La punteggiatura
Si dice comunemente che la punteggiatura sia chiamata a trascrivere parte
delle caratteristiche prosodiche del parlato, ovvero che sia in primo luogo
legata all’aspetto ritmico e alla lettura a voce dei testi scritti. Si tratta tuttavia
di una affermazione che individua solo alcuni usi (quelli storicamente più
antichi) dei segni interpuntivi; da quando la scrittura produce testi destinati
per lo più a una lettura ‘visiva’, in effetti – ovvero dall’avvento della stampa
– è la funzione logico-sintattica (che alcuni denominano demarcativa) ad
assumere un ruolo di primo piano, spesso intrecciandosi variamente con
quella ritmica e con le diverse particolarità stilistiche.
Le caratteristiche prosodiche del parlato, peraltro – intonazione, tonicità e
tono, ritmo, ‘fraseggio’, pause – sono senza alcun dubbio parte integrante
del sistema linguistico poiché convogliano sistematici contrasti di
significato, distinguendosi perciò dalla relativa asistematicità dei c.d. tratti
paralinguistici quali timbro, qualità della voce, tempo, volume e
gesticolazione. Vanno infine esclusi del tutto dal sistema della lingua (pur
assumendo spesso valore espressivo) i c.d. tratti individuali o indicali quali
estensione di tono, gamma di altezza, risonanza, preferenze individuali per
alcuni schemi prosodici e paralinguistici.
La punteggiatura (segue)
Una delle conseguenze fondamentali della molteplicità di funzioni della
punteggiatura, pertanto, è il fatto che essa ha natura intrinsecamente
polimorfa (secondo quanto afferma Bice Mortara Garavelli): in altre parole
ogni segno cumula una molteplicità di funzioni variabili, che garantiscono al
tempo stesso ricchezza di impieghi e scarsa coerenza nel delimitarne lo
statuto o il valore.
A ciò peraltro va aggiunta la natura sovrasegmentale dei tratti del parlato di cui
si dice la punteggiatura sia chiamata a dar conto: come osserva Halliday,
questi sono resi sempre in modo approssimativo nella scrittura alfabetica
“intrinsecamente lineare e segmentale”. Halliday nota come la necessità di
indicare in forma sistematica tali informazioni abbia dato vita alle
convenzioni di lingua scritta caratteristiche, ad es., del dialogo teatrale con
le sue ‘didascalie’.
Un’ulteriore conseguenza dello stato di cose descritto è il fatto che NON vi
sono vere e proprie istruzioni assolute per l’uso corretto della
punteggiatura, ma tali usi (variabili) vanno di volta in volta individuati e si
consolidano in relazione ai generi di testo (in cui evidentemente la
intrinseca natura parlata o scritta all’origine del testo-discorso avrà un
peso).
Punteggiatura “per l’occhio” o “per l’orecchio”
“L’essere contemporaneamente al servizio dell’orecchio e
dell’occhio, l’essere nata per indicare le pause della lettura e
per provvedere alla demarcazione delle unità sintattiche e delle
loro relazioni ha fruttato alla punteggiatura delle varie epoche
l’accusa di essere insoddisfacente” (Mortara Garavelli).
Una ‘cattiva’ punteggiatura può falsare un ordine compositivo
accettabile, e se la punteggiatura deve fornire “istruzioni” per
l’interpretazione di testi scritti essa andrà riferita per lo più:
1. alla struttura e al senso degli enunciati
2. in rapporto alla distribuzione dell’informazione
3. e alla forza illocutiva delle enunciazioni
4. nonché ai legami intra- e interfrasali, ai rapporti testuali e ai
rapporti fra piani di enunciazione diversi.
Punteggiatura “per l’occhio” o “per l’orecchio” (continua)
1. La struttura e il senso degli enunciati: Mario, è venuto Paolo
vs Mario è venuto, Paolo; Non è venuto come tutti
temevano vs Non è venuto, come tutti temevano
2. La distribuzione dell’informazione: Un buon uso della
punteggiatura, contribuisce alla chiarezza dello scritto
come risposta a una domanda focalizzante del tipo ‘Cosa
contribuisce a…?’
3. La forza illocutiva delle enunciazioni: Prendi una fetta di torta.
vs Prendi una fetta di torta! vs Prendi una fetta di torta?
4. I legami intra- e interfrasali, i rapporti testuali e i rapporti fra
piani di enunciazione diversi: Sono stanca: smetto di
lavorare vs Smetto di lavorare: sono stanca.
«Che un’altra persona abbia dolori, posso soltanto
crederlo; io invece so di provarli». – Già, uno può risolversi
a dire «Credo che provi dolore», invece di «Prova dolore».
Ma questo è tutto. ––– (Wittgestein, RF, § 303)
Punteggiatura “per l’occhio” o “per l’orecchio” (segue)
È infine necessario tenere in debito conto alcuni assunti ormai affermatisi
nell’ambito della linguistica:
(i) anzitutto che la costruzione del testo non segue mai (a meno di scelte
marcate in tal senso) le stesse procedure nel parlato e nello scritto: ciò
implica la necessità di non confondere, quando sia chiara la funzione di
un testo, punteggiatura scritta e punteggiatura orale o, per dirla con
Halliday, punteggiatura “secondo la grammatica o secondo la fonologia”;
(ii) in secondo luogo, che il sistema interpuntivo è un rivelatore di struttura
perché “rappresenta l’affiorare superficiale residuo dello schiacciamento
che le strutture dell’enunciato subiscono nella linearizzazione” (Simone);
(iii) in terzo luogo, come si è detto, che la rigidità di norme e usi interpuntivi
varia, poiché è sensibile alle distinzioni fra generi testuali (sarà dunque
più rigida quanto maggiore è la formalità del modo di comporre richiesto
da un testo dato);
(iv) infine, che la c.d. interpunzione “logica” o “canonica” (come marca di
confine, o indicatore del tipo di frase) dà comunque indicazioni circa
struttura frasale e interfrasale sulla base delle regolarità sintattiche (ed è
dunque a partire da essa che si misurano in parte ‘forzature’ o
‘deviazioni’).
La virgola
È senza dubbio il segno interpuntivo che ha la gamma di funzioni più ricca, e su cui
vi sono più incertezze in relazione a norme d’uso. Nonostante si attribuisca
tradizionalmente a questo segno il semplice valore di una ‘pausa’ debole, essa è
infatti provvista di una funzione demarcativa forte e funziona come marca di confine
sintagmatico o di clausola debole (ovvero un’unità grammaticale che integra costrutti
semantici di tipo diverso).
Si pensi alla distinzione fra relativa restrittiva (o determinativa, o specificativa) e
relativa appositiva, in cui solo la seconda è preceduta da virgola:
Non leggo i libri gialli che mi sembrano noiosi (= non leggo solo quelli che…) vs
Non leggo i libri gialli, che mi sembrano noiosi (= non leggo tutti i libri gialli perché…).
Le espressioni “chiuse” tra due virgole (dette in posizione parentetica) possono
avere dimensioni, struttura ruoli sintattici svariati (oltre ad essere sostituite a volte da
parentesi o lineette:
inteso come convinzione, da parte di un gruppo, della propria superiorità su un
altro gruppo, il razzismo non può che produrre mali
Le due virgole che isolano “da parte di un gruppo” (un sintagma appositivo)
consentono di stabilire la connessione fra i due membri tra cui si intercala (clausola
dipendente, più ‘debole’ della principale sottolineata).
La virgola
(segue)
Il fatto che spesso ci si serva della virgola per mettere in rilievo elementi del discorso
indipendentemente dalle relazioni sintattiche che questi intrattengono con gli altri pone
alcuni problemi:
• quando è opportuno anteporre la virgola alla congiunzione e?
Dipende dai ruoli della congiunzione. La virgola non sarà apposta in qualunque elenco
canonico, ma sarà presente nei casi di ambiguità: cfr. La sua era una dieta particolare: a
mezzogiorno carne e verdura, alla sera riso e insalata, e frutta a volontà.
• come comportarsi con i connettivi ma, né, sia, o?
In genere si afferma che quando il ma avversativo coordina due frasi (= clausole semplici) è
preceduto da una virgola, che può invece mancare se a esser collegati sono due sintagmi o
frasi brevi; ma bisogna tener conto anche della struttura informativa degli enunciati (Guarda
ma non vede vs Guarda, ma non vede) o di un possibile cambiamento di soggetto (Questo è
senza dubbio vero, ma credo non sia assolutamente certo). Nel caso dei correlativi né…
né…, sia… sia… la virgola non va messa sulla prima occorrenza se collegata direttamente al
costituente che lo regge (ma è presente in caso di clausola parentetica incassata), mentre
davanti alla seconda dipenderà dalle dimensioni delle catene verbali: la condotta antisociale
è considerata riprovevole sia dalla legge sia dall’opinione pubblica; la condotta antisociale è
considerata riprovevole, perché offensiva dell’etica comunitaria, sia …; la condotta
antisociaole è considerata riprovevole sia dalla legge regolante i comportamenti collettivi
sulla base di norme certe, sia dall’opinione pubblica. L’o disgiuntivo (inclusivo o esclusivo) è
considerato come il sia, mentre la virgola si evita se equivale a ‘cioè’ e se ne mettono invece
due quando ha valore “correttivo” (è ora di finirla, o meglio, di mostrare saggezza).
La virgola
(segue)
• c’è un criterio per decidere se separare con una virgola sintagmi circostanziali all’inizio
(o alla fine) di enunciati?
No, dipenderà dalla posizione delle determinazioni, dalla loro lunghezza, dalla forma
esplicita o implicita, dalle variazioni di significato (es. quando = ‘mentre’) e dalla
focalizzazione: Quando l’uomo giunse all’automobile rosso fuoco un po’ polverosa
parcheggiata vicino al marciapiede, il caldo era soffocante (posizione iniziale e
lunghezza della clausola); Sarò contenta quando avrò finito il lavoro vs Sarò contenta,
quando avrò finito il lavoro (clausola breve, spostamento di focus); Per trovare il libro
giusto senza perdere troppo tempo, chiedi al bibliotecario vs Chiedi informazioni al
bibliotecario per trovare il libro… (posizione); Ho ascoltato la radio mentre guidavo vs
Ascolti la radio, mentre dovresti studiare (valore oppositivo di mentre nel secondo
esempio).
• quando è possibile porre una virgola tra soggetto e verbo o tra vero e oggetto?
Se la punteggiatura attiene solo ai rapporti sintattici la virgola NON va mai inserita; ma
se l’uso modifica o interviene sulla struttura informativa, allora questo può accadere:
così se *la geometria algebrica, si è sviluppata a partire dalla geometria analitica non è
accettabile la geometria algebrica, campo della matematica che unisce l’algebra astratta
alla geometria, si è sviluppata a partire… lo è. Analogamente avviene quando il gruppo
del soggetto sia “pesante”, o a seguito della sovraestensione dei valori intonativi (di
‘lettura silenziosa’) attribuiti ai segni: ora io credo che nell’uno come nell’altro caso,
la somma di due linguaggi che non sono interamente veri, non riesce a costituire un
linguaggio vero […] (Calvino). C’è infine l’esigenza di isolare il tema argomentale
(spesso dislocato): Si sente così stanca a triste, la signora Leuca (Pirandello).
La virgola
•
(segue)
qual è la norma che regola l’uso della virgola davanti a pronome relativo?
Quella che distingue fra relativa restrittiva e appositiva (solo quest’ultima, come si è
detto, preceduta da virgola):
Non mi piacciono le trasmissioni televisive, che mi sembrano scadenti.
•
in quali casi in luogo di una virgola è preferibile il punto e virgola?
(i) quando (spesso in testi tecnici, giuridici ecc.) si intende manifestare una gerarchia di
componenti sintattici;
(ii) quando si vuole marcare un cambiamento di soggetto o tema:
alcuni soggetti, selezionati dal campione, hanno risposto bene al trattamento; altri,
invece, hanno evidenziato profondo malessere.
Il punto
Secondo quanto afferma Simone, esiste una sorta di gerarchia di forza in base alla quale
“il punto è più forte del punto-e-virgola; il punto-e-virgola è più forte della virgola”. Al
valore di pausa forte e chiusura di frase (ovvero di un complesso di clausole) del punto,
ma al tempo stesso di connessione testuale allude Kandinskij sostenendo che “il punto è
simbolo dell’interruzione, del non essere (elemento negativo) e, nello stesso tempo, è un
ponte da un essere a un altro essere (elemento positivo)”. Il suo ruolo nella struttura
informativa dell’enunciato è talora sostituito da punto e virgola, virgola o due punti ma
variando l’intensità della connessione, e la natura del legame sintattico-semantico:
Se ne è accorto troppo tardi / Se ne è accorto. Troppo tardi / Se ne è accorto; troppo tardi
(= ed era?) / Se ne è accorto, troppo tardi (= ma era?) / Se ne è accorto: troppo tardi (=
ma era purtroppo?).
Il punto, insomma, può assumere valore testuale non solo in quanto marcatore di tipo (e
contrapposto a ?, !, …, oltre che alle marche enunciative ‘ ’, “ ” ecc.), ma in quanto attiva
legami di tipo semantico e pragmatico chiamando in causa l’implicito o fenomeni di natura
informativa (ad es. la doppia focalizzazione). Per questa ragione si riscontra negli ultimi
decenni, soprattutto nel linguaggio giornalistico, una sovraestensione esasperata
dell’uso del punto nota come frammentazione sintattica.
Il punto
(continua)
Si veda il caso di firme prestigiose come Beniamino Placido:
Di quell’articolo mi era piaciuto tutto. Ma una cosa mi aveva disturbato. Anzi, una parola. La parola
“bottegaio”. Usata talvolta come sostantivo, talvolta come aggettivo. Sempre comunque per qualificare in
senso negativo quello spirito “bottegaio conservatore” che si contrappone alla altezza aristocratica del
pensiero di Tocqueville.
Il brano testimonia di una vera invadenza del punto anche in posizioni che potrebbero essere
occupate da altri segni meno marcati, e si potrebbe riscrivere come segue:
Di quell’articolo mi era piaciuto tutto. Ma una cosa mi aveva disturbato, anzi una parola: la parola “bottegaio”,
usata talvolta come sostantivo, talvolta come aggettivo; sempre, comunque, per qualificare in senso
negativo quello spirito “bottegaio conservatore” che si contrappone alla altezza aristocratica del pensiero di
Tocqueville.
L’eccesso di frammentazione si risolve in una vera e propria decostruzione; si tratta di
un’insistenza sulla focalizzazione che talora oscura il senso, come nello stile di Ilvo Diamanti:
Venezia dopo Genova. Città di mare. Con una storia lunga. E importante. Di autonomia. Potere. Oggi divise.
Non solo perché alla testa di due diversi mari. Ma perché diverso è il loro destino.
Si conferma così l’ipotesi di Ferrari: il “valore intrinseco” del punto “consiste nel chiedere di
totalizzare i risultati dell’operazione interpretativa eseguita sino a quel momento”; se il punto
frantuma troppo gli enunciati, costringe a “concludere e ricominciare il conto interpretativo
dopo ogni minima informazione”. Quando il punto è collocato all’interno di una unità sintatticosemanticamente coesa, … crea un confine di unità comunicativa che non è direttamente
proiettato dal contenuto semantico del testo”.
Punto e virgola
È senza dubbio il segno che più ha patito la “concorrenza” del punto e della virgola, poiché
lo si è spesso considerato una semplice pausa “intermedia” (dunque evitabile). In realtà
esso ha un ruolo demarcativo ben determinabile in base al confronto con gli altri segni: così
il punto e virgola non può mai prendere il posto della virgola nella delimitazione delle
incidentali, dunque non ha valore appositivo o parentetico; può avere però carattere
seriale, dando un risalto più netto a elenchi o serie i cui membri abbiano una certa
lunghezza e complessità, ma ubbidendo a una gerarchia di forza in cui l’alternanza con la
virgola nel separare unità coordinate complesse e membri di periodo viene spesso irrigidita
da scelte formali:
La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che
dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua
legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. (Costituzione, art. 19).
Nel testo della Costituzione i membri di una serie formati da frasi (clausole forti) sono
separati con il punto e virgola perché al loro interno delimitazioni di minor “peso” saranno
segnalate da virgole.
Altrettanto degno di nota, come si è visto, è l’uso preferenziale rispetto alla virgola per
marcare un cambiamento di soggetto o di tema; o ancora per segnalare riprese di
un’espressione contenuta in un enunciato precedente (sia pure in concorrenza con virgola,
due punti e punto):
Il senso di abbandono l’aveva soggiogata, un abbandono che nulla poteva ormai annullare o lenire / il
senso di abbandono l’aveva soggiogata; un abbandono…; il senso di abbandono l’aveva soggiogata:
un abbandono…; il senso di abbandono l’aveva soggiogata. Un abbandono…
Due punti
Mortara Garavelli sottolinea la plurifunzionalità dei due punti definendola multiplanare,
perché agisce a livello della sintassi e della testualità.
C’è anzitutto una funzione presentativa, come in I linguisti hanno scoperto così un’unità
distintiva essenziale nel funzionamento di qualunque idioma: il fonema.
Più in generale, i due punti hanno funzione metatesutale e metacomunicativa, sono
cioè annunci riguardanti il discorso in atto, preparando l’attenzione per la spiegazione o
l’elenco che segue. Sapete che le parole non sono soltanto rappresentative: la prova è
che esiste qualche cosa che si chiama la “parola data” (spiegazione); così, “andare in
collera” porta a cose come: “cominciare a bollire”, “mandare fumi”, “diventare rosso”,
“esplodere”, “mandare i pezzi dappertutto” e così via (elenco).
Né va dimenticato il valore connettivo dei due punti, che permettono di fare a meno di
congiunzioni subordinanti come in Il “diverso” è classificato come tale in base a parametri
che della biologia manifestano l’ignoranza più che la conoscenza: la persona di pelle
scura, da un punto di vista genetico, è sì diversa dalla persona di pelle chiara, ma i geni
che controllano il colore della pelle costituiscono una proporzione irrisoria della totalità dei
geni che sono differenti in due persone con lo stesso colore di pelle. In questo caso i due
punti sembrano addirittura sostituire un intero enunciato come “chi conosce la biologia sa
che…”.
Infine va ricordato il rapporto connessione causale introdotto dai due punti: progressivo
(Sono stanco: me ne vado a casa), regressivo (Me ne vado a casa: sono stanco) o a
“doppio percorso” (Il tempo è sovrano: nulla dura e nulla permane).
Punto interrogativo ed esclamativo.
I puntini di sospensione
I punti interrogativo ed esclamativo sono considerati tipiche marche dell’intonazione, che
grammaticalmente sono anche marche di tipo: se il punto fermo marca un’affermazione,
il punto interrogativo marca una domanda con intonazione ascendente; quanto al punto
esclamativo, secondo Halliday è usato “per un miscuglio di funzioni orali tra cui
comandi, proposte, offerte, esclamazioni, richiami e saluti” e ha intonazione
tendenzialmente ascendente-discendente. Poiché tuttavia la complicata interfaccia
fonologico-strutturale è “resa ancor più intricata dal fatto che essa non si presenta più …
sul piano fonologico, ma sul piano grafico” (Simone), appare più prudente segnalare che
gli schemi intonazionali di ogni segno interpuntivo sono ideali e pensare a interrogativo,
esclamantivo e combinazioni di punti come a marche di “indicatori di atti linguistici”
non univoci (per questo, forse, privilegiati dalla pubblicità):
Tu rimani qui. / Tu rimani qui? / Tu rimani qui! / Tu rimani qui?!
constatazione
domanda
ordine
domanda incredula o espressione di
sorpresa
Nella prassi testuale, in effetti, la domanda può essere retorica, il punto esclamativo (che
oggi è considerato indice di esagitazione) può avere un uso detto “di commento” ed anche
i puntini di sospensione o di “esitazione” segnalano a volte ironia, altre volte un gioco di
parole o la reticenza.
Marche dell’enunciazione: parentesi, lineette, virgole,
virgolette citazionali
Con usi diversi in base alle norme ortografiche nazionali (cfr. l’inglese vs l’italiana),
parentesi, lineette, virgole e virgolette (queste ultime singole, doppie, alte o inglesi e
basse o all’italiana o caporali) indicano discontinuità nell’enunciazione, spostandone le
coordinate e creando stratificazioni discorsive.
Tipica caratteristica della posizione parentetica pura è l’espletività, cioè la possibilità di
espungere il costituente “fra parentesi” senza intaccare le strutture di frase:
Questa vittoria (è bene ricordarlo) rappresenta un evento epocale / Questa vittoria, è
bene ricordarlo,… / Questa vittoria – è bene ricordarlo –…
Ad essere modificato tuttavia è il gioco delle connotazioni o, pragmaticamente, il
funzionamento delle c.d. modulazioni (che attenuano o rafforzano la forza illocutoria di
un atto linguistico):
Ma, a ben vedere, anche per molte di queste parentesi esplicative, apparentemente
informative e oggettive, è assai difficile – e infruttuoso – distinguere l’intervento e la voce
del narratore da quella del personaggio in scena.
Le virgolette citazionali sono indice di polifonia, e spesso necessarie a riconoscere le
citazioni come tali (tanto che ometterle è a volte una voluta strategia di confusione);
infine, virgolette singole o doppie possono marcare parole che si intende assumere con
accezioni particolari, o con riserva, o ancora con distacco ironico o sarcastico (in questo
caso, ovviamente, gli usi spesso idiosincratici hanno il sopravvento sulle norme rigide).
Punteggiatura e pubblicità:
sovraestensione del punto fermo
Punteggiatura e pubblicità: uso minimale
delle virgole, punti esclamativi enfatici.
Punteggiatura e pubblicità: uso di una
punteggiatura più articolata in un body copy
“scientifico”.
Punteggiatura e pubblicità: punteggiatura
“povera” e un po’ approssimativa, con
marche dell’intonazione.
Punteggiatura e pubblicità:
punteggiatura complessa
alternata a uso “sloganistico”
dell’esclamativo in un testo
tecnico-scientifico.
Punteggiatura e pubblicità: punteggiatura giornalistica.
Punteggiatura e
pubblicità: uso
non
convenzionale
della virgola
“generalizzata”,
con parziale
annullamento
della polifonia e
delle alternative
interpuntive.
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La punteggiatura