n.104 / 15
26 GENNAIO 2015
Il “mis-Fatto
Quotidiano”
e la buona
informazione
hi-tech
Poveri consumatori, confusi e spaventati; ma
soprattutto male informati. Il Fatto Quotidiano,
giornale a tiratura nazionale e anche stimato
da molti come “stampa-verità”, nell’edizione
di ieri, inseguendo maldestramente il puro
sensazionalismo politico, ha confuso e travisato i fatti in maniera grottesca riguardo al rinvio
dell’obbligo DVB-T2 sui TV, inserito nel decreto milleproroghe. Con una sequenza di errori,
notizie false e malintesi che non dovrebbero
trovare posto su una testata prestigiosa come
quella in questione. Soprattutto non in prima
pagina e non nell’articolo principale.
Come abbiamo più volte spiegato, il rinvio in
questione è un rinvio doveroso (anche se un
po’ tardivo, a una settimana dall’entrata in
vigore) di una norma mal pensata dal Governo
Monti, che prevedeva l’obbligo di commercializzare solo TV con tuner DVB-T2 senza
alcun riferimento ai codec compatibili. Se
mai ci sarà DVB-T2 in Italia sarà sicuramente
in unione con HEVC, ma i TV compatibili non
sono ancora abbastanza e sono comunque i
più costosi. Quindi, avere un obbligo a metà,
avrebbe solo consentito a produttori “furbi”
di iniettare sul mercato TV DVB-T2 solo sulla
carta ma che non avrebbero mai potuto ricevere eventuali future trasmissioni in questo
standard. Questioni già fin troppo chiare ai
lettori di DDAY.it sin dalla vigilia di Natale, data
di approvazione del decreto.
L’incauto giornalista Carlo Tecce del Fatto
Qutodiano riesce, con un pezzo del tutto
sbagliato e fuorviante, a conquistarsi nientemeno che il titolo a tutta larghezza sulla prima
pagina dell’edizione di ieri, “Pacco dono a
Mediaset”, e non pago rinnova la fesseria
a pagina 3 con altro titolone “Il digitale può
attendere. Renzi fa un regalo a Mediaset”. Il
Fatto Quotidiano non solo confonde l’obbligo
relativo ai TV (pensato per accompagnare
verso eventuali e molto future trasmissioni
DVB-T2) con un rinvio della partenza delle
trasmissioni nel nuovo standard, gridando
sguaiatamente allo scandalo: si tratterebbe,
secondo il quotidiano, di un “inciucio” tra il
Governo Renzi e la Mediaset di Berlusconi.
“Epic Fail” dei più evidenti: la norma, che era
stata approvata e pubblicata un mese fa, non
riguarda Mediaset o i broadcaster, quanto
piuttosto Samsung, LG, Sony e compagnia
segue a pagina 2 
MAGAZINE
10.000 OLED in
arrivo in Italia
È l’anno buono? 02
Paolo Sandri in LG
Successo iPhone 6
Il “leone” ritorna
in Asia e Apple fa
04 paura a Samsung 05
nell’arena
Win10: upgrade gratis per un anno
Sistema operativo gratuito per chi aggiorna entro un anno
Avrà Cortana e un nuovo browser chiamato Project Spartan
Massima sinergia con Xbox e realtà aumentata con HoloLens
08
IVA e-book al 4%: ecco
perché i prezzi non
potevano scendere
13
La riduzione dell’IVA sventa un
aumento dei prezzi. Interviste con
Polillo, Presidente di AIE, e Magno,
direttore Digital di Mauri Spagnol
Acquistare il TV giusto nel 2015
La guida per scegliere il TV senza sbagliare
06
SkyTG24 arriva
su digitale terrestre
20
27
Corriere e merce danneggiata
Cosa fare negli acquisti on-line
Come evitare fregature: ce lo dicono i corrieri Server Rai e
25
Mediaset “aperti”
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
TV E VIDEO LG presenta la gamma di TV OLED 2015: previsto un solo TV HD, poi spazio al 4K
10.000 OLED LG in arrivo in Italia nel 2015
Produzione quadruplicata e nuovi modelli: finalmente si può parlare di fenomeno OLED
di Roberto PEZZALI
arà l’anno dell’OLED: LG ha deciso di puntare sulla sua tecnologia
più prestigiosa, forte anche della
produzione quadruplicata. Gli obiettivi
sono ambiziosi, ma nemmeno irraggiungibili: 600.000 TV OLED venduti in tutto
il mondo, 10.000 TV pronti per essere
venduti in Italia. Un target possibile: se
ben spiegato e dimostrato, l’OLED si
vende da solo perché è la prima vera
tecnologia nuova dopo il plasma e
l’LCD. Che l’OLED sia il meglio non lo
dice solo LG, ma anche Samsung e tutti
quelli che elogiano gli schermi di tablet
e smartphone con nero perfetto, bassi
consumi e colori vividi e realistici. Direttamente dall’LG Innofest di Lisbona,
dove abbiamo assistito al lancio dei modelli per l’Europa, il management italiano di LG ci ha raccontato le novità che
arriveranno in Italia e quando, anche se
su questo punto bisogna sempre considerare le dovute tolleranze.
La prima notizia è che tutta la gamma
OLED di quest’anno sarà 4K: ci sarà un
modello Full HD ma sarà lo stesso che
è nei negozi in questi giorni, ovvero il
modello 55EC930V. Il prezzo resterà di
2.999 euro, salvo promozioni particolari. I modelli nuovi arriveranno solo tra
S
qualche mese: 65EG9600, OLED curvo
4K da 65”, sarà uno dei primissimi ad
arrivare in Italia già equipaggiato con
WebOS 2.0, decoder HEVC e compatibilità streaming per il 4K. A tal proposito si rinnova la partnership tra LG e
Chili TV: il provider italiano di contenuti
Video On Demand proporrà film anche
in Ultra HD.
Dopo il modello da 65” arriverà anche
55EG9600: LG non ha ancora fissato un
prezzo ma si parla di 4.000 euro circa,
che per un OLED 4K è allettante.
Nella seconda metà dell’anno arriverà
la versione piatta 4K entry level nei formati da 55” e 65”, mentre per il gioiello
65EF9800 si dovrà attendere settem-
bre. Quest’ultimo è il Flat Art Slim Design, un OLED piatto 4K con design ultraslim, finiture Premium e una soundbar
wireless abbinata. Bellissimo da vedersi, in tutti i sensi.
MERCATO Dichiarazioni forti da parte dell’azienda durante un incontro sul futuro di Android
Cyanogen vuole “scippare” Android a Google
Il CEO annuncia l’intenzione di aprire uno store alternativo a Google Play Store entro 18 mesi
S
di Paolo CENTOFANTI

ndroid è un sistema abbastanza
aperto? Per il CEO di Cyanogen,
Kirt McMaster, non lo è affatto.
Anche se Android è basato su una piattaforma open source e Google rilascia il
codice sorgente di ogni nuova release,
in realtà sempre più servizi del sistema
operativo sono proprietari di Google e
rilasciati solo tramite licenza. Durante un
incontro sul futuro di Android, McMaster
ha sottolineato come se qualcuno volesse realizzare un’app come Google Now
con la versione open source standard, al
momento non potrebbe, perché Google
non dà un accesso così profondo al sistema operativo. Per questo motivo la mission di Cyanogen sta diventando quella
torna al sommario
di creare una nuova versione di Android
completamente aperta e svincolata da
Google. Questo vuol dire però rinunciare a tutto ciò che Google ha aggiunto
di suo ad Android, comprese Google
Apps e Play Store. Ed ecco l’annuncio di
Cyanogen, l’intenzione di arrivare entro
18 mesi a un nuovo store alternativo a
quello di Google e aperto a tutti. Cyanogen è un’azienda nata dalla community
di sviluppatori che anni fa aveva iniziato
a “cucinare” ROM alternative a quelle dei
produttori di smartphone, le CyanogenMod, per portare gli ultimi aggiornamenti
di Android a quanti più terminali possibili.
Un lavoro immane, che spesso si deve
scontrare con driver per l’hardware e
pezzi di sistema operativo proprietari. Per
questo è stata creata una società, con la
capacità di raccogliere sviluppatori devoti
al progetto. Da queste dichiarazioni sembra essere sempre più chiara l’intenzione
di avviare un fork di Android, un nuovo
ramo che procederà indipendentemente
da quello di Google. Le due aziende erano già state ai ferri corti in passato, con
conseguente eliminazione delle Google
Apps dai firmware Cyanogen.
Il “mis-Fatto Quotidiano”
e la buona informazione hi-tech
segue Da pagina 1 
da un lato e Media World, Unieuro e colleghi
dall’altro. Ma soprattutto riguarda la tutela
dei consumatori, motivo per cui DDAY.it ha
festeggiato l’approvazione del rinvio. Di certo
non ha nulla a che vedere con le frequenze
e men che meno con il pacchetto dei 700
MHz, il cui passaggio alle reti 4G è stato di
fatto rinviato al 2018-20 dal Rapporto Lamy,
emesso in sede comunitaria (e quindi ben
oltre gli spazi di manovra del Governo Renzi
e del Viceministro Giacomelli). E pensare che
al temerario giornalista del Fatto Quotidiano
sarebbe bastato digitare in Google la semplice ricerca “rinvio dvb-t2”: i primi due link che
compaiono sono i due articoli pubblicati da
DDAY.it che spiegano la ratio del provvedimento e di come si tratti di un doveroso atto
a tutela dei consumatori.
Va bene che ora c’è Internet e la ricerca delle
fonti si può fare senza alzare il telefono; ma
l’accortezza almeno di fare un minimo di
“fact checking” sui motori di ricerca con le
principali parole chiave dovrebbe essere un
dovere professionale. Soprattutto perché, per
perseguire una finalità che appare politica
(e di cui non ci interessa nulla), si fa fare
confusione ai consumatori che non capiscono
più cosa accadrà al futuro televisivo della
nazione e ai propri apparecchi TV. Tanto più
che gli effetti poi vanno oltre il già notevole
bacino d’utenza del Fatto Quotidiano: in un
panorama editoriale web che non sa “ispirarsi”, ma viaggia a “copiaeincolla” selvaggio, il
pezzo del Fatto è stato ripreso qua e là. Così
nel tranello ci cascano come salami, tra gli
altri, Dagospia(“La manina del digitale - Fermi
tutti! C’è un altro bel regalo del Governo
Renzi all’amico Berlusconi: rinviato l’aggiornamento del digitale terrestre, così Silvio può
tenersi tutte le frequenze”) e l’Huffington
Post (“Silvio Berlusconi-Boschi. Il patto del
Nazareno si fa un doppio regalo tra Mediaset
e banche popolari”).
Alla fine lo specifico svarione del Fatto
Quotidiano non ci interessa più di tanto:
dovrebbe preoccupare quell’Editore e quel
Direttore che hanno firmato l’edizione di ieri
dei giornale (e che non ci pare – a meno che
non ci sia sfuggito qualcosa - abbiano chiesto
scusa), la cui autorevolezza evidentemente
rischia di vacillare. Giusto lo sdegno del Viceministro alle Comunicazioni Giacomelli, che
era riuscito a condurre il necessario rinvio in
porto e che in queste ore ha emesso una fin
troppo pacata nota in cui evidenza l’errata
interpretazione. Da parte nostra, offriamo
sin da ora ai colleghi del Fatto Quotidiano
l’opportunità di chiamarci in redazione, prima
di confezionare un pezzo che parli di tecnologia, per qualche verifica, che offriremo
di buon grado: la buona informazione del
mercato non ha “testata”, per noi è un valore
che va oltre gli steccati societari.
Insomma, tocca ancora una volta notare
come il basso livello di preparazione di molta
stampa generalista nei confronti dei temi
tecnologici finisca per condizionare, verso il
basso, il livello del dibattito: il digitale in Italia
ha bisogno di politiche industriali e di consapevolezza da parte dei cittadini. Ma se queste
sono le basi sulle quali poggia il dibattito, che
idea potrà mai farsi l’opinione pubblica?
Gianfranco GIARDINA
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MAGAZINE
MOBILE Prima una fotocamera, poi i TV S’UHD, poi un telefono. Samsung inizia a puntare su Tizen
Che cosa se ne farà Samsung di Tizen?
L’azienda lo definisce il cuore pulsante della strategia di “Internet delle cose”. E Android?
di Emanuele VILLA
opo un’edizione non propriamente brillante del CES di Las Vegas,
Samsung riprende in mano il discorso Tizen, il suo sistema operativo di
cui si parla da anni e che dovrebbe assumere, nella visione dell’azienda, un posto
al sole di qui a qualche anno. Lo spunto
per un approfondimento sul presente
e futuro di Tizen arriva da due elementi
concomitanti: l’allargamento dei prodotti
basati su di esso e un post sul blog ufficiale dell’azienda che ne denuncia la
centralità nell’ecosistema Samsung dell’immediato futuro.
D
Tizen al centro di Internet
delle Cose
Come anticipato, un post sul blog ufficiale
di Samsung ha risvegliato la nostra curioBasato su kernel Linux e governato dal- sità nei confronti di un sistema operativo
la Tizen Association, Tizen consta tra i di cui si parla oggettivamente poco, se
suoi principali sviluppatori e sostenitori non per paragonarlo ad Android. Paraziende quali Samsung, Huawei, Fujitsu, rebbe però che il 2015 sia (per l’azienPanasonic e diversi operatori di telefonia da coreana, s’intende) l’anno di Tizen: il
mobile. Samsung è l’azienda che pare primo prodotto introdotto sul mercato è
crederci di più, e questo non solo per stata la fotocamera Samsung NX300M,
aver fatto confluire il “suo” sistema ope- proposta inizialmente sul mercato interno
rativo mobile, Bada, all’interno di Tizen, (coreano) poi estesa al resto del mondo,
ma anche per aver lanciato sul mercato mentre il primo tablet è a marchio Systediversi prodotti basati su di esso. Lo sco- na e non è mai uscito dal mercato giappo del sistema operativo, rimanendo al- ponese. Come prodotto a (potenziale)
l’interno di uno schema Open Source, è ampia diffusione, Samsung ha lanciato
quello di coinvolgere un’infinità di appa- Gear 2, mentre il primo telefono è l’orrecchi diversi, dalle auto ai telefoni, dagli mai noto Samsung Z1. Nonostante una
elettrodomestici ai TV e al lettori Blu-ray. partenza in sordina, Samsung dichiara
In questo senso, l’evoluzione parallela nei di avere grandi piani per Tizen: al CES
confronti di Android è evidente: quest’ul- l’azienda ha inserito il sistema operativo
timo ha prima conquistato il mondo mo- nei S’UHD, ovvero nella gamma di TV
bile, forte della potenza di Google e dei 2015 basata su tecnologia Quantum Dots
suoi servizi, poi è partito all’attacco del che vedrà la luce di qui a qualche mese,
mondo automobilistico, dell’home enter- ma il concetto è quello di rendere Tizen il
tainment e della casa connessa, andando cuore pulsante di tutta la propria strategia
di fatto a replicare le ambizioni del neona- di Internet delle Cose. In realtà, sappiamo
bene quanto dietro questa espressione
to (commercialmente parlando) Tizen.
si possa celare tutto e nulla,
dai wearable per il fitness
agli smartwatch, dai sensori per sport specifici a tutti
gli oggetti di uso comune
resi smart, ma la realtà dei
fatti è che, per Samsung,
Tizen ora vuole diventare il
sistema operativo per eccellenza e che coinvolge tutto
l’ecosistema, (magari) telefoni esclusi. Ci aspettiamo
Gli S’UHD, protagonisti del CES Samsung,
dunque nuovi wearable basaranno tutti basati su Tizen, e il sistema
sati su Tizen al Mobile World
operativo verrà anche esteso ai vecchi modelli Congress, magari un telefotramite Evolution Kit
no per l’Europa, ma anche

Xiaomi ha presentato il
suo nuovo top di gamma
Mi Note, smartphone in
tutto e per tutto pensato
per essere migliore
dell’iPhone 6 Plus. Ma
i prezzi cominciano a
salire per gli standard
del produttore cinese
di Paolo CENTOFANTI
Ma cos’è esattamente Tizen?
torna al sommario
Xiaomi lancia
Mi Note
e Mi Note Pro
Samsung NX300, il primo prodotto
basato su Tizen
piccoli e grandi elettrodomestici capaci
di dialogare con altri tasselli del puzzle di
Internet delle Cose.
E quindi Android?
Resta il dilemma n. 1: che fine farà Android, il sistema operativo che gli utenti
sono abituati a trovare sui dispositivi dell’azienda, che può contare su milioni di
app e un ecosistema infinito ma che vincola Samsung all’inevitabile rapporto con
Google? Samsung sul suo blog risponde
in modo chiaro: non abbandoneremo gli
altri sistemi operativi. E ciò è perfettamente logico in questa fase: spostare i propri
terminali di punta, smartphone e tablet, in
un ecosistema ultraristretto come quello
di Tizen potrebbe determinare il fallimento commerciale dei prodotti stessi, per
cui è del tutto logico che Samsung voglia
partire con un segmento tanto enorme
quanto inesplorato come l’Internet delle
Cose, per poi eventualmente approdare
in aree più grandi e sicure come quelle
degli smartphone e dei tablet.
Resta il fatto che l’iter è ormai avviato e
sembra davvero che, in prospettiva di
medio periodo, l’azienda voglia portare
tutto su Tizen, sperando di trovarsi un
giorno ad abbandonare gradualmente Android anche nei propri prodotti
di punta. Resta il fatto che non è una
cosa che succederà a breve: su questo
siamo pronti a scommettere.
Iil nuovo top di gamma non sarà
sottile come la carta, ma è comunque uno dei migliori smartphone
del produttore cinese. Accusata
di copiare lo stile di Apple, Xiaomi
risponde con un annuncio mirato
per dimostrare come il suo nuovo
Mi Note, sia stato progettato per
superare in tutto e per tutto l’iPhone 6 Plus. Il Mi Note è uno smartphone Android con display da 5,7”
Full HD e spessore di 6,95 mm e
sarà disponibile in due versioni:
una con processore Snapdragon
801 e 3 GB di RAM e una “Pro” con
Snadragon 810 e addirittura 4 GB
di RAM.
Entrambe le versioni offrono una
fotocamera da 13 Megapixel con
sensore Sony (e che non sporge
come quella dell’iPhone 6 Plus,
ha tenuto a precisare Xiaomi), con
flash Philips two tone per mantenere colori naturali degli incarnati
nei ritratti. C’è anche un DAC per
l’audio hi-res fino a 192 kHz e 24
bit, mentre il particolare slot per la
SIM è in grado di accettare simultaneamente una nano SIM e una
micro SIM. La batteria è invece da
3000 mAh. Con queste specifiche
tecniche cominciano a salire anche
i prezzi: il Mi Note con memoria da
16 GB parte da 316 euro, il Mi Note
Pro con 64 GB avrà un prezzo di
circa 453 euro al cambio attuale,
comunque sia sempre la metà rispetto ai concorrenti principali.
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
MERCATO Paolo Sandri è il nuovo direttore della divisione Home Entertainment Italia di LG
Sandri in LG, l’OLED ha un nuovo paladino
LG sembra avere gamma e quantità sul fronte dell’OLED capace di farle cambiare passo
di Gianfranco GIARDINA
l vecchio leone è ancora nell’arena:
Paolo Sandri, l’uomo che il mercato
riconosce come vero fautore delle
quote di mercato “bulgare” che i TV
Samsung hanno avuto in Italia negli ultimi anni, approda in LG Italia con il ruolo
di Consumer Electronics Home Entertainment Director, praticamente direttore
della divisione che mette insieme TV e
audio domestico. Non è una divisione qualsiasi, ma è quella nella quale il
gioiello della corona è l’OLED: mettere
nello stesso posto l’incredibile gamma
OLED mostrata a Las Vegas (solo) da LG
e l’uomo che il mercato riconosce come
“Mr. TV” in persona, lascia pensare che
lo scenario italiano dei televisori possa
cambiare presto.
Paolo Sandri è cresciuto alla scuola
Samsung (quasi vent’anni in azienda),
ma di quella scuola è anche stato illustre “docente”: mentre in molte parti del
mondo il marchio coreano era ancora un
inseguitore, in Italia le quote di mercato
dei TV Samsung sotto la sua gestione
arrivarono a livelli mai visti altrove, trasformando il caso italiano addirittura in
una case history da esportare ovunque.
Il fugace passaggio di Sandri in TPVision
(che produce i TV a marchio Philips), durato meno di un anno, non ha lasciato il
segno sul mercato: “Ero abituato a una
macchina più grande e più organizzata
- ci disse Sandri dopo l’abbandono di
TPVision –; difficile in queste condizioni
applicare il mio metodo”.
Il gruppo L’Espresso
cede a Discovery Italia
All Music, società che
produce Deejay TV
sul canale 9 del digitale
terrestre. La “preda”
di Discovery sarebbe
proprio la posizione in
cima alla lista dei canali
I
di Paolo CENTOFANTI
Ma l’esperienza in TPVision è stata comunque utile, visto che è evidentemente bastata a “smacchiare” Sandri dalle
“tinte blu” di una delle sponde dell’elettronica coreana: una sorta di patto non
scritto tra LG e Samsung, infatti, fa sì che
difficilmente un uomo blu diventi rosso o
viceversa. Ora, un uomo che sa tutto di
Samsung e delle leve con le quali ha penetrato il mercato, è seduto nella stanza
dei bottoni di LG, una società grande, organizzata, con un ottimo management,
coreana. Ma soprattutto con a disposizione una gamma TV, soprattutto OLED,
clamorosamente forte a confronto con
quella di Samsung; Samsung che, di fatto, ha ancora rimandato l’OLED e non ha
presentato al CES 2015 novità decisive.
Chi sa fare due più due, capisce cosa
questo possa voler dire: è lecito aspettarsi da LG una presenza e una reattività
senza precedenti, proprio nella stagione
2015-16 in cui molti appassionati mirano
a coronare il sogno OLED.
Paolo Sandri è una figura a tinte forti:
contemporaneamente stimato ma sovente anche biasimato dai competitor
(e da qualche collega), miscela razionalità commerciale e comportamento
sanguigno, senza far mai prevalere l’una
sull’altro Ha imparato negli anni non a
sopire ma semplicemente a tenere al
guinzaglio la sua “belva interiore”, pronta a saltare fuori non appena le opportunità commerciali gli si aprono di fronte.
Date a Paolo Sandri prodotti affidabili e
in quantità e lui “azzannerà” il mercato,
con impeto e fantasia; se poi sono pure il
riferimento, come gli OLED ora, è giusto
aspettarsi fuochi d’artificio. Perché sono
pochi i manager italiani del nostro mercato che incarnano come lui il principio
“Stay hungry, stay foolish”. Affamato e
pazzo, una vera grana per i competitor.
Una partita che si preannuncia avvincente e tutta da vedere.
MERCATO Google avrebbe siglato un accordo negli Stati Uniti con gli operatori T-Mobile e Sprint
E ora Google diventa anche operatore telefonico
Google diventerebbe un operatore virtuale, non potendo contare su una rete propria
di Paolo CENTOFANTI
G

oogle è ormai incontenibile. Dopo
aver lanciato negli Stati Uniti il
progetto Google Fiber, con il quale offre servizi di connettività su rete
fissa e TV via cavo, ora vuole diventare
anche un operatore telefonico. Secondo indiscrezioni raccolte da The Information, Google starebbe lavorando con
T-Mobile e Sprint, due dei principali operatori telefonici cellulari negli Stati Uniti,
per lanciare il suo servizio di telefonia
mobile. Al momento dunque Google si
torna al sommario
Discovery Italia
si compra
Deejay TV
configurerebbe come un operatore virtuale, visto che non è dotato di una rete
cellulare propria, comprando traffico
all’ingrosso dalle due compagnie americane e quindi utilizzando la loro infrastruttura per offrire il servizio ai propri
clienti, esattamente come fanno tanti
operatori in Italia. Secondo le fonti della
testata americana, il servizio di telefonia
di Google sarebbe già stato testato dai
dipendenti e inizialmente avrebbe dovuto essere lanciato lo scorso autunno.
Il progetto di Google è quello di portare
a un abbassamento delle tariffe cellula-
ri, che in effetti negli Stati Uniti sono abbastanza salate, anche se non è ancora
chiaro come. Tutto quello che si sa è
che Google ha intenzione di affrontare
“in modo creativo” il discorso dei piani
telefonici.
Il gruppo L’Espresso ha annunciato la vendita a Discovery Italia.
dell’editore All Music, società che
produce il canale Deejay TV del
digitale terrestre, La rete continuerà a essere editata da All Music e
continuerà a trasmettere sul canale 9 del digitale terrestre (ricorsi
in atto permettendo) sui multiplex
di Persidera, la società nata dalla joint venture tra L’Espresso e
Telecom Italia Media. Proprio la
strategica posizione al numero 9
sarebbe l’obiettivo di Discovery
Italia, le cui altre reti (Real Time,
DMax, Focus, K2 e Frisbee) si trovano tutte molto più in fondo nella
numerazione nazionale. “Il gruppo
Discovery si consolida come terzo
editore nazionale per share e dà
vita a un sistema multipiattaforma
e digitale basato su contenuti di
qualità” ha dichiarato Marinella
Soldi, amministratore delegato di
Discovery Italia. La società spera
di rilanciare la rete di All Music che
a oggi non se la passa benissimo,
con un passivo milionario. L’accordo dovrebbe venire chiuso entro
la prossima settimana, per una cifra compresa tra i 10 e i 24 milioni
di euro (fonte Il Sole 24 Ore).
Comunque sia, qualcosa nell’etere italiano si muove e non può essere che un bene.
n.104 / 15
26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
MERCATO Una ricerca di mercato rivela il notevole successo dell’iPhone 6 nei mercati asiatici
iPhone in Asia si mangia quote Samsung
Apple ha per la prima volta seriamente intaccato le quote di mercato di Samsung in casa sua
di Paolo CENTOFANTI
pple si appresta ad annunciare
numeri record per l’ultimo trimestre del 2014 e l’ultimo segnale
in questa direzione arriva dal nuovo
rapporto della società di ricerche di
mercato Counterpoint Research, che
rivela un notevole successo dei nuovi
iPhone 6 e 6 Plus soprattutto nei mercati asiatici. La notizia è che, per la prima volta, Apple è riuscita a intaccare in
modo considerevole le quote di mercato di Samsung proprio nella sua Corea
del Sud, oltre che in Giappone. A novembre 2014, Apple ha raggiunto una
quota di mercato del 33% con i nuovi
modelli, in un mercato che, come sottolinea Counterpoint, non ha mai visto
un’azienda straniera superare la soglia
A
Google compra
un pezzo di
SpaceX

L’idea di una “dorsale” satellitare
per Internet piace a Google che ha
deciso di scommettere sul progetto di
Elon Musk con un forte investimento
in SpaceX, società specializzata nella
realizzazione di vettori commerciali
per il trasporto in orbita (e oltre). Ne
dà notizia SpaceX, confermando la
chiusura di un giro di investimenti di
un miliardo di dollari, con la vendita
di quote societarie a Google e alla
finanziaria Fidelity. Le due aziende
ora possiedono insieme quasi il 10%
di SpaceX. Google sarebbe soprattutto interessata al progetto di SpaceX
che prevede una rete di satelliti di
telecomunicazioni per spostare parte
del traffico Internet dalle dorsali
oceaniche allo spazio, oltre che per
offrire l’accesso alla rete anche là
dove non arrivano altri sistemi di
comunicazione, un’idea quest’ultima
su cui Google sta già lavorando con il
suo project loon.
torna al sommario
del 20%.
Il grafico delle quote
di mercato in Corea del Sud sembra
proprio evidenziare
come la crescita di
Apple sia soprattutto
a danno delle padroni di casa Samsung
ed LG. In generale,
novembre è stato
letteralmente un mese d’oro per Apple
che avrebbe, secondo le stime, superato per la prima volta la soglia dei 20
milioni di iPhone venduti in un mese,
con una crescita del 26% rispetto allo
stesso periodo dell’anno precedente. In Giappone le vendite dei nuovi
iPhone avrebbero addirittura superato
Netflix annuncia
l’espansione in 200
Paesi entro il 2017.
Nel 2015 il servizio
arriverà in tutte le
maggiori nazioni ancora
mancanti
di Paolo CENTOFANTI
il 50% delle quote di mercato sia a ottobre che a novembre, mentre in Cina
Apple ha visto una crescita del 45%,
raggiungendo una quota del 12%, sufficiente per piazzare il marchio al terzo
posto dietro a Xiaomi e Lenovo. I dati
ufficiali trimestrali di Apple saranno annunciati questa settimana.
MERCATO Basse le offerte per la vendita delle sue quote
Telecom resta sul digitale terrestre
di Paolo CENTOFANTI
alta la vendita delle quote di Telecom Italia Media della joint venture che
insieme al gruppo L’Espresso detiene i multiplex di Telecom e Rete A. Per
ora Telecom resta sul digitale terrestre. Si è conclusa con un nulla di fatto la
ricerca di compratori e così, per ora, Telecom Italia Media rimane socia del gruppo
L’Espresso nella nuova società Persidera, joint venture che è di fatto il terzo operatore TV digitale terrestre in Italia.
Come ricorderete, Telecom Italia Media e L’Espresso avevano deciso di unire le
forze creando una società unica per gestire insieme una rete composta da cinque
multiplex nazionali: i tre su cui Telecom Italia Media trasmetteva le allora sue TV del
gruppo (La7 e MTV Italia) e le due frequenze di Rete A. Telecom Italia Media aveva
ormai deciso di uscire dal mercato TV e, dopo la vendita delle sue reti televisive,
puntava a “liberarsi” anche delle frequenze con la vendita del suo 70% di quote
in Persidera, ma di offerte ne sarebbe arrivata solo una e, a quanto pare, molto
al di sotto dei 500 milioni di euro a cui puntava Telecom. Così all’ultimo consiglio
di amministrazione, Telecom Italia ha confermato l’intenzione di rinunciare per il
momento alla vendita delle sue quote. Con un comunicato, l’azienda comunque fa
sapere di aver fiducia nel processo di ristrutturazione e integrazione iniziato con la
creazione della joint venture.
Al di là delle dichiarazioni, almeno dal punto di vista di quanto è possibile vedere
sui nostri teleschermi, non si sono visti ancora grossi benefici e la programmazione è rimasta per lo
più invariata. Con la cessione di La7 all’editore
Urbano Cairo sembrano
essere tramontate anche le ambizioni in alta
definizione di quella che
è l’emittente principale
presente sui multiplex
del nuovo gruppo.
S
Netflix, presente
in tutto il mondo
entro due anni
Netflix ha avuto un trimestre molto positivo, centrando gli obiettivi
nella crescita del numero di abbonati negli Stati Uniti e all’estero. E
poiché può crescere solo espandendo la propria base di utenti e
visto che le cose procedono meglio del previsto all’estero, il CEO
Reed Hastings ha annunciato di
voler arrivare a offrire il servizio di
streaming praticamente in tutto il
mondo entro due anni, mantenendo la profittabilità dell’azienda.
L’accelerazione nell’espansione
globale di Netflix avverrà già quest’anno, con il debutto in Australia e Nuova Zelanda e il lancio in
diversi Paesi principali entro fine
2015. Considerando che Netflix in
Europa è ormai presente in molti
Paesi, sarebbe strano non vedere
il completamento dell’espansione
nel Vecchio Continente, e quindi
in Italia, entro la fine dell’anno.
Hastings ha dichiarato che sono
soprattutto i contenuti originali
del servizio a risultare popolari
all’estero, con l’intenzione di arrivare a offrire nel 2015 almeno
320 ore di produzioni proprie
tra serie tv, documentari e film,
visto che ad agosto arriverà il primo lungometraggio prodotto da
Netflix, il seguito de La Tigre e il
Dragone, mentre al di fuori degli
Stati Uniti e Canada, il servizio si
è assicurato i diritti esclusivi per
la serie prequel di Breaking Bad,
Better Call Saul. Non solo piattaforma di distribuzione: Netflix
vuole diventare la versione 2.0
delle grosse pay TV.
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Duro comunicato Mediaset per bloccare le voci di un’intesa con Sky
La Champions 2015-2018 anche a Sky?
Per Mediaset è solo un’ipotesi fantasiosa
Nel prossimo triennio Sky non avrà proprio nulla e non si intavoleranno neppure trattative
Disney ha scelto di
posticipare l’uscita
in contemporanea
mondiale del nuovo
capitolo di Star Wars
perché le sale in Italia
sono invase dal nuovo
film di Checco Zalone
Fan in rivolta
di Roberto PEZZALI
S
ky non avrà la Champions League
e tutte le voci che circolano sono
solo tentativi di destabilizzazione
che aumentano la confusione: Mediaset
chiude ogni spiraglio e insiste nel tenere in casa il gioiellino che ha comprato
a caro prezzo, ovvero i diritti per la trasmissione delle partite di Champions
League per i prossimi tre anni, dal 2015
al 2018. Chi pensava che alla fine ci
sarebbe stata una sorta di “alleanza”
– “scambio” si sbagliava: Mediaset non
ci pensa neppure e ha rilasciato questo
comunicato.
“In relazione a indiscrezioni e ambiguità
di stampa sul tema diritti tv “Champions
League 2015-2018”, Mediaset invita i
mezzi di informazione a non alimentare
fantasiose ipotesi fatte circolare con la
sola finalità di confondere il pubblico.
Non sono in corso trattative per accordi
di sub-cessione ad altre emittenti dei diritti tv della Champions League acquisiti
in esclusiva da Mediaset per il triennio
2015-2018. Trattative che non si apriran-
no né ora né nei prossimi mesi. Ribadiamo, al contrario, che per i prossimi tre
anni, un match del mercoledì sera sarà
trasmesso in esclusiva da Canale 5,
mentre tutti gli altri incontri del martedì
e del mercoledì saranno un’esclusiva
assoluta di Mediaset Premium fino al
2018. Ne consegue che da settembre
2015 le serate televisive del martedì e
mercoledì della pay tv satellitare non
ospiteranno più nessuna partita del torneo di calcio più importante d’Europa.
Eventuali ulteriori indiscrezioni future
su questo tema, saranno come sempre
frutto del tentativo di lasciare aperte
opzioni inesistenti con l’obiettivo di disorientare i telespettatori se non di praticare concorrenza sleale”.
Il rischio “spezzatino” è reale: i clienti
Sky che vorranno la Champions dovranno prendere anche Mediaset, sempre
che il comunicato emesso da Cologno
Monzese non sia di facciata e l’unica
cosa in discussione non sono le voci
ma i soldi che Sky deve sganciare per
avere la Champions. Tantissimi.
ENTERTAINMENT Sono iniziati su Cielo i promo per l’arrivo di Sky TG24 sul digitale terrestre
È ufficiale: Sky TG24 arriva sul digitale terrestre
Sky TG24 verrà trasmesso sul canale 27, i concorrenti tremano e la RAI pensa a un ricorso
di Roberto FAGGIANO
L

a notizia era nell’aria sin da quando
venne annunciato l’accordo tra Sky
e Class TV per l’utilizzo del canale
27, ma ora è ufficiale: dal prossimo 27
gennaio Sky TG24 approda anche sul
digitale terrestre nella posizione 27.
Anche Sky aveva fatto capire da molti
mesi che avrebbe affiancato a Cielo un
altro canale free sul digitale terrestre,
rimandando però l’effettiva partenza
delle trasmissioni. L’arrivo del prestigioso e temibile concorrente ha suscitato
reazioni diverse tra i concorrenti: per
il momento Mediaset tace, dopo aver
duramente attaccato Sky in merito ai diritti per la trasmissione dei prossimi tre
anni delle partite di Champions League.
La RAI invece potrebbe presentare un
torna al sommario
Star Wars 7
posticipato
in Italia
A Natale è meglio
Checco Zalone
ricorso legale contro il posizionamento di un canale all news alla posizione
LCN 27, dove dovrebbero esserci canali
generalisti. Ma è anche vero che ai canali attorno al 50, dove risiedono Rai
News24 e il TG Com, ce ne sono certi
che con le news non c’entrano nulla. A
noi spettatori non resta che goderci una
terza voce di informazione senza dover
pagare ulteriori abbonamenti.
di Roberto PEZZALI
Il 18 dicembre 25 paesi potranno vedere il nuovo capitolo della
Saga di Star Wars. L’Italia non c’è,
noi dovremo aspettare il 5 gennaio
insieme all’Argentina. Non è colpa di problemi tecnici, ma è una
scelta precisa di Disney che non
vuole sovrapporsi con il nuovo
film di Checco Zalone, in uscita
in Italia il 3 dicembre. Una scelta
a tratti assurda: ci sono due settimane di programmazione prima
dell’uscita di Star Wars e, il 18, ci
sarebbe spazio per entrambi. Disney al momento non ha rilasciato
dichiarazioni, ma i fan sono sul
piede di guerra (e ne hanno tutti
i motivi): su Change.org è attiva la
petizione che chiede a Disney di
ripensarci.
“L’Italia ha ritenuto corretto posticipare l’uscita del film al 5 Gennaio 2016, senza motivare tale
scelta. Noi fan ci riuniamo quindi
per chiedere a Disney Italia di valutare la possibilità di far uscire la
pellicola nella data originaria, o
in alternativa di giustificarne un
eventuale rinvio nelle sale cinematografiche. Vogliamo ricordare
che il franchise di Star Wars è un
evento universalmente atteso, un
nome facilmente redditizio. Un
posticipo di data creerebbe fastidiose situazioni di pirateria online
e diffusione di spoiler, che minerebbero senz’altro alla riuscita al
botteghino del film”. La richiesta
degli appassionati è chiara e legittima, anche perché un rilascio
in ritardo favorirebbe senza dubbio la pirateria”.
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
MOBILE Google è pronta a far partire il progetto pilota di Project Ara entro la fine dell’anno
Project Ara è bellissimo, ma sarà anche pratico?
Lo sviluppo del prodotti prosegue ed è affascinante. Restano dubbi sulla sua reale praticità
di Roberto PEZZALI
roject Ara, lo smartphone modulare di Google, è quasi ai nastri di
partenza. Diciamo quasi perché
ancora non esiste il modello definitivo,
ma c’è una data per una trial che verrà
fatta a Puerto Rico: seconda metà del
2015. Il piccolo protettorato americano
è stato scelto da Google come punto di
partenza per un programma pilota per
diverse ragioni, un po’ per la facilità di
controllo dei problemi di gioventù un
po’ per il supporto avuto da due operatori locali, Claro e OpenMobile.
Project Ara è l’ennesimo progetto ambizioso e allo stesso tempo un po’ bizzarro di Google: lo smartphone infatti si
costruisce come il lego, con tanti mattoncini tenuti insieme da magneti elettropermanenti che assicurano la tenuta
dei vari moduli ma allo stesso tempo
facilitano anche la rimozione.
Google venderà lo smartphone modulare utilizzando dei foodtruck, in strada:
ogni furgoncino, posto nei punti strategici della città, sarà dotato di stampanti
3D e di stampanti a sublimazione per
permettere la configurazione e la personalizzazione sul posto del proprio
telefono.
La copertura plastica dei vari moduli,
infatti, può essere ora personalizzata a colori secondo le esigenze e le
preferenze dei singoli utenti. L’ultimo
prototipo mostrato ieri nel corso della
conferenza stampa di Google, denominato Spiral 2, è già in fase abbastanza
avanzata: l’esoscheletro è stato rivisto
e per gestire il bus tra i vari moduli e
la loro connessione ora si è passati ad
un altro controller più veloce. Il modulo centrale, inoltre, include una batteria
Voci insistenti dichiarano
che Microsoft sia decisa
a bruciare le tappe
per regalare anche ai
suoi utenti mobile un
major update “storico”.
Si parla di prototipi di
telefoni con Windows 10
che potrebbero essere
mostrati già al MWC
P

tampone che permette la
sostituzione della batteria
principale senza spegnere il telefono, operazione
che comunque va fatta in
circa 30 secondi.
Undici i moduli già presenti, ma per il progetto
finale si conta di arrivare
ad averne circa 30 divisi in
varie categorie: speaker,
fotocamere,
schermo,
tasti e così via. Per la gestione dei moduli Google
metterà a disposizione
un tool di configurazione,
Ara Manager: se si utilizza più di una fotocamera
si potrà scegliere con Ara
Manager quando usarne
una e quando invece passare all’altra. I
moduli, invece, saranno venduti tramite
un marketplace: ricordiamo che i moduli potranno essere prodotti anche da
terze parti e potranno essere davvero
periferiche di ogni tipo, paradossalmente anche scanner o stampanti a sublimazione. Il nuovo tipo di bus utilizzato
sull’esoscheletro permette inoltre di
rimuovere a caldo i moduli, un po’ come
si fa con hard disk e periferiche di un
computer. Spiral 2 non
sarà comunque il modello
della perimentazione: in
lavorazione c’è già Spiral
3, che avrà moduli privi
di contatti fisici capaci di
dialogare con l’esoscheletro per induzione, e
antenna integrata oltre ad
un modulo LTE.
Dal punto di vista puramente tecnico il progetto
è sicuramente fantastico,
Il piccolo protettorato americano di Puerto Rico è
resta però un dubbio sulstato scelto da Google come punto di partenza per
la reale praticità ed è per
il programma pilota.
questo che Google sta
torna al sommario
Microsoft
accelera: Lumia
con Windows 10
già a marzo?
di Massimiliano ZOCCHI
facendo partire un programma pilota.
Ara non è un prodotto facile e richiama un po’ i computer da assemblare:
nonostante la presenza di mattoncini
hotswap la configurazione e la sua
stessa logica sono destinati ad utenti
evoluti. La possibilità poi di cambiare
moduli, anche prodotti da terze parti, alza notevolmente i rischi di bug,
crash e problematiche che sono solite
dei computer assemblati e dei sistemi
che devono gestire molti driver per diverse periferiche. Ultimo, e non meno
importante, il design: l’ultimo prototipo
stampato a colori è abbastanza “folle”
da questo punto di vista, un arlecchino
di foto e colori.
ProjectAra
Sono passati un paio di mesi dai
rumor che annunciavano l’imminente rilascio di una beta pubblica
di Windows 10 per smartphone.
Poi non si è saputo più nulla, ma
secondo il sito specializzato Nokia
Power User la situazione ha subito
un’ulteriore accelerata. Pare che
Microsoft sia decisa a premere a
fondo sul pedale e anticipare i tempi di rilascio di Windows 10.
Come molti rumor, anche questo
è da prendere con le pinze in attesa di conferme ufficiali. Secondo le fonti di NPU, il nuovo target
di Redmond sarebbe rilasciare ai
produttori una versione definitiva
per smartphone già nel secondo
trimestre. Addirittura si ipotizza
che i primi prototipi funzionanti
vengano messi in mostra al Mobile
World Congress di Barcellona, manifestazione che aprirà i battenti il
prossimo marzo.
Queste nuove informazioni fanno
seguito ad altre voci di corridoio
dei giorni scorsi, secondo cui Microsoft avrebbe deciso di annullare il Windows Phone 8.1 Update
2 per passare direttamente a Windows 10.
Ed è addirittura comparso uno
screenshot su un sito italiano che
mostra quello che pare proprio
Windows 10 già a bordo di un
device Lumia. Secondo le nuove
rivelazioni, il tutto assumerebbe
più senso.
Non ci resta che attendere la presentazione ufficiale, che dovrebbe
avvenire il 21 gennaio.
n.104 / 15
26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
PC Microsoft annuncia svariate novità per il prossimo sistema operativo, che sarà unico per PC, notebook, tablet, smartphone e PC
Windows 10 gratis, con Cortana e Project Spartan
Avrà Cortana e un nuovo browser evoluto chiamato Project Spartan. Mostrata anche la nuova versione di Office
L’
di Emanuele VILLA
appuntamento di Windows 10 del
21 gennaio si è rivelato più ricco rispetto a quello della presentazione
ufficiale dello scorso settembre. Quattro
mesi possono fare la differenza, soprattutto quando si decide di rendere pubblica
la versione preliminare, farla installare da
1,7 milioni di persone e ricevere 800.000
feedback su 200.000 argomenti diversi.
L’evento Microsoft ha stupito per ricchezza di contenuti, che sono sì incentrati su
Windows 10 ma spaziano in ogni ambito e
vanno anche avanti nel tempo: si è parlato di produttività, ma anche di gaming per
via della sinergia con Xbox One, senza
dimenticare nuovi prodotti tra cui un TV
(ma attenzione, è uno strumento di business) con Surface Hub e un headset (HoloLens) per la realtà aumentata capace di
mostrare ologrammi virtuali e permettere
l’interazione con essi. Ma prima vediamo
le novità “generiche” di Windows 10.
Terry Myerson, dopo aver mostrato i progressi effettuati sul sistema operativo da
settembre ad oggi, ha subito lanciato la
prima “bomba”: Windows 10 sarà offerto
come upgrade gratuito per l’anno successivo alla sua release (chi aggiornerà
dopo dovrà pagare) a tutti i possessori di
licenze di Windows 8.1, Windows Phone
8.1 e Windows 7. L’obiettivo di Microsoft è
di portare tutti i sistemi all’ultima versione,
evitando così di dover sviluppare software e aggiornarlo per diverse varianti del
sistema operativo. Offrendo un sistema
di upgrade gratuito (bisogna poi vedere
fino a quando e quali saranno i requisiti
hardware), l’azienda punta a rendere irrisoria la quota di mercato dei propri sistemi operativi precedenti, semplificando il
tutto. Semplificazione anche sul versante
sktop sono state mantenute e che, quanto meno per Power Point, il risultato è apprezzabile anche sotto il profilo grafico.
Il nuovo browser, Project Spartan
dei device, poiché Windows 10 sarà un sistema operativo unico per PC, notebook,
tablet, smartphone e PC componibile, di
modo tale da portare la medesima user
experience, gli stessi dati e applicazioni
su ogni dispositivo.
Benvenuta Cortana su
Windows 10
Una breve demo ha mostrato in pratica
il funzionamento del pannello Start su diversi dispositivi, come funzionerà l’Action
Center e le notifiche su PC, ma soprattutto ha permesso a Joe Belfiore di presentare Cortana su PC. Su Windows 10 PC,
Cortana sarà una sorta di barra di ricerca
a fianco al pulsante Start e opererà con
le medesime logiche con cui agisce oggi
sui telefoni: le si può chiedere di inviare
un’email o di cercare un’informazione
su Internet, ma anche dati molto più personali poichè derivanti dalle mail e da
altri contenuti dell’utente che sono stati
preventivamente autorizzati. Su tablet il
discorso è identico, ma Cortana occuperà una porzione molto più importante di
schermo. Cortana su tablet sarà a “tutto
schermo”, mentre su PC occuperà una
piccola porzione vicino a Start. Molto interessante la demo relativa all’esperienza

Una schermata della futura versione di Word
per Windows 10, vista tramite smartphone
torna al sommario
d’uso su un PC convertibile, quello che diventa notebook e tablet a seconda della
presenza o meno della tastiera: sarà presente un apposito tasto (a schermo) che
ci chiederà se vogliamo entrare in Tablet
Mode una volta sganciata la tastiera; questo porterà a schermo intero le finestre,
passerà a una visualizzazione di Start
analoga all’attuale e permetterà alle applicazioni di essere gestite con le dita.
Universal Apps al centro
di tutto: Office è la prima
Giusto qualche giorno fa pubblicammo
un articolo relativo ad Office per Windows
Phone e al silenzio di Microsoft nel suo
aggiornamento, specie in un periodo che
l’ha vista molto attiva sul fronte iOS e Microsoft. Ma l’attesa è (quasi) finita: l’azienda sta lavorando sulle Universal Apps,
ovvero le app pensate per funzionare su
tutti i dispositivi Windows 10 e che quindi
non necessitano di una versione ad hoc
per ogni device. Office sarà in assoluto il
primo “big” ad essere rilasciato per Win10
e l’evento di lancio è stato l’occasione per
mostrarlo al pubblico. Sono stati mostrati
Word, Power Point e Outlook: non sono
stati forniti particolari dettagli, se non che
le principali funzionalità delle versioni de-
Cortana su tablet sarà a “tutto schermo”, mentre
su PC occuperà una piccola porzione vicino a Start
I dispositivi basati su Win10 avranno un
browser nuovo di zecca il cui nome in codice è Project Spartan. Non sono stati forniti dettagli particolari, se non che il motore di rendering è tutto nuovo, l’interfaccia
è rinnovata e che sono presenti 3 nuove
feature: la possibilità di annotare le pagine, la modalità di lettura, comprensiva di
elenchi di lettura, e l’integrazione di Cortana. Il primo è forse il punto più interessante: considerando quanto Microsoft sta
spingendo i dispositivi (tablet) con pennino, questa funzionalità permetterà di
prendere appunti (pennino o dita) sul display, dopo di che la sezione della pagina
annotata potrà diventare uno screenshot
ed essere condivisa tramite nuove funzionalità di sharing. Se il dispositivo è un
PC non touch e con mouse/tastiera, sarà
possibile inserire annotazioni. La seconda novità è meno rivoluzionaria, essendo
presente sui dispositivi Apple da un po’:
la modalità di lettura permette una riformattazione della pagina web pensata per
semplificare la lettura, ma mantenendo le
foto. Simpatica la presenza di “elenchi di
lettura”, contenuti che salviamo perché
vogliamo leggerli in un secondo momento; ma a differenza di un comune segnalibro, il contenuto viene salvato in locale
per essere consultabile anche fossimo in
assenza di linea dati. Infine, l’integrazione
con Cortana, che ci potrà dare consigli e
informazioni contestuali alla pagina che
stiamo visitando e al luogo in cui siamo.
La data di lancio dovrebbe essere nel corso del 2015.
Tramite penna o dita è possibile prendere appunti
direttamente sulle pagina di Project Spartan
n.104 / 15
26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
GAMING Svelate le novità gaming all’evento di presentazione di Windows 10: tutti i dispositivi avranno una nuova app Xbox
Con Windows 10, PC e Xbox One diventano “una cosa sola”
Con l’app Xbox si potrà, tra le altre cose, giocare in multiplayer su piattaforme diverse e in streaming da Xbox a Windows
di Emanuele VILLA
urante la presentazione delle feature “consumer” di Windows 10, larga
parte delle novità ha riguardato il
segmento del gaming. La filosofia è sempre quella dell’integrazione tra strumenti
diversi: se in ambito generico Windows 10
vuole unificare l’esperienza d’uso tra PC,
tablet, convertibili e telefoni, nel gaming
il target principale è avvicinare il più possibile PC e Xbox. Il concetto è quello di
estendere una serie di feature “core” di
Xbox One al PC (e al tablet, con qualche
limitazione anche ai telefoni) sfruttando
una rinnovata app Xbox che verrà inserita
in tutti i dispositivi Windows 10. Troveremo
D
così la lista di amici, il feed delle attività,
i messaggi, la possibilità di visualizzare
e commentare i loro video e molto altro
anche su PC, così come la feature Game
DVR, una dei protagonisti dell’evento
Microsoft. Con Game DVR un utente PC
potrà, analogamente a quanto accade
nel mondo Xbox, registrare spezzoni di
gameplay (anche i 30 secondi precedenti) e condividerli con chiunque usi l’app
Xbox, a prescindere dalla piattaforma. La
cosa che ha colpito di più è l’estensione
del concetto di gaming multipiattaforma:
durante l’evento è stata mostrata una
sessione di gioco multiplayer in cui due
utenti, uno su Xbox One, uno su PC, si
trovavano a interagire nella medesima
partita. Il gioco, che uscirà su Windows 10 e Xbox
One, è Fable Legends,
ma Microsoft proverà ad
estendere il concetto alla
stragrande maggioranza
dei giochi in uscita, che
sfrutteranno le librerie
DirectX 12, delle quali
si è parlato poco se non
per dire che offriranno prestazioni superiori alle attuali e che, essendo Windows
10 pensato per più device (compresi
quelli a batteria), offriranno un consumo pari alla metà dell’odierno. Infine, il
discorso dello streaming da Xbox One a
dispositivi Windows 10, nella fattispecie
PC e tablet. Per dimostrare questa funzionalità, che sarà disponibile “più avanti
nel corso dell’anno”, in sede di presentazione è stata simulata una partita a Forza
Horizon 2 su un tablet Surface Pro 3, evidentemente in streaming da Xbox One, e
tra l’altro senza avvertibile lag.
SCIENZA E FUTURO HoloLens è un occhiale con lenti olografiche che permette di gestire oggetti virtuali nello spazio reale
Con Microsoft HoloLens gli ologrammi diventano realtà
Non ha bisogno di collegarsi ad un PC e si comanda con i movimenti delle mani e con la voce. Uscirà a fine anno
di Andrea ZUFFI
ni olografiche. Il mondo reale è invece
catturato da una fotocamera ad ampia
visuale con angolo a 120 gradi.
HoloLens integra molti sensori che
raccolgono un’infinità di informazioni
processate in tempo reale dalla CPU,
coadiuvata da un processore grafico
e da uno specifico motore olografico
(HPU: Holographic Processing Unit). Il
sistema è stand-alone e funziona quindi
senza che sia necessaria alcuna interazione con PC o smartphone. Le porte
di comunicazione sono unicamente
A
ll’evento di presentazione di Windows 10, Microsoft ha anche fatto
il suo ingresso ufficiale nella realtà
aumentata (non “virtuale” in senso stretto) con tanto di ologrammi virtuali con
cui interagire. Il prodotto si chiama HoloLens è si presenta come un visore che
ricorda i Google Glass, anche se dalle
dimensioni un po’ maggiori.
In realtà HoloLens è concepito come
salto epocale cui Microsoft ha lavorato
in gran segreto per diversi anni (nome
del progetto in codice Baraboo), collaborando anche con la NASA. E a Redmond ieri è andato in scena un vero e
proprio assaggio di futuro: è stata svelata la tecnologia Microsoft Holografic
che permette di vivere un’esperienza
completamente nuova fatta di oggetti
virtuali che l’utente vede come integrati
nello spazio reale. Indossando Holo-

Microsoft HoloLens
torna al sommario
Lens è infatti possibile interagire con
quanto reso visibile sotto forma di ologramma utilizzando i movimenti delle
mani, degli occhi e impartendo comandi
con la voce.
Durante la presentazione ufficiale, Microsoft ha voluto dare un assaggio delle
potenzialità del nuovo sistema di realtà
aumentata tridimensionale proponendo
alcuni scenari di impiego di HoloLens. Si
va da utilizzi più ludici, come ad esempio
una partita a Minecraft, alla visione coinvolgente di un evento sportivo tra le pareti di casa o ancora alla fantascientifica
passeggiata su Marte resa alquanto realistica dall’utilizzo delle lenti olografiche.
Microsoft ha inoltre voluto dimostrare
anche altre implicazioni nel mondo bu-
siness come per esempio la possibilità di visualizzare e “toccare
con mano” modellini 3D creati sul
computer prima di iniziare il reale
processo di realizzazione tramite
stampante 3D. Proprio a questo
scopo Windows 10 include la
suite HoloStudio con la quale è possibile curare ogni aspetto della gestione
dei modellini olografici tridimensionali.
L’hardware di HoloLens consiste in una
montatura simile ad una mascherina che
avvolge la testa anche sul retro. Le lenti
sono olografiche, cioè costituite da più
strati all’interno dei quali le particelle
di luce si muovono cambiando continuamente direzione e “ingannando” i
nostri occhi con la creazione di immagi-
wireless e al momento non sono noti i
dettagli sulla durata della batteria. Per
lo realizzazione di applicazioni di terze
parti sono disponibili in Windows 10 le
Holographic API. Non si hanno ancora
informazioni sul prezzo e sulla reale
data di commercializzazione anche se
lo stretto legame con Windows 10 lascia
intendere che HoloLens possa uscire a
fine anno insieme alla nuova versione
del sistema operativo.
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
PC Microsoft vuole riconquistare il mondo business con un PC con Windows 10 e un’app dedicata
Surface Hub, il PC da 84” per le aziende
Surface Hub è costituito da uno schermo 4K da 84”, una penna multifunzione e da un’app
di Michele LEPORI
elle “meeting room” aziendali
non si parlerà d’altro che di Surface Hub, lo schermo gigante
da 84” con risoluzione 4K, che ha fatto
la sua comparsa ufficiale alla presentazione di Windows 10.
Il megaschermo permette (e promette)
di reinventare il modo di gestire conference call, briefing e tutte le attività
collettive che fanno parte della giornata tipo di un cliente business assieme alla penna digitale multifunzione a
più livelli di pressione ed all’app che
gestisce tutta la macchina.
Ma cosa si nasconde dietro a Surface Hub? O meglio, cosa si nasconde

N
torna al sommario
Surface 2 non
verrà aggiornato
a Windows 10
Addio Windows RT
Microsoft conferma che
i tablet con Windows RT
non potranno essere
aggiornati a Windows
10. Ci sarà però un
aggiornamento per RT
che introdurrà alcune
delle nuove funzionalità
sui vecchi tablet
dentro Surface Hub? Il megaschermo
di Microsoft non è nient’altro che un
PC con Windows 10 e un’app dedicata, molto simile a OneNote, con interfaccia
utente semplificata e
ottimizzata per la penna
digitale.
Ma questo non la rende
l’unica modalità d’uso
di Hub, tant’è che ogni
partecipante alla conferenza potrà connettere il proprio PC o Mac,
aprire qualsiasi programma e mostrare a
tutta la platea progetti,
relazioni, presentazioni
o sfruttare Skype for
business per invitare altri partecipanti a quella
che diventerebbe quindi una teleconferenza.
Microsoft ha pensato il
Surface Hub anche per
connettere dispositivi
mobili wireless, ecco
quindi che tablet, smartphone e phablet saranno interfacciabili con
pochi tocchi e potranno
inviare e ricevere dati
come i computer: massima apertura ad ogni
situazione, quindi, e
rischio di maxischermo nato poco più per
demo preconfezionate
scongiurato.
Surface Hub rimane
però costruito attorno
alle esigenze dei relatori, ed il loro braccio
destro durante l’utilizzo
diventerà ben presto
la penna digitale, al momento ancora
senza nome: si ricaricherà semplicemente agganciandola alla calamita
del bordo schermo e semplicemente
prendendola in mano si aprirà automaticamente l’app simil-OneNote,
senza registrazioni o procedure di
autenticazione e Microsoft promette
settimane di autonomia, anche senza
riagganciarla alla cornice.
E se per caso si dovesse scaricare
completamente, 2 minuti di collegamento alla calamita sulla cornice
garantiranno una ricarica sufficiente
all’utilizzo per un’ora.
Il computer perfetto, quindi? Quasi.
Surface Hub ha un cuore che batte
con Windows 10 ma non è esattamente un PC, poiché non è in grado di archiviare dati all’interno. Al termine della conferenza, Surface Hub chiederà
l’inserimento di una o più email dove
mandare tutto quanto creato durante
la presentazione oppure, se la conferenza era già programmata e c’era
una lista di partecipanti, Surface Hub
provvederà ad inviare a tutti quanto
scritto, disegnato e presentato sugli
84” del suo schermo e al termine dei
lavori provvederà a “ripulirsi” per essere riutilizzato da nuovi partecipanti,
che non potranno in alcun modo accedere ai dati mostrati in precedenza.
Surface Hub promette “faville” per
l’utenza aziendale, ma al momento
non si sanno ancora né la disponibilità né il prezzo, fattori che potrebbero frenare la diffusione fra le aziende
medio-piccole. Ci saranno possibilità
di noleggio o leasing? Come verrà gestita l’assistenza?
Tutte domande a cui al momento non
c’è risposta, ma Surface Hub potrebbe già essere nella lista della spesa di
tante realtà commerciali.
di Paolo CENTOFANTI
Microsoft stacca la spina a Windows RT, la versione di Windows
8 pensata per i dispositivi con
processore ARM. L’azienda lo ha
confermato in una sessione di
Q&A con alcune testate americane, annunciando che il tablet
Microsoft Surface 2, così come
tutti gli altri prodotti commercializzati con Windows RT, non potranno essere aggiornati al nuovo Windows 10. Del resto i tablet
con Windows RT non hanno mai
avuto molto successo, soprattutto perché, pur dotati di una
modalità desktop, non erano in
grado di far girare i programmi
Windows; rimanendo in casa
Microsoft, solo le versioni Pro di
Surface hanno avuto vendite un
po’ più consistenti.
E così, mentre i tablet Surface Pro avranno la possibilità di
passare al nuovo sistema operativo, per Surface 2 ci sarà solo
un aggiornamento minore che
introdurrà un numero limitato di
funzionalità di Windows 10 sul
vecchio tablet ARM. La situazione sembra simile per certi versi
a quanto successo con Windows
Phone 8, quando molti dei primi
smartphone Windows Phone 7
hanno ricevuto solo un aggiornamento intermedio con poche
funzionalità della nuova versione del sistema operativo.
Microsoft ha dichiarato che sul
futuro di Windows RT ci saranno maggiori dettagli più in là,
ma sembra ormai chiaro che
gli unici dispositivi Windows 10
con processore ARM saranno gli
smartphone.
n.104 / 15
26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
PC Nelle prossime settimane potremo testare Office con la Windows 10 Technical Preview
Microsoft
Office
2016
arriverà
a
fine
anno
Per il lancio definitivo dovremo attendere qualche mese. Comunque lo vedremo nel 2015
di Michele LEPORI
icrosoft annuncia ufficialmente
che Office 2016 sarà disponibile entro la fine dell’anno. Dopo
i primi assaggi visti al recente evento
di presentazione di Windows 10, l’interesse per la nuova versione di Office è
cresciuto, ed è proprio Julia White, Office General Manager, a tranquillizzare
gli animi dalle pagine del blog ufficiale:
“Mostreremo ancora molto di Office
2016 nei prossimi mesi, ma resterà la
solita suite a cui siamo abituati, adatta
a PC con tastiera e mouse”. Questa dichiarazione fa riferimento alle critiche
che sono state mosse a Microsoft, “rea”
M
di essersi concentrata troppo sulla parte
dedicata ai device touchscreen trascurando gli utenti desktop.
Non ci saranno dunque grossi cambiamenti: a parte qualche piccola aggiunta
o modifica, il nuovo software assomiglierà molto ad Office 2013. Il grosso dei
cambiamenti sarà concentrato sulla versione per smartphone e piccoli tablet,
con una UI molto simile a quella già vista
su iPad; nonostante ciò, a Redmond si
sta lavorando per aggiungere qualche
feature che renda l’esperienza d’uso differente in ambiente Windows 10. La tabella di marcia è decisa e nelle prossime
settimane potremo testare Office con la
Windows 10 Technical Preview. Ricordiamo che tutte le versioni di Office 2016
includeranno Word, Excel, PowerPoint,
OneNote e Outlook. Per seguire ogni
novità potete fare riferimento al blog
ufficiale Office.
PC Confermate le voci dell’arrivo di WhatsApp sul web. Ma non si tratta di un client indipendente
WhatsApp arriva sul web, ma solo con Chrome
Si tratta di un mirror dell’app per smartphone; per ora è compatibile con Chrome e non con iOS
l
di Massimiliano ZOCCHI

l sogno di molti si è avverato: WhatsApp arriva sul web e sul desktop,
PC, Mac o altro non fa differenza. Ma
in realtà è un sogno “a metà”: il nuovo
client non è una versione indipendente
(come ad esempio iMessage di Apple
sul Mac), ma ha diverse limitazioni.
La più importante è la necessità di
mantenere lo smartphone su cui abbiamo installato WhatsApp, sempre
connesso alla rete. Questo perché
la nuova versione web è una sorta di
mirror dell’applicazione mobile, e ciò
torna al sommario
che digitiamo sul
nostro desktop,
passa sempre per
lo smartphone. È
sempre presente,
tuttavia, la possibilità di condividere foto o video.
Nel caso in cui
il device mobile
perda la connessione o sia spento, anche la versione
web smetterà di funzionare.
Limitazione questa che sta facendo discutere, tanta è la delusione di chi sperava di poter attivare nuovi account o
comunque avere più libertà d’azione.
Per far sì che il client si colleghi al proprio smartphone è necessaria una sorta di operazione di pairing:I più attenti
avranno già notato l’assenza della versione iOS, e sul blog ufficiale la spiegazione al momento è piuttosto vaga:
“Purtroppo per ora, non siamo in grado
di fornire il client web ai nostri utenti
iOS a causa delle limitazioni della piattaforma Apple”. In realtà ci sono già
voci di corridoio che vorrebbero le due
aziende alleate per un’integrazione in
OS X, staremo a vedere.
La seconda limitazione, anche se meno
importante, è che al momento il sistema funziona solo con Google Chrome;
se si accede tramite un browser diverso si viene indirizzati verso una pagina
che propone di scaricare il software di
Mountain View. Ma la dicitura “More
browsers coming soon” lascia ben
sperare.
Da Philips il
monitor 27’’ per
i professionisti
della grafica
Philips lancia sul
mercato italiano un
monitor da 27’’ con
pannello IPS-AHVA che
supporta il 99% dello
spazio colore Adobe
RGB. Pensato per i
professionisti di grafica e
video, è già disponibile
a 799 euro
di Emanuele VILLA
È da ora disponibile sul mercato
italiano un monitor Philips da 27’’
(Philips Brilliance 272P4APJKHB)
dalle caratteristiche tecniche
molto interessanti e dedicato ai
professionisti della grafica e del
video. Al prezzo di listino di 799
euro, Philips propone un display
IPS-AHVA precalibrato che supporta il 99% dello spazio colore
RGB e il 100% dello spazio colore
sRGB, oltre alla regolazione del
colore personalizzata a sei assi
(PerfectKolor) e il colore a 10 bit
per la rappresentazione simultanea di oltre 1 miliardo di tinte.
Le altre tecnologie interessanti del monitor Philips sono
SmartUniformity, che analizza e
compensa le fluttuazioni di luminosità e colore nelle varie aree
dello schermo (cosa particolarmente importante in alcuni ambiti professionali) e Flicker-free
per eliminare il micro-sfarfallio
che, soprattutto in un monitor
professionale, può stancare non
poco la vista. Il pannello è un
27’’ IPS-AHVA con risoluzione
2560x1440, ha tecnologia MultiView per il collegamento a più
sorgenti contemporanee e il
supporto SmartErgoBase per la
massima fliessibilità di visione. Il
Philips Brilliance 272P4APJKHB
offre un angolo di visione di 178°
in entrambi i versi e una luminosità di 350 cd/m2, mentre per
quanto concerne le connessioni
segnaliamo le 3 prese USB 3.0,
2 HDMI, DisplayPort e DVI a doppia uscita.
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
HI-FI E HOME CINEMA Emergono nuovi dettagli sulla standardardizzazione Blu-ray 4K
Blu-ray 4K, standard in arrivo entro l’anno?
Il color sampling resterà 4:2:0 mentre pare che non ci sarà spazio per il 3D Ultra HD
S
di Roberto PEZZALI
ono mesi caldi per la BD Association: l’obiettivo è arrivare entro la
fine dell’estate con una bozza delle
specifiche in previsione dell’IFA e la standardizzazione entro l’anno. Un obiettivo
non impossibile, anche perché questa
volta non ci sono produttori da mettere
d’accordo: le specifiche saranno decise
dai membri ma probabilmente non tutti
i produttori decideranno di produrre poi
dispositivi. In ogni caso la direzione verso cui si sta andando è una via di mezzo
tra la rivoluzione totale e il mantenimento di alcune tecnologie attuali: la tabella
qui sotto mostra la proposta per il nuovo
formato, che sarà basato su dischi a uno,
due o tre strati fino a 100 GB di capacità.
Il codec predefinito sarà l’HEVC, ma re-
sterà ugualmente la possibilità di sfruttare l’AVC H.264 per
alcuni contenuti come gli extra. Due le risoluzioni supportate: 1920 x 1080 e ovviamente l’Ultra HD 3840 x 2160. La
novità è il color subsampling,
ovvero il campionamento
delle componenti YCbCr: verrà mantenuto il 4:2:0, come nel caso del
Blu-ray, questo per mantenere i file in dimensioni accettabili e per non cambiare
connessione. Un campionamento 4:2:2
o 4:4:4 avrebbe richiesto una nuova connessione o una nuova versione di HDMI,
ma va anche detto che per l’occhio umano è impossibile distinguere un file 4:2:2
da un 4:4:4. Più interessante vedere il
bitrate massimo a 100 Mbps, i 10 bit e
la presenza di entrambi gli spazi colore
BR.2020 e REC 709: grazie ad una serie
di metadati infatti sarà possibile avere la
retrocompatibilità per i display non HDR
e non 4K, utile per chi ha un player collegato ad un proiettore Full HD e un TV 4K
o un TV 4K non HDR. Dubbi infine sul 3D:
sembra infatti che al momento non venga supportato il 3D 4K a 60 fps, sempre
per questione di spazio.
HI-FI E HOME CINEMA Denon amplia la gamma di amplificatori compatibili con la musica DSD
Denon PMA-50, il microamplificatore compatibile DSD
La presenza di molti ingressi digitali e di uno analogico lo rende particolarmente versatile
di Roberto FAGGIANO
enon allarga la famiglia di componenti audio compatibili con la
musica in alta risoluzione DSD;
dopo i convertitori è il momento dell’amplificatore. Il PMA-50 (499 euro) è
un amplificatore stereo con potenza di
2 x 25 watt (8 ohm - 0,1% THD), convertitore D/A compatibile con musica
DSD, dimensioni decisamente compatte (misura 200 x 86 x 258 mm, L x A
x P), collegamento Bluetooth con aptX
e abbinamento NFC, ingressi digitali
e analogico con la comodità di poterlo sistemare in orizzontale e verticale,
magari accanto al notebook e a due
diffusori compatti. Sul pannello frontale
troviamo un display OLED che indica la
sorgente e il tipo di file digitale in ripro-

D
torna al sommario
duzione e la manopola del volume; la
sorgente si controlla dal telecomando
oppure in modo sequenziale. Sul pannello posteriore troviamo l’ingresso
USB per computer dal quale riprodurre
i file musicali in alta risoluzione, due ingressi digitali
ottici e uno
coassiale; ma
c’è anche un
comodo
ingresso
analogico
per
allargare
la
compatibilità
con una qual-
siasi altra sorgente. Oltre alle uscite
per una coppia di diffusori c’è un collegamento pin RCA per un eventuale
subwoofer amplificato. Il convertitore
D/A integrato sfrutta il prestigioso ed
esclusivo circuito Denon AL32 con
convertitore da 192 kHz/24bit, ed è
possibile riprodurre musica dall’MP3
fino al DSD 5,6 MHz. Il modulo di amplificazione digitale in classe D è un
DDFA (Direct Digital Feedback Amplifier) della CSR, la stessa azienda che
ha sviluppato il Bluetooth con aptX a
bassa latenza che equipaggia l’amplificatore. L’amplificatore PMA-50 è già
disponibile sul mercato europeo.
Sonos aprirà
i suoi diffusori
ad app di terze
parti?
Stando ad un annuncio
di lavoro, Sonos
starebbe aggiornando
la propria piattaforma
software per permettere
di integrare il supporto
ai suoi diffusori in
qualunque applicazione
di Paolo CENTOFANTI
Il sistema di diffusori Sonos ha
avuto talmente successo da essere stato preso a modello da
praticamente tutti i produttori di
elettronica. Per Sonos questo vuol
dire anche maggiore concorrenza
e quindi la necessità di adattarsi
velocemente a quelle che stanno
diventando le abitudini di ascolto
degli utenti, come la possibilità di
riprodurre musica direttamente
dall’app dei principali servizi di
streaming. Già ora, Sonos permette di ascoltare musica sui suoi
diffusori da praticamente tutte le
piattaforme musicali, ma con un
limite: occorre passare obbligatoriamente per l’app ufficiale Sonos.
Sistemi come Spotify Connect,
Apple AirPlay o il nuovissimo
Google Cast danno invece la possibilità di utilizzare direttamente
l’app nativa del servizio musicale,
offrendo spesso molte più funzionalità rispetto a quella di Sonos.
Per questo motivo, il produttore
californiano starebbe studiando
la tanto attesa apertura alle app di
terze parti. Lo rivela un annuncio
di lavoro su Linkedin, in cui si fa riferimento esplicitamente alla progettazione di API (essenzialmente
interfacce software per l’accesso
alla piattaforma Sonos) “per consentire ai servizi musicali di terze
parti di integrare facilmente le loro
app con Sonos”. Chiaramente,
poiché Sonos è ancora in fase di
ricerca del personale apposito,
ci vorrà ancora del tempo prima
di vedere delle app di terze parti
essere in grado di inviare musica
in streaming sui diffusori Sonos,
ma come si suol dire, meglio tardi
che mai.
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
MERCATO Molti editori hanno in effetti annunciato riduzioni di prezzo, anche se un po’ in ritardo rispetto alla riduzione dell’IVA
E-book: l’IVA al 4% per conservare i vantaggi
Ecco perché i prezzi non potevano cambiare
Prosegue il viaggio di DDay.it nei meandri dei prezzi degli e-book e della relativa IVA agevolata in vigore il 1 gennaio
IVA più bassa ma prezzi quasi invariati, perché? Con la norma europea saltavano i vantaggi di Amazon, Apple e Kobo
È
di Gianfranco GIARDINA
stata grande l’eco della nostra inchiesta sui
prezzi degli e-book, che dopo il 1° gennaio non
si erano modificati malgrado la riduzione dell’IVA
al 4%. E il motivo è molto semplice: tutti i cittadini si
aspettavano che, a fronte di una riduzione di IVA molto importante (dal 22% al 4%), corrispondesse una riduzione dei prezzi al pubblico pressoché automatica.
Come normalmente sono automatici gli aumenti, quando l’IVA cresce.
Solo nei giorni successivi alla nostra inchiesta e al conseguente clamore, molti editori hanno annunciato alcune riduzioni di prezzo, indicando come principale causa
del ritardo la tradizionale chiusura natalizia degli uffici:
spiegazione che non convince al 100%, dato che la riduzione dell’IVA era cosa fortemente presumibile da fine
novembre e certa dal 21 di dicembre. Quindi, volendo
ben vedere, il tempo c’era. Le riduzioni effettuate negli
scorsi giorni comunque, hanno riguardato solo titoli selezionati (anche se in alcuni casi importanti) e non sono
state lineari su tutto il catalogo come la rimodulazione
dell’IVA avrebbe potuto lasciar prevedere.
Ma la realtà è che, a causa di una serie di complicate
e incredibili concomitanze, anche se l’IVA è stata effettivamente ridotta, il prezzo degli e-book non doveva e
non poteva cambiare. E il “beau geste” degli editori dei
giorni scorsi, pur gradito, non era affatto dovuto, come
ci hanno ben spiegato, tra gli altri, sia Marco Polillo,
presidente dell’Associazione Italiana Editori, che Alessandro Magno, direttore dell’area Digital del Gruppo
Editoriale Mauri Spagnol, che abbiamo approfonditamente intervistato.
Vediamo in questo “addendum” di inchiesta, perché
i cittadini non vedranno un centesimo della riduzione
di IVA sugli e-book: cercheremo di farla più semplice
possibile.
Clicca sulla foto a
sinistra per leggere
l’intervista completa a
Marco Polillo, presidente
di AIE.
Clicca sulla foto a sinistra
per leggere l’intervista
completa a Alessandro
Magno, direttore Digital
del Gruppo Editoriale
Mauri Spagnol.
Strane concomitanze: due novità IVA in
vigore dal 1° gennaio
La premessa da fare è che, come avevamo chiaramente spiegato a inizio dello scorso dicembre, con
l’inizio del 2015 entrava in vigore una modifica della
normativa fiscale comunitaria in virtù della quale, per
l’acquisto di beni immateriali e servizi (come un e-book
per esempio) si sarebbe applicata l’aliquota IVA vigente nella nazione dell’acquirente e non in quella del
venditore, com’era invece fino all’anno scorso. Questa
norma è appunto entrata in vigore il 1° gennaio scorso,
proprio come il provvedimento del Governo che ha ridotto l’IVA italiana sugli e-book, inserito all’interno della
legge di stabilità. Due modifiche importanti al regime
IVA degli e-book che diventano operative nello stesso
giorno. E – come vedremo - probabilmente si tratta di
tutt’altro che un caso.
Fino al 2014 agli editori conveniva
vendere attraverso Amazon e gli altri
store internazionali
In conseguenza alle normative vigenti fino allo scorso
anno, un e-book subiva sorti fiscali diverse a seconda del marketplace sul quale l’utente lo acquistava.
Su uno store italiano (come per esempio lafeltrinelli.it
o ibs.it) l’IVA applicata era del 22%. La conseguenza
diretta era – tanto per fare un esempio – che, su un
acquisto da 9,99 euro, circa 1,80 euro andavano all’erario sotto forma di IVA e i restanti 8,20 euro rappresentavano il ricavo netto di tutta la filiera (store, eventuale distributore ed editore). Se invece si procedeva
all’acquisto dello stesso titolo presso gli store esteri
(guarda caso spesso domiciliati in Lussemburgo, come
Amazon, Apple Store o Kobo) veniva applicata l’IVA vigente nel Paese estero. In particolare in Lussemburgo
l’IVA sugli e-book era ed è del 3%. Proseguendo con il
nostro esempio, un acquisto di quell’e-book da 9.99 su
Amazon corrispondeva a un’IVA di circa 0,25 euro e a
un ricavo per la filiera di oltre 9,70 euro, ben un euro
e mezzo in più di quanto non accadesse tramite i negozi italiani. La conseguenza diretta di tutto ciò è che
per anni e fino a qualche giorno fa, gli editori avevano
una discreta convenienza a vendere attraverso i canali
basati in Lussemburgo, come Amazon, Apple e Kobo.
Mettendo ovviamente in ulteriore difficoltà i coraggiosi
store italiani, che oltre a pagare le tasse a casa nostra a
condizioni sicuramente peggiorative, erano anche gravati da uno svantaggio competitivo di partenza nei confronti dei grandi competitor internazionali. E – inspiegabilmente – hanno accettato per molto tempo questa
situazione senza riuscire a far crescere un sentimento
di corretta indignazione nell’opinione pubblica.
Cosa è cambiato nel 2015: tutti gli store
giocano ad armi pari
Grazie all’entrata in vigore del provvedimento europeo
di “attrazione” del regime IVA dell’acquirente (pensato
proprio per evitare le storture appena descritte), di colpo sia gli store internazionali che quelli italiani si sono
trovati a vendere gli e-book agli utenti italiani alle medesime condizioni fiscali: quelle italiane. Che – come
dicevamo – sono cambiate proprio dal 1° gennaio. Ora,
sia che si acquisti su Amazon che su lafeltrinelli.it, l’IVA
applicata è quella vigente in Italia, ovverosia del 4%.
Questo significa che per gli acquisti effettuati sugli store lussemburghesi cambia poco: si passa dal 3 al 4%,
con quindi un leggero aggravio di costi a carico della
filiera se i prezzi al pubblico vengono lasciati costanti.
Una riduzione dei prezzi su questi store in seguito alla
diminuzione dell’IVA italiana è quindi del tutto immotivata. Al massimo poteva verificarsi un piccolo aumento.
Al contrario, cambia sostanzialmente la situazione per
gli acquisti fatti su negozi italiani: qui l’IVA applicata

segue a pagina 14 
torna al sommario
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MAGAZINE
MERCATO
Inchiesta e-book, IVA al 4%
segue Da pagina 13 
scende dal 22% al 4% e, se i prezzi finali restano uguali,
anche gli store italiani iniziano a generare ricavi unitari
uguali ai negozi esteri e tutti giocano ad armi pari. Al
massimo, si sarebbe potuto sperare in una qualche riduzione dei prezzi sugli store italiani, oramai abituati a
sopravvivere con margini minori. Ma anche questo non
sarebbe stato possibile, e più avanti vedremo perché.
Ma quanto contano i negozi italiani?
Uno dei principali problemi è però cercare di valutare,
fatto 100 il giro d’affari del mercato, quanto contano i
negozi italiani. Non esistono numeri ufficiali da questo
punto di vista: “Purtroppo Amazon non rilascia questi
numeri – ci ha detto Marco Polillo, presidente di AIE -,
malgrado noi glieli si sia chiesti un’infinità di volte…”.
E se Amazon non parla e l’associazione degli editori
non ha allestito un osservatorio basato sui dati degli
associati, non resta che affidarsi alle stime. Gli editori
da noi sentiti hanno tutti raccontato di un predominio
pressoché totale degli store lussemburghesi, con una
netta prevalenza per Amazon: “Gli store che operano
dal Lussemburgo – ci ha spiegato Alessandro Magno
del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol – rappresentano
una quota rilevantissima del mercato, che cambia da
editore a editore, ma che si attesta oltre il 75% per
tutti”. In alcuni casi, soprattutto i piccoli editori, le percentuali sono ancora più alte: “Per Logus – ci racconta
Pier Luigi Lai, fondatore della Casa editrice – la sola
Amazon incide per l’85-90% del nostro giro d’affari”.
Tra l’altro va anche considerato che alcuni store che
tutto lasciava presumere fossero schiettamente italiani,
come il Mondadori Store, di fatto fa da vetrina e catalogo sul proprio server italiano ma poi fa perfezionare
l’acquisto sulla piattaforma di Kobo, ovviamente basata
in Lussemburgo.
Questo vuol dire che, con la stragrande maggioranza di
vendite veicolate dagli store lussemburghesi, la situazione cambia di poco. Ipotizziamo – e non sbagliamo di
molto - che il 80% delle vendite arrivi dal Lussemburgo,
mentre solo il 20% venga fatto dai negozi italiani. In
questo caso ci sarebbe un aggravio dell’1% di IVA su
quattro quinti delle vendite e un risparmio del 18% di
IVA su un quinto. Pesando aggravi e risparmi, si arriva
a un maggior margine totale per editori e rivenditori di
circa il 2,2%, praticamente una cosa trascurabile. Quindi attendersi una riduzione dei prezzi a fronte della
nuova disposizione IVA del Governo italiano – come
noi abbiamo fatto in buona fede - era in realtà del tutto irrealistico. Se i cittadini se la aspettavano, è perché
evidentemente il provvedimento è stato “venduto” politicamente come un grande vantaggio per i cittadini,
uno di quei rari casi in cui scendono le tasse. Ma guarda caso – per questa serie di alchimie – i costi per i
cittadini non cambiano.
Cosa sarebbe successo senza
la riduzione dell’IVA italiana?

A questo punto è giusto interrogarsi su cosa sarebbe
però successo se fosse entrata in vigore la normativa
europea senza il “correttivo Franceschini”: in poche pa-
torna al sommario
role da un giorno all’altro Amazon e gli altri si sarebbero
trovati a dover applicare un’IVA del 22%. Per Amazon
un problema contenuto: guadagna a provvigione su
prezzi stabiliti dagli editori. Se gli editori non avessero
toccato i prezzi finali, Amazon avrebbe semplicemente
guadagnato un po’ meno dalle vendite in Italia; ma soprattutto sarebbero stati gli editori a vedere un peggioramento dei propri margini di circa il 15% del prezzo di
vendita proprio sul canale che rappresenta per loro la
stragrande maggioranza del giro d’affari. Cosa sarebbe veramente successo alla fine non lo sapremo mai,
ma qualche ipotesi la si può azzardare: probabilmente
le case editrici – che non hanno bilanci particolarmente
floridi – sarebbero state costrette a ritoccare verso l’alto i prezzi finali (almeno sugli store esteri) per recuperare il margine perso. Ma questo aumento si sarebbe poi
incredibilmente riflesso anche sugli store italiani, come
vedremo tra poco.
Amazon, Apple e Kobo: la livella
dei prezzi
Una cosa che ha colpito alcuni lettori della nostra inchiesta e che francamente ha colpito anche noi è il
totale equilibrio dei prezzi tra tutti gli store, italiani
ed esteri. In realtà – ci è stato detto da alcuni editori
– Amazon, Apple e Kobo avrebbero inserito delle clausole contrattuali che impegnano l’editore, più o meno
con le buone, a garantire loro il miglior prezzo sul mercato. Questo ovviamente, anche perché posto in essere da più store contemporaneamente, rende il prezzo
di un singolo libro perfettamente identico da negozio
a negozio, come se si trattasse di un prezzo imposto.
Imposto dall’editore, ovviamente, che lo determina liberamente, ma comunque senza possibilità per i rivenditori di farsi un minimo di concorrenza tra di loro sulla
variabile prezzo e quindi – presumibilmente – con un
presumibile danno per i consumatori. Infatti, quand’anche gli editori avessero voluto ridurre tutti i prezzi degli
store italiani per condividere con i consumatori i maggiori margini ottenuti dalla rimodulazione dell’IVA, non
avrebbero potuto farlo se non riducendo anche i prezzi
di Amazon e compagni, dove non è praticamente cambiato nulla, andando così a perdere molti soldi, anche
in considerazione dei volumi maggiori generati dai ca-
nali esteri: “Se avessimo ritoccato i prezzi, avremmo
dovuto farlo dappertutto, anche su Amazon – ci spiega
Lai della Logus –. Ma i prezzi su Amazon sono già stati
calibrati sulla base delle previsioni di vendita: è impossibile pensare di abbassare quei prezzi”.
Tra l’altro, va considerato che i libri non sono beni “sostituibili” tra loro: se si è interessati a leggere l’ultimo di
Patricia Cornwell, tanto per fare un esempio, non si può
che comperarlo nell’edizione dell’editore che lo pubblica, a un prezzo che quindi è assolutamente uguale da
negozio a negozio.
Qualcuno potrebbe lecitamente chiedersi perché gli
editori accettino clausole così vincolanti: “Amazon – ci
spiega Pier Luigi Lai di Logus - dice qualcosa di simile a
‘Non puoi usare la mia vetrina e poi andare a vendere
a prezzo minore da qualche altra parte’. Amazon fa
bene, perché ha messo a punto una vetrina che è insuperabile. Lo devo riconoscere: Amazon a fare questo
lavoro è molto efficiente. Abbiamo avuto qualche libro
che è stato scelto da loro come libro del giorno: in quel
giorno abbiamo realizzato vendite superiori a tutto
l’anno. Noi non possiamo certo metterci di traverso”.
Anche i grandi editori sono contenti di accettare questa clausola e quindi di regolare e livellare i prezzi sul
mercato: “Noi siamo ben contenti - ci ha spiegato
Alessandro Magno, direttore Digital di Mauri Spagnol
- di decidere autonomamente i nostri prezzi e di non
farli decidere a terzi. Questo, come editore, mi ha da
anche la possibilità di fare delle promozioni che penso,
programmo e decido io”.
Sulla base di questa evidenza, va ulteriormente considerato cosa sarebbe successo senza la riduzione dell’IVA al 4%: se gli editori – come dicevamo – avessero
aumentato i prezzi degli store esteri (dove si sarebbe
sostanziata la perdita di margine) alla fine avrebbero
dovuto aumentarli anche sugli store italiani. In pratica ci
sarebbe stato un aumento di tutti i prezzi sul mercato,
anche sui negozi per i quali di fatto non sarebbe cambiato nulla relativamente al regime IVA.
segue a pagina 18 
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
MERCATO DDay.it intervista Polillo per parlare della polemica relativa ai prezzi dei libri digitali esplosa a inizio anno
Intervista a Marco Polillo, Presidente di AIE
“Due norme sull’IVA e-book? Una coincidenza”
“La condizione creata con la doppia normativa IVA da inizio anno non avrebbe giustificato la riduzione dei prezzi”
N
di Gianfranco GIARDINA
ell’ambito degli approfondimenti seguiti alla nostra inchiesta sul prezzo degli e-book di inizio
anno, abbiamo sentito Marco Polillo, Presidente di AIE (Associazione Italiana Editori, l’associazione
confindustriale dell’editoria libraria), oltre che Presidente di Confindustria Cultura.
Polillo, classe 1949, ha un passato in Mondadori e
RCS e ha fondato da qualche anno la casa editrice
che porta il suo nome.
DDay.it: Lei ha sicuramente letto la nostra inchiesta
di inizio anno…
Marco Polillo: “Lì è successa una cosa alla quale generalmente non si pensa e cioè che l’intera editoria
italiana era chiusa per ferie: dal 23 dicembre al 7
gennaio io ero uno dei pochi presenti. Gli altri, magari erano a Milano, ma approfittando di questo ponte
eccezionale di quest’anno, tutti hanno chiuso. Quindi
anche volendo non ci sarebbe stata la possibilità di
intervenire sui prezzi, anche perché la legge di stabilità è stata approvata a fine dicembre ed è entrata in
Gazzetta Ufficiale il 29 di dicembre, entrando in vigore il 1° di gennaio. E quindi tutte le revisioni di prezzo
sono slittate alla riapertura.
C’è anche un aspetto un po’ particolare che riguarda
gli e-book: a differenza del prodotto cartaceo, che
essendo fisicamente riscontrabile, non può vedere
il suo prezzo di copertina cambiato spesso, l’e-book
vive molte più operazioni di taglio prezzo temporaneo, di aumento, decremento, offerta speciale, eccetera. E il prezzo va gestito di continuo.”
DDay.it: La legge che regolamenta il prezzo dei libri
cartacei e che fissa il massimo sconto che possono
effettuare le librerie si applica anche agli e-book?
Polillo: “Non si applica sugli e-book; la legge prevede
l’applicabilità solo sul prodotto cartaceo. Il libro elettronico - che era ancora agli inizi - non era ricompreso nella normativa”.

DDay.it: Alcuni prezzi ora sono stati riposizionati e
queste riduzioni sono state giustamente pubblicizzate dagli editori e addirittura il Ministro Franceschini
ha salutato queste riduzioni tra gli effetti della riduzione dell’IVA. D’altra parte non sono stati fatti
tagli lineari su tutti i prezzi, come si poteva pensare
in un primo momento. Alla luce delle nostre ultime
ricostruzioni, ci sentiamo di poter dire che una riduzione sarebbe stata francamente impensabile, dato
che per gli editori dal 2014 al 2015 non è cambiato
quasi nulla…
Polillo: “La sua interpretazione è corretta, nel senso
che è stata molto accentuata la differenza di IVA che
torna al sommario
c’era tra il 4 del libro cartaceo e il 22% dell’e-book;
in realtà, fino alla fine dello scorso anno, l’aliquota
IVA applicata dipendeva molto da dove un cliente
acquistava un e-book. Se l’acquisto veniva fatto da
Amazon che godeva di privilegi fiscali particolari,
l’IVA sull’e-book era solo il 3%…”
fornitori di servizi digitali che ritengono di dover essere considerati prodotto culturale?
Polillo: “Potrebbe essere un’obiezione. Ma la controobiezione è che anche prima dell’avvento del prodotto informatico, il libro ha sempre goduto, anche altrove, di una normativa IVA diversa dagli altri prodotti…”
DDay.it: Voi sapete qual è il numero di e-book che
vende in Italia Amazon e il giro d’affari conseguente?
Polillo: “No, purtroppo Amazon non rilascia questi
numeri, malgrado noi glieli si sia chiesti un’infinità di
volte…”
DDay.it: I periodici anche. Quindi lei non è contrario
al fatto che il beneficio venga esteso anche a quotidiani e periodici in versione digitale?
Polillo: “Io so che la FIEG ha fatto un tentativo di…
non dico di accodarsi ma ha fatto un ragionamento
tipo ‘proviamoci anche noi’ perché il concetto che
sta alla base è lo stesso. Questa situazione mette in
evidenza come stia diventando difficile legiferare in
materia con l’avvento di Internet e di tutto quello che
comporta”.
DDay.it: Beh, immaginiamo che comunque Amazon
e gli altri store lussemburghesi siano il canale prevalente per gli e-book: in questo caso per tutto quel
giro d’affari, dal 1° gennaio addirittura la situazione
è leggermente peggiorata, passando dal 3% di IVA
al 4%, corretto?
Polillo: “Sì, c’è stato un peggioramento sulle vendite
dall’estero. E non c’era certo un obbligo di abbassare
i prezzi in queste condizioni. Diciamo che, malgrado
tutto ciò, questa situazione è stata presa come occasione per ribadire ciò di cui noi siamo fermamente
convinti: ovverosia che non c’è alcuna differenza concettuale tra un libro pubblicato su un supporto fisico e
lo stesso libro circolato su un supporto virtuale…”
DDay.it: Beh, questo è talmente evidente che non ci
sarebbe neppure da iniziare a discutere…
Polillo: “Lo so, però ci sono ancora in sede comunitaria grossi ostacoli ad assimilare questo concetto…”
DDay.it: Ma non pensa che sia legato al fatto che
poi, per estensione, si creerebbe la “fila” degli altri
DDay.it: Torniamo al punto di partenza: il tema dell’abbassamento dell’IVA sugli e-book non è certo
nuovo. Ma il “colpo di reni” degli ultimi mesi e della campagna #unlibroèunlibro non trova lo spunto
proprio dalla minaccia della modifica del regime IVA
comunitario che è entrato in vigore a inizio anno?
Polillo: “È una battaglia che viene da lontano: oltre
quattro anni fa io stesso avevo ufficialmente chiesto
che l’IVA su libro elettronico fosse rivista. Quanto alla
storia recente, nessuno, al momento di quando abbiamo lanciato la campagna, si sarebbe aspettato
che la normativa europea sarebbe entrata in vigore
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
MERCATO
Intervista a Marco Polillo (AIE)
segue Da pagina 15 
il 1° gennaio e quindi c’è una coincidenza di date che
è stupefacente; noi francamente pensavamo che si
trattasse di una battaglia sentita e con grandi possibilità di successo; però, grazie alla collaborazione
del Ministro Franceschini, il risultato è stato molto più
veloce di quello che pensassimo. Quindi si tratta solo
di una coincidenza”.
DDay.it: Il prezzo attuale degli e-book è giusto a suo
avviso? Qualcuno dice che i grandi editori tengono
i prezzi artatamente alti per continuare a favorire il
vecchio business cartaceo…
Polillo: “Il catalogo di e-book disponibili in Italia inizia
ad essere molto importante: credo che ci si attesti intorno ai 70mila titoli. In secondo luogo, c’è una percezione da parte del lettore/scaricatore medio italiano
che il prezzo giusto di un e-book non dovrebbe essere superiore al 50% dello stesso oggetto in formato
cartaceo: ma se del prezzo dell’e-book una buona
fetta (il 22% dell’IVA italiana fino allo scorso anno,
ndr) se ne va in IVA, risulterà ancora più complesso
raggiungere l’obiettivo. Anche perché tutto nasce da
un fatto che, anche tra alcuni addetti ai lavori, non
è stato assimilato: il costo fisico, cioè carta, stampa
e confezione, non è poi un costo percentualmente
molto alto. In un libro di tiratura media, questi costi
(che ovviamente si risparmiano nell’edizione digitale)
incidono per circa il 10-11%…”
DDay.it: Carta, stampa e confezione. Ma non i costi
diretti e indiretti legati alla distribuzione fisica, con le
inefficienze legate agli invenduti e così via…
Polillo: “Quello sì. Bisogna però tener presente che non
è che le librerie virtuali non si facciano pagare: ci sono
dei costi distributivi importanti anche nel mondo degli
e-book. Ma c’è anche un altro fatto da tener presente:
quando lei esce con una novità, fa l’edizione cartacea e quella digitale. Non va dimenticato che l’editoria
elettronica può stare in piedi perché c’è il cartaceo sul
quale scaricare una bella fetta di costi”.
DDay.it: Alcuni lettori si sono lamentati del fatto che
i prezzi sono identici su tutti i marketplace, cosa che
non è comune a quasi tutti gli altri beni di consumo.
Alcuni editori ci hanno detto che con Amazon, Apple
e Kobo che impongono di avere prezzi più bassi, i
prezzi sono gioco forza livellati su tutto il mercato.
Non ritiene che questo generi un mercato troppo
“ingessato”?
Polillo: “La regolamentazione è ancora talmente blanda che alcuni interlocutori possono avere delle posizioni così dominanti da poter imporre alcune condizioni…”
DDay.it: Le posizioni dominanti non sono mai un peccato di per sé; dipende se se ne fa un abuso…
Polillo: “Se il mercato inizia ad essere nelle mani di un
interlocutore (il riferimento è ad Amazon, ndr), la situazione diventa troppo condizionata”.
DDay.it: Quindi, benvenuta nuova norma, non solo
perché è ragionevole, ma anche perché ha permesso di sventare un probabile aumento dei prezzi che
sarebbe intervenuto con la sola
modifica europea. E questo in un
momento in cui l’e-book ha certo
bisogno di sostegno e promozione…
Polillo: “Certo, sarebbe stato
drammatico: se ci fosse stato il
passaggio all’IVA 22% (anche
della porzione di mercato proveniente dagli store esteri, ndr) su un
mercato che già fa fatica a svilupparsi, sarebbe stato necessario
incrementare i prezzi”.

Marco Polillo è Presidente di AIE (Associazione Italiana Editori, l’associazione confindustriale dell’editoria libraria) ed è anche Presidente di
Confindustria Cultura. Polillo, nato a Milano, è stato direttore generale
di Rizzoli e Mondadori, e ha fondato la casa editrice Marco Polillo
Editore.
torna al sommario
DDay.it: Senza il provvedimento
di Franceschini, quindi, sarebbero aumentati i prezzi, per esempio su Amazon, Apple e Kobo. Ma
per le garanzie contrattuali che
ha Amazon di avere il prezzo più
basso, i prezzi sarebbero aumentati parallelamente anche sugli
store italiani. Possiamo quindi
dire che, senza che nessuno se
ne sia accorto, c’è stata di fatto
una riduzione dei prezzi sotto forma di mancato aumento?
Polillo: “Certo. Se solo la diminuzione dell’IVA al 4% fosse entrata
in vigore con un mese di ritardo, tutti si sarebbero
accorti dell’inevitabile aumento e quindi della riduzione successiva. Invece, è stato tutto meno visibile. Ma
poi io, per mio sfizio personale, ho fatto controllare le
classifiche dei più scaricati e una buona percentuale
che mi pare intorno al 50% ha visto prezzi diminuiti
rispetto alla fine del 2014. Quindi poi la riduzione c’è
stata comunque”.
DDay.it: Ci viene da dire che si tratta di una riduzione
di prezzo volontaria - e sicuramente benvenuta - da
parte degli editori, che magari trae spunto dall’enfasi
creata dalla questione IVA, ma che non trova nella
riduzione dell’IVA i fondamentali economici…
Polillo: “Sono d’accordo. Aggiunga anche un altro
fattore che è stato fondamentale nella scelta degli
editori: in un mercato che continua a perdere colpi anche nel 2014 il mercato librario ha perso in termini di
valore e di copie vendute - da qualche anno gli editori
principali hanno scatenato una sorta di offensiva sul
settore digitale per vedere se attraverso questa nuova modalità distributiva si riesce a recuperare almeno
una parte del fatturato che è andato perduto. Investire
oggi sul cartaceo è abbastanza controproducente;
bisogna investire sull’e-book e l’abbassamento del
prezzo è uno sforzo decisamente significativo in tal
senso”.
DDay.it: Parliamo dei negozi online italiani: i veri avvantaggiati dalla nuova normativa sono loro. O meglio, dovremmo parlare di “non più svantaggiati”.
Polillo: “Certo, ora giocano ad armi pari con gli altri
negozi esteri. Dal mio punto di vista si tratta di un’operazione di pulizia del mercato ottima: ora si sa che
l’IVA è quella, dovunque l’e-book venga venduto. Fermo restando che poi l’Unione europea può cambiare
ancora tutto…”
DDay.it: Simmetrie e similitudini con il mondo della
musica, che primo tra tutti ha approcciato il fenomeno della digitalizzazione. Ecco, la musica dopo un po’
di anni ha abbandonato il DRM e dopo un altro po’
si è aperta alle formule ad abbonamento. Vede un
futuro analogo anche per l’e-book?
Polillo: “Secondo me la risposta sta in un’altra domanda: quando verrà accettato il fatto che la pirateria digitale non solo non è una cosa positiva ma è una cosa
che va repressa? La protezione con un DRM, che è
relativa, serve in qualche modo come deterrente. La
similitudine tra la musica e il libro c’è ma in realtà il
fruitore di musica e quello di testi sono molto diversi.
La musica è una colonna sonora della propria vita, si
ascolta mentre si fanno mille cose; il libro non si può
certo leggere mentre si fa dell’altro, si finisce per non
capire nulla. Una canzone dura circa cinque minuti; un
libro, normalmente, ci si mette alcuni giorni a finirlo.
La tecnologia è identica ma il contenuto è così diverso, che non vedo come gli e-book possano seguire il
percorso già intrapreso dalla musica. Quanto al DRM,
ci sono già alcuni editori che sono già convinti che il
DRM non serva, un po’ perché poi tanto viene aggirato dagli utenti più capaci e un po’ perché seguono una
filosofia di maggior apertura e accesso”.
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MERCATO Secondo Magno, una maggiore diffusione degli e-book può aiutare la crescita della digitalizzazione dei cittadini
Alessandro Magno, Gruppo Ed. Mauri Spagnol
“Nuova IVA e-book, per noi risparmi solo del 3%”
Interessante scambio di opinioni con Alessandro Magno, direttore dell’area digitale del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol
“Se non fosse entrata in vigore l’IVA agevolata, i prezzi sarebbero aumentati. Invece abbiamo diminuito molti titoli”
di Gianfranco GIARDINA
N
el giro di pareri che abbiamo compiuto per mettere a punto la nostra ultima inchiesta sul prezzo
degli e-book dopo i cambiamenti del regime IVA,
abbiamo avuto l’occasione di confrontarci con Alessandro Magno, direttore dell’area digitale del Gruppo
Editoriale Mauri Spagnol, il secondo gruppo editoriale
nel mercato ebook in Italia. Un colloquio stimolante, dal
quale sono emersi temi di sicuro interesse riguardo al
punto di vista di una grande casa editrice, categoria
che viene spesso accusata di “frenare” lo sviluppo degli e-book per salvaguardare il mondo cartaceo.
Alessandro Magno: “Io vi seguo spesso, ma mi permetto di dire che con l’inchiesta di inizio anno a mio avviso
non avete fatto un buon lavoro…”

DDAY.it: Alla fine siamo arrivati alla conclusione che,
con le due norme IVA entrate in vigore contemporaneamente al 1° gennaio e il mercato che è fatto prevalentemente da Amazon che risiede in Lussemburgo,
gli editori non avrebbero potuto ridurre i prezzi…
Magno: “Amazon è in Lussemburgo, è vero. Ma anche
Apple e Kobo vendono da Lussemburgo. Quindi una
quota rilevantissima del mercato, che cambia da editore a editore, ma che si attesta oltre il 75%, pagava il
3% di IVA. Ora tutti questi store vendono in Italia al 4%
di IVA e in questi casi non c’è stata una riduzione ma
piuttosto un piccolo aumento. Gli store italiani che ora,
almeno su questo punto, possono competere ad armi
pari con i grandi colossi esteri, hanno invece vissuto la
riduzione dell’IVA dal 22 a 4%, ma ovviamente rappresentano meno per gli editori. In sostanza per l’editore
si passa da un’imposizione IVA media del 6-7% al 4%:
c’è un piccolo risparmio, ma non certo i 18 punti percentuali che qualcuno si aspettava.
Ma poi c’è stato anche il problema dei tempi: il provvedimento è andato in Gazzetta Ufficiale il 29 dicembre e il tutto è avvenuto durante le ferie invernali e un
periodo di congelamento dei prezzi. Infatti i distributori e anche Amazon hanno chiesto agli editori di non
fare cambi prezzi massivi durante le ferie invernali per
evitare di avere problemi sulle piattaforme durante il
periodo di presidio ridotto dei sistemi, dovuto appunto
alle vacanze natalizie.
Quello che noi abbiamo fatto è stato fare una riunione prima della pausa natalizia nella quale abbiamo
deciso di abbassare comunque i prezzi perché ci rendevamo conto che c’era un’aspettativa da parte degli
utenti che non conoscono tutte queste complessità
fiscali. Cosa che abbiamo fatto il primo giorno che siamo tornati dalle ferie (e quindi un paio di giorni dopo la
pubblicazione dell’inchiesta di DDay.it, ndr)”.
torna al sommario
DDay.it: Bene, abbiamo capito che le riduzioni di queste ore sono affidate al “buon cuore” degli editori, in
modo tale da dare un segnale. Ma non ritiene che sia
sbagliato far passare il messaggio politico che sono
diminuite le tasse? Qui i cittadini non vedono alcuna
diminuzione…
Magno: “Innanzitutto, se non ci fosse stato questo
provvedimento, i prezzi probabilmente sarebbero aumentati, probabilmente non di tutto l’aumento IVA, ma
sarebbero aumentati. Ma poi noi questo risparmio limitato, che come abbiamo detto non è dal 22 a 4% ma è
solo di qualche punto percentuale, l’abbiamo riversato
comunque sul consumatore. Se le stesse valutazioni sui prezzi le aveste fatte dopo il rientro dalle ferie
(dopo il 7 di gennaio, ndr) avreste trovato - almeno per
quanto riguarda i nostri titoli - prezzi cambiati. Faccio qualche esempio: L’universo matematico costava
18,99€ e ora costa permanentemente 9,99€; Terremoto di Cussler costava 12,99€ e ora è a 8,99€; Breaking
News era a 13,99€ e ora è a 9,99€; Il Dio del deserto,
che tra l’altro era anche nei vostri screenshot, era a
12,99€ e ora è a 9,99€, e così via, potrei andare avanti
per molto. Peraltro vorrei far notare un’altra cosa che
è interessante: se io cerco sullo store di Apple un titolo
internazionale, come per esempio Il Baco da seta di
Robert Galbraith (lo pseudonimo della Rowling, ndr)
trovo l’edizione italiana che facciamo noi che costa
8,99€; l’edizione francese va a 13,99€; quella tedesca
costa 15,99€; quella inglese costa 11,99€. Noi abbiamo il prezzo più basso. Una situazione simile con prezzi leggermente diversi anche su Amazon. Quindi se noi
facciamo un confronto con altri mercati, si vede come
gli editori italiani abbiano già prezzi più bassi.
Il prezzo dell’e-book lo decide l’editore ed è uguale su
tutti gli store. Ma proprio per questo è suscettibile a costanti cambiamenti: noi continuiamo a fare promozioni
su vari titoli con durate limitate nel tempo. Titoli che
sono a 9,99€ per un giorno specifico vengono venduti a 2,99 o a 1,99€. Questo fa sì che il prezzo medio
del transato non sia la media dei prezzi di copertina
ma nel 2014 sia stato per noi di 5,74 euro, contro una
media per i libri cartacei di oltre 13 euro. Quindi siamo
sotto la metà”.
DDay.it: Bene. Ma queste riduzioni, come quelle poste in essere da altri editori, sono correlate al vostro
“buon cuore”, non solo legate alla riduzione di IVA,
corretto?
Magno: “Naturalmente non so dire come abbiano
ragionato gli altri editori. Noi abbiamo fatto una riduzione che ha riguardato molti titoli, tra cui i nostri top
100. E l’abbiamo decisa prima della pausa natalizia.
Si tratta di una scommessa, che punta a un aumento
delle copie vendute sufficiente per coprire il taglio effettuato. Quello dell’e-book è un mercato piccolo, che
ha bisogno di crescere; come anche la digitalizzazione
dei cittadini ha bisogno di crescere e una maggiore
diffusione degli e-book può essere uno strumento importante da questo punto di vista”.
DDay.it: Il fatto che i prezzi di un singolo libro siano
assolutamente allineati su tutti gli store non pensa
che possa essere lesivo in qualche modo della concorrenza? In fondo se voglio leggere un tal libro non
posso neppure contare sul fatto che gli store si facciano un po’ di concorrenza…
Magno: “In Italia prevale largamente il modello “agency” che prevede che l’editore decida il prezzo e lo store
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MERCATO
Intervista a Alessandro Magno (Mauri Spagnol)
segue Da pagina 17 
applica quel prezzo prelevando la propria commissione. Che è diverso dal modello “reseller” per cui l’editore vende un titolo allo store a un prezzo “al’ingrosso” e
lo store poi determina il prezzo di vendita finale”.
DDay.it: Ma c’è che dice che non ci sia scampo, perché Amazon, Apple e Kobo pretendono contrattualmente il prezzo più basso e questo di fatto crea un
perfetto livellamento…
Magno: “Mah, poi ogni editore può avere la propria
sensibilità, ma io sono ben contento di decidere autonomamente il mio prezzo e di non farlo decidere a terzi. Questo, come editore, mi dà anche una possibilità di
fare delle promozioni che penso, programmo e decido
io. Poi ovviamente sta al negozio il come valorizzare al
meglio la mia promozione, se la ritiene forte”.
DDay.it: Quindi gli store non possono usare la leva
prezzo. Ma questo fa anche sì che fino al 2014 per
un editore fosse molto più conveniente vendere attraverso un sito estero, che non crea posti di lavoro
in Italia e non paga tasse in Italia, che attraverso uno
store nostrano…
Magno: “È vero. Tanto che credo che il nuovo regime
IVA sia una cosa molto positiva più che per gli editori
proprio per gli store italiani, che così non scompaiono. In fondo, se compro un libro cartaceo su Amazon,
questo presumibilmente viene dal centro logistico di
Piacenza; come editore parlo prevalentemente con
persone che vivono e operano in Italia. Eppure Amazon risiede fiscalmente in Lussemburgo. Questo non
riguarda solo Amazon, ma il succo è che già pagano
tasse non Italia e in misura più bassa; prima pagavano
anche un’IVA avvantaggiata… Ora la situazione rispetto agli store italiani non è ancora uguale (resta il tema
della tassazione agevolata sui redditi d’impresa, ndr)
ma almeno è un po’ più equilibrata”.
DDay.it: Ma per ridurre ancora un po’ i prezzi non
varrebbe la pena eliminare anche il DRM, che ha un
costo? Adobe non chiede 0,60 € a copia per il proprio
DRM?
Magno: “Non è proprio così. Per esempio Amazon ha il
suo DRM, tanto quanto Apple, creando purtroppo dei
sistemi chiusi. In questi casi, però, non sosteniamo alcun costo aggiuntivo per il DRM. Di fatto il DRM è un
costo solo per chi applica la soluzione di Adobe… Noi,
con Chiarelettere in questi anni abbiamo usato il social
DRM. Ma anche se non mettessimo il DRM su tutti i titoli, alla fine lo metterebbero le piattaforme che ho citato, che inseriscono il loro. Non è quindi agli editori che
va posta questa domanda. Un auspicio più da utente
che da editore è che, se ho comprato degli e-book sulle diverse piattaforme, poi possa accedere ai miei titoli
da qualsiasi marketplace o che almeno ci sia un’interoperabilità. Una sorta di ‘number portability’ per gli e-
book: anche se cambio ‘gestore’, conservo i miei libri.
Oggi se un utente Amazon, con una discreta storia di
acquisti, vuole cambiare piattaforma e passare a Apple o a Kobo, perde di fatto i propri libri, che è una cosa
assurda. Come anche il fatto che degli e-book non si
acquista la proprietà ma una licenza d’uso. Noi stessi
editori siamo licenziatari e non proprietari dei libri che
pubblichiamo. Ma queste sono cose che non dipendono tanto dagli editori ma dal legislatore, magari quello
comunitario, e dalla delicata regolamentazione del diritto d’autore, che è alla base dell’industria editoriale”.
sa rappresentare un aiuto di Stato nei confronti degli
editori o dei rivenditori italiani: lo stabiliranno gli enti
preposti a livello europeo dato che si tratta di una materia molto complessa e con conseguenze decisamente importanti anche su altri “servizi digitali” di carattere
editoriale, come la vendita di quotidiani e periodici in
formato digitale. Noi troviamo più scandaloso, rispetto alla condotta del Governo italiano e alle eventuali
“infrazioni”, che l’Unione europea possa aver tollerato
per anni la convivenza di regimi IVA così clamorosamente diversi come quello lussemburghese e quello
italiano, con le storture conseguenti. Rendiamo merito
agli editori (a molti di essi), quindi, di essere comunque
intervenuti con una serie di riduzioni volontarie di prezzo, in alcuni casi anche sostanziose: operazioni che
dovrebbero aiutare il mercato dell’e-book a decollare.
Si tratta di riduzioni non dovute, non finanziabili con la
riduzione di IVA, che come abbiamo visto ha spostato
molto poco, e che puntano su speranze di aumento
delle copie vendute per trovare una giustificazione
economica. Queste riduzioni sono un vero aiuto alla
diffusione della cultura digitale in Italia, ma il Ministro
Franceschini a nostro avviso sbaglia se le ritiene una
diretta conseguenza del suo provvedimento.
Un’ultima riflessione: non ce ne vogliano gli editori,
però, tocca registrare come tutto il sistema editoriale
abbia fatto ben poco negli ultimi anni per denunciare
un sistema di elusione fiscale basato sui marketplace
lussemburghesi e sulla loro IVA agevolata, a cui ha in-
direttamente partecipato condividendone i vantaggi.
Avere gli e-book assoggettati al solo 3% per la stragrande maggioranza delle transazioni verso utenti italiani
evidentemente ha fatto comodo. E questo malgrado
Confindustria Cultura sia stata in prima fila negli ultimi
mesi nello stigmatizzare il comportamento delle cosiddette multinazionali di Internet, accusate di non pagare
le tasse e non dare lavoro in Italia. Ci sia permesso di
notare che, quando ad averne un tornaconto è anche
l’industria della cultura, su certe “finezze” si è chiuso un
occhio, forse due. Sentire oggi gli editori proclamare
con forza che #unlibroèunlibro, principio sacrosanto, fa
quindi un po’ sorridere: a pensare che tengano più ai
benefici “lussemburghesi” che ai sacri principi, forse si
fa peccato, ma probabilmente ci si azzecca.
MERCATO
Inchiesta e-book, IVA al 4%
segue Da pagina 14 
Viene allora da chiedersi: veramente i consumatori non
sono danneggiati da questi accordi commerciali che livellano i prezzi su tutti i negozi?
Conclusioni e commenti: la riduzione
IVA come paracadute per l’editoria
e gli store italiani

Per i motivi largamente spiegati in questo articolo, la
riduzione dell’IVA decisa dal Governo è arrivata praticamente come un paracadute dell’ultim’ora per salvare il comparto editoriale dalla deprecabile necessità di
alzare i prezzi degli e-book su tutti gli store proprio nel
momento della loro massima diffusione a causa della
nuova normativa europea. E non vogliamo dire che sia
stato un male, ma che i due fattori – norma europea e
norma italiana – ci appaiono, al di là delle dichiarazioni,
strettamente connessi.
Volendo leggerla così, la riduzione orizzontale dei
prezzi degli e-book c’è stata effettivamente, anche se
sotto forma di mancato aumento. Un mancato aumento che – va detto chiaramente – è a spese dell’erario
(cioè di tutti i cittadini, anche quelli che non comprano
e-book), dato che lo Stato, dopo questo provvedimento, di certo incasserà meno di quanto non avrebbe ricavato di IVA con la sola entrata in vigore della normativa
comunitaria. Non vogliamo né possiamo esprimerci
sulla questione – sollevata da più parti - se questo pos-
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MERCATO Oscillazioni vigorose del titolo in borsa dopo che BlackBerry ha negato l’acquisto
Samsung e BlackBerry, alleanza più forte
Dopo la smentita di BlackBerry, anche Samsung si esprime ufficialmente sulla questione
L’azienda coreana non vuole comprare BlackBerry ma stringere un’alleanza più forte
L
di Vittorio Romano BARASSI
a questione Samsung - BlackBerry
è giunta a un punto fermo: i rumor
degli scorsi giorni, che vedevano Samsung sul punto di acquistare
l’azienda canadese, sono stati prontamente smentiti da BlackBerry, ma questo non ha impedito al titolo dell’azienda di fluttuare in modo decisamente
vigoroso. Samsung, dal canto suo, ha
atteso qualche giorno extra prima di
esprimersi: qualche giorno fa, il coCEO di Samsung Mobile J.K. Shin, non
solo ha ufficialmente smentito le voci
relative all’acquisto, ma ha confermato
i “dialoghi” tra le due aziende rivolti a
rafforzare la partnership già in essere
tra le due.
L’intento comune di Samsung e di
BlackBerry è quello di rafforzare sempre di più il legame presente tra di
loro; i progetti BES 12 e Knox, entram-
Nintendo, con
gli Amiibo le
finanze vanno
a gonfie vele

A qualche mese dalla presentazione
degli Amiibo, Nintendo ha di che
fregarsi le mani guardando al futuro:
2.6 milioni di modellini venduti, circa
il doppio delle copie fisiche e digitali
di Super Smash Bros., il grande successo commerciale di Natale. “Wii U
ha vissuto il suo anno più importante,
grazie alla lineup di titoli largamente
attesi dal pubblico ed all’introduzione
della piattaforma Amiibo”, così il
vice presidente Sales & Marketing di
Nintendo of America Scott Meofitt,
che ricorda le uscite di Splatoon, The
Legend of Zelda: Majora’s Mask 3D
e l’arrivo del Nintendo 3DS XL negli
Stati Uniti il 13 febbraio, pronto a cavalcare l’onda del successo di dicembre e che Nintendo spera di portare
avanti nel 2015 anche con Yoshi’s
Wolly World, Kirby and the Rainbow
Curse, Code Name: S.T.E.A.M e
soprattutto Mario Party 10.
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MERCATO
UE indaga su
accordi tra
Amazon e
Lussemburgo
La Commissione Europea ha
avviato un’indagine preliminare nei
confronti dell’operato delle autorità
lussemburghesi per verificare se
il trattamento riservato al colosso
del web Amazon l’abbia favorito
eccessivamente nei confronti dei
competitor.
bi pensati per la sicurezza aziendale,
stanno andando alla grande e solo
continuando a lavorare insieme si potrà fare ancora meglio e con reciproca
soddisfazione.
Le dichiarazioni di Shin, però, non sono
riuscite a convincere proprio tutti: in molti, infatti, credono ancora che Samsung
sia realmente interessata a BlackBerry,
non tanto per la sua attuale presenza
sul mercato quanto più per il corposo
pacchetto di proprietà intellettuali della
stessa azienda canadese. Un portfolio
di oltre 44mila brevetti può, infatti, fare
gola a molti. Stiamo a vedere quello che
succederà nei prossimi mesi...
Amazon ha, infatti, stipulato
un accordo col governo del
Granducato nel 2003, e la
Commissione Europea vuole
verificare se il metodo usato da
Amazon per il pagamento delle
tasse è in regola coi dettami
comunitari. Amazon dovrà inoltre
spiegare il meccanismo che regola
i pagamenti delle royalty tra una
sussidiaria e l’altra del stesso
gruppo, che hanno come effetto la
riduzione dell’imponibile per una
di esse.
MERCATO Ammontano a oltre 5,8 milioni di dollari gli incassi del gioco di Us2Games
Monument Valley, 81% degli incassi da iOS
Us2Games rivela i numeri del successo del gioco per smartphone Monument Valley
A dimostrazione che i soldi veri, ancora oggi, si fanno soprattutto su Apple Store
L
di Paolo CENTOFANTI
a softwarehouse Us2Games ha rilasciato una dettagliata infografica
in cui illustra i numeri del successo
del gioco per smartphone e tablet Monument Valley, che ha totalizzato incassi per 5,8 milioni di dollari. Il dato più
interessante è il dettaglio per piattaforma degli incassi. Nonostante Android
domini saldamente il mercato globale
degli smartphone, l’81,7% dei proventi
del gioco sono arrivati dall’App Store di Apple. Fa riflettere anche il 4,3%
degli incassi arrivati dalla piattaforma
di Amazon, che rispetto ad Android ha
una percentuale di penetrazione decisamente inferiore. Certo non si può
prendere un unico caso a riferimento
dell’intero mercato, ma questa è una
tendenza che va avanti da diversi anni
e che è già emersa più volte e spiega
anche perché molti sviluppatori, nonostante la maggiore diffusione del
sistema operativo di Google, che può
contare su una quota di mercato ormai
superiore all’80%, continuino a preferire distribuire le proprie creazioni prima su App Store e solo in seguito su
Android. Nel 2014 il Play Store ha visto
una significativa crescita negli introiti e
secondo gli analisti per il 2017 raggiungerà un volume di affari di 5 miliardi di
dollari all’anno, ma l’App Store di Apple
ha raggiunto quota 10 miliardi di dollari
già dal 2013.
Ma come invertire la tendenza? È chiaro che nella quota di mercato dell’80%
di Android ci siano dentro tantissimi dispositivi di fascia entry level in mano a
utenti che non hanno alcuna intenzione
di aggiungere la carta di credito al proprio profilo Google, ma ci sono anche
tanti smartphone di fascia medio/alta
del tutto paragonabili come profilo a
quelli di Apple. E allora è possibile che
su Play Store funzioni solo il modello
freemium? Magari la risposta è anche
in quei 10 milioni di dispositivi unici su
cui è stato installato il gioco Monument
Valley, numero che tiene conto anche
delle copie pirata, ma Us2Games in
questo caso non ha rilasciato lo spaccato di questa cifra.
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26 GENNAIO 2015
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TV E VIDEO Dal recente CES di Las Vegas sono emerse quelle che saranno le parole d’ordine per quanto riguarda i TV nel 2015
Comprare un TV? Ecco tutte le novità da sapere
Ultra HD, Android TV, HDR, Wide Gamut: ecco cosa bisogna sapere per scegliere se acquistare un nuovo TV e come
L’
di Paolo CENTOFANTI
edizione 2015 del CES di Las vegas non è stata
particolarmente brillante, anche perché i produttori, specie per quanto riguarda le nuove
gamme di televisori, non è che abbiano rilasciato
molti dettagli. Nonostante ciò, è già possibile farsi
un’idea di quali saranno le parole d’ordine di quest’anno e le caratteristiche su cui punteranno maggiormente i vari marchi per spingere i nuovi modelli. E
poiché di confusione ce n’è già abbastanza nel mondo dell’elettronica, cerchiamo di fare una rassegna
di quali sono queste novità e soprattutto di valutare
l’impatto che possono avere sulla scelta di un nuovo
televisore.
Ultra HD: da novità a normalità
Dopo la “spinta” del 2014, il 4K o Ultra HD a seconda
di come preferite chiamarlo, quest’anno passerà con
ogni probabilità da essere un’esclusiva dei prodotti
di fascia alta alla norma o quasi. Tutti gli annunci del
CES hanno riguardato unicamente modelli Ultra HD
con solo brevi accenni al full HD e d’altra parte ora
che le linee di produzione degli LCD si sono assestate sul nuovo formato è difficile pensare che possa
essere altrimenti. Per gli smemorati, o comunque i
meno esperti, ricordiamo che Ultra HD non è una
nuova tecnologia, ma un formato che indica schermi
con risoluzione di 3840x2160 pixel, vale a dire quattro volte il full HD, che ha risoluzione di 1920x1080
pixel. La dicitura 4K deriva dal cinema digitale dove
l’immagine ha una risoluzione di 4096x2160 pixel,
appunto circa 4000 pixel di base, ma la dicitura corretta in ambito consumer è proprio Ultra HD, che è
anche un vero e proprio standard definito dall’ITU.
Già che ci siamo, detto standard prevede già il passaggio successivo, l’8K: 7680x4320 pixel, quattro
volte la definizione del 4K.
Arrivano le Android TV

Sony ha annunciato che l’intera gamma di TV del
2015 sarà basata su Android TV per quanto riguarda
le funzionalità smart, mentre Philips/TP Vision parla
di circa un 80% dei nuovi modelli, essenzialmente
tutti quelli con funzione di connettività di rete. Ri-
torna al sommario
spetto al fallito esperimento di Google TV, questa
nuova piattaforma avrà il Google Play Store e potremo aspettarci un gran numero di app grazie alle
nuove API unificate di Android che rendono più agevole creare versioni ottimizzate anche per i grandi
schermi dei televisori.
Non tutte le implementazioni saranno uguali. Sony ad
esempio ha già fatto sapere che rinuncerà all’MHP,
mentre per Philips non ci saranno problemi, ma in
entrambi i casi si avrà il vantaggio dell’integrazione
con l’ecosistema di Google e il supporto per nuove
funzionalità come Google Cast per lo streaming da
smartphone e tablet. Sull’altro lato della barricata ci
sono i coreani Samsung e LG, rispettivamente con
Tizen e Web OS, più Panasonic con Firefox OS. La
buona notizia è che tutte queste piattaforme fanno
ampio uso di HTML 5 per cui non è detto che si possa arrivare a una maggiore uniformità almeno per
quanto riguarda le applicazioni di terze parti.
La novità 2015 è l’HDR
L’HDR (High Dynamic Range ) è stato uno dei trend
più forti ad emergere dal CES 2015 anche se con
ogni probabilità non diventerà una caratteristica irrinunciabile per almeno un altro anno. Come abbiamo
avuto già modo di spiegare si tratta di una nuova
caratteristica video che dovrà essere adottata sia a
livello di produzione dei contenuti che di tecnologia
di display. Si tratta di un’estensione della gamma
dinamica del segnale video rispetto agli standard
attuali che sfrutta la maggiore luminosità offerta dai
moderni televisori per riprodurre immagini più ricche
a livello di sfumature soprattutto nelle scene estremamente contrastate. Il risultato dovrebbero essere
immagini più vicine alla realtà. Dolby Vision punta a
offrire un range dinamico che va da 0 a 4000 cd/m2
di luminosità.
Come riferimento basti pensare che l’attuale monitor
ideale definito per la produzione video ha una luminosità di picco di 100 cd/m2. Quello che c’è da sapere è che al momento l’industria deve ancora definire
uno standard comune per l’HDR, tanto che è una
delle missioni della neonata UHD Alliance. Anche
la Blu-ray Disc Association dovrebbe definire delle
specifiche per un nuovo formato di Blu-ray Disc con
supporto per l’HDR entro la prossima estate. In ogni
caso ciò vuol dire che prima di vedere dei contenuti compatibili ci vorrà ancora molto tempo e i primi
arriveranno con ogni probabilità tramite Netflix, che
comunque in Italia non c’è. Anche senza contenuti,
una corsa verso l’HDR un effetto positivo potrebbe
comunque averlo: il ritorno del full LED.
Wide Gamut: è la volta buona?
Questo è uno degli argomenti che può generare più
confusione in assoluto. Di andare oltre lo spazio colore definito dallo standard Rec.709, che al di là della
nomenclatura è quello utilizzato a oggi nei principali
formati consumer in alta definizione, se ne parla da
un’eternità. Tutti i produttori di TV propagandano
una gamma di colori superiore, senza però andare
segue a pagina 21 
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TV E VIDEO
Comprare un TV nel 2015, tutte le novità
segue Da pagina 20 
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nel dettaglio di cosa esattamente questo significhi.
In breve: i display, indipendentemente dalla tecnologia su cui sono basati, per riprodurre un’immagine
a colori utilizzano una tripletta di pixel RGB (rosso,
verde e blu). La saturazione di questi primari determina la palette di tonalità riproducibili: più sono saturi, più è ampio lo spazio colore. Lo standard attuale
per l’HD è basato sui primari dei televisori CRT, ma i
moderni display sono in grado di riprodurre uno spazio colore assai più ampio, da cui l’esigenza di un
nuovo formato che possa sfruttare questa possibilità
(un primo tentativo era stato effettuato con l’xvYCC o
x.v.Color, ma non ha mai preso piede).
Con la definizione dell’Ultra HD è stato standardizzato un nuovo spazio colore chiamato Rec.2020
che prevede segnali a 10 o persino 12 bit, contro
gli 8 bit attualmente utilizzati nella TV digitale, nel
Blu-ray Disc e nella stragrande dei video su web.
Scopo di tecnologie come i quantum dot è quello di
avvicinarsi a questo spazio colore, ma non esistono
ancora display in grado di riprodurre il 100% dello
spazio Rec.2020, ma soprattutto non esistono contenuti in questo formato! Per il momento, da quanto
visto al CES, i produttori puntano a coprire almeno
torna al sommario
lo spazio colore DCI P3, quello utilizzato nel cinema digitale, più ampio del Rec.709 fin qui utilizzato, ma che ha una copertura di solo circa il 72% del
Rec.2020. In pratica: al momento un gamut più ampio non serve a nulla se non a “pompare” oltremodo
i colori degli attuali contenuti. Se arriveranno contenuti masterizzati per il Rec.2020, come UHD Alliance
e BDA sembrerebbero voler fare, allora avere un TV
compatibile farà comodo. Da notare che l’HDMI 2.0
già supporta lo standard Rec.2020.
Da 8 a 10 bit
Tra HDR e un più ampio spazio colore gli 8 classici
bit fin qui utilizzati nel mondo del video consumer
non bastano più. Per 8 bit si intende qui il numero
di bit utilizzati per codificare ciascuna componente
cromatica del segnale video. 8 bit corrispondo a 256
livelli, che attualmente vengono spalmati in modo
non lineare su un range dinamico che va da 0 a 100
cd/m2. Con l’HDR si parla anche di 4000 cd/m2 per
cui dovrebbe essere evidente che cominciano ad
essere un po’ pochini. In più, come abbiamo visto,
lo spazio colore Rec.2020 vuole almeno 10 bit se
non 12. Per questo motivo si comincia a parlare di
pannelli LCD a 10 bit (vedi Samsung), che ancora una
volta serviranno soprattutto se arriveranno contenuti
masterizzati in modo opportuno. Qui bisognerà distinguere tra TV con pannello nativo a 10 bit, cioè
effettivamente capaci di riprodurre 1024 livelli e oltre
per componente cromatica (un miliardo di colori), e
quelli invece con elaborazione del segnale video a
10 bit ma pannello a 8 bit. L’HDMI già a partire dalla
versione 1.3 supporta il cosiddetto deep color, appunto segnali video con codifica a 10, 12 e persino
16 bit per componente. Nell’attesa dei contenuti, sia-
mo sicuri che saremo bombardati dai più disparati
algoritmi di rimasterizzazione, cosa che già avveniva
prima, ma più in sordina.
L’anno dell’OLED?
L’anno scorso il tormentone è stato l’improprio paragone 4K vs. OLED che metteva a confronto cose diverse, un formato di risoluzione con una tecnologia
di display. Quest’anno la gamma di OLED di LG sarà
principalmente Ultra HD per cui il dubbio si spera
verrà riproposto nei termini corretti. L’OLED rimane
un tema caldo perché è la tecnologia più promettente per gli appassionati, per il semplice fatto che permette di avere il tanto sospirato nero perfetto. Non
è solo “un pallino da fissati”: la capacità di riprodurre
il nero come si deve, significa ottenere un rapporto
di contrasto elevatissimo, caratteristica a cui i nostri
occhi, insieme alla risoluzione, sono sensibilissimi e
fa scattare l’effetto wow! Anche nel 2015 OLED farà
rima solo con LG, per cui se si vorrà un TV di questo
tipo la scelta sarà obbligata. Non abbiamo ancora i
dettagli completi della gamma LG, ma c’è da credere
che non siano in grado di offrire valori di luminosità compatibili con quanto attualmente proposto per
l’HDR (e i maligni dicono che Samsung voglia spingere proprio su questo per “silurare” i propri vicini di
casa con il discorso dell’UHD Alliance). C’è da dire
che proprio in virtù del già citato nero, i TV OLED potrebbero comunque avere abbastanza range dinamico per valorizzare contenuti masterizzati in HDR,
seppure con luminosità più bassa, ma siamo nel campo della pura speculazione in questo momento, visto
che, lo ricordiamo, non c’è ancora niente di concreto
su cui ragionare. Un’ottima notizia è però che l’OLED
quest’anno sarà finalmente anche piatto.
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SOCIAL MEDIA Attivare una linea telefonica dovrebbe essere un gioco da ragazzi; ma non se stiamo parlando dell’Italia...
L’Italia della banda larga, una triste situazione
Tra burocrazia e inefficienza, possono volerci anche due mesi e mezzo per una linea telefonica. Ecco la nostra esperienza
di V. R. BARASSI
are un trasloco non è mai semplice;
scatoloni, buste, valigie e tanto altro da
spostare e risistemare sono un incubo,
ma una volta messo tutto in ordine ci si può
finalmente rilassare. Tra le cose da spostare,
però, spesso rientra anche la connessione Internet: siamo talmente legati al web che rientra insieme a luce e gas nei primi allacciamenti
da fare. Non sempre però è immediato, anzi:
se qualcosa va storto possono volerci anche
mesi. Ed è proprio quello che ha provato, a
sue spese, un nostro collaboratore, sperimentando un po’ quello che devono affrontare gli
italiani quando cambiano linea, si spostano o
attivano un nuovo abbonamento (senza entrare nel
ginepraio delle disdette che meriterebbe un’inchiesta a parte). Le statistiche dicono che gli italiani non
sono un popolo di “navigatori”, ma spesso anche chi
vuole navigare si trova in cattive acque. Burocrazia,
infrastrutture, tagli di personale: nei nostri 80 giorni
di attesa c’è un po’ di tutto questo.
linea fosse “in corso”. Dopo un altro paio di giorni
spunta il “classico” indicatore della “Verifica dati”,
fase durante la quale il cliente attende la chiamata
di un operatore che si preoccupa di confermare i
dati di colui che sottoscrive l’abbonamento. Attesa
appunto, perché da quel momento è solo una lunga
attesa.
dietro diversi “mi dispiace” e altre frasi di circostanza; chiediamo
allora cosa possiamo fare per accelerare questo iter e la risposta è
secca: “voi non potete fare nulla”.
Sono passati già 25 giorni e della
linea nessuna traccia; anzi, la linea
c’è ma Fastweb non lo sa (se avessero fatto due-più-due l’attivazione
sarebbe stata molto più rapida). La
situazione inizia a mettersi male e
decidiamo di insistere con il servizio clienti. Facciamo altre 6 segnalazioni e nessuno ci ricontatta: solo
dopo la settima arriva una chiamata da un operatore (anch’egli di origini palesemente
non italiane) che ci ribadisce di come non ci sono risorse disponibili nella nostra zona. L’operatore però
ci fa una proposta: aspettare ancora oppure procedere all’attivazione di una linea dati VoIP. Scegliamo
di virare sulla linea dati, rassicurati sul fatto che entro 10 giorni tutti i servizi sarebbero stati attivi.
Avevate Fastweb? Ok, allora anche noi
scegliamo Fastweb
Servizio clienti “ufficiale”?
Totalmente inefficiente
Verifica dati ok, aspettando le
verifiche tecniche…
Il 18 ottobre è il giorno della terza chiamata da parte
di Fastweb; l’operatore aveva un italiano ancor più
stentato ma fa quello che deve fare: conferma i nostri dati e ci assicura che entro 3-4 giorni sarebbe
arrivato il tecnico della “società dai telefoni” a fare
La nostra inchiesta ricalca una situazione che potrebbe essere vissuta ogni mese da centinaia di famiglie italiane: cambio di casa, scelta della connettività adatta, vaglio delle offerte. Se la casa è nuova
si deve navigare un po’ a vista, ma nel nostro caso
l’abitazione era già connessa alla rete con Fastweb.
Non potrebbe andare meglio: i vecchi inquilini disdicono, noi facciamo un altro abbonamento e in pochi
giorni arriva portante, modem e siamo di nuovo in
pista più veloci di prima. Niente di più sbagliato: la
linea arriverà solo il 5 dicembre. Ma andiamo con
ordine. A metà settembre (precisamente domenica
14) scegliamo di sfruttare l’offerta Fastweb Jet proposta in quei giorni a 20€ al mese; completiamo le
varie fasi online (assicurandoci di essere “raggiunti
da rete Fastweb” e non solo di “essere raggiunti dalla linea ADSL”, credendo che ci fosse differenza tra
le due cose), stampiamo il contratto e inviamo tutto
per posta - lunedì 15 - a Fastweb. La raccomandata
arriva in due giorni e sulla MyFastPage appare subito la dicitura che ci avvisava come l’attivazione della
In attesa della chiamata per la verifica dei dati colleghiamo il vecchio modem router alla presa telefonica e scopriamo subito che c’è la portante e che tutto
funziona: aprendo il browser veniamo subito reindirizzati su “registrazione.fastweb.it”, pagina nella
quale c’è da inserire il codice fiscale al fine di “far
partire” il contratto e “sbloccare” la linea. Inseriamo
il codice fiscale e niente; il nominativo non è ancora
nei sistemi e la conferma arriva controllando sulla
MyFastPage: lo status è ancora su “Verifica dati”.
A questo punto sono passati quindici giorni dalla
sottoscrizione del contratto; Fastweb garantisce ai
clienti l’attivazione di tutti i servizi in 35 giorni ma,
annusando problemi, decidiamo di iniziare a sentire
il servizio clienti. Il numero di telefono 192193 è a
pagamento e quindi seguiamo la procedura online
di Fastweb che permette ai clienti di farsi richiamare
da Fastweb stessa entro 48 ore dalla compilazione
del form online; nei due giorni successivi non riceviamo nessuna chiamata e quindi riproviamo a compilare il form. Ancora niente; passano altre 48 ore e
il telefono ancora non squilla. Seguono una terza,
una quarta e una quinta richiesta di supporto e solo
dopo 10 giorni dalla prima segnalazione arriva la prima chiamata.
A parlare è una voce femminile di origini chiaramente non italiane che ci dice: “Nella vostra zona non
abbiamo risorse disponibili; al momento possiamo
solo aspettare 3-4 giorni e vedere se si libera qualcosa”. Proviamo a spiegare di essere già raggiunti
dalla loro linea essendo una casa già servita da Fastweb ma dall’altra parte del telefono l’operatrice fa
fatica a comprendere le nostre parole e si nasconde
F
le verifiche dovute. In questo breve lasso di tempo
abbiamo modo di provare anche alcune linee ADSL
dei vicini, come una Alice 7 mega: ma non ci mettiamo molto a capire come ci fosse qualcosa che non
andasse. Nelle ore di punta la connessione aveva
una qualità scadente, ben al di sotto dei 2 mega e
qualcosa che dovrebbero rappresentare il minimo
garantito per legge. Una situazione questa che interessa una intera zona: la centrale di riferimento è
“satura” e che tutti in zona da tempo hanno lo stesso
problema, ovvero la sera non si naviga quasi più.
Passano altri tre-quattro giorni e del “tecnico della società dei telefoni” (Telecom) nessuna traccia;
decidiamo così di cambiare strategia e ci affidiamo
ai canali social di Fastweb sperando in qualcosa
di meglio. Richiedendo assistenza tramite il Social
Care di Fastweb (via Facebook o Twitter) qualcosa
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segue a pagina 23 
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SOCIAL MEDIA
stweb confermate subito dopo da altre parole: “ci
sono stati dei tagli incredibili e a farne le spese sono
i clienti; il nostro servizio assistenza qualche anno fa
era il migliore ma ora i call center sono ‘al risparmio’
e per parlare con qualcuno davvero capace bisogna
essere molto fortunati”, “se ha qualche problema
lasci stare MyFastPage e 192193, chiami noi (ndr,
il Social Care) e avrà maggiori possibilità di essere
fortunato”.
Nei minuti successivi di conversazione il succo della
questione non cambia: l’operatore continua a manifestare il suo dissenso e alle domande sulla situazione ci risponde che il nostro non è l’unico caso.
La colpa di tutto è imputabile alla scarsa comunicazione tra le varie divisioni e nel nostro caso ci sono
stati troppi errori proprio per questo motivo.
L’Italia della banda larga
segue Da pagina 22 
cambia: ci richiamano operatori italiani che sembrano capirne molto di più rispetto ai colleghi dei canali
tradizionali. Detto questo la situazione non migliora; nonostante diverse chiamate ricevute e decine
di segnalazioni effettuate, il tecnico Telecom arriva
solo il 3 novembre.
Verifiche tecniche ok, qualità della
linea imbarazzante…
Il controllo dell’impianto telefonico avviene senza
troppi problemi e in un quarto d’ora circa il tecnico
ci conferma che tutto è ok e che in serata Fastweb
ci avrebbe richiamato per ulteriori informazioni. Ovviamente nessuno ci richiama e noi continuiamo
con altre decine di segnalazioni fino a quando, il 6
novembre, veniamo richiamati dal social care di Fastweb il quale ci conferma l’avvenuta spedizione del
modem-router tramite corriere e la contestuale attivazione della linea ADSL (il tutto confermato anche
dalla MyFastPage).
Il modem arriva il giorno dopo, 7 novembre, e ovviamente proviamo subito a collegarlo alla presa telefonica seguendo le semplici istruzioni di Fastweb.
Risultato? Nessuna linea. Il Technicolor TG788vn v2
inviatoci da Fastweb agganciava una portante da
17.961 kbps in download (1.105 kbps in upload) ma di
accesso ad internet nemmeno a parlarne. Facciamo
dunque partire la nuova ondata di segnalazioni ma
nessuno si degna di richiamarci fino a lunedì 10 novembre quando finalmente riusciamo a connetterci
alla rete (passando per registrazione.fastweb.it).
Secondo l’addetto del call center che ci richiama la
linea era attiva già dal 6 e che probabilmente Internet non andava poiché avevamo sbagliato a collegare qualcosa. Non gli spieghiamo che facciamo
questo quasi tutti i giorni e sorvoliamo. Ora abbiamo la linea e sembra anche di buona qualità quindi
l’odissea pare finita. are, perché la “luna di miele”
dura poco: il 10 e l’11 di novembre la linea va alla
grande (dai vari speedtest risultavano velocità ben
superiori ai 10 mbps) ma dal 12 in poi…il disastro.
Dei 20 mega pubblicizzati, la mattina riusciamo a
navigare a circa 1,5-2 mbps mentre dalle 13 in poi è
un successo se superiamo gli 0,5 mbps, con picchi
(in negativo ovviamente) di 0,02 mbps. Due mesi di
attesa per avere una linea ADSL che va più lenta di
una a 56k.
Colpa di Telecom e dei tagli al
personale di Fastweb
Riparte il valzer delle segnalazioni tramite Social
Care e dopo un paio di giorni veniamo contattati
dall’assistenza Fastweb a cui spieghiamo il problema; ci rassicurano ma in due-tre giorni non succede
niente, anzi la linea va sempre peggio. Continuiamo
a segnalare l’anomalia via Social Care e veniamo
ri-contattati dall’ennesimo operatore Fastweb che
ci “abilita” lo speed-test ufficiale della società chie-
dendoci di effettuare diverse misurazioni nell’arco
di tutta la giornata.
Dopo un paio di giorni di test dai risultati disastrosi, lo speed-test viene disabilitato e nonostante le
numerose segnalazioni nessuno ci contatta per più
di una settimana. Fastweb si fa risentire solo dopo
un pomeriggio di assenza totale della linea: guasto
tecnico alla centrale e palla che passa a Telecom la
quale in un pomeriggio sistema tutto (nel senso che
tutto torna come prima, la linea c’è la ma velocità è
imbarazzante).
Dopo altri due-tre giorni di segnalazioni riceviamo
un’altra telefonata e per la prima volta in oltre due
mesi parliamo con un operatore che nonostante le
pressioni ci spiega effettivamente come stanno le
cose.
Scopriamo che la società dei telefoni (Telecom) ha
fatto overbooking e nella zona c’è una situazione
critica; nonostante siamo su piastra ADSL 2+ gli
speed-test sono abbondantemente sotto la banda
minima garantita e il fatto di essere in Wholesale
non ci aiuta affatto. Alla domanda “ma voi cosa avete
fatto in tutto questo tempo?” la risposta fu impietosa: “Niente, vedo decine di richieste di supporto ma
nessuno dei miei colleghi ha mai aperto una vera
segnalazione nei confronti della società dei telefoni.
C’è solo una segnalazione per guasto tecnico, poi
risolto”. Chiediamo allora come mai abbiamo avuto
due giorni di linea ottima prima del decadimento e
scopriamo che, a detta dell’operatore, nei primi due
giorni Fastweb effettua dei test per “fissare” i parametri della linea e trovare un equilibrio tra velocità
e stabilità, test che evidentemente erano stati effettuati ma a cui non seguirono poi in centrale giuste
operazioni di “calibrazione”.
L’operatore ci consiglia la nuova strada da seguire:
lui avrebbe finalmente aperto una segnalazione nei
confronti di Telecom ma noi avremmo dovuto fare
il test Ne.Me.Sys dell’AGCOM inviandolo via fax al
numero di telefono che lo stesso operatore ci ha
suggerito. Senza quel fax la segnalazione sarebbe
stata troppo debole per essere presa in considerazione e solo arrivando il fax le cose si sarebbero
potute risolvere con un vero intervento congiunto.
Chiediamo il perché di tutta questa inefficienza e
la risposta è semplice: “Qui è tutta una questione
di soldi, Telecom ha tanti clienti e per l’assistenza
viene privilegiato chi paga meglio”. Una chiara lamentela nei confronti delle recenti politiche di Fa-
Test Ne.Me.Sys, che confusione!
A questo punto non ci resta che fare il test: andiamo direttamente sul sito dell’AGCOM, ci registriamo
inserendo tutti i dati personali e i dettagli sulla linea
e scarichiamo il software per effettuare le misurazioni sulla linea. Il software dell’AGCOM, chiamato
Ne.Me.Sys (che sta per Network Measurement System), è stato realizzato per essere il più immediato
possibile al fine di rendere semplici le misurazioni
da parte degli utenti meno esperti, ma non ci mettiamo molto a capire che non è tutto oro quel che
luccica. Il programma ha un principio di funzionamento molto semplice: ogni ora Ne.Me.Sys si mette
in comunicazione con i server “ufficiali” del progetto
Misura Internet dell’Agenzia delle Comunicazioni,
effettuando download e upload con l’obiettivo di
stabilire se le velocità stabilite dagli impegni contrattuali dell’operatori siano rispettate oppure no. Il
test è “ferreo”: fatta eccezione per il computer su
cui è installato il software adibito alla misurazione
(ovviamente via cavo Ethernet, ma abbiamo provato
e va anche in Wi-Fi), devono essere disconnessi tutti
gli altri apparecchi connessi alla rete locale. Tutto ha
la sua logica, se non fosse che non sempre è facile
“disconnettere” tutti i dispositivi: disconnessi tutti i
dispositivi sembrava ci fosse ancora qualcosa collegato alla rete locale come dimostra l’avviso: “Misura
interrotta. Presenza di altri host in rete. Attendo 60
secondi.” Il problema ovviamente è il router stesso
di Fastweb.
Il Technicolor TG788vn v2 infatti non va per nulla
d’accordo con il test Ne.Me.Sys; il Media Server USB
installato a bordo, richiedendo un IP proprio, figura
come un’entità fisica a tutti gli effetti e fa sistematicamente saltare il test. Il problema è che non vi è
modo di disattivare realmente il tutto dall’interfaccia
web del modem-router. L’unico modo per far partire
il test è quello di “confondere” i vari sistemi con un
workaround fatto di disabilitazione dei servizi DHCP
sul PC Windows, impostazione di un IP statico che
va in conflitto con quello del Media Server USB e
riavvio del router; insomma, un qualcosa tutto fuorché user-friendly come dovrebbe essere un test del
genere.
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segue a pagina 24 
torna al sommario
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GAMING Il prototipo“Monolith” è stato fotografato sullo schermo di un MacBook. Ma le fotografie non sembrano attendibile
PlayStation 4 Slim, in Rete alcune in foto. Ma sarà vera?
In rete alcune foto di quella che dovrebbe essere la nuova PS4: più piccola, leggera e dovrebbe consumare meno
di Paolo CENTOFANTI
ony al lavoro su una nuova Playstation Slim: le foto emerse online, se non si tratta di un falso
davvero ben congeniato, mettono in
luce un lavoro di miniaturizzazione
eccezionale da parte di Sony che è
riuscita a ridurre almeno del 50% le
dimensioni del modello attuale. Il prototipo, definito Monolith, è stato fotografato sullo schermo di un MacBook e
mostra oltre ad un corpo più compatto
anche la comparsa di tasti fisici al posto di quelli a sfioramento.
Nessuna conferma, ma le dimensioni
lasciano qualche dubbio: è davvero
troppo piccola, e dimensioni simili le si
possono raggiungere solo utilizzando
S
una APU AMD di nuova generazione a
20 nanometri (quella attuale è 28 nanometri) e spostando l’alimentazione
all’esterno. Sembra anche un po’ troppo presto per una revisione della PS4,
ma Sony potrebbe sorprendere. Le
quote? Se dobbiamo
proprio scommettere puntiamo sul fake;
che le foto siano vere
la quota è di 20 a 1.
Chi scommette?
L’arrivo
della nuova
PlayStation 4
è previsto
per l’E3.
SOCIAL MEDIA
L’Italia della banda larga
segue Da pagina 23 
Happy ending? Sì, anche per tutto
il vicinato
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Dopo aver fatto tutto, finalmente, il test parte e già
dopo le prime tre ore di misurazioni appare la dicitura che annuncia a chiare lettere come la linea sia al
di sotto degli standard minimi.
“Riscontrata violazione degli impegni contrattuali
sul parametro: 5 percentile della banda in download
relativo all’offerta contrattuale “JET” inserita in fase
di registrazione“ .
A quel punto c’è ben poco altro da fare: basta stampare il “resoconto ufficiale” del test Ne.Me.Sys e inviare tutto al numero di fax indicatoci qualche giorno prima dall’ultimo operatore Fastweb.
Inviato il fax il 4 dicembre, non c’è voluto molto per
arrivare alla conclusione di tutta questa telenovela
(dopo più di 80 giorni): in un paio di giorni la qualità della linea è cambiata radicalmente e tutt’ora, a
più di un mese di distanza, continuiamo a stare su
valori decisamente buoni e in linea con le attese:
circa 15 Mbps in download e 0.9 Mbps in upload, e
questo a tutte le ore del giorno e della notte. Difficile dire cosa sia stato fatto a livello centrale e/o a
livello della filiale di zona: probabilmente è bastata
una degna calibrazione per mettere tutto a posto,
ma questa è solo una supposizione. Quel che pare
certo, però, è che nel 2014, ora 2015, un fax può
torna al sommario
davvero cambiare tutto: e, a quanto pare, anche le
linee degli altri utenti della zona serviti da altri gestori sono migliorate.
Si può attendere 80 giorni per una
linea?
Se per avere una linea servono 80 giorni è chiaro
che la banda larga in Italia non potrà mai decollare.
Servono non solo velocità e servizi ma anche competenza e assistenza.
•L’abitazione era già raggiunta da rete Fastweb:
sarebbe bastato un semplice controllo per rendere
tutto più veloce. Non c’era bisogno di staccare tutto
e riavviare la procedura di attivazione tutta dall’inizio; così facendo ci hanno rimesso tutti perché in
precedenza l’abitazione era direttamente raggiunta
da rete Fastweb (in ULL) e in seguito, perso “il doppino”, tutto il processo è passato in Wholesale . Il
che è quasi sempre sinonimo di problemi (anche per
l’operatore, il quale si trova a “nel mezzo” tra cliente
e Telecom). Come questo sia possibile è un mistero.
• Scarsa comunicazione col cliente nelle prime fasi
dell’attivazione: se c’è un problema il cliente dovrebbe essere informato appena il problema stesso
si palesa.
•Call center a pagamento (e costa caro per chi non
ha già la linea Fastweb), oltretutto composto da operatori non madrelingua: non abbiamo nulla contro chi
non parla bene la lingua italiana ma mettere dall’altra parte del telefono personale che stenta a capire
quello che gli si dice non è piacevole, né per chi si
vuole lamentare né - immaginiamo - per l’operatore
stesso. Una società come Fastweb deve proprio ri-
sparmiare sul servizio clienti?
•Social Care “apparentemente efficiente”, ma che si
scontra con la realtà dei fatti: gli italiani del Social
Care di Fastweb fanno di tutto per far credere ai
clienti di essere al lavoro per risolvere i problemi,
ma purtroppo non è così. Che sia per inefficienza,
incapacità oppure per problemi di scarsa comunicazione tra le divisioni e/o con Telecom (per problemi
di budget ovviamente), a pagare è sempre il cliente,
il quale non può fare nulla.
•Test Ne.Me.Sys, l’ultima spiaggia: in questo caso la
colpa non è solo di Fastweb, ma mettere a disposizione dei clienti modem-router “complessi” come il
Technicolor non è proprio una scelta saggia. Senza
la giusta dose di conoscenze un utente medio non
sarebbe mai riuscito a far partire il test di misurazione della qualità della linea e probabilmente non
avrebbe mai risolto nulla.
•Il fax risolutore: possibile che Fastweb senza il fax
con i risultati del test AGCOM (valido anche per
richiedere il recesso dal contratto, senza penali),
avendo alla mano i dati degli speedtest effettuati
tramite il loro strumento ufficiale, non potesse davvero fare nulla? Nel 2015 un utente deve per forza
arrivare “così alla disperazione” per rivendicare una
semplice linea ADSL?
Non vogliamo accusare nessuno né buttare fango
su Fastweb, perché siamo consapevoli che la situazione può essere vissuta anche con altri provider: a
detta di quanto si legge sul web o si sente da familiari e amici risulta essere piuttosto comune; vicissitudini di questa portata non fanno bene a nessuno e
sono lo specchio della situazione italiana.
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26 GENNAIO 2015
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SOCIAL MEDIA Abbiamo svolto un’inchiesta per fare un po’ di chiarezza sugli acquisti online
Corrieri e merce danneggiata: ecco cosa fare
Come si devono comportare gli utenti, le responsabilità dei corrieri e le possibili soluzioni
di Roberto PEZZALI
e-commerce conquista sempre più
italiani: transazioni sicure, carte di
credito prepagate, ritiro in negozio e tante altre piccole migliorie hanno
contribuito a far crescere il fenomeno
anche in Italia. Con pacchi che, secondo
le ultime rilevazioni, diventano sempre
più grandi: oggi online si comprano anche lavatrici, televisori, bottiglie di vino
e prodotti del genere più svariato senza
alcuna preoccupazione. Tolto il rischio di
truffa, sempre presente ma scoraggiato anche dalla possibilità di aggiungere
opinioni online e dalle verifiche dei vari
comparatori di prezzi, resta un unico problema: cosa succede se la merce arriva
danneggiata? A chi bisogna rivolgersi?
Lo abbiamo chiesto ad alcuni corrieri, da
TNT a SDA, chiedendo loro come si devono comportare gli utenti, che responsabilità hanno i corrieri e quali sono le
possibili soluzioni nei vari casi.
L’
Il ruolo del corriere
Il ruolo del corriere è quello di ritirare un
pacco e assicurarsi che venga consegnato nella stessa identica condizione di
quando il pacco è stato ritirato. “Se vediamo pacchi non imballati bene o pacchi
troppo delicati non ritiriamo neppure” – ci
ha confermato TNT – “e spesso facciamo
anche un controllo interno provvedendo
al reimballaggio della merce se ci sembra
che il pacco sia delicato”. Tuttavia è facile
capire se una bottiglia o una statuetta si
rompe nel trasporto, un po’ meno invece
verificare se un TV o un computer portatile hanno subito qualche danno.
Secondo TNT non è mai capitato che un
TV consegnato con un pacco totalmente
integro avesse problemi: “Se viene consegnato un TV con lo schermo sfondato
e l’imballo è integro difficilmente il danno
è stato fatto durante il trasporto” – aggiunge TNT, anche se questo è un caso
spiacevole che è capitato effettivamente
a molte persone.
Consegna con riserva

Il consiglio di molti negozi, soprattutto
in caso di merce voluminosa, è quello di
accettare la merce apponendo la scritta
“Con Riserva” sopra la bolla di accettazione, e così facendo si dichiara che si sta
accettando il pacco ma ci si riserva successivamente il diritto di verificare che il
contenuto sia integro. Questo perché, per
torna al sommario
legge, il corriere non
permette di aprire il
pacco fino alla firma
materiale della bolla
di consegna. Non
tutti i corrieri però
accettano la consegna “con riserva” per
tutti i pacchi: SDA
e TNT ad esempio
chiedono ai loro corrieri di accettare la riserva solo se il pacco esternamente mostra qualche indizio
che lascia pensare ad un maltrattamento
o ad un trasporto incauto. Se il pacco è
integro il corriere potrebbe infatti rifiutarsi
di far firmare con riserva: se si rifiuta di
fronte ad un pacco leggermente ammaccato è consigliabile non firmare il ritiro: la
merce torna al mittente. Nel caso in cui il
prodotto sia effettivamente danneggiato,
bisogna comunque contattare il rivenditore: se si ha firmato con diritto di riserva
il venditore deve prendersi carico della
gestione del problema, inviando un nuovo prodotto e poi rivalendosi sul corriere
per gli eventuali danni che il prodotto ha
subito dopo le opportune verifiche.
Se arriva un televisore rotto infatti non
è sempre facile capire quando è stato causato il danno: il televisore non è
certo stato costruito nel negozio in cui
è stato acquistato e quello verso casa è
solo l’ultimo “scalo” di un lungo viaggio
dalle fabbriche spesso cinesi o europee.
Il danno al pannello potrebbe anche essere avvenuto in fabbrica: nessuno può
davvero saperlo.
Cosa succede però se la merce è stata
ricevuta da altre persone ignare della
cosa, da una reception, da un pickup
point o da un “locker”?
I corrieri che abbiamo intervistato ci fanno sapere che nel caso di consegna nei
Locker o in posti dove non c’è una persona fisica che può controllare lo stato
del pacco non vengono assolutamente
consegnate merci che mostrano anche il
minimo segno di danno all’imballo.
Nel caso invece di persona che non firma
e ritira, salvo poi scoprire che all’interno
c’è qualcosa di rotto, le soluzioni non
sono molte. Se il prodotto è di basso valore spesso molti venditori preferiscono
fare un secondo invio per evitare ogni
problema, ma se la merce è costosa la
situazione è più delicata e nel caso di
ecommerce la soluzione è provare ad
avvalersi del diritto di recesso entro 14
giorni dall’acquisto. Il problema è che
condizione essenziale per l’esercizio del
diritto di recesso è la sostanziale integrità
del bene da restituire e molti rivenditori
se informati dell’arrivo di un pacco danneggiato si oppongono al recesso. Nella
maggior parte dei casi la storia finisce in
mano ad un avvocato. Se si è ritirato un
bene acquistato presso un negozio online e si scopre dopo che è danneggiato il
recesso è la prima strada da provare ma
molto dipende dal negozio. Dopo aver
verificato il bene infatti potrebbero decidere di non dare alcun rimborso.
Acquisti da privato
o di merce usata
Nel caso invece di altra compravendita
su internet da privato o di merce usata
non vige il diritto di recesso. In questo
caso valgono le considerazioni fatte sopra e se non si è accettato con diritto di
riserva l’unico appiglio per il consumatore è la denuncia del danno occulto,
ovvero di quei danni che non sono verificabili semplicemente guardando il pacco
esteriormente. Il danno occulto secondo l’Articolo 1698 del Codice Civile è di
responsabilità dello spedizioniere e in
questo caso la contestazione va inviata
con raccomandata con ricevuta di ritorno
allo spedizioniere entro e non oltre gli 8
giorni dal ricevimento della spedizione,
allegando le foto del danno. Il problema
in questo caso però è legato all’entità del
rimborso: il rimborso standard è di pochi
euro per ogni Kg e la trafila per ottenerlo
spesso è lunga e tortuosa. Molto meglio
non arrivare a questo punto.
Nel caso generico di spedizioni voluminose a rischio è bene insistere per la
consegna con riserva: è la soluzione più
pratica e considerata dai venditori, anche
se spesso bisogna insistere un po’ per
ottenere questa possibilità nel caso in cui
il pacco sembra perfetto.
Epic Fail: quando
è l’AgCom a dire
dove scaricare
film e musica
AgCom ogni giorno
pubblica i report
con l’apertura dei
procedimenti di
infrazione per film e
musica illegalmente
presenti in rete,
svelando a tutti dove
scaricare i file e dove
vedere i film che non
sono ancora stati rimossi
di Roberto PEZZALI
Può essere l’AgCom fonte di ispirazione per chi vuole scaricare
contenuti pirati online? La Direzione per i Contenuti Audiovisivi della
Autorità per il Garante delle Comunicazioni pubblica ogni giorno
sul proprio sito i report di apertura
delle infrazioni contro chi pubblica
online materiale pirata. Una dimostrazione dell’ottimo lavoro che
l’ente sta facendo per contrastare
il fenomeno della pirateria in piena cooperazione con i detentori
dei diritti, ma allo stesso tempo un
“epic fail”. AgCom non oscura e
non censura i link ai contenuti, e in
molti casi questi non sono ancora
stati rimossi: basta leggersi i pdf
per trovare i link diretti a video in
streaming, canzoni da scaricare
e per conoscere nuovi siti dove
trovare contenuto illegalmente distribuito. È vero che chi vuole scaricare illegalmente sicuramente conosce mezzi e modalità e si affida
ai normali motori di ricerca, ma fa
sorridere il fatto che l’AgCom, nel
rispetto della trasparenza, faccia
da faro a coloro che magari non
sanno neppure da che parte si inizia a scaricare un film.
IL PIÙ SEMPLICE
IL PIÙ SMART
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La sua sorprendente evoluzione.
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT L’MHP non è affatto sicuro: abbiamo scoperto come accedere ai file di tutte le trasmissioni Rai e Mediaset
MHP colabrodo: programmi scaricabili da tutti
Le trasmissioni si possono scaricare direttamente dai server delle emittenti anche in formato MP4: altro che torrent
S
di Roberto PEZZALI
caricare tutti i video dei contenuti Rai e
Mediaset da Internet, in formato MP4 e senza
troppa fatica non è affatto difficile. La cosa più
paradossale (e francamente impensabile) è che i file
con tutti i programmi si scaricano direttamente dai
server RAI e Mediaset, con i file integri, privi di pubblicità, in alcun modo protetti o criptati. Il tutto dai servizi
di catch-up TV, quelli che permettono di vedere i contenuti dell’ultima settimana in streaming. Una situazione un po’ imbarazzante nella quale ci siamo imbattuti
quasi per caso, analizzando il traffico di rete generato
dai servizi MHP alla ricerca della soluzione a un problema sui TV Samsung, di cui vi abbiamo dato conto
qualche tempo fa. Imbarazzante e paradossale, se si
considera che i broadcaster italiani, pur di proteggere
i loro contenuti sui browser hanno fatto ricorso anche
al DRM Microsoft e a Silverlight player e lavorano da
sempre per implementare sistemi di protezione ai vari
contenuti. La fortezza è protetta dall’ingresso principale, senza considerare però l’ingresso posteriore,
come ad esempio l’MHP, lasciato colpevolmente spalancato. E la colpa è ancor più grave se si considera
che sia RAI che Mediaset la soluzione che risolve il
problema alla radice ce l’hanno in casa e già funzionante - si chiama TivùOn - ma per pigrizia o chissà
quale resistenza, stanno tardando ad applicarla.
L’anello debole è l’interattività MHP
Il cavallo di troia per scardinare le CDN dove Rai e Mediaset tengono i file dei programmi è proprio l’MHP:
l’applicazione Rai Replay così come Rewind di Mediaset, come è noto ai più esperti, non sono altro che
piccole applicazioni Java che vengono eseguite dal
decoder o dal TV. L’applicazione viene scaricata in formato compresso, viene decompressa da decoder o TV
e poi eseguita. Una applicazione leggera, che non fa
altro che richiamare con una interfaccia tutto sommato
semplice i palinsesti delle varie reti disponibili, anche
loro accessibili da una serie di pagine web.Ovviamente, non daremo alcun dettaglio su come si possano
scaricare i film: “rubare” è illegale anche se si trova la
porta aperta e i denari pronti sul tavolo. Ma vogliamo
denunciare come sia semplice accedere alla library e
arrivare ai file in formato MP4. E questo ben oltre la

Il palinsesto della Rai per Replay TV è una pagina
‘web’ di questo tipo. Non è una pagina che con il
browser, ma un file comunque disponibile online.
torna al sommario
“settimana” di visibilità della catch-up TV, visto che i file
e i loro indirizzi sono permanenti e restano accessibili
anche per molti mesi, probabilmente per sempre.
Rai, ci sono anche i Telefilm
Partiamo con Rai: il palinsesto per Replay TV è una
pagina ‘web’ da vedere non con il browser, ma un file
disponibile online che permette ai decoder di ricostruire l’interfaccia grafica fornendo le preview e i titoli dei
programmi.La pagina resta raggiungibile per gli ultimi 7 giorni di programmazione: il palinsesto in foto è,
per esempio, relativo al 14 gennaio 2015. Ovviamente
dalla pagina principale si accede al palinsesto di Rai
Premium, Rai 1, Rai 2 e così via. Non solo: in questi palinsesti sono presenti contenuti che sulla piattaforma
RAI Replay su eb non sono neppure elencati, come
per esempio NCIS, la serie TV Paramount: da decoder
infatti si accedono a molti più contenuti di quelli visibili
online sul sito web di Rai, questo per questione di diritti. L’indirizzo è leggibile nelle richieste che vengono
fatte in chiaro dal decoder MHP, nel nostro caso un
comune Telesystem, ai server della Rai; non è cosa da
tutti, ovviamente, intercettare questi indirizzi ma non è
neppure una operazione che richiede un “hacker”. E
sempre in chiaro transitano gli indirizzi dei file video.
Una puntata di NCIS o di Peppa Pig è un file MP4 che
può essere visualizzato in streaming nel browser o
addirittura scaricato come un qualsiasi file libero sulla
rete. Non c’è login e neppure una password, basta conoscere l’indirizzo (ma ce lo dice il decoder). Ecco qui,
per esempio, un link diretto a un programma di Rai 2,
che riportiamo solo a scopo esemplificativo di come sia
semplice accedere ai contenuti:
http://creativemedia3.rai.it/podcastcdn/raidue/I_Fatti_Vostri/ifattivostri_puntate_2015/3443691_800.mp4
Addirittura sono disponibili diverse versioni: c’è la qualità più bassa a “800 kbps” (link in alto) e si arriva a file
di discreta qualità a 1800 kbps (link di seguito).
http://creativemedia3.rai.it/podcastcdn/raidue/I_Fatti_Vostri/ifattivostri_puntate_2015/3443691_1800.mp4
Un programmatore con un minimo di esperienza, e in
questo caso ne basta davvero poca, ci mette qualche
ora a realizzare una versione open di Rai Replay dalla quale vedere in streaming o scaricare liberamente
tutti i files video; anzi non siamo affatto certi che il libero scaricamento di questi contenuti non stia già
accadendo in queste ore. La realtà è che, per volontà
o negligenza della RAI, i server della nostra emittente
di Stato sono di fatto uno dei più grossi repository di
contenuti gratuiti scaricabili (dai più esperti), contenuti
che restano vivi anche quando scadono le pagine dei
palinsesti. Ovviamente in totale violazione del copyright e dei vincoli contrattuali che la stessa RAI ha nei
confronti dei propri fornitori di contenuti. Uno scandalo che potrebbe generare anche costosi contenzioni
tra RAI e gli aventi diritto e meritare un’interrogazione
parlamentare.
Con Mediaset è ancora più facile
Non cambia molto con Mediaset, anzi ricostruire l’albero dei contenuti è addirittura più semplice. Rewind
di Mediaset per decoder MHP infatti lascia in chiaro
tutta la struttura di navigazione e realizzare una interfaccia alternativa per fruire del servizio senza pubblicità è davvero banale. L’abbiamo fatto anche noi, in un
paio d’ore, come si può vedere dal video che abbiamo
realizzato: in poco tempo un bravo programmatore potrebbe crearsi una propria versione di Mediaset Rewind
con il proprio brand. Una specie di Popcorn Time, con
l’aggravante che i file non sono pescati dai torrent illegali, ma direttamente dal server di Mediaset.
Ovviamente non è legale, e il codice che abbiamo
messo a punto è già stato distrutto. Il link ai vari video ancora una volta ce lo da una chiamata “api” al
server Mediaset, e anche qui tutti i collegamenti sono
in chiaro e non viene verificato chi sta effettuando la
chiamata. Il risultato è un file MP4 da salvare su desktop o da vedere nel browser, ma questa volta con un
segue a pagina 28 
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Chili TV ha rilasciato un importante aggiornamento per i dispositivi iOS
Chili TV si aggiorna su iOS, con nuove funzionalità
Nuova grafica e nuove funzioni, ma solo per gli utenti di iOS 7.1 o versioni successive
di Massimiliano ZOCCHI
T
empo di aggiornamento per l’app
iOS di Chili TV. La piattaforma tutta
italiana di digital delivering vanta
un catalogo ampissimo, con 250 prime
visioni ogni anno divise tra film e serie tv
di successo e, ormai, ha raggiunto quota
400.000 clienti. Parola d’ordine: “facilità
di fruizione”. Chili è infatti presente in diversi Smart TV, su Pc e Mac, e ovviamente su smartphone e tablet, made in Cupertino compresi. Proprio a questi ultimi
è dedicato l’aggiornamento dell’app iOS,
arrivata alla versione 4.1.1. Era necessaria
una rinfrescata alle grafiche, per allinearsi allo stile più flat recentemente introdotto da Apple, e infatti l’aggiornamento
per essere scaricato richiede come minimo iOS 7.1 o successivi. Gli sviluppatori
hanno anche colto l’occasione per aggiungere qualche interessante funzione. Chiariamo subito che, qualora foste
già utenti della vecchia versione, l’app
stessa vi guiderà nella migrazione del
vostro account, per non perdere nessun
contenuto già acquistato.Area personale dell’account che, inoltre, è quella che
riceve il grosso delle novità. Si potranno
gestire direttamente i dispositivi associati, il parental control, e tenere d’occhio i
download attivi, scegliendo la sola connessione WiFi per scaricarli. Una funzio-
ENTERTAINMENT
ne meno indispensabile, ma comunque
pratica, è la possibilità di assegnare un
giudizio da 1 a 5 stelline su un contenuto
che si è appena terminato di guardare. I
ragazzi di Chili hanno anche provveduto
a migliorare la compatibilità con Google
Chromecast e la rotazione automatica
dello schermo, per migliorare la navigazione e la visione delle varie schermate.
(crediamo illegalmente) aperti sulla rete, a dimostrazione che l’MHP per la gestione delle applicazioni
interattive è totalmente inadeguato.
MHP colabrodo
segue Da pagina 27 
Le soluzioni ci sono, basta applicarle
pattern di indirizzo del file molto più ordinato e ancora
più facile da decodificare. In definitiva, i server di Rai
e Mediaset sono due enormi repository di contenuti
Ecco la pagina di Mediaset, ricostruire l’albero dei
contenuti è ancora più semplice.
Non è così per tutte le app MHP per fortuna: Infinity ha
un sistema di protezione dei contenuti consistente e
la stessa Mediaset con Rewind, però tramite TivuSat
con piattaforma TivuOn, risulta sicuro (oltre che qualitativamente migliore). Questo non solo grazie a Marlin
(il DRM utilizzato da TivùOn) ma anche grazie all’utilizzo
di Mpeg Dash, lo streaming adattivo che tecnicamente
divide il file in tantissimi frammenti che risulterebbe poi
difficile, se non impossibile, unire. Mediaset e Rai hanno
quindi già in casa TivuOn (il consorzio Tivù fa capo per
la quasi totalità del capitale sociale proprio a RAI e Mediaset), una soluzione che permetterebbe loro di avere
i contenuti protetti online e, tra le altre cose, un servizio
qualitativamente migliore per gli utenti, con l’accesso a
molti contenuti in alta definizione. Ma probabilmente a
Roma in viale Mazzini e a Cologno Monzese si pensa
ENTERTAINMENT
Amazon
Film al cinema
e dopo un
mese su Prime
Amazon Studios entra nell’avventura cinematografica e lo fa con un
modello tutto suo, invece di replicare
il competitor per eccellenza: Netflix.
L’approccio di Amazon è “classico”
con l’uscita al cinema in esclusiva seguita dall’inserimento nella piattaforma Prime da 4 a 8 settimane dopo.
La finestra selezionata da Amazon è
la più corta in assoluto considerando
che, sempre secondo l’azienda,
tipicamente un film impiega dalle 39
alle 52 settimane prima di passare
dal cinema alla distribuzione “home”
tramite un servizio di streaming ad
abbonamento. Il fatto che il gruppo
di Bezos voglia fare sul serio lo si deduce dal fatto che abbia già previsto
la produzione di 12 film all’anno, con
i primi in uscita nella seconda parte
del 2015. Bocche cucite su titoli e
progetti in pentola.
che sia più semplice lasciare tutto libero, all’italiana,
fino a quando qualcuno (in questo caso e per caso
DDAY.it) non se ne fosse accorto. Ora che il re è nudo,
qualche major potrebbe arrabbiarsi seriamente: i diritti
per la catch up TV durano solo 7 giorni, e, anche se
l’app cambia i palinsesti, a quanto pare i file sui server
restano li per sempre, sempre allo stesso indirizzo. E
come non è legale per gli utenti scaricare i film anche
se son liberi sul web, non è consono agli impegni contrattuali per le emittenti lasciare visibili i contenuti per
i quali sono scaduti i diritti di catch-up TV e dei quali
sono tenuti a un’attenta custodia. Vogliamo ora sperare che lo stimolo, pur scomodo, causato dalla nostra
scoperta, sia la scintilla che permetta a TivuOn, che è
funzionante oramai da molti mesi e non ha mai fatto ufficialmente il suo debutto, entri con urgenza all’ordine
del giorno degli sviluppi tecnici di RAI e Mediaset. Non
ha senso schierarsi con forza dalla parte della lotta alla
pirateria, se poi si dimostra di non voler custodire i propri averi neppure con le più semplici norme alla base
della cosiddetta “diligenza del capo famiglia”.
video
lab
MHP colabrodo

I server di RAI e Mediaset sono in chiaro
torna al sommario
Nota: in questo articolo riportiamo i link diretti relativi a un programma di produzione RAI, a puro
titolo esemplificativo e per dimostrare e denunciare la clamorosa facilità dell’operazione, prodromica
a una possibile attività pirata, peraltro incentivata dalla completa apertura dei server. Di certo non è
nostra intenzione incentivare in alcuna maniera la pirateria. in ogni caso, anche per non mettere in
difficoltà con società terze la RAI, abbiamo scelto un contenuto di produzione RAI, malgrado sui server
RAI siano liberamente accessibili migliaia di contenuti film e fiction i cui diritti fanno capo a società
terze e che comunque non sono concessi per lo streaming Web, tra l’altro oltre le finestre temporali
dei 7 giorni dalla messa in onda.
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
MOBILE Gli sviluppatori dell’app Pipes hanno creato una demo interattiva di Apple Watch
Ora puoi provare virtualmente Apple Watch
Mostrando l’integrazione di Pipes con Apple Watch, la demo mostra qualche funzione in più
di Massimiliano ZOCCHI
pple Watch arriverà probabilmente
a marzo a un prezzo di partenza
che molti ritengono sarà di 350
dollari. Se non potete sopportare l’attesa, potrebbe giovarvi provare la demo
interattiva creata dai ragazzi di Pipes.
Pipes è una applicazione dedicata alle
news di ogni genere, e il team di sviluppatori è al lavoro sulla versione per Apple Watch. Per mostrare i progressi fatti
finora e darci qualche esempio di come
l’app si mostrerà sul piccolo display da
polso, i realizzatori di Pipes hanno realizzato un sito ad hoc, che per attirare
più visite è stato chiamato con un inconfondibile “demo Apple Watch”. Lo scopo
A
Secondo un quotidiano
coreano, Samsung sarà
il principale fornitore
di Apple per il SoC A9
dell’iPhone 6S
principale del sito è ovviamente mostrare
come Pipes si integrerà nell’interfaccia di
Watch, ma nel far questo i realizzatori del
sito hanno voluto fare un piccolo omaggio agli appassionati, mostrando anche
qualche funzione in più.
Si può navigare nella home screen
simulando il touch tramite il mouse,
e persino entrare in qualche app. La
maggior parte non va oltre mostrando
solo una schermata statica, ma alcune
hanno qualcosa in più; ad esempio,
l’app musica incorpora un brano dei
Coldplay che possiamo mettere in
pausa, oppure regolarne il volume.
Premendo invece sull’icona del telefono partirà una finta telefonata che
possiamo interrompere premendo
il classico pulsante rosso. O ancora,
possiamo scorrere tra alcune immagini
presenti nell’app galleria. Premendo
sulla digital crown, la demo ci rimanderà
alla home, tuttavia la riproduzione della
ghiera non è interattiva e non permette
di scorrere o zoomare come accadrà
con quella reale. Niente che faccia gridare al miracolo, ma comunque un’idea
carina per curiosare e rompere l’attesa.
Lo scopo sarebbe anche mostrare le
funzioni di Push Notification e le Glance
di Pipes, ma scommettiamo che la maggior parte dei visitatori della pagina non
ci ha fatto caso...
Nel caso vogliate anche voi dare un’occhiata, potete visitare la Pipes Watch
Demo.
MOBILE Sembra ormai certo il prossimo arrivo di un iPad “gigante”, iPad Pro o iPad Plus
Apple ci pensa davvero: pennino per l’iPad da 12,9”?
Sempre più probabile la presentazione congiunta di una stilo realizzata per il prodotto
di V. R. BARASSI
ello storico keynote di presentazione del primo iPhone (2007)
Steve Jobs bocciò categoricamente il pennino come strumento di
input, confermando il tutto anche nel
2010 quando annunciò al mondo l’arrivo dei primi iPad. In questi anni, però,

N
torna al sommario
Samsung
produrrà il 75%
dei chip del
prossimo iPhone
il mercato è cambiato molto e il mondo
dei tablet ha subito un’incredibile evoluzione abbracciando molte categorie
di utenti e sviluppandosi in diverse direzioni; Apple lo sa bene, e probabilmente è giunto il momento di abbattere
qualche altro tabù.
Innanzitutto c’è il super iPad: ne abbiamo già parlato in passato ma nelle
ultime settimane le voci sull’iPad
Pro (o iPad Plus) da 12,9 pollici
sono diventate sempre più insistenti e ormai il suo arrivo pare
cosa certa. Ad alimentare i rumor
ci pensa l’analista Ming-Chi Kuo di
KGI Securities il quale, raccogliendo numerosi indizi lasciati per
strada dall’azienda di Cupertino,
si sente ormai sicuro nell’affer-
mare che Apple presenterà anche una
Stylus Pen appositamente pensata per
il prossimo top-di-gamma della linea
iPad. Secondo Ming-Chi Kuo, che ha
inviato ai colleghi di AppleInsider il suo
rapporto completo, Apple annuncerà i
due prodotti nei prossimi mesi e la commercializzazione avverrà nella seconda
metà del 2015. Il pennino, per non far
lievitare troppo il prezzo dell’iPad, sarà
proposto come accessorio opzionale e
non avrà funzioni particolari, con accelerometri e giroscopi che saranno integrati solo nelle versioni successive. Non
ci sarà neppure la ricarica wireless: molto più probabile una semplice connessione Lightning. Ad Apple basterà tutto
ciò per inserirsi nel mercato dei tablet
ad uso professionale?
di Emanuele VILLA
Nonostante gli iPhone di ultima
generazione siano sul mercato
da pochi mesi, iniziano ad intensificarsi i rumor circa i prossimi
terminali di casa Apple. Non tanto per annunciare specifiche più
o meno fantasiose (per quelle
non mancheranno i rumor dalla
primavera in poi), ma per quanto
concerne le aziende coinvolte
come fornitori di Apple. E guarda
caso questa volta si parla di un
altro colosso, Samsung, che potrebbe monopolizzare (o quasi) la
fornitura di SoC per l’iPhone 6s,
il che fa supporre un clima quanto meno più disteso tra le due
aziende.
Secondo il report di un magazine
coreano (Maeil Business Newspaper) che cita le “solite” fonti
anonime molto vicine all’azienda,
Samsung sarebbe prossima a firmare con Apple un accordo che
la renderebbe fornitrice del 75%
dei SoC A9 per l’iPhone 6s (e 6s
Plus, eventualmente). Nonostante i chip degli attuali iPhone 6
e iPhone 6S Plus siano prodotti
da TSMC, l’azienda di Cupertino
avrebbe deciso di cambiare rotta
e di assegnare la maggior parte
della fornitura proprio ai competitor n.1.
Questo rappresenterebbe una
vittoria per Seul, considerando
la volontà di rafforzare la propria
presenza non tanto come produttore di smartphone quanto di
componentistica. In quest’ottica
si inseriscono i rumor che identificano in un Exynos (di produzione
Samsung) il prossimo processore
di Galaxy S6 al posto del prevedibile Snapdragon 810. Per Qualcomm, perdere un cliente come
Samsung sarebbe un colpo non
da poco, ma qui entriamo nel
campo della congetture...
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
MOBILE Ha nome in codice Orbis e Samsung potrebbe annunciarlo già al prossimo MWC
Da Samsung smartwatch rotondo e wireless
Secondo indiscrezioni avrà display circolare, corona e ghiera “digitali” e la ricarica wireless
di Paolo CENTOFANTI
C
oncluso il CES di Las Vegas, iniziano le indiscrezioni per il prossimo “grosso” evento dell’anno, il
Mobile World Congress, in cui dovrebbero esserci novità soprattutto per Sam-
sung, che qui storicamente ha lanciato
alcuni dei suoi prodotti di maggiore
successo. Secondo SamMobile, a Barcellona potremo vedere, oltre al nuovo
smartphone della serie Galaxy S, anche un nuovo smartwatch, attualmente
identificato dal nome in codice Orbis,
e con una particolarità
ben precisa rispetto ai
modelli 2014: avrà infatti schermo circolare.
Il form factor simile a
quello di LG e Motorola (in alto il Moto 360)
non sarà però l’unica
novità. Secondo le fonti del blog, infatti, Orbis
utilizzerà un sistema di
controllo basato sulla combinazione di
un tasto di accensione/sblocco ispirato
alla corona di carica degli orologi tradizionali e su una ghiera circolare posta
sulla cornice del display. Con questa
interfaccia sarà possibile accedere alle
principali funzionalità dello smartwatch,
senza impazzire su controlli touch troppo piccoli per la dimensione del display.
Altra novità riguarda la ricarica della
batteria dello smartwatch che, sempre
secondo le indiscrezioni ricevute da
SamMobile, sarà di tipo wireless “out
of the box”, cioè con ogni probabilità
con un caricatore a induzione fornito in
dotazione. Quest’anno l’appuntamento
con il Mobile World Congress è fissato
dal 2 al 5 marzo.
MOBILE HP annuncia la nuova gamma di tablet pensati principalmente per l’utilizzo business
Da HP nuovi tablet Android e Windows per le aziende
I modelli sono basati sia su Android che Windows: Pro Slate 8 e 12 e il “2 in 1” Elite x2 1011 G1
di Paolo CENTOFANTI
P ha annunciato una nuova gamma
di tablet pensati prima di tutto per le
aziende, visto che il nuovo slogan è
proprio “business-first”, un approccio con
il quale il produttore americano spera di
differenziarsi dal resto dell’offerta tablet.
I modelli di punta girano su Android, i nuovi HP Pro Slate 8 e HP Pro Slate 12, entrambi caratterizzati dall’essere basati su
schermo in formato 4:3 con Gorilla Glass
4, rispettivamente con risoluzione di 2048
x 1536 e 1600x1200 pixel (e no, non abbiamo invertito per sbaglio l’ordine).
I tablet hanno un design che ricorda
quello degli smartphone HTC (sembrano degli One allargati), sono basati su
processore Qualcomm Snapdragon
800 e saranno compatibili con un ampio
corredo di accessori che HP ha studiato
per le aziende. Anche a livello software
ci saranno diverse applicazioni pensate
per l’ambito professionale e la sicurezza
aziendale. Fornito in dotazione con entrambi i tablet ci sarà l’HP Duet Pen, pennino basato sulla tecnologia Qualcomm
Snapdragon Digital Pen, che consente
anche di digitalizzare quello che si scrive
su carta. I prezzi sono di 569 dollari per
il modello da 12” e 449 per quello da 8”.

H
torna al sommario
Sul versante Windows,
la novità più interessante annunciata è il
“2 in 1” HP Elite x2 1011
G1, tablet con display da
11,6 pollici che tramite
docking/tastiera diventa
un vero e proprio Ultrabook. Sarà disponibile
in diverse configurazioni
di processore Intel Core
M, RAM e display ed è prevista anche
una delle prime docking wireless a offrire la connettività WiGig a 60 GHz tra
gli accessori, oltre a un pennino Wacom
opzionale. In questo caso i prezzi partiranno dagli 899 dollari per la configurazione base.
HP ha presentato poi diverse soluzioni
per il settore medicale e anche
per le scuole.
In quest’ultimo
caso, in particolare, c’è un nuovo tablet con
design robusto
e schermo da 8
pollici, basato su
processore Intel
Atom, disponibile in due versioni identiche per l’hardware, ma con sistema
operativo Android (HP Pro Slate 10 EE)
o Windows (HP Pro Tablet 10 EE). Sarà
disponibile per le scuole con pennino e
una serie di applicazioni e soluzioni software HP per l’ambito educational ad un
prezzo intorno ai 300 dollari.
Il Nexus 6
si gonfia: rischio
di batterie
difettose
Si stanno moltiplicando
i casi di Nexus 6 con
cover posteriore
staccata: per qualcuno
è solo un problema
di incollaggio, ma in
molti casi è la batteria
al litio che gonfiandosi
crea il problema. Una
situazione comunque
spiacevole
di Roberto PEZZALI
Dopo il bendgate di iPhone 6
spunta una grana anche per Motorola. Il Nexus 6 firmato Google
ha infatti qualche problema di
gioventù: molti utenti stanno segnalando un distaccamento della
cover posteriore anomalo, in qualche caso già presente al momento dell’unpacking e in altri invece
apparso dopo. Difficile capire se si
tratta di pochi casi isolati o se il fenomeno ha una rilevanza più ampia: anche nel caso del bendgate
tanto rumore è stato fatto per nulla,
anche perché alla fine, su milioni di
iPhone venduti, quelli piegati erano qualche decina.
Fatto sta che ora Google e per
lei Motorola deve fronteggiare un
problema che potrebbe essere
ben più serio di quello Apple: se
qualcuno infatti attribuisce la colpa alla tenuta della colla usata da
Motorola per unire i due elementi
del cabinet, il sospetto avanzato
da alcuni utenti che hanno subito
il distacco completo è che sia la
batteria al litio a spingere la cover
e produrre il distacco, gonfiandosi
in modo anomalo. Un problema,
quello delle batterie gonfie, che ha
avuto in passato anche Samsung e
da non prendere alla leggera: una
batteria gonfia può anche esplodere. Qualche utente ha risolto
utilizzando una custodia in plastica
rigida, ma è chiaro che si tratta di
una soluzione temporanea.
Motorola e Google sono al corrente del problema e stanno analizzando la situazione.
n.104 / 15
26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
MOBILE Gli operatori telefonici i multati per pratiche scorrette nell’attivazione di “servizi premium”
AGCM multa Telecom, Wind, Vodafone, H3G
L’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato ha dato sanzioni per 5 milioni di euro
di Vittorio Romano BARASSI
A
ttraverso un comunicato stampa, l’AGCM ha annunciato di aver
multato per più di cinque milioni di
euro tutti i principali operatori telefonici
operanti sul territorio italiano. Telecom
e H3G sono state condannate a pagare 1,75 milioni di euro ciascuna mentre
per Vodafone e Wind la sanzione si è
fermata a “soli” 800.000 euro. La mossa
dell’AGCM è la diretta conseguenza di
un’inchiesta avviata dalla stessa agenzia
diversi mesi fa a seguito delle segnalazioni provenienti da decine di migliaia
di consumatori che si sono trovati, loro
malgrado, costretti a pagare per contenuti extra non voluti. Al centro dell’inchiesta ci sono infatti i cosiddetti Servizi
Premium, ovvero tutti quei servizi attivabili dall’utente a fronte di un pagamento
aggiuntivo rispetto a quello del proprio
abbonamento. Secondo l’AGCM, che ha
lavorato in stretto contatto con la Guardia di Finanza, i quattro operatori hanno
attuato una pratica commerciale scorretta riconducibile a due condotte:
“Da un lato, l’omissione di informazioni
circa il fatto che il contratto di telefonia
mobile sottoscritto pre-abilita la SIM alla
ricezione dei servizi a sovrapprezzo,
nonché circa l’esistenza del blocco selettivo per impedire tale ricezione e la
necessità per l’utente che voglia giovarsene di doversi attivare mediante una
richiesta esplicita di adesione alla procedura di blocco; dall’altro, l’adozione da
parte dell’operatore di telefonia mobile
di un comportamento qualificato come
aggressivo, consistente nell’attuazione
di una procedura automatica di attiva-
zione del servizio e di fatturazione in
assenza di qualsiasi autorizzazione da
parte del cliente al pagamento, nonché
di qualsiasi controllo sulla attendibilità
delle richieste di attivazione provenienti da soggetti quali i fornitori di servizi
estranei al rapporto negoziale fra utente
e operatore”.
Insomma, omissione di informazioni e
attivazione automatiche hanno portato
l’AGCM a punire i protagonisti del mercato telefonico italiano. Si attende ora la
risposta delle aziende.
Apple Watch, la batteria avrà un’autonomia di 19 ore
Con un utilizzo intenso la durata della batteria però può scendere a sole 2 ore e mezza

N
torna al sommario
I rumor parlano di
display 5,5’’ Quad HD
CPU snapdragon 810
e ben 4 GB di RAM
Presentazione a breve?
di Roberto PEZZALI
MOBILE Indiscrezioni parlano di un’autonomia media pari a circa 19 con un uso “normale”
di Roberto PEZZALI
on che sia una novità, ma ormai
è quasi cosa certa: con Apple
Watch si riuscirà ad arrivare a sera
ma facendone un uso intenso la batteria potrebbe lasciare gli utenti a secco
anche in poco più di un paio d’ore. A
ribadire i limiti dell’ormai prossimo
smartwatch di casa Apple è 9to5mac
che cita le classiche “fonti attendibili” e
parla di stime reali ricavate dall’analisi
dei circa 3.000 prototipi di Watch attualmente sparsi per il mondo, numero
incredibilmente elevato se rapportato
agli standard di Cupertino. Il beta-testing di questi modelli, pressoché definitivi, ha dimostrato come la batteria
del dispositivo sia in grado di garantire
un’autonomia media di 19 ore con un
uso normale; non è però ben chiaro
cosa si intenda con questa espressione
(se non che sarà un mix di uso intenso
OnePlus Two
sarà un telefono
“sorprendente”
e momenti di attività passiva) e fa specie scoprire
che usandolo in maniera
“aggressiva” la batteria
potrebbe arrivare a zero in
2 ore e mezza o 4 ore in
modalità Tracking, ovvero
con tutti i sensori attivi per
la raccolta dei dati sulle
attività in corso di svolgimento. Interessanti, ma
pressoché insignificanti, i
risultati in modalità standby e quelli in modalità sleeping: 3 giorni
senza mai attivare la retroilluminazione
e 4 giorni a display completamente
spento.
Emergono inoltre ulteriori dettagli sulla
componentistica: il processore S1 dello
smartwatch pare avere le stesse performance dell’Apple A5 e il comparto
grafico sarà capace di far funzionare il
sistema a 60 frame per secondo. Qualche dubbio in più c’è sul sistema di ricarica induttiva: il caricatore pare essere
pronto e sembra essere più performante del previsto, ma non è chiaro se sarà
prodotta una sola versione oppure due,
una in plastica e una in metallo (la prima
per le versioni in alluminio e Sport e la
seconda per i modelli high-end).
Nonostante lo possiedano in
pochi, gli appassionati di tecnologia conoscono alla perfezione
le vicissitudini di OnePlus One:
il telefono hi-end dal prezzo abbordabile e acquistabile solo
“su invito” (periodi di promozione esclusi). Ormai il prodotto è
presente sul mercato da un po’
e da qualche settimana si parla
di OnePlus Two, il telefono che
l’azienda presenterà nel corso
dell’anno e che, stando alle sue
stesse parole, sarà in grado di
“sorprendere la gente”. Si suppone che la filosofia resti invariata:
specifiche tecniche in linea con
i prodotti più alti in gamma ma
prezzo di listino decisamente
abbordabile, con conseguente
meccanismo di acquisto limitato.
Grazie a diversi leak iniziamo a
ipotizzare le specifiche tecniche
del telefono, che fanno (ovviamente) ben sperare: il display
Full HD di One diventa Quad HD,
mentre le dimensioni restano
da 5.5’’, considerati “giusti” dall’azienda per diverse esigenze.
A muovere il tutto ci penserà un
processore snapdragon 810 con
architettura 64bit che girerà su
una versione custom di Android
Lollipop e sarà assistito da ben
4 GB di RAM. Ancora impossibili da conoscere la data di lancio
e il prezzo di listino, ma vale la
pena attendere ancora un po’
per conoscere i dettagli ufficiali
(ed eventualmente rompere il
salvadanaio).
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
SMARTHOME Un nuovo servizio web che pochi conoscono, in grado di automatizzare tutto
IFTTT: cos’è, come funziona e perché è utile
“If This Then That, se succede questo, fai quello” funziona tramite regole dette “ricette”
“I
di Roberto PEZZALI
f This Then That”, ovvero se
succede questo allora fai quello. IFTTT è un servizio online
che pochi conoscono, ma davvero utile
e facilissimo da utilizzare. Disponibile
come sito web e come applicazione
per smartphone Android e iOS, IFTTT
è una sorta di maggiordomo virtuale in
grado di automatizzare tutto. Il principio di funzionamento di IFTTT è banale
e davvero alla portata di tutti secondo la regola dell’azione / reazione: se
succede una determinata cosa, allora
deve scattare una determinata reazione. Il tutto tramite semplici regole scritte dagli utenti e denominate ricette,
da creare partendo da zero oppure da
scegliere tra quelle già scritte da altri e
personalizzabili.
IFTTT sta diventando sempre più diffuso perché, partendo da una base di
elementi “banali”, è riuscito a coinvolgere moltissimi produttori che si sono
adeguati alla sua logica: tra i prodotti
disponibili oggi sul sito ci sono decine
e decine di prodotti e accessori che
possono essere usati per creare le ricette, dai servizi web a accessori come
gli interruttori WeMo di Belkin, i termostati intelligenti Nest e la stazione
meteo Netatmo. Il principio è semplice
e flessibilissimo: se il termostato rivela una temperatura di “XXX” allora fai
questo, oppure “Se scattiamo una foto
con l’iPhone allora fai quell’altro”. A
eseguire l’azione ci pensa IFTTT, dopo
aver dato ovviamente le autorizzazioni
ai vari elementi. IFTTT è in pratica la
prima vera lingua universale per l’Internet e delle cose e per far interagire
tra loro elementi connessi di diversi
produttori, anche se ovviamente siamo
noi a decidere cosa deve succedere
e quando. Se utilizziamo ad esempio
Kim Dotcom lancia un
servizio di chat online
crittografata, che si
chiama MegaChat.
Secondo il creatore del
defunto Megaupload è
un fenomeno virale e
sarà uno Skype Killer
di Massimiliano ZOCCHI
“iOS Location”, ovvero il servizio di anche cose più curiose: il cambio dellocalizzazione dell’iPhone, possiamo lo sfondo quando inizia una partita di
chiedere a IFTTT di spegnere il riscal- calcio oppure il cambio di colore delle
damento o le luci Philips Hue quando luci Philips quando la stazione spaziale
ci allontaniamo da casa. Le ricette sono passa sopra una determinata posizioinfinite: c’è chi vuole una notifica se un ne. IFTTT è un servizio totalmente grasito pubblica una notizia, o semplice- tuito davvero utile per mettere insieme
mente vuole pubblicare su Facebook due servizi o applicazioni che non sono
la foto appena scattata con l’iPhone in fatti per stare insieme e per dialogare,
automatico. Il servizio è aperto anche ed è un primo vero passo verso l’Interalle richieste più bizzarre: si può ad net delle Cose senza però lasciare alle
esempio chiedere di pubblicare una “cose” l’iniziativa. Qui decide l’utente.
foto se la temperatura
scende sotto i 10°, oppure accendere la luce
se si riceve una mail da
un particolare destinatario o se DDay pubblica
una nuova notizia. Tra le
ricette create dagli altri
utenti più interessanti
si trova ad esempio la
possibilità di salvare
automaticamente
gli
SMS in un documento
su Google Drive, oppure una notifica su iOS
quando una determinata azione scende oltre
Alcune ricette degli utenti
una soglia. Si trovano

Creare una ricetta è semplicissimo. Si deve solo scegliere il
“this” e il “that”
torna al sommario
MegaChat,
La mossa antiSkype di Kim
Dotcom
Alcuni dei servizi che possono scatenare il “this”
Un vulcano di idee, Kim Dotcom
(Kim Schmitz in origine). Dopo la
chiusura di Megaupload, le accuse e arresti per crimini vari e la
creazione di Mega e Baboom, ora
è la volta dell’attacco al mondo
delle chat online con la sua nuova piattaforma, che (guarda caso)
si chiama MegaChat. Kim ha postato un tweet in cui annunciava
il rilascio del nuovo progetto, step
by step come lui stesso ha dichiarato. Una nuova chat online, funzionante all’interno del browser e
con dati crittografati end to end. Al
momento funziona solo la parte di
videochiamata, ma la chat testuale
e le funzionalità di videoconferenza arriveranno presto. Sfruttando
le recenti accuse a Microsoft, rea
di aver aiutato l’NSA a spiare utenti Skype, Dotcom ritiene che il suo
servizio potrebbe diventare uno
“Skype Killer”. La nuova chat pare
stia diventando un fenomeno virale, con oltre un milione di inviti già
effettuati, e con applicazioni mobile che arriveranno a breve. Kim
Dotcom ritiene che i problemi di
sicurezza sofferti da Mega tempo
fa (furono rubate password) siano
acqua passata, e ha sfidato la comunità a trovare falle di sicurezza,
promettendo una ricompensa
adeguata per chi segnali bug o
difetti. Voi vi fidereste a lasciare le
vostre conversazioni private nelle
mani di questo individuo?
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
SCIENZA E FUTURO L’ultima “follia” di Elon Musk è creare una rete Internet orbitante
SpaceX
porterà Internet nello spazio
Non è solo un progetto di banda larga, ma anche un’alternativa più veloce alle dorsali terrestri
di Paolo CENTOFANTI
lon Musk ha rivelato ulteriori dettagli sul suo progetto di realizzare
una flotta di satelliti per creare una
sorta di Internet orbitante. La notizia principale è che non si tratta solo di un nuovo progetto sulla scia di quelli di Google
e Facebook per portare Internet a banda
larga anche nei paesi in via di sviluppo
e nelle zone più remote del pianeta, ma
anche per costruire un’alternativa veloce
alle principali dorsali in fibra. In sostanza,
dice Musk, si potrebbero migliorare le
prestazioni di Internet spostando il routing dei dati dalla rete terrestre - che ha
un gran numero di nodi - ad una dedicata
in cui lo smistamento dei pacchetti avviene in orbita. Qualcuno potrebbe stare
già pensando “ma come la mettiamo
con la latenza delle trasmissioni satellitari?”. La risposta è che non si tratterà di
una rete di satelliti geostazionari, ma a
bassa orbita, indicativamente 1200 Km
(per cui teoricamente si parla di ritardi
dell’odine degli 8 millisecondi). Il progetto verrà sviluppato da SpaceX nella
sede di Seattle e inizialmente coinvol-
E
La divisione Research
di Microsoft sta
sperimentando un
nuovo sistema di ricarica
senza fili che sfrutta un
semplice fascio di luce
per ricaricare la batteria
degli smartphone
gerà un personale di 60 persone che
potrebbe arrivare a 1000 nei prossimi
tre o quattro anni.
L’altra novità è che, rispetto a quanto
era emerso lo scorso novembre, il progetto di SpaceX sarà separato e anzi
in competizione con quello lanciato
da Greg Wyler, OneWeb (finanziato da
Virgin e Qualcomm). Inizialmente si era
parlato di una collaborazione tra i due
imprenditori ma, stando a quanto dichiarato da Musk, ci sono troppe diver-
genze di vedute sull’architettura che
dovrà avere la rete satellitare; in particolare Wyler vorrebbe dei satelliti più
semplici e meno costosi, mentre Musk
punta a dei dispositivi più sofisticati.
Il risultato è che mentre OneWeb punta
a un costo di realizzazione di 2 miliardi
di dollari, quello di SpaceX sarà dell’ordine dei 10 miliardi di dollari. Ma Musk
pensa in grande e dice che già guarda
a portare la connessione anche alle future colonie su Marte.
SCIENZA E FUTURO Il progetto del treno supersonico è un’idea rivoluzionaria per i trasporti
Hyperloop, il treno supersonico, partirà dal Texas
Elon Mask, CEO di Tesla e SpaceX, ha dato il via alle prove del circuito di 8 km per sperimentare il treno
di Roberto PEZZALI
i viaggia all’interno di capsule a levitazione magnetica alla velocità di
1200 Km/h, quanto basta per fare
Milano - Roma in 20 minuti. Quando Elon
Mask, CEO di Tesla e SpaceX, annunciò
il progetto Hyperloop, la comunità si
divise tra scettici e entusiasti. Ai tempi
Musk dichiarò che non avrebbe avuto
tempo di occuparsi del progetto: le altre
aziende a cui fa capo richiedevano troppo impegno, tuttavia avrebbe aiutato e
lasciato aperto il progetto Hyperloop per
permettere a tutti gli interessati di lavo-

S
torna al sommario
Kinect vede
dove metti lo
smartphone
E te lo ricarica
rare sul treno supersonico. Ora l’annuncio: “verrà costruito un circuito di prova
lungo 8 Km probabilmente in Texas”,
un circuito che servirà ad aziende e
gruppi di studenti per provare e sperimentare i loro design di capsule.
Il sistema Hyperloop non è complesso: è un tubo chiuso dove gli
elementi si muovono sfruttando la
spinta dell’aria. Musk specifica che
tutto il progetto sarà finanziato esclu-
sivamente da privati e aggiunge che
potrà essere usato anche per realizzare contest e gare tra capsule e veicoli
di diverso tipo. Un’idea questa che, se
funzionasse, sarebbe una vera rivoluzione per i trasporti: le capsule possono partire a distanza di 30 secondi una
dall’altra, viaggiano in tubi sopraelevati
che non richiedono grosse opere civili
e soprattutto dal costo di manutenzione
contenuto.
di V. R. BARASSI
l ricercatori Yunxin Liu, Zhen Qin e
Chunshui Zhao della divisione Microsoft Research di Pechino stanno
lavorando a un interessante progetto (i cui dettagli sono spiegati in
questo PDF) che vede come protagonisti lo smartphone del futuro e
il suo sistema di ricarica della batteria. Oggi esistono già modalità di
ricarica wireless (ad induzione) ma
spingersi oltre potrebbe essere
pericoloso per la salute oltre che
poco pratico, da cui l’idea dei due
ricercatori: perché non ricaricare lo
smartphone con la luce? Basterà
equipaggiare i dispositivi con pellicole fotovoltaiche e dirigere un
fascio di luce direttamente sullo
smartphone per iniziare la ricarica
della batteria; l’idea dei ricercatori
prevede l’utilizzo congiunto di una
telecamera attaccata al soffitto
- Kinect - in grado di riconoscere
gli smartphone presenti nei paraggi e di una lampada orientabile
connessa, pensata per ruotare e
indirizzare la luce in direzione dei
device che necessitano di ricarica. Tutto in automatico, senza fare
nulla. Il riconoscimento dello smartphone è affidato ad un software
ad hoc mentre le informazioni sulla
percentuale di carica della batterie
sono appannaggio di un microcontroller LED presente sullo stesso
device. Se il dispositivo necessita
di ricarica, questa parte in meno
di un secondo mentre il riconoscimento impiega ancora meno: 0,3
secondi.Quella dei ricercatori cinesi è una visione di quel che potrebbe essere in futuro la procedura di
ricarica dei dispositivi mobile ma
siamo ancora lontani dall’arrivare a
qualcosa di concreto.
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
GAMING Xbox One è da due mesi la console più venduta negli USA, e continua a vendere bene
Xbox One bene negli USA, ma a 349 dollari
Il merito è del ribasso per Natale, che Microsoft ripropone. 349 $ sembrano il giusto prezzo
di Roberto PEZZALI
icrosoft abbassa ancora il prezzo
di Xbox One, e sembra aver trovato quello che forse è il prezzo giusto per sorpassare, almeno in patria PS4.
La riduzione da 399$ a 349$ ha infatti
permesso a Microsoft di restare in testa
alla classifica delle console più vendute
nel periodo più caldo dell’anno, con un
trend di vendita superiore a quello della
Xbox 360 nello stesso periodo. Una nota
positiva, anche se l’anno lo chiude al primo posto Sony che non ha ancora perso
il vantaggio iniziale accumulato dalla sua
console. Dopo aver riportato il prezzo a
399$, scaduta la promozione, Microsoft
M
ha deciso di abbassarlo nuovamente:
quei 50$ in più probabilmente non
piacciono al consumatore e spingono
all’acquisto di Xbox piuttosto che di
PS4, posizionata ancora a 399$. Al
momento non sono state annunciate
promozioni simili al di fuori degli States, ma, se la cosa dovesse funzionare,
è probabile che Microsoft faccia quel
piccolo sforzo per pareggiare finalmente i conti. A 349 euro Xbox One,
soprattutto ora che con media player
e tuner è diventata un vero media center,
farebbe gola a molti. PS4 resta comunque la scelta preferita per chi guarda film
porno: secondo una infografica realizzata dal sito americano SugarDVD, una sor-
ta di Netflix a luci rosse, gli utenti di PS4
hanno battuto 2.5:1 gli utenti di Xbox One
nella visione di contenuti a luci rosse. Chi
l’ha detto che la console Sony è buona
solo per giocare?
GADGET Altroché Google Glass: ecco il progetto Magic Leap su cui Google ha investito molto
Ecco come Google immagina la realtà aumentata
Un mix di realtà aumentata e virtuale in cui ognuno vive e interagisce in ambienti digitali
di Emanuele VILLA
D

a un lato Google mette a serio rischio il progetto Glass (che però
pare sopravviva), dall’altro sta già
pensando a “what’s next”, ovvero alla
versione futuristica della realtà aumentata. Che poi tanto futuristica potrebbe non
essere, considerando che Mountain View
ha investito 542 milioni di dollari in Magic
Leap, un progetto di realtà aumentata di
cui si sa poco o nulla ad eccezione del fatto che sia “rivoluzionario”. Fortunatamente oggi abbiamo le idee più chiare grazie
al solito brevetto comparso sul sito del US
Patent and Trademark Office. Un file enorme che, lungi da dimostrarci come sarà il
prodotto finale (che comunque sembra
richiamare proprio Glass), quanto meno ci
fa capire dove si sta rivolgendo l’attenzio-
torna al sommario
ne di Google. Ed è davvero un progetto
enorme, con tanto di risvolti inquietanti:
come emerge dalle immagini, pubblicate
qui sotto, l’idea è quella di passare da una
situazione di realtà aumentata in cui nel
quadro reale compaiono informazioni di
diverso tipo a una vera e propria realtà
virtuale “a comando”, che però mantenga
un certo tipo di legame col reale che ci
circonda.
Qualche esempio? Durante una visita al
supermercato, un utente può visualizzare la lista della spesa sovrapposta al
proprio carrello e segnare poco alla volta gli acquisti che fa, mentre il secondo
utente (nella fattispecie una bambina)
può giocare con mostri che compaiono
dagli scaffali e che sconvolgono (virtualmente) la disposizione dei prodotti e degli oggetti presenti in negozio. Oppure,
supponendo di essere in un ospedale,
il medico può generare un modello 3D
di un cuore per illustrare la situazione
clinica del paziente e quest’ultimo, per
rilassarsi, può “sostituire” l’ambiente
ospedaliero che lo circonda con una bella spiaggia tropicale.
L’idea è molto ambiziosa: si tratta di fondere realtà aumentata con ambienti virtuali,
permettendo alle persone di arricchire la
propria esperienza non solo con informazioni aggiuntive ma con veri e propri
modelli digitali tridimensionali. Anche
piuttosto inquietante, a dire il vero, visto
che si tratterebbe di vivere in una sorta
di realtà parallela e non semplicemente
di utilizzarla “una tantum” per giocare o
divertirsi. Resta il fatto che difficilmente
vedremo Magic Leap all’opera in tempi
brevi, se non sotto forma di prototipo.
Edicola Italiana
spera di
diventare la
Spotify delle
riviste
Nasce Edicola Italiana,
un chiosco digitale
con sottoscrizione ad
abbonamento per
poter accedere a riviste
e quotidiani. L’idea è
buona, ma il catalogo
ridotto e i prezzi non
competitivi
di Roberto PEZZALI
La formula “all you can” piace: dopo la musica con Spotify,
Deezer e servizi simili, i film con
Netflix e Infinity, i libri con Kindle Unlimited, arrivano ora anche
le riviste. È attivo infatti Edicola
Italiana, un servizio nato in collaborazione con il Consorzio Edicola Italiana che mette in vendita
oltre 60 quotidiani e periodici in
versione digitale. Per le riviste la
novità è la formula All You Can
Read: due abbonamenti da 9,90
euro e 14,90 euro per accedere
a tutti i mensili nel primo caso e
a tutti i mensili e settimanali nel
secondo caso. L’idea è buona,
ma prezzi, catalogo e implementazione lasciano molto a desiderare tanto che è preferibile continuare a frequentare l’edicola.
Nel caso dei mensili la scelta
si riduce a una decina di riviste
femminili e per l’abbonamento
top da 14.90 euro c’è qualche
aggiunta ma niente di eclatante:
manca ad esempio tra gli editori
Condé Nast e mancano praticamente tutte le riviste specializzate. Inoltre, non è prevista la
consultazione offline. Secondo
le FAQ sono poi supportati solo
Chrome e Safari, e non si capisce se i numeri vecchi restano
consultabili o no. Separata la
sezione quotidiani: qui non c’è
“all you can read” e ci si può abbonare solo alla singola testata,
ma il costo è simile a quello degli abbonamenti proposti dai vari
editori.
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
FOTOGRAFIA Rinnovato il comparto fotocamere compatte Fujifilm con tre modelli: Fujifilm XQ2, FinePix S9800 e XP80
Sportiva, classica e superzoom: le nuove compatte Fujifilm
C’è la XQ2 con ottime caratteristiche tecniche, la bridge con obiettivo superzoom e la rugged per le vacanze più “pericolose”
di Michele LEPORI
ltre alla mirrorless X-A2, Fujifilm
ha rinnovato anche il proprio
parco di fotocamere compatte con tre nuovi innesti. Per chi fosse alla ricerca di prestazioni di livello
ma ha importanti restrizioni in termini
di peso e dimensioni, la Fujifilm XQ2
può essere la quadratura del cerchio:
sensore X-Trans CMOS II da 2/3” e 12
MP, l’esclusivo filtro colore a matrice di
pixel altamente casuale che permette il
passaggio diretto della luce dall’obiettivo al sensore senza bisogno di un
filtro passa-basso e un obiettivo 25100mm f/1,8-4,9 con stabilizzazione a
3 stop e zoom 4x ottico che diventano
16x digitale.
Caratteristiche davvero interessanti,
specie su un corpo macchina di 100 x
58 x 33 mm, che vanno a sommarsi all’autofocus da soli 0,06 secondi - il più
veloce della categoria - un ampio valore ISO100 - 12800 e le stesse modalità
di scatto e ripresa della sorella maggiore X-A2. Rimaniamo in tema di versatilità d’uso declinato non tanto in termini
di peso e dimensioni quanto proprio
in tema di “una fotocamera adatta a
O
tante situazioni”: per tutti coloro i quali
hanno un brutto rapporto col cambio
dell’obiettivo, la Fujifilm FinePix S9800
potrebbe essere la panacea fotografica
grazie al suo obiettivo 24 - 12.000mm
(non c’è uno 0 di troppo) f/2,9-6,5 con
zoom ottico 50x e sensore BSI CMOS
da 1/2,3” da 16,2 MP. Un “mostro” di
prestazioni che a detta di Fujifilm non
teme concorrenza ed andrà a soddisfare anche chi è alla ricerca di un ottima
fotocamera per scatti macro grazie al
Super Macro da 1 cm di distanza e per
riprendere filmati di qualità grazie al
suo sistema di stabilizzazione a 5 assi
(2 ottici, 3 elettronici).
Chiude il tris la piccola della famiglia
FinePix, XP80, il modello di casa Fuji-
film dedicato a
chi vuole usare
la
fotocamera
ovunque senza
paura di piccoli,
grandi incidenti
e soprattutto per
chi vuole condividere ogni momento sui social
network senza
aver bisogno di
un computer per scaricare le foto. La
sua impermeabilità alla polvere, all’acqua fino a 15m, la resistenza alle cadute da 1,75 m unita alla possibilità di
operare fino a -10° la rende una fotocamera adatta ai safari, alle immersioni,
alle uscite in montagna ed a tutte le situazioni “rischiose” delle vacanze. Tecnicamente parlando, la Fujifilm XP80
monta un obiettivo 28mm con zoom
ottico 5x e digitale 10x su un sensore BSI CMOS da 1/2,3” da 16,4 MP: la
possibilità di connessione alla rete permette alla XP80 di interfacciarsi anche
con smartphone e tablet per essere
controllata da remoto, magari in combinazione con l’obiettivo opzionale fisso
18mm per le riprese Full HD in modalità
FUJIFILM FINEPIX S9800
FUJIFILM XP80
“action camera”. La dotazione di filtri di
elaborazione è la stessa della gamma
Fujifilm, qui arricchita di una modalità
“panorama 360°”
Al momento non si hanno ancora informazioni dettagliate su prezzi e disponibilità, ma vi terremo aggiornati non
appena Fujifilm comunicherà informazioni più precise.
FOTOGRAFIA Apparse online le prime immagini “leaked” della mirrorless Samsung NX500
Samsung NX500, la mirrorless “top” con Tizen
Sensore APS-C da 28 Megapixel e sistema operativo Tizen. Presentazione a brevissimo
di Emanuele VILLA
amsung sembra voler fare sul serio con Tizen: dopo l’ultima generazione di Smartwatch Gear, una
mirrorless e il primo telefono basato
sul “suo” sistema operativo (Z1, dedicato al mercato indiano), il colosso del-

S
torna al sommario
l’elettronica si appresta a presentare
una seconda fotocamera micrrorless
Tizen, ovvero NX500.
È un rumor, ma le immagini “leaked”,
unite alla possibilità di preordine presso alcuni retailer americani, danno alla
notizia un sapore prossimo all’ufficiali-
tà. Quello che non si sa è quando verrà
presentata ufficialmente, mentre sulle
specifiche tecniche si hanno maggiori
dettagli: il sensore sarà un APS-C da
28 MP, capace di una sensibilità ISO
100-25.600, mentre il processore d’immagine sarà il nuovo D5s; previsto un
sistema di AF ibrido da 55ms
e la possibilità di scattare raffiche a 9fps, la velocità massima
dell’otturatore è 1/6000s e sarà
presente un LCD da 3’’ orientabile con tecnologia Amoled.
A livello di connettività sono
previsti Wi-Fi, Bluetooth e NFC.
La disponibilità è prevista in tre
colori: nero, marrone e bianco.
Maggiori dettagli al momento
dell’ufficialità.
MAGAZINE
Estratto dal quotidiano online
www.DDAY.it
Registrazione Tribunale di Milano
n. 416 del 28 settembre 2009
direttore responsabile
Gianfranco Giardina
editing
Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago,
Simona Zucca
Editore
Scripta Manent Servizi Editoriali srl
via Gallarate, 76 - 20151 Milano
P.I. 11967100154
Per informazioni
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Per la pubblicità
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
TEST Netgear può tornare utile in molti casi di utilizzo e comunque ha un prezzo interessante: sul web si trova anche sotto i 30 euro
In prova Netgear Trek, il router multiuso portatile
È un dispositivo multiuso compatto e portatile che funziona da router da viaggio, access point, bridge e range extender
di Paolo CENTOFANTI
iamo abituati a pensare al router o all’access
point Wi-Fi come qualcosa di fisso e da piazzare vicino al modem o nel caso di modem/router
alla presa del telefono. Con Trek invece, Netgear ha
realizzato un piccolo e compatto router o meglio un
dispositivo multiuso che può essere utilizzato anche
come WiFi extender o ancora bridge per collegare
in WiFi alla rete domestiche dispositivi come Smart
TV o lettori Blu-ray privi di connettività wireless. Ma
la portabilità fa di Trek soprattutto un router da viaggio, utile a chi ha bisogno di condividere l’accesso a
un hotspot pubblico (in albergo ad esempio) con più
dispositivi contemporaneamente.
S
video
lab
Un dispositivo, tanti utilizzi
Guardandolo così, Netgear Trek ha l’aria di tutto
fuorché di un router: un piccolo parallelepipedo con
una spina di alimentazione integrata. Quello che
potremmo definire il frontale del dispositivo in realtà ruota per diventare l’antenna per la connettività
WiFi. Su un lato troviamo il selettore di accensione
e modalità d’uso (wired o wireless), su un altro due
porte di rete ethernet e una USB. Infine, vicino alla
spina, c’è un adesivo con le credenziali di accesso di
default e una porta micro USB per l’alimentazione
del dispositivo tramite un PC portatile o un battery pack USB, utile per quando si vuole utilizzare il
router ad esempio in un locale pubblico senza dare
troppo dell’occhio. Le due porte LAN funzionano da
switch, ma una è designata anche come porta
WAN a seconda del modo d’uso configurato
sul Trek. La peculiarità di Trek è proprio la sua
versatilità e ogni destinazione d’uso ha la sua
modalità di collegamento. Collegando la porta
WAN al modem o a una rete fissa già esistente il dispositivo funzionerà da router o hotspot
WiFi. Viceversa se colleghiamo la porta di rete
ad esempio a un TV o a un lettore Blu-ray, potremo utilizzarlo come bridge WiFi per collegare quei dispositivi che sono privi di connettività
senza fili alla nostra rete domestica. Semplicemente inserito nell’alimentazione può fare
da range extender oppure da semplice router
WiFi. L’apposito selettore permette di impostare il tipo di connessione a Internet tra via cavo
La dashboard web da cui si gestiscono tutte le funzioni
e wireless, ma il grosso della configurazione
del Trek.
avviene tramite l’interfaccia web.
Interfaccia ostica, ma la
configurazione è semplice
La configurazione consiste essenzialmente nell’inserire i
dati della rete WiFi a cui ci si vuole collegare.
In generale modem, router e apparati di rete
in generale non hanno la nomea di dispositivi
dalla configurazione intuitiva e anche questo
prodotto Netgear non fa eccezione: senza l’apposita guida immaginiamo che i meno esperti
possano trovarsi in difficoltà e l’interfaccia web
del Trek è essenzialmente quella di un classico
router: poco elegante e non pensata per chi magari di networking non sa assolutamente nulla.
La procedura di installazione non è comunque
eccessivamente complicata e nella maggior
parte degli scenari consiste nel selezionare una
rete wireless esistente e immettere i dati di accesso.
A questo punto è possibile scegliere se utilizzare il
Trek come ripetitore spuntando l’apposita casella
che compare sopra l’elenco delle reti. Altrimenti viene creata una nuova rete e Trek funzionerà come un
normale router. La configurazione verrà salvata in un
profilo, che verrà caricato automaticamente a ogni
accensione del dispositivo in funzione della rete
disponibile dove portiamo di volta in volta il Trek.
Nel caso di utilizzo come ripetitore sta comunque
all’utente nel caso impostare lo stesso nome SSID
per la rete WiFi che si vuole estendere (sempre che
non si vogliano tenere distinti i nomi delle due reti).
Da notare inoltre che quando si utilizza come WAN
una rete wireless, la rete “rigenerata” opera sempre
sui 2,4 GHz (per di più sullo stesso canale), il che
non è esattamente il massimo, ma purtroppo se il
Trek ha un limite è quello di non supportare la banda
dei 5 GHz. Nel caso invece di hotspot pubblici il Trek
può essere utilizzato solo per quei servizi che non
utilizzano una pagina di autenticazione web (molti
aeroporti e alberghi richiedono di compilare un form
online per accedere al servizio) il che ne limita l’utilizzabilità. Per il resto non è che ci siano chissà quali
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segue a pagina 38 
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
PC LG presenta i nuovi Ultrabook, tra cui un modello da 14’’ e 980 grammi e un All in One da 29”
Tra le novità LG, un All-in-one 21:9 curvo
I PC saranno disponibili a breve ma inizialmente solo in Corea e America Latina
di Andrea ZUFFI
G ha annunciato nuovi modelli
di PC, in particolare ultrabook e
all-in-one per la casa. Nella prima
categoria, il modello 14Z950 si distingue per il peso “piuma” di 980 grammi
in uno spessore di 13,4 mm. Il display
è da 14 pollici IPS con risoluzione Full
HD e funzionalità Reader Mode per un
minore affaticamento degli occhi. Il processore in dotazione è un Intel Core di
quinta generazione (Broadwell a 14 nm)
e, per una migliore resa audio, è prevista l’integrazione di un chip Wolfson.
L
Nonostante il peso e le dimensioni, la
durata dichiarata della batteria è di oltre
10 ore. Questo ultrabook appare molto
curato anche nell’estetica grazie alla finitura metallica e alla presenza di alcuni
inserti luminosi su retro del display. LG
prevede inoltre il lancio di una versione
da 13” (13Z950) con le stesse caratteristiche del modello da 14 pollici. Altra
novità per il produttore coreano è il modello All-In-One 29V950, con display
TEST
Netgear Trek, il router multiuso portatile
segue Da pagina 37 
opzioni di configurazione e persino il firewall è molto
semplificato e l’utente può più che altro impostare
manualmente quali servizi eventualmente bloccare.
Fa quello che dice, ma dual band
sarebbe stato meglio

Abbiamo testato il Trek in diverse configurazioni:
come ripetitore in un’abitazione con problemi di copertura wireless, come ripetitore nella nostra reda-
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29” UltraWide con formato 21:9. La particolarità di questo pannello è quella di
esser curvo e di poter essere utilizzato
anche come TV. Lo switch dalla modalità PC a quella TV può essere operata rapidamente senza riavviare della
macchina. Anche qui il processore è
un Intel Core di quinta generazione. La
funzione HomeDrive permette l’accesso a tutti i file contenuti sul PC anche da
smartphone e tablet.
E ora c’è anche
il PC dentro
il mouse
Nella corsa alla miniaturizzazione dei
computer mancava solo il mouse,
ovvero il computer completamente
integrato nel suo strumento di gestione per eccellenza. Ma questo video
colma la “grave” lacuna. Si chiama
Mouse Box ed è un computer fatto
e finito: oltre ad essere un mouse a
tutti gli effetti, con tanto di rotellina di
scroll e due prese USB 3, Mouse Box
incorpora un processore ARM quad
core da 1.4 GHz e 128 GB di memoria
di storage. Sono presenti un accelerometro, un giroscopio, Wi-Fi b/g/n e
anche un connettore micro HDMI per
il collegamento diretto a un monitor
o proiettore esterno. È anche prevista
la possibilità di collegare il dispositivo
a un ricevitore HDMI wireless e lo
stesso vale per la ricarica dell’apparecchio: i realizzatori hanno studiato
un mousepad che funge anche da caricabatteria a induzione. Mouse Box è
in fase di prototipo e lo studio polacco
che l’ha realizzato cerca finanziatori
che credano nel progetto.
zione giusto per testare la velocità
massima e come semplice hotspot
wireless. In situazioni di scarsa copertura il dispositivo si è comportato piuttosto bene. Basta installarlo
in una zona dove il segnale della
rete da estendere sia sufficientemente robusto per avere una buona
copertura supplementare e con un
collegamento stabile con i propri
dispositivi. Ovviamente in questo
Anche la gestione di un disco esterno collegato via USB è abbacaso le prestazioni dipendono forstanza spartana.
temente dalla qualità del segnale
nella zona dove abbiamo installato
il Trek. Per questo motivo, per avere
un’idea delle prestazioni massime, abbiamo effetla velocità di trasferimento file collegando un hard
tuato un test nella nostra redazione dove possiamo
disk esterno alla porta USB. Il Netgear Trek offre
contare su una connessione a banda ultra larga. Abesclusivamente la funzionalità di condivisione Winbiamo impostato il Trek per ripetere il segnale del
dows delle cartelle (tra l’altro con ben poche possinostro router WiFi dal quale usualmente otteniamo
bilità di configurazione), ma la velocità di scrittura e
lettura si aggira intorno ai 3 MB/s per cui va giusto
una velocità di download da Internet tra i 50 e i 60
Mbit/s. Collegandoci tramite il Netgear come nodo
bene per condividere al volo qualche documento
intermedio, la velocità scende circa della metà, in
da chiavette o dischi portatili, ma gestire file multimedia 24 Mbit/s collegandoci in 802.11n. Del resto
mediali di grosse dimensioni diventa poco pratico.
come abbiamo visto è un dispositivo single band.
Inoltre Trek non integra comunque la funzione di
Questo è quindi più o meno il massimo che si può
server DLNA. Pur con i limiti che abbiamo visto, il ditirare fuori dal Trek come ripetitore. In generale
spositivo Netgear può dunque tornare utile in molti
come access point ci è parso piuttosto stabile, non
casi di utilizzo e comunque ha un prezzo piuttosto
abbiamo riscontrato cadute di connessione o ralleninteressante, visto che sul web si trova ormai anche
sotto i 30 euro.
tamenti improvvisi. Quello che ci ha un po’ deluso è
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26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
TEST NVIDIA Tablet Shield è uno dei pochi tablet che ha già ricevuto l’aggiornamento a Android Lollipop. Lo abbiamo provato
INVIDIA Shield Tablet con Android 5.0 in prova
Tanti assi nella manica e un prezzo contenuto
Processore potente, schermo Full HD e modem LTE integrato: Tablet Shield è un ottimo tablet da gioco, adatto a tutti
N
di Roberto PEZZALI
asce per giocare, ma Tablet Shield è molto di più:
è uno dei pochi tablet capaci di offrire un’esperienza Android “stock” con un processore potente e un prezzo contenuto. Abbiamo deciso di provarlo
a mesi dal suo lancio per un semplice motivo: Tablet
Shield è uno dei pochi che ha già ricevuto l’aggiornamento a Android Lollipop e continua a ricevere gli
update OTA per ogni nuova versione del sistema operativo di Google.
Tutto questo a un prezzo decisamente competitivo se
si calcola che Shield costa 299 euro in versione Wi-Fi
e 379 euro in versione LTE con 32 GB di memoria. In
pratica, Shield è una versione ridotta del Nexus 9 di
Google e destinata ad un pubblico un po’ più evoluto:
ha uno schermo da 8”, dimensioni ritenuta perfetta per
bilanciare fruibilità e ingombro, ha un potente processore Tegra K1 e soprattutto ha una serie di funzionalità
improntate al gaming che non hanno pari sul mercato.
Rispetto a Google si rinuncia qualcosa soprattutto dal
punto di vista estetico e visivo (lo schermo usato da
Google è migliore), ma Tablet Shield costa meno e ha
altri assi nella manica.
video
lab
Nvidia SHIELD
Tablet Shield nasce per soddisfare le esigenze dei giocatori che con GRID possono spostare in ambito “mobile” giochi nati per sistemi desktop.
Tuttavia la parte “gioco” è solo un aspetto del tablet: con LTE integrato, penna per appunti e Lollipop Shield è un vero tuttofare che può
davvero accontentare tutti. Il piatto che NVIDIA ha preparato è davvero ricco: buona costruzione, tante funzionalità, potenza impressionante,
Lollipop a bordo e prezzo ok, con un solo segno meno alla durata della batteria in modalità gaming.
Non è bellissimo, ma la sostanza c’è
NVIDIA non ha badato troppo a design e orpelli: il target sono i gamer e questi preferiscono la sostanza.
Difficile dire che Shield sia bello: è un normale tablet
costruito in modo massiccio con un rivestimento posteriore soft che assicura un buon grip. Una cosa va detta:
massiccio non vuol dire cheap, anzi. Tablet Shield è
costruito bene e con finiture curate, e la sensazione
è comunque quella di avere tra le mani un prodotto
Premium che vale ciò che si è pagato.
La parte frontale è occupata dallo schermo da 8”
in formato 16:10: difficile dire se sia il formato adatto
per un tablet, ma sicuramente è quello più adeguato
alla fruizione di contenuti senza sacrificare troppo la
navigazione web. Una scelta ragionata, anche se per
299,00 €
NON SOLO PER GIOCARE: È UN TABLET PER TUTTI
8.2
Qualità
9
Longevità
8
Design
7
Aggiornamento a Lollipop
COSA CI PIACE Potenza grafica incredibile
Funzionalità di gaming avanzate
l’entertainment sarebbe stato meglio un 16:9. NVIDIA
ha dotato Shield Tablet anche di un sistema audio di
discreta qualità: i due micro speaker sono posizionati ai lati dello schermo e offrono buona resa anche a
una pressione sonora moderata. Sia chiaro: un paio di
cuffie o un diffusore esterno sono di gran lunga superiori, ma questo tablet suona meglio di molti altri sul
mercato.
Lungo il profilo quadrato NVIDIA ha inserito
USB, HDMI mini per il collegamento ad un
TV, slot per SIM nel caso di versione LTE e
microSD per espandere la memoria interna,
oltre al piccolo slot che nasconde la penna.
Questa è un po’ una sorpresa per un gaming
tablet, ma NVIDIA ha colto la palla al balzo
per integrare in Shield le tecnologie già
sperimentate con Tegra Note. L’utilizzo del
processore K1 e il campionamento in tempo
reale effettuato con i core Cuda permette di
simulare una scrittura a pressione variabile
con un normale pennino capacitivo.
Semplicità
7
D-Factor
8
Prezzo
8
Assenza di Wi-Fi 810.11 ac
COSA
Autonomia ridotta in ambito gaming
NON CI PIACE Schermo cromaticamente non impeccabile
La potenza grafica è spaventosa,
ma la batteria ne risente
Il cuore di Tablet Shield è il processore realizzato in
casa, Tegra K1. Con il mercato dominato da Qualcomm
e Mediatek, i processori NVIDIA non hanno riscosso
probabilmente il successo che meritavano. Tegra K1 è
davvero potente, e le remore legate al rapporto con
Android e con i suoi aggiornamenti non hanno più ragione di esistere da quando Google ha scelto Tegra K1
per il suo Nexus 9. Ci troviamo di fronte ad uno dei SoC
mobile più potenti sul mercato, realizzato con quattro
CPU Cortex A15 e una GPU con architettura derivata
direttamente da Kepler, una versione ridotta delle note
GPU desktop.
Senza scendere troppo nei dettagli basti sapere che
sotto il profilo grafico 3D Tablet Shield è probabilmente
uno dei tablet più prestanti sul mercato, e come pura
potenza di calcolo si posiziona tra i primi 10. Il prezzo da
pagare per ottenere così tanta potenza è l’autonomia:
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segue a pagina 40 
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26 GENNAIO 2015
TEST
INVIDIA Shield Tablet in prova
segue Da pagina 39 
NVIDIA ha scelto una batteria da 5000 mAh e questo
significa 3 ore di autonomia con molti giochi. Non molto, ma l’idea di base è la connessione alla rete elettrica
quando il tablet viene usato come periferica da gioco,
con controller esterno e cavo HDMI per gestire la TV.
NVIDIA Tablet Shield è in assoluto
uno dei tablet più veloci mai provati
Come sempre, per l’autonomia valgono infinite considerazioni: se si usa il monitor esterno al posto dello
schermo da 8” LCD si guadagna almeno un’ora e, allo
stesso modo, se non si gioca si raggiungono le 7 / 8
ore senza problemi.
NVIDIA ha comunque messo a punto uno strumento
che permette di regolare in modo fine i consumi della
batteria, anche se ovviamente non è per tutti. Il target
a cui si rivolge Tablet Shield, abituato a smanettare
con driver e overclock, sarà sicuramente in grado di
spremere Shield nel migliore dei modi raggiungendo il
miglior compromesso tra prestazioni e autonomia.
Per quanto riguarda la connettività, il tablet a ha bordo
Bluetooth 4.0 e Wi-fi 802.11 b/g/n 2x2 MIMO, mentre
nella sua versione LTE si appoggia al modem Icera
i500 programmabile tramite software. I modem NVIDIA
non sono molto diffusi ma sono molto particolari: l’Icera
i500, ad esempio, è un modem a 8 core da 1.3 GHz che
MAGAZINE
può essere aggiornato per supportare anche standard
futuri. Al momento lavora in LTE Cat 3 a 100 Mb/s, ma
potrebbe essere aggiornato per supportare CAT 4 fino
a 150 Mb/s con Carrier Aggregation.
Schermo solo Full HD, ma è una scelta
Quando si costruisce un prodotto si devono fare delle
scelte, e in questo caso quella più discutibile è l’adozione di uno schermo da 1920 x 1200, “solo” 283 ppi.
In realtà non sono assolutamente pochi, e la scelta di
NVIDIA è perfettamente ponderata sia per quanto riguarda l’aspect ratio sia per bilanciare performance e
consumi. NVIDIA è consapevole che l’aumento della
risoluzione avrebbe ridotto le prestazioni grafiche del
suo processore e aumentato ulteriormente i consumi,
quindi la scelta è stata quasi obbligata. Lo schermo è
di buona qualità: chi gioca è abituato a schermi TN per
il loro tempo di risposta e in questo caso, anche se lo
schermo è IPS, la resa a schermo è discreta se guardiamo contrasto e colori. Il display del piccolo Shield
ha un discreto contrasto e una resa cromatica più che
sufficiente. Per i giochi nessun problema, ma schermi
come quello dell’iPad o del Galaxy Tab S sono assolutamente superiori.
Lollipop è elegante e veloce
sono tutti elaborati in real time dal processore NVIDIA.
La resa fotografica della fotocamera da 5 megapixel è
buona, sempre in considerazione del fatto che un tablet non è una fotocamera. Uno smartphone moderno,
comunque, fa foto migliori.
Il gaming è il vero punto di forza
Tablet Shield è fatto per giocare, e non è un caso che
tra gli accessori disponibili sia presente un controller
bluetooth realizzato a immagine e somiglianza della
prima console portatile Shield. La fattura del controller
è buona così come l’ergonomia, soprattutto per chi è
abituato al pad di Xbox al quale NVIDIA si è evidentemente ispirata.
L’obiettivo è usare il tablet come console, collegato a
un TV e usato con il controller. La configurazione tipo
pensata da NVIDIA si semplifica però senza TV: controller e tablet con custodia permettono di creare un
piccolo ambiente gaming.
La potenza grafica di Tegra K1 viene sfruttata al massimo solo dai giochi Android e tramite l’app NVIDIA
vengono filtrati dallo store di Google i giochi che meritano di essere scaricati o acquistati per fruire sia della
potenza del processore sia per usare il controller.
I giochi per Android purtroppo non sono eccezionali e
Tablet Shield è il primo tablet non Nexus ad aver
ricevuto l’aggiornamento a Android 5.0 Lollipop.
L’utilizzo dello stesso processore del Nexus 9 ha
permesso a NVIDIA di restare al passo con gli aggiornamenti, ed effettivamente dopo la prima release è arrivato anche l’update a Lollipop 5.0.1. Il
passaggio alla nuova versione di Android non ha
stravolto l’esperienza utente ma ha sicuramente
migliorato il tablet rendendolo non solo più veloce in alcuni aspetti ma anche più consistente tra
le varie app
L’utilizzo del nuovo Android Runtime (ART) ha
reso più rapide molte applicazioni native, e per
quanto riguarda l’uso di Shield ci sono state anche piccole novità come la gestione del controller
direttamente dal Quick Menu e l’introduzione delle
Android Extension Pack (AEP) insieme a Open GL
ES 3.1, librerie che permettono agli sviluppatori di
realizzare giochi Android con un dettaglio grafico
Il display del piccolo Shield ha un discreto contrasto
che si avvicina sempre di più a quello dei giochi
e una resa cromatica più che sufficiente. Per i giochi
desktop.
nessun problema, ma schermi come quello dell’iPad o Altra novità introdotta con l’arrivo di Lollipop è il
del Galaxy Tab S sono assolutamente superiori.
supporto al 4K nel Console Mode, ovvero la modalità che si può attivare quando si gioca su un TV
esterno. Se si collega Shield ad un TV 4K tramite
cavo HDMI sarà la console a fare l’upscaling dei
giochi e a visualizzare i giochi Android in 4K se
questi supportano la risoluzione più elevata.
Rispetto ad Android Lollipop, NVIDIA ha introdotto
una serie di applicazioni: c’è Dabbler per disegnare, Write per scrivere con la penna e un’evoluta app
per la fotocamera oltre ai vari menu per la gestione
delle impostazioni di ottimizzazione energia, controller e stilo. Camera Awesome di SmugMug, l’app
scelta per la fotocamera, integra alcune migliorie
che si integrano con il processore computazionaNVIDIA Tablet Shield è in assoluto uno dei tablet più
le Chimera di Tegra K1: effetti Live in tempo reale,
veloci mai provati.
elaborazione HDR e gestione della messa a fuoco
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segue a pagina 41 
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n.104 / 15
26 GENNAIO 2015
MAGAZINE
MERCATO Maxi operazione messa in atto dalla Guardia di Finanza che ha portato alla chiusura e al blocco di 124 siti Internet
Sky
Italia
chiama,
la
GdF
risponde:
oscurati
124
siti
pirata
L’indagine è scaturita da una denuncia di Sky Italia. I siti offrivano illegalmente film, serie TV ed eventi sportivi live in streaming
di Paolo CENTOFANTI
24 siti sono stati oscurati dall’Internet italiano tramite blocco sui
DNS in seguito a una maxi operazione messa in atto dalla Guardia di
Finanza. Ne ha dato notizia l’arma stessa con un comunicato stampa rilasciato
domenica 25 gennaio. L’indagine, a cui
è seguita l’operazione di oscuramento
battezzata “Match Off”, è scaturita sulla
base di una denuncia di Sky Italia, che
ha portato all’identificazione degli oltre
100 siti web che offrivano illegalmente
lo streaming di contenuti protetti da diritto d’autore: non solo film e serie TV,
ma anche eventi sportivi dal vivo:
“In particolare, è stato accertato che
venivano offerti contenuti pirata sia in
modalità “streaming live” cioè in diretta, che in modalità “streaming on demand”, fruibili, quindi, a richiesta degli
interessati.Tutti i siti, posizionati su server all’estero, riportavano veri e propri
palinsesti organizzati per facilitare la
1
scelta del programma preferito.” La
Guardia di Finanza sottolinea come,
oltre al danno nei confronti dei legittimi detentori dei diritti di sfruttamento
delle opere ed eventi ospitati illegalmente, alcuni dei siti oscurati avessero messo in pratica un sistema per
frodare anche le agenzie pubblicitarie
i cui banner erano ospitati sulle pagine
TEST
INVIDIA Shield Tablet in prova
segue Da pagina 40 

lo sappiamo: ci sarà un motivo se i giochi per console
costano svariate decine di euro mentre con pochi euro
se ne scarica uno per tablet o smartphone; effettivamente anche quelli più costosi non sono niente di speciale. Fortunatamente Tablet Shield offre tre possibilità
ai gamer e chi non è soddisfatto dei giochi di Android
può ripiegare su due modalità di game streaming. La
prima è GameStream: il PC desktop fa da server e invia
i giochi in rete alla console, un piccolo cloud in casa
che per funzionare necessita di un computer con una
scheda video NVIDIA GTX650 o superiori, un router
dual band e tastiera / mouse Bluetooth per i giochi che
lo richiedono. GameStream funziona bene, supporta
fino a 1080p a 60 Hz e ha una latenza davvero minima
se la rete locale è sgombra e il segnale è buono. Non
è ovviamente una cosa per tutti, visti anche i requisiti hardware, ma coloro che già possiedono un PC da
gioco basato su piattaforma NVIDIA e hanno una collezione di giochi possono inviarli tramite wi-fi al tablet.
Chi ha una connessione veloce in upload può anche
tentare di giocare fuori dalle mura di casa, sfruttando la
connessione LTE: una funzione beta che però sconsigliamo per l’elevata latenza e l’utilizzo di dati LTE (che
costano ancora cari).
L’altra modalità, di cui abbiamo parlato anche qui, è
torna al sommario
contestate, attraverso dei bot che generavano click fittizi per massimizzare
i profitti. Nell’occhio della Guardia di
Finanza ci sono ora proprio anche le
concessionarie pubblicitarie che hanno fatto affari con i siti pirata:
“Sono in corso, pertanto, attività di
analisi informatica per rilevare le concessionarie di pubblicità che hanno
Grid, il cloud gaming di NVIDIA. Il sistema è in beta e
viene arricchito settimanalmente con nuovi giochi, ma
resta comunque una dimostrazione di quello che succederà in futuro ed è ancora molto limitato. Ad oggi
l’unica feature seria di gioco di Shield è GameStream,
GRID è il futuro (ma vale tutto quello scritto nell’articolo
dedicato) e Android non è fatto per giocare se non ai
casual game. Dal punto di vista grafico i giochi sono
impeccabili, ma alla lunga si dimostrano noiosi e poco
avvincenti.
Quasi un Note con un semplice pennino
Oltre all’aspetto ludico, tra le funzionalità di Tablet
Shield troviamo anche un piccolo pennino. NVIDIA non
si è permessa il lusso di aggiungere un digitalizzatore al tablet e neppure un pennino attivo, soluzioni che
avrebbero inevitabilmente alzato il costo del prodotto,
tuttavia è riuscita a trovare una soluzione brillante utilizzando la tecnologia DirectStylus 2, evoluzione della
stessa che aveva debuttato su Tegra Note.
NVIDIA sfrutta la capacità di elaborazione in tempo
reale del processore Tegra K1 per campionare la pressione 300 volte al secondo calcolando traiettoria del
tocco ed eventuali tocchi accessori come quello del
palmo sui bordi. Il pennino è decisamente pratico, soprattutto per la forma della punta: si vede bene quello
che si scrive e si riesce a seguire la punta con precisione, non come nel caso di altre penne capacitive dove il
punto di contatto è una sfera di gomma.
Tra le applicazioni compatibili con DirectStylus, NVIDIA
ha inserito Dabbler 2, un’app di disegno che funziona
bene ma con un’interfaccia a nostro avviso un po’ trop-
consentito a noti brand, attivi nel
settore finanziario, immobiliare, del
betting online, della distribuzione al
dettaglio e delle telecomunicazioni,
di trasmettere messaggi pubblicitari
sui siti oggi in sequestro.”
Intanto torna alla ribalta anche la
polemica sul ruolo dell’AGCOM. Visto che la Guardia di Finanza è ben
capace di allestire un’operazione da
record come questa (mai prima d’ora
sono stati bloccati tanti siti web tutti
insieme) con gli strumenti legislativi
ordinari, chiede l’avvocato e blogger esperto di diritto d’autore Fulvio Sarzana, a cosa serve il nuovo
regolamento dell’AGCOM? Da una
parte i siti incriminati erano tranquillamente online nonostante i nuovi
poteri dell’autorità, dall’altra, fino ad
oggi, il nuovo regolamento è stato
utilizzato più che altro per “togliere
di mezzo” dalla rete qualche articolo
scomodo.
po macchinosa. Meglio invece il riconoscimento della
calligrafia: da segnalare che NVIDIA utilizza esclusivamente il processore Tegra K1 e non invia i dati al cloud
come altri sistemi simili. I vantaggi sono la possibilità
di utilizzo offline, la privacy e una precisione davvero
buona anche con l’italiano.
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