Rimbaud e Manzoni. Spazi e fughe nello Yemen del tardo ’800
Arthur Rimbaud (1854–1891) giunge a Aden nell’estate 1880, proveniente da Cipro, “après
des disputes que j’ai eues avec le payeur général et mon ingénieur”, come scrive in una lettera del
17 agosto il ventiquattrenne ex-poeta in fuga da sé e dalla letteratura. E continua: “J’ai cherché du
travail dans tous les ports de la mer Rouge […] Je suis venu ici après avoir essayé de trouver
quelque chose à faire en Abyssinie […]”.
In una lettera di pochi giorni successiva, dopo aver annunciato di lavorare per un mercante
di caffè che gli affida degli incarichi nello Yemen e a Harar, in Etiopia, Rimbaud delinea una
descrizione dura della città ove si è rifugiato: “Aden est un roc affreux, sans un seul brin d’herbe ni
une goutte d’eau bonne: on boit l’eau de mer distillée. La chaleur y est excessive, surtout en juin et
septembre qui sont les deux canicules. La température constante, nuit et jour, d’un bureau très frais
et très ventilé est de trente-cinq degrés”.
In una lettera del 10 settembre 1884, Rimbaud rappresenta l’immagine di una sorta di
schiavitù incognita: “du moment que je gagne ma vie ici, et puisque chaque homme est esclave de
cette fatalité misérable, autant ici qu’ailleurs, mieux vaut même ici qu’ailleurs où je suis inconnu ou
bien où l’on m’a oublié complètement et où j’aurais à recommencer!”.
Alla ricerca della costruzione della propria personalità, Renzo Manzoni (1852–1918), nipote
di Alessandro, geografo, etnologo e botanico, si reca in Marocco nel 1876, prima di dedicarsi ad
un’approfondita esplorazione dello Yemen. Percorre il paese soggiornandovi tra il settembre 1877 e
il marzo 1880: il resoconto, personale e puntuale, di quest’esperienza si condensa in El Yemen. Tre
anni nell’Arabia Felice, 1884.
Nel Capitolo primo scrive Renzo Manzoni: “Lo Yemen […] era stato visitato solo in
qualche parte e da pochissimi viaggiatori […] però nessuno, partito da Aden […], aveva potuto
arrivare direttamente a Sanâa, la sua capitale […]”.
Fotografo dalla forte passione, tanto da attrezzare a laboratorio fotografico parte della casa
ove soggiorna a Sana’a, Manzoni traccia pagine di una caratteristica tonalità semi-documentaria,
lontana dalla letterarietà sentenziosa del nonno (citato nella dedica “Alla Sacra Maestà di Umberto
Primo”). Ecco allora che, descrivendo la casa in Scekh Othmàn di Hàssen Ali Bey, agente ufficiale
della Turchia e dell’Egitto, scrive e commenta: “E’ dessa una bellissima casa quadrata, con
commode e spaziose stanze; un gran terrazzo al pian terreno; una veranda tutta in giro al superiore e
trovasi in mezzo ad un bellissimo giardino.
Un giardino! Dopo quattro mesi passati in Aden, dove non iscorgesi un filo d’erba, il vedersi
trasportati, quasi per incanto, in un bel giardino […] con due pozzi, dai quali con nore e pompe
idrauliche si estrae l’acqua per irrigare le tantissime aiole coltivate […] tutto questo procurò a me e
a’ miei compagni la più simpatica e voluttuosa impressione”.
Immersosi un tempo nella figura del voyant, l’autore de Le Bateau ivre, d’Une saison en
Enfer, delle Illuminations, “l’homme aux semelles de vent”, spezza e amputa i nessi della
strutturazione mitopoietica tardo-ottocentesca. Rimbaud trasforma l’iniziale proiezione dell’io in
estroversione geografica, che attraversa luoghi d’Europa, d’Africa e della Penisola arabica, e in
rappresentazione di un sé ostinatamente alla deriva. Aden e Harar sono anelli di una logica
sacrificale che espunge il territorio europeo dal proprio orizzonte, se non come approdo di lettere
che descrivono e non dicono, poiché l’afasia è il trauma della conoscenza: “Qui auget scientiam,
auget et dolorem”.
Manzoni vede e vuol rappresentare. Con afflato positivistico tende traiettorie che citano e
confrontano il Marocco visitato nel 1876, le familiari campagne lombarde, nonché strade, abitazioni
e paesaggi yemeniti: “Splendeva una magnifica luna, sicché io potei vedere tutto quello che mi
stava attorno”. La classificatoria visionarietà manzoniana si dota di una significativa attrezzatura
fotografica, cui consacrare parte della propria casa a Sana’a: “Il mio terzo piano, che era l’ultimo,
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avea quattro stanze abbastanza grandi, che davano sopra una bella terrazzina, che adattai poi a sala
fotografica per le pose. Di quelle quattro camere ne adattai una per salotto a ricevere; la seconda
ordinai a camera da letto, la terza a laboratorio oscuro pei negativi, e la quarta a laboratorio pei
positivi”.
Spostatosi a Harar per seguirvi i commerci della filiale Bardey da poco aperta, scrive
Rimbaud il 13 dicembre 1880: “Je suis arrivé dans ce pays après vingt jours de cheval à travers le
désert Somali. Harar est une ville colonisée par les égyptiens et dépendant de leur gouvernement.
[…] Ici se trouve notre agence et nos magasins. Les produits marchands du pays sont le café,
l’ivoire, les peaux, etc. Le pays est élevé, mais non infertile. Le climat est frais et non malsain. On
importe ici toutes marchandises d’Europe, par chameaux. Il y a, d’ailleurs, beaucoup à faire dans le
pays. […] Nous sommes forcés d’envoyer notre courrier à Aden, par rares occasions”. Circa due
anni dopo, in una lettera da Aden del 28 settembre 1882, Rimbaud chiede che gli sia inviata una
macchina fotografica, mediante la quale spera di guadagnare abbastanza: “Je suis toujours au même
lieu; mais je compte partir, à la fin de l’année, pour le continent africain, non plus pour le Harar,
mais pour le Choa (Abyssinie). Je viens d’écrire à l’ancien agent de la maison à Aden […] qu’il me
fasse envoyer ici un appareil photographique complet, dans le but de le transporter au Choa, où
c’est inconnu et où ça me rapportera une petite fortune, en peu de temps”.
Le problematiche economiche non sembrano angustiare Manzoni. Concentrato nella
raffigurazione dell’altro da inserire adeguatamente nel proprio orizzonte esperienziale, l’esploratore
fornisce un’accurata mappa di Sana’a, cui sono dedicati il capitolo ottavo e nono del suo libro,
datata al gennaio-febbraio 1879. Nella legenda, accanto ai vari simboli rappresentati, si legge di
moschee e case – “importanti”, “in buono stato” o “distrutte” –, di giardini e campi coltivati, nonché
di mura “in buono stato”, “in cattivo stato” o “completamente rovinate”. Mentre dalle porte delle
mura si dipartano strade e tracciati per località e campi. Oltre a fargli tracciare linee descrittive, la
visione classificatoria spinge Manzoni a produrre fotografie. Sorta di successivo annullamento di
una delle chiavi costruttivo-interpretative del viaggio, poema dello sguardo del viaggiatore, il
destino di tali immagini non è chiaro. Restano viceversa incisioni ricavate dalle lastre fotografiche,
a corredo di El Yemen. Tre anni nell’Arabia Felice, ove Manzoni pubblica nel 1884, in parte
approfonditi o rielaborati, relazioni e articoli apparsi precedentemente ne “L’Esploratore” e nel
“Bollettino della società geografica italiana”.
Nel 1883 Rimbaud parte nuovamente da Aden in direzione di Harar per esplorazioni
nell’ambito dei commerci della ditta Bardey. Ne approfitta per spingersi verso l’Ogadēn: giuntovi
in giugno, prepara una relazione su questa regione contesa al centro del Corno d’Africa. Il testo è
pubblicato nel 1884 nei Comptes rendus de la Société de géographie de Paris con il titolo di
Rapport sur l’Ogadine:
“Par M. Arthur Rimbaud, agent de MM. Mazeran, Viannay et Bardey,
À Harar (Afrique orientale).
Harar, 10 décembre 1883.
Voici les renseignements rapportés par notre première expédition dans l’Ogadine.
Ogadine est le nom d’une réunion de tribus somalies d’origine et de la contrée qu’elles occupent et
qui se trouve délimitée généralement sur les cartes entre les tribus somalies des Habr-Gerhadjis,
Doulbohantes, Midjertines et Hawïa au nord, à l’est et au sud. À l’ouest, l’Ogadine confine aux
Gallas, pasteurs Ennyas, jusqu’au Wabi, et ensuite la rivière Wabi la sépare de la grande tribu
Oromo des Oroussis. […]”. Sempre più invischiato in faticosi traffici nell’Africa Orientale,
Rimbaud conosce vari commercianti ed esploratori italiani, tra i quali Antonio Cecchi, all’origine
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dell’immagine dell’ex-poeta visto come mercante di “avorio e schiavi” e tratteggiato, nel rapporto
indirizzato nel 1888 al Ministro degli Esteri Crispi, come “uno degli agenti più intelligenti e attivi
del Governo Francese in quelle regioni”.
Console ad Aden, nel giugno 1887 in assenza del titolare, confermato successivamente come
console effettivo in contemporanea con l’elevazione di Aden a Consolato generale, Antonio Cecchi
– autore di Da Zeila alle frontiere del Kaffa pubblicato a Roma tra il 1885 ed il 1887 con ricchezza
di dati geografici, storici, linguistici ed etnografici sull’area etiopica – è citato da Manzoni nella
premessa: “Per il che nel marzo 1877 lasciai il Marocco e me ne andai in Aden. Il ritardo di oggetti
troppo necessarii per un viaggio di tale genere e molte altre cause non mi lasciarono partire da Zeila
in compagnia di Cecchi e di Marini, per cui dovetti ritornare in Aden e quivi fermarmi. Fu qui che
ho risoluto partire per Sanâa, la capitale dello Yèmen”. Le “prime impressioni” trascritte dal
“libriccino di memorie” sono all’insegna di un invitante colorismo: “ – La città mi sembra
bellissima: magnifiche, grandiose sono le case – Queste case sono tutte costruite in pietre da taglio e
in mattoni – E questi mattoni sono ben cotti; fortissimi; e di un colore rosso bruno: hanno la forma e
le grandi dimensioni di quelli che si vedono nelle rovine romane. – Le larghe e belle strade sono
pulitissime. Le altissime case, a fondo grigio della pietra e rosso bruno dei mattoni a vista, colle
finestre, i frontoni, le sagome a ricamo in bianco, fanno un effetto magico, sorprendente al chiaro di
luna – Quando mi trovo nel quartiere dei caffè turchi e delle botteghe greche, mi pare di essere in
una borgata europea”.
Aden, 30 aprile 1891, lettera di Rimbaud:
“Ma chère maman,
J’ai bien reçu vos deux bas et votre lettre, et je les ai reçus dans de tristes circonstances. Voyant
toujours augmenter l’enflure de mon genou droit et la douleur dans l’articulation, sans trouver
aucun remède ni aucun avis, puisqu’au Harar nous sommes au milieu des nègres et qu’il n’y a point
là d’Européens, je me décidai à descendre. Il fallait abandonner les affaires : ce qui n’était pas très
facile, car j’avais de l’argent dispersé de tous les côtés; mais enfin je réussis à liquider à peu près
totalement. Depuis déjà une vingtaine de jours, j’étais couché au Harar et dans l’impossibilité de
faire un seul mouvement, souffrant des douleurs atroces et ne dormant jamais. Je louai seize nègres
porteurs, à raison de 15 thalaris l’un, du Harar à Zeilah; je fis fabriquer une civière recouverte d’une
toile, et c’est là dessus que je viens de faire, en douze jours, les 300 kilomètres de désert qui
séparent les monts du Harar du port de Zeilah. Inutile de vous dire quelles horribles souffrances j’ai
subies en route. Je n’ai jamais pu faire un pas hors de ma civière; mon genou gonflait à vue d’oeil,
et la douleur augmentait continuellement. […]”.
Manzoni sceglie una casa di suo gradimento a Sana’aRimbaud-Manzoni: “Finalmente in una
piccola piazza, tra la moschea el-Medresèh e quella dell’At-Tauàsci, in faccia alla casa di Ismâìl
Hàqqi Pascià, trovai una bella e comoda casa, a tre piani, con dodici ambienti, due scale, due stalle,
un piccolo giardino […] il tutto per la somma di quattro talleri mensili”. In un contributo dedicato
all’individuazione attendibile dell’abitazione di Manzoni nel tessuto cittadino, scrive Di Bella: “Da
questa descrizione si parte per l’individuazione della zona in cui la casa si trovava e cioè, al giorno
d’oggi, ad est del mercato di Bab ash-Shuhub […], proprio in un quartiere chiamato appunto AtTawashi, dal nome del giardino che vi si trova. […] Le due moschee menzionate sono ancora
esistenti e la prima è ancora utilizzata mentre la seconda, molto più piccola, è in fase di restauro”.
Dall’identificazione della casa di Ismâìl Hàqqi Pascià, Governatore di Sana’a, la cui abitazione è
ancora sostanzialmente eguale a quella riprodotta in un’incisione del libro, tratta dalle fotografie
scattate da Manzoni, è stato possibile individuare quella a suo tempo abitata dall’esploratore
italiano.
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Aden, 30 aprile 1891, Rimbaud:
“[…] Arrivé ici, je suis entré à l’hôpital européen. Il y a une seule chambre pour les malades
payants: je l’occupe. Le docteur anglais, dès que je lui ai montré mon genou, a crié que c’est une
synovite arrivée à un point très dangereux, par suite du manque de soins et des fatigues. Il parlait
tout de suite de couper la jambe; ensuite, il a décidé d’attendre quelques jours pour voir si le
gonflement diminuerait un peu après les soins médicaux. Il y a six jours de cela, mais aucune
amélioration, sinon que, comme je suis au repos, la douleur a beaucoup diminué. Vous savez que la
synovite est une maladie des liquides de l’articulation du genou, cela peut provenir d’hérédité, ou
d’accidents, ou de bien des causes. Pour moi, cela a été certainement causé par les fatigues des
marches à pied et à cheval au Harar. Enfin, à l’état où je suis arrivé, il ne faut pas espérer que je
guérisse avant au moins trois mois, sous les circonstances les plus favorables. Et je suis étendu, la
jambe bandée, liée, reliée, enchaînée, de façon à ne pouvoir la mouvoir. Je suis devenu un squelette:
je fais peur. Mon dos est tout écorché du lit; je ne dors pas une minute. Et ici la chaleur est devenue
très forte. La nourriture de l’hôpital, que je paie pourtant assez cher, est très mauvaise. Je ne sais
quoi faire. […]”.
Riprodotta anch’essa in un’incisione del libro, la casa di Manzoni si presenta oggi in forme
profondamente modificate ma ancora parzialmente riconoscibili, basandosi “innanzitutto sul
riconoscimento dell’edificio adiacente”.
Aden, 30 aprile 1891, Rimbaud:
“[…] J’ai envie de me faire porter à un vapeur, et de venir me traiter en France, le voyage
me ferait encore passer le temps. Et, en France, les soins médicaux et les remèdes sont bon marché,
et l’air bon. […]”.
Fughe dalla poesia e dall’eredità letteraria di famiglia creano spazi di ricerca e di
annullamento, estroversioni dell’essere che si spende e si consuma. Mentre sarebbe visitabile
l’abitazione di Rimbaud a Harar, sembra che la sua abitazione di Aden sia stata demolita e sostituita
da un edificio successivo, non corrispondendo quindi a quella identificata nel 1990 e restaurata.
Debole invece è in Italia il ricordo di Renzo Manzoni e delle sue fotografie.
Se mura e pietre si sbriciolano, possono ambire a farsi testimonianza memoriale solo
attraverso visioni figurative o pagine scritte, come ne Le città invisibili di Calvino:
“Il Gran Kan possiede un atlante in cui sono raccolte le mappe di tutte le città: quelle che
elevano le loro mura su salde fondamenta, quelle che caddero in rovina e furono inghiottite dalla
sabbia, quelle che esisteranno un giorno e al cui posto ancora non s’aprono che le tane delle lepri”.
Ettore Janulardo
Nota bibliografica
Renzo Manzoni, El Yemen. Un viaggio a Sana’a 1877-1878, 1884, ediz. E.D.T., Torino, 1996
Marco Di Bella, La casa di Renzo Manzoni a Sana'a, inedito, 2005
La lettre de la Pléiade, Rimbaud et l’Ogadine - Un fragment retrouvé, n° 43, mars 2011,
http://www.la-pleiade.fr/
Arthur Rimbaud, Correspondance, http://www.azurs.net/arthur-rimbaud
Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano, 1996
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Casa Manzoni da est
(Courtesy Marco Di Bella)
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Palazzo e Casa Manzoni (destra)
(Courtesy Marco Di Bella)
Casa Manzoni da ovest
(Courtesy Marco Di Bella)
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