UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE FACOLTA’ DI FARMACIA Dott. FERRUCCIO BALDUCCI C/O Farmacia Balducci Via G.Giusti 15 – Calenzano (Fi) Tel. 055/8879004 – [email protected] MASTER ACCADEMICO ELEMENTI DI FITOTERAPIA “…è tanto dilettevole Natura e copiosa nel variare, che infra li alberi della medesima Natura non si troverebbe una pianta ch’appresso somigliasse all’altra, e non che le piante, ma li rami o le foglie o i frutti di quelle, non si troverà uno che precisamente somigli ad un altro.” LEONARDO DA VINCI La fitoterapia è la scienza che studia la possibilità di utilizzare piante o parti di esse a scopo terapeutico. In questo Master cerco di farvi capire l’importanza della fitoterapia come vostro consiglio in farmacia, ma anche come aiuto al medico nel trattamento di gravi patologie. Proprio da questo punto vorrei partire, per attirare subito la vostra attenzione. Esistono, ad esempio, delle formulazioni che riescono a rallentare notevolmente la progressione della massa tumorale in una parte dei soggetti colpiti da carcinoma prostatico. Si tratta di pazienti che sono già stati sottoposti nel tempo a tutti i protocolli di trattamento scientificamente riconosciuti, radioterapici, chemioterapici, spesso anche chirurgici, e ai quali essi non rispondono più. Quando i loro tessuti (la Forza Vitale, direbbero gli omeopati) sono ancora in grado di reagire a qualche stimolo, i risultati clinici sono notevoli. Questi trattamenti avranno bisogno di ulteriori conferme ed anni di studio, ma al momento dimostrano almeno un’ incoraggiante validità. A questo punto, grazie alla ricerca costante di dati e studi scientifici (al 99% sul Web, la vera rivoluzione di questi tempi) i medici e i farmacisti più attivi riescono a trovare dati importanti, sconosciuti purtroppo alla gran parte della comunità scientifica, ma che rappresentano una miniera alla portata di tutti. Lo studio di queste pubblicazioni ha portato alcuni medici a richiedere, ad esempio, questa formulazione: 1 Ganoderma Lucidum estratto secco Chrysantemum Morifolium e.s. Scutellaria Baicalensis e.s. Isatis Indigotica e.s. Panax Pseudoginseng e.s. Glycyrrhiza Glabra e.s. Serenoa Repens e.s. Quercetina polvere Rabdosia Rubescens e.s. Beta-sitosterolo polvere Magnesio ossido polvere in percentuali diverse. In vitro è stata osservata la soppressione di linee cellulari tumorali androgenosensibili ed insensibili. Le principali attività farmacologiche delle singole piante vanno, infatti, da quella antineoplastica (Ganoderma Lucidum, Rabdosia Rubescens, Scutellaria Baicalensis) a quella antinfiammatoria (Scutellaria Baicalensis, Glycyrrhiza Glabra), da quella immunostimolante (Ganoderma Lucidum, Isatis Indigotica) a quella antivirale (Scutellaria Baicalensis, Chrysantemum Morifolium), fino al blocco dell’enzima 5-alfa-reductasi (Serenoa Repens). La cosa da sottolineare e da non dimenticare mai, è questa : la pianta, o parte di essa, utilizzata in terapia agisce nei tempi e nei modi indicati non solo in virtù del singolo principio attivo, ma di tutte le sostanze in essa contenute: agisce, cioè, il fitocomplesso. Le sostanze che a volte vengono ancora chiamate “secondarie”, e delle quali spesso si ignora l’utilità per la pianta, sono quelle che regolano in terapia l’azione del principio attivo (o del principio maggiormente presente), amplificandone gli effetti desiderati, e riducendone o annullandone gli effetti indesiderati: svolgono, quindi, un’ azione sinergica al principio attivo. Per questo, in un estratto secco, è importante considerare il titolo del singolo principio attivo, espresso generalmente con una percentuale, sapendo che la sua attività farmacologica è sostenuta e regolata da tutto il complesso di sostanze che lo accompagnano. Un esempio: un estratto secco di Harpagophytum procumbens (artiglio del diavolo) il cui titolo in arpagoside, chimicamente un eteroside iridoide, può risultare standardizzato generalmente all’1,5%, ma anche al 2,5%. Questo fitocomplesso viene prescritto dal medico come antinfiammatorio, ma al contrario di quanto si pensi, andando ad inibire le Ciclossigenasi, può essere responsabile di disturbi gastrici, interazioni con FANS, antiaggreganti piastrinici ed anticoagulanti: basta questo banale esempio per capire l’importanza di conoscere il titolo (concentrazione) del principio attivo. 2 Quando si parla di fitoterapia il sistema immunitario va tenuto ben presente, perché sono numerosi gli studi che mostrano un’attività immunostimolante o immunomodulante delle piante. I meccanismi che regolano tale sistema sono estremamente complessi e sicuramente non ancora ben definiti. L’immunità innata o naturale è definita come “l’insieme di reazioni immunitarie che hanno in comune la caratteristica di non produrre memoria”: il patogeno viene cioè distrutto senza che il sistema ne conservi il ricordo, cosicché, per esempio, i neutrofili possono incontrare cento volte lo stesso batterio, ma si comporteranno ogni volta come se fosse la prima. I linfociti, invece, che fanno parte della seconda linea di difesa del sistema immunitario, dopo aver prodotto una risposta specifica (anticorpale o citotossica), danno vita a cellule-memoria, capaci di scatenare, in un successivo incontro con lo stesso patogeno, una reazione più rapida e più imponente di quella prodotta nel primo incontro. In questo caso si parla di immunità acquisita. I linfociti B e i linfociti T sono protagonisti di due diversi tipi di risposta immunitaria: quella cosiddetta umorale, mediata da anticorpi, e quella cosiddetta cellulo-mediata, appunto mediata da cellule. Questi diversi tipi di linfociti, compresi anche i T citotossici, rappresentano le cellule effettrici delle risposte immunitarie specifiche. Oggi sappiamo che il sistema immunitario reagisce in modo diverso a seconda che l’organismo sia infettato da parassiti intracellulari (virus) oppure da batteri e tossine. Nel caso dei virus il modo principale per bloccare l’infezione è la distruzione della cellula infettata, che rappresenta l’incubatrice per la riproduzione del virus, da parte dei linfociti Natural Killer ed in seconda battuta dei linfociti T Citotossici (CD8+). I NK attivati producono INF-γ che richiama nuovi monociti, potenziali cellule dendritiche o macrofagiche, i quali a loro volta producono IL-12 che indirizza i linfociti T helper (CD4+) verso la via Th 1. In questi casi la risposta umorale è molto ridotta. Un batterio, invece, non solo attiva direttamente i linfociti B incontrati, ma dopo essere stato fagocitato viene presentato da cellule specializzate (APC) ai linfociti T helper (CD4+), un tipo dei quali (Th 2) a sua volta attiva i linfociti B, con produzione di anticorpi specifici. I macrofagi, comunque, tramite la produzione di diversi set citocinici, possono indirizzare i linfociti T helper verso la via Th 1, Th 2 o Th 3. Finora sono stati studiati tre tipi di linfociti T helper: Th1, Th2 e Th3. I Th1 determinano una forte risposta cellulo-mediata, sostenuta da un’altrettanto forte risposta infiammatoria, e sono collegati ad un circuito citochinico che comprende Interleuchina 2 (IL-2), IL-12, Interferone gamma (INF-γ) e Tumor Necrosis Factor (TNF), mentre i Th 2, stimolati da IL 4 e IL 13, inducono una notevole risposta anticorpale. I Th 3 inducono una risposta tollerante che è sostenuta da IL-10 e TGFβ, interrompendo la risposta immunitaria, di qualsiasi tipo essa sia. Essi sono chiamati anche T suppressors Il sistema immunitario può dunque attivare due diverse linee di difesa che agiscono in modo sincrono. Una prima linea, filogeneticamente di origine più antica, è rappresentata da macrofagi, neutrofili, ed in generale cellule che fagocitano i 3 patogeni, le quali sono coadiuvate nella loro azione dai Natural Killer, nel caso di virus e cellule trasformate in senso maligno, e sempre da eosinofili, basofili e mastociti, per amplificare la risposta infiammatoria. In certi casi l’attivazione del sistema immunitario si ferma qui, per esempio quando sono da riparare ferite superficiali. Quando il problema è più serio, allora viene attivata la seconda linea di difesa: le cellule dendritiche, parenti strette dei macrofagi in quanto derivano anch’esse dai monociti del sangue, sono il fattore chiave di collegamento. Esse catturano i patogeni non ancora bloccati dalla prima linea e giunte nei linfonodi ne espongono dei frammenti sulla superficie, al cospetto dei linfociti, che sono però anche richiamati dalle citochine prodotte dai macrofagi e dai NK. L’attivazione effettiva dei linfociti avviene nei linfonodi, a partire dalla classe indifferenziata Th 0: in base all’ambiente in cui operano si possono differenziare, come abbiamo visto, in Th 1, Th 2, Th 3. La diversa via di risposta linfocitaria è quindi conseguenza della stimolazione citochinica e dell’ambiente circostante: a livello delle mucose la reazione è principalmente di tipo anticorpale, con produzione di IL-4, mentre l’attivazione immunitaria nell’ambito della cute e del sangue è principalmente citotossica ed infiammatoria, con produzione di IL-12 e INF-γ. Infatti una risposta prevalentemente infiammatoria a livello di tessuti delicati come le mucose, ma anche di organi come il cervello o l’occhio, può portare col tempo a sviluppare malattie infiammatorie croniche, quali rispettivamente, morbo di Crohn, sclerosi multipla e uveite. Le migliaia di miliardi di cellule che compongono il sistema immunitario sono in comunicazione fra di loro grazie ad una vera e propria “rete informatica”: essa è rappresentata principalmente da citochine, sostanze proteiche rilasciate dalle cellule immunitarie, che informano “in tempo reale” i vari reparti sullo stato reale del sistema. Fra le citochine sono comprese : Interleuchine (IL) Interferoni (INF) Fattori di necrosi tumorale (TNF) Fattori di crescita delle colonie (CSF) Fattore di crescita trasformante (TGF) Questi messaggeri chimici producono effetti in quanto sono in grado di trasmettere il segnale fino al nucleo della cellula bersaglio, influenzando l’azione dei geni di riferimento. Inoltre sono fondamentali nei collegamenti tra il sistema immunitario e gli altri grandi sistemi, principalmente il sistema nervoso centrale e quello endocrino (si parla anche di psiconeuroendocrinoimmunologia o PNEI). Il midollo osseo, con un peso complessivo di circa 2,5 kg, è in gran parte costituito da cellule immunitarie: nel giovane fino al 75% del peso del midollo è rappresentato da cellule immunitarie, che scende al 50% nell’adulto e al 25% nell’anziano. Tutte le 4 cellule del sangue derivano dalla Cellula Staminale Ematopoietica, da cui successivamente si formano i capostipiti delle due linee: mieloide e linfoide. Appartengono alle cellule di derivazione mieloide le piastrine, i globuli rossi, i granulociti e i monociti del sangue da cui derivano i macrofagi dei tessuti. Le cellule linfoidi sono invece i linfociti B, che formano le plasmacellule ed i vari anticorpi, e i linfociti T. Le cellule Natural Killer sono da considerare la terza classe di linfociti, dopo la B e la T. Esse hanno la caratteristica di distruggere le cellule infettate da virus e le cellule neoplastiche senza bisogno di essere attivate: questa proprietà li accomuna ai linfociti T citotossici (CD8+). La morfologia delle NK e dei linfociti citotossici è quasi identica, per cui si pensa che esse derivino da un comune precursore. Anche l’attività è molto simile, diciamo che è complementare, perché le une attaccano le cellule non attaccabili dalle altre. Le NK sono comunque molto più sensibili dei linfociti T citotossici allo stress psicofisico: infatti è documentato come una privazione del sonno o uno stress emozionale, come nel caso di esami universitari, porti ad una minore reattività di queste cellule. Le cellule NK producono interferone gamma, il segnale più significativo per l’attivazione della risposta Th 1, sotto lo stimolo della IL-12 rilasciata soprattutto dai macrofagi che hanno ingoiato patogeni, che a loro volta sono stimolati dall’ INF-γ ad aumentarne la produzione. La combinazione fra INF-γ e IL-12 costituisce un segnale potente di attivazione della risposta Th 1, che è essenziale per distruggere sia le cellule neoplastiche che quelle infettate dai virus e da alcuni batteri particolari, come il micobatterio della tubercolosi. È stato comunque notato che le cellule NK sono più o meno efficaci a seconda del virus che infetta l’organismo. In particolare pare che contro i virus che si diffondono in modo generale, sistemico, per esempio morbillo, esse abbiano una notevole attività, mentre per altri, che esprimono la malattia in distretti localizzati, come quelli erpetici e quelli del raffreddore e dell’influenza, che arrivano principalmente dalla mucosa respiratoria e rimangono in zona, le NK siano molto meno efficaci. Questo forse perché dalla mucosa viene attivata principalmente la risposta Th 2 che è di tipo umorale e che chiaramente va ad inibire le NK. I macrofagi e le NK rappresentano quindi la linea difensiva anche nella fase iniziale dell’infezione virale. Agiscono in modo sinergico, in quanto l’ IL-12 prodotta dal macrofago stimola le cellule NK a produrre INF-γ, il quale fa aumentare la produzione di IL-12 da parte del macrofago con lo scopo di arruolare nuovi NK, ma va anche ad attivare i linfociti T citotossici che hanno un’azione diretta sul virus e sulle cellule da esso infettate. In realtà esiste quasi sempre anche l’attivazione diretta dei linfociti B, senza cioè passare dalla via dei Th 2, con produzione di anticorpi antivirali specifici e formazione di immunocomplessi. A questo punto un altro caposaldo dell’immunità naturale, il sistema del complemento, si lega a questo immunocomplesso e ne favorisce l’eliminazione da parte dei fagociti. Le cellule dendritiche sono dotate della importante capacità di selezionare il tipo di risposta immunitaria più adatta al tipo di patogeno e al contesto entro cui essa si realizza. Questa scelta dipende da tanti fattori, ancora non chiariti, ma essenziale è la 5 quantità di IL-12 prodotta : se è alta verrà selezionata principalmente una risposta infiammatoria e citotossica, cioè di tipo Th 1, se è bassa si attiverà la via Th 2 con produzione di anticorpi specifici. Esiste una principale differenza fra i linfociti B e i linfociti T. I primi riconoscono l’antigene anche se non è “presentato” da cellule specifiche, ma una volta attivati modificano la loro struttura recettoriale che rimarrà tale per tutta la vita dell’organismo: sono cellule dotate di memoria immunitaria e si calcola che siano in grado di produrre un milione di miliardi di anticorpi diversi. Esse si riattiveranno subito nel caso di un nuovo incontro con lo stesso antigene, anche a distanza di molti anni. I secondi, invece, si attivano a livello dei linfonodi solo quando il proprio recettore viene a contatto con le strutture antigeniche presentate da cellule specializzate; però non modificano il loro recettore che anzi possiede un milione di miliardi di siti di riconoscimento diversi per i vari antigeni. Anche i linfociti T attivati, in piccola quantità, rimangono come cellule memoria nell’organismo, anche se non si conoscono ancora i meccanismi di regolazione. I linfociti B, quindi, possono attivarsi in due modi: autonomamente oppure tramite i linfociti T helper della via 2. Quando il messaggio antigenico è chiaro, per esempio con pneumococchi, streptococchi e meningococchi, cioè con stimolazioni uguali e continue, allora i linfociti B si attivano immediatamente e si moltiplicano. Altrimenti essi si attivano solo se trovano un antigene già agganciato da anticorpi naturali (le IgM) e dal complemento, oppure presentato da cellule dendritiche nei linfonodi. Parlando dei diversi tipi di risposta immunitaria, abbiamo parlato di quella infiammatoria La reazione infiammatoria, pur avendo una partenza centrata sulle cellule della cosiddetta immunità naturale, tende spontaneamente a coinvolgere i linfociti. Questi ultimi, innanzitutto, si legano col proprio recettore all’antigene di superficie delle cellule presentanti l’antigene (APC), ma per attivarsi e riprodursi hanno bisogno di un secondo segnale dato da altre molecole di superficie che si possono legare a altri recettori sul linfocita T. Se non arriva questo secondo segnale, il linfocita T non viene attivato: si tratta quindi di un meccanismo di regolazione. La sede primaria del processo infiammatorio è rappresentata dall’endotelio dei vasi, che viene attivato sempre a partire da citochine liberate da cellule immunitarie. L’attivazione dell’endotelio porta alla produzione di una miriade di sostanze infiammatorie, collettivamente chiamate eicosanoidi, principalmente a partire dall’acido arachidonico, un acido grasso polinsaturo di membrana della serie omega6. L’acido arachidonico viene normalmente attivato: da una fosfolipasi di membrana da stimoli chimici da stimoli meccanici da stimoli immunitari, principalmente da frazioni del Complemento. 6 Gli eicosanoidi, successivamente, sono sintetizzati a partire da due classi di enzimi: le Ciclossigenasi 1 (COX 1), che sono costitutive, cioè presenti sempre ed ovunque e le Ciclossigenasi 2 (COX 2), che vengono indotte solo in caso di infiammazione. Per quanto riguarda la terapia antinfiammatoria, la ricerca attuale, sia per i farmaci di sintesi che per la fitoterapia, riguarda principalmente gli inibitori selettivi per le COX 2, che possono agire da antinfiammatori limitando gli effetti collaterali causati dal blocco delle COX 1. Concettualmente non è però appropriato parlare di blocco dell’ infiammazione, bensì di modulazione dell’ infiammazione. Si può regolare la sovrapproduzione di mediatori dell’acido arachidonico, che sono implicati in numerosi disordini infiammatori, anche diminuendo, nella membrana, il rapporto fra gli acidi grassi omega-6/omega-3. Alimentandosi con certi tipi di verdura e con molto pesce, si può aumentare la quantità di omega-3 di membrana, così come seguendo un regime dietetico povero di acido arachidonico si può diminuire la quantità di omega-6: è stato verificato, infatti, che a partire da acidi grassi omega-3, come l’acido linolenico, presente in molte verdure e gli acidi eicosapentaenoico (EPA) e docosaesaenoico (DHA), presenti nel pesce, si formano eicosanoidi rispettivamente della serie 1 e della serie 3, molto più blandi rispetto a quelle della serie 2, generati dall’arachidonico. Per quanto riguarda la febbre, il rialzo della temperatura serve a migliorare l’attività delle cellule immunitarie, non solo come attivazione dei macrofagi, ma soprattutto dei linfociti Th. Le più importanti citochine, come ad esempio INF-γ, IL-2, IL-4, sono dipendenti dalla temperatura. I linfociti T, per attivarsi, hanno bisogno di un aumento della temperatura. 7 Ma in che modo termina l’infiammazione? Il sistema immunitario possiede numerosi congegni per lo spegnimento degli stimoli e la risoluzione dell’infiammazione, che avviene quando i macrofagi hanno ripulito bene l’area infiammata e producono IL-10 che blocca l’infiammazione e quando i linfociti sgombrano il campo tramite un vero “suicidio di massa”, producendo anch’essi citochine antinfiammatorie. Se non si realizzano queste condizioni vuol dire che persiste la causa di infiammazione o che c’è una rottura della tolleranza linfocitaria: o che non vengono più prodotte citochine antinfiammatorie o che quest’ ultime hanno minore attività regolatoria. In questi casi si passa da infiammazione acuta ad infiammazione cronica. PRINCIPI ATTIVI 8 9 10 11 PIANTE AD AZIONE IMMUNOSTIMOLANTE Le piante ad azione immunostimolante contengono delle sostanze che agiscono prevalentemente tramite la stimolazione non specifica dei meccanismi di difesa immunitaria. Nella maggior parte dei casi non sono propriamente degli antigeni, ma piuttosto antigenemimetici : in termini pratici significa che esse vanno a stimolare principalmente le cellule che non hanno memoria immunitaria. La risposta, infatti, non deve essere diretta contro il fitoterapico, ma contro il patogeno. Il fitoterapico va quindi a stimolare cellule dell’immunità naturale la produzione di citochine adeguate alla creazione di un ambiente particolarmente ostile per il patogeno. Inoltre, dato che la loro azione farmacologica decresce in maniera relativamente rapida, è necessario somministrarli ciclicamente. I fitoterapici, ed in particolare gli agenti immunostimolanti, devono soddisfare alcuni requisiti generali: Nessuna o trascurabile attività antigenica 12 Nessuna induzione di reazioni allergiche o di autoimmunità o altri effetti collaterali Non essere cancerogeni Essere soggetti ad una rapida degradazione biologica Essere chimicamente definiti, almeno per quel che riguarda la classe chimica di appartenenza Le indicazioni principali per i fitoterapici immunostimolanti sono la profilassi e la cura delle infezioni virali semplici (sindromi influenzali) e la terapia delle infezioni batteriche. Inoltre possono essere importanti nella profilassi di infezioni opportunistiche in pazienti temporaneamente immunodepressi e nella terapia adiuvante dei tumori maligni. Fra le piante immunostimolanti utilizzate in modo costante, descriviamo: Echinacea angustifolia, Echinacea pallida, Echinacea purpurea - (Compositae) Uncaria tomentosa (Rubiaceae) Astragalus membranaceus – Huang qi Aloe vera, Aloe ferox , Aloe arborescens – (Liliaceae) Panax ginseng – (Araliaceae) Withania somnifera Papaya (fermentata) Eleuterococcus senticosus ECHINACEE Il genere Echinacea comprende diverse specie, che contengono numerosi composti chimici (polisaccaridi, glicoproteine, flavonoidi, derivati dell’acido caffeico fra i quali l’echinacoside). Il fitocomplesso stimola la fagocitosi dei granulociti periferici, attiva i macrofagi che liberano citochine, aumentando l’azione dei linfociti Th 1 e T citotossici e Natural Killer inibisce la ialuronidasi batterica blocca i radicali liberi esercita attività antibatterica aumenta le difese immunitarie in corso di contagio virale (per l’herpes e l’influenza è stato dimostrato sperimentalmente). L’interferone si lega alle superfici cellulari, dove stimola la sintesi di proteine intracellulari che bloccano la trascrizione dell’RNA virale. I polisaccaridi sono i 13 principali responsabili dell’attività immunostimolante, mentre i polifenoli di quella antinfiammatoria, per cui si preferisce usare estratti secchi titolati in polisaccaridi per il trattamento delle infezioni batteriche o virali, o estratti fluidi e tinture madri per l’azione antinfiammatoria. Clinicamente l’inibizione della ialuronidasi associata al generale effetto immunostimolante sono probabilmente più importanti dell’attività antivirale diretta. I diversi estratti a base di Echinacea hanno dato risultati nelle seguenti malattie: infezioni dell’apparato genitale influenza raffreddore infezioni delle prime vie respiratorie altre malattie infettive ASTRAGALUS MEMBRANACEUS L’Astragalo è una pianta che viene usata da millenni nella Medicina Tradizionale Cinese (Huang qi). Il suo impiego popolare è limitato alla cura del raffreddore comune, ma in realtà si tratta di una pianta molto promettente per la prevenzione e la cura di molte infezioni virali, ma anche di quelle neoplastiche, utilizzabile anche contro l’immunosoppressione da citostatici e l’AIDS. L’attività immunostimolante è dovuta alle sostanze presenti nelle radici, ricche di saponine (astragalosidi), flavonoidi, amine piogene (betaina, colina e GABA) e soprattutto polisaccaridi (astragaloglucani). Il fitocomplesso ha dimostrato aumento dell’attività dei fagociti e dei linfociti T aumento del numero e dell’attività delle cellule Natural Killer aumento della produzione di anticorpi IgM, IgE, IgA, IgG e di INF inibizione della transcriptasi inversa e della DNA polimerasi dei retrovirus aumento della quantità di globuli bianchi in caso di leucopenia cronica Gli estratti a base di Astragalus Membranaceus possono essere quindi utilizzati nelle seguenti malattie: raffreddore e influenza recidive di infezioni virali leucopenia cronica immunosoppressione da citostatici 14 Altri studi promettenti riguardano malattie neoplastiche e AIDS. PIANTE ED APPARATO RESPIRATORIO Fra le piante più utilizzate per le malattie dell’apparato respiratorio vi sono quelle che ad azione antinfiammatoria. Bisogna ricordare che le piante “a mucillaggini” esplicano la loro azione per contatto diretto con le mucose, mentre altre sostanze, per esempio i glucosidi (salicilici, iridoidi e triterpenici), entrano in circolo ed esplicano attività antinfiammatoria sistemica. PIANTE A MUCILLAGGINI ANTIALLERGICHE MUCOLITICHE ANTIMICROBICHE ANTIASMATICHE Althaea officinalis Ribes nigrum Malva silvestris Perilla frutescens Linum usitatissimum Boswellia serrata Marrubium vulgare Polygala senega Glechoma hederacea Thymus vulgaris Propoli Grindelia robusta Amni visnaga Cinnamomum zeylanicum Drosera rotundifolia OLI ESSENZIALI Satureja montana Pinus sylvestris Eucalyptus globulus ALTHAEA OFFICINALIS L’Altea è una pianta che contiene mucillaggini, sostanze amorfe costituite da polisaccaridi eterogenei che a contatto con l’acqua rigonfiano e formano soluzioni colloidali, viscose, ma non adesive (proprietà che le differenzia dalle gomme). Applicate sulla cute e sulle mucose agiscono, localmente, formando una pellicola che rafforza la capacità difensiva di questi tessuti e ne diminuisce la sensibilità. Infatti le mucillaggini mostrano i seguenti effetti sulle superfici corporee : emolliente, ne migliorano la morbidezza e l’elasticità demulcente, ne diminuiscono il turgore lenitivo, ne riducono la sensibilità Dato che la loro azione mitiga l’infiammazione delle mucose, il loro uso è particolarmente indicato in caso di bronchiti accompagnate da tosse secca e da irritazione, adatto e sicuro nel trattamento della tosse dei bambini. 15 PROPOLI La propoli non è un vero e proprio fitoterapico, bensì un materiale resinoso che deriva dall’elaborazione enzimatica del materiale vegetale dei fiori, da parte delle api. Queste lo utilizzano per cementare la struttura dell’arnia e del favo. La propoli contiene principalmente resine e oli essenziali, ma anche acidi organici, cere e flavonoidi di vario tipo: crisina, acacetina, apigenina, galangina, quercetina, pinocembrina, ecc. Fra questi flavonoidi, la galangina è considerato il marker tipico. Alcuni produttori di propoli tendono a toglierne la cera, perché si ritiene che in essa si trovino sostanze responsabili di una certa allergenicità. La propoli è stata considerata per tanto tempo una sostanza immunostimolante, ma in realtà le sue proprietà sono antinfiammatorie, disinfettanti ed antivirali, soprattutto contro le faringo-tonsilliti e le tracheiti. In particolare, le proprietà antivirali riguardano influenza, herpes simplex e adenovirus, mentre da non dimenticare sono le proprietà batteriostatiche e battericide contro stafilococchi, streptococchi, salmonella ed altri microrganismi. Date la potenziale allergenicità, deve essere utilizzato con molta cautela nei soggetti allergici, mentre se ne sconsiglia l’uso in gravidanza e durante l’allattamento. Le forme farmaceutiche più richieste sono la Tintura Madre, l’estratto glicerico per i bambini e le compresse. PIANTE ED APPARATO CARDIOVASCOLARE I principi attivi di origine vegetale sono particolarmente utili in ambito cardiovascolare, basti pensare ai glucosidi cardiotonici della Digitale e suoi collaterali, che costituiscono la terapia di elezione per il trattamento dello scompenso cardiaco, o alla Reserpina estratta dalla Rauwolfia serpentina, utilizzata come ipotensivo ma con notevoli effetti psicotici e depressivi dell’umore. Nell’ambito specifico della fitoterapia risultati eccellenti sono ottenuti con il Ginkgo biloba nei suoi numerosi campi di applicazione, Allium sativum, Vitis vinifera, Aesculus hippocastanum, Hydrocotile asiatica, Hamamelis virginiana, Crataegus oxyacantha. MALATTIA ATEROSCLEROTICA IPERTENSIONE ARTERIOSA INSUFFICIENZA VENOSA PERIFERICA IPOTENSIONE ARTERIOSA Ginkgo biloba Allium sativum Aesculus hippocastanum Paullinea cupana Vaccinium myrtillus Crataegus Vitis vinifera Glycirrhyza glabra 16 Allium sativum Hoxyacantha Viscum album Hydrocotile asiatica Aesculus Hippocastanum CRATAEGUS HOXYACANTHA L’estratto delle sommità fiorite di Biancospino (Crataegus hoxyacantha) può essere impiegato con notevole successo nel trattamento dell’ipertensione arteriosa, anche quando sia presente distonia neurovegetativa (ipertono simpatico), date le sue proprietà sedative a livello del SNC. I principi attivi contenuti nella droga appartengono al gruppo dei polifenoli (vitexina, iperoside, proantocianidine ed epicatechina), che determinano i seguenti effetti farmacologici: riduzione dello spasmo delle coronarie azione inotropa positiva riduzione delle resistenze vascolari periferiche leggera attività sedativa centrale Per questi motivi può essere utilizzata nel trattamento dell’ipertensione arteriosa, anche nei soggetti giovani e con distonia neurovegetativa, prima di utilizzare farmaci di sintesi o in associazione ad essi, controllando con regolarità i valori pressori. L’effetto combinato di aumento dell’irrorazione sanguigna a livello del miocardio da una parte, e di sedazione del SNC dall’altra, porta a risultati notevoli e prolungabili nel tempo data la mancanza di effetti collaterali. Le uniche interazioni conosciute sono quelle con i farmaci digitalici ed antiaritmici. Per quanto riguarda il dosaggio è raccomandato l’utilizzo di estratto secco titolato al 2% in flavonoidi, che garantistica l’assunzione di 5 – 20 mg al giorno di flavonoidi totali. In farmacia viene richiesta comunque anche la tintura madre e la tisana. GINKGO BILOBA Il Ginkgo biloba è una delle piante più studiate, con più di 400 studi sperimentali che ne avvalorano l’efficacia. La droga è rappresentata dalle foglie, il cui estratto contiene diverse molecole, compresi i glucosidi flavonici che sono i maggiori responsabili dell’attività del fitocomplesso. I tre agliconi flavonici più presenti sono la quercetina, il kaempferolo e l’isoramnetina, mentre le proantocianidine sono i flavonoidi maggiormente rappresentati. L’estratto di Ginkgo biloba (GBE) agisce profondamente sui tessuti, determinando: stabilizzazione delle membrane cellulari 17 effetti antiossidanti effetti di eliminazione dei radicali liberi aumento dell’utilizzo di ossigeno e glucosio forte inibizione del PAF (Fattore di Attivazione Piastrinica) Modelli sperimentali di ischemia cerebrale mostrano che il GBE aumenta l’utilizzo di ossigeno e l’assorbimento cellulare di glucosio, che permettono quindi il ripristino della produzione di energia, soprattutto a livello delle cellule cerebrali e nervose. E’ giustificato, quindi, l’impiego di GBE nella prevenzione e nella terapia dell’aterosclerosi e delle sue manifestazioni cliniche, nel diabete mellito, nell’angiosclerosi cerebrale; inoltre l’inibizione del PAF determina un’ulteriore protezione nei confronti dell’ictus, ma anche un effetto antiallergico, per diminuzione della degranulazione piastrinica, con conseguente blocco della cascata allergica ed infiammatoria. Tutti gli studi clinici sono stati effettuati con estratto secco di Ginkgo biloba, titolato al 24% in glucosidi flavonici, con un dosaggio di 40 – 80 mg 2-3 volte al giorno. Per evitare reazioni allergiche è importante verificare l’assenza di acidi ginkgolidi, di per sé allergizzanti. PIANTE, TUBO DIGERENTE E METABOLISMO Uno dei maggiori campi di applicazione della fitoterapia è rappresentato dalle patologie del tubo digerente e del metabolismo. L’argomento è molto ampio e comprende problemi gastrici, intestinali ed epatici, cui sono strettamente legate le dislipidemie ed una parte degli stati infiammatori cronici dell’organismo. È importante rendersi conto che questo campo impegna forse più di altri il farmacista “fitoterapeuta”, poiché il paziente chiede consigli prima di consultare uno specialista ad esempio, per dimagrire, oppure per abbassare i trigliceridi ed il colesterolo ematico, o ancora per ridurre l’acidità gastrica e per migliorare la digestione. In questo settore ci si rende conto dell’importanza di considerare l’Uomo come Unità di corpo ed anima, come un Microcosmo che interagisce interamente con il suo Macrocosmo, la Natura, e non un insieme di tessuti, organi e apparati separati tra loro e soprattutto separati dall’anima, dal pensiero del soggetto. È noto, per esempio, che lo stress ed il nervosismo influenzano il SNC, il quale a sua volta “scarica” a livello periferico, aumentando l’acidità gastrica e l’irritazione nel colon. Questi casi sono praticamente quotidiani in farmacia. PIANTE ANTINFIAMMATORIE GASTRITE E ULCERA COLITE STIPSI EMORROIDI 18 Althaea officinalis Zingiber officinale Allium sativum Aloe vera (gel privo di antrachinoni) Camomilla recutita, Curcuma longa Boswellia serrata Glycirrhyza glabra Passiflora incarnata Humulus lupulus Valeriana officinalis Melissa officinalis Aloe vera (gel privo di antrachinoni) Fibre alimentari (Plantago psyllium) Cascara sagrada Cassia angustifolia Rheum officinale Aloe barbadensis (con antrachinoni) Cupressus sempervirens Ruscus aculeatus Vitis vinifera ALOE Esistono più di 300 specie di aloe (liliaceae), ma la più conosciuta per uso medicinale è l’Aloe vera. Viene utilizzato un diverso estratto, a seconda dell’uso che se ne deve fare. In caso di stipsi si utilizza l’estratto di aloe contenente aloina, un complesso di antrachinoni, il principale dei quali è rappresentato dalla barbaloina, alla quale si attribuisce la maggiore attività catartica. Se si vogliono sfruttare le proprietà immunostimolanti e cicatrizzanti dobbiamo invece utilizzare estratti privi di aloina, ma ricchi dei costituenti polisaccaridici e dell’acido gamma-linolenico. Da oltre 2000 anni l’Aloe è utilizzata come purgante: a piccole dosi l’aloina determina un aumento del tono della muscolatura intestinale, a dosi maggiori ha un effetto lassativo e catartico. Siccome l’aloina causa contrazioni intestinali dolorose, è stata oggi sostituita da altri lassativi antrachinonici, come la Cascara sagrada e la Cassia. Risultati di alcuni studiosi indicano che l’assunzione di succo di Aloe vera aumenta il pH gastrico in media di 1,88 unità, confermando l’inibizione della secrezione di acido cloridrico; inoltre il gel di Aloe vera inattiva la pepsina in modo reversibile, solamente quando lo stomaco è vuoto, ed è un emolliente estremamente valido. Per quanto riguarda gli effetti antimicrobici, il gel di Aloe vera si è rivelato superiore alla sulfadiazina d’argento, potente antisettico utilizzato nella terapia delle ustioni estese. Questa proprietà ne giustifica l’impiego come topico cicatrizzante, anche perché contiene numerosi composti necessari per la guarigione delle ferite, tra i quali la vitamina E, la vitamina C e lo zinco. Uno dei polisaccaridi dell’Aloe, il mannosio acetilato o acemannano, ha dimostrato proprietà immunostimolanti antivirali, contro l’AIDS felino, il virus 19 dell’influenza e quello del morbillo. In particolare l’acemannano stimola le difese naturali dell’organismo, cioè macrofagi e Natural Killer. DIABETE Gymnema sylvestre Vaccinium myrtillus Momordica charantia DISLIPIDEMIE Cynara scolymus Monascus purpureus Omega – 3 OBESITA’ Citrus aurantium Garcinia cambogia Paullinea cupana CYNARA SCOLYMUS Il carciofo è stato utilizzato fin dall’antica Grecia per le sue proprietà coleretiche e diuretiche e gli studi moderni ne giustificano tale impiego, aggiungendo la notevole attività ipocolesterolemizzante ed epato-protettiva. I principali componenti delle foglie di Carciofo sono: Polifenoli Lattoni sesquiterpenici Flavonoidi In effetti le indicazioni più importanti sono quelle che riguardano la riduzione del colesterolo ematico totale, ed in particolare della frazione LDL, mentre la frazione HDL tende a salire. Esiste un doppio meccanismo d’azione che tende, da una parte a ridurre i livelli di HMG-CoA reduttasi, enzima chiave nella sintesi epatica del colesterolo, dall’altra ad inibire lo stesso enzima in modo reversibile. Sembra che uno dei flavonoidi, la luteolina, abbassi la concentrazione di HMG-CoA redattasi, mentre il fitocomplesso inibisce lo stesso enzima. Un’ulteriore azione del Carciofo è la riduzione dell’ossidazione delle lipoproteine LDL, che nella forma ossidata hanno un’elevata attività citotossica e aterogena. Le indicazioni terapeutiche del Carciofo sono quindi: Riduzione del colesterolo e prevenzione della malattia aterosclerotica Epatopatie varie Sindrome dispeptica Per quanto riguarda gli effetti collaterali, il Carciofo, poiché aumenta la secrezione di bile, dovrebbe essere usato con molta cautela nei soggetti affetti da calcolosi biliare ed ostruzione anche parziale delle vie biliari. Il dosaggio indicato nel caso di ipecolesterolemia è di 250 – 300 mg di estratto secco di Carciofo titolato al 7% in acidi clorogenici, per 3 – 4 volte al giorno. 20 ZINGIBER OFFICINALE Il rizoma dello Zenzero contiene diverse sostanze, quelle più significative da un punto di vista farmacologico sono i gingeroli, sostanze piccanti contenute in alta concentrazione nell’oleoresina. Le più rilevanti proprietà dello Zenzero sono: Attività antiossidante Inibizione della sintesi di prostaglandine, trombossano e leucotrieni (antinfiammatorio) Effetti antiulcera Lo Zenzero, studiato su modelli animali, previene la formazione di ulcere da etanolo, indometacina, acido acetilsalicilico e da altri comuni composti ulcerogeni, probabilmente per inibizione selettiva delle COX 2. PIANTE E REUMATOLOGIA Le piante sono sempre state utilizzate dalla medicina popolare per trattare il dolore e l’infiammazione ed anche la moderna ricerca scientifica tende a sperimentare i fitocomplessi a scopo antiinfiammatorio. In effetti uno dei campi che attira maggiormente l’attenzione dei ricercatori è proprio questo, considerati gli effetti collaterali dei farmaci antiinfiammatori di sintesi, soprattutto nelle terapie prolungate. Come la ricerca tradizionale si indirizza verso gli inibitori selettivi delle COX 2, così anche fra i fitocomplessi sono selezionati quelli che mostrano tale attività (ma con minori effetti collaterali). Chiaramente si parla di campi di applicazione vastissimi, che in questa sede non possono essere approfonditi, ma che offrono molti riscontri clinici. Le piante con proprietà antinfiammatorie più utilizzate, sono: Harpagophytum procumbens Salix alba Spirea ulmaria Rosmarinus officinalis Zingiber officinale Polygonum cuspidatum Curcuma longa Boswellia serrata 21 HARPAGOPHYTUM PROCUMBENS L’Artiglio del diavolo è una pianta utilizzata dalla medicina popolare come antireumatico ed antinfiammatorio, anche se a questo proposito i dati sono contraddittori. I principi attivi contenuti nella pianta sono: Glucosidi iridoidi (arpagoside, procumbide) Acido cinnamico Flavonoidi Glucosidi fenolici (verbascoside, isoacteoside) Secondo la FU le radici di Artiglio del diavolo devono contenere non meno dell’1,8% di iridoidi totali, di cui almeno l’80% di arpagoside. Si usa generalmente come estratto secco, con un dosaggio che può arrivare fino a 4 grammi al giorno, ma sono da considerare attentamente gli effetti collaterali, quali intolleranza gastrica ed interazione con i FANS. CURCUMA LONGA L’uso della Curcuma longa è descritto nella Medicina Tradizionale Cinese e Ayurvedica nel VII secolo a.C. e continua nella Medicina popolare fino ai nostri giorni. Le prove scientifiche della sua validità come farmaco sono partite dall’evidenza di una minore incidenza di neoplasie in paesi che utilizzano il Curry contenente curcumina nell’alimentazione. In terapia vengono utilizzate le radici ed i rizomi. I maggiori costituenti attivi sono i curcuminoidi, pigmenti di colore aranciogiallo. Le proprietà della Curcuma longa sono: Azione antinfiammatoria, paragonabile al cortisone ed all’indometacina, senza gli effetti collaterali (inibizione selettiva COX 2) Azione antiaggregante piastrinica Azione epatoprotettiva e coleretica Azione protettiva gastrointestinale Inibizione dell’angiogenesi tumorale Induzione dell’apoptosi nelle cellule neoplastiche Per esperienza personale la Curcuma viene sempre più spesso utilizzata, pare con buoni risultati, nel trattamento di un certo tipo di mieloma multiplo, anche in associazione con i normali protocolli chemioterapici. Si usa come estratto secco titolato al 95% in curcuminoidi, con un dosaggio che può arrivare fino a 10 grammi al giorno senza risultare tossico. Gli unici effetti collaterali riportati in letteratura sono nausea e diarrea, che scompaiono però dopo pochi giorni. 22 PIANTE E SISTEMA NERVOSO Anche sul SNC la Fitoterapia agisce in modo rapido, profondo e con effetti collaterali non paragonabili a quelli dei farmaci di sintesi. Un crescente numero di persone inizia fin da giovane terapie con ansiolitici ed antidepressivi, quasi sempre per “tamponare” insicurezze ed insoddisfazioni personali, provando a rimandare il momento in cui dover affrontare realmente i propri problemi. Se alle piante medicinali fosse assegnata la dovuta importanza, sicuramente il medico potrebbe provare a prescrivere certi fitocomplessi prima di passare ai pericolosi farmaci di sintesi: esistono, infatti, numerosi esempi di persone che riescono a passare gradualmente all’uso dei fitocomplessi senza “soffrire” più di tanto, ma ci sono anche tante persone ormai “dipendenti” nel corpo e nella mente da tali farmaci. INSONNIA ANSIA DEPRESSIONE Valeriana officinalis Passiflora incarnata Citrus aurantium Melissa officinalis Piper metysthicum Escholtzia californica Hypericum perforatum Griffonia simplicifolia Rhodiola rosea DISTURBI COGNITIVI Ginkgo biloba Eleutherococcus senticosus Withania somnifera VERTIGINI Valeriana officinalis Zingiber officinale Ginkgo biloba Tali indicazioni in questo contesto sono davvero relative, in quanto tutte le piante descritte possiedono ampie proprietà, per cui possono essere indicate contemporaneamente per diversi disturbi. HYPERICUM PERFORATUM L’Iperico, o erba di San Giovanni, è una pianta utilizzata in toto per uso medicinale. I componenti di maggiore interesse sono l’ipericina e la pseudoipericina, derivati chinonici caratterizzati da un nucleo naftodiantronico, senza però attività lassativa. Più recentemente i ricercatori si sono interessati ad altri componenti, specialmente flavonoidi e xantoni, visto che gli effetti ed i benefici del fitocomplesso vanno al di là delle azioni dell’ipericina e della pseudoipericina (importanza del fitocomplesso). L’estratto di Iperico presenta una grande varietà di effetti in studi clinici e sperimentali, tra cui: Effetti antidepressivi Effetti antivirali Effetti antibiotici 23 Sappiamo che tra le diverse ipotesi sulla genesi della depressione, quella di una carenza nella funzione delle amine biogene (serotonina, catecolamine, dopamina, ecc.) è la più largamente accettata. Per aumentare i livelli di queste amine nello spazio sinaptico, si può agire sia inibendone il reuptake, sia bloccando gli enzimi deputati alla loro in attivazione, le MAO e le COMT. Dall’analisi di diversi studi sperimentali, è stato osservato che l’Iperico agisce contemporaneamente in diversi modi: la frazione di fitocomplesso che inibisce le MAO contiene ipericina e flavonoidi quella che inibisce le COMT contiene principalmente flavonoidi e xantoni l’intero estratto ha mostrato la capacità di ridurre i livelli di IL-6, segnale di modulazione sull’asse ipotalamo-pituitario-surrenale, che determina una diminuzione del CRH (ormone di rilascio della corticotropina) della surrenale, caratteristica tipica di riduzione dello stato di depressione. Questo meccanismo suggerisce che l’Iperico agisca da legame tra il sistema immunitario e l’umore l’attività antidepressiva dell’estratto di Iperico si esplica anche tramite l’inibizione del riassorbimento della serotonina da parte di recettori postsinaptici. Sulla base dei risultati di uno studio randomizzato, in doppio cieco e a gruppi paralleli, realizzato presso 40 centri ambulatoriali in Germania, è stato provato che “nel trattamento della depressione, da moderata a media, l’estratto di Hypericum perforatum è equivalente dal punto di vista terapeutico agli antidepressivi triciclici ed è meglio tollerato dai pazienti”. Per concludere, in Germania l’estratto di Iperico nel trattamento della depressione lieve e moderata viene rimborsato dal Sistema Sanitario Nazionale, così come il GBE nel trattamento dei problemi del microcircolo cerebrale. Dal luglio del 2009, su indicazione del ministero della salute, il dosaggio massimo giornaliero del principio attivo ipericina è passato da 21 mcg a 70 mcg, ma è da rispettare un preciso rapporto fra iperforine e ipericina. Studi recenti SEMI DI LINO da LINUM USITATISSIMUM I semi di lino derivano da una pianta conosciuta da migliaia di anni, che è stata utilizzata in tantissimi campi, fra i quali anche quello medico. L’interesse attuale per il Lino è rivolto principalmente ai semi, ricchi di fibre dietetiche solubili ed insolubili, acidi grassi polinsaturi (70%), monoinsaturi (18%), saturi (9%). Di questi, particolarmente importanti sono due acidi grassi polinsaturi essenziali, l’acido linoleico, un omega-6 e l’acido alfa-linolenico (ALA), un omega-3, precursore dei 24 più importanti EPA e DHA. Esiste infatti una via enzimatica attraverso la quale, partendo da ALA si formano EPA e DHA, ma la resa è minima, dato che l’organismo la utilizza solo in piccolissima parte. Per avere un apporto di EPA e DHA occorre, quindi, assumere integratori distillati e concentrati, oppure mangiare molto pesce. Dall’ acido linoleico, per azione di desaturasi, si forma l’acido gamma-linoleico (GLA), che può essere definito il precursore dell’acido arachidonico, presente nella membrana cellulare di tutte le nostre cellule, da cui si formano potentissimi ormoni autacoidi conosciuti come eicosanoidi. Gli studi recenti riguardano però alcuni lignani, polifenoli contenuti nei semi di lino, che hanno ricevuto particolare attenzione in campo oncologico. Fra di essi, i più rappresentati sono secoisolariciresinolo diglucoside (SDG) e in minor misura idrossimatairesinolo (HMR). SDG viene metabolizzato dalla flora batterica del colon in enterolattone ed enterodiolo, due fitoestrogeni bifenolici, strutturalmente simili all’estradiolo, che manifestano attività estrogenica e/o antiestrogenica ed attività antitumorale. I principali effetti dell’enterolattone derivato da SDG sono: • ridotto rischio di sviluppare carcinoma prostatico (Hedelin 2006) • ridotto rischio di sviluppare cancro della mammella (Pietine 2001) • ridotta proliferazione di cellule di carcinoma prostatico umano LNCaP in vitro, con diminuzione della densità cellulare, dell’attività metabolica, della secrezione di PSA e attività apoptotica che sono legate ad inibizione dell’espressione dei geni coinvolti nel ciclo cellulare (McCann 2008) • efficacia terapeutica paragonabile ai comuni farmaci alfa-litici ed inibitori 5alfa-reduttasi impiegati nel trattamento dell’ipertrofia prostatica (Zhang 2008) • inibizione dell’enzima aromatasi che è responsabile della conversione del testosterone nel potente estrogeno estradiolo (Brooks e Thompson 2005) • inibizione dell’enzima 5-alfa-reduttasi con riduzione dei livelli di DHT • inibizione degli enzimi tirosinchinasi che sono iperespressi nel carcinoma prostatico e partecipano alla crescita tumorale • inibizione della crescita di cellule di carcinoma mammario e metastasi mammarie per diminuzione dell’espressione di IGF-1 ed EGF-R (Jan Min Chen 2002). Le modificazioni causate dall’assunzione giornaliera di 25 grammi di semi di lino sono simili a quelle indotte da agenti antitumorali quali il tamoxifene e gli inibitori dell’aromatasi, con, inoltre, un incremento dell’attività di tali farmaci nel ridurre la crescita tumorale, sia in presenza di alti che di bassi livelli di estrogeni (Chen 2004; 2007) e riduzione del rischio di carcinoma dell’endometrio che è correlato all’esposizione agli estrogeni. • Chemioprevenzione sui tumori del colon e minore espressione delle COX in modelli animali (Oikarinen 2005; Bommareddy 2006) E’ consigliabile utilizzare semi di lino di produzione biologica macinati a freddo, nella quantità di 30 grammi al giorno, da aggiungere, per esempio, ad uno yogurt, oppure un estratto secco di semi di lino titolato al 40% in SDG, da assumere in 25 capsule con un dosaggio di 500 mg ciascuna, da assumere 3 volte al giorno. Testimonianze personali attestano della notevole riduzione di disagio in pazienti affetti da ipertrofia prostatica, soprattutto sulla frequenza ed il volume di minzione. NOTE DI GALENICA MAGISTRALE Dopo che la documentazione relativa alle materie prime è stata accettata, si valuta la ricetta del medico: nessuna formulazione deve essere allestita quando una parte anche minima di essa non è stata ben compresa. Si deve porre attenzione alle caratteristiche chimico-fisiche di ciascun componente, allo scopo di : 1. Stabilire la più razionale tecnica di preparazione 2. Prevedere le possibili interazioni 3. Controllare che non vi siano incompatibilità terapeutiche fra le sostanze farmacologicamente attive 4. Valutare la stabilità. • Quando si è compresa la ricetta medica si devono effettuare tutti i calcoli necessari, stando attenti in particolare alle unità di misura indicate • Verificata la pulizia delle attrezzature necessarie, del piano di marmo del laboratorio e la taratura delle bilance, si prelevano dagli scaffali del laboratorio le materie prime di cui c’è bisogno per allestire la formulazione (nel caso delle preparazioni precedenti saranno polveri ed estratti secchi) ed i contenitori idonei • Si accende il sistema di aspirazione e, indossati i guanti in lattice, si pone un mortaio di porcellana pulito ed asciutto sulla bilancia adeguata e si prendono con una spatola le sostanze nelle quantità richieste, mescolandole con il pestello fino ad ottenere una miscela omogenea in tutte le sue parti • Si valuta il volume complessivo della polvere, in modo da poter scegliere capsule di misura adeguata • Si aprono le capsule, si riempiono in modo omogeneo con la polvere precedentemente mescolata, si chiudono, si bloccano e si pongono nel contenitore • Si effettuano alcuni controlli sul prodotto finito, quali una verifica della correttezza delle procedure eseguite, controllo dell’aspetto, controllo del confezionamento, eventuale controllo dell’uniformità di massa sulle capsule piene • Si prepara l’etichetta al computer con software adatto, effettuando lo scarico delle materie prime e del contenitore dal magazzino con conseguente 26 • • • • • aggiornamento del relativo Registro, ed il salvataggio della preparazione nel Registro delle Preparazioni Si calcola il prezzo del preparato, che deve contenere in etichetta il costo delle sostanze, l’onorario del farmacista, il costo del contenitore (non si calcola nelle per le capsule) ed il prezzo totale. Esistono software di gestione del Laboratorio Galenico che consentono di effettuare tutte queste operazioni in modo rapido e preciso Si effettua la stampa dell’etichetta in doppia copia, apponendone una sul contenitore e l’altra su una copia della ricetta medica. L’etichetta deve contenere alcune frasi obbligatorie, indicazioni di pericolosità, modo e tempi di somministrazione e posologia indicati dal medico Si ripongono negli scaffali tutte le sostanze, si pulisce il piano di lavoro e le attrezzature utilizzate Al momento della dispensazione al paziente, si pone un timbro della Farmacia con la data, il prezzo della preparazione e la firma del farmacista preparatore, sia sulla ricetta del medico, sia sulla copia la ricetta originale, se ripetibile, viene restituita al paziente ed ha validità tre mesi dalla data di compilazione, salvo diversa indicazione del medico che ha facoltà di estendere la validità per un periodo superiore. La copia deve essere conservata in Farmacia per sei mesi, quindi distrutta. Ferruccio Balducci 27