguente eliminazione delle Google Apps dai firmware Cyanogen. Il “mis-Fatto Quotidiano” e la buona informazione hi-tech segue Da pagina 1 da un lato e Media World, Unieuro e colleghi dall’altro. Ma soprattutto riguarda la tutela dei consumatori, motivo per cui DDAY.it ha festeggiato l’approvazione del rinvio. Di certo non ha nulla a che vedere con le frequenze e men che meno con il pacchetto dei 700 MHz, il cui passaggio alle reti 4G è stato di fatto rinviato al 2018-20 dal Rapporto Lamy, emesso in sede comunitaria (e quindi ben oltre gli spazi di manovra del Governo Renzi e del Viceministro Giacomelli). E pensare che al temerario giornalista del Fatto Quotidiano sarebbe bastato digitare in Google la semplice ricerca “rinvio dvb-t2”: i primi due link che compaiono sono i due articoli pubblicati da DDAY.it che spiegano la ratio del provvedimento e di come si tratti di un doveroso atto a tutela dei consumatori. Va bene che ora c’è Internet e la ricerca delle fonti si può fare senza alzare il telefono; ma l’accortezza almeno di fare un minimo di “fact checking” sui motori di ricerca con le principali parole chiave dovrebbe essere un dovere professionale. Soprattutto perché, per perseguire una finalità che appare politica (e di cui non ci interessa nulla), si fa fare confusione ai consumatori che non capiscono più cosa accadrà al futuro televisivo della nazione e ai propri apparecchi TV. Tanto più che gli effetti poi vanno oltre il già notevole bacino d’utenza del Fatto Quotidiano: in un panorama editoriale web che non sa “ispirarsi”, ma viaggia a “copiaeincolla” selvaggio, il pezzo del Fatto è stato ripreso qua e là. Così nel tranello ci cascano come salami, tra gli altri, Dagospia(“La manina del digitale - Fermi tutti! C’è un altro bel regalo del Governo Renzi all’amico Berlusconi: rinviato l’aggiornamento del digitale terrestre, così Silvio può tenersi tutte le frequenze”) e l’Huffington Post (“Silvio Berlusconi-Boschi. Il patto del Nazareno si fa un doppio regalo tra Mediaset e banche popolari”). Alla fine lo specifico svarione del Fatto Quotidiano non ci interessa più di tanto: dovrebbe preoccupare quell’Editore e quel Direttore che hanno firmato l’edizione di ieri dei giornale (e che non ci pare – a meno che non ci sia sfuggito qualcosa - abbiano chiesto scusa), la cui autorevolezza evidentemente rischia di vacillare. Giusto lo sdegno del Viceministro alle Comunicazioni Giacomelli, che era riuscito a condurre il necessario rinvio in porto e che in queste ore ha emesso una fin troppo pacata nota in cui evidenza l’errata interpretazione. Da parte nostra, offriamo sin da ora ai colleghi del Fatto Quotidiano l’opportunità di chiamarci in redazione, prima di confezionare un pezzo che parli di tecnologia, per qualche verifica, che offriremo di buon grado: la buona informazione del mercato non ha “testata”, per noi è un valore che va oltre gli steccati societari. Insomma, tocca ancora una volta notare come il basso livello di preparazione di molta stampa generalista nei confronti dei temi tecnologici finisca per condizionare, verso il basso, il livello del dibattito: il digitale in Italia ha bisogno di politiche industriali e di consapevolezza da parte dei cittadini. Ma se queste sono le basi sulle quali poggia il dibattito, che idea potrà mai farsi l’opinione pubblica? Gianfranco GIARDINA n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE MOBILE Prima una fotocamera, poi i TV S’UHD, poi un telefono. Samsung inizia a puntare su Tizen Che cosa se ne farà Samsung di Tizen? L’azienda lo definisce il cuore pulsante della strategia di “Internet delle cose”. E Android? di Emanuele VILLA opo un’edizione non propriamente brillante del CES di Las Vegas, Samsung riprende in mano il discorso Tizen, il suo sistema operativo di cui si parla da anni e che dovrebbe assumere, nella visione dell’azienda, un posto al sole di qui a qualche anno. Lo spunto per un approfondimento sul presente e futuro di Tizen arriva da due elementi concomitanti: l’allargamento dei prodotti basati su di esso e un post sul blog ufficiale dell’azienda che ne denuncia la centralità nell’ecosistema Samsung dell’immediato futuro. D Tizen al centro di Internet delle Cose Come anticipato, un post sul blog ufficiale di Samsung ha risvegliato la nostra curioBasato su kernel Linux e governato dal- sità nei confronti di un sistema operativo la Tizen Association, Tizen consta tra i di cui si parla oggettivamente poco, se suoi principali sviluppatori e sostenitori non per paragonarlo ad Android. Paraziende quali Samsung, Huawei, Fujitsu, rebbe però che il 2015 sia (per l’azienPanasonic e diversi operatori di telefonia da coreana, s’intende) l’anno di Tizen: il mobile. Samsung è l’azienda che pare primo prodotto introdotto sul mercato è crederci di più, e questo non solo per stata la fotocamera Samsung NX300M, aver fatto confluire il “suo” sistema ope- proposta inizialmente sul mercato interno rativo mobile, Bada, all’interno di Tizen, (coreano) poi estesa al resto del mondo, ma anche per aver lanciato sul mercato mentre il primo tablet è a marchio Systediversi prodotti basati su di esso. Lo sco- na e non è mai uscito dal mercato giappo del sistema operativo, rimanendo al- ponese. Come prodotto a (potenziale) l’interno di uno schema Open Source, è ampia diffusione, Samsung ha lanciato quello di coinvolgere un’infinità di appa- Gear 2, mentre il primo telefono è l’orrecchi diversi, dalle auto ai telefoni, dagli mai noto Samsung Z1. Nonostante una elettrodomestici ai TV e al lettori Blu-ray. partenza in sordina, Samsung dichiara In questo senso, l’evoluzione parallela nei di avere grandi piani per Tizen: al CES confronti di Android è evidente: quest’ul- l’azienda ha inserito il sistema operativo timo ha prima conquistato il mondo mo- nei S’UHD, ovvero nella gamma di TV bile, forte della potenza di Google e dei 2015 basata su tecnologia Quantum Dots suoi servizi, poi è partito all’attacco del che vedrà la luce di qui a qualche mese, mondo automobilistico, dell’home enter- ma il concetto è quello di rendere Tizen il tainment e della casa connessa, andando cuore pulsante di tutta la propria strategia di fatto a replicare le ambizioni del neona- di Internet delle Cose. In realtà, sappiamo bene quanto dietro questa espressione to (commercialmente parlando) Tizen. si possa celare tutto e nulla, dai wearable per il fitness agli smartwatch, dai sensori per sport specifici a tutti gli oggetti di uso comune resi smart, ma la realtà dei fatti è che, per Samsung, Tizen ora vuole diventare il sistema operativo per eccellenza e che coinvolge tutto l’ecosistema, (magari) telefoni esclusi. Ci aspettiamo Gli S’UHD, protagonisti del CES Samsung, dunque nuovi wearable basaranno tutti basati su Tizen, e il sistema sati su Tizen al Mobile World operativo verrà anche esteso ai vecchi modelli Congress, magari un telefotramite Evolution Kit no per l’Europa, ma anche Xiaomi ha presentato il suo nuovo top di gamma Mi Note, smartphone in tutto e per tutto pensato per essere migliore dell’iPhone 6 Plus. Ma i prezzi cominciano a salire per gli standard del produttore cinese di Paolo CENTOFANTI Ma cos’è esattamente Tizen? torna al sommario Xiaomi lancia Mi Note e Mi Note Pro Samsung NX300, il primo prodotto basato su Tizen piccoli e grandi elettrodomestici capaci di dialogare con altri tasselli del puzzle di Internet delle Cose. E quindi Android? Resta il dilemma n. 1: che fine farà Android, il sistema operativo che gli utenti sono abituati a trovare sui dispositivi dell’azienda, che può contare su milioni di app e un ecosistema infinito ma che vincola Samsung all’inevitabile rapporto con Google? Samsung sul suo blog risponde in modo chiaro: non abbandoneremo gli altri sistemi operativi. E ciò è perfettamente logico in questa fase: spostare i propri terminali di punta, smartphone e tablet, in un ecosistema ultraristretto come quello di Tizen potrebbe determinare il fallimento commerciale dei prodotti stessi, per cui è del tutto logico che Samsung voglia partire con un segmento tanto enorme quanto inesplorato come l’Internet delle Cose, per poi eventualmente approdare in aree più grandi e sicure come quelle degli smartphone e dei tablet. Resta il fatto che l’iter è ormai avviato e sembra davvero che, in prospettiva di medio periodo, l’azienda voglia portare tutto su Tizen, sperando di trovarsi un giorno ad abbandonare gradualmente Android anche nei propri prodotti di punta. Resta il fatto che non è una cosa che succederà a breve: su questo siamo pronti a scommettere. Iil nuovo top di gamma non sarà sottile come la carta, ma è comunque uno dei migliori smartphone del produttore cinese. Accusata di copiare lo stile di Apple, Xiaomi risponde con un annuncio mirato per dimostrare come il suo nuovo Mi Note, sia stato progettato per superare in tutto e per tutto l’iPhone 6 Plus. Il Mi Note è uno smartphone Android con display da 5,7” Full HD e spessore di 6,95 mm e sarà disponibile in due versioni: una con processore Snapdragon 801 e 3 GB di RAM e una “Pro” con Snadragon 810 e addirittura 4 GB di RAM. Entrambe le versioni offrono una fotocamera da 13 Megapixel con sensore Sony (e che non sporge come quella dell’iPhone 6 Plus, ha tenuto a precisare Xiaomi), con flash Philips two tone per mantenere colori naturali degli incarnati nei ritratti. C’è anche un DAC per l’audio hi-res fino a 192 kHz e 24 bit, mentre il particolare slot per la SIM è in grado di accettare simultaneamente una nano SIM e una micro SIM. La batteria è invece da 3000 mAh. Con queste specifiche tecniche cominciano a salire anche i prezzi: il Mi Note con memoria da 16 GB parte da 316 euro, il Mi Note Pro con 64 GB avrà un prezzo di circa 453 euro al cambio attuale, comunque sia sempre la metà rispetto ai concorrenti principali. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE MERCATO Paolo Sandri è il nuovo direttore della divisione Home Entertainment Italia di LG Sandri in LG, l’OLED ha un nuovo paladino LG sembra avere gamma e quantità sul fronte dell’OLED capace di farle cambiare passo di Gianfranco GIARDINA l vecchio leone è ancora nell’arena: Paolo Sandri, l’uomo che il mercato riconosce come vero fautore delle quote di mercato “bulgare” che i TV Samsung hanno avuto in Italia negli ultimi anni, approda in LG Italia con il ruolo di Consumer Electronics Home Entertainment Director, praticamente direttore della divisione che mette insieme TV e audio domestico. Non è una divisione qualsiasi, ma è quella nella quale il gioiello della corona è l’OLED: mettere nello stesso posto l’incredibile gamma OLED mostrata a Las Vegas (solo) da LG e l’uomo che il mercato riconosce come “Mr. TV” in persona, lascia pensare che lo scenario italiano dei televisori possa cambiare presto. Paolo Sandri è cresciuto alla scuola Samsung (quasi vent’anni in azienda), ma di quella scuola è anche stato illustre “docente”: mentre in molte parti del mondo il marchio coreano era ancora un inseguitore, in Italia le quote di mercato dei TV Samsung sotto la sua gestione arrivarono a livelli mai visti altrove, trasformando il caso italiano addirittura in una case history da esportare ovunque. Il fugace passaggio di Sandri in TPVision (che produce i TV a marchio Philips), durato meno di un anno, non ha lasciato il segno sul mercato: “Ero abituato a una macchina più grande e più organizzata - ci disse Sandri dopo l’abbandono di TPVision –; difficile in queste condizioni applicare il mio metodo”. Il gruppo L’Espresso cede a Discovery Italia All Music, società che produce Deejay TV sul canale 9 del digitale terrestre. La “preda” di Discovery sarebbe proprio la posizione in cima alla lista dei canali I di Paolo CENTOFANTI Ma l’esperienza in TPVision è stata comunque utile, visto che è evidentemente bastata a “smacchiare” Sandri dalle “tinte blu” di una delle sponde dell’elettronica coreana: una sorta di patto non scritto tra LG e Samsung, infatti, fa sì che difficilmente un uomo blu diventi rosso o viceversa. Ora, un uomo che sa tutto di Samsung e delle leve con le quali ha penetrato il mercato, è seduto nella stanza dei bottoni di LG, una società grande, organizzata, con un ottimo management, coreana. Ma soprattutto con a disposizione una gamma TV, soprattutto OLED, clamorosamente forte a confronto con quella di Samsung; Samsung che, di fatto, ha ancora rimandato l’OLED e non ha presentato al CES 2015 novità decisive. Chi sa fare due più due, capisce cosa questo possa voler dire: è lecito aspettarsi da LG una presenza e una reattività senza precedenti, proprio nella stagione 2015-16 in cui molti appassionati mirano a coronare il sogno OLED. Paolo Sandri è una figura a tinte forti: contemporaneamente stimato ma sovente anche biasimato dai competitor (e da qualche collega), miscela razionalità commerciale e comportamento sanguigno, senza far mai prevalere l’una sull’altro Ha imparato negli anni non a sopire ma semplicemente a tenere al guinzaglio la sua “belva interiore”, pronta a saltare fuori non appena le opportunità commerciali gli si aprono di fronte. Date a Paolo Sandri prodotti affidabili e in quantità e lui “azzannerà” il mercato, con impeto e fantasia; se poi sono pure il riferimento, come gli OLED ora, è giusto aspettarsi fuochi d’artificio. Perché sono pochi i manager italiani del nostro mercato che incarnano come lui il principio “Stay hungry, stay foolish”. Affamato e pazzo, una vera grana per i competitor. Una partita che si preannuncia avvincente e tutta da vedere. MERCATO Google avrebbe siglato un accordo negli Stati Uniti con gli operatori T-Mobile e Sprint E ora Google diventa anche operatore telefonico Google diventerebbe un operatore virtuale, non potendo contare su una rete propria di Paolo CENTOFANTI G oogle è ormai incontenibile. Dopo aver lanciato negli Stati Uniti il progetto Google Fiber, con il quale offre servizi di connettività su rete fissa e TV via cavo, ora vuole diventare anche un operatore telefonico. Secondo indiscrezioni raccolte da The Information, Google starebbe lavorando con T-Mobile e Sprint, due dei principali operatori telefonici cellulari negli Stati Uniti, per lanciare il suo servizio di telefonia mobile. Al momento dunque Google si torna al sommario Discovery Italia si compra Deejay TV configurerebbe come un operatore virtuale, visto che non è dotato di una rete cellulare propria, comprando traffico all’ingrosso dalle due compagnie americane e quindi utilizzando la loro infrastruttura per offrire il servizio ai propri clienti, esattamente come fanno tanti operatori in Italia. Secondo le fonti della testata americana, il servizio di telefonia di Google sarebbe già stato testato dai dipendenti e inizialmente avrebbe dovuto essere lanciato lo scorso autunno. Il progetto di Google è quello di portare a un abbassamento delle tariffe cellula- ri, che in effetti negli Stati Uniti sono abbastanza salate, anche se non è ancora chiaro come. Tutto quello che si sa è che Google ha intenzione di affrontare “in modo creativo” il discorso dei piani telefonici. Il gruppo L’Espresso ha annunciato la vendita a Discovery Italia. dell’editore All Music, società che produce il canale Deejay TV del digitale terrestre, La rete continuerà a essere editata da All Music e continuerà a trasmettere sul canale 9 del digitale terrestre (ricorsi in atto permettendo) sui multiplex di Persidera, la società nata dalla joint venture tra L’Espresso e Telecom Italia Media. Proprio la strategica posizione al numero 9 sarebbe l’obiettivo di Discovery Italia, le cui altre reti (Real Time, DMax, Focus, K2 e Frisbee) si trovano tutte molto più in fondo nella numerazione nazionale. “Il gruppo Discovery si consolida come terzo editore nazionale per share e dà vita a un sistema multipiattaforma e digitale basato su contenuti di qualità” ha dichiarato Marinella Soldi, amministratore delegato di Discovery Italia. La società spera di rilanciare la rete di All Music che a oggi non se la passa benissimo, con un passivo milionario. L’accordo dovrebbe venire chiuso entro la prossima settimana, per una cifra compresa tra i 10 e i 24 milioni di euro (fonte Il Sole 24 Ore). Comunque sia, qualcosa nell’etere italiano si muove e non può essere che un bene. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE MERCATO Una ricerca di mercato rivela il notevole successo dell’iPhone 6 nei mercati asiatici iPhone in Asia si mangia quote Samsung Apple ha per la prima volta seriamente intaccato le quote di mercato di Samsung in casa sua di Paolo CENTOFANTI pple si appresta ad annunciare numeri record per l’ultimo trimestre del 2014 e l’ultimo segnale in questa direzione arriva dal nuovo rapporto della società di ricerche di mercato Counterpoint Research, che rivela un notevole successo dei nuovi iPhone 6 e 6 Plus soprattutto nei mercati asiatici. La notizia è che, per la prima volta, Apple è riuscita a intaccare in modo considerevole le quote di mercato di Samsung proprio nella sua Corea del Sud, oltre che in Giappone. A novembre 2014, Apple ha raggiunto una quota di mercato del 33% con i nuovi modelli, in un mercato che, come sottolinea Counterpoint, non ha mai visto un’azienda straniera superare la soglia A Google compra un pezzo di SpaceX L’idea di una “dorsale” satellitare per Internet piace a Google che ha deciso di scommettere sul progetto di Elon Musk con un forte investimento in SpaceX, società specializzata nella realizzazione di vettori commerciali per il trasporto in orbita (e oltre). Ne dà notizia SpaceX, confermando la chiusura di un giro di investimenti di un miliardo di dollari, con la vendita di quote societarie a Google e alla finanziaria Fidelity. Le due aziende ora possiedono insieme quasi il 10% di SpaceX. Google sarebbe soprattutto interessata al progetto di SpaceX che prevede una rete di satelliti di telecomunicazioni per spostare parte del traffico Internet dalle dorsali oceaniche allo spazio, oltre che per offrire l’accesso alla rete anche là dove non arrivano altri sistemi di comunicazione, un’idea quest’ultima su cui Google sta già lavorando con il suo project loon. torna al sommario del 20%. Il grafico delle quote di mercato in Corea del Sud sembra proprio evidenziare come la crescita di Apple sia soprattutto a danno delle padroni di casa Samsung ed LG. In generale, novembre è stato letteralmente un mese d’oro per Apple che avrebbe, secondo le stime, superato per la prima volta la soglia dei 20 milioni di iPhone venduti in un mese, con una crescita del 26% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In Giappone le vendite dei nuovi iPhone avrebbero addirittura superato Netflix annuncia l’espansione in 200 Paesi entro il 2017. Nel 2015 il servizio arriverà in tutte le maggiori nazioni ancora mancanti di Paolo CENTOFANTI il 50% delle quote di mercato sia a ottobre che a novembre, mentre in Cina Apple ha visto una crescita del 45%, raggiungendo una quota del 12%, sufficiente per piazzare il marchio al terzo posto dietro a Xiaomi e Lenovo. I dati ufficiali trimestrali di Apple saranno annunciati questa settimana. MERCATO Basse le offerte per la vendita delle sue quote Telecom resta sul digitale terrestre di Paolo CENTOFANTI alta la vendita delle quote di Telecom Italia Media della joint venture che insieme al gruppo L’Espresso detiene i multiplex di Telecom e Rete A. Per ora Telecom resta sul digitale terrestre. Si è conclusa con un nulla di fatto la ricerca di compratori e così, per ora, Telecom Italia Media rimane socia del gruppo L’Espresso nella nuova società Persidera, joint venture che è di fatto il terzo operatore TV digitale terrestre in Italia. Come ricorderete, Telecom Italia Media e L’Espresso avevano deciso di unire le forze creando una società unica per gestire insieme una rete composta da cinque multiplex nazionali: i tre su cui Telecom Italia Media trasmetteva le allora sue TV del gruppo (La7 e MTV Italia) e le due frequenze di Rete A. Telecom Italia Media aveva ormai deciso di uscire dal mercato TV e, dopo la vendita delle sue reti televisive, puntava a “liberarsi” anche delle frequenze con la vendita del suo 70% di quote in Persidera, ma di offerte ne sarebbe arrivata solo una e, a quanto pare, molto al di sotto dei 500 milioni di euro a cui puntava Telecom. Così all’ultimo consiglio di amministrazione, Telecom Italia ha confermato l’intenzione di rinunciare per il momento alla vendita delle sue quote. Con un comunicato, l’azienda comunque fa sapere di aver fiducia nel processo di ristrutturazione e integrazione iniziato con la creazione della joint venture. Al di là delle dichiarazioni, almeno dal punto di vista di quanto è possibile vedere sui nostri teleschermi, non si sono visti ancora grossi benefici e la programmazione è rimasta per lo più invariata. Con la cessione di La7 all’editore Urbano Cairo sembrano essere tramontate anche le ambizioni in alta definizione di quella che è l’emittente principale presente sui multiplex del nuovo gruppo. S Netflix, presente in tutto il mondo entro due anni Netflix ha avuto un trimestre molto positivo, centrando gli obiettivi nella crescita del numero di abbonati negli Stati Uniti e all’estero. E poiché può crescere solo espandendo la propria base di utenti e visto che le cose procedono meglio del previsto all’estero, il CEO Reed Hastings ha annunciato di voler arrivare a offrire il servizio di streaming praticamente in tutto il mondo entro due anni, mantenendo la profittabilità dell’azienda. L’accelerazione nell’espansione globale di Netflix avverrà già quest’anno, con il debutto in Australia e Nuova Zelanda e il lancio in diversi Paesi principali entro fine 2015. Considerando che Netflix in Europa è ormai presente in molti Paesi, sarebbe strano non vedere il completamento dell’espansione nel Vecchio Continente, e quindi in Italia, entro la fine dell’anno. Hastings ha dichiarato che sono soprattutto i contenuti originali del servizio a risultare popolari all’estero, con l’intenzione di arrivare a offrire nel 2015 almeno 320 ore di produzioni proprie tra serie tv, documentari e film, visto che ad agosto arriverà il primo lungometraggio prodotto da Netflix, il seguito de La Tigre e il Dragone, mentre al di fuori degli Stati Uniti e Canada, il servizio si è assicurato i diritti esclusivi per la serie prequel di Breaking Bad, Better Call Saul. Non solo piattaforma di distribuzione: Netflix vuole diventare la versione 2.0 delle grosse pay TV. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Duro comunicato Mediaset per bloccare le voci di un’intesa con Sky La Champions 2015-2018 anche a Sky? Per Mediaset è solo un’ipotesi fantasiosa Nel prossimo triennio Sky non avrà proprio nulla e non si intavoleranno neppure trattative Disney ha scelto di posticipare l’uscita in contemporanea mondiale del nuovo capitolo di Star Wars perché le sale in Italia sono invase dal nuovo film di Checco Zalone Fan in rivolta di Roberto PEZZALI S ky non avrà la Champions League e tutte le voci che circolano sono solo tentativi di destabilizzazione che aumentano la confusione: Mediaset chiude ogni spiraglio e insiste nel tenere in casa il gioiellino che ha comprato a caro prezzo, ovvero i diritti per la trasmissione delle partite di Champions League per i prossimi tre anni, dal 2015 al 2018. Chi pensava che alla fine ci sarebbe stata una sorta di “alleanza” – “scambio” si sbagliava: Mediaset non ci pensa neppure e ha rilasciato questo comunicato. “In relazione a indiscrezioni e ambiguità di stampa sul tema diritti tv “Champions League 2015-2018”, Mediaset invita i mezzi di informazione a non alimentare fantasiose ipotesi fatte circolare con la sola finalità di confondere il pubblico. Non sono in corso trattative per accordi di sub-cessione ad altre emittenti dei diritti tv della Champions League acquisiti in esclusiva da Mediaset per il triennio 2015-2018. Trattative che non si apriran- no né ora né nei prossimi mesi. Ribadiamo, al contrario, che per i prossimi tre anni, un match del mercoledì sera sarà trasmesso in esclusiva da Canale 5, mentre tutti gli altri incontri del martedì e del mercoledì saranno un’esclusiva assoluta di Mediaset Premium fino al 2018. Ne consegue che da settembre 2015 le serate televisive del martedì e mercoledì della pay tv satellitare non ospiteranno più nessuna partita del torneo di calcio più importante d’Europa. Eventuali ulteriori indiscrezioni future su questo tema, saranno come sempre frutto del tentativo di lasciare aperte opzioni inesistenti con l’obiettivo di disorientare i telespettatori se non di praticare concorrenza sleale”. Il rischio “spezzatino” è reale: i clienti Sky che vorranno la Champions dovranno prendere anche Mediaset, sempre che il comunicato emesso da Cologno Monzese non sia di facciata e l’unica cosa in discussione non sono le voci ma i soldi che Sky deve sganciare per avere la Champions. Tantissimi. ENTERTAINMENT Sono iniziati su Cielo i promo per l’arrivo di Sky TG24 sul digitale terrestre È ufficiale: Sky TG24 arriva sul digitale terrestre Sky TG24 verrà trasmesso sul canale 27, i concorrenti tremano e la RAI pensa a un ricorso di Roberto FAGGIANO L a notizia era nell’aria sin da quando venne annunciato l’accordo tra Sky e Class TV per l’utilizzo del canale 27, ma ora è ufficiale: dal prossimo 27 gennaio Sky TG24 approda anche sul digitale terrestre nella posizione 27. Anche Sky aveva fatto capire da molti mesi che avrebbe affiancato a Cielo un altro canale free sul digitale terrestre, rimandando però l’effettiva partenza delle trasmissioni. L’arrivo del prestigioso e temibile concorrente ha suscitato reazioni diverse tra i concorrenti: per il momento Mediaset tace, dopo aver duramente attaccato Sky in merito ai diritti per la trasmissione dei prossimi tre anni delle partite di Champions League. La RAI invece potrebbe presentare un torna al sommario Star Wars 7 posticipato in Italia A Natale è meglio Checco Zalone ricorso legale contro il posizionamento di un canale all news alla posizione LCN 27, dove dovrebbero esserci canali generalisti. Ma è anche vero che ai canali attorno al 50, dove risiedono Rai News24 e il TG Com, ce ne sono certi che con le news non c’entrano nulla. A noi spettatori non resta che goderci una terza voce di informazione senza dover pagare ulteriori abbonamenti. di Roberto PEZZALI Il 18 dicembre 25 paesi potranno vedere il nuovo capitolo della Saga di Star Wars. L’Italia non c’è, noi dovremo aspettare il 5 gennaio insieme all’Argentina. Non è colpa di problemi tecnici, ma è una scelta precisa di Disney che non vuole sovrapporsi con il nuovo film di Checco Zalone, in uscita in Italia il 3 dicembre. Una scelta a tratti assurda: ci sono due settimane di programmazione prima dell’uscita di Star Wars e, il 18, ci sarebbe spazio per entrambi. Disney al momento non ha rilasciato dichiarazioni, ma i fan sono sul piede di guerra (e ne hanno tutti i motivi): su Change.org è attiva la petizione che chiede a Disney di ripensarci. “L’Italia ha ritenuto corretto posticipare l’uscita del film al 5 Gennaio 2016, senza motivare tale scelta. Noi fan ci riuniamo quindi per chiedere a Disney Italia di valutare la possibilità di far uscire la pellicola nella data originaria, o in alternativa di giustificarne un eventuale rinvio nelle sale cinematografiche. Vogliamo ricordare che il franchise di Star Wars è un evento universalmente atteso, un nome facilmente redditizio. Un posticipo di data creerebbe fastidiose situazioni di pirateria online e diffusione di spoiler, che minerebbero senz’altro alla riuscita al botteghino del film”. La richiesta degli appassionati è chiara e legittima, anche perché un rilascio in ritardo favorirebbe senza dubbio la pirateria”. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE MOBILE Google è pronta a far partire il progetto pilota di Project Ara entro la fine dell’anno Project Ara è bellissimo, ma sarà anche pratico? Lo sviluppo del prodotti prosegue ed è affascinante. Restano dubbi sulla sua reale praticità di Roberto PEZZALI roject Ara, lo smartphone modulare di Google, è quasi ai nastri di partenza. Diciamo quasi perché ancora non esiste il modello definitivo, ma c’è una data per una trial che verrà fatta a Puerto Rico: seconda metà del 2015. Il piccolo protettorato americano è stato scelto da Google come punto di partenza per un programma pilota per diverse ragioni, un po’ per la facilità di controllo dei problemi di gioventù un po’ per il supporto avuto da due operatori locali, Claro e OpenMobile. Project Ara è l’ennesimo progetto ambizioso e allo stesso tempo un po’ bizzarro di Google: lo smartphone infatti si costruisce come il lego, con tanti mattoncini tenuti insieme da magneti elettropermanenti che assicurano la tenuta dei vari moduli ma allo stesso tempo facilitano anche la rimozione. Google venderà lo smartphone modulare utilizzando dei foodtruck, in strada: ogni furgoncino, posto nei punti strategici della città, sarà dotato di stampanti 3D e di stampanti a sublimazione per permettere la configurazione e la personalizzazione sul posto del proprio telefono. La copertura plastica dei vari moduli, infatti, può essere ora personalizzata a colori secondo le esigenze e le preferenze dei singoli utenti. L’ultimo prototipo mostrato ieri nel corso della conferenza stampa di Google, denominato Spiral 2, è già in fase abbastanza avanzata: l’esoscheletro è stato rivisto e per gestire il bus tra i vari moduli e la loro connessione ora si è passati ad un altro controller più veloce. Il modulo centrale, inoltre, include una batteria Voci insistenti dichiarano che Microsoft sia decisa a bruciare le tappe per regalare anche ai suoi utenti mobile un major update “storico”. Si parla di prototipi di telefoni con Windows 10 che potrebbero essere mostrati già al MWC P tampone che permette la sostituzione della batteria principale senza spegnere il telefono, operazione che comunque va fatta in circa 30 secondi. Undici i moduli già presenti, ma per il progetto finale si conta di arrivare ad averne circa 30 divisi in varie categorie: speaker, fotocamere, schermo, tasti e così via. Per la gestione dei moduli Google metterà a disposizione un tool di configurazione, Ara Manager: se si utilizza più di una fotocamera si potrà scegliere con Ara Manager quando usarne una e quando invece passare all’altra. I moduli, invece, saranno venduti tramite un marketplace: ricordiamo che i moduli potranno essere prodotti anche da terze parti e potranno essere davvero periferiche di ogni tipo, paradossalmente anche scanner o stampanti a sublimazione. Il nuovo tipo di bus utilizzato sull’esoscheletro permette inoltre di rimuovere a caldo i moduli, un po’ come si fa con hard disk e periferiche di un computer. Spiral 2 non sarà comunque il modello della perimentazione: in lavorazione c’è già Spiral 3, che avrà moduli privi di contatti fisici capaci di dialogare con l’esoscheletro per induzione, e antenna integrata oltre ad un modulo LTE. Dal punto di vista puramente tecnico il progetto è sicuramente fantastico, Il piccolo protettorato americano di Puerto Rico è resta però un dubbio sulstato scelto da Google come punto di partenza per la reale praticità ed è per il programma pilota. questo che Google sta torna al sommario Microsoft accelera: Lumia con Windows 10 già a marzo? di Massimiliano ZOCCHI facendo partire un programma pilota. Ara non è un prodotto facile e richiama un po’ i computer da assemblare: nonostante la presenza di mattoncini hotswap la configurazione e la sua stessa logica sono destinati ad utenti evoluti. La possibilità poi di cambiare moduli, anche prodotti da terze parti, alza notevolmente i rischi di bug, crash e problematiche che sono solite dei computer assemblati e dei sistemi che devono gestire molti driver per diverse periferiche. Ultimo, e non meno importante, il design: l’ultimo prototipo stampato a colori è abbastanza “folle” da questo punto di vista, un arlecchino di foto e colori. ProjectAra Sono passati un paio di mesi dai rumor che annunciavano l’imminente rilascio di una beta pubblica di Windows 10 per smartphone. Poi non si è saputo più nulla, ma secondo il sito specializzato Nokia Power User la situazione ha subito un’ulteriore accelerata. Pare che Microsoft sia decisa a premere a fondo sul pedale e anticipare i tempi di rilascio di Windows 10. Come molti rumor, anche questo è da prendere con le pinze in attesa di conferme ufficiali. Secondo le fonti di NPU, il nuovo target di Redmond sarebbe rilasciare ai produttori una versione definitiva per smartphone già nel secondo trimestre. Addirittura si ipotizza che i primi prototipi funzionanti vengano messi in mostra al Mobile World Congress di Barcellona, manifestazione che aprirà i battenti il prossimo marzo. Queste nuove informazioni fanno seguito ad altre voci di corridoio dei giorni scorsi, secondo cui Microsoft avrebbe deciso di annullare il Windows Phone 8.1 Update 2 per passare direttamente a Windows 10. Ed è addirittura comparso uno screenshot su un sito italiano che mostra quello che pare proprio Windows 10 già a bordo di un device Lumia. Secondo le nuove rivelazioni, il tutto assumerebbe più senso. Non ci resta che attendere la presentazione ufficiale, che dovrebbe avvenire il 21 gennaio. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE PC Microsoft annuncia svariate novità per il prossimo sistema operativo, che sarà unico per PC, notebook, tablet, smartphone e PC Windows 10 gratis, con Cortana e Project Spartan Avrà Cortana e un nuovo browser evoluto chiamato Project Spartan. Mostrata anche la nuova versione di Office L’ di Emanuele VILLA appuntamento di Windows 10 del 21 gennaio si è rivelato più ricco rispetto a quello della presentazione ufficiale dello scorso settembre. Quattro mesi possono fare la differenza, soprattutto quando si decide di rendere pubblica la versione preliminare, farla installare da 1,7 milioni di persone e ricevere 800.000 feedback su 200.000 argomenti diversi. L’evento Microsoft ha stupito per ricchezza di contenuti, che sono sì incentrati su Windows 10 ma spaziano in ogni ambito e vanno anche avanti nel tempo: si è parlato di produttività, ma anche di gaming per via della sinergia con Xbox One, senza dimenticare nuovi prodotti tra cui un TV (ma attenzione, è uno strumento di business) con Surface Hub e un headset (HoloLens) per la realtà aumentata capace di mostrare ologrammi virtuali e permettere l’interazione con essi. Ma prima vediamo le novità “generiche” di Windows 10. Terry Myerson, dopo aver mostrato i progressi effettuati sul sistema operativo da settembre ad oggi, ha subito lanciato la prima “bomba”: Windows 10 sarà offerto come upgrade gratuito per l’anno successivo alla sua release (chi aggiornerà dopo dovrà pagare) a tutti i possessori di licenze di Windows 8.1, Windows Phone 8.1 e Windows 7. L’obiettivo di Microsoft è di portare tutti i sistemi all’ultima versione, evitando così di dover sviluppare software e aggiornarlo per diverse varianti del sistema operativo. Offrendo un sistema di upgrade gratuito (bisogna poi vedere fino a quando e quali saranno i requisiti hardware), l’azienda punta a rendere irrisoria la quota di mercato dei propri sistemi operativi precedenti, semplificando il tutto. Semplificazione anche sul versante sktop sono state mantenute e che, quanto meno per Power Point, il risultato è apprezzabile anche sotto il profilo grafico. Il nuovo browser, Project Spartan dei device, poiché Windows 10 sarà un sistema operativo unico per PC, notebook, tablet, smartphone e PC componibile, di modo tale da portare la medesima user experience, gli stessi dati e applicazioni su ogni dispositivo. Benvenuta Cortana su Windows 10 Una breve demo ha mostrato in pratica il funzionamento del pannello Start su diversi dispositivi, come funzionerà l’Action Center e le notifiche su PC, ma soprattutto ha permesso a Joe Belfiore di presentare Cortana su PC. Su Windows 10 PC, Cortana sarà una sorta di barra di ricerca a fianco al pulsante Start e opererà con le medesime logiche con cui agisce oggi sui telefoni: le si può chiedere di inviare un’email o di cercare un’informazione su Internet, ma anche dati molto più personali poichè derivanti dalle mail e da altri contenuti dell’utente che sono stati preventivamente autorizzati. Su tablet il discorso è identico, ma Cortana occuperà una porzione molto più importante di schermo. Cortana su tablet sarà a “tutto schermo”, mentre su PC occuperà una piccola porzione vicino a Start. Molto interessante la demo relativa all’esperienza Una schermata della futura versione di Word per Windows 10, vista tramite smartphone torna al sommario d’uso su un PC convertibile, quello che diventa notebook e tablet a seconda della presenza o meno della tastiera: sarà presente un apposito tasto (a schermo) che ci chiederà se vogliamo entrare in Tablet Mode una volta sganciata la tastiera; questo porterà a schermo intero le finestre, passerà a una visualizzazione di Start analoga all’attuale e permetterà alle applicazioni di essere gestite con le dita. Universal Apps al centro di tutto: Office è la prima Giusto qualche giorno fa pubblicammo un articolo relativo ad Office per Windows Phone e al silenzio di Microsoft nel suo aggiornamento, specie in un periodo che l’ha vista molto attiva sul fronte iOS e Microsoft. Ma l’attesa è (quasi) finita: l’azienda sta lavorando sulle Universal Apps, ovvero le app pensate per funzionare su tutti i dispositivi Windows 10 e che quindi non necessitano di una versione ad hoc per ogni device. Office sarà in assoluto il primo “big” ad essere rilasciato per Win10 e l’evento di lancio è stato l’occasione per mostrarlo al pubblico. Sono stati mostrati Word, Power Point e Outlook: non sono stati forniti particolari dettagli, se non che le principali funzionalità delle versioni de- Cortana su tablet sarà a “tutto schermo”, mentre su PC occuperà una piccola porzione vicino a Start I dispositivi basati su Win10 avranno un browser nuovo di zecca il cui nome in codice è Project Spartan. Non sono stati forniti dettagli particolari, se non che il motore di rendering è tutto nuovo, l’interfaccia è rinnovata e che sono presenti 3 nuove feature: la possibilità di annotare le pagine, la modalità di lettura, comprensiva di elenchi di lettura, e l’integrazione di Cortana. Il primo è forse il punto più interessante: considerando quanto Microsoft sta spingendo i dispositivi (tablet) con pennino, questa funzionalità permetterà di prendere appunti (pennino o dita) sul display, dopo di che la sezione della pagina annotata potrà diventare uno screenshot ed essere condivisa tramite nuove funzionalità di sharing. Se il dispositivo è un PC non touch e con mouse/tastiera, sarà possibile inserire annotazioni. La seconda novità è meno rivoluzionaria, essendo presente sui dispositivi Apple da un po’: la modalità di lettura permette una riformattazione della pagina web pensata per semplificare la lettura, ma mantenendo le foto. Simpatica la presenza di “elenchi di lettura”, contenuti che salviamo perché vogliamo leggerli in un secondo momento; ma a differenza di un comune segnalibro, il contenuto viene salvato in locale per essere consultabile anche fossimo in assenza di linea dati. Infine, l’integrazione con Cortana, che ci potrà dare consigli e informazioni contestuali alla pagina che stiamo visitando e al luogo in cui siamo. La data di lancio dovrebbe essere nel corso del 2015. Tramite penna o dita è possibile prendere appunti direttamente sulle pagina di Project Spartan n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE GAMING Svelate le novità gaming all’evento di presentazione di Windows 10: tutti i dispositivi avranno una nuova app Xbox Con Windows 10, PC e Xbox One diventano “una cosa sola” Con l’app Xbox si potrà, tra le altre cose, giocare in multiplayer su piattaforme diverse e in streaming da Xbox a Windows di Emanuele VILLA urante la presentazione delle feature “consumer” di Windows 10, larga parte delle novità ha riguardato il segmento del gaming. La filosofia è sempre quella dell’integrazione tra strumenti diversi: se in ambito generico Windows 10 vuole unificare l’esperienza d’uso tra PC, tablet, convertibili e telefoni, nel gaming il target principale è avvicinare il più possibile PC e Xbox. Il concetto è quello di estendere una serie di feature “core” di Xbox One al PC (e al tablet, con qualche limitazione anche ai telefoni) sfruttando una rinnovata app Xbox che verrà inserita in tutti i dispositivi Windows 10. Troveremo D così la lista di amici, il feed delle attività, i messaggi, la possibilità di visualizzare e commentare i loro video e molto altro anche su PC, così come la feature Game DVR, una dei protagonisti dell’evento Microsoft. Con Game DVR un utente PC potrà, analogamente a quanto accade nel mondo Xbox, registrare spezzoni di gameplay (anche i 30 secondi precedenti) e condividerli con chiunque usi l’app Xbox, a prescindere dalla piattaforma. La cosa che ha colpito di più è l’estensione del concetto di gaming multipiattaforma: durante l’evento è stata mostrata una sessione di gioco multiplayer in cui due utenti, uno su Xbox One, uno su PC, si trovavano a interagire nella medesima partita. Il gioco, che uscirà su Windows 10 e Xbox One, è Fable Legends, ma Microsoft proverà ad estendere il concetto alla stragrande maggioranza dei giochi in uscita, che sfrutteranno le librerie DirectX 12, delle quali si è parlato poco se non per dire che offriranno prestazioni superiori alle attuali e che, essendo Windows 10 pensato per più device (compresi quelli a batteria), offriranno un consumo pari alla metà dell’odierno. Infine, il discorso dello streaming da Xbox One a dispositivi Windows 10, nella fattispecie PC e tablet. Per dimostrare questa funzionalità, che sarà disponibile “più avanti nel corso dell’anno”, in sede di presentazione è stata simulata una partita a Forza Horizon 2 su un tablet Surface Pro 3, evidentemente in streaming da Xbox One, e tra l’altro senza avvertibile lag. SCIENZA E FUTURO HoloLens è un occhiale con lenti olografiche che permette di gestire oggetti virtuali nello spazio reale Con Microsoft HoloLens gli ologrammi diventano realtà Non ha bisogno di collegarsi ad un PC e si comanda con i movimenti delle mani e con la voce. Uscirà a fine anno di Andrea ZUFFI ni olografiche. Il mondo reale è invece catturato da una fotocamera ad ampia visuale con angolo a 120 gradi. HoloLens integra molti sensori che raccolgono un’infinità di informazioni processate in tempo reale dalla CPU, coadiuvata da un processore grafico e da uno specifico motore olografico (HPU: Holographic Processing Unit). Il sistema è stand-alone e funziona quindi senza che sia necessaria alcuna interazione con PC o smartphone. Le porte di comunicazione sono unicamente A ll’evento di presentazione di Windows 10, Microsoft ha anche fatto il suo ingresso ufficiale nella realtà aumentata (non “virtuale” in senso stretto) con tanto di ologrammi virtuali con cui interagire. Il prodotto si chiama HoloLens è si presenta come un visore che ricorda i Google Glass, anche se dalle dimensioni un po’ maggiori. In realtà HoloLens è concepito come salto epocale cui Microsoft ha lavorato in gran segreto per diversi anni (nome del progetto in codice Baraboo), collaborando anche con la NASA. E a Redmond ieri è andato in scena un vero e proprio assaggio di futuro: è stata svelata la tecnologia Microsoft Holografic che permette di vivere un’esperienza completamente nuova fatta di oggetti virtuali che l’utente vede come integrati nello spazio reale. Indossando Holo- Microsoft HoloLens torna al sommario Lens è infatti possibile interagire con quanto reso visibile sotto forma di ologramma utilizzando i movimenti delle mani, degli occhi e impartendo comandi con la voce. Durante la presentazione ufficiale, Microsoft ha voluto dare un assaggio delle potenzialità del nuovo sistema di realtà aumentata tridimensionale proponendo alcuni scenari di impiego di HoloLens. Si va da utilizzi più ludici, come ad esempio una partita a Minecraft, alla visione coinvolgente di un evento sportivo tra le pareti di casa o ancora alla fantascientifica passeggiata su Marte resa alquanto realistica dall’utilizzo delle lenti olografiche. Microsoft ha inoltre voluto dimostrare anche altre implicazioni nel mondo bu- siness come per esempio la possibilità di visualizzare e “toccare con mano” modellini 3D creati sul computer prima di iniziare il reale processo di realizzazione tramite stampante 3D. Proprio a questo scopo Windows 10 include la suite HoloStudio con la quale è possibile curare ogni aspetto della gestione dei modellini olografici tridimensionali. L’hardware di HoloLens consiste in una montatura simile ad una mascherina che avvolge la testa anche sul retro. Le lenti sono olografiche, cioè costituite da più strati all’interno dei quali le particelle di luce si muovono cambiando continuamente direzione e “ingannando” i nostri occhi con la creazione di immagi- wireless e al momento non sono noti i dettagli sulla durata della batteria. Per lo realizzazione di applicazioni di terze parti sono disponibili in Windows 10 le Holographic API. Non si hanno ancora informazioni sul prezzo e sulla reale data di commercializzazione anche se lo stretto legame con Windows 10 lascia intendere che HoloLens possa uscire a fine anno insieme alla nuova versione del sistema operativo. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE PC Microsoft vuole riconquistare il mondo business con un PC con Windows 10 e un’app dedicata Surface Hub, il PC da 84” per le aziende Surface Hub è costituito da uno schermo 4K da 84”, una penna multifunzione e da un’app di Michele LEPORI elle “meeting room” aziendali non si parlerà d’altro che di Surface Hub, lo schermo gigante da 84” con risoluzione 4K, che ha fatto la sua comparsa ufficiale alla presentazione di Windows 10. Il megaschermo permette (e promette) di reinventare il modo di gestire conference call, briefing e tutte le attività collettive che fanno parte della giornata tipo di un cliente business assieme alla penna digitale multifunzione a più livelli di pressione ed all’app che gestisce tutta la macchina. Ma cosa si nasconde dietro a Surface Hub? O meglio, cosa si nasconde N torna al sommario Surface 2 non verrà aggiornato a Windows 10 Addio Windows RT Microsoft conferma che i tablet con Windows RT non potranno essere aggiornati a Windows 10. Ci sarà però un aggiornamento per RT che introdurrà alcune delle nuove funzionalità sui vecchi tablet dentro Surface Hub? Il megaschermo di Microsoft non è nient’altro che un PC con Windows 10 e un’app dedicata, molto simile a OneNote, con interfaccia utente semplificata e ottimizzata per la penna digitale. Ma questo non la rende l’unica modalità d’uso di Hub, tant’è che ogni partecipante alla conferenza potrà connettere il proprio PC o Mac, aprire qualsiasi programma e mostrare a tutta la platea progetti, relazioni, presentazioni o sfruttare Skype for business per invitare altri partecipanti a quella che diventerebbe quindi una teleconferenza. Microsoft ha pensato il Surface Hub anche per connettere dispositivi mobili wireless, ecco quindi che tablet, smartphone e phablet saranno interfacciabili con pochi tocchi e potranno inviare e ricevere dati come i computer: massima apertura ad ogni situazione, quindi, e rischio di maxischermo nato poco più per demo preconfezionate scongiurato. Surface Hub rimane però costruito attorno alle esigenze dei relatori, ed il loro braccio destro durante l’utilizzo diventerà ben presto la penna digitale, al momento ancora senza nome: si ricaricherà semplicemente agganciandola alla calamita del bordo schermo e semplicemente prendendola in mano si aprirà automaticamente l’app simil-OneNote, senza registrazioni o procedure di autenticazione e Microsoft promette settimane di autonomia, anche senza riagganciarla alla cornice. E se per caso si dovesse scaricare completamente, 2 minuti di collegamento alla calamita sulla cornice garantiranno una ricarica sufficiente all’utilizzo per un’ora. Il computer perfetto, quindi? Quasi. Surface Hub ha un cuore che batte con Windows 10 ma non è esattamente un PC, poiché non è in grado di archiviare dati all’interno. Al termine della conferenza, Surface Hub chiederà l’inserimento di una o più email dove mandare tutto quanto creato durante la presentazione oppure, se la conferenza era già programmata e c’era una lista di partecipanti, Surface Hub provvederà ad inviare a tutti quanto scritto, disegnato e presentato sugli 84” del suo schermo e al termine dei lavori provvederà a “ripulirsi” per essere riutilizzato da nuovi partecipanti, che non potranno in alcun modo accedere ai dati mostrati in precedenza. Surface Hub promette “faville” per l’utenza aziendale, ma al momento non si sanno ancora né la disponibilità né il prezzo, fattori che potrebbero frenare la diffusione fra le aziende medio-piccole. Ci saranno possibilità di noleggio o leasing? Come verrà gestita l’assistenza? Tutte domande a cui al momento non c’è risposta, ma Surface Hub potrebbe già essere nella lista della spesa di tante realtà commerciali. di Paolo CENTOFANTI Microsoft stacca la spina a Windows RT, la versione di Windows 8 pensata per i dispositivi con processore ARM. L’azienda lo ha confermato in una sessione di Q&A con alcune testate americane, annunciando che il tablet Microsoft Surface 2, così come tutti gli altri prodotti commercializzati con Windows RT, non potranno essere aggiornati al nuovo Windows 10. Del resto i tablet con Windows RT non hanno mai avuto molto successo, soprattutto perché, pur dotati di una modalità desktop, non erano in grado di far girare i programmi Windows; rimanendo in casa Microsoft, solo le versioni Pro di Surface hanno avuto vendite un po’ più consistenti. E così, mentre i tablet Surface Pro avranno la possibilità di passare al nuovo sistema operativo, per Surface 2 ci sarà solo un aggiornamento minore che introdurrà un numero limitato di funzionalità di Windows 10 sul vecchio tablet ARM. La situazione sembra simile per certi versi a quanto successo con Windows Phone 8, quando molti dei primi smartphone Windows Phone 7 hanno ricevuto solo un aggiornamento intermedio con poche funzionalità della nuova versione del sistema operativo. Microsoft ha dichiarato che sul futuro di Windows RT ci saranno maggiori dettagli più in là, ma sembra ormai chiaro che gli unici dispositivi Windows 10 con processore ARM saranno gli smartphone. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE PC Nelle prossime settimane potremo testare Office con la Windows 10 Technical Preview Microsoft Office 2016 arriverà a fine anno Per il lancio definitivo dovremo attendere qualche mese. Comunque lo vedremo nel 2015 di Michele LEPORI icrosoft annuncia ufficialmente che Office 2016 sarà disponibile entro la fine dell’anno. Dopo i primi assaggi visti al recente evento di presentazione di Windows 10, l’interesse per la nuova versione di Office è cresciuto, ed è proprio Julia White, Office General Manager, a tranquillizzare gli animi dalle pagine del blog ufficiale: “Mostreremo ancora molto di Office 2016 nei prossimi mesi, ma resterà la solita suite a cui siamo abituati, adatta a PC con tastiera e mouse”. Questa dichiarazione fa riferimento alle critiche che sono state mosse a Microsoft, “rea” M di essersi concentrata troppo sulla parte dedicata ai device touchscreen trascurando gli utenti desktop. Non ci saranno dunque grossi cambiamenti: a parte qualche piccola aggiunta o modifica, il nuovo software assomiglierà molto ad Office 2013. Il grosso dei cambiamenti sarà concentrato sulla versione per smartphone e piccoli tablet, con una UI molto simile a quella già vista su iPad; nonostante ciò, a Redmond si sta lavorando per aggiungere qualche feature che renda l’esperienza d’uso differente in ambiente Windows 10. La tabella di marcia è decisa e nelle prossime settimane potremo testare Office con la Windows 10 Technical Preview. Ricordiamo che tutte le versioni di Office 2016 includeranno Word, Excel, PowerPoint, OneNote e Outlook. Per seguire ogni novità potete fare riferimento al blog ufficiale Office. PC Confermate le voci dell’arrivo di WhatsApp sul web. Ma non si tratta di un client indipendente WhatsApp arriva sul web, ma solo con Chrome Si tratta di un mirror dell’app per smartphone; per ora è compatibile con Chrome e non con iOS l di Massimiliano ZOCCHI l sogno di molti si è avverato: WhatsApp arriva sul web e sul desktop, PC, Mac o altro non fa differenza. Ma in realtà è un sogno “a metà”: il nuovo client non è una versione indipendente (come ad esempio iMessage di Apple sul Mac), ma ha diverse limitazioni. La più importante è la necessità di mantenere lo smartphone su cui abbiamo installato WhatsApp, sempre connesso alla rete. Questo perché la nuova versione web è una sorta di mirror dell’applicazione mobile, e ciò torna al sommario che digitiamo sul nostro desktop, passa sempre per lo smartphone. È sempre presente, tuttavia, la possibilità di condividere foto o video. Nel caso in cui il device mobile perda la connessione o sia spento, anche la versione web smetterà di funzionare. Limitazione questa che sta facendo discutere, tanta è la delusione di chi sperava di poter attivare nuovi account o comunque avere più libertà d’azione. Per far sì che il client si colleghi al proprio smartphone è necessaria una sorta di operazione di pairing:I più attenti avranno già notato l’assenza della versione iOS, e sul blog ufficiale la spiegazione al momento è piuttosto vaga: “Purtroppo per ora, non siamo in grado di fornire il client web ai nostri utenti iOS a causa delle limitazioni della piattaforma Apple”. In realtà ci sono già voci di corridoio che vorrebbero le due aziende alleate per un’integrazione in OS X, staremo a vedere. La seconda limitazione, anche se meno importante, è che al momento il sistema funziona solo con Google Chrome; se si accede tramite un browser diverso si viene indirizzati verso una pagina che propone di scaricare il software di Mountain View. Ma la dicitura “More browsers coming soon” lascia ben sperare. Da Philips il monitor 27’’ per i professionisti della grafica Philips lancia sul mercato italiano un monitor da 27’’ con pannello IPS-AHVA che supporta il 99% dello spazio colore Adobe RGB. Pensato per i professionisti di grafica e video, è già disponibile a 799 euro di Emanuele VILLA È da ora disponibile sul mercato italiano un monitor Philips da 27’’ (Philips Brilliance 272P4APJKHB) dalle caratteristiche tecniche molto interessanti e dedicato ai professionisti della grafica e del video. Al prezzo di listino di 799 euro, Philips propone un display IPS-AHVA precalibrato che supporta il 99% dello spazio colore RGB e il 100% dello spazio colore sRGB, oltre alla regolazione del colore personalizzata a sei assi (PerfectKolor) e il colore a 10 bit per la rappresentazione simultanea di oltre 1 miliardo di tinte. Le altre tecnologie interessanti del monitor Philips sono SmartUniformity, che analizza e compensa le fluttuazioni di luminosità e colore nelle varie aree dello schermo (cosa particolarmente importante in alcuni ambiti professionali) e Flicker-free per eliminare il micro-sfarfallio che, soprattutto in un monitor professionale, può stancare non poco la vista. Il pannello è un 27’’ IPS-AHVA con risoluzione 2560x1440, ha tecnologia MultiView per il collegamento a più sorgenti contemporanee e il supporto SmartErgoBase per la massima fliessibilità di visione. Il Philips Brilliance 272P4APJKHB offre un angolo di visione di 178° in entrambi i versi e una luminosità di 350 cd/m2, mentre per quanto concerne le connessioni segnaliamo le 3 prese USB 3.0, 2 HDMI, DisplayPort e DVI a doppia uscita. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE HI-FI E HOME CINEMA Emergono nuovi dettagli sulla standardardizzazione Blu-ray 4K Blu-ray 4K, standard in arrivo entro l’anno? Il color sampling resterà 4:2:0 mentre pare che non ci sarà spazio per il 3D Ultra HD S di Roberto PEZZALI ono mesi caldi per la BD Association: l’obiettivo è arrivare entro la fine dell’estate con una bozza delle specifiche in previsione dell’IFA e la standardizzazione entro l’anno. Un obiettivo non impossibile, anche perché questa volta non ci sono produttori da mettere d’accordo: le specifiche saranno decise dai membri ma probabilmente non tutti i produttori decideranno di produrre poi dispositivi. In ogni caso la direzione verso cui si sta andando è una via di mezzo tra la rivoluzione totale e il mantenimento di alcune tecnologie attuali: la tabella qui sotto mostra la proposta per il nuovo formato, che sarà basato su dischi a uno, due o tre strati fino a 100 GB di capacità. Il codec predefinito sarà l’HEVC, ma re- sterà ugualmente la possibilità di sfruttare l’AVC H.264 per alcuni contenuti come gli extra. Due le risoluzioni supportate: 1920 x 1080 e ovviamente l’Ultra HD 3840 x 2160. La novità è il color subsampling, ovvero il campionamento delle componenti YCbCr: verrà mantenuto il 4:2:0, come nel caso del Blu-ray, questo per mantenere i file in dimensioni accettabili e per non cambiare connessione. Un campionamento 4:2:2 o 4:4:4 avrebbe richiesto una nuova connessione o una nuova versione di HDMI, ma va anche detto che per l’occhio umano è impossibile distinguere un file 4:2:2 da un 4:4:4. Più interessante vedere il bitrate massimo a 100 Mbps, i 10 bit e la presenza di entrambi gli spazi colore BR.2020 e REC 709: grazie ad una serie di metadati infatti sarà possibile avere la retrocompatibilità per i display non HDR e non 4K, utile per chi ha un player collegato ad un proiettore Full HD e un TV 4K o un TV 4K non HDR. Dubbi infine sul 3D: sembra infatti che al momento non venga supportato il 3D 4K a 60 fps, sempre per questione di spazio. HI-FI E HOME CINEMA Denon amplia la gamma di amplificatori compatibili con la musica DSD Denon PMA-50, il microamplificatore compatibile DSD La presenza di molti ingressi digitali e di uno analogico lo rende particolarmente versatile di Roberto FAGGIANO enon allarga la famiglia di componenti audio compatibili con la musica in alta risoluzione DSD; dopo i convertitori è il momento dell’amplificatore. Il PMA-50 (499 euro) è un amplificatore stereo con potenza di 2 x 25 watt (8 ohm - 0,1% THD), convertitore D/A compatibile con musica DSD, dimensioni decisamente compatte (misura 200 x 86 x 258 mm, L x A x P), collegamento Bluetooth con aptX e abbinamento NFC, ingressi digitali e analogico con la comodità di poterlo sistemare in orizzontale e verticale, magari accanto al notebook e a due diffusori compatti. Sul pannello frontale troviamo un display OLED che indica la sorgente e il tipo di file digitale in ripro- D torna al sommario duzione e la manopola del volume; la sorgente si controlla dal telecomando oppure in modo sequenziale. Sul pannello posteriore troviamo l’ingresso USB per computer dal quale riprodurre i file musicali in alta risoluzione, due ingressi digitali ottici e uno coassiale; ma c’è anche un comodo ingresso analogico per allargare la compatibilità con una qual- siasi altra sorgente. Oltre alle uscite per una coppia di diffusori c’è un collegamento pin RCA per un eventuale subwoofer amplificato. Il convertitore D/A integrato sfrutta il prestigioso ed esclusivo circuito Denon AL32 con convertitore da 192 kHz/24bit, ed è possibile riprodurre musica dall’MP3 fino al DSD 5,6 MHz. Il modulo di amplificazione digitale in classe D è un DDFA (Direct Digital Feedback Amplifier) della CSR, la stessa azienda che ha sviluppato il Bluetooth con aptX a bassa latenza che equipaggia l’amplificatore. L’amplificatore PMA-50 è già disponibile sul mercato europeo. Sonos aprirà i suoi diffusori ad app di terze parti? Stando ad un annuncio di lavoro, Sonos starebbe aggiornando la propria piattaforma software per permettere di integrare il supporto ai suoi diffusori in qualunque applicazione di Paolo CENTOFANTI Il sistema di diffusori Sonos ha avuto talmente successo da essere stato preso a modello da praticamente tutti i produttori di elettronica. Per Sonos questo vuol dire anche maggiore concorrenza e quindi la necessità di adattarsi velocemente a quelle che stanno diventando le abitudini di ascolto degli utenti, come la possibilità di riprodurre musica direttamente dall’app dei principali servizi di streaming. Già ora, Sonos permette di ascoltare musica sui suoi diffusori da praticamente tutte le piattaforme musicali, ma con un limite: occorre passare obbligatoriamente per l’app ufficiale Sonos. Sistemi come Spotify Connect, Apple AirPlay o il nuovissimo Google Cast danno invece la possibilità di utilizzare direttamente l’app nativa del servizio musicale, offrendo spesso molte più funzionalità rispetto a quella di Sonos. Per questo motivo, il produttore californiano starebbe studiando la tanto attesa apertura alle app di terze parti. Lo rivela un annuncio di lavoro su Linkedin, in cui si fa riferimento esplicitamente alla progettazione di API (essenzialmente interfacce software per l’accesso alla piattaforma Sonos) “per consentire ai servizi musicali di terze parti di integrare facilmente le loro app con Sonos”. Chiaramente, poiché Sonos è ancora in fase di ricerca del personale apposito, ci vorrà ancora del tempo prima di vedere delle app di terze parti essere in grado di inviare musica in streaming sui diffusori Sonos, ma come si suol dire, meglio tardi che mai. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE MERCATO Molti editori hanno in effetti annunciato riduzioni di prezzo, anche se un po’ in ritardo rispetto alla riduzione dell’IVA E-book: l’IVA al 4% per conservare i vantaggi Ecco perché i prezzi non potevano cambiare Prosegue il viaggio di DDay.it nei meandri dei prezzi degli e-book e della relativa IVA agevolata in vigore il 1 gennaio IVA più bassa ma prezzi quasi invariati, perché? Con la norma europea saltavano i vantaggi di Amazon, Apple e Kobo È di Gianfranco GIARDINA stata grande l’eco della nostra inchiesta sui prezzi degli e-book, che dopo il 1° gennaio non si erano modificati malgrado la riduzione dell’IVA al 4%. E il motivo è molto semplice: tutti i cittadini si aspettavano che, a fronte di una riduzione di IVA molto importante (dal 22% al 4%), corrispondesse una riduzione dei prezzi al pubblico pressoché automatica. Come normalmente sono automatici gli aumenti, quando l’IVA cresce. Solo nei giorni successivi alla nostra inchiesta e al conseguente clamore, molti editori hanno annunciato alcune riduzioni di prezzo, indicando come principale causa del ritardo la tradizionale chiusura natalizia degli uffici: spiegazione che non convince al 100%, dato che la riduzione dell’IVA era cosa fortemente presumibile da fine novembre e certa dal 21 di dicembre. Quindi, volendo ben vedere, il tempo c’era. Le riduzioni effettuate negli scorsi giorni comunque, hanno riguardato solo titoli selezionati (anche se in alcuni casi importanti) e non sono state lineari su tutto il catalogo come la rimodulazione dell’IVA avrebbe potuto lasciar prevedere. Ma la realtà è che, a causa di una serie di complicate e incredibili concomitanze, anche se l’IVA è stata effettivamente ridotta, il prezzo degli e-book non doveva e non poteva cambiare. E il “beau geste” degli editori dei giorni scorsi, pur gradito, non era affatto dovuto, come ci hanno ben spiegato, tra gli altri, sia Marco Polillo, presidente dell’Associazione Italiana Editori, che Alessandro Magno, direttore dell’area Digital del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol, che abbiamo approfonditamente intervistato. Vediamo in questo “addendum” di inchiesta, perché i cittadini non vedranno un centesimo della riduzione di IVA sugli e-book: cercheremo di farla più semplice possibile. Clicca sulla foto a sinistra per leggere l’intervista completa a Marco Polillo, presidente di AIE. Clicca sulla foto a sinistra per leggere l’intervista completa a Alessandro Magno, direttore Digital del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol. Strane concomitanze: due novità IVA in vigore dal 1° gennaio La premessa da fare è che, come avevamo chiaramente spiegato a inizio dello scorso dicembre, con l’inizio del 2015 entrava in vigore una modifica della normativa fiscale comunitaria in virtù della quale, per l’acquisto di beni immateriali e servizi (come un e-book per esempio) si sarebbe applicata l’aliquota IVA vigente nella nazione dell’acquirente e non in quella del venditore, com’era invece fino all’anno scorso. Questa norma è appunto entrata in vigore il 1° gennaio scorso, proprio come il provvedimento del Governo che ha ridotto l’IVA italiana sugli e-book, inserito all’interno della legge di stabilità. Due modifiche importanti al regime IVA degli e-book che diventano operative nello stesso giorno. E – come vedremo - probabilmente si tratta di tutt’altro che un caso. Fino al 2014 agli editori conveniva vendere attraverso Amazon e gli altri store internazionali In conseguenza alle normative vigenti fino allo scorso anno, un e-book subiva sorti fiscali diverse a seconda del marketplace sul quale l’utente lo acquistava. Su uno store italiano (come per esempio lafeltrinelli.it o ibs.it) l’IVA applicata era del 22%. La conseguenza diretta era – tanto per fare un esempio – che, su un acquisto da 9,99 euro, circa 1,80 euro andavano all’erario sotto forma di IVA e i restanti 8,20 euro rappresentavano il ricavo netto di tutta la filiera (store, eventuale distributore ed editore). Se invece si procedeva all’acquisto dello stesso titolo presso gli store esteri (guarda caso spesso domiciliati in Lussemburgo, come Amazon, Apple Store o Kobo) veniva applicata l’IVA vigente nel Paese estero. In particolare in Lussemburgo l’IVA sugli e-book era ed è del 3%. Proseguendo con il nostro esempio, un acquisto di quell’e-book da 9.99 su Amazon corrispondeva a un’IVA di circa 0,25 euro e a un ricavo per la filiera di oltre 9,70 euro, ben un euro e mezzo in più di quanto non accadesse tramite i negozi italiani. La conseguenza diretta di tutto ciò è che per anni e fino a qualche giorno fa, gli editori avevano una discreta convenienza a vendere attraverso i canali basati in Lussemburgo, come Amazon, Apple e Kobo. Mettendo ovviamente in ulteriore difficoltà i coraggiosi store italiani, che oltre a pagare le tasse a casa nostra a condizioni sicuramente peggiorative, erano anche gravati da uno svantaggio competitivo di partenza nei confronti dei grandi competitor internazionali. E – inspiegabilmente – hanno accettato per molto tempo questa situazione senza riuscire a far crescere un sentimento di corretta indignazione nell’opinione pubblica. Cosa è cambiato nel 2015: tutti gli store giocano ad armi pari Grazie all’entrata in vigore del provvedimento europeo di “attrazione” del regime IVA dell’acquirente (pensato proprio per evitare le storture appena descritte), di colpo sia gli store internazionali che quelli italiani si sono trovati a vendere gli e-book agli utenti italiani alle medesime condizioni fiscali: quelle italiane. Che – come dicevamo – sono cambiate proprio dal 1° gennaio. Ora, sia che si acquisti su Amazon che su lafeltrinelli.it, l’IVA applicata è quella vigente in Italia, ovverosia del 4%. Questo significa che per gli acquisti effettuati sugli store lussemburghesi cambia poco: si passa dal 3 al 4%, con quindi un leggero aggravio di costi a carico della filiera se i prezzi al pubblico vengono lasciati costanti. Una riduzione dei prezzi su questi store in seguito alla diminuzione dell’IVA italiana è quindi del tutto immotivata. Al massimo poteva verificarsi un piccolo aumento. Al contrario, cambia sostanzialmente la situazione per gli acquisti fatti su negozi italiani: qui l’IVA applicata segue a pagina 14 torna al sommario n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE MERCATO Inchiesta e-book, IVA al 4% segue Da pagina 13 scende dal 22% al 4% e, se i prezzi finali restano uguali, anche gli store italiani iniziano a generare ricavi unitari uguali ai negozi esteri e tutti giocano ad armi pari. Al massimo, si sarebbe potuto sperare in una qualche riduzione dei prezzi sugli store italiani, oramai abituati a sopravvivere con margini minori. Ma anche questo non sarebbe stato possibile, e più avanti vedremo perché. Ma quanto contano i negozi italiani? Uno dei principali problemi è però cercare di valutare, fatto 100 il giro d’affari del mercato, quanto contano i negozi italiani. Non esistono numeri ufficiali da questo punto di vista: “Purtroppo Amazon non rilascia questi numeri – ci ha detto Marco Polillo, presidente di AIE -, malgrado noi glieli si sia chiesti un’infinità di volte…”. E se Amazon non parla e l’associazione degli editori non ha allestito un osservatorio basato sui dati degli associati, non resta che affidarsi alle stime. Gli editori da noi sentiti hanno tutti raccontato di un predominio pressoché totale degli store lussemburghesi, con una netta prevalenza per Amazon: “Gli store che operano dal Lussemburgo – ci ha spiegato Alessandro Magno del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol – rappresentano una quota rilevantissima del mercato, che cambia da editore a editore, ma che si attesta oltre il 75% per tutti”. In alcuni casi, soprattutto i piccoli editori, le percentuali sono ancora più alte: “Per Logus – ci racconta Pier Luigi Lai, fondatore della Casa editrice – la sola Amazon incide per l’85-90% del nostro giro d’affari”. Tra l’altro va anche considerato che alcuni store che tutto lasciava presumere fossero schiettamente italiani, come il Mondadori Store, di fatto fa da vetrina e catalogo sul proprio server italiano ma poi fa perfezionare l’acquisto sulla piattaforma di Kobo, ovviamente basata in Lussemburgo. Questo vuol dire che, con la stragrande maggioranza di vendite veicolate dagli store lussemburghesi, la situazione cambia di poco. Ipotizziamo – e non sbagliamo di molto - che il 80% delle vendite arrivi dal Lussemburgo, mentre solo il 20% venga fatto dai negozi italiani. In questo caso ci sarebbe un aggravio dell’1% di IVA su quattro quinti delle vendite e un risparmio del 18% di IVA su un quinto. Pesando aggravi e risparmi, si arriva a un maggior margine totale per editori e rivenditori di circa il 2,2%, praticamente una cosa trascurabile. Quindi attendersi una riduzione dei prezzi a fronte della nuova disposizione IVA del Governo italiano – come noi abbiamo fatto in buona fede - era in realtà del tutto irrealistico. Se i cittadini se la aspettavano, è perché evidentemente il provvedimento è stato “venduto” politicamente come un grande vantaggio per i cittadini, uno di quei rari casi in cui scendono le tasse. Ma guarda caso – per questa serie di alchimie – i costi per i cittadini non cambiano. Cosa sarebbe successo senza la riduzione dell’IVA italiana? A questo punto è giusto interrogarsi su cosa sarebbe però successo se fosse entrata in vigore la normativa europea senza il “correttivo Franceschini”: in poche pa- torna al sommario role da un giorno all’altro Amazon e gli altri si sarebbero trovati a dover applicare un’IVA del 22%. Per Amazon un problema contenuto: guadagna a provvigione su prezzi stabiliti dagli editori. Se gli editori non avessero toccato i prezzi finali, Amazon avrebbe semplicemente guadagnato un po’ meno dalle vendite in Italia; ma soprattutto sarebbero stati gli editori a vedere un peggioramento dei propri margini di circa il 15% del prezzo di vendita proprio sul canale che rappresenta per loro la stragrande maggioranza del giro d’affari. Cosa sarebbe veramente successo alla fine non lo sapremo mai, ma qualche ipotesi la si può azzardare: probabilmente le case editrici – che non hanno bilanci particolarmente floridi – sarebbero state costrette a ritoccare verso l’alto i prezzi finali (almeno sugli store esteri) per recuperare il margine perso. Ma questo aumento si sarebbe poi incredibilmente riflesso anche sugli store italiani, come vedremo tra poco. Amazon, Apple e Kobo: la livella dei prezzi Una cosa che ha colpito alcuni lettori della nostra inchiesta e che francamente ha colpito anche noi è il totale equilibrio dei prezzi tra tutti gli store, italiani ed esteri. In realtà – ci è stato detto da alcuni editori – Amazon, Apple e Kobo avrebbero inserito delle clausole contrattuali che impegnano l’editore, più o meno con le buone, a garantire loro il miglior prezzo sul mercato. Questo ovviamente, anche perché posto in essere da più store contemporaneamente, rende il prezzo di un singolo libro perfettamente identico da negozio a negozio, come se si trattasse di un prezzo imposto. Imposto dall’editore, ovviamente, che lo determina liberamente, ma comunque senza possibilità per i rivenditori di farsi un minimo di concorrenza tra di loro sulla variabile prezzo e quindi – presumibilmente – con un presumibile danno per i consumatori. Infatti, quand’anche gli editori avessero voluto ridurre tutti i prezzi degli store italiani per condividere con i consumatori i maggiori margini ottenuti dalla rimodulazione dell’IVA, non avrebbero potuto farlo se non riducendo anche i prezzi di Amazon e compagni, dove non è praticamente cambiato nulla, andando così a perdere molti soldi, anche in considerazione dei volumi maggiori generati dai ca- nali esteri: “Se avessimo ritoccato i prezzi, avremmo dovuto farlo dappertutto, anche su Amazon – ci spiega Lai della Logus –. Ma i prezzi su Amazon sono già stati calibrati sulla base delle previsioni di vendita: è impossibile pensare di abbassare quei prezzi”. Tra l’altro, va considerato che i libri non sono beni “sostituibili” tra loro: se si è interessati a leggere l’ultimo di Patricia Cornwell, tanto per fare un esempio, non si può che comperarlo nell’edizione dell’editore che lo pubblica, a un prezzo che quindi è assolutamente uguale da negozio a negozio. Qualcuno potrebbe lecitamente chiedersi perché gli editori accettino clausole così vincolanti: “Amazon – ci spiega Pier Luigi Lai di Logus - dice qualcosa di simile a ‘Non puoi usare la mia vetrina e poi andare a vendere a prezzo minore da qualche altra parte’. Amazon fa bene, perché ha messo a punto una vetrina che è insuperabile. Lo devo riconoscere: Amazon a fare questo lavoro è molto efficiente. Abbiamo avuto qualche libro che è stato scelto da loro come libro del giorno: in quel giorno abbiamo realizzato vendite superiori a tutto l’anno. Noi non possiamo certo metterci di traverso”. Anche i grandi editori sono contenti di accettare questa clausola e quindi di regolare e livellare i prezzi sul mercato: “Noi siamo ben contenti - ci ha spiegato Alessandro Magno, direttore Digital di Mauri Spagnol - di decidere autonomamente i nostri prezzi e di non farli decidere a terzi. Questo, come editore, mi ha da anche la possibilità di fare delle promozioni che penso, programmo e decido io”. Sulla base di questa evidenza, va ulteriormente considerato cosa sarebbe successo senza la riduzione dell’IVA al 4%: se gli editori – come dicevamo – avessero aumentato i prezzi degli store esteri (dove si sarebbe sostanziata la perdita di margine) alla fine avrebbero dovuto aumentarli anche sugli store italiani. In pratica ci sarebbe stato un aumento di tutti i prezzi sul mercato, anche sui negozi per i quali di fatto non sarebbe cambiato nulla relativamente al regime IVA. segue a pagina 18 n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE MERCATO DDay.it intervista Polillo per parlare della polemica relativa ai prezzi dei libri digitali esplosa a inizio anno Intervista a Marco Polillo, Presidente di AIE “Due norme sull’IVA e-book? Una coincidenza” “La condizione creata con la doppia normativa IVA da inizio anno non avrebbe giustificato la riduzione dei prezzi” N di Gianfranco GIARDINA ell’ambito degli approfondimenti seguiti alla nostra inchiesta sul prezzo degli e-book di inizio anno, abbiamo sentito Marco Polillo, Presidente di AIE (Associazione Italiana Editori, l’associazione confindustriale dell’editoria libraria), oltre che Presidente di Confindustria Cultura. Polillo, classe 1949, ha un passato in Mondadori e RCS e ha fondato da qualche anno la casa editrice che porta il suo nome. DDay.it: Lei ha sicuramente letto la nostra inchiesta di inizio anno… Marco Polillo: “Lì è successa una cosa alla quale generalmente non si pensa e cioè che l’intera editoria italiana era chiusa per ferie: dal 23 dicembre al 7 gennaio io ero uno dei pochi presenti. Gli altri, magari erano a Milano, ma approfittando di questo ponte eccezionale di quest’anno, tutti hanno chiuso. Quindi anche volendo non ci sarebbe stata la possibilità di intervenire sui prezzi, anche perché la legge di stabilità è stata approvata a fine dicembre ed è entrata in Gazzetta Ufficiale il 29 di dicembre, entrando in vigore il 1° di gennaio. E quindi tutte le revisioni di prezzo sono slittate alla riapertura. C’è anche un aspetto un po’ particolare che riguarda gli e-book: a differenza del prodotto cartaceo, che essendo fisicamente riscontrabile, non può vedere il suo prezzo di copertina cambiato spesso, l’e-book vive molte più operazioni di taglio prezzo temporaneo, di aumento, decremento, offerta speciale, eccetera. E il prezzo va gestito di continuo.” DDay.it: La legge che regolamenta il prezzo dei libri cartacei e che fissa il massimo sconto che possono effettuare le librerie si applica anche agli e-book? Polillo: “Non si applica sugli e-book; la legge prevede l’applicabilità solo sul prodotto cartaceo. Il libro elettronico - che era ancora agli inizi - non era ricompreso nella normativa”. DDay.it: Alcuni prezzi ora sono stati riposizionati e queste riduzioni sono state giustamente pubblicizzate dagli editori e addirittura il Ministro Franceschini ha salutato queste riduzioni tra gli effetti della riduzione dell’IVA. D’altra parte non sono stati fatti tagli lineari su tutti i prezzi, come si poteva pensare in un primo momento. Alla luce delle nostre ultime ricostruzioni, ci sentiamo di poter dire che una riduzione sarebbe stata francamente impensabile, dato che per gli editori dal 2014 al 2015 non è cambiato quasi nulla… Polillo: “La sua interpretazione è corretta, nel senso che è stata molto accentuata la differenza di IVA che torna al sommario c’era tra il 4 del libro cartaceo e il 22% dell’e-book; in realtà, fino alla fine dello scorso anno, l’aliquota IVA applicata dipendeva molto da dove un cliente acquistava un e-book. Se l’acquisto veniva fatto da Amazon che godeva di privilegi fiscali particolari, l’IVA sull’e-book era solo il 3%…” fornitori di servizi digitali che ritengono di dover essere considerati prodotto culturale? Polillo: “Potrebbe essere un’obiezione. Ma la controobiezione è che anche prima dell’avvento del prodotto informatico, il libro ha sempre goduto, anche altrove, di una normativa IVA diversa dagli altri prodotti…” DDay.it: Voi sapete qual è il numero di e-book che vende in Italia Amazon e il giro d’affari conseguente? Polillo: “No, purtroppo Amazon non rilascia questi numeri, malgrado noi glieli si sia chiesti un’infinità di volte…” DDay.it: I periodici anche. Quindi lei non è contrario al fatto che il beneficio venga esteso anche a quotidiani e periodici in versione digitale? Polillo: “Io so che la FIEG ha fatto un tentativo di… non dico di accodarsi ma ha fatto un ragionamento tipo ‘proviamoci anche noi’ perché il concetto che sta alla base è lo stesso. Questa situazione mette in evidenza come stia diventando difficile legiferare in materia con l’avvento di Internet e di tutto quello che comporta”. DDay.it: Beh, immaginiamo che comunque Amazon e gli altri store lussemburghesi siano il canale prevalente per gli e-book: in questo caso per tutto quel giro d’affari, dal 1° gennaio addirittura la situazione è leggermente peggiorata, passando dal 3% di IVA al 4%, corretto? Polillo: “Sì, c’è stato un peggioramento sulle vendite dall’estero. E non c’era certo un obbligo di abbassare i prezzi in queste condizioni. Diciamo che, malgrado tutto ciò, questa situazione è stata presa come occasione per ribadire ciò di cui noi siamo fermamente convinti: ovverosia che non c’è alcuna differenza concettuale tra un libro pubblicato su un supporto fisico e lo stesso libro circolato su un supporto virtuale…” DDay.it: Beh, questo è talmente evidente che non ci sarebbe neppure da iniziare a discutere… Polillo: “Lo so, però ci sono ancora in sede comunitaria grossi ostacoli ad assimilare questo concetto…” DDay.it: Ma non pensa che sia legato al fatto che poi, per estensione, si creerebbe la “fila” degli altri DDay.it: Torniamo al punto di partenza: il tema dell’abbassamento dell’IVA sugli e-book non è certo nuovo. Ma il “colpo di reni” degli ultimi mesi e della campagna #unlibroèunlibro non trova lo spunto proprio dalla minaccia della modifica del regime IVA comunitario che è entrato in vigore a inizio anno? Polillo: “È una battaglia che viene da lontano: oltre quattro anni fa io stesso avevo ufficialmente chiesto che l’IVA su libro elettronico fosse rivista. Quanto alla storia recente, nessuno, al momento di quando abbiamo lanciato la campagna, si sarebbe aspettato che la normativa europea sarebbe entrata in vigore segue a pagina 16 n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE MERCATO Intervista a Marco Polillo (AIE) segue Da pagina 15 il 1° gennaio e quindi c’è una coincidenza di date che è stupefacente; noi francamente pensavamo che si trattasse di una battaglia sentita e con grandi possibilità di successo; però, grazie alla collaborazione del Ministro Franceschini, il risultato è stato molto più veloce di quello che pensassimo. Quindi si tratta solo di una coincidenza”. DDay.it: Il prezzo attuale degli e-book è giusto a suo avviso? Qualcuno dice che i grandi editori tengono i prezzi artatamente alti per continuare a favorire il vecchio business cartaceo… Polillo: “Il catalogo di e-book disponibili in Italia inizia ad essere molto importante: credo che ci si attesti intorno ai 70mila titoli. In secondo luogo, c’è una percezione da parte del lettore/scaricatore medio italiano che il prezzo giusto di un e-book non dovrebbe essere superiore al 50% dello stesso oggetto in formato cartaceo: ma se del prezzo dell’e-book una buona fetta (il 22% dell’IVA italiana fino allo scorso anno, ndr) se ne va in IVA, risulterà ancora più complesso raggiungere l’obiettivo. Anche perché tutto nasce da un fatto che, anche tra alcuni addetti ai lavori, non è stato assimilato: il costo fisico, cioè carta, stampa e confezione, non è poi un costo percentualmente molto alto. In un libro di tiratura media, questi costi (che ovviamente si risparmiano nell’edizione digitale) incidono per circa il 10-11%…” DDay.it: Carta, stampa e confezione. Ma non i costi diretti e indiretti legati alla distribuzione fisica, con le inefficienze legate agli invenduti e così via… Polillo: “Quello sì. Bisogna però tener presente che non è che le librerie virtuali non si facciano pagare: ci sono dei costi distributivi importanti anche nel mondo degli e-book. Ma c’è anche un altro fatto da tener presente: quando lei esce con una novità, fa l’edizione cartacea e quella digitale. Non va dimenticato che l’editoria elettronica può stare in piedi perché c’è il cartaceo sul quale scaricare una bella fetta di costi”. DDay.it: Alcuni lettori si sono lamentati del fatto che i prezzi sono identici su tutti i marketplace, cosa che non è comune a quasi tutti gli altri beni di consumo. Alcuni editori ci hanno detto che con Amazon, Apple e Kobo che impongono di avere prezzi più bassi, i prezzi sono gioco forza livellati su tutto il mercato. Non ritiene che questo generi un mercato troppo “ingessato”? Polillo: “La regolamentazione è ancora talmente blanda che alcuni interlocutori possono avere delle posizioni così dominanti da poter imporre alcune condizioni…” DDay.it: Le posizioni dominanti non sono mai un peccato di per sé; dipende se se ne fa un abuso… Polillo: “Se il mercato inizia ad essere nelle mani di un interlocutore (il riferimento è ad Amazon, ndr), la situazione diventa troppo condizionata”. DDay.it: Quindi, benvenuta nuova norma, non solo perché è ragionevole, ma anche perché ha permesso di sventare un probabile aumento dei prezzi che sarebbe intervenuto con la sola modifica europea. E questo in un momento in cui l’e-book ha certo bisogno di sostegno e promozione… Polillo: “Certo, sarebbe stato drammatico: se ci fosse stato il passaggio all’IVA 22% (anche della porzione di mercato proveniente dagli store esteri, ndr) su un mercato che già fa fatica a svilupparsi, sarebbe stato necessario incrementare i prezzi”. Marco Polillo è Presidente di AIE (Associazione Italiana Editori, l’associazione confindustriale dell’editoria libraria) ed è anche Presidente di Confindustria Cultura. Polillo, nato a Milano, è stato direttore generale di Rizzoli e Mondadori, e ha fondato la casa editrice Marco Polillo Editore. torna al sommario DDay.it: Senza il provvedimento di Franceschini, quindi, sarebbero aumentati i prezzi, per esempio su Amazon, Apple e Kobo. Ma per le garanzie contrattuali che ha Amazon di avere il prezzo più basso, i prezzi sarebbero aumentati parallelamente anche sugli store italiani. Possiamo quindi dire che, senza che nessuno se ne sia accorto, c’è stata di fatto una riduzione dei prezzi sotto forma di mancato aumento? Polillo: “Certo. Se solo la diminuzione dell’IVA al 4% fosse entrata in vigore con un mese di ritardo, tutti si sarebbero accorti dell’inevitabile aumento e quindi della riduzione successiva. Invece, è stato tutto meno visibile. Ma poi io, per mio sfizio personale, ho fatto controllare le classifiche dei più scaricati e una buona percentuale che mi pare intorno al 50% ha visto prezzi diminuiti rispetto alla fine del 2014. Quindi poi la riduzione c’è stata comunque”. DDay.it: Ci viene da dire che si tratta di una riduzione di prezzo volontaria - e sicuramente benvenuta - da parte degli editori, che magari trae spunto dall’enfasi creata dalla questione IVA, ma che non trova nella riduzione dell’IVA i fondamentali economici… Polillo: “Sono d’accordo. Aggiunga anche un altro fattore che è stato fondamentale nella scelta degli editori: in un mercato che continua a perdere colpi anche nel 2014 il mercato librario ha perso in termini di valore e di copie vendute - da qualche anno gli editori principali hanno scatenato una sorta di offensiva sul settore digitale per vedere se attraverso questa nuova modalità distributiva si riesce a recuperare almeno una parte del fatturato che è andato perduto. Investire oggi sul cartaceo è abbastanza controproducente; bisogna investire sull’e-book e l’abbassamento del prezzo è uno sforzo decisamente significativo in tal senso”. DDay.it: Parliamo dei negozi online italiani: i veri avvantaggiati dalla nuova normativa sono loro. O meglio, dovremmo parlare di “non più svantaggiati”. Polillo: “Certo, ora giocano ad armi pari con gli altri negozi esteri. Dal mio punto di vista si tratta di un’operazione di pulizia del mercato ottima: ora si sa che l’IVA è quella, dovunque l’e-book venga venduto. Fermo restando che poi l’Unione europea può cambiare ancora tutto…” DDay.it: Simmetrie e similitudini con il mondo della musica, che primo tra tutti ha approcciato il fenomeno della digitalizzazione. Ecco, la musica dopo un po’ di anni ha abbandonato il DRM e dopo un altro po’ si è aperta alle formule ad abbonamento. Vede un futuro analogo anche per l’e-book? Polillo: “Secondo me la risposta sta in un’altra domanda: quando verrà accettato il fatto che la pirateria digitale non solo non è una cosa positiva ma è una cosa che va repressa? La protezione con un DRM, che è relativa, serve in qualche modo come deterrente. La similitudine tra la musica e il libro c’è ma in realtà il fruitore di musica e quello di testi sono molto diversi. La musica è una colonna sonora della propria vita, si ascolta mentre si fanno mille cose; il libro non si può certo leggere mentre si fa dell’altro, si finisce per non capire nulla. Una canzone dura circa cinque minuti; un libro, normalmente, ci si mette alcuni giorni a finirlo. La tecnologia è identica ma il contenuto è così diverso, che non vedo come gli e-book possano seguire il percorso già intrapreso dalla musica. Quanto al DRM, ci sono già alcuni editori che sono già convinti che il DRM non serva, un po’ perché poi tanto viene aggirato dagli utenti più capaci e un po’ perché seguono una filosofia di maggior apertura e accesso”. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE MERCATO Secondo Magno, una maggiore diffusione degli e-book può aiutare la crescita della digitalizzazione dei cittadini Alessandro Magno, Gruppo Ed. Mauri Spagnol “Nuova IVA e-book, per noi risparmi solo del 3%” Interessante scambio di opinioni con Alessandro Magno, direttore dell’area digitale del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol “Se non fosse entrata in vigore l’IVA agevolata, i prezzi sarebbero aumentati. Invece abbiamo diminuito molti titoli” di Gianfranco GIARDINA N el giro di pareri che abbiamo compiuto per mettere a punto la nostra ultima inchiesta sul prezzo degli e-book dopo i cambiamenti del regime IVA, abbiamo avuto l’occasione di confrontarci con Alessandro Magno, direttore dell’area digitale del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol, il secondo gruppo editoriale nel mercato ebook in Italia. Un colloquio stimolante, dal quale sono emersi temi di sicuro interesse riguardo al punto di vista di una grande casa editrice, categoria che viene spesso accusata di “frenare” lo sviluppo degli e-book per salvaguardare il mondo cartaceo. Alessandro Magno: “Io vi seguo spesso, ma mi permetto di dire che con l’inchiesta di inizio anno a mio avviso non avete fatto un buon lavoro…” DDAY.it: Alla fine siamo arrivati alla conclusione che, con le due norme IVA entrate in vigore contemporaneamente al 1° gennaio e il mercato che è fatto prevalentemente da Amazon che risiede in Lussemburgo, gli editori non avrebbero potuto ridurre i prezzi… Magno: “Amazon è in Lussemburgo, è vero. Ma anche Apple e Kobo vendono da Lussemburgo. Quindi una quota rilevantissima del mercato, che cambia da editore a editore, ma che si attesta oltre il 75%, pagava il 3% di IVA. Ora tutti questi store vendono in Italia al 4% di IVA e in questi casi non c’è stata una riduzione ma piuttosto un piccolo aumento. Gli store italiani che ora, almeno su questo punto, possono competere ad armi pari con i grandi colossi esteri, hanno invece vissuto la riduzione dell’IVA dal 22 a 4%, ma ovviamente rappresentano meno per gli editori. In sostanza per l’editore si passa da un’imposizione IVA media del 6-7% al 4%: c’è un piccolo risparmio, ma non certo i 18 punti percentuali che qualcuno si aspettava. Ma poi c’è stato anche il problema dei tempi: il provvedimento è andato in Gazzetta Ufficiale il 29 dicembre e il tutto è avvenuto durante le ferie invernali e un periodo di congelamento dei prezzi. Infatti i distributori e anche Amazon hanno chiesto agli editori di non fare cambi prezzi massivi durante le ferie invernali per evitare di avere problemi sulle piattaforme durante il periodo di presidio ridotto dei sistemi, dovuto appunto alle vacanze natalizie. Quello che noi abbiamo fatto è stato fare una riunione prima della pausa natalizia nella quale abbiamo deciso di abbassare comunque i prezzi perché ci rendevamo conto che c’era un’aspettativa da parte degli utenti che non conoscono tutte queste complessità fiscali. Cosa che abbiamo fatto il primo giorno che siamo tornati dalle ferie (e quindi un paio di giorni dopo la pubblicazione dell’inchiesta di DDay.it, ndr)”. torna al sommario DDay.it: Bene, abbiamo capito che le riduzioni di queste ore sono affidate al “buon cuore” degli editori, in modo tale da dare un segnale. Ma non ritiene che sia sbagliato far passare il messaggio politico che sono diminuite le tasse? Qui i cittadini non vedono alcuna diminuzione… Magno: “Innanzitutto, se non ci fosse stato questo provvedimento, i prezzi probabilmente sarebbero aumentati, probabilmente non di tutto l’aumento IVA, ma sarebbero aumentati. Ma poi noi questo risparmio limitato, che come abbiamo detto non è dal 22 a 4% ma è solo di qualche punto percentuale, l’abbiamo riversato comunque sul consumatore. Se le stesse valutazioni sui prezzi le aveste fatte dopo il rientro dalle ferie (dopo il 7 di gennaio, ndr) avreste trovato - almeno per quanto riguarda i nostri titoli - prezzi cambiati. Faccio qualche esempio: L’universo matematico costava 18,99€ e ora costa permanentemente 9,99€; Terremoto di Cussler costava 12,99€ e ora è a 8,99€; Breaking News era a 13,99€ e ora è a 9,99€; Il Dio del deserto, che tra l’altro era anche nei vostri screenshot, era a 12,99€ e ora è a 9,99€, e così via, potrei andare avanti per molto. Peraltro vorrei far notare un’altra cosa che è interessante: se io cerco sullo store di Apple un titolo internazionale, come per esempio Il Baco da seta di Robert Galbraith (lo pseudonimo della Rowling, ndr) trovo l’edizione italiana che facciamo noi che costa 8,99€; l’edizione francese va a 13,99€; quella tedesca costa 15,99€; quella inglese costa 11,99€. Noi abbiamo il prezzo più basso. Una situazione simile con prezzi leggermente diversi anche su Amazon. Quindi se noi facciamo un confronto con altri mercati, si vede come gli editori italiani abbiano già prezzi più bassi. Il prezzo dell’e-book lo decide l’editore ed è uguale su tutti gli store. Ma proprio per questo è suscettibile a costanti cambiamenti: noi continuiamo a fare promozioni su vari titoli con durate limitate nel tempo. Titoli che sono a 9,99€ per un giorno specifico vengono venduti a 2,99 o a 1,99€. Questo fa sì che il prezzo medio del transato non sia la media dei prezzi di copertina ma nel 2014 sia stato per noi di 5,74 euro, contro una media per i libri cartacei di oltre 13 euro. Quindi siamo sotto la metà”. DDay.it: Bene. Ma queste riduzioni, come quelle poste in essere da altri editori, sono correlate al vostro “buon cuore”, non solo legate alla riduzione di IVA, corretto? Magno: “Naturalmente non so dire come abbiano ragionato gli altri editori. Noi abbiamo fatto una riduzione che ha riguardato molti titoli, tra cui i nostri top 100. E l’abbiamo decisa prima della pausa natalizia. Si tratta di una scommessa, che punta a un aumento delle copie vendute sufficiente per coprire il taglio effettuato. Quello dell’e-book è un mercato piccolo, che ha bisogno di crescere; come anche la digitalizzazione dei cittadini ha bisogno di crescere e una maggiore diffusione degli e-book può essere uno strumento importante da questo punto di vista”. DDay.it: Il fatto che i prezzi di un singolo libro siano assolutamente allineati su tutti gli store non pensa che possa essere lesivo in qualche modo della concorrenza? In fondo se voglio leggere un tal libro non posso neppure contare sul fatto che gli store si facciano un po’ di concorrenza… Magno: “In Italia prevale largamente il modello “agency” che prevede che l’editore decida il prezzo e lo store segue a pagina 18 n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE MERCATO Intervista a Alessandro Magno (Mauri Spagnol) segue Da pagina 17 applica quel prezzo prelevando la propria commissione. Che è diverso dal modello “reseller” per cui l’editore vende un titolo allo store a un prezzo “al’ingrosso” e lo store poi determina il prezzo di vendita finale”. DDay.it: Ma c’è che dice che non ci sia scampo, perché Amazon, Apple e Kobo pretendono contrattualmente il prezzo più basso e questo di fatto crea un perfetto livellamento… Magno: “Mah, poi ogni editore può avere la propria sensibilità, ma io sono ben contento di decidere autonomamente il mio prezzo e di non farlo decidere a terzi. Questo, come editore, mi dà anche una possibilità di fare delle promozioni che penso, programmo e decido io. Poi ovviamente sta al negozio il come valorizzare al meglio la mia promozione, se la ritiene forte”. DDay.it: Quindi gli store non possono usare la leva prezzo. Ma questo fa anche sì che fino al 2014 per un editore fosse molto più conveniente vendere attraverso un sito estero, che non crea posti di lavoro in Italia e non paga tasse in Italia, che attraverso uno store nostrano… Magno: “È vero. Tanto che credo che il nuovo regime IVA sia una cosa molto positiva più che per gli editori proprio per gli store italiani, che così non scompaiono. In fondo, se compro un libro cartaceo su Amazon, questo presumibilmente viene dal centro logistico di Piacenza; come editore parlo prevalentemente con persone che vivono e operano in Italia. Eppure Amazon risiede fiscalmente in Lussemburgo. Questo non riguarda solo Amazon, ma il succo è che già pagano tasse non Italia e in misura più bassa; prima pagavano anche un’IVA avvantaggiata… Ora la situazione rispetto agli store italiani non è ancora uguale (resta il tema della tassazione agevolata sui redditi d’impresa, ndr) ma almeno è un po’ più equilibrata”. DDay.it: Ma per ridurre ancora un po’ i prezzi non varrebbe la pena eliminare anche il DRM, che ha un costo? Adobe non chiede 0,60 € a copia per il proprio DRM? Magno: “Non è proprio così. Per esempio Amazon ha il suo DRM, tanto quanto Apple, creando purtroppo dei sistemi chiusi. In questi casi, però, non sosteniamo alcun costo aggiuntivo per il DRM. Di fatto il DRM è un costo solo per chi applica la soluzione di Adobe… Noi, con Chiarelettere in questi anni abbiamo usato il social DRM. Ma anche se non mettessimo il DRM su tutti i titoli, alla fine lo metterebbero le piattaforme che ho citato, che inseriscono il loro. Non è quindi agli editori che va posta questa domanda. Un auspicio più da utente che da editore è che, se ho comprato degli e-book sulle diverse piattaforme, poi possa accedere ai miei titoli da qualsiasi marketplace o che almeno ci sia un’interoperabilità. Una sorta di ‘number portability’ per gli e- book: anche se cambio ‘gestore’, conservo i miei libri. Oggi se un utente Amazon, con una discreta storia di acquisti, vuole cambiare piattaforma e passare a Apple o a Kobo, perde di fatto i propri libri, che è una cosa assurda. Come anche il fatto che degli e-book non si acquista la proprietà ma una licenza d’uso. Noi stessi editori siamo licenziatari e non proprietari dei libri che pubblichiamo. Ma queste sono cose che non dipendono tanto dagli editori ma dal legislatore, magari quello comunitario, e dalla delicata regolamentazione del diritto d’autore, che è alla base dell’industria editoriale”. sa rappresentare un aiuto di Stato nei confronti degli editori o dei rivenditori italiani: lo stabiliranno gli enti preposti a livello europeo dato che si tratta di una materia molto complessa e con conseguenze decisamente importanti anche su altri “servizi digitali” di carattere editoriale, come la vendita di quotidiani e periodici in formato digitale. Noi troviamo più scandaloso, rispetto alla condotta del Governo italiano e alle eventuali “infrazioni”, che l’Unione europea possa aver tollerato per anni la convivenza di regimi IVA così clamorosamente diversi come quello lussemburghese e quello italiano, con le storture conseguenti. Rendiamo merito agli editori (a molti di essi), quindi, di essere comunque intervenuti con una serie di riduzioni volontarie di prezzo, in alcuni casi anche sostanziose: operazioni che dovrebbero aiutare il mercato dell’e-book a decollare. Si tratta di riduzioni non dovute, non finanziabili con la riduzione di IVA, che come abbiamo visto ha spostato molto poco, e che puntano su speranze di aumento delle copie vendute per trovare una giustificazione economica. Queste riduzioni sono un vero aiuto alla diffusione della cultura digitale in Italia, ma il Ministro Franceschini a nostro avviso sbaglia se le ritiene una diretta conseguenza del suo provvedimento. Un’ultima riflessione: non ce ne vogliano gli editori, però, tocca registrare come tutto il sistema editoriale abbia fatto ben poco negli ultimi anni per denunciare un sistema di elusione fiscale basato sui marketplace lussemburghesi e sulla loro IVA agevolata, a cui ha in- direttamente partecipato condividendone i vantaggi. Avere gli e-book assoggettati al solo 3% per la stragrande maggioranza delle transazioni verso utenti italiani evidentemente ha fatto comodo. E questo malgrado Confindustria Cultura sia stata in prima fila negli ultimi mesi nello stigmatizzare il comportamento delle cosiddette multinazionali di Internet, accusate di non pagare le tasse e non dare lavoro in Italia. Ci sia permesso di notare che, quando ad averne un tornaconto è anche l’industria della cultura, su certe “finezze” si è chiuso un occhio, forse due. Sentire oggi gli editori proclamare con forza che #unlibroèunlibro, principio sacrosanto, fa quindi un po’ sorridere: a pensare che tengano più ai benefici “lussemburghesi” che ai sacri principi, forse si fa peccato, ma probabilmente ci si azzecca. MERCATO Inchiesta e-book, IVA al 4% segue Da pagina 14 Viene allora da chiedersi: veramente i consumatori non sono danneggiati da questi accordi commerciali che livellano i prezzi su tutti i negozi? Conclusioni e commenti: la riduzione IVA come paracadute per l’editoria e gli store italiani Per i motivi largamente spiegati in questo articolo, la riduzione dell’IVA decisa dal Governo è arrivata praticamente come un paracadute dell’ultim’ora per salvare il comparto editoriale dalla deprecabile necessità di alzare i prezzi degli e-book su tutti gli store proprio nel momento della loro massima diffusione a causa della nuova normativa europea. E non vogliamo dire che sia stato un male, ma che i due fattori – norma europea e norma italiana – ci appaiono, al di là delle dichiarazioni, strettamente connessi. Volendo leggerla così, la riduzione orizzontale dei prezzi degli e-book c’è stata effettivamente, anche se sotto forma di mancato aumento. Un mancato aumento che – va detto chiaramente – è a spese dell’erario (cioè di tutti i cittadini, anche quelli che non comprano e-book), dato che lo Stato, dopo questo provvedimento, di certo incasserà meno di quanto non avrebbe ricavato di IVA con la sola entrata in vigore della normativa comunitaria. Non vogliamo né possiamo esprimerci sulla questione – sollevata da più parti - se questo pos- torna al sommario n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE MERCATO Oscillazioni vigorose del titolo in borsa dopo che BlackBerry ha negato l’acquisto Samsung e BlackBerry, alleanza più forte Dopo la smentita di BlackBerry, anche Samsung si esprime ufficialmente sulla questione L’azienda coreana non vuole comprare BlackBerry ma stringere un’alleanza più forte L di Vittorio Romano BARASSI a questione Samsung - BlackBerry è giunta a un punto fermo: i rumor degli scorsi giorni, che vedevano Samsung sul punto di acquistare l’azienda canadese, sono stati prontamente smentiti da BlackBerry, ma questo non ha impedito al titolo dell’azienda di fluttuare in modo decisamente vigoroso. Samsung, dal canto suo, ha atteso qualche giorno extra prima di esprimersi: qualche giorno fa, il coCEO di Samsung Mobile J.K. Shin, non solo ha ufficialmente smentito le voci relative all’acquisto, ma ha confermato i “dialoghi” tra le due aziende rivolti a rafforzare la partnership già in essere tra le due. L’intento comune di Samsung e di BlackBerry è quello di rafforzare sempre di più il legame presente tra di loro; i progetti BES 12 e Knox, entram- Nintendo, con gli Amiibo le finanze vanno a gonfie vele A qualche mese dalla presentazione degli Amiibo, Nintendo ha di che fregarsi le mani guardando al futuro: 2.6 milioni di modellini venduti, circa il doppio delle copie fisiche e digitali di Super Smash Bros., il grande successo commerciale di Natale. “Wii U ha vissuto il suo anno più importante, grazie alla lineup di titoli largamente attesi dal pubblico ed all’introduzione della piattaforma Amiibo”, così il vice presidente Sales & Marketing di Nintendo of America Scott Meofitt, che ricorda le uscite di Splatoon, The Legend of Zelda: Majora’s Mask 3D e l’arrivo del Nintendo 3DS XL negli Stati Uniti il 13 febbraio, pronto a cavalcare l’onda del successo di dicembre e che Nintendo spera di portare avanti nel 2015 anche con Yoshi’s Wolly World, Kirby and the Rainbow Curse, Code Name: S.T.E.A.M e soprattutto Mario Party 10. torna al sommario MERCATO UE indaga su accordi tra Amazon e Lussemburgo La Commissione Europea ha avviato un’indagine preliminare nei confronti dell’operato delle autorità lussemburghesi per verificare se il trattamento riservato al colosso del web Amazon l’abbia favorito eccessivamente nei confronti dei competitor. bi pensati per la sicurezza aziendale, stanno andando alla grande e solo continuando a lavorare insieme si potrà fare ancora meglio e con reciproca soddisfazione. Le dichiarazioni di Shin, però, non sono riuscite a convincere proprio tutti: in molti, infatti, credono ancora che Samsung sia realmente interessata a BlackBerry, non tanto per la sua attuale presenza sul mercato quanto più per il corposo pacchetto di proprietà intellettuali della stessa azienda canadese. Un portfolio di oltre 44mila brevetti può, infatti, fare gola a molti. Stiamo a vedere quello che succederà nei prossimi mesi... Amazon ha, infatti, stipulato un accordo col governo del Granducato nel 2003, e la Commissione Europea vuole verificare se il metodo usato da Amazon per il pagamento delle tasse è in regola coi dettami comunitari. Amazon dovrà inoltre spiegare il meccanismo che regola i pagamenti delle royalty tra una sussidiaria e l’altra del stesso gruppo, che hanno come effetto la riduzione dell’imponibile per una di esse. MERCATO Ammontano a oltre 5,8 milioni di dollari gli incassi del gioco di Us2Games Monument Valley, 81% degli incassi da iOS Us2Games rivela i numeri del successo del gioco per smartphone Monument Valley A dimostrazione che i soldi veri, ancora oggi, si fanno soprattutto su Apple Store L di Paolo CENTOFANTI a softwarehouse Us2Games ha rilasciato una dettagliata infografica in cui illustra i numeri del successo del gioco per smartphone e tablet Monument Valley, che ha totalizzato incassi per 5,8 milioni di dollari. Il dato più interessante è il dettaglio per piattaforma degli incassi. Nonostante Android domini saldamente il mercato globale degli smartphone, l’81,7% dei proventi del gioco sono arrivati dall’App Store di Apple. Fa riflettere anche il 4,3% degli incassi arrivati dalla piattaforma di Amazon, che rispetto ad Android ha una percentuale di penetrazione decisamente inferiore. Certo non si può prendere un unico caso a riferimento dell’intero mercato, ma questa è una tendenza che va avanti da diversi anni e che è già emersa più volte e spiega anche perché molti sviluppatori, nonostante la maggiore diffusione del sistema operativo di Google, che può contare su una quota di mercato ormai superiore all’80%, continuino a preferire distribuire le proprie creazioni prima su App Store e solo in seguito su Android. Nel 2014 il Play Store ha visto una significativa crescita negli introiti e secondo gli analisti per il 2017 raggiungerà un volume di affari di 5 miliardi di dollari all’anno, ma l’App Store di Apple ha raggiunto quota 10 miliardi di dollari già dal 2013. Ma come invertire la tendenza? È chiaro che nella quota di mercato dell’80% di Android ci siano dentro tantissimi dispositivi di fascia entry level in mano a utenti che non hanno alcuna intenzione di aggiungere la carta di credito al proprio profilo Google, ma ci sono anche tanti smartphone di fascia medio/alta del tutto paragonabili come profilo a quelli di Apple. E allora è possibile che su Play Store funzioni solo il modello freemium? Magari la risposta è anche in quei 10 milioni di dispositivi unici su cui è stato installato il gioco Monument Valley, numero che tiene conto anche delle copie pirata, ma Us2Games in questo caso non ha rilasciato lo spaccato di questa cifra. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE TV E VIDEO Dal recente CES di Las Vegas sono emerse quelle che saranno le parole d’ordine per quanto riguarda i TV nel 2015 Comprare un TV? Ecco tutte le novità da sapere Ultra HD, Android TV, HDR, Wide Gamut: ecco cosa bisogna sapere per scegliere se acquistare un nuovo TV e come L’ di Paolo CENTOFANTI edizione 2015 del CES di Las vegas non è stata particolarmente brillante, anche perché i produttori, specie per quanto riguarda le nuove gamme di televisori, non è che abbiano rilasciato molti dettagli. Nonostante ciò, è già possibile farsi un’idea di quali saranno le parole d’ordine di quest’anno e le caratteristiche su cui punteranno maggiormente i vari marchi per spingere i nuovi modelli. E poiché di confusione ce n’è già abbastanza nel mondo dell’elettronica, cerchiamo di fare una rassegna di quali sono queste novità e soprattutto di valutare l’impatto che possono avere sulla scelta di un nuovo televisore. Ultra HD: da novità a normalità Dopo la “spinta” del 2014, il 4K o Ultra HD a seconda di come preferite chiamarlo, quest’anno passerà con ogni probabilità da essere un’esclusiva dei prodotti di fascia alta alla norma o quasi. Tutti gli annunci del CES hanno riguardato unicamente modelli Ultra HD con solo brevi accenni al full HD e d’altra parte ora che le linee di produzione degli LCD si sono assestate sul nuovo formato è difficile pensare che possa essere altrimenti. Per gli smemorati, o comunque i meno esperti, ricordiamo che Ultra HD non è una nuova tecnologia, ma un formato che indica schermi con risoluzione di 3840x2160 pixel, vale a dire quattro volte il full HD, che ha risoluzione di 1920x1080 pixel. La dicitura 4K deriva dal cinema digitale dove l’immagine ha una risoluzione di 4096x2160 pixel, appunto circa 4000 pixel di base, ma la dicitura corretta in ambito consumer è proprio Ultra HD, che è anche un vero e proprio standard definito dall’ITU. Già che ci siamo, detto standard prevede già il passaggio successivo, l’8K: 7680x4320 pixel, quattro volte la definizione del 4K. Arrivano le Android TV Sony ha annunciato che l’intera gamma di TV del 2015 sarà basata su Android TV per quanto riguarda le funzionalità smart, mentre Philips/TP Vision parla di circa un 80% dei nuovi modelli, essenzialmente tutti quelli con funzione di connettività di rete. Ri- torna al sommario spetto al fallito esperimento di Google TV, questa nuova piattaforma avrà il Google Play Store e potremo aspettarci un gran numero di app grazie alle nuove API unificate di Android che rendono più agevole creare versioni ottimizzate anche per i grandi schermi dei televisori. Non tutte le implementazioni saranno uguali. Sony ad esempio ha già fatto sapere che rinuncerà all’MHP, mentre per Philips non ci saranno problemi, ma in entrambi i casi si avrà il vantaggio dell’integrazione con l’ecosistema di Google e il supporto per nuove funzionalità come Google Cast per lo streaming da smartphone e tablet. Sull’altro lato della barricata ci sono i coreani Samsung e LG, rispettivamente con Tizen e Web OS, più Panasonic con Firefox OS. La buona notizia è che tutte queste piattaforme fanno ampio uso di HTML 5 per cui non è detto che si possa arrivare a una maggiore uniformità almeno per quanto riguarda le applicazioni di terze parti. La novità 2015 è l’HDR L’HDR (High Dynamic Range ) è stato uno dei trend più forti ad emergere dal CES 2015 anche se con ogni probabilità non diventerà una caratteristica irrinunciabile per almeno un altro anno. Come abbiamo avuto già modo di spiegare si tratta di una nuova caratteristica video che dovrà essere adottata sia a livello di produzione dei contenuti che di tecnologia di display. Si tratta di un’estensione della gamma dinamica del segnale video rispetto agli standard attuali che sfrutta la maggiore luminosità offerta dai moderni televisori per riprodurre immagini più ricche a livello di sfumature soprattutto nelle scene estremamente contrastate. Il risultato dovrebbero essere immagini più vicine alla realtà. Dolby Vision punta a offrire un range dinamico che va da 0 a 4000 cd/m2 di luminosità. Come riferimento basti pensare che l’attuale monitor ideale definito per la produzione video ha una luminosità di picco di 100 cd/m2. Quello che c’è da sapere è che al momento l’industria deve ancora definire uno standard comune per l’HDR, tanto che è una delle missioni della neonata UHD Alliance. Anche la Blu-ray Disc Association dovrebbe definire delle specifiche per un nuovo formato di Blu-ray Disc con supporto per l’HDR entro la prossima estate. In ogni caso ciò vuol dire che prima di vedere dei contenuti compatibili ci vorrà ancora molto tempo e i primi arriveranno con ogni probabilità tramite Netflix, che comunque in Italia non c’è. Anche senza contenuti, una corsa verso l’HDR un effetto positivo potrebbe comunque averlo: il ritorno del full LED. Wide Gamut: è la volta buona? Questo è uno degli argomenti che può generare più confusione in assoluto. Di andare oltre lo spazio colore definito dallo standard Rec.709, che al di là della nomenclatura è quello utilizzato a oggi nei principali formati consumer in alta definizione, se ne parla da un’eternità. Tutti i produttori di TV propagandano una gamma di colori superiore, senza però andare segue a pagina 21 n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE TV E VIDEO Comprare un TV nel 2015, tutte le novità segue Da pagina 20 nel dettaglio di cosa esattamente questo significhi. In breve: i display, indipendentemente dalla tecnologia su cui sono basati, per riprodurre un’immagine a colori utilizzano una tripletta di pixel RGB (rosso, verde e blu). La saturazione di questi primari determina la palette di tonalità riproducibili: più sono saturi, più è ampio lo spazio colore. Lo standard attuale per l’HD è basato sui primari dei televisori CRT, ma i moderni display sono in grado di riprodurre uno spazio colore assai più ampio, da cui l’esigenza di un nuovo formato che possa sfruttare questa possibilità (un primo tentativo era stato effettuato con l’xvYCC o x.v.Color, ma non ha mai preso piede). Con la definizione dell’Ultra HD è stato standardizzato un nuovo spazio colore chiamato Rec.2020 che prevede segnali a 10 o persino 12 bit, contro gli 8 bit attualmente utilizzati nella TV digitale, nel Blu-ray Disc e nella stragrande dei video su web. Scopo di tecnologie come i quantum dot è quello di avvicinarsi a questo spazio colore, ma non esistono ancora display in grado di riprodurre il 100% dello spazio Rec.2020, ma soprattutto non esistono contenuti in questo formato! Per il momento, da quanto visto al CES, i produttori puntano a coprire almeno torna al sommario lo spazio colore DCI P3, quello utilizzato nel cinema digitale, più ampio del Rec.709 fin qui utilizzato, ma che ha una copertura di solo circa il 72% del Rec.2020. In pratica: al momento un gamut più ampio non serve a nulla se non a “pompare” oltremodo i colori degli attuali contenuti. Se arriveranno contenuti masterizzati per il Rec.2020, come UHD Alliance e BDA sembrerebbero voler fare, allora avere un TV compatibile farà comodo. Da notare che l’HDMI 2.0 già supporta lo standard Rec.2020. Da 8 a 10 bit Tra HDR e un più ampio spazio colore gli 8 classici bit fin qui utilizzati nel mondo del video consumer non bastano più. Per 8 bit si intende qui il numero di bit utilizzati per codificare ciascuna componente cromatica del segnale video. 8 bit corrispondo a 256 livelli, che attualmente vengono spalmati in modo non lineare su un range dinamico che va da 0 a 100 cd/m2. Con l’HDR si parla anche di 4000 cd/m2 per cui dovrebbe essere evidente che cominciano ad essere un po’ pochini. In più, come abbiamo visto, lo spazio colore Rec.2020 vuole almeno 10 bit se non 12. Per questo motivo si comincia a parlare di pannelli LCD a 10 bit (vedi Samsung), che ancora una volta serviranno soprattutto se arriveranno contenuti masterizzati in modo opportuno. Qui bisognerà distinguere tra TV con pannello nativo a 10 bit, cioè effettivamente capaci di riprodurre 1024 livelli e oltre per componente cromatica (un miliardo di colori), e quelli invece con elaborazione del segnale video a 10 bit ma pannello a 8 bit. L’HDMI già a partire dalla versione 1.3 supporta il cosiddetto deep color, appunto segnali video con codifica a 10, 12 e persino 16 bit per componente. Nell’attesa dei contenuti, sia- mo sicuri che saremo bombardati dai più disparati algoritmi di rimasterizzazione, cosa che già avveniva prima, ma più in sordina. L’anno dell’OLED? L’anno scorso il tormentone è stato l’improprio paragone 4K vs. OLED che metteva a confronto cose diverse, un formato di risoluzione con una tecnologia di display. Quest’anno la gamma di OLED di LG sarà principalmente Ultra HD per cui il dubbio si spera verrà riproposto nei termini corretti. L’OLED rimane un tema caldo perché è la tecnologia più promettente per gli appassionati, per il semplice fatto che permette di avere il tanto sospirato nero perfetto. Non è solo “un pallino da fissati”: la capacità di riprodurre il nero come si deve, significa ottenere un rapporto di contrasto elevatissimo, caratteristica a cui i nostri occhi, insieme alla risoluzione, sono sensibilissimi e fa scattare l’effetto wow! Anche nel 2015 OLED farà rima solo con LG, per cui se si vorrà un TV di questo tipo la scelta sarà obbligata. Non abbiamo ancora i dettagli completi della gamma LG, ma c’è da credere che non siano in grado di offrire valori di luminosità compatibili con quanto attualmente proposto per l’HDR (e i maligni dicono che Samsung voglia spingere proprio su questo per “silurare” i propri vicini di casa con il discorso dell’UHD Alliance). C’è da dire che proprio in virtù del già citato nero, i TV OLED potrebbero comunque avere abbastanza range dinamico per valorizzare contenuti masterizzati in HDR, seppure con luminosità più bassa, ma siamo nel campo della pura speculazione in questo momento, visto che, lo ricordiamo, non c’è ancora niente di concreto su cui ragionare. Un’ottima notizia è però che l’OLED quest’anno sarà finalmente anche piatto. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE SOCIAL MEDIA Attivare una linea telefonica dovrebbe essere un gioco da ragazzi; ma non se stiamo parlando dell’Italia... L’Italia della banda larga, una triste situazione Tra burocrazia e inefficienza, possono volerci anche due mesi e mezzo per una linea telefonica. Ecco la nostra esperienza di V. R. BARASSI are un trasloco non è mai semplice; scatoloni, buste, valigie e tanto altro da spostare e risistemare sono un incubo, ma una volta messo tutto in ordine ci si può finalmente rilassare. Tra le cose da spostare, però, spesso rientra anche la connessione Internet: siamo talmente legati al web che rientra insieme a luce e gas nei primi allacciamenti da fare. Non sempre però è immediato, anzi: se qualcosa va storto possono volerci anche mesi. Ed è proprio quello che ha provato, a sue spese, un nostro collaboratore, sperimentando un po’ quello che devono affrontare gli italiani quando cambiano linea, si spostano o attivano un nuovo abbonamento (senza entrare nel ginepraio delle disdette che meriterebbe un’inchiesta a parte). Le statistiche dicono che gli italiani non sono un popolo di “navigatori”, ma spesso anche chi vuole navigare si trova in cattive acque. Burocrazia, infrastrutture, tagli di personale: nei nostri 80 giorni di attesa c’è un po’ di tutto questo. linea fosse “in corso”. Dopo un altro paio di giorni spunta il “classico” indicatore della “Verifica dati”, fase durante la quale il cliente attende la chiamata di un operatore che si preoccupa di confermare i dati di colui che sottoscrive l’abbonamento. Attesa appunto, perché da quel momento è solo una lunga attesa. dietro diversi “mi dispiace” e altre frasi di circostanza; chiediamo allora cosa possiamo fare per accelerare questo iter e la risposta è secca: “voi non potete fare nulla”. Sono passati già 25 giorni e della linea nessuna traccia; anzi, la linea c’è ma Fastweb non lo sa (se avessero fatto due-più-due l’attivazione sarebbe stata molto più rapida). La situazione inizia a mettersi male e decidiamo di insistere con il servizio clienti. Facciamo altre 6 segnalazioni e nessuno ci ricontatta: solo dopo la settima arriva una chiamata da un operatore (anch’egli di origini palesemente non italiane) che ci ribadisce di come non ci sono risorse disponibili nella nostra zona. L’operatore però ci fa una proposta: aspettare ancora oppure procedere all’attivazione di una linea dati VoIP. Scegliamo di virare sulla linea dati, rassicurati sul fatto che entro 10 giorni tutti i servizi sarebbero stati attivi. Avevate Fastweb? Ok, allora anche noi scegliamo Fastweb Servizio clienti “ufficiale”? Totalmente inefficiente Verifica dati ok, aspettando le verifiche tecniche… Il 18 ottobre è il giorno della terza chiamata da parte di Fastweb; l’operatore aveva un italiano ancor più stentato ma fa quello che deve fare: conferma i nostri dati e ci assicura che entro 3-4 giorni sarebbe arrivato il tecnico della “società dai telefoni” a fare La nostra inchiesta ricalca una situazione che potrebbe essere vissuta ogni mese da centinaia di famiglie italiane: cambio di casa, scelta della connettività adatta, vaglio delle offerte. Se la casa è nuova si deve navigare un po’ a vista, ma nel nostro caso l’abitazione era già connessa alla rete con Fastweb. Non potrebbe andare meglio: i vecchi inquilini disdicono, noi facciamo un altro abbonamento e in pochi giorni arriva portante, modem e siamo di nuovo in pista più veloci di prima. Niente di più sbagliato: la linea arriverà solo il 5 dicembre. Ma andiamo con ordine. A metà settembre (precisamente domenica 14) scegliamo di sfruttare l’offerta Fastweb Jet proposta in quei giorni a 20€ al mese; completiamo le varie fasi online (assicurandoci di essere “raggiunti da rete Fastweb” e non solo di “essere raggiunti dalla linea ADSL”, credendo che ci fosse differenza tra le due cose), stampiamo il contratto e inviamo tutto per posta - lunedì 15 - a Fastweb. La raccomandata arriva in due giorni e sulla MyFastPage appare subito la dicitura che ci avvisava come l’attivazione della In attesa della chiamata per la verifica dei dati colleghiamo il vecchio modem router alla presa telefonica e scopriamo subito che c’è la portante e che tutto funziona: aprendo il browser veniamo subito reindirizzati su “registrazione.fastweb.it”, pagina nella quale c’è da inserire il codice fiscale al fine di “far partire” il contratto e “sbloccare” la linea. Inseriamo il codice fiscale e niente; il nominativo non è ancora nei sistemi e la conferma arriva controllando sulla MyFastPage: lo status è ancora su “Verifica dati”. A questo punto sono passati quindici giorni dalla sottoscrizione del contratto; Fastweb garantisce ai clienti l’attivazione di tutti i servizi in 35 giorni ma, annusando problemi, decidiamo di iniziare a sentire il servizio clienti. Il numero di telefono 192193 è a pagamento e quindi seguiamo la procedura online di Fastweb che permette ai clienti di farsi richiamare da Fastweb stessa entro 48 ore dalla compilazione del form online; nei due giorni successivi non riceviamo nessuna chiamata e quindi riproviamo a compilare il form. Ancora niente; passano altre 48 ore e il telefono ancora non squilla. Seguono una terza, una quarta e una quinta richiesta di supporto e solo dopo 10 giorni dalla prima segnalazione arriva la prima chiamata. A parlare è una voce femminile di origini chiaramente non italiane che ci dice: “Nella vostra zona non abbiamo risorse disponibili; al momento possiamo solo aspettare 3-4 giorni e vedere se si libera qualcosa”. Proviamo a spiegare di essere già raggiunti dalla loro linea essendo una casa già servita da Fastweb ma dall’altra parte del telefono l’operatrice fa fatica a comprendere le nostre parole e si nasconde F le verifiche dovute. In questo breve lasso di tempo abbiamo modo di provare anche alcune linee ADSL dei vicini, come una Alice 7 mega: ma non ci mettiamo molto a capire come ci fosse qualcosa che non andasse. Nelle ore di punta la connessione aveva una qualità scadente, ben al di sotto dei 2 mega e qualcosa che dovrebbero rappresentare il minimo garantito per legge. Una situazione questa che interessa una intera zona: la centrale di riferimento è “satura” e che tutti in zona da tempo hanno lo stesso problema, ovvero la sera non si naviga quasi più. Passano altri tre-quattro giorni e del “tecnico della società dei telefoni” (Telecom) nessuna traccia; decidiamo così di cambiare strategia e ci affidiamo ai canali social di Fastweb sperando in qualcosa di meglio. Richiedendo assistenza tramite il Social Care di Fastweb (via Facebook o Twitter) qualcosa segue a pagina 23 torna al sommario n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE SOCIAL MEDIA stweb confermate subito dopo da altre parole: “ci sono stati dei tagli incredibili e a farne le spese sono i clienti; il nostro servizio assistenza qualche anno fa era il migliore ma ora i call center sono ‘al risparmio’ e per parlare con qualcuno davvero capace bisogna essere molto fortunati”, “se ha qualche problema lasci stare MyFastPage e 192193, chiami noi (ndr, il Social Care) e avrà maggiori possibilità di essere fortunato”. Nei minuti successivi di conversazione il succo della questione non cambia: l’operatore continua a manifestare il suo dissenso e alle domande sulla situazione ci risponde che il nostro non è l’unico caso. La colpa di tutto è imputabile alla scarsa comunicazione tra le varie divisioni e nel nostro caso ci sono stati troppi errori proprio per questo motivo. L’Italia della banda larga segue Da pagina 22 cambia: ci richiamano operatori italiani che sembrano capirne molto di più rispetto ai colleghi dei canali tradizionali. Detto questo la situazione non migliora; nonostante diverse chiamate ricevute e decine di segnalazioni effettuate, il tecnico Telecom arriva solo il 3 novembre. Verifiche tecniche ok, qualità della linea imbarazzante… Il controllo dell’impianto telefonico avviene senza troppi problemi e in un quarto d’ora circa il tecnico ci conferma che tutto è ok e che in serata Fastweb ci avrebbe richiamato per ulteriori informazioni. Ovviamente nessuno ci richiama e noi continuiamo con altre decine di segnalazioni fino a quando, il 6 novembre, veniamo richiamati dal social care di Fastweb il quale ci conferma l’avvenuta spedizione del modem-router tramite corriere e la contestuale attivazione della linea ADSL (il tutto confermato anche dalla MyFastPage). Il modem arriva il giorno dopo, 7 novembre, e ovviamente proviamo subito a collegarlo alla presa telefonica seguendo le semplici istruzioni di Fastweb. Risultato? Nessuna linea. Il Technicolor TG788vn v2 inviatoci da Fastweb agganciava una portante da 17.961 kbps in download (1.105 kbps in upload) ma di accesso ad internet nemmeno a parlarne. Facciamo dunque partire la nuova ondata di segnalazioni ma nessuno si degna di richiamarci fino a lunedì 10 novembre quando finalmente riusciamo a connetterci alla rete (passando per registrazione.fastweb.it). Secondo l’addetto del call center che ci richiama la linea era attiva già dal 6 e che probabilmente Internet non andava poiché avevamo sbagliato a collegare qualcosa. Non gli spieghiamo che facciamo questo quasi tutti i giorni e sorvoliamo. Ora abbiamo la linea e sembra anche di buona qualità quindi l’odissea pare finita. are, perché la “luna di miele” dura poco: il 10 e l’11 di novembre la linea va alla grande (dai vari speedtest risultavano velocità ben superiori ai 10 mbps) ma dal 12 in poi…il disastro. Dei 20 mega pubblicizzati, la mattina riusciamo a navigare a circa 1,5-2 mbps mentre dalle 13 in poi è un successo se superiamo gli 0,5 mbps, con picchi (in negativo ovviamente) di 0,02 mbps. Due mesi di attesa per avere una linea ADSL che va più lenta di una a 56k. Colpa di Telecom e dei tagli al personale di Fastweb Riparte il valzer delle segnalazioni tramite Social Care e dopo un paio di giorni veniamo contattati dall’assistenza Fastweb a cui spieghiamo il problema; ci rassicurano ma in due-tre giorni non succede niente, anzi la linea va sempre peggio. Continuiamo a segnalare l’anomalia via Social Care e veniamo ri-contattati dall’ennesimo operatore Fastweb che ci “abilita” lo speed-test ufficiale della società chie- dendoci di effettuare diverse misurazioni nell’arco di tutta la giornata. Dopo un paio di giorni di test dai risultati disastrosi, lo speed-test viene disabilitato e nonostante le numerose segnalazioni nessuno ci contatta per più di una settimana. Fastweb si fa risentire solo dopo un pomeriggio di assenza totale della linea: guasto tecnico alla centrale e palla che passa a Telecom la quale in un pomeriggio sistema tutto (nel senso che tutto torna come prima, la linea c’è la ma velocità è imbarazzante). Dopo altri due-tre giorni di segnalazioni riceviamo un’altra telefonata e per la prima volta in oltre due mesi parliamo con un operatore che nonostante le pressioni ci spiega effettivamente come stanno le cose. Scopriamo che la società dei telefoni (Telecom) ha fatto overbooking e nella zona c’è una situazione critica; nonostante siamo su piastra ADSL 2+ gli speed-test sono abbondantemente sotto la banda minima garantita e il fatto di essere in Wholesale non ci aiuta affatto. Alla domanda “ma voi cosa avete fatto in tutto questo tempo?” la risposta fu impietosa: “Niente, vedo decine di richieste di supporto ma nessuno dei miei colleghi ha mai aperto una vera segnalazione nei confronti della società dei telefoni. C’è solo una segnalazione per guasto tecnico, poi risolto”. Chiediamo allora come mai abbiamo avuto due giorni di linea ottima prima del decadimento e scopriamo che, a detta dell’operatore, nei primi due giorni Fastweb effettua dei test per “fissare” i parametri della linea e trovare un equilibrio tra velocità e stabilità, test che evidentemente erano stati effettuati ma a cui non seguirono poi in centrale giuste operazioni di “calibrazione”. L’operatore ci consiglia la nuova strada da seguire: lui avrebbe finalmente aperto una segnalazione nei confronti di Telecom ma noi avremmo dovuto fare il test Ne.Me.Sys dell’AGCOM inviandolo via fax al numero di telefono che lo stesso operatore ci ha suggerito. Senza quel fax la segnalazione sarebbe stata troppo debole per essere presa in considerazione e solo arrivando il fax le cose si sarebbero potute risolvere con un vero intervento congiunto. Chiediamo il perché di tutta questa inefficienza e la risposta è semplice: “Qui è tutta una questione di soldi, Telecom ha tanti clienti e per l’assistenza viene privilegiato chi paga meglio”. Una chiara lamentela nei confronti delle recenti politiche di Fa- Test Ne.Me.Sys, che confusione! A questo punto non ci resta che fare il test: andiamo direttamente sul sito dell’AGCOM, ci registriamo inserendo tutti i dati personali e i dettagli sulla linea e scarichiamo il software per effettuare le misurazioni sulla linea. Il software dell’AGCOM, chiamato Ne.Me.Sys (che sta per Network Measurement System), è stato realizzato per essere il più immediato possibile al fine di rendere semplici le misurazioni da parte degli utenti meno esperti, ma non ci mettiamo molto a capire che non è tutto oro quel che luccica. Il programma ha un principio di funzionamento molto semplice: ogni ora Ne.Me.Sys si mette in comunicazione con i server “ufficiali” del progetto Misura Internet dell’Agenzia delle Comunicazioni, effettuando download e upload con l’obiettivo di stabilire se le velocità stabilite dagli impegni contrattuali dell’operatori siano rispettate oppure no. Il test è “ferreo”: fatta eccezione per il computer su cui è installato il software adibito alla misurazione (ovviamente via cavo Ethernet, ma abbiamo provato e va anche in Wi-Fi), devono essere disconnessi tutti gli altri apparecchi connessi alla rete locale. Tutto ha la sua logica, se non fosse che non sempre è facile “disconnettere” tutti i dispositivi: disconnessi tutti i dispositivi sembrava ci fosse ancora qualcosa collegato alla rete locale come dimostra l’avviso: “Misura interrotta. Presenza di altri host in rete. Attendo 60 secondi.” Il problema ovviamente è il router stesso di Fastweb. Il Technicolor TG788vn v2 infatti non va per nulla d’accordo con il test Ne.Me.Sys; il Media Server USB installato a bordo, richiedendo un IP proprio, figura come un’entità fisica a tutti gli effetti e fa sistematicamente saltare il test. Il problema è che non vi è modo di disattivare realmente il tutto dall’interfaccia web del modem-router. L’unico modo per far partire il test è quello di “confondere” i vari sistemi con un workaround fatto di disabilitazione dei servizi DHCP sul PC Windows, impostazione di un IP statico che va in conflitto con quello del Media Server USB e riavvio del router; insomma, un qualcosa tutto fuorché user-friendly come dovrebbe essere un test del genere. segue a pagina 24 torna al sommario n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE GAMING Il prototipo“Monolith” è stato fotografato sullo schermo di un MacBook. Ma le fotografie non sembrano attendibile PlayStation 4 Slim, in Rete alcune in foto. Ma sarà vera? In rete alcune foto di quella che dovrebbe essere la nuova PS4: più piccola, leggera e dovrebbe consumare meno di Paolo CENTOFANTI ony al lavoro su una nuova Playstation Slim: le foto emerse online, se non si tratta di un falso davvero ben congeniato, mettono in luce un lavoro di miniaturizzazione eccezionale da parte di Sony che è riuscita a ridurre almeno del 50% le dimensioni del modello attuale. Il prototipo, definito Monolith, è stato fotografato sullo schermo di un MacBook e mostra oltre ad un corpo più compatto anche la comparsa di tasti fisici al posto di quelli a sfioramento. Nessuna conferma, ma le dimensioni lasciano qualche dubbio: è davvero troppo piccola, e dimensioni simili le si possono raggiungere solo utilizzando S una APU AMD di nuova generazione a 20 nanometri (quella attuale è 28 nanometri) e spostando l’alimentazione all’esterno. Sembra anche un po’ troppo presto per una revisione della PS4, ma Sony potrebbe sorprendere. Le quote? Se dobbiamo proprio scommettere puntiamo sul fake; che le foto siano vere la quota è di 20 a 1. Chi scommette? L’arrivo della nuova PlayStation 4 è previsto per l’E3. SOCIAL MEDIA L’Italia della banda larga segue Da pagina 23 Happy ending? Sì, anche per tutto il vicinato Dopo aver fatto tutto, finalmente, il test parte e già dopo le prime tre ore di misurazioni appare la dicitura che annuncia a chiare lettere come la linea sia al di sotto degli standard minimi. “Riscontrata violazione degli impegni contrattuali sul parametro: 5 percentile della banda in download relativo all’offerta contrattuale “JET” inserita in fase di registrazione“ . A quel punto c’è ben poco altro da fare: basta stampare il “resoconto ufficiale” del test Ne.Me.Sys e inviare tutto al numero di fax indicatoci qualche giorno prima dall’ultimo operatore Fastweb. Inviato il fax il 4 dicembre, non c’è voluto molto per arrivare alla conclusione di tutta questa telenovela (dopo più di 80 giorni): in un paio di giorni la qualità della linea è cambiata radicalmente e tutt’ora, a più di un mese di distanza, continuiamo a stare su valori decisamente buoni e in linea con le attese: circa 15 Mbps in download e 0.9 Mbps in upload, e questo a tutte le ore del giorno e della notte. Difficile dire cosa sia stato fatto a livello centrale e/o a livello della filiale di zona: probabilmente è bastata una degna calibrazione per mettere tutto a posto, ma questa è solo una supposizione. Quel che pare certo, però, è che nel 2014, ora 2015, un fax può torna al sommario davvero cambiare tutto: e, a quanto pare, anche le linee degli altri utenti della zona serviti da altri gestori sono migliorate. Si può attendere 80 giorni per una linea? Se per avere una linea servono 80 giorni è chiaro che la banda larga in Italia non potrà mai decollare. Servono non solo velocità e servizi ma anche competenza e assistenza. •L’abitazione era già raggiunta da rete Fastweb: sarebbe bastato un semplice controllo per rendere tutto più veloce. Non c’era bisogno di staccare tutto e riavviare la procedura di attivazione tutta dall’inizio; così facendo ci hanno rimesso tutti perché in precedenza l’abitazione era direttamente raggiunta da rete Fastweb (in ULL) e in seguito, perso “il doppino”, tutto il processo è passato in Wholesale . Il che è quasi sempre sinonimo di problemi (anche per l’operatore, il quale si trova a “nel mezzo” tra cliente e Telecom). Come questo sia possibile è un mistero. • Scarsa comunicazione col cliente nelle prime fasi dell’attivazione: se c’è un problema il cliente dovrebbe essere informato appena il problema stesso si palesa. •Call center a pagamento (e costa caro per chi non ha già la linea Fastweb), oltretutto composto da operatori non madrelingua: non abbiamo nulla contro chi non parla bene la lingua italiana ma mettere dall’altra parte del telefono personale che stenta a capire quello che gli si dice non è piacevole, né per chi si vuole lamentare né - immaginiamo - per l’operatore stesso. Una società come Fastweb deve proprio ri- sparmiare sul servizio clienti? •Social Care “apparentemente efficiente”, ma che si scontra con la realtà dei fatti: gli italiani del Social Care di Fastweb fanno di tutto per far credere ai clienti di essere al lavoro per risolvere i problemi, ma purtroppo non è così. Che sia per inefficienza, incapacità oppure per problemi di scarsa comunicazione tra le divisioni e/o con Telecom (per problemi di budget ovviamente), a pagare è sempre il cliente, il quale non può fare nulla. •Test Ne.Me.Sys, l’ultima spiaggia: in questo caso la colpa non è solo di Fastweb, ma mettere a disposizione dei clienti modem-router “complessi” come il Technicolor non è proprio una scelta saggia. Senza la giusta dose di conoscenze un utente medio non sarebbe mai riuscito a far partire il test di misurazione della qualità della linea e probabilmente non avrebbe mai risolto nulla. •Il fax risolutore: possibile che Fastweb senza il fax con i risultati del test AGCOM (valido anche per richiedere il recesso dal contratto, senza penali), avendo alla mano i dati degli speedtest effettuati tramite il loro strumento ufficiale, non potesse davvero fare nulla? Nel 2015 un utente deve per forza arrivare “così alla disperazione” per rivendicare una semplice linea ADSL? Non vogliamo accusare nessuno né buttare fango su Fastweb, perché siamo consapevoli che la situazione può essere vissuta anche con altri provider: a detta di quanto si legge sul web o si sente da familiari e amici risulta essere piuttosto comune; vicissitudini di questa portata non fanno bene a nessuno e sono lo specchio della situazione italiana. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE SOCIAL MEDIA Abbiamo svolto un’inchiesta per fare un po’ di chiarezza sugli acquisti online Corrieri e merce danneggiata: ecco cosa fare Come si devono comportare gli utenti, le responsabilità dei corrieri e le possibili soluzioni di Roberto PEZZALI e-commerce conquista sempre più italiani: transazioni sicure, carte di credito prepagate, ritiro in negozio e tante altre piccole migliorie hanno contribuito a far crescere il fenomeno anche in Italia. Con pacchi che, secondo le ultime rilevazioni, diventano sempre più grandi: oggi online si comprano anche lavatrici, televisori, bottiglie di vino e prodotti del genere più svariato senza alcuna preoccupazione. Tolto il rischio di truffa, sempre presente ma scoraggiato anche dalla possibilità di aggiungere opinioni online e dalle verifiche dei vari comparatori di prezzi, resta un unico problema: cosa succede se la merce arriva danneggiata? A chi bisogna rivolgersi? Lo abbiamo chiesto ad alcuni corrieri, da TNT a SDA, chiedendo loro come si devono comportare gli utenti, che responsabilità hanno i corrieri e quali sono le possibili soluzioni nei vari casi. L’ Il ruolo del corriere Il ruolo del corriere è quello di ritirare un pacco e assicurarsi che venga consegnato nella stessa identica condizione di quando il pacco è stato ritirato. “Se vediamo pacchi non imballati bene o pacchi troppo delicati non ritiriamo neppure” – ci ha confermato TNT – “e spesso facciamo anche un controllo interno provvedendo al reimballaggio della merce se ci sembra che il pacco sia delicato”. Tuttavia è facile capire se una bottiglia o una statuetta si rompe nel trasporto, un po’ meno invece verificare se un TV o un computer portatile hanno subito qualche danno. Secondo TNT non è mai capitato che un TV consegnato con un pacco totalmente integro avesse problemi: “Se viene consegnato un TV con lo schermo sfondato e l’imballo è integro difficilmente il danno è stato fatto durante il trasporto” – aggiunge TNT, anche se questo è un caso spiacevole che è capitato effettivamente a molte persone. Consegna con riserva Il consiglio di molti negozi, soprattutto in caso di merce voluminosa, è quello di accettare la merce apponendo la scritta “Con Riserva” sopra la bolla di accettazione, e così facendo si dichiara che si sta accettando il pacco ma ci si riserva successivamente il diritto di verificare che il contenuto sia integro. Questo perché, per torna al sommario legge, il corriere non permette di aprire il pacco fino alla firma materiale della bolla di consegna. Non tutti i corrieri però accettano la consegna “con riserva” per tutti i pacchi: SDA e TNT ad esempio chiedono ai loro corrieri di accettare la riserva solo se il pacco esternamente mostra qualche indizio che lascia pensare ad un maltrattamento o ad un trasporto incauto. Se il pacco è integro il corriere potrebbe infatti rifiutarsi di far firmare con riserva: se si rifiuta di fronte ad un pacco leggermente ammaccato è consigliabile non firmare il ritiro: la merce torna al mittente. Nel caso in cui il prodotto sia effettivamente danneggiato, bisogna comunque contattare il rivenditore: se si ha firmato con diritto di riserva il venditore deve prendersi carico della gestione del problema, inviando un nuovo prodotto e poi rivalendosi sul corriere per gli eventuali danni che il prodotto ha subito dopo le opportune verifiche. Se arriva un televisore rotto infatti non è sempre facile capire quando è stato causato il danno: il televisore non è certo stato costruito nel negozio in cui è stato acquistato e quello verso casa è solo l’ultimo “scalo” di un lungo viaggio dalle fabbriche spesso cinesi o europee. Il danno al pannello potrebbe anche essere avvenuto in fabbrica: nessuno può davvero saperlo. Cosa succede però se la merce è stata ricevuta da altre persone ignare della cosa, da una reception, da un pickup point o da un “locker”? I corrieri che abbiamo intervistato ci fanno sapere che nel caso di consegna nei Locker o in posti dove non c’è una persona fisica che può controllare lo stato del pacco non vengono assolutamente consegnate merci che mostrano anche il minimo segno di danno all’imballo. Nel caso invece di persona che non firma e ritira, salvo poi scoprire che all’interno c’è qualcosa di rotto, le soluzioni non sono molte. Se il prodotto è di basso valore spesso molti venditori preferiscono fare un secondo invio per evitare ogni problema, ma se la merce è costosa la situazione è più delicata e nel caso di ecommerce la soluzione è provare ad avvalersi del diritto di recesso entro 14 giorni dall’acquisto. Il problema è che condizione essenziale per l’esercizio del diritto di recesso è la sostanziale integrità del bene da restituire e molti rivenditori se informati dell’arrivo di un pacco danneggiato si oppongono al recesso. Nella maggior parte dei casi la storia finisce in mano ad un avvocato. Se si è ritirato un bene acquistato presso un negozio online e si scopre dopo che è danneggiato il recesso è la prima strada da provare ma molto dipende dal negozio. Dopo aver verificato il bene infatti potrebbero decidere di non dare alcun rimborso. Acquisti da privato o di merce usata Nel caso invece di altra compravendita su internet da privato o di merce usata non vige il diritto di recesso. In questo caso valgono le considerazioni fatte sopra e se non si è accettato con diritto di riserva l’unico appiglio per il consumatore è la denuncia del danno occulto, ovvero di quei danni che non sono verificabili semplicemente guardando il pacco esteriormente. Il danno occulto secondo l’Articolo 1698 del Codice Civile è di responsabilità dello spedizioniere e in questo caso la contestazione va inviata con raccomandata con ricevuta di ritorno allo spedizioniere entro e non oltre gli 8 giorni dal ricevimento della spedizione, allegando le foto del danno. Il problema in questo caso però è legato all’entità del rimborso: il rimborso standard è di pochi euro per ogni Kg e la trafila per ottenerlo spesso è lunga e tortuosa. Molto meglio non arrivare a questo punto. Nel caso generico di spedizioni voluminose a rischio è bene insistere per la consegna con riserva: è la soluzione più pratica e considerata dai venditori, anche se spesso bisogna insistere un po’ per ottenere questa possibilità nel caso in cui il pacco sembra perfetto. Epic Fail: quando è l’AgCom a dire dove scaricare film e musica AgCom ogni giorno pubblica i report con l’apertura dei procedimenti di infrazione per film e musica illegalmente presenti in rete, svelando a tutti dove scaricare i file e dove vedere i film che non sono ancora stati rimossi di Roberto PEZZALI Può essere l’AgCom fonte di ispirazione per chi vuole scaricare contenuti pirati online? La Direzione per i Contenuti Audiovisivi della Autorità per il Garante delle Comunicazioni pubblica ogni giorno sul proprio sito i report di apertura delle infrazioni contro chi pubblica online materiale pirata. Una dimostrazione dell’ottimo lavoro che l’ente sta facendo per contrastare il fenomeno della pirateria in piena cooperazione con i detentori dei diritti, ma allo stesso tempo un “epic fail”. AgCom non oscura e non censura i link ai contenuti, e in molti casi questi non sono ancora stati rimossi: basta leggersi i pdf per trovare i link diretti a video in streaming, canzoni da scaricare e per conoscere nuovi siti dove trovare contenuto illegalmente distribuito. È vero che chi vuole scaricare illegalmente sicuramente conosce mezzi e modalità e si affida ai normali motori di ricerca, ma fa sorridere il fatto che l’AgCom, nel rispetto della trasparenza, faccia da faro a coloro che magari non sanno neppure da che parte si inizia a scaricare un film. IL PIÙ SEMPLICE IL PIÙ SMART *LG G2 vincitore del premio Best Phone 2013 di Cellulare Magazine. Now It’s All Possible Cosa c’è di meglio di LG G2, eletto migliore smartphone del 2013*? La sua sorprendente evoluzione. Nuovo LG G3. Il più semplice, il più smart. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT L’MHP non è affatto sicuro: abbiamo scoperto come accedere ai file di tutte le trasmissioni Rai e Mediaset MHP colabrodo: programmi scaricabili da tutti Le trasmissioni si possono scaricare direttamente dai server delle emittenti anche in formato MP4: altro che torrent S di Roberto PEZZALI caricare tutti i video dei contenuti Rai e Mediaset da Internet, in formato MP4 e senza troppa fatica non è affatto difficile. La cosa più paradossale (e francamente impensabile) è che i file con tutti i programmi si scaricano direttamente dai server RAI e Mediaset, con i file integri, privi di pubblicità, in alcun modo protetti o criptati. Il tutto dai servizi di catch-up TV, quelli che permettono di vedere i contenuti dell’ultima settimana in streaming. Una situazione un po’ imbarazzante nella quale ci siamo imbattuti quasi per caso, analizzando il traffico di rete generato dai servizi MHP alla ricerca della soluzione a un problema sui TV Samsung, di cui vi abbiamo dato conto qualche tempo fa. Imbarazzante e paradossale, se si considera che i broadcaster italiani, pur di proteggere i loro contenuti sui browser hanno fatto ricorso anche al DRM Microsoft e a Silverlight player e lavorano da sempre per implementare sistemi di protezione ai vari contenuti. La fortezza è protetta dall’ingresso principale, senza considerare però l’ingresso posteriore, come ad esempio l’MHP, lasciato colpevolmente spalancato. E la colpa è ancor più grave se si considera che sia RAI che Mediaset la soluzione che risolve il problema alla radice ce l’hanno in casa e già funzionante - si chiama TivùOn - ma per pigrizia o chissà quale resistenza, stanno tardando ad applicarla. L’anello debole è l’interattività MHP Il cavallo di troia per scardinare le CDN dove Rai e Mediaset tengono i file dei programmi è proprio l’MHP: l’applicazione Rai Replay così come Rewind di Mediaset, come è noto ai più esperti, non sono altro che piccole applicazioni Java che vengono eseguite dal decoder o dal TV. L’applicazione viene scaricata in formato compresso, viene decompressa da decoder o TV e poi eseguita. Una applicazione leggera, che non fa altro che richiamare con una interfaccia tutto sommato semplice i palinsesti delle varie reti disponibili, anche loro accessibili da una serie di pagine web.Ovviamente, non daremo alcun dettaglio su come si possano scaricare i film: “rubare” è illegale anche se si trova la porta aperta e i denari pronti sul tavolo. Ma vogliamo denunciare come sia semplice accedere alla library e arrivare ai file in formato MP4. E questo ben oltre la Il palinsesto della Rai per Replay TV è una pagina ‘web’ di questo tipo. Non è una pagina che con il browser, ma un file comunque disponibile online. torna al sommario “settimana” di visibilità della catch-up TV, visto che i file e i loro indirizzi sono permanenti e restano accessibili anche per molti mesi, probabilmente per sempre. Rai, ci sono anche i Telefilm Partiamo con Rai: il palinsesto per Replay TV è una pagina ‘web’ da vedere non con il browser, ma un file disponibile online che permette ai decoder di ricostruire l’interfaccia grafica fornendo le preview e i titoli dei programmi.La pagina resta raggiungibile per gli ultimi 7 giorni di programmazione: il palinsesto in foto è, per esempio, relativo al 14 gennaio 2015. Ovviamente dalla pagina principale si accede al palinsesto di Rai Premium, Rai 1, Rai 2 e così via. Non solo: in questi palinsesti sono presenti contenuti che sulla piattaforma RAI Replay su eb non sono neppure elencati, come per esempio NCIS, la serie TV Paramount: da decoder infatti si accedono a molti più contenuti di quelli visibili online sul sito web di Rai, questo per questione di diritti. L’indirizzo è leggibile nelle richieste che vengono fatte in chiaro dal decoder MHP, nel nostro caso un comune Telesystem, ai server della Rai; non è cosa da tutti, ovviamente, intercettare questi indirizzi ma non è neppure una operazione che richiede un “hacker”. E sempre in chiaro transitano gli indirizzi dei file video. Una puntata di NCIS o di Peppa Pig è un file MP4 che può essere visualizzato in streaming nel browser o addirittura scaricato come un qualsiasi file libero sulla rete. Non c’è login e neppure una password, basta conoscere l’indirizzo (ma ce lo dice il decoder). Ecco qui, per esempio, un link diretto a un programma di Rai 2, che riportiamo solo a scopo esemplificativo di come sia semplice accedere ai contenuti: http://creativemedia3.rai.it/podcastcdn/raidue/I_Fatti_Vostri/ifattivostri_puntate_2015/3443691_800.mp4 Addirittura sono disponibili diverse versioni: c’è la qualità più bassa a “800 kbps” (link in alto) e si arriva a file di discreta qualità a 1800 kbps (link di seguito). http://creativemedia3.rai.it/podcastcdn/raidue/I_Fatti_Vostri/ifattivostri_puntate_2015/3443691_1800.mp4 Un programmatore con un minimo di esperienza, e in questo caso ne basta davvero poca, ci mette qualche ora a realizzare una versione open di Rai Replay dalla quale vedere in streaming o scaricare liberamente tutti i files video; anzi non siamo affatto certi che il libero scaricamento di questi contenuti non stia già accadendo in queste ore. La realtà è che, per volontà o negligenza della RAI, i server della nostra emittente di Stato sono di fatto uno dei più grossi repository di contenuti gratuiti scaricabili (dai più esperti), contenuti che restano vivi anche quando scadono le pagine dei palinsesti. Ovviamente in totale violazione del copyright e dei vincoli contrattuali che la stessa RAI ha nei confronti dei propri fornitori di contenuti. Uno scandalo che potrebbe generare anche costosi contenzioni tra RAI e gli aventi diritto e meritare un’interrogazione parlamentare. Con Mediaset è ancora più facile Non cambia molto con Mediaset, anzi ricostruire l’albero dei contenuti è addirittura più semplice. Rewind di Mediaset per decoder MHP infatti lascia in chiaro tutta la struttura di navigazione e realizzare una interfaccia alternativa per fruire del servizio senza pubblicità è davvero banale. L’abbiamo fatto anche noi, in un paio d’ore, come si può vedere dal video che abbiamo realizzato: in poco tempo un bravo programmatore potrebbe crearsi una propria versione di Mediaset Rewind con il proprio brand. Una specie di Popcorn Time, con l’aggravante che i file non sono pescati dai torrent illegali, ma direttamente dal server di Mediaset. Ovviamente non è legale, e il codice che abbiamo messo a punto è già stato distrutto. Il link ai vari video ancora una volta ce lo da una chiamata “api” al server Mediaset, e anche qui tutti i collegamenti sono in chiaro e non viene verificato chi sta effettuando la chiamata. Il risultato è un file MP4 da salvare su desktop o da vedere nel browser, ma questa volta con un segue a pagina 28 n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Chili TV ha rilasciato un importante aggiornamento per i dispositivi iOS Chili TV si aggiorna su iOS, con nuove funzionalità Nuova grafica e nuove funzioni, ma solo per gli utenti di iOS 7.1 o versioni successive di Massimiliano ZOCCHI T empo di aggiornamento per l’app iOS di Chili TV. La piattaforma tutta italiana di digital delivering vanta un catalogo ampissimo, con 250 prime visioni ogni anno divise tra film e serie tv di successo e, ormai, ha raggiunto quota 400.000 clienti. Parola d’ordine: “facilità di fruizione”. Chili è infatti presente in diversi Smart TV, su Pc e Mac, e ovviamente su smartphone e tablet, made in Cupertino compresi. Proprio a questi ultimi è dedicato l’aggiornamento dell’app iOS, arrivata alla versione 4.1.1. Era necessaria una rinfrescata alle grafiche, per allinearsi allo stile più flat recentemente introdotto da Apple, e infatti l’aggiornamento per essere scaricato richiede come minimo iOS 7.1 o successivi. Gli sviluppatori hanno anche colto l’occasione per aggiungere qualche interessante funzione. Chiariamo subito che, qualora foste già utenti della vecchia versione, l’app stessa vi guiderà nella migrazione del vostro account, per non perdere nessun contenuto già acquistato.Area personale dell’account che, inoltre, è quella che riceve il grosso delle novità. Si potranno gestire direttamente i dispositivi associati, il parental control, e tenere d’occhio i download attivi, scegliendo la sola connessione WiFi per scaricarli. Una funzio- ENTERTAINMENT ne meno indispensabile, ma comunque pratica, è la possibilità di assegnare un giudizio da 1 a 5 stelline su un contenuto che si è appena terminato di guardare. I ragazzi di Chili hanno anche provveduto a migliorare la compatibilità con Google Chromecast e la rotazione automatica dello schermo, per migliorare la navigazione e la visione delle varie schermate. (crediamo illegalmente) aperti sulla rete, a dimostrazione che l’MHP per la gestione delle applicazioni interattive è totalmente inadeguato. MHP colabrodo segue Da pagina 27 Le soluzioni ci sono, basta applicarle pattern di indirizzo del file molto più ordinato e ancora più facile da decodificare. In definitiva, i server di Rai e Mediaset sono due enormi repository di contenuti Ecco la pagina di Mediaset, ricostruire l’albero dei contenuti è ancora più semplice. Non è così per tutte le app MHP per fortuna: Infinity ha un sistema di protezione dei contenuti consistente e la stessa Mediaset con Rewind, però tramite TivuSat con piattaforma TivuOn, risulta sicuro (oltre che qualitativamente migliore). Questo non solo grazie a Marlin (il DRM utilizzato da TivùOn) ma anche grazie all’utilizzo di Mpeg Dash, lo streaming adattivo che tecnicamente divide il file in tantissimi frammenti che risulterebbe poi difficile, se non impossibile, unire. Mediaset e Rai hanno quindi già in casa TivuOn (il consorzio Tivù fa capo per la quasi totalità del capitale sociale proprio a RAI e Mediaset), una soluzione che permetterebbe loro di avere i contenuti protetti online e, tra le altre cose, un servizio qualitativamente migliore per gli utenti, con l’accesso a molti contenuti in alta definizione. Ma probabilmente a Roma in viale Mazzini e a Cologno Monzese si pensa ENTERTAINMENT Amazon Film al cinema e dopo un mese su Prime Amazon Studios entra nell’avventura cinematografica e lo fa con un modello tutto suo, invece di replicare il competitor per eccellenza: Netflix. L’approccio di Amazon è “classico” con l’uscita al cinema in esclusiva seguita dall’inserimento nella piattaforma Prime da 4 a 8 settimane dopo. La finestra selezionata da Amazon è la più corta in assoluto considerando che, sempre secondo l’azienda, tipicamente un film impiega dalle 39 alle 52 settimane prima di passare dal cinema alla distribuzione “home” tramite un servizio di streaming ad abbonamento. Il fatto che il gruppo di Bezos voglia fare sul serio lo si deduce dal fatto che abbia già previsto la produzione di 12 film all’anno, con i primi in uscita nella seconda parte del 2015. Bocche cucite su titoli e progetti in pentola. che sia più semplice lasciare tutto libero, all’italiana, fino a quando qualcuno (in questo caso e per caso DDAY.it) non se ne fosse accorto. Ora che il re è nudo, qualche major potrebbe arrabbiarsi seriamente: i diritti per la catch up TV durano solo 7 giorni, e, anche se l’app cambia i palinsesti, a quanto pare i file sui server restano li per sempre, sempre allo stesso indirizzo. E come non è legale per gli utenti scaricare i film anche se son liberi sul web, non è consono agli impegni contrattuali per le emittenti lasciare visibili i contenuti per i quali sono scaduti i diritti di catch-up TV e dei quali sono tenuti a un’attenta custodia. Vogliamo ora sperare che lo stimolo, pur scomodo, causato dalla nostra scoperta, sia la scintilla che permetta a TivuOn, che è funzionante oramai da molti mesi e non ha mai fatto ufficialmente il suo debutto, entri con urgenza all’ordine del giorno degli sviluppi tecnici di RAI e Mediaset. Non ha senso schierarsi con forza dalla parte della lotta alla pirateria, se poi si dimostra di non voler custodire i propri averi neppure con le più semplici norme alla base della cosiddetta “diligenza del capo famiglia”. video lab MHP colabrodo I server di RAI e Mediaset sono in chiaro torna al sommario Nota: in questo articolo riportiamo i link diretti relativi a un programma di produzione RAI, a puro titolo esemplificativo e per dimostrare e denunciare la clamorosa facilità dell’operazione, prodromica a una possibile attività pirata, peraltro incentivata dalla completa apertura dei server. Di certo non è nostra intenzione incentivare in alcuna maniera la pirateria. in ogni caso, anche per non mettere in difficoltà con società terze la RAI, abbiamo scelto un contenuto di produzione RAI, malgrado sui server RAI siano liberamente accessibili migliaia di contenuti film e fiction i cui diritti fanno capo a società terze e che comunque non sono concessi per lo streaming Web, tra l’altro oltre le finestre temporali dei 7 giorni dalla messa in onda. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE MOBILE Gli sviluppatori dell’app Pipes hanno creato una demo interattiva di Apple Watch Ora puoi provare virtualmente Apple Watch Mostrando l’integrazione di Pipes con Apple Watch, la demo mostra qualche funzione in più di Massimiliano ZOCCHI pple Watch arriverà probabilmente a marzo a un prezzo di partenza che molti ritengono sarà di 350 dollari. Se non potete sopportare l’attesa, potrebbe giovarvi provare la demo interattiva creata dai ragazzi di Pipes. Pipes è una applicazione dedicata alle news di ogni genere, e il team di sviluppatori è al lavoro sulla versione per Apple Watch. Per mostrare i progressi fatti finora e darci qualche esempio di come l’app si mostrerà sul piccolo display da polso, i realizzatori di Pipes hanno realizzato un sito ad hoc, che per attirare più visite è stato chiamato con un inconfondibile “demo Apple Watch”. Lo scopo A Secondo un quotidiano coreano, Samsung sarà il principale fornitore di Apple per il SoC A9 dell’iPhone 6S principale del sito è ovviamente mostrare come Pipes si integrerà nell’interfaccia di Watch, ma nel far questo i realizzatori del sito hanno voluto fare un piccolo omaggio agli appassionati, mostrando anche qualche funzione in più. Si può navigare nella home screen simulando il touch tramite il mouse, e persino entrare in qualche app. La maggior parte non va oltre mostrando solo una schermata statica, ma alcune hanno qualcosa in più; ad esempio, l’app musica incorpora un brano dei Coldplay che possiamo mettere in pausa, oppure regolarne il volume. Premendo invece sull’icona del telefono partirà una finta telefonata che possiamo interrompere premendo il classico pulsante rosso. O ancora, possiamo scorrere tra alcune immagini presenti nell’app galleria. Premendo sulla digital crown, la demo ci rimanderà alla home, tuttavia la riproduzione della ghiera non è interattiva e non permette di scorrere o zoomare come accadrà con quella reale. Niente che faccia gridare al miracolo, ma comunque un’idea carina per curiosare e rompere l’attesa. Lo scopo sarebbe anche mostrare le funzioni di Push Notification e le Glance di Pipes, ma scommettiamo che la maggior parte dei visitatori della pagina non ci ha fatto caso... Nel caso vogliate anche voi dare un’occhiata, potete visitare la Pipes Watch Demo. MOBILE Sembra ormai certo il prossimo arrivo di un iPad “gigante”, iPad Pro o iPad Plus Apple ci pensa davvero: pennino per l’iPad da 12,9”? Sempre più probabile la presentazione congiunta di una stilo realizzata per il prodotto di V. R. BARASSI ello storico keynote di presentazione del primo iPhone (2007) Steve Jobs bocciò categoricamente il pennino come strumento di input, confermando il tutto anche nel 2010 quando annunciò al mondo l’arrivo dei primi iPad. In questi anni, però, N torna al sommario Samsung produrrà il 75% dei chip del prossimo iPhone il mercato è cambiato molto e il mondo dei tablet ha subito un’incredibile evoluzione abbracciando molte categorie di utenti e sviluppandosi in diverse direzioni; Apple lo sa bene, e probabilmente è giunto il momento di abbattere qualche altro tabù. Innanzitutto c’è il super iPad: ne abbiamo già parlato in passato ma nelle ultime settimane le voci sull’iPad Pro (o iPad Plus) da 12,9 pollici sono diventate sempre più insistenti e ormai il suo arrivo pare cosa certa. Ad alimentare i rumor ci pensa l’analista Ming-Chi Kuo di KGI Securities il quale, raccogliendo numerosi indizi lasciati per strada dall’azienda di Cupertino, si sente ormai sicuro nell’affer- mare che Apple presenterà anche una Stylus Pen appositamente pensata per il prossimo top-di-gamma della linea iPad. Secondo Ming-Chi Kuo, che ha inviato ai colleghi di AppleInsider il suo rapporto completo, Apple annuncerà i due prodotti nei prossimi mesi e la commercializzazione avverrà nella seconda metà del 2015. Il pennino, per non far lievitare troppo il prezzo dell’iPad, sarà proposto come accessorio opzionale e non avrà funzioni particolari, con accelerometri e giroscopi che saranno integrati solo nelle versioni successive. Non ci sarà neppure la ricarica wireless: molto più probabile una semplice connessione Lightning. Ad Apple basterà tutto ciò per inserirsi nel mercato dei tablet ad uso professionale? di Emanuele VILLA Nonostante gli iPhone di ultima generazione siano sul mercato da pochi mesi, iniziano ad intensificarsi i rumor circa i prossimi terminali di casa Apple. Non tanto per annunciare specifiche più o meno fantasiose (per quelle non mancheranno i rumor dalla primavera in poi), ma per quanto concerne le aziende coinvolte come fornitori di Apple. E guarda caso questa volta si parla di un altro colosso, Samsung, che potrebbe monopolizzare (o quasi) la fornitura di SoC per l’iPhone 6s, il che fa supporre un clima quanto meno più disteso tra le due aziende. Secondo il report di un magazine coreano (Maeil Business Newspaper) che cita le “solite” fonti anonime molto vicine all’azienda, Samsung sarebbe prossima a firmare con Apple un accordo che la renderebbe fornitrice del 75% dei SoC A9 per l’iPhone 6s (e 6s Plus, eventualmente). Nonostante i chip degli attuali iPhone 6 e iPhone 6S Plus siano prodotti da TSMC, l’azienda di Cupertino avrebbe deciso di cambiare rotta e di assegnare la maggior parte della fornitura proprio ai competitor n.1. Questo rappresenterebbe una vittoria per Seul, considerando la volontà di rafforzare la propria presenza non tanto come produttore di smartphone quanto di componentistica. In quest’ottica si inseriscono i rumor che identificano in un Exynos (di produzione Samsung) il prossimo processore di Galaxy S6 al posto del prevedibile Snapdragon 810. Per Qualcomm, perdere un cliente come Samsung sarebbe un colpo non da poco, ma qui entriamo nel campo della congetture... n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE MOBILE Ha nome in codice Orbis e Samsung potrebbe annunciarlo già al prossimo MWC Da Samsung smartwatch rotondo e wireless Secondo indiscrezioni avrà display circolare, corona e ghiera “digitali” e la ricarica wireless di Paolo CENTOFANTI C oncluso il CES di Las Vegas, iniziano le indiscrezioni per il prossimo “grosso” evento dell’anno, il Mobile World Congress, in cui dovrebbero esserci novità soprattutto per Sam- sung, che qui storicamente ha lanciato alcuni dei suoi prodotti di maggiore successo. Secondo SamMobile, a Barcellona potremo vedere, oltre al nuovo smartphone della serie Galaxy S, anche un nuovo smartwatch, attualmente identificato dal nome in codice Orbis, e con una particolarità ben precisa rispetto ai modelli 2014: avrà infatti schermo circolare. Il form factor simile a quello di LG e Motorola (in alto il Moto 360) non sarà però l’unica novità. Secondo le fonti del blog, infatti, Orbis utilizzerà un sistema di controllo basato sulla combinazione di un tasto di accensione/sblocco ispirato alla corona di carica degli orologi tradizionali e su una ghiera circolare posta sulla cornice del display. Con questa interfaccia sarà possibile accedere alle principali funzionalità dello smartwatch, senza impazzire su controlli touch troppo piccoli per la dimensione del display. Altra novità riguarda la ricarica della batteria dello smartwatch che, sempre secondo le indiscrezioni ricevute da SamMobile, sarà di tipo wireless “out of the box”, cioè con ogni probabilità con un caricatore a induzione fornito in dotazione. Quest’anno l’appuntamento con il Mobile World Congress è fissato dal 2 al 5 marzo. MOBILE HP annuncia la nuova gamma di tablet pensati principalmente per l’utilizzo business Da HP nuovi tablet Android e Windows per le aziende I modelli sono basati sia su Android che Windows: Pro Slate 8 e 12 e il “2 in 1” Elite x2 1011 G1 di Paolo CENTOFANTI P ha annunciato una nuova gamma di tablet pensati prima di tutto per le aziende, visto che il nuovo slogan è proprio “business-first”, un approccio con il quale il produttore americano spera di differenziarsi dal resto dell’offerta tablet. I modelli di punta girano su Android, i nuovi HP Pro Slate 8 e HP Pro Slate 12, entrambi caratterizzati dall’essere basati su schermo in formato 4:3 con Gorilla Glass 4, rispettivamente con risoluzione di 2048 x 1536 e 1600x1200 pixel (e no, non abbiamo invertito per sbaglio l’ordine). I tablet hanno un design che ricorda quello degli smartphone HTC (sembrano degli One allargati), sono basati su processore Qualcomm Snapdragon 800 e saranno compatibili con un ampio corredo di accessori che HP ha studiato per le aziende. Anche a livello software ci saranno diverse applicazioni pensate per l’ambito professionale e la sicurezza aziendale. Fornito in dotazione con entrambi i tablet ci sarà l’HP Duet Pen, pennino basato sulla tecnologia Qualcomm Snapdragon Digital Pen, che consente anche di digitalizzare quello che si scrive su carta. I prezzi sono di 569 dollari per il modello da 12” e 449 per quello da 8”. H torna al sommario Sul versante Windows, la novità più interessante annunciata è il “2 in 1” HP Elite x2 1011 G1, tablet con display da 11,6 pollici che tramite docking/tastiera diventa un vero e proprio Ultrabook. Sarà disponibile in diverse configurazioni di processore Intel Core M, RAM e display ed è prevista anche una delle prime docking wireless a offrire la connettività WiGig a 60 GHz tra gli accessori, oltre a un pennino Wacom opzionale. In questo caso i prezzi partiranno dagli 899 dollari per la configurazione base. HP ha presentato poi diverse soluzioni per il settore medicale e anche per le scuole. In quest’ultimo caso, in particolare, c’è un nuovo tablet con design robusto e schermo da 8 pollici, basato su processore Intel Atom, disponibile in due versioni identiche per l’hardware, ma con sistema operativo Android (HP Pro Slate 10 EE) o Windows (HP Pro Tablet 10 EE). Sarà disponibile per le scuole con pennino e una serie di applicazioni e soluzioni software HP per l’ambito educational ad un prezzo intorno ai 300 dollari. Il Nexus 6 si gonfia: rischio di batterie difettose Si stanno moltiplicando i casi di Nexus 6 con cover posteriore staccata: per qualcuno è solo un problema di incollaggio, ma in molti casi è la batteria al litio che gonfiandosi crea il problema. Una situazione comunque spiacevole di Roberto PEZZALI Dopo il bendgate di iPhone 6 spunta una grana anche per Motorola. Il Nexus 6 firmato Google ha infatti qualche problema di gioventù: molti utenti stanno segnalando un distaccamento della cover posteriore anomalo, in qualche caso già presente al momento dell’unpacking e in altri invece apparso dopo. Difficile capire se si tratta di pochi casi isolati o se il fenomeno ha una rilevanza più ampia: anche nel caso del bendgate tanto rumore è stato fatto per nulla, anche perché alla fine, su milioni di iPhone venduti, quelli piegati erano qualche decina. Fatto sta che ora Google e per lei Motorola deve fronteggiare un problema che potrebbe essere ben più serio di quello Apple: se qualcuno infatti attribuisce la colpa alla tenuta della colla usata da Motorola per unire i due elementi del cabinet, il sospetto avanzato da alcuni utenti che hanno subito il distacco completo è che sia la batteria al litio a spingere la cover e produrre il distacco, gonfiandosi in modo anomalo. Un problema, quello delle batterie gonfie, che ha avuto in passato anche Samsung e da non prendere alla leggera: una batteria gonfia può anche esplodere. Qualche utente ha risolto utilizzando una custodia in plastica rigida, ma è chiaro che si tratta di una soluzione temporanea. Motorola e Google sono al corrente del problema e stanno analizzando la situazione. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE MOBILE Gli operatori telefonici i multati per pratiche scorrette nell’attivazione di “servizi premium” AGCM multa Telecom, Wind, Vodafone, H3G L’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato ha dato sanzioni per 5 milioni di euro di Vittorio Romano BARASSI A ttraverso un comunicato stampa, l’AGCM ha annunciato di aver multato per più di cinque milioni di euro tutti i principali operatori telefonici operanti sul territorio italiano. Telecom e H3G sono state condannate a pagare 1,75 milioni di euro ciascuna mentre per Vodafone e Wind la sanzione si è fermata a “soli” 800.000 euro. La mossa dell’AGCM è la diretta conseguenza di un’inchiesta avviata dalla stessa agenzia diversi mesi fa a seguito delle segnalazioni provenienti da decine di migliaia di consumatori che si sono trovati, loro malgrado, costretti a pagare per contenuti extra non voluti. Al centro dell’inchiesta ci sono infatti i cosiddetti Servizi Premium, ovvero tutti quei servizi attivabili dall’utente a fronte di un pagamento aggiuntivo rispetto a quello del proprio abbonamento. Secondo l’AGCM, che ha lavorato in stretto contatto con la Guardia di Finanza, i quattro operatori hanno attuato una pratica commerciale scorretta riconducibile a due condotte: “Da un lato, l’omissione di informazioni circa il fatto che il contratto di telefonia mobile sottoscritto pre-abilita la SIM alla ricezione dei servizi a sovrapprezzo, nonché circa l’esistenza del blocco selettivo per impedire tale ricezione e la necessità per l’utente che voglia giovarsene di doversi attivare mediante una richiesta esplicita di adesione alla procedura di blocco; dall’altro, l’adozione da parte dell’operatore di telefonia mobile di un comportamento qualificato come aggressivo, consistente nell’attuazione di una procedura automatica di attiva- zione del servizio e di fatturazione in assenza di qualsiasi autorizzazione da parte del cliente al pagamento, nonché di qualsiasi controllo sulla attendibilità delle richieste di attivazione provenienti da soggetti quali i fornitori di servizi estranei al rapporto negoziale fra utente e operatore”. Insomma, omissione di informazioni e attivazione automatiche hanno portato l’AGCM a punire i protagonisti del mercato telefonico italiano. Si attende ora la risposta delle aziende. Apple Watch, la batteria avrà un’autonomia di 19 ore Con un utilizzo intenso la durata della batteria però può scendere a sole 2 ore e mezza N torna al sommario I rumor parlano di display 5,5’’ Quad HD CPU snapdragon 810 e ben 4 GB di RAM Presentazione a breve? di Roberto PEZZALI MOBILE Indiscrezioni parlano di un’autonomia media pari a circa 19 con un uso “normale” di Roberto PEZZALI on che sia una novità, ma ormai è quasi cosa certa: con Apple Watch si riuscirà ad arrivare a sera ma facendone un uso intenso la batteria potrebbe lasciare gli utenti a secco anche in poco più di un paio d’ore. A ribadire i limiti dell’ormai prossimo smartwatch di casa Apple è 9to5mac che cita le classiche “fonti attendibili” e parla di stime reali ricavate dall’analisi dei circa 3.000 prototipi di Watch attualmente sparsi per il mondo, numero incredibilmente elevato se rapportato agli standard di Cupertino. Il beta-testing di questi modelli, pressoché definitivi, ha dimostrato come la batteria del dispositivo sia in grado di garantire un’autonomia media di 19 ore con un uso normale; non è però ben chiaro cosa si intenda con questa espressione (se non che sarà un mix di uso intenso OnePlus Two sarà un telefono “sorprendente” e momenti di attività passiva) e fa specie scoprire che usandolo in maniera “aggressiva” la batteria potrebbe arrivare a zero in 2 ore e mezza o 4 ore in modalità Tracking, ovvero con tutti i sensori attivi per la raccolta dei dati sulle attività in corso di svolgimento. Interessanti, ma pressoché insignificanti, i risultati in modalità standby e quelli in modalità sleeping: 3 giorni senza mai attivare la retroilluminazione e 4 giorni a display completamente spento. Emergono inoltre ulteriori dettagli sulla componentistica: il processore S1 dello smartwatch pare avere le stesse performance dell’Apple A5 e il comparto grafico sarà capace di far funzionare il sistema a 60 frame per secondo. Qualche dubbio in più c’è sul sistema di ricarica induttiva: il caricatore pare essere pronto e sembra essere più performante del previsto, ma non è chiaro se sarà prodotta una sola versione oppure due, una in plastica e una in metallo (la prima per le versioni in alluminio e Sport e la seconda per i modelli high-end). Nonostante lo possiedano in pochi, gli appassionati di tecnologia conoscono alla perfezione le vicissitudini di OnePlus One: il telefono hi-end dal prezzo abbordabile e acquistabile solo “su invito” (periodi di promozione esclusi). Ormai il prodotto è presente sul mercato da un po’ e da qualche settimana si parla di OnePlus Two, il telefono che l’azienda presenterà nel corso dell’anno e che, stando alle sue stesse parole, sarà in grado di “sorprendere la gente”. Si suppone che la filosofia resti invariata: specifiche tecniche in linea con i prodotti più alti in gamma ma prezzo di listino decisamente abbordabile, con conseguente meccanismo di acquisto limitato. Grazie a diversi leak iniziamo a ipotizzare le specifiche tecniche del telefono, che fanno (ovviamente) ben sperare: il display Full HD di One diventa Quad HD, mentre le dimensioni restano da 5.5’’, considerati “giusti” dall’azienda per diverse esigenze. A muovere il tutto ci penserà un processore snapdragon 810 con architettura 64bit che girerà su una versione custom di Android Lollipop e sarà assistito da ben 4 GB di RAM. Ancora impossibili da conoscere la data di lancio e il prezzo di listino, ma vale la pena attendere ancora un po’ per conoscere i dettagli ufficiali (ed eventualmente rompere il salvadanaio). n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE SMARTHOME Un nuovo servizio web che pochi conoscono, in grado di automatizzare tutto IFTTT: cos’è, come funziona e perché è utile “If This Then That, se succede questo, fai quello” funziona tramite regole dette “ricette” “I di Roberto PEZZALI f This Then That”, ovvero se succede questo allora fai quello. IFTTT è un servizio online che pochi conoscono, ma davvero utile e facilissimo da utilizzare. Disponibile come sito web e come applicazione per smartphone Android e iOS, IFTTT è una sorta di maggiordomo virtuale in grado di automatizzare tutto. Il principio di funzionamento di IFTTT è banale e davvero alla portata di tutti secondo la regola dell’azione / reazione: se succede una determinata cosa, allora deve scattare una determinata reazione. Il tutto tramite semplici regole scritte dagli utenti e denominate ricette, da creare partendo da zero oppure da scegliere tra quelle già scritte da altri e personalizzabili. IFTTT sta diventando sempre più diffuso perché, partendo da una base di elementi “banali”, è riuscito a coinvolgere moltissimi produttori che si sono adeguati alla sua logica: tra i prodotti disponibili oggi sul sito ci sono decine e decine di prodotti e accessori che possono essere usati per creare le ricette, dai servizi web a accessori come gli interruttori WeMo di Belkin, i termostati intelligenti Nest e la stazione meteo Netatmo. Il principio è semplice e flessibilissimo: se il termostato rivela una temperatura di “XXX” allora fai questo, oppure “Se scattiamo una foto con l’iPhone allora fai quell’altro”. A eseguire l’azione ci pensa IFTTT, dopo aver dato ovviamente le autorizzazioni ai vari elementi. IFTTT è in pratica la prima vera lingua universale per l’Internet e delle cose e per far interagire tra loro elementi connessi di diversi produttori, anche se ovviamente siamo noi a decidere cosa deve succedere e quando. Se utilizziamo ad esempio Kim Dotcom lancia un servizio di chat online crittografata, che si chiama MegaChat. Secondo il creatore del defunto Megaupload è un fenomeno virale e sarà uno Skype Killer di Massimiliano ZOCCHI “iOS Location”, ovvero il servizio di anche cose più curiose: il cambio dellocalizzazione dell’iPhone, possiamo lo sfondo quando inizia una partita di chiedere a IFTTT di spegnere il riscal- calcio oppure il cambio di colore delle damento o le luci Philips Hue quando luci Philips quando la stazione spaziale ci allontaniamo da casa. Le ricette sono passa sopra una determinata posizioinfinite: c’è chi vuole una notifica se un ne. IFTTT è un servizio totalmente grasito pubblica una notizia, o semplice- tuito davvero utile per mettere insieme mente vuole pubblicare su Facebook due servizi o applicazioni che non sono la foto appena scattata con l’iPhone in fatti per stare insieme e per dialogare, automatico. Il servizio è aperto anche ed è un primo vero passo verso l’Interalle richieste più bizzarre: si può ad net delle Cose senza però lasciare alle esempio chiedere di pubblicare una “cose” l’iniziativa. Qui decide l’utente. foto se la temperatura scende sotto i 10°, oppure accendere la luce se si riceve una mail da un particolare destinatario o se DDay pubblica una nuova notizia. Tra le ricette create dagli altri utenti più interessanti si trova ad esempio la possibilità di salvare automaticamente gli SMS in un documento su Google Drive, oppure una notifica su iOS quando una determinata azione scende oltre Alcune ricette degli utenti una soglia. Si trovano Creare una ricetta è semplicissimo. Si deve solo scegliere il “this” e il “that” torna al sommario MegaChat, La mossa antiSkype di Kim Dotcom Alcuni dei servizi che possono scatenare il “this” Un vulcano di idee, Kim Dotcom (Kim Schmitz in origine). Dopo la chiusura di Megaupload, le accuse e arresti per crimini vari e la creazione di Mega e Baboom, ora è la volta dell’attacco al mondo delle chat online con la sua nuova piattaforma, che (guarda caso) si chiama MegaChat. Kim ha postato un tweet in cui annunciava il rilascio del nuovo progetto, step by step come lui stesso ha dichiarato. Una nuova chat online, funzionante all’interno del browser e con dati crittografati end to end. Al momento funziona solo la parte di videochiamata, ma la chat testuale e le funzionalità di videoconferenza arriveranno presto. Sfruttando le recenti accuse a Microsoft, rea di aver aiutato l’NSA a spiare utenti Skype, Dotcom ritiene che il suo servizio potrebbe diventare uno “Skype Killer”. La nuova chat pare stia diventando un fenomeno virale, con oltre un milione di inviti già effettuati, e con applicazioni mobile che arriveranno a breve. Kim Dotcom ritiene che i problemi di sicurezza sofferti da Mega tempo fa (furono rubate password) siano acqua passata, e ha sfidato la comunità a trovare falle di sicurezza, promettendo una ricompensa adeguata per chi segnali bug o difetti. Voi vi fidereste a lasciare le vostre conversazioni private nelle mani di questo individuo? n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE SCIENZA E FUTURO L’ultima “follia” di Elon Musk è creare una rete Internet orbitante SpaceX porterà Internet nello spazio Non è solo un progetto di banda larga, ma anche un’alternativa più veloce alle dorsali terrestri di Paolo CENTOFANTI lon Musk ha rivelato ulteriori dettagli sul suo progetto di realizzare una flotta di satelliti per creare una sorta di Internet orbitante. La notizia principale è che non si tratta solo di un nuovo progetto sulla scia di quelli di Google e Facebook per portare Internet a banda larga anche nei paesi in via di sviluppo e nelle zone più remote del pianeta, ma anche per costruire un’alternativa veloce alle principali dorsali in fibra. In sostanza, dice Musk, si potrebbero migliorare le prestazioni di Internet spostando il routing dei dati dalla rete terrestre - che ha un gran numero di nodi - ad una dedicata in cui lo smistamento dei pacchetti avviene in orbita. Qualcuno potrebbe stare già pensando “ma come la mettiamo con la latenza delle trasmissioni satellitari?”. La risposta è che non si tratterà di una rete di satelliti geostazionari, ma a bassa orbita, indicativamente 1200 Km (per cui teoricamente si parla di ritardi dell’odine degli 8 millisecondi). Il progetto verrà sviluppato da SpaceX nella sede di Seattle e inizialmente coinvol- E La divisione Research di Microsoft sta sperimentando un nuovo sistema di ricarica senza fili che sfrutta un semplice fascio di luce per ricaricare la batteria degli smartphone gerà un personale di 60 persone che potrebbe arrivare a 1000 nei prossimi tre o quattro anni. L’altra novità è che, rispetto a quanto era emerso lo scorso novembre, il progetto di SpaceX sarà separato e anzi in competizione con quello lanciato da Greg Wyler, OneWeb (finanziato da Virgin e Qualcomm). Inizialmente si era parlato di una collaborazione tra i due imprenditori ma, stando a quanto dichiarato da Musk, ci sono troppe diver- genze di vedute sull’architettura che dovrà avere la rete satellitare; in particolare Wyler vorrebbe dei satelliti più semplici e meno costosi, mentre Musk punta a dei dispositivi più sofisticati. Il risultato è che mentre OneWeb punta a un costo di realizzazione di 2 miliardi di dollari, quello di SpaceX sarà dell’ordine dei 10 miliardi di dollari. Ma Musk pensa in grande e dice che già guarda a portare la connessione anche alle future colonie su Marte. SCIENZA E FUTURO Il progetto del treno supersonico è un’idea rivoluzionaria per i trasporti Hyperloop, il treno supersonico, partirà dal Texas Elon Mask, CEO di Tesla e SpaceX, ha dato il via alle prove del circuito di 8 km per sperimentare il treno di Roberto PEZZALI i viaggia all’interno di capsule a levitazione magnetica alla velocità di 1200 Km/h, quanto basta per fare Milano - Roma in 20 minuti. Quando Elon Mask, CEO di Tesla e SpaceX, annunciò il progetto Hyperloop, la comunità si divise tra scettici e entusiasti. Ai tempi Musk dichiarò che non avrebbe avuto tempo di occuparsi del progetto: le altre aziende a cui fa capo richiedevano troppo impegno, tuttavia avrebbe aiutato e lasciato aperto il progetto Hyperloop per permettere a tutti gli interessati di lavo- S torna al sommario Kinect vede dove metti lo smartphone E te lo ricarica rare sul treno supersonico. Ora l’annuncio: “verrà costruito un circuito di prova lungo 8 Km probabilmente in Texas”, un circuito che servirà ad aziende e gruppi di studenti per provare e sperimentare i loro design di capsule. Il sistema Hyperloop non è complesso: è un tubo chiuso dove gli elementi si muovono sfruttando la spinta dell’aria. Musk specifica che tutto il progetto sarà finanziato esclu- sivamente da privati e aggiunge che potrà essere usato anche per realizzare contest e gare tra capsule e veicoli di diverso tipo. Un’idea questa che, se funzionasse, sarebbe una vera rivoluzione per i trasporti: le capsule possono partire a distanza di 30 secondi una dall’altra, viaggiano in tubi sopraelevati che non richiedono grosse opere civili e soprattutto dal costo di manutenzione contenuto. di V. R. BARASSI l ricercatori Yunxin Liu, Zhen Qin e Chunshui Zhao della divisione Microsoft Research di Pechino stanno lavorando a un interessante progetto (i cui dettagli sono spiegati in questo PDF) che vede come protagonisti lo smartphone del futuro e il suo sistema di ricarica della batteria. Oggi esistono già modalità di ricarica wireless (ad induzione) ma spingersi oltre potrebbe essere pericoloso per la salute oltre che poco pratico, da cui l’idea dei due ricercatori: perché non ricaricare lo smartphone con la luce? Basterà equipaggiare i dispositivi con pellicole fotovoltaiche e dirigere un fascio di luce direttamente sullo smartphone per iniziare la ricarica della batteria; l’idea dei ricercatori prevede l’utilizzo congiunto di una telecamera attaccata al soffitto - Kinect - in grado di riconoscere gli smartphone presenti nei paraggi e di una lampada orientabile connessa, pensata per ruotare e indirizzare la luce in direzione dei device che necessitano di ricarica. Tutto in automatico, senza fare nulla. Il riconoscimento dello smartphone è affidato ad un software ad hoc mentre le informazioni sulla percentuale di carica della batterie sono appannaggio di un microcontroller LED presente sullo stesso device. Se il dispositivo necessita di ricarica, questa parte in meno di un secondo mentre il riconoscimento impiega ancora meno: 0,3 secondi.Quella dei ricercatori cinesi è una visione di quel che potrebbe essere in futuro la procedura di ricarica dei dispositivi mobile ma siamo ancora lontani dall’arrivare a qualcosa di concreto. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE GAMING Xbox One è da due mesi la console più venduta negli USA, e continua a vendere bene Xbox One bene negli USA, ma a 349 dollari Il merito è del ribasso per Natale, che Microsoft ripropone. 349 $ sembrano il giusto prezzo di Roberto PEZZALI icrosoft abbassa ancora il prezzo di Xbox One, e sembra aver trovato quello che forse è il prezzo giusto per sorpassare, almeno in patria PS4. La riduzione da 399$ a 349$ ha infatti permesso a Microsoft di restare in testa alla classifica delle console più vendute nel periodo più caldo dell’anno, con un trend di vendita superiore a quello della Xbox 360 nello stesso periodo. Una nota positiva, anche se l’anno lo chiude al primo posto Sony che non ha ancora perso il vantaggio iniziale accumulato dalla sua console. Dopo aver riportato il prezzo a 399$, scaduta la promozione, Microsoft M ha deciso di abbassarlo nuovamente: quei 50$ in più probabilmente non piacciono al consumatore e spingono all’acquisto di Xbox piuttosto che di PS4, posizionata ancora a 399$. Al momento non sono state annunciate promozioni simili al di fuori degli States, ma, se la cosa dovesse funzionare, è probabile che Microsoft faccia quel piccolo sforzo per pareggiare finalmente i conti. A 349 euro Xbox One, soprattutto ora che con media player e tuner è diventata un vero media center, farebbe gola a molti. PS4 resta comunque la scelta preferita per chi guarda film porno: secondo una infografica realizzata dal sito americano SugarDVD, una sor- ta di Netflix a luci rosse, gli utenti di PS4 hanno battuto 2.5:1 gli utenti di Xbox One nella visione di contenuti a luci rosse. Chi l’ha detto che la console Sony è buona solo per giocare? GADGET Altroché Google Glass: ecco il progetto Magic Leap su cui Google ha investito molto Ecco come Google immagina la realtà aumentata Un mix di realtà aumentata e virtuale in cui ognuno vive e interagisce in ambienti digitali di Emanuele VILLA D a un lato Google mette a serio rischio il progetto Glass (che però pare sopravviva), dall’altro sta già pensando a “what’s next”, ovvero alla versione futuristica della realtà aumentata. Che poi tanto futuristica potrebbe non essere, considerando che Mountain View ha investito 542 milioni di dollari in Magic Leap, un progetto di realtà aumentata di cui si sa poco o nulla ad eccezione del fatto che sia “rivoluzionario”. Fortunatamente oggi abbiamo le idee più chiare grazie al solito brevetto comparso sul sito del US Patent and Trademark Office. Un file enorme che, lungi da dimostrarci come sarà il prodotto finale (che comunque sembra richiamare proprio Glass), quanto meno ci fa capire dove si sta rivolgendo l’attenzio- torna al sommario ne di Google. Ed è davvero un progetto enorme, con tanto di risvolti inquietanti: come emerge dalle immagini, pubblicate qui sotto, l’idea è quella di passare da una situazione di realtà aumentata in cui nel quadro reale compaiono informazioni di diverso tipo a una vera e propria realtà virtuale “a comando”, che però mantenga un certo tipo di legame col reale che ci circonda. Qualche esempio? Durante una visita al supermercato, un utente può visualizzare la lista della spesa sovrapposta al proprio carrello e segnare poco alla volta gli acquisti che fa, mentre il secondo utente (nella fattispecie una bambina) può giocare con mostri che compaiono dagli scaffali e che sconvolgono (virtualmente) la disposizione dei prodotti e degli oggetti presenti in negozio. Oppure, supponendo di essere in un ospedale, il medico può generare un modello 3D di un cuore per illustrare la situazione clinica del paziente e quest’ultimo, per rilassarsi, può “sostituire” l’ambiente ospedaliero che lo circonda con una bella spiaggia tropicale. L’idea è molto ambiziosa: si tratta di fondere realtà aumentata con ambienti virtuali, permettendo alle persone di arricchire la propria esperienza non solo con informazioni aggiuntive ma con veri e propri modelli digitali tridimensionali. Anche piuttosto inquietante, a dire il vero, visto che si tratterebbe di vivere in una sorta di realtà parallela e non semplicemente di utilizzarla “una tantum” per giocare o divertirsi. Resta il fatto che difficilmente vedremo Magic Leap all’opera in tempi brevi, se non sotto forma di prototipo. Edicola Italiana spera di diventare la Spotify delle riviste Nasce Edicola Italiana, un chiosco digitale con sottoscrizione ad abbonamento per poter accedere a riviste e quotidiani. L’idea è buona, ma il catalogo ridotto e i prezzi non competitivi di Roberto PEZZALI La formula “all you can” piace: dopo la musica con Spotify, Deezer e servizi simili, i film con Netflix e Infinity, i libri con Kindle Unlimited, arrivano ora anche le riviste. È attivo infatti Edicola Italiana, un servizio nato in collaborazione con il Consorzio Edicola Italiana che mette in vendita oltre 60 quotidiani e periodici in versione digitale. Per le riviste la novità è la formula All You Can Read: due abbonamenti da 9,90 euro e 14,90 euro per accedere a tutti i mensili nel primo caso e a tutti i mensili e settimanali nel secondo caso. L’idea è buona, ma prezzi, catalogo e implementazione lasciano molto a desiderare tanto che è preferibile continuare a frequentare l’edicola. Nel caso dei mensili la scelta si riduce a una decina di riviste femminili e per l’abbonamento top da 14.90 euro c’è qualche aggiunta ma niente di eclatante: manca ad esempio tra gli editori Condé Nast e mancano praticamente tutte le riviste specializzate. Inoltre, non è prevista la consultazione offline. Secondo le FAQ sono poi supportati solo Chrome e Safari, e non si capisce se i numeri vecchi restano consultabili o no. Separata la sezione quotidiani: qui non c’è “all you can read” e ci si può abbonare solo alla singola testata, ma il costo è simile a quello degli abbonamenti proposti dai vari editori. n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE FOTOGRAFIA Rinnovato il comparto fotocamere compatte Fujifilm con tre modelli: Fujifilm XQ2, FinePix S9800 e XP80 Sportiva, classica e superzoom: le nuove compatte Fujifilm C’è la XQ2 con ottime caratteristiche tecniche, la bridge con obiettivo superzoom e la rugged per le vacanze più “pericolose” di Michele LEPORI ltre alla mirrorless X-A2, Fujifilm ha rinnovato anche il proprio parco di fotocamere compatte con tre nuovi innesti. Per chi fosse alla ricerca di prestazioni di livello ma ha importanti restrizioni in termini di peso e dimensioni, la Fujifilm XQ2 può essere la quadratura del cerchio: sensore X-Trans CMOS II da 2/3” e 12 MP, l’esclusivo filtro colore a matrice di pixel altamente casuale che permette il passaggio diretto della luce dall’obiettivo al sensore senza bisogno di un filtro passa-basso e un obiettivo 25100mm f/1,8-4,9 con stabilizzazione a 3 stop e zoom 4x ottico che diventano 16x digitale. Caratteristiche davvero interessanti, specie su un corpo macchina di 100 x 58 x 33 mm, che vanno a sommarsi all’autofocus da soli 0,06 secondi - il più veloce della categoria - un ampio valore ISO100 - 12800 e le stesse modalità di scatto e ripresa della sorella maggiore X-A2. Rimaniamo in tema di versatilità d’uso declinato non tanto in termini di peso e dimensioni quanto proprio in tema di “una fotocamera adatta a O tante situazioni”: per tutti coloro i quali hanno un brutto rapporto col cambio dell’obiettivo, la Fujifilm FinePix S9800 potrebbe essere la panacea fotografica grazie al suo obiettivo 24 - 12.000mm (non c’è uno 0 di troppo) f/2,9-6,5 con zoom ottico 50x e sensore BSI CMOS da 1/2,3” da 16,2 MP. Un “mostro” di prestazioni che a detta di Fujifilm non teme concorrenza ed andrà a soddisfare anche chi è alla ricerca di un ottima fotocamera per scatti macro grazie al Super Macro da 1 cm di distanza e per riprendere filmati di qualità grazie al suo sistema di stabilizzazione a 5 assi (2 ottici, 3 elettronici). Chiude il tris la piccola della famiglia FinePix, XP80, il modello di casa Fuji- film dedicato a chi vuole usare la fotocamera ovunque senza paura di piccoli, grandi incidenti e soprattutto per chi vuole condividere ogni momento sui social network senza aver bisogno di un computer per scaricare le foto. La sua impermeabilità alla polvere, all’acqua fino a 15m, la resistenza alle cadute da 1,75 m unita alla possibilità di operare fino a -10° la rende una fotocamera adatta ai safari, alle immersioni, alle uscite in montagna ed a tutte le situazioni “rischiose” delle vacanze. Tecnicamente parlando, la Fujifilm XP80 monta un obiettivo 28mm con zoom ottico 5x e digitale 10x su un sensore BSI CMOS da 1/2,3” da 16,4 MP: la possibilità di connessione alla rete permette alla XP80 di interfacciarsi anche con smartphone e tablet per essere controllata da remoto, magari in combinazione con l’obiettivo opzionale fisso 18mm per le riprese Full HD in modalità FUJIFILM FINEPIX S9800 FUJIFILM XP80 “action camera”. La dotazione di filtri di elaborazione è la stessa della gamma Fujifilm, qui arricchita di una modalità “panorama 360°” Al momento non si hanno ancora informazioni dettagliate su prezzi e disponibilità, ma vi terremo aggiornati non appena Fujifilm comunicherà informazioni più precise. FOTOGRAFIA Apparse online le prime immagini “leaked” della mirrorless Samsung NX500 Samsung NX500, la mirrorless “top” con Tizen Sensore APS-C da 28 Megapixel e sistema operativo Tizen. Presentazione a brevissimo di Emanuele VILLA amsung sembra voler fare sul serio con Tizen: dopo l’ultima generazione di Smartwatch Gear, una mirrorless e il primo telefono basato sul “suo” sistema operativo (Z1, dedicato al mercato indiano), il colosso del- S torna al sommario l’elettronica si appresta a presentare una seconda fotocamera micrrorless Tizen, ovvero NX500. È un rumor, ma le immagini “leaked”, unite alla possibilità di preordine presso alcuni retailer americani, danno alla notizia un sapore prossimo all’ufficiali- tà. Quello che non si sa è quando verrà presentata ufficialmente, mentre sulle specifiche tecniche si hanno maggiori dettagli: il sensore sarà un APS-C da 28 MP, capace di una sensibilità ISO 100-25.600, mentre il processore d’immagine sarà il nuovo D5s; previsto un sistema di AF ibrido da 55ms e la possibilità di scattare raffiche a 9fps, la velocità massima dell’otturatore è 1/6000s e sarà presente un LCD da 3’’ orientabile con tecnologia Amoled. A livello di connettività sono previsti Wi-Fi, Bluetooth e NFC. La disponibilità è prevista in tre colori: nero, marrone e bianco. Maggiori dettagli al momento dell’ufficialità. MAGAZINE Estratto dal quotidiano online www.DDAY.it Registrazione Tribunale di Milano n. 416 del 28 settembre 2009 direttore responsabile Gianfranco Giardina editing Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago, Simona Zucca Editore Scripta Manent Servizi Editoriali srl via Gallarate, 76 - 20151 Milano P.I. 11967100154 Per informazioni [email protected] Per la pubblicità [email protected] n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE TEST Netgear può tornare utile in molti casi di utilizzo e comunque ha un prezzo interessante: sul web si trova anche sotto i 30 euro In prova Netgear Trek, il router multiuso portatile È un dispositivo multiuso compatto e portatile che funziona da router da viaggio, access point, bridge e range extender di Paolo CENTOFANTI iamo abituati a pensare al router o all’access point Wi-Fi come qualcosa di fisso e da piazzare vicino al modem o nel caso di modem/router alla presa del telefono. Con Trek invece, Netgear ha realizzato un piccolo e compatto router o meglio un dispositivo multiuso che può essere utilizzato anche come WiFi extender o ancora bridge per collegare in WiFi alla rete domestiche dispositivi come Smart TV o lettori Blu-ray privi di connettività wireless. Ma la portabilità fa di Trek soprattutto un router da viaggio, utile a chi ha bisogno di condividere l’accesso a un hotspot pubblico (in albergo ad esempio) con più dispositivi contemporaneamente. S video lab Un dispositivo, tanti utilizzi Guardandolo così, Netgear Trek ha l’aria di tutto fuorché di un router: un piccolo parallelepipedo con una spina di alimentazione integrata. Quello che potremmo definire il frontale del dispositivo in realtà ruota per diventare l’antenna per la connettività WiFi. Su un lato troviamo il selettore di accensione e modalità d’uso (wired o wireless), su un altro due porte di rete ethernet e una USB. Infine, vicino alla spina, c’è un adesivo con le credenziali di accesso di default e una porta micro USB per l’alimentazione del dispositivo tramite un PC portatile o un battery pack USB, utile per quando si vuole utilizzare il router ad esempio in un locale pubblico senza dare troppo dell’occhio. Le due porte LAN funzionano da switch, ma una è designata anche come porta WAN a seconda del modo d’uso configurato sul Trek. La peculiarità di Trek è proprio la sua versatilità e ogni destinazione d’uso ha la sua modalità di collegamento. Collegando la porta WAN al modem o a una rete fissa già esistente il dispositivo funzionerà da router o hotspot WiFi. Viceversa se colleghiamo la porta di rete ad esempio a un TV o a un lettore Blu-ray, potremo utilizzarlo come bridge WiFi per collegare quei dispositivi che sono privi di connettività senza fili alla nostra rete domestica. Semplicemente inserito nell’alimentazione può fare da range extender oppure da semplice router WiFi. L’apposito selettore permette di impostare il tipo di connessione a Internet tra via cavo La dashboard web da cui si gestiscono tutte le funzioni e wireless, ma il grosso della configurazione del Trek. avviene tramite l’interfaccia web. Interfaccia ostica, ma la configurazione è semplice La configurazione consiste essenzialmente nell’inserire i dati della rete WiFi a cui ci si vuole collegare. In generale modem, router e apparati di rete in generale non hanno la nomea di dispositivi dalla configurazione intuitiva e anche questo prodotto Netgear non fa eccezione: senza l’apposita guida immaginiamo che i meno esperti possano trovarsi in difficoltà e l’interfaccia web del Trek è essenzialmente quella di un classico router: poco elegante e non pensata per chi magari di networking non sa assolutamente nulla. La procedura di installazione non è comunque eccessivamente complicata e nella maggior parte degli scenari consiste nel selezionare una rete wireless esistente e immettere i dati di accesso. A questo punto è possibile scegliere se utilizzare il Trek come ripetitore spuntando l’apposita casella che compare sopra l’elenco delle reti. Altrimenti viene creata una nuova rete e Trek funzionerà come un normale router. La configurazione verrà salvata in un profilo, che verrà caricato automaticamente a ogni accensione del dispositivo in funzione della rete disponibile dove portiamo di volta in volta il Trek. Nel caso di utilizzo come ripetitore sta comunque all’utente nel caso impostare lo stesso nome SSID per la rete WiFi che si vuole estendere (sempre che non si vogliano tenere distinti i nomi delle due reti). Da notare inoltre che quando si utilizza come WAN una rete wireless, la rete “rigenerata” opera sempre sui 2,4 GHz (per di più sullo stesso canale), il che non è esattamente il massimo, ma purtroppo se il Trek ha un limite è quello di non supportare la banda dei 5 GHz. Nel caso invece di hotspot pubblici il Trek può essere utilizzato solo per quei servizi che non utilizzano una pagina di autenticazione web (molti aeroporti e alberghi richiedono di compilare un form online per accedere al servizio) il che ne limita l’utilizzabilità. Per il resto non è che ci siano chissà quali segue a pagina 38 torna al sommario n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE PC LG presenta i nuovi Ultrabook, tra cui un modello da 14’’ e 980 grammi e un All in One da 29” Tra le novità LG, un All-in-one 21:9 curvo I PC saranno disponibili a breve ma inizialmente solo in Corea e America Latina di Andrea ZUFFI G ha annunciato nuovi modelli di PC, in particolare ultrabook e all-in-one per la casa. Nella prima categoria, il modello 14Z950 si distingue per il peso “piuma” di 980 grammi in uno spessore di 13,4 mm. Il display è da 14 pollici IPS con risoluzione Full HD e funzionalità Reader Mode per un minore affaticamento degli occhi. Il processore in dotazione è un Intel Core di quinta generazione (Broadwell a 14 nm) e, per una migliore resa audio, è prevista l’integrazione di un chip Wolfson. L Nonostante il peso e le dimensioni, la durata dichiarata della batteria è di oltre 10 ore. Questo ultrabook appare molto curato anche nell’estetica grazie alla finitura metallica e alla presenza di alcuni inserti luminosi su retro del display. LG prevede inoltre il lancio di una versione da 13” (13Z950) con le stesse caratteristiche del modello da 14 pollici. Altra novità per il produttore coreano è il modello All-In-One 29V950, con display TEST Netgear Trek, il router multiuso portatile segue Da pagina 37 opzioni di configurazione e persino il firewall è molto semplificato e l’utente può più che altro impostare manualmente quali servizi eventualmente bloccare. Fa quello che dice, ma dual band sarebbe stato meglio Abbiamo testato il Trek in diverse configurazioni: come ripetitore in un’abitazione con problemi di copertura wireless, come ripetitore nella nostra reda- torna al sommario 29” UltraWide con formato 21:9. La particolarità di questo pannello è quella di esser curvo e di poter essere utilizzato anche come TV. Lo switch dalla modalità PC a quella TV può essere operata rapidamente senza riavviare della macchina. Anche qui il processore è un Intel Core di quinta generazione. La funzione HomeDrive permette l’accesso a tutti i file contenuti sul PC anche da smartphone e tablet. E ora c’è anche il PC dentro il mouse Nella corsa alla miniaturizzazione dei computer mancava solo il mouse, ovvero il computer completamente integrato nel suo strumento di gestione per eccellenza. Ma questo video colma la “grave” lacuna. Si chiama Mouse Box ed è un computer fatto e finito: oltre ad essere un mouse a tutti gli effetti, con tanto di rotellina di scroll e due prese USB 3, Mouse Box incorpora un processore ARM quad core da 1.4 GHz e 128 GB di memoria di storage. Sono presenti un accelerometro, un giroscopio, Wi-Fi b/g/n e anche un connettore micro HDMI per il collegamento diretto a un monitor o proiettore esterno. È anche prevista la possibilità di collegare il dispositivo a un ricevitore HDMI wireless e lo stesso vale per la ricarica dell’apparecchio: i realizzatori hanno studiato un mousepad che funge anche da caricabatteria a induzione. Mouse Box è in fase di prototipo e lo studio polacco che l’ha realizzato cerca finanziatori che credano nel progetto. zione giusto per testare la velocità massima e come semplice hotspot wireless. In situazioni di scarsa copertura il dispositivo si è comportato piuttosto bene. Basta installarlo in una zona dove il segnale della rete da estendere sia sufficientemente robusto per avere una buona copertura supplementare e con un collegamento stabile con i propri dispositivi. Ovviamente in questo Anche la gestione di un disco esterno collegato via USB è abbacaso le prestazioni dipendono forstanza spartana. temente dalla qualità del segnale nella zona dove abbiamo installato il Trek. Per questo motivo, per avere un’idea delle prestazioni massime, abbiamo effetla velocità di trasferimento file collegando un hard tuato un test nella nostra redazione dove possiamo disk esterno alla porta USB. Il Netgear Trek offre contare su una connessione a banda ultra larga. Abesclusivamente la funzionalità di condivisione Winbiamo impostato il Trek per ripetere il segnale del dows delle cartelle (tra l’altro con ben poche possinostro router WiFi dal quale usualmente otteniamo bilità di configurazione), ma la velocità di scrittura e lettura si aggira intorno ai 3 MB/s per cui va giusto una velocità di download da Internet tra i 50 e i 60 Mbit/s. Collegandoci tramite il Netgear come nodo bene per condividere al volo qualche documento intermedio, la velocità scende circa della metà, in da chiavette o dischi portatili, ma gestire file multimedia 24 Mbit/s collegandoci in 802.11n. Del resto mediali di grosse dimensioni diventa poco pratico. come abbiamo visto è un dispositivo single band. Inoltre Trek non integra comunque la funzione di Questo è quindi più o meno il massimo che si può server DLNA. Pur con i limiti che abbiamo visto, il ditirare fuori dal Trek come ripetitore. In generale spositivo Netgear può dunque tornare utile in molti come access point ci è parso piuttosto stabile, non casi di utilizzo e comunque ha un prezzo piuttosto abbiamo riscontrato cadute di connessione o ralleninteressante, visto che sul web si trova ormai anche sotto i 30 euro. tamenti improvvisi. Quello che ci ha un po’ deluso è n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE TEST NVIDIA Tablet Shield è uno dei pochi tablet che ha già ricevuto l’aggiornamento a Android Lollipop. Lo abbiamo provato INVIDIA Shield Tablet con Android 5.0 in prova Tanti assi nella manica e un prezzo contenuto Processore potente, schermo Full HD e modem LTE integrato: Tablet Shield è un ottimo tablet da gioco, adatto a tutti N di Roberto PEZZALI asce per giocare, ma Tablet Shield è molto di più: è uno dei pochi tablet capaci di offrire un’esperienza Android “stock” con un processore potente e un prezzo contenuto. Abbiamo deciso di provarlo a mesi dal suo lancio per un semplice motivo: Tablet Shield è uno dei pochi che ha già ricevuto l’aggiornamento a Android Lollipop e continua a ricevere gli update OTA per ogni nuova versione del sistema operativo di Google. Tutto questo a un prezzo decisamente competitivo se si calcola che Shield costa 299 euro in versione Wi-Fi e 379 euro in versione LTE con 32 GB di memoria. In pratica, Shield è una versione ridotta del Nexus 9 di Google e destinata ad un pubblico un po’ più evoluto: ha uno schermo da 8”, dimensioni ritenuta perfetta per bilanciare fruibilità e ingombro, ha un potente processore Tegra K1 e soprattutto ha una serie di funzionalità improntate al gaming che non hanno pari sul mercato. Rispetto a Google si rinuncia qualcosa soprattutto dal punto di vista estetico e visivo (lo schermo usato da Google è migliore), ma Tablet Shield costa meno e ha altri assi nella manica. video lab Nvidia SHIELD Tablet Shield nasce per soddisfare le esigenze dei giocatori che con GRID possono spostare in ambito “mobile” giochi nati per sistemi desktop. Tuttavia la parte “gioco” è solo un aspetto del tablet: con LTE integrato, penna per appunti e Lollipop Shield è un vero tuttofare che può davvero accontentare tutti. Il piatto che NVIDIA ha preparato è davvero ricco: buona costruzione, tante funzionalità, potenza impressionante, Lollipop a bordo e prezzo ok, con un solo segno meno alla durata della batteria in modalità gaming. Non è bellissimo, ma la sostanza c’è NVIDIA non ha badato troppo a design e orpelli: il target sono i gamer e questi preferiscono la sostanza. Difficile dire che Shield sia bello: è un normale tablet costruito in modo massiccio con un rivestimento posteriore soft che assicura un buon grip. Una cosa va detta: massiccio non vuol dire cheap, anzi. Tablet Shield è costruito bene e con finiture curate, e la sensazione è comunque quella di avere tra le mani un prodotto Premium che vale ciò che si è pagato. La parte frontale è occupata dallo schermo da 8” in formato 16:10: difficile dire se sia il formato adatto per un tablet, ma sicuramente è quello più adeguato alla fruizione di contenuti senza sacrificare troppo la navigazione web. Una scelta ragionata, anche se per 299,00 € NON SOLO PER GIOCARE: È UN TABLET PER TUTTI 8.2 Qualità 9 Longevità 8 Design 7 Aggiornamento a Lollipop COSA CI PIACE Potenza grafica incredibile Funzionalità di gaming avanzate l’entertainment sarebbe stato meglio un 16:9. NVIDIA ha dotato Shield Tablet anche di un sistema audio di discreta qualità: i due micro speaker sono posizionati ai lati dello schermo e offrono buona resa anche a una pressione sonora moderata. Sia chiaro: un paio di cuffie o un diffusore esterno sono di gran lunga superiori, ma questo tablet suona meglio di molti altri sul mercato. Lungo il profilo quadrato NVIDIA ha inserito USB, HDMI mini per il collegamento ad un TV, slot per SIM nel caso di versione LTE e microSD per espandere la memoria interna, oltre al piccolo slot che nasconde la penna. Questa è un po’ una sorpresa per un gaming tablet, ma NVIDIA ha colto la palla al balzo per integrare in Shield le tecnologie già sperimentate con Tegra Note. L’utilizzo del processore K1 e il campionamento in tempo reale effettuato con i core Cuda permette di simulare una scrittura a pressione variabile con un normale pennino capacitivo. Semplicità 7 D-Factor 8 Prezzo 8 Assenza di Wi-Fi 810.11 ac COSA Autonomia ridotta in ambito gaming NON CI PIACE Schermo cromaticamente non impeccabile La potenza grafica è spaventosa, ma la batteria ne risente Il cuore di Tablet Shield è il processore realizzato in casa, Tegra K1. Con il mercato dominato da Qualcomm e Mediatek, i processori NVIDIA non hanno riscosso probabilmente il successo che meritavano. Tegra K1 è davvero potente, e le remore legate al rapporto con Android e con i suoi aggiornamenti non hanno più ragione di esistere da quando Google ha scelto Tegra K1 per il suo Nexus 9. Ci troviamo di fronte ad uno dei SoC mobile più potenti sul mercato, realizzato con quattro CPU Cortex A15 e una GPU con architettura derivata direttamente da Kepler, una versione ridotta delle note GPU desktop. Senza scendere troppo nei dettagli basti sapere che sotto il profilo grafico 3D Tablet Shield è probabilmente uno dei tablet più prestanti sul mercato, e come pura potenza di calcolo si posiziona tra i primi 10. Il prezzo da pagare per ottenere così tanta potenza è l’autonomia: segue a pagina 40 torna al sommario n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 TEST INVIDIA Shield Tablet in prova segue Da pagina 39 NVIDIA ha scelto una batteria da 5000 mAh e questo significa 3 ore di autonomia con molti giochi. Non molto, ma l’idea di base è la connessione alla rete elettrica quando il tablet viene usato come periferica da gioco, con controller esterno e cavo HDMI per gestire la TV. NVIDIA Tablet Shield è in assoluto uno dei tablet più veloci mai provati Come sempre, per l’autonomia valgono infinite considerazioni: se si usa il monitor esterno al posto dello schermo da 8” LCD si guadagna almeno un’ora e, allo stesso modo, se non si gioca si raggiungono le 7 / 8 ore senza problemi. NVIDIA ha comunque messo a punto uno strumento che permette di regolare in modo fine i consumi della batteria, anche se ovviamente non è per tutti. Il target a cui si rivolge Tablet Shield, abituato a smanettare con driver e overclock, sarà sicuramente in grado di spremere Shield nel migliore dei modi raggiungendo il miglior compromesso tra prestazioni e autonomia. Per quanto riguarda la connettività, il tablet a ha bordo Bluetooth 4.0 e Wi-fi 802.11 b/g/n 2x2 MIMO, mentre nella sua versione LTE si appoggia al modem Icera i500 programmabile tramite software. I modem NVIDIA non sono molto diffusi ma sono molto particolari: l’Icera i500, ad esempio, è un modem a 8 core da 1.3 GHz che MAGAZINE può essere aggiornato per supportare anche standard futuri. Al momento lavora in LTE Cat 3 a 100 Mb/s, ma potrebbe essere aggiornato per supportare CAT 4 fino a 150 Mb/s con Carrier Aggregation. Schermo solo Full HD, ma è una scelta Quando si costruisce un prodotto si devono fare delle scelte, e in questo caso quella più discutibile è l’adozione di uno schermo da 1920 x 1200, “solo” 283 ppi. In realtà non sono assolutamente pochi, e la scelta di NVIDIA è perfettamente ponderata sia per quanto riguarda l’aspect ratio sia per bilanciare performance e consumi. NVIDIA è consapevole che l’aumento della risoluzione avrebbe ridotto le prestazioni grafiche del suo processore e aumentato ulteriormente i consumi, quindi la scelta è stata quasi obbligata. Lo schermo è di buona qualità: chi gioca è abituato a schermi TN per il loro tempo di risposta e in questo caso, anche se lo schermo è IPS, la resa a schermo è discreta se guardiamo contrasto e colori. Il display del piccolo Shield ha un discreto contrasto e una resa cromatica più che sufficiente. Per i giochi nessun problema, ma schermi come quello dell’iPad o del Galaxy Tab S sono assolutamente superiori. Lollipop è elegante e veloce sono tutti elaborati in real time dal processore NVIDIA. La resa fotografica della fotocamera da 5 megapixel è buona, sempre in considerazione del fatto che un tablet non è una fotocamera. Uno smartphone moderno, comunque, fa foto migliori. Il gaming è il vero punto di forza Tablet Shield è fatto per giocare, e non è un caso che tra gli accessori disponibili sia presente un controller bluetooth realizzato a immagine e somiglianza della prima console portatile Shield. La fattura del controller è buona così come l’ergonomia, soprattutto per chi è abituato al pad di Xbox al quale NVIDIA si è evidentemente ispirata. L’obiettivo è usare il tablet come console, collegato a un TV e usato con il controller. La configurazione tipo pensata da NVIDIA si semplifica però senza TV: controller e tablet con custodia permettono di creare un piccolo ambiente gaming. La potenza grafica di Tegra K1 viene sfruttata al massimo solo dai giochi Android e tramite l’app NVIDIA vengono filtrati dallo store di Google i giochi che meritano di essere scaricati o acquistati per fruire sia della potenza del processore sia per usare il controller. I giochi per Android purtroppo non sono eccezionali e Tablet Shield è il primo tablet non Nexus ad aver ricevuto l’aggiornamento a Android 5.0 Lollipop. L’utilizzo dello stesso processore del Nexus 9 ha permesso a NVIDIA di restare al passo con gli aggiornamenti, ed effettivamente dopo la prima release è arrivato anche l’update a Lollipop 5.0.1. Il passaggio alla nuova versione di Android non ha stravolto l’esperienza utente ma ha sicuramente migliorato il tablet rendendolo non solo più veloce in alcuni aspetti ma anche più consistente tra le varie app L’utilizzo del nuovo Android Runtime (ART) ha reso più rapide molte applicazioni native, e per quanto riguarda l’uso di Shield ci sono state anche piccole novità come la gestione del controller direttamente dal Quick Menu e l’introduzione delle Android Extension Pack (AEP) insieme a Open GL ES 3.1, librerie che permettono agli sviluppatori di realizzare giochi Android con un dettaglio grafico Il display del piccolo Shield ha un discreto contrasto che si avvicina sempre di più a quello dei giochi e una resa cromatica più che sufficiente. Per i giochi desktop. nessun problema, ma schermi come quello dell’iPad o Altra novità introdotta con l’arrivo di Lollipop è il del Galaxy Tab S sono assolutamente superiori. supporto al 4K nel Console Mode, ovvero la modalità che si può attivare quando si gioca su un TV esterno. Se si collega Shield ad un TV 4K tramite cavo HDMI sarà la console a fare l’upscaling dei giochi e a visualizzare i giochi Android in 4K se questi supportano la risoluzione più elevata. Rispetto ad Android Lollipop, NVIDIA ha introdotto una serie di applicazioni: c’è Dabbler per disegnare, Write per scrivere con la penna e un’evoluta app per la fotocamera oltre ai vari menu per la gestione delle impostazioni di ottimizzazione energia, controller e stilo. Camera Awesome di SmugMug, l’app scelta per la fotocamera, integra alcune migliorie che si integrano con il processore computazionaNVIDIA Tablet Shield è in assoluto uno dei tablet più le Chimera di Tegra K1: effetti Live in tempo reale, veloci mai provati. elaborazione HDR e gestione della messa a fuoco segue a pagina 41 torna al sommario n.104 / 15 26 GENNAIO 2015 MAGAZINE MERCATO Maxi operazione messa in atto dalla Guardia di Finanza che ha portato alla chiusura e al blocco di 124 siti Internet Sky Italia chiama, la GdF risponde: oscurati 124 siti pirata L’indagine è scaturita da una denuncia di Sky Italia. I siti offrivano illegalmente film, serie TV ed eventi sportivi live in streaming di Paolo CENTOFANTI 24 siti sono stati oscurati dall’Internet italiano tramite blocco sui DNS in seguito a una maxi operazione messa in atto dalla Guardia di Finanza. Ne ha dato notizia l’arma stessa con un comunicato stampa rilasciato domenica 25 gennaio. L’indagine, a cui è seguita l’operazione di oscuramento battezzata “Match Off”, è scaturita sulla base di una denuncia di Sky Italia, che ha portato all’identificazione degli oltre 100 siti web che offrivano illegalmente lo streaming di contenuti protetti da diritto d’autore: non solo film e serie TV, ma anche eventi sportivi dal vivo: “In particolare, è stato accertato che venivano offerti contenuti pirata sia in modalità “streaming live” cioè in diretta, che in modalità “streaming on demand”, fruibili, quindi, a richiesta degli interessati.Tutti i siti, posizionati su server all’estero, riportavano veri e propri palinsesti organizzati per facilitare la 1 scelta del programma preferito.” La Guardia di Finanza sottolinea come, oltre al danno nei confronti dei legittimi detentori dei diritti di sfruttamento delle opere ed eventi ospitati illegalmente, alcuni dei siti oscurati avessero messo in pratica un sistema per frodare anche le agenzie pubblicitarie i cui banner erano ospitati sulle pagine TEST INVIDIA Shield Tablet in prova segue Da pagina 40 lo sappiamo: ci sarà un motivo se i giochi per console costano svariate decine di euro mentre con pochi euro se ne scarica uno per tablet o smartphone; effettivamente anche quelli più costosi non sono niente di speciale. Fortunatamente Tablet Shield offre tre possibilità ai gamer e chi non è soddisfatto dei giochi di Android può ripiegare su due modalità di game streaming. La prima è GameStream: il PC desktop fa da server e invia i giochi in rete alla console, un piccolo cloud in casa che per funzionare necessita di un computer con una scheda video NVIDIA GTX650 o superiori, un router dual band e tastiera / mouse Bluetooth per i giochi che lo richiedono. GameStream funziona bene, supporta fino a 1080p a 60 Hz e ha una latenza davvero minima se la rete locale è sgombra e il segnale è buono. Non è ovviamente una cosa per tutti, visti anche i requisiti hardware, ma coloro che già possiedono un PC da gioco basato su piattaforma NVIDIA e hanno una collezione di giochi possono inviarli tramite wi-fi al tablet. Chi ha una connessione veloce in upload può anche tentare di giocare fuori dalle mura di casa, sfruttando la connessione LTE: una funzione beta che però sconsigliamo per l’elevata latenza e l’utilizzo di dati LTE (che costano ancora cari). L’altra modalità, di cui abbiamo parlato anche qui, è torna al sommario contestate, attraverso dei bot che generavano click fittizi per massimizzare i profitti. Nell’occhio della Guardia di Finanza ci sono ora proprio anche le concessionarie pubblicitarie che hanno fatto affari con i siti pirata: “Sono in corso, pertanto, attività di analisi informatica per rilevare le concessionarie di pubblicità che hanno Grid, il cloud gaming di NVIDIA. Il sistema è in beta e viene arricchito settimanalmente con nuovi giochi, ma resta comunque una dimostrazione di quello che succederà in futuro ed è ancora molto limitato. Ad oggi l’unica feature seria di gioco di Shield è GameStream, GRID è il futuro (ma vale tutto quello scritto nell’articolo dedicato) e Android non è fatto per giocare se non ai casual game. Dal punto di vista grafico i giochi sono impeccabili, ma alla lunga si dimostrano noiosi e poco avvincenti. Quasi un Note con un semplice pennino Oltre all’aspetto ludico, tra le funzionalità di Tablet Shield troviamo anche un piccolo pennino. NVIDIA non si è permessa il lusso di aggiungere un digitalizzatore al tablet e neppure un pennino attivo, soluzioni che avrebbero inevitabilmente alzato il costo del prodotto, tuttavia è riuscita a trovare una soluzione brillante utilizzando la tecnologia DirectStylus 2, evoluzione della stessa che aveva debuttato su Tegra Note. NVIDIA sfrutta la capacità di elaborazione in tempo reale del processore Tegra K1 per campionare la pressione 300 volte al secondo calcolando traiettoria del tocco ed eventuali tocchi accessori come quello del palmo sui bordi. Il pennino è decisamente pratico, soprattutto per la forma della punta: si vede bene quello che si scrive e si riesce a seguire la punta con precisione, non come nel caso di altre penne capacitive dove il punto di contatto è una sfera di gomma. Tra le applicazioni compatibili con DirectStylus, NVIDIA ha inserito Dabbler 2, un’app di disegno che funziona bene ma con un’interfaccia a nostro avviso un po’ trop- consentito a noti brand, attivi nel settore finanziario, immobiliare, del betting online, della distribuzione al dettaglio e delle telecomunicazioni, di trasmettere messaggi pubblicitari sui siti oggi in sequestro.” Intanto torna alla ribalta anche la polemica sul ruolo dell’AGCOM. Visto che la Guardia di Finanza è ben capace di allestire un’operazione da record come questa (mai prima d’ora sono stati bloccati tanti siti web tutti insieme) con gli strumenti legislativi ordinari, chiede l’avvocato e blogger esperto di diritto d’autore Fulvio Sarzana, a cosa serve il nuovo regolamento dell’AGCOM? Da una parte i siti incriminati erano tranquillamente online nonostante i nuovi poteri dell’autorità, dall’altra, fino ad oggi, il nuovo regolamento è stato utilizzato più che altro per “togliere di mezzo” dalla rete qualche articolo scomodo. po macchinosa. Meglio invece il riconoscimento della calligrafia: da segnalare che NVIDIA utilizza esclusivamente il processore Tegra K1 e non invia i dati al cloud come altri sistemi simili. I vantaggi sono la possibilità di utilizzo offline, la privacy e una precisione davvero buona anche con l’italiano.