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INVALIDITA’ ED IMPUGNATIVA DELLE DELIBERE ASSEMBLEARI TABELLE MILLESIMALI E PROBLEMATICHE CONNESSE ALLA LORO APPROVAZIONE PIACENZA 13 GIUGNO 2009 1
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L’Art. 1137 c.c. prevede che contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino assente o dissenziente possa far ricorso all’Autorità giudiziaria nel termine di 30 giorni: la decorrenza è dal giorno dell’assemblea per i dissenzienti mentre per gli assenti è dalla ricezione del verbale assembleare. L’articolo in esame non contiene alcuna specificazione riguardo la natura del vizio che colpisce tali deliberazioni; la giurisprudenza è tuttavia pacificamente orientata nel ritenere che il termine suddetto riguardi unicamente le delibere annullabili cioè viziate nel processo di formazione perché non sono state osservate disposizioni all’uopo stabilite dalla legge. Infatti per le delibere nulle non c’è alcun termine, essendo le stesse impugnabili in ogni momento. In via di principio generale, sono nulle le delibere prive degli elementi essenziali, quelle aventi un oggetto impossibile oppure illecito (perché contrario alla legge, all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), quelle che incidono sui diritti individuali di ciascun Condomino sulle parti o sugli impianti comuni o sulla proprietà individuale (Cass. 21‐2‐1995 n. 1890; Cass. S.U.). Quanto invece al mancato o irregolare avviso di convocazione dell’assemblea da qualche anno non è più annoverabile fra i vizi che provocano la nullità della delibera: così ha deciso infatti la Corte Suprema a Sezioni Unite (Cass. S.U. 7‐3‐
2005 n. 4806) risolvendo un contrasto giurisprudenziale. In precedenza, infatti, la mancata o irregolare convocazione anche di un solo condomino, comportava la pesante conseguenza della nullità della delibera, assoluta e insanabile (Cass., Sez. II 27‐3‐2003 n. 4531) mentre ancor prima era stato considerato un vizio che comportava la sola annullabilità della delibera che di conseguenza è impugnabile entro il termine dell’art. 1137 c.c. (Cass. 5‐1‐2000 n. 31). La giurisprudenza ha pure introdotto il concetto di nullità relativa: sarebbe il caso delle delibere impugnabili soltanto da parte dei dissenzienti ma non da parte di coloro che hanno votato a favore. L’orientamento è stato espresso con riferimento all’approvazione maggioritaria delle tabelle millesimali: tali delibere 2
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sarebbero affette da nullità relativa in quanto rimarrebbero non impugnabili, come detto, dai condomini consenzienti ma non sarebbero obbligatorie per i condomini assenti e per quelli dissenzienti che potrebbero invece impugnarle senza il limite temporale previsto dall’art. 1137 c.c. (Cass. 6‐3‐1967 n. 520; Cass. 23‐12‐1967 n. 3012; Cass. 6‐5‐1968 n. 1385; Cass. 6‐3‐1970 n. 561; Cass. 14‐12‐1974 n. 4274). Tornando alla distinzione tra delibere nulle e annullabili, la giurisprudenza ha individuato queste ultime nelle delibere con vizi inerenti la regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate senza la maggioranza prescritta, quelle affette da vizi formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali e regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle affette da irregolarità nella convocazione, infine quelle che violano le norme che richiedono maggioranze qualificate in relazione all’oggetto. La distinzione summenzionata riproduce, in linea di massima, l’orientamento che, in riferimento alle delibere societarie, considera l’atto nullo quando manca un elemento costitutivo secondo la configurazione richiesta dalla legge: di conseguenza l’atto così viziato, è ritenuto inidoneo a dar vita ad una situazione giuridica; è considerato invece annullabile un atto con carenze meno gravi e che, pur dando provvisoriamente vita alla nuova situazione giuridica, può essere in seguito rimosso. Come detto, la distinzione tra nullità e annullabilità comporta diverse conseguenze. La prima è che i motivi di nullità possono essere sollevati in ogni tempo, sono imprescrittibili mentre quelli di annullabilità sono soggetti al termine di 30 giorni di cui all’art. 1137 c.c.. Inoltre la nullità può essere eccepita da chiunque vi abbia interesse e quindi anche dal Condomino che abbia votato a favore; l’annullabilità invece è rilevabile soltanto da chi non ha concorso alla formazione della volontà assembleare, ossia assenti e dissenzienti. L’azione di nullità è dichiarativa mentre quella di annullamento è costitutiva; infine la nullità non può essere né sanata né convalidata ma può essere solo sostituita da decisione successiva validamente adottata che, tuttavia, non avrà 3
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effetto retroattivo. L’annullabilità, invece, può essere sanata con delibera successiva.1 In dottrina è stato rilevato che il disposto dell’art. 1137 c.c. non distingue il tipo di vizio fatto valere e prevede un’azione d’impugnazione che prescinde appunto dalla natura del vizio che inficerebbe la delibera ed è stata quindi criticata la distinzione operata dalla giurisprudenza in quanto non trova alcun riscontro normativo. La menzionata opinione dottrinale vorrebbe fosse dato maggior peso al fatto che il legislatore, proprio attraverso il termine di decadenza dell’impugnazione, ha voluto evitare situazioni di perdurante incertezza nell’ambito condominiale che potrebbero anche comportare conseguenze economiche pregiudizievoli; configurando l’azione di nullità senza limiti di tempo, si consentirebbe al condomino d’impugnare anche a distanza di molti anni una delibera che abbia approvato innovazioni di vasta portata, realizzate da tempo e con spesa notevole, arrivando perfino a costringere il Condominio a sostenere ulteriori spese per ripristinare lo status quo ante. Proprio in quest’ottica, si profila allora una considerazione di opportunità: posto che l’Amministratore del Condominio, ai sensi dell’art. 1130 c.c., ha il dovere di dare attuazione alle delibere assembleari, nel caso di spese importanti e di lavori molto consistenti dovrà usare l’accortezza di esaminare preventivamente la “regolarità” della delibera così da non coinvolgere i Condomini in operazioni dispendiose e in pericolo di essere censurate: anche questo, del resto, rientra nei compiti dell’Amministratore che dovrà appunto incessantemente usare diligenza nell’amministrazione del Condominio, soprattutto nei casi in cui i Condomini dovranno decidere interventi importanti e di notevole entità economica. I principi generali enunciati dalla Giurisprudenza per individuare i motivi di nullità o annullabilità (e confermati dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite del 2005) sono stati applicati nella pratica dando così origine ad un’ampia casistica. A tale proposito, risulta di grande attualità un’osservazione svolta in Dottrina: la 1
Celeste A., L’assemblea, Giuffrè 2003, 369;
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distinzione tradizionalmente accolta dalla Giurisprudenza tra delibere nulle ed annullabili nella sua applicazione pratica può provocare una situazione d’incertezza che, a sua volta, potrebbe generare gravi inconvenienti come per esempio quello di lasciare il Giudice “totale arbitro di far rientrare un determinato vizio nell’una o nell’altra categoria”2 venendo a creare in questo modo sentenze tra loro contrastanti. Tra le varie pronunce se ne possono individuare alcune che potrebbero essere più significative di altre per l’importanza che rivestono nella gestione del Condominio. Tra queste, si può annoverare la sentenza della Suprema Corte (Cass. II Sez. 19 ottobre 1998 n. 10329) con la quale s’è affermato che: “E’ annullabile entro trenta giorni, su impugnazione dei condomini dissenzienti, la delibera il cui verbale dà atto del risultato della votazione in base al numero dei votanti senza indicare analiticamente i nomi dei partecipanti e il valore della loro proprietà in millesimi, specificazione necessaria per verificare la validità della costituzione dell’assemblea ai sensi dell’articolo 1136 del C.c. nonché il nome e il valore della quota proporzionale dei condomini assenzienti e dissenzienti, necessaria onde verificare la validità della delibera adottata sia in relazione ai quorum, se le quote sono disuguali, sia in relazione a un eventuale conflitto di interessi tra condomino e condominio”. Il rigore formale della pronuncia in esame è, secondo gli stessi giudici che l’hanno emessa, determinato dalla necessità di poter compiere un’efficace verifica sulla sussistenza, o meno, delle maggioranze richieste dall’art. 1136 c.c.. Altro argomento della sentenza in esame è l’interesse dei partecipanti a valutare l’esistenza di un eventuale conflitto d’interessi che è individuabile solo attraverso la specificazione della manifestazione di voto. Secondo la Corte, inoltre, essendo l’impugnazione della delibera consentita soltanto ai condomini assenti o dissenzienti, posto che per gli assenti esiste già l’annotazione dei loro nominativi in apertura di verbale, per i dissenzienti ha 2
Celeste, Opr. cit., 371;
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ritenuto invece occorra darne l’esatta indicazione così da conoscere preventivamente i nomi di coloro che possono impugnare la delibera. Un’altra pronuncia che potrebbe generare un ampio contenzioso, è quella che richiede siano stilati due separati verbali per la prima e per la seconda convocazione dell’assemblea, anche se è automatico che la redazione del verbale di seconda convocazione necessariamente significhi che la prima sia andata deserta. Tuttavia non è più sufficiente dare per scontato tale circostanza “che l’assemblea di prima convocazione è andata deserta”, occorre redigere un apposito e separato verbale. (Cass. II Sez., 24 aprile 1996, n. 3862). Procedendo con l’esame delle pronunce più significative, occorre nuovamente menzionare la sentenza n. 31/5 gennaio 2000 che, oltre ad essersi pronunciata in materia di annullabilità della delibera per mancato avviso di convocazione, ha pure fissato un concetto in materia di vizi attinenti l’oggetto della delibera assembleare che è stato poi recepito in successive pronunce (Cass. 5‐2‐2000 n. 1292; Cass. 2‐10‐2000 n. 13013). Il riferimento dell’art. 1137 c.c. a “deliberazioni contrarie alla legge” deve intendersi indirizzato a quelle delibere assunte dall’assemblea senza l’osservanza delle forme prestabilite dall’art.1136 c.c. ma pur sempre adottate nel rispetto dei limiti di attribuzione previsti dagli art. 1120, 1121, 1129, 1132 e 1135 c.c.. Da tale considerazione consegue che, qualora ai condomini non derivi pregiudizio dalla delibera adottata senza l’osservanza delle forme prescritte, mancherà il loro interesse a chiedere l’annullamento della delibera stessa. Ed infine, in materia di consultazione della documentazione inerente gli argomenti posti all’ordine del giorno, la Corte Suprema ha individuato nel diniego di tale consultazione un motivo di annullabilità della delibera riguardante la suddetta documentazione (Cass,. 19‐5‐2008 n. 12650). La Corte ha ritenuto che la violazione da parte dell’amministratore del diritto di ciascun condomino di esaminare a sua richiesta secondo adeguate modalità di tempo e di luogo la documentazione attinente ad argomenti posti all’ordine del giorno di una successiva assemblea condominiale, determina l’annullabilità delle delibere ivi successivamente approvate, riguardanti la suddetta documentazione, 6
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in quanto la lesione del suddetto diritto all’informazione incide sul procedimento di formazione delle maggioranze assembleari. Secondo la Corte, dunque, il rifiuto dell’amministratore di consentire al condomino di estrarre copia della documentazione contabile è destinata ad influire sulla validità della delibera di approvazione del bilancio. Una precedente pronuncia (Cass. 24‐1‐2004 n. 1544) aveva affermato, in linea con la successiva pronuncia in esame, che “in tema di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea condominiale, benché l’amministratore del condominio non abbia l’obbligo di depositare la documentazione giustificativa del bilancio degli edifici, egli è tuttavia tenuto a permettere ai condomini che ne facciano richiesta di prendere visione ed estrarre copia, a loro spese, della documentazione contabile, gravando sui condomini l’onere di dimostrare che l’amministratore non ha loro consentito di esercitare tale facoltà”. * * * * A titolo semplificativo, ma non certo esaustivo, possono dunque sinteticamente indicarsi come cause di annullabilità: ‐ la mancata convocazione di un condomino all’assemblea (Cass. 31/2000; Cass. 1292/2000); ‐ le ipotesi di difetto di quorum costitutivo o deliberativo (Cass. 13013/2000); ‐ le irregolarità nella convocazione e informazione dei condomini; ‐ l’incompletezza dell’ordine del giorno; ‐ la mancata sottoscrizione del verbale da parte del presidente; ‐ la partecipazione all’assemblea di un condomino munito di un numero di deleghe superiore a quello consentito dal regolamento condominiale. Possono altrettanto sinteticamente indicarsi come cause di nullità: ‐ la modifica delle tabelle millesimali; ‐ la fissazione di criteri derogatori a quelli legali nella ripartizione delle spese; ‐ l’illecita compressione dei diritti esclusivi del singolo condomino; ‐ la costituzione di una servitù sulle parti comuni; ‐ la sottrazione di un bene condominiale all’uso collettivo. * * * * 7
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Una volta delineate le cause di nullità e annullabilità della delibera assembleare, occorre individuare con quale forma debba essere impugnata. Nonostante, infatti, i giudici di merito abbiano ormai recepito che, trattandosi di giudizio ordinario, l’impugnazione vada introdotta con citazione e la Dottrina sia ormai concordemente indirizzata in tal senso, viene talvolta fatto riferimento a pronunce di legittimità che rischiano di risultare fuorvianti. Ci si riferisce a Cass. n. 1716/1975; Cass. n. 2081/1988; Cass. n. 1162/1988; Cass. n. 6205/1997 che facevano tutte riferimento alla forma del ricorso. La questione non può ritenersi ancora del tutto chiarita, ma le citate pronunce sono da ritenere tutte superate sulla scorta delle considerazioni che seguono. La Dottrina è concorde nel ritenere che: ‐
è contenzioso, quindi soggetto al principio del contraddittorio, il carattere della controversia instaurata con l’impugnazione della delibera; tale connotazione conferma che il termine “ricorso” contenuto nell’art. 1137 c.c. sia atecnico e non comporti affatto che il relativo giudizio debba inquadrarsi come volontaria giurisdizione; ‐
ulteriore conferma del carattere contenzioso della controversia introdotta con impugnazione è desumibile dal fatto che la stessa è diretta ad ottenere l’emanazione di una sentenza di accertamento, con efficacia di giudicato, se la delibera condominiale sia, o meno, conforme alla legge; ‐
la riforma del Codice di Procedura Civile ha riservato alla citazione la connotazione di atto introduttivo del giudizio, mentre in precedenza tale caratteristica era estesa anche al ricorso. Dalle suesposte considerazioni consegue che la forma corretta dell’impugnazione di delibera è quella della citazione e che la relativa notifica impedisce la decadenza ex art. 1137 c.c. se è stata effettuata nel termine previsto dallo stesso articolo. La Giurisprudenza di legittimità ha di recente suggellato l’ammissione di entrambe le forme, peraltro introdotta dalla Giurisprudenza di merito anni or sono (Trib. Genova 30‐6‐1998 in Arch. Loc. 1998, 567), pur rimanendo confermato che, ai fini interruttivi, il deposito del ricorso non è sufficiente 8
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(Cass. 30‐7‐2004 n. 14560). Tale ultimo concetto è criticato dalla Dottrina3 che, in ossequio all’enunciata equiparazione della forma dell’atto, uniformerebbe l’effetto interruttivo al deposito dell’atto stesso (divenendo tale l’iscrizione a ruolo nel caso si optasse per la forma della citazione) o alla notifica dell’atto stesso (il cui termine, nel caso del ricorso dovrebbe essere tenuta in considerazione dal Giudice che fissa l’udienza). Sono evidenti le notevoli difficoltà che tali principi inevitabilmente comporterebbero nella loro attuazione pratica e pertanto la forma della citazione appare la più utile oltre che la più consona ai principi generali del Codice di Procedura.. 3
Celeste A. “Liti Condominiali e nuovo processo civile”, 178;
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TABELLE MILLESIMALI E PROBLEMATICHE CONNESSE ALLA LORO APPROVAZIONE Caratteristiche generali L’importanza delle tabelle millesimali è talmente ovvia che non ha nemmeno bisogno di essere sottolineata. La loro formazione è necessaria per poter gestire il Condominio: per esempio per consentire la divisione delle spese condominiali, siano esse di gestione ordinaria o di gestione straordinaria, per calcolare i quorum costitutivi e deliberativi dell’assemblea. La disciplina si trova negli artt. 68 e 69 delle Disposizioni di Attuazione del Codice Civile. L’art. 68 prevede che: “Per gli effetti indicati dagli articoli 1123, 1124, 1126 e 1136 del codice, il regolamento di condominio deve precisare il valore proporzionale di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini. I valori dei piani o delle porzioni di piano, ragguagliati a quello dell’intero edificio, devono essere espressi in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio. Nell’accertamento dei valori medesimi non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano” L’Art. 69 prevede che: “i valori proporzionali dei vari piani o porzioni di piano possono essere riveduti o modificati, anche nell’interesse di un solo condomino, nei seguenti casi: 1) quando risulta che sono conseguenza di un errore; 2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza della sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di innovazioni di vasta portata, è notevolmente alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano. Dal tenore dell’art. 68 in esame si evince che: ‐ nel Condominio è necessario che sia redatta una tabella (millesimale) nella quale sia precisato il valore dei piani ragguagliato a quello dell’intero edificio; 10
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‐ tale rapporto di valore debba essere espresso in millesimi; ‐ la finalità delle tabelle è quella di facilitare, se non addirittura consentire, la gestione del fabbricato: come detto sono infatti essenziali per la ripartizione delle spese e, prima ancora, per il conteggio dei quorum assembleari e la conseguente verifica della validità sia della costituzione sia, successivamente, delle delibere adottate. Il legislatore ha voluto dunque che le proprietà private fossero valutate in base al loro valore ed in rapporto tra loro, secondo parametri definiti. Le tabelle millesimali possono dunque essere definite come la rappresentazione di un rapporto di valore che consiste nella quantificazione della relazione (di valore) che intercorre tra ciascuna singola proprietà esclusiva (sia essa il piano o la porzione di piano) e la somma di tutte le proprietà esclusive che il Codice Civile individua come “intero edificio”.4 La disposizione dell’art. 68 in esame prevede che i valori dei piani, ragguagliati a quello dell’intero edificio, debbano essere espressi in millesimi; questo consentirà di ottenere rapporti di valore tra loro omogenei (perché hanno il numeratore e il denominatore rapportato a mille) oltre che utilizzabili sia nel loro complesso sia singolarmente. Per fare un esempio: se ad un appartamento viene attribuita la quota millesimale di 100 significa che il rapporto tra il suo valore e quello dell’intero edificio è rappresentato dalla frazione 100/1000: equivale a dire che tale appartamento vale un decimo del valore totale dell’edificio. Nel Condominio, tuttavia, in relazione alle tabelle millesimali, si verifica un singolare fenomeno: le parti comuni, infatti, sono poste strutturalmente e oggettivamente a servizio di un altro insieme, quello dei beni esclusivi. Tale rapporto di servizio o di utilità determina la singolarità cui si faceva cenno: l’entità della quota di comproprietà che il singolo condomino ha sulle parti e sugli impianti comuni, viene individuata attraverso l’entità di un altro bene che è la proprietà esclusiva.5 4
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Celeste-Salciarini “Regolamento Condominiale e Tabelle Millesimali” Giuffrè 2006, 441;
Celeste-Salciarini, op. cit., 452;
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La quota millesimale potrebbe così avere un duplice scopo: quello di consentire la gestione del Condominio oltre a quello di accertare la quota di comproprietà sui beni comuni spettante a ciascun Condomino. Natura giuridica Seguendo l’impostazione data dal Codice Civile, il rapporto di valore tra le varie unità immobiliari è preesistente alla redazione delle tabelle che, dunque, si limitano a tradurlo numericamente senza poter incidere sulla quantificazione. Da ciò consegue che il valore delle tabelle millesimali sia solamente dichiarativo e non costitutivo. Come oltre si espliciterà, gli effetti di tale natura si riverberano sia sulla decorrenza della loro validità sia sulla forma del consenso. Le tabelle millesimali possono essere redatte con riferimento ai millesimi di proprietà ma anche in relazione alla gestione dei servizi: è il caso, per esempio, delle tabelle per la divisione delle spese dell’ascensore o del riscaldamento; tale circostanza, tuttavia, non ne muta la funzione di accertamento del rapporto di valore e tale funzione non muta nemmeno se le tabelle per la gestione dei servizi scaturiscono dalla “diversa convenzione” tra condomini come prevede l’art. 1123 c.c. o dal titolo: può infatti accadere nel primo caso che, con riferimento alla ripartizione delle spese, i condomini stipulino un accordo (che dovrà essere contrattuale) che stabilisca di ripartire diversamente le spese o magari di ripartirle in modo personalizzato come accade se, per esempio, i negozi vengono esclusi dalla partecipazione alla spesa di pulizia e illuminazione delle scale; nel secondo caso può invece accadere che il rogito quantifichi direttamente la quota di comproprietà magari prescindendo dal reale accertamento del menzionato rapporto di valore6. Le tabelle millesimali accertano dunque un rapporto di valore e lo esprimono attraverso frazioni millesimali, siano esse di proprietà o di ripartizione delle spese, senza che abbia influenza il fatto che nascano dalla situazione di fatto, da una diversa convenzione tra condomini o dal titolo. 6
Celeste-Salciarini, op. cit., 447;
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Le tabelle hanno come detto natura dichiarativa, si fondano su dichiarazioni unanimi e concordanti dei condomini che possono essere manifestate apertamente ma anche tacitamente attraverso comportamenti definiti “facta concludentia”. S’è accennato alla possibilità di affiancare alle tabelle di proprietà quelle per i servizi. Orbene, la tabella dei millesimi di proprietà andrà rigorosamente usata per il calcolo del quorum costitutivo e deliberativo dell’assemblea condominiale. Infatti, secondo il disposto dell’art. 1136 c.c., le maggioranze ivi previste per i vari casi sono inderogabili. In dottrina s’è a questo proposito affermato che se si ritenesse possibile che contrattualmente si potessero determinare quote millesimali diverse da quanto risulta dal reale rapporto di valore o dal titolo, si arriverebbe ad ammettere anche che l’art. 1136 sia derogabile, seppure indirettamente7. Seguendo tale tesi dottrinale, la giurisprudenza di legittimità appare imprecisa laddove non distingue il prius determinato dalla determinazione del rapporto di valore tra la proprietà individuale e l’intero edificio ed il posterius determinato dalle tabelle millesimali; queste ultime infatti non possono incidere sul rapporto di valore ma soltanto riconoscerlo e renderlo certo8. E’ il caso della pronuncia n. 11960/28 giugno 2004 che, non tenendo conto di tale distinzione, ammette che le tabelle di natura contrattuale (tali per essere state predisposte dall’unico originario proprietario e accettate poi dai singoli acquirenti oppure oggetto di accordo da parte di tutti i Condomini) possono fissare criteri di ripartizione delle spese comuni anche diversi da quelli stabiliti dalla legge e possono inoltre essere modificate con il consenso unanime dei Condomini. Appare inoltre imprecisa (Cass. 12/6/2001 n. 7908; Cass. 16/2/2001 n. 2253) laddove non ha tenuto distinto l’accordo, costituito dal titolo contrario o da diversa convenzione tra le parti, dalle tabelle ed ha quindi ritenuto inammissibile 7
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Celeste-Salciarini, op. cit., 449 n. 16;
Celeste-Salciarini, op. cit. 449;
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tout court l’azione di revisione a seguito di errore prevista dall’art. 69 Disp. Att. c.c.. La natura dichiarativa e non costitutiva delle tabelle è importante perché tale connotazione produce un effetto rilevante: nel caso di revisione, le nuove tabelle ‐ anche se di formazione giudiziale ‐ non hanno efficacia retroattiva. Iniziano cioè a produrre i loro effetti al momento dell’approvazione oppure, in caso di sentenza, dal momento in cui la stessa diviene definitiva. Funzione La funzione delle tabelle millesimali è fornita proprio dall’art. 68 Disp. Att. c.c. che la individua “per gli effetti indicati dagli art. 1123, 1124, 1126 e 1136 c.c.”. I primi tre articoli riguardano rispettivamente i criteri per la ripartizione delle spese di conservazione e godimento delle parti comuni nonché la prestazione dei servizi nell’interesse comune, quelle di rifacimento o ricostruzione delle scale, quelle inerenti il lastrico solare. L’ultimo articolo riguarda, come detto, il funzionamento dell’assemblea. Si può dunque affermare che la funzione delle tabelle millesimali è quella di consentire il complesso di atti relativi alla gestione del condominio o direttamente con l’attuazione delle delibere o indirettamente con la nomina dell’amministratore al quale è devoluta la gestione del condominio. La redazione delle tabelle millesimali è dunque uno strumento essenziale per la vita del condominio. Qualora mancassero, occorrerà formare dei criteri provvisori di individuazione delle quote di valore in base alle quali poter procedere con le deliberazioni assembleari e con la divisione delle spese, salvo successivo conguaglio: si tratta infatti di un criterio puramente operativo ed i suddetti criteri provvisori non dovranno divergere da quelli del rapporto fra proprietà singole e intero edificio (Cass. 5 ottobre 1983 n. 2794). Formazione delle tabelle Per poter calcolare il rapporto di valore che intercorre fra le varie proprietà che compongono l’edificio condominiale occorre valutarle nella loro consistenza e qualità. E’ tuttavia un operazione complessa che potrebbe essere equiparata ad 14
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una vera e propria perizia tecnica. Va inoltre precisato che non sono state ancora formulate regole vincolanti; si tratta di materia squisitamente tecnica basata principalmente sui criteri che regolano la valutazione degli immobili. Senza scendere in aspetti tecnici, occorre tener presente che la superficie delle proprietà esclusive costituisce solo la base di partenza del calcolo alla quale vengono poi applicati coefficienti ad hoc che tengono conto di tutte le altre caratteristiche dell’immobile secondo idonei coefficienti che vanno dall’altezza del piano alla destinazione, all’ubicazione, all’esposizione ed alla luminosità dell’immobile e così via. Può dunque accadere che ad appartamenti di eguale estensione corrispondano quote millesimali diverse proprio per la differente applicabilità dei vari coefficienti. L’art. 68 in esame non detta i singoli criteri ma fornisce una regola generale di esclusione: prevede infatti che nel calcolo del valore delle unità immobiliari non si tenga conto “del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascun piano o porzione di piano”. Quanto al supercondominio: non essendovi regole precostituite data la recente creazione dell’istituto, ha sopperito la giurisprudenza statuendo che “nel supercondominio la ripartizione delle spese comuni dev’essere effettuata mediante la determinazione del valore di ogni edificio all’interno del supercondominio stesso e all’interno di ogni edifico mediante la formazione di tabelle millesimali che ripartiscono la quota dell’edificio tra i singoli proprietari in proporzione del valore delle singole unità immobiliari9. Quanto alla forma, non vi sono disposizioni che impongano quella scritta, anche se ciò potrebbe essere desumibile dal testo dell’art. 68 Disp. Att. c.c. che ne dispone l’allegazione al regolamento di condominio che si configura come atto scritto. Per comodità operativa, tuttavia, accompagnata da maggior agio nella loro utilizzazione e soprattutto per soddisfare esigenze di certezza, rimane tuttavia opportuno avvalersi di tabelle millesimali documentali. 9
Trib. Milano 24-3-2003 in Giust. 2003, 22, 2595.
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S’è fatta questa precisazione in quanto, in relazione all’accenno fatto in precedenza ai “facta concludentia” che possono ‐una volta consolidati nel tempo‐ far considerare approvate le tabelle applicate continuativamente e senza contrasti, va ulteriormente precisato che, sebbene tale principio possa anche significare che i comportamenti messi in atto significano approvazione delle tabelle, non vuole però affermare che tale modalità debba proprio significare la completa mancanza di un documento scritto. Anche la giurisprudenza del resto, affrontando l’aspetto in questione, quando ha affermato la rilevanza dei comportamenti concludenti, l’ha fatto in riferimento a tabelle millesimali approvate in via preliminare dall’assemblea e poi applicate in concreto con l’adesione tacita dei Ccndomini che a tale assemblea non avevano partecipato.10 Approvazione e modifica Giurisprudenza decisamente prevalente ritiene che l’approvazione delle tabelle millesimali debba avvenire attraverso l’approvazione unanime dei condomini11. A sostegno di tale orientamento sono stati portati diversi argomenti: a) la determinazione dei valori della proprietà di ciascun condomino è regolata dalla legge direttamente e non rientra quindi nella competenza dell’assemblea (Cass. 9‐8‐1996 n. 7359); b) l’approvazione delle tabelle millesimali è un atto negoziale inquadrabile nei negozi di accertamento con la conseguente necessità del consenso di tutti i Condomini (Cass. 8‐7‐1964 n. 1801); c) essendo la formazione delle tabelle pregiudiziale alla costituzione e alla validità delle delibere assembleari, non possono formarne oggetto (Cass. 6‐3‐1967 n. 520); Seguendo tale orientamento, posto che non esiste una norma che attribuisca all’assemblea la competenza a deliberare in tema di tabelle millesimali, la delibera che le approvi a maggioranza sarebbe radicalmente nulla. Per lo stesso 10
Cass 26-1-2004 n. 1314 in Arch. Loc. 2004, 219.
Cass. 5-6-2008 n. 14951; Cass. 19-10-1988 n. 5686; Cass. 17-10-1980 n. 5593; Cass 18-4-1978 n. 1846; Cass. 8-111977 n. 4774; Cass. 6-3-1967 n. 520
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motivo sarebbe inoltre inefficace nei confronti dei condomini dissenzienti o assenti. Tuttavia l’approvazione maggioritaria delle tabelle non rimane senza effetti. E’ stato infatti affermato che tali deliberazioni sarebbero affette da nullità relativa in quanto rimarrebbero non impugnabili dai condomini consenzienti ma non sarebbero obbligatorie per assenti e dissenzienti che potrebbero invece impugnarle senza il limite temporale previsto dall’art. 1137 c.c. (Cass 6‐3‐1967 n. 520; Cass. 23‐12‐1967 n. 3012; Cass. 6‐5‐1968 n. 1385; Cass. 6‐3‐1970 n. 561; Cass. 14‐12‐1974 n. 4274). La suddetta limitata efficacia da attribuire alle tabelle approvate a maggioranza è stata basata sul fatto che la determinazione dei valori millesimali è attuata per la ripartizione delle spese condominiali e per il funzionamento delle assemblee ma non incide sui diritti reali né sul valore reale dei beni. Secondo altro orientamento la deliberazione assunta a maggioranza (sempre per l’approvazione delle tabelle millesimali) sarebbe invece affetta da nullità assoluta ‐ e quindi inefficace anche per coloro che hanno votato a favore ‐ qualora non sia stata assunta con la maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio; se adottata con tale ultima maggioranza sarebbe invece affetta da nullità relativa solo nei confronti di assenti e dissenzienti perché sarebbe conseguenza della loro mancata adesione (Cass. 24‐11‐1983 n. 7040; Cass. 9‐2‐1985 n. 1057). E’ stato anche affermato che la delibera maggioritaria rimane inefficace fintanto che, in epoca successiva, si verifichi il consenso di tutti i condomini manifestato dagli assenti attraverso l’applicazione di fatto delle tabelle (Cass. 17‐10‐1980 n. 5593). Quanto al pagamento delle quote determinate secondo le tabelle approvate a maggioranza, rimane costante l’affermazione per cui tale pagamento rappresenti un’accettazione delle tabelle stesse visto che non si verte in tema di effetti reali. Di conseguenza il consenso all’approvazione delle tabelle, non richiedendo particolari requisiti formali, ben può manifestarsi per facta concludentia (Cass. 8‐
11‐1977 n. 4774; Cass. 19‐10‐1988 n. 5686). 17
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* * * * Anche per la revisione delle tabelle millesimali la giurisprudenza richiede l’unanimità dei consensi, ma non sono mancate considerazioni analoghe a quelle svolte per la loro approvazione. E’ stato quindi affermato che la reiterata partecipazione, con voto favorevole alle delibere adottate per ripartire le spese straordinarie in base a valori diversi da quelli espressi nelle tabelle millesimali oppure anche l’acquiescenza rappresentata dalla concreta applicazione delle stesse tabelle per più anni, può assumere il valore di unico comportamento rivelatore di volontà di parziale modifica delle tabelle millesimali e può dar luogo quindi ad una convenzione modificatrice che non richiede la forma scritta ma solo il consenso dei condomini, anche tacito o per facta concludentia, purchè non equivoco (Cass. 16‐7‐1991 n. 7884; Cass. 19‐10‐1988 n. 5686; Cass. 17‐5‐1994 n. 4814). Tali considerazioni non sono invece applicabili a quei condomini che abbiano espresso il loro dissenso perché in tal caso la loro esplicita volontà esclude che si possa ravvisare una volontà tacita o presunta (Cass. 28‐4‐2005 n. 8863). Di recente si è formato un orientamento secondo cui le tabelle millesimali allegate al regolamento condominiale, qualora abbiano natura convenzionale (perché predisposte dall’unico originario proprietario ed accettate dagli acquirenti oppure siano il risultato dell’accordo di tutti i condomini), possono fissare criteri di ripartizione delle spese condominiali diversi da quelli stabiliti dalla legge e possono inoltre essere modificate con il consenso di tutti i condomini o per atto dell’Autorità giudiziaria ex art. 69 Disp. Att. c.c.. Qualora invece abbiano natura deliberativa devono contenere criteri di divisione delle spese conformi alla legge e possono essere modificate con la maggioranza dell’art. 1136 co. 2 c.c. oppure con atto dell’Autorità giudiziaria ex art. 69 Disp. att. c.c.. Da tali considerazioni è stata tratto l’ulteriore principio secondo cui sarebbe affetta da nullità la delibera che modifichi le tabelle convenzionali senza aver ottenuto il consenso unanime dei condomini mentre sarebbe valida la delibera 18
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che con la maggioranza dell’art. 1136 co. 2 modificasse le tabelle maggioritarie (Cass. 28‐6‐2004 n. 11960; Cass. 23‐2‐2007 n. 4219; Cass. 25‐8‐2005 n. 17276). La Corte Suprema, con ordinanza 2 febbraio 2009 n. 2568, ha assunto una posizione critica nei confronti di tutti gli orientamenti fin qui esposti, ed inoltre, sulla scorta del contrasto giurisprudenziale che si è venuto a formare ha trasmesso gli atti per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite. Rimane invece aperto un altro contrasto giurisprudenziale sulla definizione dell’errore che giustifichi la revisione sorto dopo la pronuncia delle Sezioni Unite del 9 luglio 1997 n. 6222 e non è stato ancora preso alcun provvedimento. Le Sezioni Unite hanno privilegiato l’inquadramento dell’errore come semplice divergenza tra il valore effettivo delle singole proprietà e quello attribuito loro dalle tabelle millesimali anziché ritenere che l’errore che poteva inficiare le tabelle millesimali fosse il vizio del consenso contemplato dall’art. 1428 c.c. in materia di contratti. A tale orientamento si erano uniformate successive pronunce (Cass. 27‐3‐2001 n. 4421; Cass. 28‐3‐2001 n. 4528) che ribadivano che l’errore che giustifica la revisione delle tabelle millesimali non coincide con l’errore vizio del consenso ma consiste nell’obiettiva divergenza tra il valore delle singole unità immobiliari e il valore proporzionale ad esse attribuite nelle tabelle, senza che in proposito rilevi il carattere negoziale della formazione delle stesse. In tale contesto si è tuttavia riaccesa la voce contraria che ha ritenuto invece che l’errore è rilevante solo in quanto abbia determinato un vizio del consenso (Cass. 1‐3‐2000 n. 2253; Cass. 2‐6‐2001 n. 7908). Il contrasto rimane dunque tuttora aperto ed in attesa di soluzione univoca. Parma, 10 giugno 2009 19
Avv. Daniela Barigazzi 
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