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N. 7 - Luglio 2015
il GIORNALE dell’INGEGNERE
Expo 2015
1563
Dal 1952 periodico di informazione per ingegneri e architetti
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A colloquio con il responsabile del cantiere dell’Esposizione Universale
I ‘segreti’ di Romano Bignozzi: “Tra pioggia
e fango ha prevalso l’ingegno italiano”
Roberto Di Sanzo
“A
i giovani dico di riscoprire il valore
della cultura del lavoro. Devono avere la passione per quello che fanno,
costruire è una scoperta quotidiana che va coltivata con
amore, dedizione, studio e
impegno. Non basta fare il
compitino, è necessario tornare a dimostrare che l’ingegnere italiano ha le conoscenze e le competenze per essere
il migliore al mondo”. E’ questo il messaggio che lancia
Romano Bignozzi, 78 anni,
“anima” di Expo Milano
2015. Definirlo capo cantiere
è riduttivo: eppure lavora per
l’Esposizione Universale dal
12 settembre 2009, quando
sull’area di oltre un milione e
centomila metri quadrati di
Rho “c’erano solo prati e rovine”. Il geometra e perito
meccanico Bignozzi inizia la
valutazione economica e lo
studio di fattibilità delle opere
da realizzare. Un lavoro enorme ma davvero stimolante
per un “tecnico” che ha iniziato a lavorare nel ‘58, quando viene assunto dalla ditta
milanese “Torno”, e per vent’anni (“grazie alla guida del
mio maestro, l’ingegner Carlo
Bongianno”) gira l’Italia per
progettare e realizzare impianti di cantieri: tra questi,
la linea 2 della metropolitana
milanese nel tratto che da
piazzale Loreto arriva in stazione Centrale. La sua è una
vita avventurosa, trascorsa tra
la Turchia, dove ha costruito
dighe, sette anni in Sud America (ancora dighe, strade e la
metropolitana di Caracas), il
Sud Africa, gli Stati Uniti e –
naturalmente – l’Italia, dove
ha contribuito alla realizzazione, ad esempio, del tratto
ferroviario Alta Velocità Milano-Bologna, dell’autostrada
Serenissima Brescia-Padova
e della diga del Vajont.
Poi, ecco la chiamata a Expo
Milano 2015. “Mi mettono a
capo di un team composto
da 11 ingegneri – racconta
Bignozzi – il mio compito è
comprendere come realizzare
il sito espositivo, valutarne
l’impatto e la fattibilità economica.
Abbozzo subito una planimetria dell’area, l’opera è davvero
immensa: allora mi viene
l’idea di dividere il sito in nove cantieri, come avevo già
fatto quanto ho realizzato il
progetto per la diga di Karakaja, in Turchia”. I primi problemi da affrontare creano
notevoli grattacapi: ci sono
ben tre torrenti da deviare,
vanno spostati tutti i sottoservizi esistenti. In più vanno
bonificate le aree, là dove prima c’erano un paio di raffinerie e dei parcheggi. Senza
dimenticare che va fatta attenzione dove si scava, vista
la presenza di un’immensa fognatura con un diametro di
sei metri. “Per mettere a posto
tutto – aggiunge Bignozzi –
ci sono voluti ben tre anni di
lavoro, con tanti intoppi e migliaia di operai in azione”. Il
secondo step riguarda la viabilità interna al sito: “Abbiamo
costruito strade per 13 chilometri.
Allo stesso tempo, ecco la
realizzazione degli impianti,
dalle fognature all’installazione di oltre 1.500 km di tubi.
Le strade sono state realizzate
in diversi momenti. Non è
stato facile, basti pensare che
abbiamo dovuto prevedere
oltre 8.000 tombini, molti dei
quali lungo il Decumano, che
misura ben 1.600 metri per
una larghezza di 36 metri e
dove si affacciano tutti i Paesi
Self Built”.
Nel mese di marzo del 2014
iniziano i lavori per la costruzione dei padiglioni. “Nel giro
di pochi giorni oltre 1.500 lavoratori hanno iniziato la loro
attività sul sito espositivo. Se
li aggiungiamo ai nostri presenti abitualmente, abbiamo
toccato improvvisamente
punte di 3.000 operai sull’area:
praticamente una cittadella,
con mezzi, autoveicoli e autogru che circolavano ad ogni
ora del giorno e della notte”.
Numerosi i padiglioni che
hanno richiesto lavorazioni
particolari e complesse per la
loro realizzazione, a cominciare da quello degli Emirati
Arabi, imponente e ricco di
strutture pesanti. “Anche il padiglione francese ha richiesto
un particolare impegno – aggiunge Bignozzi -, visto che
è stato necessario montare oltre 1.000 metri cubi di legname proveniente direttamente
dal Paese transalpino. O la
Corea del Sud, il cui padiglione è ricoperto da ben 1.700
tonnellate di ferro”. La complessità delle opere è confermata da alcuni numeri inconfutabili: “A Expo Milano 2015
abbiamo più di 26 milioni di
kg di coperture metalliche,
senza dimenticare gli 80 mila
metri quadrati di tende che
ricoprono il Decumano,
montate in 34 settimane”. Lavori ininterrotti, con turni che
negli ultimi mesi sono stati
senza sosta per terminare gli
interventi entro il 1 maggio.
Eppure c’è stato un momento
in cui Bignozzi ha pensato di
non farcela: “L’anno scorso,
un inverno piovoso e freddo
che ci ha notevolmente rallentato. Come abbiamo reagito? Serrando i ranghi e dimostrando al mondo che l’ingegno italiano può essere ancora al top a livello internazionale”. Ora Romano Bignozzi continua a lavorare
dieci ore al giorno all’interno
del sito espositivo: c’è sempre
qualcosa da fare, da aggiustare, da assemblare. E il futuro?
“Voglio finire in bellezza
l’Esposizione Universale, poi
mi dedicherò alla famiglia, ai
miei nipoti. E rileggerò tutti
gli appunti che in quasi sessant’anni di carriera ho raccolto in giro per il mondo.
Dighe, scavi, gallerie, impianti
idroelettrici, autostrade: spero
che a qualcuno possano interessare”.
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Ingegno Italiano Su questo tema, un`intervista sull`Expo 2015 di