UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
FACOLTA’ DI FARMACIA
Dott. FERRUCCIO BALDUCCI
C/O Farmacia Balducci
Via G.Giusti 15 – Calenzano (Fi)
Tel. 055/8879004 – [email protected]
MASTER ACCADEMICO
ELEMENTI DI FITOTERAPIA
“…è tanto dilettevole Natura e copiosa nel variare, che infra li alberi
della medesima Natura non si troverebbe una pianta ch’appresso
somigliasse all’altra, e non che le piante, ma li rami o le foglie o i frutti
di quelle, non si troverà uno che precisamente somigli ad un altro.”
LEONARDO DA VINCI
La fitoterapia è la scienza che studia la possibilità di utilizzare piante o parti di esse a
scopo terapeutico. In questo Master cerco di farvi capire l’importanza della
fitoterapia come vostro consiglio in farmacia, ma anche come aiuto al medico nel
trattamento di gravi patologie. Proprio da questo punto vorrei partire, per attirare
subito la vostra attenzione.
Esistono, ad esempio, delle formulazioni che riescono a rallentare notevolmente la
progressione della massa tumorale in una parte dei soggetti colpiti da carcinoma
prostatico. Si tratta di pazienti che sono già stati sottoposti nel tempo a tutti i
protocolli di trattamento scientificamente riconosciuti, radioterapici, chemioterapici,
spesso anche chirurgici, e ai quali essi non rispondono più. Quando i loro tessuti (la
Forza Vitale, direbbero gli omeopati) sono ancora in grado di reagire a qualche
stimolo, i risultati clinici sono notevoli. Questi trattamenti avranno bisogno di
ulteriori conferme ed anni di studio, ma al momento dimostrano almeno un’
incoraggiante validità. A questo punto, grazie alla ricerca costante di dati e studi
scientifici (al 99% sul Web, la vera rivoluzione di questi tempi) i medici e i farmacisti
più attivi riescono a trovare dati importanti, sconosciuti purtroppo alla gran parte
della comunità scientifica, ma che rappresentano una miniera alla portata di tutti. Lo
studio di queste pubblicazioni ha portato alcuni medici a richiedere, ad esempio,
questa formulazione:
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Ganoderma Lucidum estratto secco
Chrysantemum Morifolium e.s.
Scutellaria Baicalensis e.s.
Isatis Indigotica e.s.
Panax Pseudoginseng e.s.
Glycyrrhiza Glabra e.s.
Serenoa Repens e.s.
Quercetina polvere
Rabdosia Rubescens e.s.
Beta-sitosterolo polvere
Magnesio ossido polvere
in percentuali diverse.
In vitro è stata osservata la soppressione di linee cellulari tumorali androgenosensibili ed insensibili. Le principali attività farmacologiche delle singole piante
vanno, infatti, da quella antineoplastica (Ganoderma Lucidum, Rabdosia Rubescens,
Scutellaria Baicalensis) a quella antinfiammatoria (Scutellaria Baicalensis,
Glycyrrhiza Glabra), da quella immunostimolante (Ganoderma Lucidum, Isatis
Indigotica) a quella antivirale (Scutellaria Baicalensis, Chrysantemum Morifolium),
fino al blocco dell’enzima 5-alfa-reductasi (Serenoa Repens).
La cosa da sottolineare e da non dimenticare mai, è questa :
la pianta, o parte di essa, utilizzata in terapia agisce nei tempi e nei modi indicati
non solo in virtù del singolo principio attivo, ma di tutte le sostanze in essa
contenute: agisce, cioè, il fitocomplesso.
Le sostanze che a volte vengono ancora chiamate “secondarie”, e delle quali spesso si
ignora l’utilità per la pianta, sono quelle che regolano in terapia l’azione del principio
attivo (o del principio maggiormente presente), amplificandone gli effetti desiderati, e
riducendone o annullandone gli effetti indesiderati: svolgono, quindi, un’ azione
sinergica al principio attivo. Per questo, in un estratto secco, è importante
considerare il titolo del singolo principio attivo, espresso generalmente con una
percentuale, sapendo che la sua attività farmacologica è sostenuta e regolata da tutto
il complesso di sostanze che lo accompagnano.
Un esempio: un estratto secco di Harpagophytum procumbens (artiglio del
diavolo) il cui titolo in arpagoside, chimicamente un eteroside iridoide, può risultare
standardizzato generalmente all’1,5%, ma anche al 2,5%. Questo fitocomplesso viene
prescritto dal medico come antinfiammatorio, ma al contrario di quanto si pensi,
andando ad inibire le Ciclossigenasi, può essere responsabile di disturbi gastrici,
interazioni con FANS, antiaggreganti piastrinici ed anticoagulanti: basta questo
banale esempio per capire l’importanza di conoscere il titolo (concentrazione) del
principio attivo.
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Quando si parla di fitoterapia il sistema immunitario va tenuto ben presente, perché
sono numerosi gli studi che mostrano un’attività immunostimolante o
immunomodulante delle piante. I meccanismi che regolano tale sistema sono
estremamente complessi e sicuramente non ancora ben definiti.
L’immunità innata o naturale è definita come “l’insieme di reazioni immunitarie
che hanno in comune la caratteristica di non produrre memoria”: il patogeno viene
cioè distrutto senza che il sistema ne conservi il ricordo, cosicché, per esempio, i
neutrofili possono incontrare cento volte lo stesso batterio, ma si comporteranno ogni
volta come se fosse la prima. I linfociti, invece, che fanno parte della seconda linea di
difesa del sistema immunitario, dopo aver prodotto una risposta specifica (anticorpale
o citotossica), danno vita a cellule-memoria, capaci di scatenare, in un successivo
incontro con lo stesso patogeno, una reazione più rapida e più imponente di quella
prodotta nel primo incontro. In questo caso si parla di immunità acquisita.
I linfociti B e i linfociti T sono protagonisti di due diversi tipi di risposta immunitaria:
quella cosiddetta umorale, mediata da anticorpi, e quella cosiddetta cellulo-mediata,
appunto mediata da cellule. Questi diversi tipi di linfociti, compresi anche i T
citotossici, rappresentano le cellule effettrici delle risposte immunitarie
specifiche.
Oggi sappiamo che il sistema immunitario reagisce in modo diverso a seconda che
l’organismo sia infettato da parassiti intracellulari (virus) oppure da batteri e tossine.
Nel caso dei virus il modo principale per bloccare l’infezione è la distruzione della
cellula infettata, che rappresenta l’incubatrice per la riproduzione del virus, da parte
dei linfociti Natural Killer ed in seconda battuta dei linfociti T Citotossici (CD8+). I
NK attivati producono INF-γ che richiama nuovi monociti, potenziali cellule
dendritiche o macrofagiche, i quali a loro volta producono IL-12 che indirizza i
linfociti T helper (CD4+) verso la via Th 1. In questi casi la risposta umorale è molto
ridotta.
Un batterio, invece, non solo attiva direttamente i linfociti B incontrati, ma dopo
essere stato fagocitato viene presentato da cellule specializzate (APC) ai linfociti T
helper (CD4+), un tipo dei quali (Th 2) a sua volta attiva i linfociti B, con produzione
di anticorpi specifici.
I macrofagi, comunque, tramite la produzione di diversi set citocinici, possono
indirizzare i linfociti T helper verso la via Th 1, Th 2 o Th 3.
Finora sono stati studiati tre tipi di linfociti T helper: Th1, Th2 e Th3. I Th1
determinano una forte risposta cellulo-mediata, sostenuta da un’altrettanto forte
risposta infiammatoria, e sono collegati ad un circuito citochinico che comprende
Interleuchina 2 (IL-2), IL-12, Interferone gamma (INF-γ) e Tumor Necrosis Factor
(TNF), mentre i Th 2, stimolati da IL 4 e IL 13, inducono una notevole risposta
anticorpale. I Th 3 inducono una risposta tollerante che è sostenuta da IL-10 e TGFβ, interrompendo la risposta immunitaria, di qualsiasi tipo essa sia. Essi sono
chiamati anche T suppressors
Il sistema immunitario può dunque attivare due diverse linee di difesa che agiscono in
modo sincrono. Una prima linea, filogeneticamente di origine più antica, è
rappresentata da macrofagi, neutrofili, ed in generale cellule che fagocitano i
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patogeni, le quali sono coadiuvate nella loro azione dai Natural Killer, nel caso di
virus e cellule trasformate in senso maligno, e sempre da eosinofili, basofili e
mastociti, per amplificare la risposta infiammatoria. In certi casi l’attivazione del
sistema immunitario si ferma qui, per esempio quando sono da riparare ferite
superficiali. Quando il problema è più serio, allora viene attivata la seconda linea di
difesa: le cellule dendritiche, parenti strette dei macrofagi in quanto derivano
anch’esse dai monociti del sangue, sono il fattore chiave di collegamento. Esse
catturano i patogeni non ancora bloccati dalla prima linea e giunte nei linfonodi ne
espongono dei frammenti sulla superficie, al cospetto dei linfociti, che sono però
anche richiamati dalle citochine prodotte dai macrofagi e dai NK. L’attivazione
effettiva dei linfociti avviene nei linfonodi, a partire dalla classe indifferenziata Th 0:
in base all’ambiente in cui operano si possono differenziare, come abbiamo visto, in
Th 1, Th 2, Th 3.
La diversa via di risposta linfocitaria è quindi conseguenza della stimolazione
citochinica e dell’ambiente circostante: a livello delle mucose la reazione è
principalmente di tipo anticorpale, con produzione di IL-4, mentre l’attivazione
immunitaria nell’ambito della cute e del sangue è principalmente citotossica ed
infiammatoria, con produzione di IL-12 e INF-γ. Infatti una risposta prevalentemente
infiammatoria a livello di tessuti delicati come le mucose, ma anche di organi
come il cervello o l’occhio, può portare col tempo a sviluppare malattie
infiammatorie croniche, quali rispettivamente, morbo di Crohn, sclerosi multipla e
uveite.
Le migliaia di miliardi di cellule che compongono il sistema immunitario sono in
comunicazione fra di loro grazie ad una vera e propria “rete informatica”: essa è
rappresentata principalmente da citochine, sostanze proteiche rilasciate dalle cellule
immunitarie, che informano “in tempo reale” i vari reparti sullo stato reale del
sistema. Fra le citochine sono comprese :
Interleuchine (IL)
Interferoni (INF)
Fattori di necrosi tumorale (TNF)
Fattori di crescita delle colonie (CSF)
Fattore di crescita trasformante (TGF)
Questi messaggeri chimici producono effetti in quanto sono in grado di trasmettere il
segnale fino al nucleo della cellula bersaglio, influenzando l’azione dei geni di
riferimento. Inoltre sono fondamentali nei collegamenti tra il sistema immunitario e
gli altri grandi sistemi, principalmente il sistema nervoso centrale e quello endocrino
(si parla anche di psiconeuroendocrinoimmunologia o PNEI).
Il midollo osseo, con un peso complessivo di circa 2,5 kg, è in gran parte costituito da
cellule immunitarie: nel giovane fino al 75% del peso del midollo è rappresentato da
cellule immunitarie, che scende al 50% nell’adulto e al 25% nell’anziano. Tutte le
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cellule del sangue derivano dalla Cellula Staminale Ematopoietica, da cui
successivamente si formano i capostipiti delle due linee: mieloide e linfoide.
Appartengono alle cellule di derivazione mieloide le piastrine, i globuli rossi, i
granulociti e i monociti del sangue da cui derivano i macrofagi dei tessuti. Le cellule
linfoidi sono invece i linfociti B, che formano le plasmacellule ed i vari anticorpi, e i
linfociti T.
Le cellule Natural Killer sono da considerare la terza classe di linfociti, dopo la B e la
T. Esse hanno la caratteristica di distruggere le cellule infettate da virus e le cellule
neoplastiche senza bisogno di essere attivate: questa proprietà li accomuna ai linfociti
T citotossici (CD8+). La morfologia delle NK e dei linfociti citotossici è quasi
identica, per cui si pensa che esse derivino da un comune precursore. Anche l’attività
è molto simile, diciamo che è complementare, perché le une attaccano le cellule non
attaccabili dalle altre. Le NK sono comunque molto più sensibili dei linfociti T
citotossici allo stress psicofisico: infatti è documentato come una privazione del
sonno o uno stress emozionale, come nel caso di esami universitari, porti ad una
minore reattività di queste cellule.
Le cellule NK producono interferone gamma, il segnale più significativo per
l’attivazione della risposta Th 1, sotto lo stimolo della IL-12 rilasciata soprattutto dai
macrofagi che hanno ingoiato patogeni, che a loro volta sono stimolati dall’ INF-γ ad
aumentarne la produzione. La combinazione fra INF-γ e IL-12 costituisce un segnale
potente di attivazione della risposta Th 1, che è essenziale per distruggere sia le
cellule neoplastiche che quelle infettate dai virus e da alcuni batteri particolari, come
il micobatterio della tubercolosi. È stato comunque notato che le cellule NK sono più
o meno efficaci a seconda del virus che infetta l’organismo. In particolare pare che
contro i virus che si diffondono in modo generale, sistemico, per esempio morbillo,
esse abbiano una notevole attività, mentre per altri, che esprimono la malattia in
distretti localizzati, come quelli erpetici e quelli del raffreddore e dell’influenza, che
arrivano principalmente dalla mucosa respiratoria e rimangono in zona, le NK siano
molto meno efficaci. Questo forse perché dalla mucosa viene attivata principalmente
la risposta Th 2 che è di tipo umorale e che chiaramente va ad inibire le NK.
I macrofagi e le NK rappresentano quindi la linea difensiva anche nella fase iniziale
dell’infezione virale. Agiscono in modo sinergico, in quanto l’ IL-12 prodotta dal
macrofago stimola le cellule NK a produrre INF-γ, il quale fa aumentare la
produzione di IL-12 da parte del macrofago con lo scopo di arruolare nuovi NK, ma
va anche ad attivare i linfociti T citotossici che hanno un’azione diretta sul virus e
sulle cellule da esso infettate. In realtà esiste quasi sempre anche l’attivazione diretta
dei linfociti B, senza cioè passare dalla via dei Th 2, con produzione di anticorpi
antivirali specifici e formazione di immunocomplessi. A questo punto un altro
caposaldo dell’immunità naturale, il sistema del complemento, si lega a questo
immunocomplesso e ne favorisce l’eliminazione da parte dei fagociti.
Le cellule dendritiche sono dotate della importante capacità di selezionare il tipo di
risposta immunitaria più adatta al tipo di patogeno e al contesto entro cui essa si
realizza. Questa scelta dipende da tanti fattori, ancora non chiariti, ma essenziale è la
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quantità di IL-12 prodotta : se è alta verrà selezionata principalmente una risposta
infiammatoria e citotossica, cioè di tipo Th 1, se è bassa si attiverà la via Th 2 con
produzione di anticorpi specifici.
Esiste una principale differenza fra i linfociti B e i linfociti T. I primi riconoscono
l’antigene anche se non è “presentato” da cellule specifiche, ma una volta attivati
modificano la loro struttura recettoriale che rimarrà tale per tutta la vita
dell’organismo: sono cellule dotate di memoria immunitaria e si calcola che siano in
grado di produrre un milione di miliardi di anticorpi diversi. Esse si riattiveranno
subito nel caso di un nuovo incontro con lo stesso antigene, anche a distanza di molti
anni.
I secondi, invece, si attivano a livello dei linfonodi solo quando il proprio recettore
viene a contatto con le strutture antigeniche presentate da cellule specializzate; però
non modificano il loro recettore che anzi possiede un milione di miliardi di siti di
riconoscimento diversi per i vari antigeni. Anche i linfociti T attivati, in piccola
quantità, rimangono come cellule memoria nell’organismo, anche se non si
conoscono ancora i meccanismi di regolazione.
I linfociti B, quindi, possono attivarsi in due modi: autonomamente oppure tramite i
linfociti T helper della via 2. Quando il messaggio antigenico è chiaro, per esempio
con pneumococchi, streptococchi e meningococchi, cioè con stimolazioni uguali e
continue, allora i linfociti B si attivano immediatamente e si moltiplicano. Altrimenti
essi si attivano solo se trovano un antigene già agganciato da anticorpi naturali (le
IgM) e dal complemento, oppure presentato da cellule dendritiche nei linfonodi.
Parlando dei diversi tipi di risposta immunitaria, abbiamo parlato di quella
infiammatoria
La reazione infiammatoria, pur avendo una partenza centrata sulle cellule della
cosiddetta immunità naturale, tende spontaneamente a coinvolgere i linfociti. Questi
ultimi, innanzitutto, si legano col proprio recettore all’antigene di superficie delle
cellule presentanti l’antigene (APC), ma per attivarsi e riprodursi hanno bisogno di un
secondo segnale dato da altre molecole di superficie che si possono legare a altri
recettori sul linfocita T. Se non arriva questo secondo segnale, il linfocita T non viene
attivato: si tratta quindi di un meccanismo di regolazione.
La sede primaria del processo infiammatorio è rappresentata dall’endotelio dei vasi,
che viene attivato sempre a partire da citochine liberate da cellule immunitarie.
L’attivazione dell’endotelio porta alla produzione di una miriade di sostanze
infiammatorie, collettivamente chiamate eicosanoidi, principalmente a partire
dall’acido arachidonico, un acido grasso polinsaturo di membrana della serie omega6.
L’acido arachidonico viene normalmente attivato:
da una fosfolipasi di membrana
da stimoli chimici
da stimoli meccanici
da stimoli immunitari, principalmente da frazioni del Complemento.
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Gli eicosanoidi, successivamente, sono sintetizzati a partire da due classi di enzimi: le
Ciclossigenasi 1 (COX 1), che sono costitutive, cioè presenti sempre ed ovunque e le
Ciclossigenasi 2 (COX 2), che vengono indotte solo in caso di infiammazione. Per
quanto riguarda la terapia antinfiammatoria, la ricerca attuale, sia per i farmaci di
sintesi che per la fitoterapia, riguarda principalmente gli inibitori selettivi per le COX
2, che possono agire da antinfiammatori limitando gli effetti collaterali causati dal
blocco delle COX 1. Concettualmente non è però appropriato parlare di blocco dell’
infiammazione, bensì di modulazione dell’ infiammazione.
Si può regolare la sovrapproduzione di mediatori dell’acido arachidonico, che sono
implicati in numerosi disordini infiammatori, anche diminuendo, nella membrana, il
rapporto fra gli acidi grassi omega-6/omega-3. Alimentandosi con certi tipi di verdura
e con molto pesce, si può aumentare la quantità di omega-3 di membrana, così come
seguendo un regime dietetico povero di acido arachidonico si può diminuire la
quantità di omega-6: è stato verificato, infatti, che a partire da acidi grassi omega-3,
come l’acido linolenico, presente in molte verdure e gli acidi eicosapentaenoico
(EPA) e docosaesaenoico (DHA), presenti nel pesce, si formano eicosanoidi
rispettivamente della serie 1 e della serie 3, molto più blandi rispetto a quelle della
serie 2, generati dall’arachidonico.
Per quanto riguarda la febbre, il rialzo della temperatura serve a migliorare l’attività
delle cellule immunitarie, non solo come attivazione dei macrofagi, ma soprattutto
dei linfociti Th. Le più importanti citochine, come ad esempio INF-γ, IL-2, IL-4, sono
dipendenti dalla temperatura. I linfociti T, per attivarsi, hanno bisogno di un aumento
della temperatura.
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Ma in che modo termina l’infiammazione? Il sistema immunitario possiede numerosi
congegni per lo spegnimento degli stimoli e la risoluzione dell’infiammazione, che
avviene quando i macrofagi hanno ripulito bene l’area infiammata e producono IL-10
che blocca l’infiammazione e quando i linfociti sgombrano il campo tramite un vero
“suicidio di massa”, producendo anch’essi citochine antinfiammatorie. Se non si
realizzano queste condizioni vuol dire che persiste la causa di infiammazione o che
c’è una rottura della tolleranza linfocitaria: o che non vengono più prodotte citochine
antinfiammatorie o che quest’ ultime hanno minore attività regolatoria. In questi casi
si passa da infiammazione acuta ad infiammazione cronica.
PRINCIPI ATTIVI
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PIANTE AD AZIONE IMMUNOSTIMOLANTE
Le piante ad azione immunostimolante contengono delle sostanze che agiscono
prevalentemente tramite la stimolazione non specifica dei meccanismi di difesa
immunitaria. Nella maggior parte dei casi non sono propriamente degli antigeni, ma
piuttosto antigenemimetici : in termini pratici significa che esse vanno a stimolare
principalmente le cellule che non hanno memoria immunitaria. La risposta, infatti,
non deve essere diretta contro il fitoterapico, ma contro il patogeno. Il fitoterapico va
quindi a stimolare cellule dell’immunità naturale la produzione di citochine adeguate
alla creazione di un ambiente particolarmente ostile per il patogeno. Inoltre, dato che
la loro azione farmacologica decresce in maniera relativamente rapida, è necessario
somministrarli ciclicamente.
I fitoterapici, ed in particolare gli agenti immunostimolanti, devono soddisfare alcuni
requisiti generali:
Nessuna o trascurabile attività antigenica
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Nessuna induzione di reazioni allergiche o di autoimmunità o altri effetti
collaterali
Non essere cancerogeni
Essere soggetti ad una rapida degradazione biologica
Essere chimicamente definiti, almeno per quel che riguarda la classe chimica di
appartenenza
Le indicazioni principali per i fitoterapici immunostimolanti sono la profilassi e la
cura delle infezioni virali semplici (sindromi influenzali) e la terapia delle infezioni
batteriche. Inoltre possono essere importanti nella profilassi di infezioni
opportunistiche in pazienti temporaneamente immunodepressi e nella terapia
adiuvante dei tumori maligni.
Fra le piante immunostimolanti utilizzate in modo costante, descriviamo:
Echinacea angustifolia, Echinacea pallida, Echinacea purpurea - (Compositae)
Uncaria tomentosa (Rubiaceae)
Astragalus membranaceus – Huang qi
Aloe vera, Aloe ferox , Aloe arborescens – (Liliaceae)
Panax ginseng – (Araliaceae)
Withania somnifera
Papaya (fermentata)
Eleuterococcus senticosus
ECHINACEE
Il genere Echinacea comprende diverse specie, che contengono numerosi
composti chimici (polisaccaridi, glicoproteine, flavonoidi, derivati dell’acido
caffeico fra i quali l’echinacoside).
Il fitocomplesso
stimola la fagocitosi dei granulociti periferici, attiva i macrofagi che
liberano citochine, aumentando l’azione dei linfociti Th 1 e T citotossici e
Natural Killer
inibisce la ialuronidasi batterica
blocca i radicali liberi
esercita attività antibatterica
aumenta le difese immunitarie in corso di contagio virale (per l’herpes e
l’influenza è stato dimostrato sperimentalmente).
L’interferone si lega alle superfici cellulari, dove stimola la sintesi di proteine
intracellulari che bloccano la trascrizione dell’RNA virale. I polisaccaridi sono i
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principali responsabili dell’attività immunostimolante, mentre i polifenoli di quella
antinfiammatoria, per cui si preferisce usare estratti secchi titolati in polisaccaridi per
il trattamento delle infezioni batteriche o virali, o estratti fluidi e tinture madri per
l’azione antinfiammatoria. Clinicamente l’inibizione della ialuronidasi associata al
generale effetto immunostimolante sono probabilmente più importanti dell’attività
antivirale diretta.
I diversi estratti a base di Echinacea hanno dato risultati nelle seguenti malattie:
infezioni dell’apparato genitale
influenza
raffreddore
infezioni delle prime vie respiratorie
altre malattie infettive
ASTRAGALUS MEMBRANACEUS
L’Astragalo è una pianta che viene usata da millenni nella Medicina Tradizionale
Cinese (Huang qi). Il suo impiego popolare è limitato alla cura del raffreddore
comune, ma in realtà si tratta di una pianta molto promettente per la prevenzione e la
cura di molte infezioni virali, ma anche di quelle neoplastiche, utilizzabile anche
contro l’immunosoppressione da citostatici e l’AIDS.
L’attività immunostimolante è dovuta alle sostanze presenti nelle radici, ricche di
saponine (astragalosidi), flavonoidi, amine piogene (betaina, colina e GABA) e
soprattutto polisaccaridi (astragaloglucani).
Il fitocomplesso ha dimostrato
aumento dell’attività dei fagociti e dei linfociti T
aumento del numero e dell’attività delle cellule Natural Killer
aumento della produzione di anticorpi IgM, IgE, IgA, IgG e di INF
inibizione della transcriptasi inversa e della DNA polimerasi dei retrovirus
aumento della quantità di globuli bianchi in caso di leucopenia cronica
Gli estratti a base di Astragalus Membranaceus possono essere quindi utilizzati nelle
seguenti malattie:
raffreddore e influenza
recidive di infezioni virali
leucopenia cronica
immunosoppressione da citostatici
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Altri studi promettenti riguardano malattie neoplastiche e AIDS.
PIANTE ED APPARATO RESPIRATORIO
Fra le piante più utilizzate per le malattie dell’apparato respiratorio vi sono quelle che
ad azione antinfiammatoria. Bisogna ricordare che le piante “a mucillaggini”
esplicano la loro azione per contatto diretto con le mucose, mentre altre sostanze, per
esempio i glucosidi (salicilici, iridoidi e triterpenici), entrano in circolo ed esplicano
attività antinfiammatoria sistemica.
PIANTE A
MUCILLAGGINI
ANTIALLERGICHE MUCOLITICHE ANTIMICROBICHE ANTIASMATICHE
Althaea officinalis
Ribes nigrum
Malva silvestris
Perilla frutescens
Linum
usitatissimum
Boswellia serrata
Marrubium
vulgare
Polygala
senega
Glechoma
hederacea
Thymus vulgaris
Propoli
Grindelia
robusta
Amni visnaga
Cinnamomum
zeylanicum
Drosera
rotundifolia
OLI
ESSENZIALI
Satureja
montana
Pinus
sylvestris
Eucalyptus
globulus
ALTHAEA OFFICINALIS
L’Altea è una pianta che contiene mucillaggini, sostanze amorfe costituite da
polisaccaridi eterogenei che a contatto con l’acqua rigonfiano e formano soluzioni
colloidali, viscose, ma non adesive (proprietà che le differenzia dalle gomme).
Applicate sulla cute e sulle mucose agiscono, localmente, formando una pellicola che
rafforza la capacità difensiva di questi tessuti e ne diminuisce la sensibilità. Infatti le
mucillaggini mostrano i seguenti effetti sulle superfici corporee :
emolliente, ne migliorano la morbidezza e l’elasticità
demulcente, ne diminuiscono il turgore
lenitivo, ne riducono la sensibilità
Dato che la loro azione mitiga l’infiammazione delle mucose, il loro uso è
particolarmente indicato in caso di bronchiti accompagnate da tosse secca e da
irritazione, adatto e sicuro nel trattamento della tosse dei bambini.
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PROPOLI
La propoli non è un vero e proprio fitoterapico, bensì un materiale resinoso che
deriva dall’elaborazione enzimatica del materiale vegetale dei fiori, da parte delle api.
Queste lo utilizzano per cementare la struttura dell’arnia e del favo.
La propoli contiene principalmente resine e oli essenziali, ma anche acidi organici,
cere e flavonoidi di vario tipo: crisina, acacetina, apigenina, galangina, quercetina,
pinocembrina, ecc. Fra questi flavonoidi, la galangina è considerato il marker tipico.
Alcuni produttori di propoli tendono a toglierne la cera, perché si ritiene che in essa si
trovino sostanze responsabili di una certa allergenicità.
La propoli è stata considerata per tanto tempo una sostanza immunostimolante, ma in
realtà le sue proprietà sono antinfiammatorie, disinfettanti ed antivirali, soprattutto
contro le faringo-tonsilliti e le tracheiti. In particolare, le proprietà antivirali
riguardano influenza, herpes simplex e adenovirus, mentre da non dimenticare sono
le proprietà batteriostatiche e battericide contro stafilococchi, streptococchi,
salmonella ed altri microrganismi.
Date la potenziale allergenicità, deve essere utilizzato con molta cautela nei soggetti
allergici, mentre se ne sconsiglia l’uso in gravidanza e durante l’allattamento.
Le forme farmaceutiche più richieste sono la Tintura Madre, l’estratto glicerico per i
bambini e le compresse.
PIANTE ED APPARATO CARDIOVASCOLARE
I principi attivi di origine vegetale sono particolarmente utili in ambito
cardiovascolare, basti pensare ai glucosidi cardiotonici della Digitale e suoi
collaterali, che costituiscono la terapia di elezione per il trattamento dello scompenso
cardiaco, o alla Reserpina estratta dalla Rauwolfia serpentina, utilizzata come
ipotensivo ma con notevoli effetti psicotici e depressivi dell’umore.
Nell’ambito specifico della fitoterapia risultati eccellenti sono ottenuti con il Ginkgo
biloba nei suoi numerosi campi di applicazione, Allium sativum, Vitis vinifera,
Aesculus hippocastanum, Hydrocotile asiatica, Hamamelis virginiana, Crataegus
oxyacantha.
MALATTIA
ATEROSCLEROTICA
IPERTENSIONE
ARTERIOSA
INSUFFICIENZA VENOSA
PERIFERICA
IPOTENSIONE
ARTERIOSA
Ginkgo biloba
Allium sativum
Aesculus hippocastanum
Paullinea cupana
Vaccinium myrtillus
Crataegus
Vitis vinifera
Glycirrhyza glabra
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Allium sativum
Hoxyacantha
Viscum album
Hydrocotile asiatica
Aesculus
Hippocastanum
CRATAEGUS HOXYACANTHA
L’estratto delle sommità fiorite di Biancospino (Crataegus hoxyacantha) può essere
impiegato con notevole successo nel trattamento dell’ipertensione arteriosa, anche
quando sia presente distonia neurovegetativa (ipertono simpatico), date le sue
proprietà sedative a livello del SNC. I principi attivi contenuti nella droga
appartengono al gruppo dei polifenoli (vitexina, iperoside, proantocianidine ed
epicatechina), che determinano i seguenti effetti farmacologici:
riduzione dello spasmo delle coronarie
azione inotropa positiva
riduzione delle resistenze vascolari periferiche
leggera attività sedativa centrale
Per questi motivi può essere utilizzata nel trattamento dell’ipertensione arteriosa,
anche nei soggetti giovani e con distonia neurovegetativa, prima di utilizzare farmaci
di sintesi o in associazione ad essi, controllando con regolarità i valori pressori.
L’effetto combinato di aumento dell’irrorazione sanguigna a livello del miocardio da
una parte, e di sedazione del SNC dall’altra, porta a risultati notevoli e prolungabili
nel tempo data la mancanza di effetti collaterali. Le uniche interazioni conosciute
sono quelle con i farmaci digitalici ed antiaritmici. Per quanto riguarda il dosaggio è
raccomandato l’utilizzo di estratto secco titolato al 2% in flavonoidi, che garantistica
l’assunzione di 5 – 20 mg al giorno di flavonoidi totali. In farmacia viene richiesta
comunque anche la tintura madre e la tisana.
GINKGO BILOBA
Il Ginkgo biloba è una delle piante più studiate, con più di 400 studi sperimentali che
ne avvalorano l’efficacia. La droga è rappresentata dalle foglie, il cui estratto
contiene diverse molecole, compresi i glucosidi flavonici che sono i maggiori
responsabili dell’attività del fitocomplesso. I tre agliconi flavonici più presenti sono
la quercetina, il kaempferolo e l’isoramnetina, mentre le proantocianidine sono i
flavonoidi maggiormente rappresentati.
L’estratto di Ginkgo biloba (GBE) agisce profondamente sui tessuti, determinando:
stabilizzazione delle membrane cellulari
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effetti antiossidanti
effetti di eliminazione dei radicali liberi
aumento dell’utilizzo di ossigeno e glucosio
forte inibizione del PAF (Fattore di Attivazione Piastrinica)
Modelli sperimentali di ischemia cerebrale mostrano che il GBE aumenta l’utilizzo di
ossigeno e l’assorbimento cellulare di glucosio, che permettono quindi il ripristino
della produzione di energia, soprattutto a livello delle cellule cerebrali e nervose. E’
giustificato, quindi, l’impiego di GBE nella prevenzione e nella terapia
dell’aterosclerosi e delle sue manifestazioni cliniche, nel diabete mellito,
nell’angiosclerosi cerebrale; inoltre l’inibizione del PAF determina un’ulteriore
protezione nei confronti dell’ictus, ma anche un effetto antiallergico, per diminuzione
della degranulazione piastrinica, con conseguente blocco della cascata allergica ed
infiammatoria.
Tutti gli studi clinici sono stati effettuati con estratto secco di Ginkgo biloba, titolato
al 24% in glucosidi flavonici, con un dosaggio di 40 – 80 mg 2-3 volte al giorno. Per
evitare reazioni allergiche è importante verificare l’assenza di acidi ginkgolidi, di per
sé allergizzanti.
PIANTE, TUBO DIGERENTE E METABOLISMO
Uno dei maggiori campi di applicazione della fitoterapia è rappresentato dalle
patologie del tubo digerente e del metabolismo. L’argomento è molto ampio e
comprende problemi gastrici, intestinali ed epatici, cui sono strettamente legate le
dislipidemie ed una parte degli stati infiammatori cronici dell’organismo. È
importante rendersi conto che questo campo impegna forse più di altri il farmacista
“fitoterapeuta”, poiché il paziente chiede consigli prima di consultare uno specialista
ad esempio, per dimagrire, oppure per abbassare i trigliceridi ed il colesterolo
ematico, o ancora per ridurre l’acidità gastrica e per migliorare la digestione. In
questo settore ci si rende conto dell’importanza di considerare l’Uomo come Unità di
corpo ed anima, come un Microcosmo che interagisce interamente con il suo
Macrocosmo, la Natura, e non un insieme di tessuti, organi e apparati separati tra loro
e soprattutto separati dall’anima, dal pensiero del soggetto. È noto, per esempio, che
lo stress ed il nervosismo influenzano il SNC, il quale a sua volta “scarica” a livello
periferico, aumentando l’acidità gastrica e l’irritazione nel colon. Questi casi sono
praticamente quotidiani in farmacia.
PIANTE
ANTINFIAMMATORIE
GASTRITE E
ULCERA
COLITE
STIPSI
EMORROIDI
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Althaea officinalis
Zingiber
officinale
Allium sativum
Aloe vera
(gel privo di
antrachinoni)
Camomilla
recutita,
Curcuma
longa
Boswellia
serrata
Glycirrhyza glabra
Passiflora
incarnata
Humulus
lupulus
Valeriana
officinalis
Melissa
officinalis
Aloe vera
(gel privo di
antrachinoni)
Fibre alimentari
(Plantago
psyllium)
Cascara
sagrada
Cassia
angustifolia
Rheum
officinale
Aloe
barbadensis
(con
antrachinoni)
Cupressus
sempervirens
Ruscus
aculeatus
Vitis vinifera
ALOE
Esistono più di 300 specie di aloe (liliaceae), ma la più conosciuta per uso
medicinale è l’Aloe vera. Viene utilizzato un diverso estratto, a seconda dell’uso che
se ne deve fare. In caso di stipsi si utilizza l’estratto di aloe contenente aloina, un
complesso di antrachinoni, il principale dei quali è rappresentato dalla barbaloina,
alla quale si attribuisce la maggiore attività catartica.
Se si vogliono sfruttare le proprietà immunostimolanti e cicatrizzanti dobbiamo
invece utilizzare estratti privi di aloina, ma ricchi dei costituenti polisaccaridici e
dell’acido gamma-linolenico.
Da oltre 2000 anni l’Aloe è utilizzata come purgante: a piccole dosi l’aloina
determina un aumento del tono della muscolatura intestinale, a dosi maggiori
ha un effetto lassativo e catartico. Siccome l’aloina causa contrazioni intestinali
dolorose, è stata oggi sostituita da altri lassativi antrachinonici, come la
Cascara sagrada e la Cassia.
Risultati di alcuni studiosi indicano che l’assunzione di succo di Aloe vera
aumenta il pH gastrico in media di 1,88 unità, confermando l’inibizione della
secrezione di acido cloridrico; inoltre il gel di Aloe vera inattiva la pepsina in
modo reversibile, solamente quando lo stomaco è vuoto, ed è un emolliente
estremamente valido.
Per quanto riguarda gli effetti antimicrobici, il gel di Aloe vera si è rivelato
superiore alla sulfadiazina d’argento, potente antisettico utilizzato nella terapia
delle ustioni estese. Questa proprietà ne giustifica l’impiego come topico
cicatrizzante, anche perché contiene numerosi composti necessari per la
guarigione delle ferite, tra i quali la vitamina E, la vitamina C e lo zinco.
Uno dei polisaccaridi dell’Aloe, il mannosio acetilato o acemannano, ha
dimostrato proprietà immunostimolanti antivirali, contro l’AIDS felino, il virus
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dell’influenza e quello del morbillo. In particolare l’acemannano stimola le
difese naturali dell’organismo, cioè macrofagi e Natural Killer.
DIABETE
Gymnema sylvestre
Vaccinium myrtillus
Momordica charantia
DISLIPIDEMIE
Cynara scolymus
Monascus purpureus
Omega – 3
OBESITA’
Citrus aurantium
Garcinia cambogia
Paullinea cupana
CYNARA SCOLYMUS
Il carciofo è stato utilizzato fin dall’antica Grecia per le sue proprietà coleretiche e
diuretiche e gli studi moderni ne giustificano tale impiego, aggiungendo la notevole
attività ipocolesterolemizzante ed epato-protettiva.
I principali componenti delle foglie di Carciofo sono:
Polifenoli
Lattoni sesquiterpenici
Flavonoidi
In effetti le indicazioni più importanti sono quelle che riguardano la riduzione del
colesterolo ematico totale, ed in particolare della frazione LDL, mentre la frazione
HDL tende a salire. Esiste un doppio meccanismo d’azione che tende, da una parte a
ridurre i livelli di HMG-CoA reduttasi, enzima chiave nella sintesi epatica del
colesterolo, dall’altra ad inibire lo stesso enzima in modo reversibile. Sembra che uno
dei flavonoidi, la luteolina, abbassi la concentrazione di HMG-CoA redattasi, mentre
il fitocomplesso inibisce lo stesso enzima.
Un’ulteriore azione del Carciofo è la riduzione dell’ossidazione delle lipoproteine
LDL, che nella forma ossidata hanno un’elevata attività citotossica e aterogena.
Le indicazioni terapeutiche del Carciofo sono quindi:
Riduzione del colesterolo e prevenzione della malattia aterosclerotica
Epatopatie varie
Sindrome dispeptica
Per quanto riguarda gli effetti collaterali, il Carciofo, poiché aumenta la secrezione di
bile, dovrebbe essere usato con molta cautela nei soggetti affetti da calcolosi biliare
ed ostruzione anche parziale delle vie biliari. Il dosaggio indicato nel caso di
ipecolesterolemia è di 250 – 300 mg di estratto secco di Carciofo titolato al 7% in
acidi clorogenici, per 3 – 4 volte al giorno.
20
ZINGIBER OFFICINALE
Il rizoma dello Zenzero contiene diverse sostanze, quelle più significative da un
punto di vista farmacologico sono i gingeroli, sostanze piccanti contenute in alta
concentrazione nell’oleoresina. Le più rilevanti proprietà dello Zenzero sono:
Attività antiossidante
Inibizione della sintesi di prostaglandine, trombossano e leucotrieni
(antinfiammatorio)
Effetti antiulcera
Lo Zenzero, studiato su modelli animali, previene la formazione di ulcere da etanolo,
indometacina, acido acetilsalicilico e da altri comuni composti ulcerogeni,
probabilmente per inibizione selettiva delle COX 2.
PIANTE E REUMATOLOGIA
Le piante sono sempre state utilizzate dalla medicina popolare per trattare il dolore e
l’infiammazione ed anche la moderna ricerca scientifica tende a sperimentare i
fitocomplessi a scopo antiinfiammatorio. In effetti uno dei campi che attira
maggiormente l’attenzione dei ricercatori è proprio questo, considerati gli effetti
collaterali dei farmaci antiinfiammatori di sintesi, soprattutto nelle terapie prolungate.
Come la ricerca tradizionale si indirizza verso gli inibitori selettivi delle COX 2, così
anche fra i fitocomplessi sono selezionati quelli che mostrano tale attività (ma con
minori effetti collaterali). Chiaramente si parla di campi di applicazione vastissimi,
che in questa sede non possono essere approfonditi, ma che offrono molti riscontri
clinici.
Le piante con proprietà antinfiammatorie più utilizzate, sono:
Harpagophytum procumbens
Salix alba
Spirea ulmaria
Rosmarinus officinalis
Zingiber officinale
Polygonum cuspidatum
Curcuma longa
Boswellia serrata
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HARPAGOPHYTUM PROCUMBENS
L’Artiglio del diavolo è una pianta utilizzata dalla medicina popolare come
antireumatico ed antinfiammatorio, anche se a questo proposito i dati sono
contraddittori. I principi attivi contenuti nella pianta sono:
Glucosidi iridoidi (arpagoside, procumbide)
Acido cinnamico
Flavonoidi
Glucosidi fenolici (verbascoside, isoacteoside)
Secondo la FU le radici di Artiglio del diavolo devono contenere non meno dell’1,8%
di iridoidi totali, di cui almeno l’80% di arpagoside. Si usa generalmente come
estratto secco, con un dosaggio che può arrivare fino a 4 grammi al giorno, ma sono
da considerare attentamente gli effetti collaterali, quali intolleranza gastrica ed
interazione con i FANS.
CURCUMA LONGA
L’uso della Curcuma longa è descritto nella Medicina Tradizionale Cinese e
Ayurvedica nel VII secolo a.C. e continua nella Medicina popolare fino ai nostri
giorni. Le prove scientifiche della sua validità come farmaco sono partite
dall’evidenza di una minore incidenza di neoplasie in paesi che utilizzano il Curry
contenente curcumina nell’alimentazione. In terapia vengono utilizzate le radici ed i
rizomi. I maggiori costituenti attivi sono i curcuminoidi, pigmenti di colore aranciogiallo. Le proprietà della Curcuma longa sono:
Azione antinfiammatoria, paragonabile al cortisone ed all’indometacina, senza
gli effetti collaterali (inibizione selettiva COX 2)
Azione antiaggregante piastrinica
Azione epatoprotettiva e coleretica
Azione protettiva gastrointestinale
Inibizione dell’angiogenesi tumorale
Induzione dell’apoptosi nelle cellule neoplastiche
Per esperienza personale la Curcuma viene sempre più spesso utilizzata, pare con
buoni risultati, nel trattamento di un certo tipo di mieloma multiplo, anche in
associazione con i normali protocolli chemioterapici.
Si usa come estratto secco titolato al 95% in curcuminoidi, con un dosaggio che può
arrivare fino a 10 grammi al giorno senza risultare tossico. Gli unici effetti collaterali
riportati in letteratura sono nausea e diarrea, che scompaiono però dopo pochi giorni.
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PIANTE E SISTEMA NERVOSO
Anche sul SNC la Fitoterapia agisce in modo rapido, profondo e con effetti collaterali
non paragonabili a quelli dei farmaci di sintesi. Un crescente numero di persone
inizia fin da giovane terapie con ansiolitici ed antidepressivi, quasi sempre per
“tamponare” insicurezze ed insoddisfazioni personali, provando a rimandare il
momento in cui dover affrontare realmente i propri problemi. Se alle piante
medicinali fosse assegnata la dovuta importanza, sicuramente il medico potrebbe
provare a prescrivere certi fitocomplessi prima di passare ai pericolosi farmaci di
sintesi: esistono, infatti, numerosi esempi di persone che riescono a passare
gradualmente all’uso dei fitocomplessi senza “soffrire” più di tanto, ma ci sono anche
tante persone ormai “dipendenti” nel corpo e nella mente da tali farmaci.
INSONNIA
ANSIA
DEPRESSIONE
Valeriana
officinalis
Passiflora
incarnata
Citrus aurantium
Melissa
officinalis
Piper
metysthicum
Escholtzia
californica
Hypericum
perforatum
Griffonia
simplicifolia
Rhodiola rosea
DISTURBI
COGNITIVI
Ginkgo biloba
Eleutherococcus
senticosus
Withania
somnifera
VERTIGINI
Valeriana
officinalis
Zingiber
officinale
Ginkgo biloba
Tali indicazioni in questo contesto sono davvero relative, in quanto tutte le piante
descritte possiedono ampie proprietà, per cui possono essere indicate
contemporaneamente per diversi disturbi.
HYPERICUM PERFORATUM
L’Iperico, o erba di San Giovanni, è una pianta utilizzata in toto per uso medicinale. I
componenti di maggiore interesse sono l’ipericina e la pseudoipericina, derivati
chinonici caratterizzati da un nucleo naftodiantronico, senza però attività lassativa.
Più recentemente i ricercatori si sono interessati ad altri componenti, specialmente
flavonoidi e xantoni, visto che gli effetti ed i benefici del fitocomplesso vanno al di là
delle azioni dell’ipericina e della pseudoipericina (importanza del fitocomplesso).
L’estratto di Iperico presenta una grande varietà di effetti in studi clinici e
sperimentali, tra cui:
Effetti antidepressivi
Effetti antivirali
Effetti antibiotici
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Sappiamo che tra le diverse ipotesi sulla genesi della depressione, quella di una
carenza nella funzione delle amine biogene (serotonina, catecolamine, dopamina,
ecc.) è la più largamente accettata. Per aumentare i livelli di queste amine nello
spazio sinaptico, si può agire sia inibendone il reuptake, sia bloccando gli enzimi
deputati alla loro in attivazione, le MAO e le COMT. Dall’analisi di diversi studi
sperimentali, è stato osservato che l’Iperico agisce contemporaneamente in diversi
modi:
la frazione di fitocomplesso che inibisce le MAO contiene ipericina e
flavonoidi
quella che inibisce le COMT contiene principalmente flavonoidi e xantoni
l’intero estratto ha mostrato la capacità di ridurre i livelli di IL-6, segnale di
modulazione sull’asse ipotalamo-pituitario-surrenale, che determina una
diminuzione del CRH (ormone di rilascio della corticotropina) della surrenale,
caratteristica tipica di riduzione dello stato di depressione. Questo meccanismo
suggerisce che l’Iperico agisca da legame tra il sistema immunitario e l’umore
l’attività antidepressiva dell’estratto di Iperico si esplica anche tramite
l’inibizione del riassorbimento della serotonina da parte di recettori
postsinaptici.
Sulla base dei risultati di uno studio randomizzato, in doppio cieco e a gruppi
paralleli, realizzato presso 40 centri ambulatoriali in Germania, è stato provato che
“nel trattamento della depressione, da moderata a media, l’estratto di Hypericum
perforatum è equivalente dal punto di vista terapeutico agli antidepressivi triciclici ed
è meglio tollerato dai pazienti”.
Per concludere, in Germania l’estratto di Iperico nel trattamento della depressione
lieve e moderata viene rimborsato dal Sistema Sanitario Nazionale, così come il GBE
nel trattamento dei problemi del microcircolo cerebrale.
Dal luglio del 2009, su indicazione del ministero della salute, il dosaggio massimo
giornaliero del principio attivo ipericina è passato da 21 mcg a 70 mcg, ma è da
rispettare un preciso rapporto fra iperforine e ipericina.
Studi recenti
SEMI DI LINO da LINUM USITATISSIMUM
I semi di lino derivano da una pianta conosciuta da migliaia di anni, che è stata
utilizzata in tantissimi campi, fra i quali anche quello medico. L’interesse attuale per
il Lino è rivolto principalmente ai semi, ricchi di fibre dietetiche solubili ed
insolubili, acidi grassi polinsaturi (70%), monoinsaturi (18%), saturi (9%). Di questi,
particolarmente importanti sono due acidi grassi polinsaturi essenziali, l’acido
linoleico, un omega-6 e l’acido alfa-linolenico (ALA), un omega-3, precursore dei
24
più importanti EPA e DHA. Esiste infatti una via enzimatica attraverso la quale,
partendo da ALA si formano EPA e DHA, ma la resa è minima, dato che l’organismo
la utilizza solo in piccolissima parte. Per avere un apporto di EPA e DHA occorre,
quindi, assumere integratori distillati e concentrati, oppure mangiare molto pesce.
Dall’ acido linoleico, per azione di desaturasi, si forma l’acido gamma-linoleico
(GLA), che può essere definito il precursore dell’acido arachidonico, presente nella
membrana cellulare di tutte le nostre cellule, da cui si formano potentissimi ormoni
autacoidi conosciuti come eicosanoidi.
Gli studi recenti riguardano però alcuni lignani, polifenoli contenuti nei semi di lino,
che hanno ricevuto particolare attenzione in campo oncologico. Fra di essi, i più
rappresentati sono secoisolariciresinolo diglucoside (SDG) e in minor misura
idrossimatairesinolo (HMR). SDG viene metabolizzato dalla flora batterica del colon
in enterolattone ed enterodiolo, due fitoestrogeni bifenolici, strutturalmente simili
all’estradiolo, che manifestano attività estrogenica e/o antiestrogenica ed attività
antitumorale. I principali effetti dell’enterolattone derivato da SDG sono:
• ridotto rischio di sviluppare carcinoma prostatico (Hedelin 2006)
• ridotto rischio di sviluppare cancro della mammella (Pietine 2001)
• ridotta proliferazione di cellule di carcinoma prostatico umano LNCaP in vitro,
con diminuzione della densità cellulare, dell’attività metabolica, della
secrezione di PSA e attività apoptotica che sono legate ad inibizione
dell’espressione dei geni coinvolti nel ciclo cellulare (McCann 2008)
• efficacia terapeutica paragonabile ai comuni farmaci alfa-litici ed inibitori 5alfa-reduttasi impiegati nel trattamento dell’ipertrofia prostatica (Zhang 2008)
• inibizione dell’enzima aromatasi che è responsabile della conversione del
testosterone nel potente estrogeno estradiolo (Brooks e Thompson 2005)
• inibizione dell’enzima 5-alfa-reduttasi con riduzione dei livelli di DHT
• inibizione degli enzimi tirosinchinasi che sono iperespressi nel carcinoma
prostatico e partecipano alla crescita tumorale
• inibizione della crescita di cellule di carcinoma mammario e metastasi
mammarie per diminuzione dell’espressione di IGF-1 ed EGF-R (Jan Min
Chen 2002). Le modificazioni causate dall’assunzione giornaliera di 25
grammi di semi di lino sono simili a quelle indotte da agenti antitumorali quali
il tamoxifene e gli inibitori dell’aromatasi, con, inoltre, un incremento
dell’attività di tali farmaci nel ridurre la crescita tumorale, sia in presenza di
alti che di bassi livelli di estrogeni (Chen 2004; 2007) e riduzione del rischio di
carcinoma dell’endometrio che è correlato all’esposizione agli estrogeni.
• Chemioprevenzione sui tumori del colon e minore espressione delle COX in
modelli animali (Oikarinen 2005; Bommareddy 2006)
E’ consigliabile utilizzare semi di lino di produzione biologica macinati a freddo,
nella quantità di 30 grammi al giorno, da aggiungere, per esempio, ad uno yogurt,
oppure un estratto secco di semi di lino titolato al 40% in SDG, da assumere in
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capsule con un dosaggio di 500 mg ciascuna, da assumere 3 volte al giorno.
Testimonianze personali attestano della notevole riduzione di disagio in pazienti
affetti da ipertrofia prostatica, soprattutto sulla frequenza ed il volume di minzione.
NOTE DI GALENICA MAGISTRALE
Dopo che la documentazione relativa alle materie prime è stata accettata, si valuta la
ricetta del medico: nessuna formulazione deve essere allestita quando una parte anche
minima di essa non è stata ben compresa.
Si deve porre attenzione alle caratteristiche chimico-fisiche di ciascun componente,
allo scopo di :
1. Stabilire la più razionale tecnica di preparazione
2. Prevedere le possibili interazioni
3. Controllare che non vi siano incompatibilità terapeutiche fra le sostanze
farmacologicamente attive
4. Valutare la stabilità.
• Quando si è compresa la ricetta medica si devono effettuare tutti i calcoli
necessari, stando attenti in particolare alle unità di misura indicate
• Verificata la pulizia delle attrezzature necessarie, del piano di marmo del
laboratorio e la taratura delle bilance, si prelevano dagli scaffali del laboratorio
le materie prime di cui c’è bisogno per allestire la formulazione (nel caso delle
preparazioni precedenti saranno polveri ed estratti secchi) ed i contenitori idonei
• Si accende il sistema di aspirazione e, indossati i guanti in lattice, si pone un
mortaio di porcellana pulito ed asciutto sulla bilancia adeguata e si prendono
con una spatola le sostanze nelle quantità richieste, mescolandole con il pestello
fino ad ottenere una miscela omogenea in tutte le sue parti
• Si valuta il volume complessivo della polvere, in modo da poter scegliere
capsule di misura adeguata
• Si aprono le capsule, si riempiono in modo omogeneo con la polvere
precedentemente mescolata, si chiudono, si bloccano e si pongono nel
contenitore
• Si effettuano alcuni controlli sul prodotto finito, quali una verifica della
correttezza delle procedure eseguite, controllo dell’aspetto, controllo del
confezionamento, eventuale controllo dell’uniformità di massa sulle capsule
piene
• Si prepara l’etichetta al computer con software adatto, effettuando lo scarico
delle materie prime e del contenitore dal magazzino con conseguente
26
•
•
•
•
•
aggiornamento del relativo Registro, ed il salvataggio della preparazione nel
Registro delle Preparazioni
Si calcola il prezzo del preparato, che deve contenere in etichetta il costo delle
sostanze, l’onorario del farmacista, il costo del contenitore (non si calcola nelle
per le capsule) ed il prezzo totale. Esistono software di gestione del Laboratorio
Galenico che consentono di effettuare tutte queste operazioni in modo rapido e
preciso
Si effettua la stampa dell’etichetta in doppia copia, apponendone una sul
contenitore e l’altra su una copia della ricetta medica. L’etichetta deve
contenere alcune frasi obbligatorie, indicazioni di pericolosità, modo e tempi di
somministrazione e posologia indicati dal medico
Si ripongono negli scaffali tutte le sostanze, si pulisce il piano di lavoro e le
attrezzature utilizzate
Al momento della dispensazione al paziente, si pone un timbro della Farmacia
con la data, il prezzo della preparazione e la firma del farmacista preparatore,
sia sulla ricetta del medico, sia sulla copia
la ricetta originale, se ripetibile, viene restituita al paziente ed ha validità tre
mesi dalla data di compilazione, salvo diversa indicazione del medico che ha
facoltà di estendere la validità per un periodo superiore.
La copia deve essere conservata in Farmacia per sei mesi, quindi distrutta.
Ferruccio Balducci
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