LE DINAMICHE DEL POPOLAMENTO RURALE DI ETÀ TARDOANTICA E MEDIEVALE NELLA SICILIA CENTROMERIDIONALE di MARIA SERENA RIZZO Da diversi anni ormai conduco nel bacino del basso e medio Platani, in provincia di Agrigento, una prospezione archeologica finalizzata allo studio dell’insediamento medievale (RIZZO 1992). Proprio perché esplicitamente indirizzata all’indagine di un ambito cronologicamente definito, la ricerca ha programmaticamente escluso, in una prima fase, la prospezione intensiva, anche allo scopo di poter prendere in esame un territorio sufficientemente ampio. Si è scelto perciò di utilizzare congiuntamente documenti storici ed indagine sul terreno per delineare una prima rete di insediamenti, definirne tipologia e cronologia, seguire, almeno nelle grandi linee, lo sviluppo diacronico del quadro generale del popolamento. Una lista di toponimi ricavata dallo spoglio dei documenti disponibili, dall’età normanna al quattrocento, ha dunque guidato la ricerca sul terreno, volta essenzialmente ad individuare gli insediamenti menzionati dalle fonti. Questa indagine, che si è valsa anche dello studio della toponomastica storica ed attuale, di un esame di quanto già pubblicato soprattutto da studiosi locali e di varie informazioni ricavate sul luogo, ha ottenuto risultati di un certo interesse. In un ambito territoriale ampio circa 300 kmq sono stati individuati 21 insediamenti, quattro dei quali hanno le caratteristiche di centri fortificati e sono quasi tutti identificabili con castra noti dalle fonti; gli altri sono invece abitati aperti, in gran parte identificabili con casali menzionati nei documenti. Nonostante alcune differenze tra i diversi siti per quanto riguarda la cronologia, si è osservato che anche nel nostro territorio, come già intuito da Bresc negli anni ’70 (AYMARD-BRESC 1973, pp. 959-960) e ribadito da quanti in seguito si sono occupati del problema, la crisi dell’insediamento per casali si ha entro i primi decenni del XIII secolo: scompaiono allora tutti i nostri insediamenti aperti, mentre sopravvive certamente un solo abitato fortificato, quello del Mussaro; Guastanella, invece, potrebbe essere stato abbandonato, per essere nuovamente rioccupato nel trecento. È inoltre emerso in modo chiaro un altro dato, che riguarda l’origine dell’insediamento per casali: la parte di gran lunga maggiore degli insediamenti aperti di età arabo-normanna sorge su siti già abitati in età romana e tardo-romana, almeno fino al V-VI secolo, fatto questo che fa ragionevolmente supporre che questi siti siano stati popolati senza interruzioni anche nel corso di quei secoli VII-X che non possono essere documentati archeologicamente per la carente conoscenza delle ceramiche altomedievali siciliane. Simili risultati, pur con sfumature diverse, hanno dato anche altre prospezioni condotte negli ultimi decenni nella Sicilia occidentale (FENTRESS et al. 1986; JOHNS 1992; Himera III; APROSIO et al. 1997) e questo complesso di dati ha dato vita ad un dibattito sul tema della continuità delle strutture del popolamento rurale tra tardo-antico e medioevo, che vede confrontarsi le posizioni di chi ritiene si possa parlare di una sostanziale continuità delle strutture del popolamento fin al XII-XIII secolo (si veda in particolare MOLINARI 1994; EAD. 1995) con quelle di chi ritiene invece che tale continuità sia interrotta da alcune iniziative di incastellamento intraprese dalle autorità centrali dapprima in età bizantina e successivamente nel X secolo (MAURICI 1992, pp. 13-47 e pp. 62-84; ID. 1995, pp. 490-496). Quest’ultima fase di occupazione delle alture sembra peraltro percepibile anche archeologicamente, almeno nel territorio di Segesta, dove, nella seconda metà del X secolo sembrano occupate le alture di Calathamet e Calatafimi, mentre viene progressivamente abbandonato l’insediamento aperto delle Acquae Segestanae. L’occupazione delle alture, tuttavia, non comporta la scomparsa degli insediamenti di pendio, poiché proprio nel X-XI secolo sembra nascere il casale di contrada Arcauso, abbandonato verso la fine dell’XI secolo (APROSIO et al. 1997, pp. 189-192). Nonostante, dunque, il grande insediamento delle Acquae Segestanae abbia continuato probabilmente a sopravvivere durante il periodo bizantino ed arabo, il complesso del popolamento nel territorio preso in esame appare, nel X-XI secolo, diverso rispetto all’età tardoantica. Proprio il caso del territorio di Segesta, dunque, invita a considerare il passaggio tra tardo-antico e medioevo come un problema probabilmente un po’ più complesso di quanto sia apparso finora. Per quanto riguarda il territorio da noi esaminato, ci siamo da tempo resi conto del fatto che la stessa metodologia utilizzata comportava il rischio di indurci ad adottare un’ottica fuorviante. Essendo partiti esplicitamente da una ricerca degli insediamenti medievali, infatti, nel momento in cui abbiamo constatato che la maggior parte di essi insistevano su siti già abitati in età tardo-antica, ne abbiamo ricavato l’impressione di una complessiva stabilità delle strutture del popolamento. Tuttavia, è evidente che in questo modo noi abbiamo puntato la nostra attenzione essenzialmente su quelli che in età arabo-normanna saranno i capisaldi dell’organizzazione territoriale, isolandoli però dal contesto di un territorio al quale invece essi erano intimamente legati. Ci sfugge così quale sia il processo che porta alla formazione del casale arabo-normanno, e inoltre, per la stessa età arabo-normanna, rimane da chiarire se il casale fosse effettivamente l’unità minima di popolamento o se, all’interno del suo stesso territorio, esistessero più piccoli agglomerati: quest’ultima possibilità sembra da prendere in esame, ad esempio, per il territorio di Himera, dove, oltre ai due casali, noti dalle fonti, di Burgitabis e Odesver, si ritrova un altro piccolo insediamento, in posizione forte, a Rocca del Drago (Himera III, p. 103). A partire da queste problematiche, abbiamo iniziato una prospezione intensiva nel territorio di uno dei nostri casali, quello di Butermini, nel comune di Raffadali. Tenendo conto, infatti, delle forze esigue e del poco tempo a nostra disposizione, che non ci consentono di impostare prospezioni intensive su ampia scala, ci è sembrato che l’indagine sistematica del territorio che possiamo presumere costituisse le dipendenze di questo casale potesse fornirci qualche dato almeno preliminare. L’esistenza del casale Butermini è nota da fonti piuttosto tarde: la prima menzione risale al 1271, quando, insieme a Boalgini e Rahalfadala viene concesso a Bartolomeo Nigrello (FILANGERI 1957, doc.259). Non abbiamo, nei documenti, una descrizione dei confini del casale; tuttavia, sui lati N,S ed O l’attuale contrada Butermini è delimitata da profondi valloni, che segnano anche il confine del territorio comunale, il che ci fa pensare che si tratti di limiti piuttosto antichi; non del tutto chiari sono invece i confini sul lato orientale, dove le pertinenze di Butermini dovevano confinare con il casale Rahalfadala; un’idea dei limiti su questo lato, tuttavia, si può avere grazie ad una descrizione, risalente alla fine del ’200, dei confini di quest’ultimo (ASP Montaperto, vol. 66, c.3). Questa descrizione, in effetti, utilizza prevalentemente elementi precari del paesaggio, difficilmente rintracciabili nella topografia attuale; un punto fermo, comunque, è costituito dall’altura di Manaresi (marnisij nel documento). In ogni caso, l’estrema vicinanza con il sito del casale medievale di Rahalfadala ci induce a porre subito ad ovest dell’attuale centro abitato di Raffadali il confine tra i due casali. Della contrada abbiamo indagato finora circa 1 kmq, equivalente a poco più di un quarto dell’intera estensione; poiché tuttavia una parte consistente della contrada è costituita da ripidi pendii che digradano verso i profondi valloni ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 1 che la delimitano, l’area indagata corrisponde effettivamente a poco meno della metà di quella potenzialmente abitabile. Cinque sono stati i siti rinvenuti fino ad ora. Il casale di età arabo-normanna va certamente riconosciuto nel sito n.1, che si sviluppa intorno alla moderna Masseria Genuardi, estendendosi sull’ampia sommità pianeggiante e sulle pendici meridionali di un’altura culminante a q.341. Ampio circa 5 ettari, il sito fu abitato fin dalla tarda età repubblicana, come dimostrano alcuni frammenti di ceramica campana a v.n. Gli abbondanti frammenti di sigillata africana e di anfore da trasporto testimoniano una intensa occupazione della collina in età romana imperiale, tardoromana e protobizantina, protrattasi almeno fino al VI-VII secolo; la ceramica medievale è costituita da frammenti di anfore con superficie à cannelures, alcuni dei quali con decorazione dipinta, di olle con orlo estroflesso, di catini invetriati. Tra questi ultimi prevale nettamente la forma del catino carenato, in un caso con orlo ispessito e con decorazione policroma; pochi i frr. di invetriata verde, uno dei quali relativo ad una ciotola emisferica con orlo indistinto. Un altro sito piuttosto esteso è stato rinvenuto circa 1,5 km più a nord, presso l’abbeveratoio Canalicchio: esso occupa le pendici meridionali, dolcemente digradanti, di un’altura culminante a q.461; vi si rinvengono abbondantissimi frammenti di tegole di tipo bizantino e di tipo medievale, e vari frammenti di tegole con l’impasto tipico delle tegole medievali, ma con la superficie decorata a striature, diversi frammenti di sigillata africana, databili dal V fino al VII secolo, vari frammenti di ceramica acroma, tra cui diversi relativi a piccoli contenitori chiusi con superficie à cannelures, ma soltanto uno o due frammenti di ceramica invetriata verde, non classificabili. Nei pressi del sito n. 1 sono stati rilevati poi altri due siti (nn. 4 e 7), con caratteristiche simili: essi si estendono sulle pendici di basse colline, sulle cui sommità non si sono osservate tracce di occupazione; entrambi sono caratterizzati dalla estensione piuttosto limitata e dalla presenza di grossi cumuli di pietrame e di evidenti resti di strutture murarie; dalla presenza abbondante di tegole, sia del tipo decorato a striature, detto “bizantino”, sia del tipo con tracce di pagliuzze combuste nell’impasto e sulla superficie, che caratterizza in Sicilia i siti medievali. In entrambi i siti è stata rinvenuta ceramica priva di rivestimento, con la netta prevalenza di frammenti di brocche ed anfore con superficie à cannelures e, nel sito n. 4, un frammento di un’anfora con banda verticale dipinta in bruno; nel sito n. 7 si rinviene invece un fr. di vasetto chiuso con vetrina verde. Anche in questi due siti sono poi presenti alcuni frammenti di tegole striate, ma con l’impasto alleggerito da paglia. Quest’ultimo tipo di coppi di copertura, rinvenuti anche, come si è detto, a Canalicchio, si recuperano frequentemente nei siti medievali dell’agrigentino, ma raramente sono stati segnalati altrove (alcuni esemplari sono segnalati nel territorio di Himera, a vallone S. Antonio (Himera III, pp. 117119, fig. 100, 1-3) e a Burgitabis (Ibid., p. 170, fig. 166, 3,7,11). Per le loro caratteristiche sembrano derivare dall’incontro tra la tradizione tardoantica e bizantina della decorazione a pettine e la nuova tecnica dell’alleggerimento con paglia dell’impasto delle tegole, tecnica tipicamente medievale (D’ANGELO 1989), che non sappiamo però quando sia stata introdotta. Si segnala infine che in un’ampia area compresa tra i tre siti di masseria Genuardi, sito n. 4 e sito n.7 si trovano sparsi con una bassissima densità frammenti di tegole bizantine e medievali, che costituiscono una sorta di “rumore di fondo”, legato probabilmente all’uso del suolo. In che modo interpretare i dati appena presentati? È certo in primo luogo che in età tardo-romana e protobizantina, fino almeno al VI-VII secolo, erano attivi, nell’area indagata, due ampi siti, quello di masseria Genuardi e quello di Canalicchio. Quest’ultimo sembra essere nato solo nel corso del V secolo. L’abbondanza di tegole di tipo medievale, in assenza di ceramica invetriata, può far ritenere che Canalicchio sia stato abitato ancora per qualche secolo, anche se non sappiamo esattamente quando sia iniziata la produzione e l’uso di questo tipo di tegole. Ad un periodo compreso tra la fine delle importazioni di sigillata africana e l’inizio delle prime produzioni invetriate possiamo presumibilmente datare invece i due siti n. 4 e n. 7. La presenza di un consistente numero di tegole striate, documentate in Sicilia almeno fino al VII secolo (LENTINI 1982, p. 177), tende a far risalire l’origine dei due insediamenti ad età bizantina. Nell’area finora indagata, dunque, noi abbiamo l’evidenza di un sito a lunga continuità di vita, che, abitato già in età tardo-repubblicana, prosegue la sua esistenza, presumibilmente senza interruzioni, fino all’età normanna, quando diviene il centro del casale Butermini; di un sito, anch’esso piuttosto esteso, che nasce nel pieno V secolo e cessa di esistere in un momento imprecisato, ma certamente posteriore alla metà del VII; di due piccoli siti, certamente anch’essi con funzione abitativa, stando alla consistenza dei resti di strutture murarie, utilizzati per un breve periodo, che possiamo ritenere compreso tra la metà del VII secolo e la seconda metà del X-inizi dell’XI. Si tratta di risultati ancora assai parziali, relativi ad un’area poco estesa, e la cui interpretazione è comunque difficile anche per la mancanza di dati certi sulle ceramiche altomedievali siciliane. Ci sembrano tuttavia dati di un certo interesse, soprattutto se messi in relazione con i pochi elementi noti finora su aree vicine alla nostra. Il primo dato da rilevare è che la nascita dell’insediamento di Canalicchio nel V secolo rientra in un fenomeno già osservato in altre zone dell’agrigentino, ed in primo luogo nell’entroterra di Eraclea Minoa, dove, non prima del V secolo, nascono una “villa” tardoromana e tre o quattro piccole fattorie (WILSON 1980-81, p. 665). Anche nella fascia costiera tra Agrigento e Siculiana, una prospezione sistematica (SANTAGATI 1996-97) ha rilevato una maggiore diffusione dell’insediamento tra il IV ed il VI-VII secolo, con la nascita di nuovi siti, uno dei quali di grandi dimensioni, oltre a due “fattorie” di dimensioni più piccole ed alcune aree di frammenti con materiali databili a questo periodo. Per la zona più interna dell’agrigentino non disponiamo di dati derivanti da prospezioni intensive; tuttavia, sono documentati alcuni casi di insediamenti sviluppatisi soltanto dopo il V secolo: citiamo, ad esempio, nella valle del Platani, il sito di contrada Bissana, che non restituisce documentazione anteriore al V secolo, e che sopravviverà fino alla fine del XII-inizi del XIII secolo come centro del casale omonimo. In età ancora successiva sembra essere nato l’insediamento di contrada Terrasi, nei pressi di Raffadali, nel quale, oltre ad una grande quantità di tegole striate, si sono rinvenuti pochi frammenti di sigillata D e di anfore africane databili tra il VI ed il VII secolo. Sempre nell’agrigentino, una nuova villa è fondata in contrada Stefano, presso Favara, tra la fine del IV e gli inizi del V secolo (CASTELLANA 1988-89, p. 55): contemporaneamente il più antico complesso di contrada Saraceno sembra perdere la funzione di residenza di un dominus, per acquisire esclusivamente funzioni connesse con l’uso del suolo (CASTELLANA-MCCONNEL 1990, p. 43). Anche la diffusa presenza di piccoli gruppi di tombe ad arcosolio in tutto il territorio della provincia potrebbe costituire un indizio di una tendenza alla nascita di nuovi insediamenti in età tardo-antica e protobizantina. Si tratta di un dato che trova riscontro anche altrove in Sicilia, benché la carenza di ricognizioni sistematiche e scavi renda difficile valutarne la portata ed il significato. È probabile che tra le cause vada considerata la rinnovata prosperità dell’isola a partire dal IV secolo, con il dirottamento della produzione cerealicola egiziana verso Bisanzio e la rinnovata importanza della Sicilia come fornitrice di grano diretto a Roma (WILSON 1993, p. 289). Gli scavi di siti rurali condotti finora testimoniano che tra IV e V secolo si assiste alla nascita di diversi vici, che in molti casi si sovrappo- ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 2 Tav. I – Il territorio di Raffedali: le principali idrografie e gli insediamenti di età medievale. sero a ville o fattorie più antiche, ma che possono anche essere stati fondati su siti prima disabitati (diversi esempi in BELVEDERE 1997). Nell’agrigentino nascono tra il IV ed il V secolo, ad esempio, gli agglomerati rurali del Saraceno di Favara e di Cignana, presso Naro (FIORENTINI 1993-94, p. 729), sovrapponendosi a ville più antiche; la “villa” segnalata da Wilson nel territorio di Eraclea Minoa come nata nel V secolo si è invece rivelata come una basilica cimiteriale, in relazione però probabilmente con un vicus della stessa data (Ibid., pp. 729-733). Per quanto riguarda i due siti n. 4 e n. 7, essi sembrano testimoniare, nel territorio di Butermini, una ulteriore diffusione dell’insediamento in un momento successivo alla metà del VII secolo, questa volta con abitati di piccole dimensioni. Anche questo fenomeno trova alcuni elementi di riscontro nell’area costiera tra Agrigento e Siculiana, dove sono segnalate alcune “fattorie” che restituiscono, oltre alle tegole striate, frammenti di brocche con superficie corrugata o incisa a pettine, in assenza di sigillata, e che potrebbero essere datati successivamente alla metà del VII secolo. Simile il caso, nell’entroterra agrigentino, degli insediamenti di Cozzo Salume, M. Castelluccio, Cozzo Tahari, Buagimi e Biviano, alcuni dei quali sopravviveranno diventando casali arabo-normanni. Anche nel territorio di Termini Imerese si può pensare alla nascita di due nuovi insediamenti in età bizantina: il sito n. 23 restituisce tegole con impasto analogo a quello delle tegole medievali e con decorazione striata a pettine, anse a solcatura centrale, frammenti di contenitori a pareti corrugate o con decorazione incisa, in assenza sia di sigillata che di ceramica invetriata (Himera III, pp. 117-119); il sito n. 18 ha anch’esso una fase bizantina (Ibid., pp. 106-109). Le altre prospezioni non hanno invece rilevato nulla di simile, ma esse sono troppo poche, ed alcune edite in modo incompleto, così che non ci sembra si possa escludere che il fenomeno abbia riguardato anche altre zone della Sicilia. Esso potrebbe segnalare, almeno per le zone dove è stato rilevato, una tendenza alla frantumazione del latifondo, che in modo assai ipotetico potremmo mettere in relazione con la costituzione del thema di Sicilia alla fine del VII secolo e l’immissione nella proprietà terriera dei soldati-contadini bizantini (CRACCO RUGGINI 1980, p. 43). Si è parlato spesso, per l’età tematica, di un abbandono dei siti rurali aperti e di una occupazione generalizzata delle alture, che alcune fonti effettivamente testimoniano (CRACCO RUGGINI 1980, pp. 39-40; MAURICI 1992, pp. 18-19). È stato però già osservato come le tracce archeologiche di questo fenomeno siano piuttosto vaghe: vorremmo tra l’altro osservare come l’unica altura di una certa importanza nei pressi del nostro territorio, quella di M. Guastanella, roccaforte araba durante la conquista normanna, nonostante le prospezioni ripetute (JOHNS 1983; una prospezione sul sito è stata condotta anche da chi scrive), non abbia restituito nessun reperto attribuibile al periodo bizantino. Noi tendiamo a credere che l’occupazione delle alture, probabilmente diretta dallo stato bizantino, abbia riguardato alcune zone di maggiore importanza strategica, come ad esempio la valle del Platani, essenziale via di penetrazione dalla costa verso l’entroterra: lungo questo fiume si dispongono i centri di Monte della Giudecca (sito in cui è probabilmente riconoscibile la roccaforte bizantina di Platano), di M. Castello, e di Rocca della Motta, dove effettivamente sono state rinvenute tegole striate di tipo “bizantino” (su M. della Giudecca e M. Castello vd. RIZZO 1990). Nel VII secolo sembra sia nata la fortezza di Caltabellotta, a spese probabilmente dell’abitato di pendio di S. Anna, abbandonato dopo la metà del VI secolo (PANVINI 1992). Ci sembra dunque che non si possa negare che, sotto la spinta della minaccia islamica, ci sia stata una riorganizzazione del sistema di difesa, che ha comportato anche, in particolari zone, la nascita di nuove fortezze prima inesistenti. D’altro canto in nessun modo si può parlare di un “incastellamento generalizzato”, poiché non solo molti insediamenti aperti continuarono ad essere abitati, ma ne nacquero forse di nuovi, probabilmente proprio per il diffuso insediamento nelle campagne dei soldati bizantini. Non siamo in grado di dire quando siano stati abbandonati i tre siti n. 4, n. 7 e Canalicchio; ciò è comunque avvenuto prima della diffusione delle ceramiche invetriate: nell’XI secolo, certamente, l’unico sito abitato era quello di Masseria Genuardi, dove possiamo ritenere che si fosse accentrata la popolazione prima dispersa nel territorio di contrada Butermini. Trovare riscontri a questo dato è piuttosto difficile, poiché le due prospezioni di Eraclea Minoa e della zona costiera Agrigento-Siculiana non hanno preso in considerazione il periodo medievale. Nell’alta valle del Belice continuano ad essere abitati nel X-XI secolo circa la metà degli insediamenti con ceramica del VI-VII secolo; nel territorio di Himera scompare il sito n. 23, mentre continuano ad essere popolati il sito di Burgitabis (Himera III, pp. 164-174) ed il n. 18 e nascono, tra l’XI ed il XII secolo i siti d’altura di Cozzo S. Nicola (Ibid., p. 162) e Rocca del Drago (Ibid., pp. 96-106). Nel territorio di Segesta, al contrario, dove soltanto l’esteso insediamento della Acquae Segestanae era sopravvissuto dopo il VII secolo, si sviluppa, dalla seconda metà del X, il casale di Contrada Arcauso, mentre comincia ad essere popolato il sito forte di Calathameth. Sembrerebbe dunque di dover scorgere dinamiche diverse nelle diverse aree, ma i dati finora disponibili sono troppo pochi perché si possano tentare spiegazioni anche di queste diversità locali. Un dato valido forse per diverse aree della Sicilia è quello della occupazione delle alture dalla seconda metà del X secolo, che comincia a trovare anche il supporto della documentazione archeologica, come nel caso già citato di Calathameth, e da mettere in relazione probabilmente con il rescritto del califfo fatimita Al Muizz, che intorno al 967 ordinava di costruire in ogni ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 3 Tav. II – I probabili confini del casale Butermini ed i siti identificati. distretto una città fortificata, di costruirvi una moschea e di concentrarvi la popolazione, impedendo che essa vivesse sparsa nelle campagne (AMARI 1980-81, vol. II, pp. 134135). Anche a M. Guastanella, un riesame del materiale edito rileva la presenza di alcune delle più antiche forme delle ceramiche invetriate, databili tra la seconda metà del X e la prima metà dell’XI secolo (si veda in particolare JOHNS 1983, figg. 12, 39). Appare evidente tuttavia che in nessun modo questa occupazione delle alture ha comportato l’abbandono degli insediamenti aperti, numerosissimi in questo periodo. Si è talvolta parlato di insuccesso del rescritto di Muizz (MAURICI 1992, p. 72): noi vorremmo invece avanzare l’ipotesi che l’aspetto saliente dell’ordine del califfo stesse, più che nella volontà di insediare la popolazione rurale in abitati fortificati, nell’esigenza di accentrarla in insediamenti ben strutturati giuridicamente, e dunque controllabili, e dotati di una moschea, principale strumento di penetrazione religiosa e culturale, anche in abitati aperti, dunque, purché in essi venisse concentrata la popolazione che, come nel territorio di Butermini, aveva fino ad allora vissuto in piccoli insediamenti sparsi. CONCLUSIONI È evidente che i dati che abbiamo discusso sono ancora del tutto provvisori: in primo luogo perché si riferiscono ad un’area estremamente limitata, che certamente deve essere estesa nel prossimo futuro; in secondo luogo perché qualunque ricerca condotta in Sicilia sconta inevitabilmente, per il periodo altomedievale, la carenza di conoscenze sulle ceramiche dei secoli VIII-X. Finché non si moltiplicheranno gli scavi su siti a continuità di vita, almeno apparente, ottenendo stratigrafie accurate, le indagini di superficie non potranno che formulare ipotesi fondate su indizi poco consistenti, che possono essere interpretati anche in modo del tutto diverso. Se noi abbiamo scelto di presentare comunque questi dati, per quanto parziali, è perché ci sembra che essi invitino a considerare il passaggio dall’insediamento tardoantico a quello medievale in modo un po’ più com- plesso di quanto sia stato fatto finora. È probabile infatti che le diverse aree dell’isola abbiano conosciuto dinamiche del popolamento almeno in parte diverse; d’altro canto, la probabile continuità di vita di molti insediamenti d’età imperiale non implica la staticità del paesaggio insediativo nel suo complesso: a Butermini noi abbiamo un insediamento di età imperiale che diventa casale arabo-normanno, ma a questo si arriva attraverso due fasi di diffusione dell’abitato, una nel V secolo, con la nascita dell’insediamento di Canalicchio, e l’altra che noi poniamo ipoteticamente nel VII-VIII secolo, con la creazione dei due piccoli abitati n. 4 e 7. In questo caso, dunque, la nascita del casale arabo sarebbe il frutto di un accentramento della popolazione in un sito che, comunque, aveva probabilmente mantenuto nel corso dei secoli, un ruolo predominante, dal punto di vista economico o amministrativo. Proprio la ricerca delle ragioni per cui alcuni insediamenti sopravvivono mentre altri vengono abbandonati costituisce, a nostro avviso, uno degli aspetti principali dell’indagine sul popolamento rurale tardoantico e medievale in Sicilia, in quanto essenziale a comprenderne le dinamiche (su questo tema vd. BELVEDERE 1995; ID. 1997, pp. 5253). La continuità delle strutture amministrative e giuridiche può essere la causa della sopravvivenza di alcuni insediamenti, come, probabilmente, quello di Butermini; sono quasi certamente di natura economica e connesse con l’uso del suolo, invece, le ragioni della continuità di vita di alcuni insediamenti specializzati, come quello di Burgitabis, nel territorio di Himera; al contrario, nel caso del grande insediamento tardoimperiale di Terravecchia di Modaccamo, probabile statio lungo la via romana Agrigento-Palermo, a brevissima distanza dall’area di cui ci siamo occupati, abbiamo in altra sede (RIZZO 1999, pp. 72-73) ipotizzato che il suo abbandono potesse essere legato alla decadenza del tracciato viario, spostatosi forse verso est in età bizantina: lungo il nuovo tracciato, da noi ipoteticamente ricostruito, nasce in effetti, nel VI-VII secolo l’insediamento di Terrasi, destinato a diventare il casale Rahalfadali. In questo caso, dunque, l’abbandono dell’antico insediamento sarebbe dovuto alla crisi del sistema postale di età imperiale. ©2001 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 4 Continuarono ad essere popolati, dunque, gli insediamenti che ancora rispondevano alle esigenze di carattere economico o che erano funzionali alle nuove strutture amministrative e giuridiche: quali caratteristiche ne consentirono la sopravvivenza e quali invece causarono l’abbandono di altri siti, in molti casi abitati da diversi secoli, può solo, per il momento, essere ipotizzato caso per caso. APPENDICE La prospezione intensiva del territorio di Butermini è stata realizzata con la collaborazione degli allievi del Diploma Universitario di Operatore dei Beni Culturali di Agrigento, come tirocinio per il corso di Topografia Antica, a.a. 1998-99. BIBLIOGRAFIA AMARI M. 1880-81, Biblioteca Arabo-Sicula, Torino-Roma, rist. anast. Sala Bolognese 1981. 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