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som
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IN...FORMAZIONE
Periodico trimestrale
dell’Associazione OSDI
Operatori Sanitari
di Diabetologia Italiani
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Autorizzazione del tribunale
di Lecce n. 1014 - marzo 2009
DIRETTORE RESPONSABILE
Maria Teresa Branca
VICE-DIRETTORE
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COMITATO SCIENTIFICO
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COMITATO DI REDAZIONE
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Lia Cucco
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PROGETTAZIONE GRAFICA,
IMPAGINAZIONE E STAMPA
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Tel. 0833.502319
editoriale del direttore
di Maria Teresa Branca
lettera del presidente
di Giovanni Lo Grasso
vita associativa
nursing diabetologico
a cura di Lia Cucco
Articolo originale
L’autocontrollo glicemico ed i glucometri
di ultima generazione,
cosa è cambiato nell’ultimo decennio …
di Abbati Cristiano
Dito a scatto: cause e rimedi
di L. Pagano, M. C. Vulpiani, D. Trischitta,
M. Vetrano, A. Orologi, E. Amore
Iniettare o no?
di Helen Mosnier-Pudar
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N. 3 Settembre 2014
O P E R AT O R I S A N I TA R I D I D I A B E T O L O G I A I TA L I A N I
editoriale
4
del
direttore
Con l’autunno si torna sui banchi di
scuola e alla routine quotidiana delle
attività di lavoro e di studio, anche
Osdi torna ad occuparsi dei doveri
associativi anche se, in realtà, anche
l’estate non è stata priva di impegni.
Come sapete è avvenuto il rinnovo
dei componenti del Direttivo Nazionale e delle cariche istituzionali, nella
lettera del Presidente viene data la
presentazione formale del nuovo
CDN ma anche una sorta di imperativo, che mi piace sottolineare,
sull’importanza del gruppo di lavoro.
D’altra parte l’intera associazione è
da considerarsi un grande gruppo di
lavoro che condivide successi, entusiasmi, gioie insieme a difficoltà e
momenti di scoraggiamento.
Gli ultimi tempi non possiamo certo
considerarli facili, le difficoltà che
l’associazione vive sono molteplici e
spesso coerenti con il clima a cui assistiamo quotidianamente anche nei
nostri ambienti lavorativi, la carenza
di risorse è un comune denominatore
che purtroppo non riguarda solo la
Sanità, anche se, i tagli alla spesa
pubblica molto spesso la riguardano.
Come professionisti del settore, non
possiamo restare inerti di fronte al
di Maria Teresa Branca
rischio che, la carenza di risorse,
possa avere una ricaduta negativa
sulla qualità dell’assistenza, sulla
qualità dei servizi che eroghiamo e
quindi sui pazienti ma, come ribadisce la collega Lia Cuc
C uccco nell’articolo
della rubrica sul Nursing di questo
numero, dobbiamo impegnarci ad
individuare criteri di efficacia ed
appropriatezza delle cure che siano in grado di soddisfare i bisogni
sanitari emergenti con qualità, sicurezza, economicità ed equità.
A questo proposito, vi invito alla lettura del suo interessante articolo
relativo alla qualità delle cure intesa
come sfida interprofessionale ma
nella quale alcuni risultati dipendono
molto dalle cure infermieristiche.
Descrivere un esito e attribuirlo
all’infermieristica significa capire
quanto e che cosa gli infermieri
riescono a modificare nel percorso
del paziente…., in questo piccolo
assunto è contenuta una delle maggiori difficoltà dell’infermieristica
non solo italiana, che costituisce una
delle sfide più importanti della nostra professione; la ricerca dei risultati e la possibilità di poter misurare
gli esiti, infatti, deve tenere conto
EDITORIALE DEL DIRETTORE
tro importante argomento molto dibattuto: l’autocontrollo
glicemico alla luce delle nuove normative. Noi sappiamo che negli ultimi
anni la ricerca e lo sviluppo tecnologico ha permesso l’utilizzo di “device“
innovativi per l’autocontrollo glicemico, che garantiscono maggiori performance analitiche e semplicità d’uso;
nell’articolo possiamo trovare delle
indicazioni su come ci possiamo
orientare nella scelta del device più
idoneo e più sicuro per il paziente.
Infine l’articolo della Dott.ssa Lucia
Pagan
aganoo Medico-Chirurgo Medicina
Fisica e Riabilitazione - Università
degli Studi di Roma La Sapienza Facoltà di Medicina e Psicologia Azienda Ospedaliera Sant’Andrea,
che ci propone un contributo sulle
cause e rimedi del Dito a scatto, un
argomento nuovo per la nostra rivista che trova comunque l’interesse
dei nostri lettori.
N. 3 Settembre 2014
di una serie di variabili che non consento una immediata risposta causa-effetto e che
portano a delle difficoltà oggettive
che si ripercuotono anche sulla
“invisibilità” della nostra professione.
La lettura dell’articolo, stimola una
serie di considerazioni sulle quali
forse sarebbe utile un ulteriore confronto.
In questo numero abbiamo anche tre
articoli originali che affrontano diverse tematiche molto attuali come:
l’Aderenza alla terapia insulinica di
udar,, Medico PratiHelen Mosnier-P udar
cante presso il Servizio delle Malattie Endocrine e del Sistema Metabolico Cochin Hospital – Parigi,
che ci fornisce una disamina dei principali ostacoli che possono incontrare i pazienti nell’affrontare il delicato
percorso di aderenza alla terapia e di
quanto può essere importante ricercare, come strategia, delle soluzioni
personalizzate.
C ristiaL’articolo del collega Abbati
Abb ati Cristian o, Inf. Coord. UOSD Diabetologia/Endocrinologia
Ospedale San Giovanni Evangelista di Tivoli –Roma, riguarda un al-
Vi auguro buona lettura!
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del presidente
di Giovanni Lo Grasso
O P E R AT O R I S A N I TA R I D I D I A B E T O L O G I A I TA L I A N I
lettera
Eccoci qua, dopo un’estate che mi auguro sia stata per tutti voi serena e piacevole; per
OSDI è stata comunque un’estate di attività, finalizzata a continuare percorsi intrapresi
ed ipotizzare possibili sviluppi futuri. La conclusione del Congresso Nazionale ha coinciso
con il rinnovo delle cariche elettive e quindi con l’ingresso di quanti, candidandosi a
rappresentare e “dirigere” l’associazione nel prossimo futuro, sono stati votati ed eletti,
complimenti a tutti ed auguri di buon lavoro!
Prima di presentare l’attuale CDN, che mi piace definire “Gruppo di Lavoro” volevo
ringraziare quanti hanno concluso il loro mandato, Maria Teresa, Giuseppe, Anna, Anna
Maria, Claudio, per quello che hanno fatto in questi anni per l’Associazione e per il
contributo che continueranno a dare con spirito di gruppo e condivisione di obiettivi.
A sostituirli sono state elette le colleghe Marcella Lai, Vilma Magliano, Silvana Pastori,
Katja Speese e Silvia Tiozzo che avranno il compito di rappresentare l’associazione per
i prossimi quattro anni insieme a Gemma, Roberta, Lia, Raffaella, Elisa, Alberto e il
sottoscritto quali già componenti del CDN.
In occasione della prima seduta del CDN ho proposto a Marcella di assumere il ruolo
di Vice Presidente: tale scelta è ricaduta sulla sua persona in quanto riconosco in lei doti
indispensabili per ricoprire un simile ruolo di rilevo e perché sono fiducioso che
contribuirà ad arricchire il percorso di crescita della Nostra Associazione. Un sentito
N. 3 Settembre 2014
“GRUPPO DI LAVORO”
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N. 3 Settembre 2014
grazie a Marcella per aver accettato l’incarico e ai componenti il CDN per averne avallato
la scelta.
Per certi versi mi viene di assumere un tono serio e rigoroso per ricordare a tutti e in
particolar modo a me stesso le difficoltà e il duro compito che ci aspetta. Le difficoltà
che sono insite nelle attività associative, nell’universo infermieristico, nelle norme e
regole che le organizzazioni e le istituzioni si danno, rendono il nostro compito spesso
difficile e complesso e forse per semplificare ed ipotizzare soluzioni efficaci ed efficienti
dovremmo fare una sorta di esercizio, che Tiziano Terzani in un suo scritto sintetizzava
così: “….. riportare ogni problema all’essenziale. Se si pongono le domande di fondo, le
risposte saranno più facili.”
Le nostre domande di fondo quali sono? Ne vorrei porre una io: che infermieri vogliamo
essere?
Se riusciamo a trovare una risposta comune a domande di “fondo” anche lo stare insieme
in un’associazione sarà più semplice e servirà a rafforzare il nostro ruolo e la nostra
azione.
Tornando alla domanda “che infermieri vogliamo essere?” mi viene in mente una risposta:
“infermieri competenti”.
Il termine competenza sempre più entra nella dialettica professionale ed è sempre stato
fortemente presente nell’ambito di OSDI, sin dalla sua origine quando l’associazione si
è data come mandato statutario il riconoscimento dell’infermiere esperto in ambito
diabetologico (esperto in quanto possessore di competenze). Le competenze sono frutto
delle conoscenze e delle abilità che, se spese in un determinato contesto, sono finalizzate
al raggiungimento di un obiettivo, che mi piace ricordare dovrebbe e deve essere quello
di offrire servizi sanitari di qualità erogati da professionisti competenti.
Bisogna puntare sulla crescita professionale e sulla necessità di sfruttare ogni occasione
per migliorare il servizio sanitario così da garantire le migliori cure possibili erogate dai
“migliori” professionisti possibili.
Il lavoro da fare è tanto e quindi rimbocchiamoci le maniche dal momento che per
perseguire queste finalità il contributo di tutti è indispensabile.
Buon lavoro a Tutti Noi.
Giovanni Lo Grasso
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IL DIABETE TIPO1 E LE SUE
COMPLICANZE
IMPARIAMO A RICONOSCERLE
Si è svolto a Bari presso l’Una hotel
regina il convegno Osdi Puglia sul tema il
diabete tipo 1 e le sue complicanze.
All’evento sono intervenuti in qualità di
relatori: il Prof. Francesco Giorgino, professore ordinario di endocrinologia Università di Bari, la Dott.ssa Zasso Erika,
Cordinatrice U.O endocrinologia Ospedale
A.Perrino ASL Brindisi e vicepresidente
Osdi Puglia, la Dott.ssa Cimenes Piera
infermiera, Dipartimento di endocrinologia
Ospedale SS Annunziata Taranto e consigliere regionale Osdi Puglia.
L’inizio dei lavori è stato preceduto
dall’intervento della Presidente Osdi Puglia,
Dott.ssa M. Grazia Accogli, che ha puntato
l’attenzione su alcune importanti riflessioni
inerenti l’educazione terapeutica come
elemento fondamentale per migliorare
l’aderenza alla terapia e prevenire le complicanze.
Nella prima parte del convegno il Prof.
F. Giorgino ha trattato l’importante tematica della ricerca tecnologica e dei grandi
passi avanti fatti nella cura del diabete.
Nella sua relazione dal titolo ”il diabete
tipo1 nuovi orizzonti terapeutici” è emerso
che nel prossimo futuro avremo nuovi
dispositivi “intelligenti” in grado di semplificare la vita dei pazienti con diabete di
tipo 1. Gli infusori di insulina oggi sul
mercato, grandi come una scatola di fiammiferi, già leggono in tempo reale la glicemia, ma poi il paziente deve intervenire
sul dosaggio dell’insulina. I nuovi dispositivi
“intelligenti” superano l’intervento manuale perché sono in grado di leggere la
glicemia e rilasciare l’insulina richiesta in
base alle necessità.
Parliamo del pancreas artificiale in
grado di riprodurre l’attività del pancreas
danneggiato dalla malattia. Il pancreas
VITA ASSOCIATIVA
BARI 19 GIUGNO 2014
N. 3 Settembre 2014
OSDI PUGLIA
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VITA ASSOCIATIVA
N. 3 Settembre 2014
artificiale, perfettamente indossabile, è
un congegno davvero sofisticato, composto da un sistema per misurare i livelli di
zucchero e le loro minime variazioni, un
software di calcolo, che determina la quantità di insulina necessaria in ogni momento
e un sistema di erogazione, ovvero una
pompa per l’infusione dell’insulina.
L’idea di base è, dunque, quella di
avere un dispositivo impiantabile che sopperisca alle funzioni mancanti del pancreas
e che svincoli il paziente da numerose e
fastidiose autoanalisi e iniezioni di insulina.
La ricerca è molto vicina ad ottenere
il risultato sperato con questo gioiello della
tecnologia, che si spera potrà presto essere
utilizzato.
Nella seconda relazione dal titolo
“L’educazione terapeutica all’autocontrollo
glicemico come prevenzione delle
complicanze” la dott.ssa Zasso Erika ha
spiegato l’importanza dell’Educazione
Terapeutica, chiave di volta nella gestione
del diabete, che consiste nell’aiutare il
paziente e la sua famiglia a comprendere
la malattia ed il trattamento, a collaborare
alle cure, a farsi carico del proprio stato
di salute e conservare e migliorare la propria qualità di vita per ridurre le complicanze micro e macro vascolari.
Il corso è proseguito con la Tavola
rotonda “Esperienze a confronto:
l’importanza del team nell’educazione
terapeutica” nella quale sono intervenuti:
la Dott.ssa Aurelia Rosa Bellomo Damato,
Katia Tempone, Concetta Centonza, Apol-
lonia Bivacco e Maria Teresa Branca, che
hanno portato alcune esperienze relative
all’attivazione di percorsi educativi del
team diabetologico. Da queste esperienze
è emerso che, nonostante le mille difficoltà
logistiche, burocratiche ed organizzative
comuni a tutti i centri/reparti dell’area
diabetologica, la volontà di essere di aiuto
al paziente, supera spesso la mancanza di
risorse ottimizzando quelle esistenti per
essere di sostegno al paziente.
Nella seconda parte del convegno la
dott.ssa Cimenes Piera, nella relazione
“lipodistrofie: come riconoscerle e
prevenirle” ha fornito informazioni utili
sulla prevenzione di questa fastidiosa complicanza. Ha ribadito il concetto che è
necessario, innanzitutto, evitare di iniettare
sempre nello stesso sito, ruotare accuratamente il punto di iniezione di circa 1 cm.
dal punto precedente (e ciò vale per tutti
i siti che il paziente adopera siano essi
l’addome, le gambe, le braccia o i glutei),
evitare il riutilizzo degli aghi, in quanto
anche dopo una sola iniezione la punta
dell’ago subisce delle deformazioni spesso
non visibili ad occhio nudo che provocano
nei tessuti dei microtraumi sui quali
l’insulina può agire come fattore di crescita
locale promuovendo la formazione dei
noduli lipodistrofici.
Momento interessante dell’evento è
stata la presenza di alcuni pazienti diabetici
tipo 1, che ringraziamo per la disponibilità,
insieme ai quali è stato possibile realizzare
una dimostrazione pratica su come va
effettuata una corretta ispezione dei siti
di iniezione per riconoscere la presenza di
eventuali zone lipodistrofiche.
Un ringraziamento particolare va al
Dott. Giuseppe Traversa, Presidente regionale dell’associazione pazienti diabetici di
Bari, che ha dato, ancora una volta, la
presenza e la disponibilità ad un confronto
diretto e un dialogo costruttivo tra operatori e pazienti.
Ringraziamo, inoltre, l’azienda Roche,
sponsor non condizionante dell’evento,
che si è resa disponibile nella realizzazione
di questa giornata di formazione.
Per il direttivo Osdi Puglia
Maria Grazia Accogli
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N. 3 Settembre 2014
O P E R AT O R I S A N I TA R I D I D I A B E T O L O G I A I TA L I A N I
nursing
16
diabetologico
a cura di Lia Cucco
GLI ESITI SENSIBILI ALLE CURE
INFERMIERISTICHE:
UN CONCETTO/PROBLEMA
PER GLI INFERMIERI
INTRODUZIONE
I sistemi sanitari nel mondo industrializzato si trovano a dover affrontare il
problema dell’incremento dei costi:
l’evoluzione delle tecnologie, l’aumento
delle richieste di assistenza e sicurezza
delle cure, i mutamenti delle condizioni
epidemiologiche e demografiche,
l’ampliamento delle disparità socioStimolare una economiche, si contrappongono ad
una riduzione delle risorse a diriflessione su
sposizione. La cura delle persone
quali possano
costa in Italia il 9% delle
essere le azioni diabetiche
risorse sanitarie e di queste ben del
e le domande di 68% è dovuto ai ricoveri.
ricerca per il
E’ diventata pertanto sempre
futuro
più importante l’individuazione di
criteri di efficacia ed appropriatezza
delle cure che siano in grado di soddisfare
i bisogni sanitari emergenti con qualità,
sicurezza, economicità ed equità.
Le funzioni degli infermieri
nell’erogazione di un’assistenza ospedaliera sicura, efficace ed efficiente come
nella promozione della salute e nella gestione delle malattie croniche sono ben
conosciute [1] e non sorprende che sia
all’interno che all’esterno della professione
si parli di potenziali risparmi dei costi
attraverso un maggior investimento sugli
infermieri e sui servizi infermieristici.
Il miglioramento della qualità
dell’assistenza, elemento essenziale di
qualsiasi soluzione pratica e sostenibile,
deve però poggiare su dati affidabili che
correlino l’assistenza agli outcome (esiti,
risultati) [2].
Sebbene la qualità sia giustamente
riconosciuta come una sfida interprofessionale, nell’ambito di questa sfida è stato
dimostrato che alcune tipologie di esiti
siano sensibili e dipendano dalle cure
infermieristiche. Lo scopo dell’articolo è
offrire una panoramica di quello che la
letteratura propone in termini di risultati
e criticità, per stimolare una riflessione su
quali possano essere le azioni e le domande
di ricerca per il futuro, in particolare per
chi, come noi, si occupa di persone con il
diabete ma anche di prevenzione della
malattia.
DEFINIRE GLI ESITI SENSIBILI
ALL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA
Il termine outcome è stato introdotto
nella valutazione dei sistemi sanitari da
Donabedian, nel 1966 [3] per identificare
NURSING DIABETOLOGICO
terminati in tutto o in parte dall’assistenza
infermieristica ricevuta e che dipendono
anche dalla quantità e dalla qualità
dell’assistenza stessa. [8]
Nella Nursing Outcomes Classification
(NOC) un risultato infermieristico è definito
come “ uno stato, un comportamento,
una percezione di un individuo, o famiglia
o comunità che viene misurato attraverso
un continuum in risposta a un intervento
infermieristico. I risultati sono espressi
come concetti che riflettono lo stato, il
comportamento o la percezione attuale
dell’assistito, del caregiver, della famiglia,
della comunità piuttosto che uno specifico
obiettivo atteso”[9]. Per l’International
Classification for Nursing Practice
(ICNP), l’esito infermieristico è lo Esiti infermieristici
status di una diagnosi dopo un misurabili, richiedono
intervento assistenziale.
di accettare il nursing
Quindi potremmo dire che, come una variabile
non esistendo ancora una defie che sia possibile
nizione universalmente accettata,
ricercare la relazione
nursing outcome o nursing sensitive outcome, indica una con- tra questo (inteso come
dizione, un comportamento o una variabile indipendente
percezione misurabile del paziente o intervento) e ciò che
e della famiglia influenzata o succede al paziente
sensibile o attribuibile alle cure (variabile dipendente
infermieristiche, rilevabile nel o esito)
tempo.
Esiti infermieristici misurabili, richiedono di accettare il nursing come una variabile e che sia possibile ricercare la relazione
tra questo (inteso come variabile indipendente o intervento) e ciò che succede al
paziente (variabile dipendente o esito).
Stressando ulteriormente il concetto, potremmo distinguere tra i nurses outcome
cioè l’esito degli infermieri e i nursing
outcome che dipendono dai comportamenti professionali degli infermieri che
non sono solo tecnici, ma anche relazionali
ed educativi. In alcuni studi gli esiti infermieristici sono distinti dagli esiti sensibili
all’infermieristica e dalla performance
[10].
N. 3 Settembre 2014
quei fattori che erano capaci di influenzare,
all’interno delle organizzazioni sanitarie,
la qualità dell’assistenza ai pazienti.
“L’assistenza sanitaria è di qualità adeguata
se gli operatori che la erogano, effettuando
gli interventi che il progresso delle conoscenze scientifiche indica come capaci di
produrre effetti desiderati e appropriati,
congruenti con i valori morali della società
e realizzati in modo tale da generare soddisfazione in coloro che li ricevono, sono
in grado di massimizzare i benefici espressi
in termini di salute aggiunta a fronte dei
rischi corsi per produrli” [4]
La sfida della qualità ha comportato
la necessità anche per gi infermieri di
dimostrare come e quanto riuscissero a
incidere sulla qualità dell’assistenza e conseguentemente a incrementare le ricerche
su quali outcome fossero sensibili alle cure
infermieristiche.
E’ importante però quando si parla di
esiti sensibili alle cure infermieristiche
confrontarsi con alcune descrizioni presenti
in letteratura.
Van Der Bruggen e Groen li hanno
definiti come un aspetto, riferito
all’individuo, gruppo o popolazione, misurato od osservato in un certo periodo,
che deve essere obiettivo per clinici e
ricercatori e soggettivo per il paziente e
la famiglia [5]. Questo concetto di esito,
è stato ricercato dagli autori con un studio
Delphi, con l’obiettivo di arrivare a delineare la differenza tra gli esiti assistenziali
generali conseguenti ad una attività multidisciplinare e multiprofessionale e gli esiti
sensibili alle attività di nursing. Johnson e
Maas li hanno spiegati come stati, comportamenti o percezioni variabili del paziente, della famiglia, o del care giver
conseguenti ad interventi assistenziali e
contestualizzati a un livello medio di astrazione [6].
Per Doran, una delle più attive ricercatrici dei nursing outcomes, questi sono gli
esiti rilevanti e persistenti dell’assistenza
infermieristica per i quali ci sono prove di
efficacia empirica che correlano il contributo di care degli infermieri ai risultati sul
paziente [7].
Griffiths li indica come aspetti
dell’esperienza, del comportamento dello
stato di salute del paziente che sono de-
I MODELLI
Le prime ricerche sanitarie sulla qualità
dell’assistenza si sono maggiormente interessate di strutture e di processi e solo
successivamente di outcome intesi come
costi, durata della degenza, mortalità e
17
N. 3 Settembre 2014
NURSING DIABETOLOGICO
soddisfazione del paziente. Negli studi
inerenti il nursing gli esiti contemplavano
anche la soddisfazione degli infermieri e
la fidelizzazione (senso di appartenenza)
ad una struttura, un parametro ritenuto
rilevante negli Stati Uniti [11], ma di cui
non c’è tradizione in Italia [12].
Da questi studi, in particolare con i
lavori di Aiken (1997) si è iniziato a capire
che sugli outcome pesano e interagiscono
altri sistemi: l’organizzazione, la collaborazione tra professionisti, il benessere degli
infermieri.
Già l’American Academy of Nursing
Expert Panel on Quality Health Care, aveva
sviluppato nel 1994 un modello concettuale che unisce gli esiti degli assistiti con
l’organizzazione, le caratteristiche specifiche dei pazienti e gli interventi assistenziali
erogati, ipotizzando che gli interventi
assistenziali non influenzano direttamente
gli esiti, ma interagiscano con i vari sistemi
con cui interagisce la persona e quindi
non solo il sistema fisiologico, ma anche
quello organizzativo o i gruppi [13]. Il
Modello degli Outcome Sanitari di Qualità
(Quality Health Outcome Model) che ne
è conseguito mette insieme i fattori funzionali, sociali, psicologici e fisici/fisiologici
con le esperienze dei pazienti e si è focalizzato su cinque outcome: il raggiungimento di un self-care appropriato, la dimostrazione di comportamenti atti a
promuovere la salute, la qualità di vita
correlata allo stato di salute, la percezione
LA SCELTA DEGLI OUTCOME
Negli ultimi due decenni di ricerca
sono state proposte diverse classificazioni
dei nursing sensitive outcome che potremmo raggruppare in due filoni diversi: uno
focalizzato sugli eventi avversi e l’altro più
centrato sul paziente e sulle strutture.
Del primo fanno parte gli studi di Lohr
(1985) che proponeva un elenco di sei
categorie basato sulla continuità assisten-
STRUTTURA
PROCESSO
Paziente
Età, sesso, istruzione,
tipologia e gravità della patologia,
comorbilità
Ruolo indipendente
Interventi infermieristici
Infermiere
Istruzione, esperienza
Ruolo medico-assistenziale
Cure mediche, sfera d’azione
ampliata della pratica infermieristica
Organizzazione
Organico, mix di personale,
carico di lavoro, ambiente di lavoro
18
di essere ben assistito (paziente), la corretta
gestione dei sintomi secondo criteri condivisi [14]. A questo modello, di respiro
multidisciplinare, se ne è affiancato un
altro studiato per la figura infermieristica
[15]) testato successivamente [16] dove i
ruoli degli infermieri (indipendenti, dipendenti, interdipendenti) “uniscono le strutture dell’infermiere, dell’organizzazione
e del paziente con gli esiti del paziente e
il funzionamento del team” [7]. Il modello
è rappresentato nella figura che segue[7].
Aiken e altri [17-18] hanno invece
elaborato una struttura basata sul presupposto che i modelli organizzativi in cui gli
infermieri hanno maggiore autonomia,
con controllo delle risorse a livello di unità
operativa e con attenzione al miglioramento delle relazioni tra medici e infermieri, permettono di raggiungere migliori
outcome per i pazienti, una diminuzione
delle complicanze e della mortalità, unito
a un maggior livello di soddisfazione per
gli infermieri.
Ruolo interdipendente
Comunicazione all’interno
del team, coordinamento delle cure,
gestione dell’assistenza
ESITO
Gli esiti del paziente
sensibili al nursing
Capacità di svolgere le attività
di vita quotidiana, self-care,
controllo dei sintomi,
sicurezza/eventi avversi,
soddisfazione del paziente
NURSING DIABETOLOGICO
europei mette in relazione un aumento
del carico di lavoro per infermieri per
paziente con l’aumento della probabilità
di morire entro 30 giorni dal ricovero del
7% , mentre un aumento del 10% di
infermieri con titolo di studio superiore
(bachelor) è stato associato con una diminuzione di tale rischio del 7%. [26]. Rimane problematica in questi studi la dimostrazione del legame diretto tra i livelli di
personale e i singoli pazienti ed essendo
spesso i risultati presentati come media,
non si sa ad esempio come gli infermieri
prendono le decisioni.
La letteratura per fortuna è ricca anche
di esiti positivi e tra questi, rilevanti sono
gli studi sul self-care e l’utilizzo dei servizi
sanitari. Gli studi confermano il self-care
come un esito sensibile all’assistenza
infermieristica, indispensabile ai pazienti
per il controllo dei sintomi, il miglioramento delle attività di vita e il benessere, fattori
che influenzano positivamente anche un
corretto utilizzo dei servizi sanitari. Il selfcare è ritenuto un fattore indispensabile
nelle persone con malattie croniche e
rende il trasferimento di potere (empowerment) ai pazienti e l’apprendimento delle
abilità di autogestione [27].
In particolare, le evidenze scientifiche
indicano che gli interventi sono efficaci
nel migliorare le conoscenze e i comportamenti relativi al self-care e sono importanti nella continuità assistenziale.
Gli studi più recenti sono guidati dai
principi alla base della cura nelle malattie
croniche (asma, diabete, ipertensione,
insufficienza cardiaca, cancro, ictus):
l’educazione sulla patologia, il trattamento,
le abilità per il self-care, obiettivi condivisi
e piani di azione individuali, individuazione
e discussione dei fattori che impediscono
il self-care. Nei lavori con medici e infer-
N. 3 Settembre 2014
ziale: mortalità, eventi avversi e complicanze durante il ricovero in ospedale,
guarigione inadeguata, prolungamento
del problema clinico, peggioramento delle
condizioni di salute, declino della qualità
di vita [19]. Altri approcci hanno invece
suggerito di valutare gli outcome da un
punto di vista clinico (le risposte del paziente agli interventi), funzionale (miglioramento o peggioramento delle funzioni
fisiche, economico (costi e durata della
degenza) e percettivo (soddisfazione del
paziente e degli operatori) [20]. Griffiths
propone un elenco di indicatori, basato
sui risultati della ricerca, classificandoli
come outcome relativi alla sicurezza (lesioni, failure to rescue, cadute , infezioni,
errori di terapia….), outcome di efficacia
(livello di staff, skill mix, esperienza, conoscenza e abilità dello staff, IADL e selfcare, supporto alla cessazione del fumo,
reclutamento dello staff), outcome di
compassione (soddisfazione del paziente,
comunicazione, uso della contenzione)
[21].
Guardando le ultime revisioni sistematiche si può concludere che esiste un
gran numero di studi per cercare di misurare l’apporto infermieristico al percorso
di cura, anche se esistono ancora limitazioni metodologiche e di attribuzione.
Nello studio di Lake (2006) non è stata
trovata una relazione. provata tra il lavoro
degli infermieri e una diminuzione delle
cadute e delle lesioni da decubito [22],
ma è stato dimostrato che un incremento
di personale infermieristico è associato a
una riduzione del tasso di mortalità ospedaliero nelle terapie intensive, nei pazienti
chirurgici e nei pazienti in terapia farmacologica [23]. Una revisione Cochrane del
2011 ha dimostrato una riduzione della
degenza e delle lesioni da pressione correlata all’inserimento di infermieri specializzati all’interno del team assistenziale
[24]. Per i pazienti pediatrici una revisione
del Joanna Briggs Institute sugli esiti clinici
in un ospedale chirurgico, mette in evidenza come una riduzione delle ore infermiere/paziente sia associata a un aumento
delle infezioni, delle complicanze cardiopolmonari post-operatorie e a un aumento
della degenza [25]. Un recentissimo studio
svolto nelle chirurgie di alcuni ospedali
19
NURSING DIABETOLOGICO
N. 3 Settembre 2014
20
mieri, le funzioni degli infermieri sono di
coordinamento dell’assistenza, di miglioramento alla partecipazione, di sostegno
all’automonitoraggio, all’accesso alle risorse, alla promozione dell’aderenza.
Di conseguenza, gli esiti indagati più
frequentemente negli studi riguardano:
l’aderenza al regime di prescrizione dei
farmaci, l’esecuzione di comportamenti
salutari nell’alimentazione, nell’esercizio
fisico e nella gestione dello stress, il monitoraggio e la gestione dei sintomi,
l’impegno nelle attività di vita quotidiana.
A questi si sono aggiunti recentemente
indicatori clinici di patologia (per es glicemia), il controllo dei sintomi, le funzioni
fisiche e mentali, la qualità di vita correlata
alla salute, i costi dell’assistenza. Le evidenze scientifiche indicano chiaramente
un miglioramento nell’esecuzione di comportamenti di self-care a seguito di
I risultati della programmi psico-educativi, cogniricerca
tivo-comportamentali e di autogepotrebbero
sione forniti dagli infermieri. Peraiutare nel
tanto, il comportamento di self-care
è sensibile all’assistenza infermieriprendere
stica ed è indispensabile per realizdecisioni
zare gli outcome dei pazienti e di
assistenziali
di qualità, che assistenza sanitaria auspicata.”[7].
Un altro outcome su cui si stanno
siano eque e con
sviluppando molteplici studi è
uno sguardo
l’utilizzo dei servizi sanitari come
ai costi
esito sensibile al nursing e in questo
momento di scarsità delle risorse i risultati
della ricerca potrebbero aiutare nel prendere decisioni assistenziali di qualità, che
siano eque e con uno sguardo ai costi.
Sono stati condotti studi ampi per alcune
tipologie di pazienti (persone con asma,
diabete, ictus e insufficienza cardiaca), gli
outcome hanno riguardato in particolare
le visite in Pronto Soccorso e le riospedalizzazioni. Gli interventi infermieristici sono fortemente rappresentati
dall’educazione del paziente e della famiglia per il self-care, gli interventi telefonici,
i follow-up clinici da parte degli infermieri,
la gestione dei casi, il coordinamento
dell’assistenza, il coinvolgimento degli
infermieri nel coordinamento dei team
multidisciplinari. In particolare per le persone con diabete, in una revisione sistematica in cui l’intervento infermieristico
era di case management infermieristico
(promozione del self-care, visite domiciliari
o follow-up telefonici, piano di dimissione
personalizzato), è stata osservata una
riduzione statisticamente significativa del
numero di giorni di ri-ospedalizzazione,
mentre solo 3 studi sui 7 della revisione
hanno mostrato una riduzione sostanziale
degli accessi al pronto soccorso [ 27]
In uno studio osservazionale di coorte
appaiato con 980 persone con diabete,
la gestione infermieristica della malattia
per via telefonica, con un piano di intervento personalizzato di self-management
ha portato ad una riduzione del 48% dei
giorni di degenza nel gruppo di controllo,
con un risparmio economico superiore
all’investimento [29]. Gli stessi autori, in
uno studio precedente, con 1220 persone
con diabete, avevano dimostrato una
riduzione del 18% delle ospedalizzazioni,
del 22% dei giorni di degenza, aumento
della valutazione e gestione medica del
12%. L’intervento infermieristico era stato
realizzato con un programma telefonico
e v i d e n c e - b a s e d , p ro g e t t a t o p e r
l’erogazione di servizi educativi, di counselig e di monitoraggio [30]
In un altro studio condotto in California su 331 pazienti, un programma di
gestione della malattia diretto da infermieri
utilizzando algoritmi terapeutici per il
controllo glicemico e il follow-up consigliato, ha portato ad una riduzione del
45% degli accessi evitabili al PS legati al
diabete, con un risparmio di spesa [32].
STRUMENTI E METODI DI VALUTAZIONE: OMAHA, HHCC E NOC
Valutare gli esiti sulla singola persona
è estremamente importante.
Esistono diverse classificazioni per la
valutazione dei problemi assistenziali a
livello individuale.
L’ Omaha System proposto nel 1970
dal VNA (Visiting Nurses Association USA) è una tassonomia standardizzata,
basata sulla ricerca, disegnata per migliorare la pratica, la documentazione e la
gestione dell’informazione infermieristica.
E’ un modello di raccolta dati di natura
infermieristica che ne facilita l’analisi e
l’inquadramento sottoforma di problemi,
interventi relativi e valutazioni di esito
attraverso tre componenti: PCS Problem
I DATA SET MINIMI INFERMIERISTICI
Esistono a livello internazionale sistemi
di database minimi infermieristici per la
raccolta dei dati sugli outcome dei pazienti
e dell’assistenza, nati dalla necessità non
solo di rendere visibile quello che gli infermieri fanno, ma soprattutto per la valutazione dei contributi degli infermieri
all’assistenza infermieristica.
Di Essi sono stati definiti come un “set
minimo di elementi informativi con definizioni e categorie uniformi riguardanti la
dimensione specifica della professione
infermieristica, che soddisfa le esigenze
di informazioni di diversi utenti di dati nel
sistema sanitario” [34].
Lo scopo è di raccogliere, standardizzare, archiviare i principali dati infermieristici che sono confrontabili, con possibilità
di aggregare i dati a livello di pazienti, di
unità operativa, aziendale e di sistema
[35].
Nei data base sugli outcome infermieristici (Nursing Outcome Databases NOD)
con un lavoro di revisione della letteratura
e con il parere di esperti si è arrivati
all’individuazione di indicatori di qualità
associati prevalentemente all’assistenza
infermieristica, piuttosto che ad altri operatori e tra questi le lesioni da compressione durante i ricoveri, le cadute, la soddisfazione del paziente per le cure
infermieristiche. In seguito sono stati aggiunti lo staffing infermieristico e lo skillmix, che indica i vari tipi di figure infermieristiche impegnate nei reparti. I NOD
vengono principalmente utilizzati negli
Stati Uniti. In Europa il Belgio, i Paesi Bassi,
la Svizzera e l’Irlanda hanno dataset minimi
infermieristici. Grossen et al [36] hanno
NURSING DIABETOLOGICO
NIC (Nursing Interventions Classification
e alle Diagnosi Infermieristiche NANDA
International [ 9].
N. 3 Settembre 2014
Classification Scheme (Schema di classificazione del problema), IS Intervention
Scheme (Schema degli interventi) PRSO
Problem Rating Scale for Outcomes (Scala
di valutazione del problema per gli esiti)
Per le cure domiciliari l’Home Health
Care Classification (HHCC) è stato riconosciuto dall’ANA nel 1991 come appropriato per documentare la pratica infermieristica. Si avvale di quattro set di variabili
per definire gli interventi e gli esiti attesi:
le diagnosi infermieristiche, il livello di
miglioramento atteso, l’intervento infermieristico e le modalità di attuazione[ 33].
Più conosciuta in Italia, grazie anche alla
traduzione, è la classificazione NOC che
nella versione 2013 ha validato 490
risultati, dopo 20 anni di lavoro del gruppo
Iowa Outcome. Ogni risultato ha un titolo
identificativo, una definizione, un insieme
di indicatori di risultato riferibili alle specifiche condizioni, percezioni o comportamenti correlati al risultato, una scala di
valutazione a 5 valori di tipo Likert, una
selezione dei risultati bibliografici.
La classificazione è incentrata sulla
misurazione dei risultati in funzione dei
diversi ambiti specialistici assistenziali e
considera i risultati che possono essere
utilizzati con persone senza limiti di età.
Gli esiti sono focalizzati sulla persona,
sulla famiglia, sui care giver o su una
comunità.
Sono indicati una serie di criteri di
valutazione della correlazione all’assistenza
infermieristica relativi alla produzione o
all’influenza di un risultato positivo o ad
evitare un risultato negativo, oppure ai
risultati prodotti dall’incapacità di attuare
un intervento infermieristico, ma anche se
gli interventi che hanno prodotto o influenzato il risultato rientrano negli scopi della
pratica infermieristica.
Sono suggeriti raggruppamenti di NOC
per area clinica infermieristica e tra queste
anche quella diabetologica, che comprende
una serie di esiti clinici (peso, stato nutrizionale, integrità tissutale…), funzionali
(accettazione, livello di depressione, resilienza…), di self-care (autogestione del
diabete, comportamento di adesione…)
e di integrazione sociale (sostegno sociale… ). I NOC sono in genere utilizzati
insieme alla tassonomia sugli interventi
21
NURSING DIABETOLOGICO
messo a confronto i vari sistemi per capire
i punti di forza e di debolezza.
In particolare i DMI condividono
l’obiettivo di descrivere e confrontare
l’assistenza infermieristica (problemi pazienti, interventi, outcome, risorse…) facilitano la ricerca e il management, possono influenzare le decisioni politiche. Le
difficoltà riguardano gli item identificati
(diagnosi, outcome), e i dati demografici
(per pazienti e per infermieri), la necessità
di valutare l’affidabilità e la validità del
database, la scarsità di sistemi con cartelle
cliniche informatizzate [37].
LA MISURAZIONE
La misurazione degli esiti presenta
della criticità, ben descritte da Palese et
al: [38:] l’attribuzione dei risultati che
potrebbero essere derivati da altri operatori, la necessità di considerare le variabili
di contesto, l’assenza di basi razionali di
alcune relazioni tra assistenza ed esito, la
mancanza di reportistica, in Italia molto
evidente, la validità e l’affidabilità dello
strumento di misurazione.
N. 3 Settembre 2014
CONCLUSIONI
22
Ricercare gli esiti sensibili o attribuibili
alle cure infermieristiche non è semplice.
Descrivere un esito e attribuirlo
all’infermieristica significa capire quanto
e che cosa gli infermieri riescono a modificare nel percorso del paziente, attivando
interventi assistenziali volti all’identificazione e alla risoluzione di problemi
di salute di pertinenza infermieristica e
partecipando ad attività di supporto professionale alle cure mediche [1]. Ma essendo il nursing parte di un sistema complesso, nella ricerca degli outcomes si deve
tenere conto di una serie di variabili che
dipendono dagli assistiti, singoli o casistiche, dalla malattia, dall’infermiere, dal
contesto, dagli approcci multidisciplinari
e interdisciplinari, dalla misurazione [38].
Se è così difficile, vale la pena misurarli?
Ci sono buone ragioni per farlo.
Senza risultati siamo invisibili, a
noi stessi, prima che agli altri: il vuoto
di conoscenze sugli esiti di quello che
facciamo non ci permette il confronto con
altri professionisti, con gli amministratori
o con le persone sane o malate. Senza
confronto non può esserci miglioramento.
Quello che facciamo non è scontato:
dobbiamo documentarlo e dimostrare che
cosa abbiamo prodotto, essendo oggi
professionisti responsabili dell’assistenza
e questo vale anche quando possiamo
vantare delle teorie infermieristiche di
riferimento[39] come per esempio nel selfcare.
Lavorare alla definizione di un set di
esiti espresso in un linguaggio omogeneo
e misurabile con metodologie validate,
ci permetterebbe di documentare i cambiamenti sui pazienti, confrontarci per
migliorare l’assistenza, formulare delle
raccomandazioni, influenzare la formazione.
La scelta degli indicatori non è neutra
e deriva anche dalla filosofia di nursing
nella quale gli infermieri più si riconoscono, oltre a ruoli e funzioni attribuiti per
legge.
Ad esempio, un filone su cui si sta
orientando la ricerca in campo diabetologico, soprattutto nel mondo anglosassone,
riguarda la possibilità che le persone con
diabete di tipo 2 siano gestite molto da
infermieri formati e da medici non specialisti, con la possibilità per gli infermieri di
prescrizione di alcuni farmaci. I risultati di
questi studi indicano che le prescrizioni
sono appropriate e il servizio più tempestivo[40], che le cure erogate sono simili
a quelle dei medici in termini di qualità di
vita e meno costose [41-42].
Nel confronto con la realtà italiana, la
non prescrivibilità farmacologica da parte
degli infermieri, contestualizza immediatamente la non applicabilità, ma la domanda è se questa sia la strada che vogliamo perseguire per le competenze
avanzate .
Interessanti ed esportabili sono invece
i risultati significativi sulla riduzione dei
giorni di degenza quando un team di
infermieri specializzati è specificatamente
impiegato sui pazienti ricoverati per diabete. Risultati positivi sono riscontrabili in
numerosi studi in contesti ospedalieri [43],
con potenziale riduzione dei costi e miglioramento della qualità delle cure e
dell’aderenza [44].
Un altro elemento che si può estrapolare dagli studi è la ricaduta sugli outcome
COSA POTREMMO FARE
Le classificazioni, più volte presentate
nell’articolo, non definiscono il nursing e
non definiscono le differenze tra gli ope-
NURSING DIABETOLOGICO
ratori, ma possono essere utili se diventano
strumenti e non fine della professione,
che comunque ha bisogno di essere collegata agli effetti come ha bisogno di
lavorare in team multidisciplinari.
In Italia l’Emilia Romagna sta avviando
un progetto di ricerca sul monitoraggio
dei Nursing Sensitive Outcome con lo
scopo di realizzare in ambito ospedaliero
un osservatorio su un set di esiti: lesioni
da pressione, cadute e contenzione, per
migliorare la qualità dell’assistenza e il
confronto tra le Aziende Sanitarie della
Regione. [45].
Anche noi potremmo iniziare con un
set minimo di indicatori condivisi tra quelli
presenti in letteratura e nelle classificazioni
e provare. La complessità del concetto di
esiti sensibili alle cure infermieristiche e
l’ambiguità dei suoi attributi può aver
ostacolato gli sforzi di ricerca per
l’applicazione pratica [ 45] ma se non
iniziamo non sapremo mai che strada
stiamo percorrendo e dove vogliamo arrivare.
N. 3 Settembre 2014
del grado di istruzione degli infermieri: gli
specialisti per gruppi di pazienti selezionati
parrebbero ottenere migliori risultati.
Un accenno va fatto ai limiti di carattere teorico quando parliamo di self-care.
Infatti non si è chiarito quali siano gli
elementi essenziali che distinguono le
caratteristiche che compongono il selfcare da quelli che compongono gli interventi infermieristici. Inoltre la ricerca è
ostacolata dalla mancanza di una definizione coerente di self-care e delle sue
concettualizzazioni. Per esempio alcuni
autori hanno fatto una distinzione tra selfcare e autogestione, definendo il self-care
come un processo decisionale naturale
per la selezione e l’esecuzione di comportamenti che mantengono la stabilità fisiologica, e l’autogestione come un processo
decisionale messo in atto in risposta a
sintomi presentati.
Che cosa potrebbe guidarci nella scelta
degli outcome presenti in letteratura: la
nostra finalità specifica, ovvero il miglioramento delle capacità dell’assistito, il
concetto di salute cioè la capacità della
persona di innalzare il proprio livello di
qualità di vita, che può coesistere con
alterazioni o patologie, le potenzialità
attivabili nell’individuo, mettendolo al
centro del processo di cura. Tutto ciò
ovviamente deve essere declinato in azioni
strutturate, valutate da esiti misurabili.
23
NURSING DIABETOLOGICO
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25
ARTICOLO ORIGINALE
L’AUTOCONTROLLO GLICEMICO
ED I GLUCOMETRI
DI ULTIMA GENERAZIONE,
COSA È CAMBIATO NELL’ULTIMO
DECENNIO …
Abbati Cristiano, Inf. Coord. UOSD Diabetologia/Endocrinologia
Ospedale San Giovanni Evangelista di Tivoli ( Roma )
VicePresidente OSDI Lazio
[email protected]
N. 3 Settembre 2014
ABSTRACT
Il diabete mellito ( DM ) è una patologia cronica complessa che richiede al paziente
continui interventi terapeutici e modifiche degli stili di vita per poter ottenere
una qualità di vita adeguata.
Quando il controllo metabolico non è soddisfacente, il paziente può andare
incontro nel medio-lungo termine, a gravi complicanze multiorgano come
l’insufficienza renale, la neuropatia, la nefropatia, la retinopatia, le malattie
cardiovascolari (1), le infezioni, le ulcere agli arti inferiori, che possono esitare
talvolta in amputazioni parziali o totali.
In accordo all’attuale posizione dell’American Diabetes Association ( ADA ),
l’automonitoraggio glicemico ( Self Monitoring Blood Glucose SMBG ) è considerato
un cardine essenziale nella gestione del paziente diabetico, soprattutto per
quello insulino-trattato (2-3).
Nel corso dell’ultimo decennio, grazie alla ricerca ed allo sviluppo di nuove
tecnologie, sono stati immessi sul mercato dell’autocontrollo dei “device“
innovativi, che garantiscono maggiori performance analitiche, in grado di
semplificare la gestione e l’interpretazione dei dati ottenuti.
INTRODUZIONE
Tutti i grandi Trial sul diabete quali
il DCCT (4), l’UKPDS (5), l’EDIC (6), ecc.,
ribadiscono l’importanza di uno stretto
controllo glicemico per contrastare le
complicanze legate alla malattia.
Le attuali raccomandazioni dell’ADA
per l’utilizzo dei glucometri impongono
i seguenti punti:
26
ottenere e mantenere il controllo
glicemico;
prevenire ed individuare gli episodi
di ipoglicemia;
evitare la comparsa di iperglicemia
severa;
aggiustare i cambiamenti degli stili
di vita.
Il termine ”automonitoraggio“ si
Per precisione s’intende la capacità
dello strumento di fornire lo stesso valore
glicemico su più misurazioni effettuate
sullo stesso campione, contenente una
data quantità di glucosio.
Breton MD e Kovatchev BP (7), in uno
studio clinico con simulazione dei dati,
hanno validato l’ipotesi che, più si amplia
il limite di inesattezza di misurazione, più
si rischia di compiere errori negli aggiustamenti terapeutici a breve, e più si rischia
di avere un peggioramento del controllo
glicemico a lungo termine.
ARTICOLO ORIGINALE
Sempre in questo studio, i due ricercatori hanno evidenziato le probabilità di
perdere una misura di ipoglicemia, a diversi
livelli di errore di misura.
Valori glicemici non accurati possono
falsare gli aggiustamenti terapeutici con
conseguenti risultati non corretti.
NORMATIVA EN ISO 15197
Per poter commercializzare in Europa
i misuratori della glicemia capillare è necessario che essi siano marchiati CE, ovvero
che soddisfino i requisiti delle norme tecniche EN ISO ( International Organization
for Standardization ) e che i requisiti e la
performance siano verificati da un Ente
Certificatore Terzo ( Notified Body ).
L’Unione Europea pubblica periodicamente in Gazzetta Ufficiale l’elenco e
l’edizione delle Norme Tecniche EN ISO
applicabili alla Dir. 98/79 inerente ai diagnostici in vitro.
I requisiti necessari ad un dispositivo
medico per ottenere il marchio CE, non
sono in alcun modo paragonabili ai rigorosi
processi richiesti per ottenere l’approvazione di un farmaco.
Sono state richieste pertanto
l’adozione di misure di verifica di affidabilità e sicurezza più severe, sia in fase di
autorizzazione, sia dopo la loro immissione
sul mercato.
E’ fondamentale che il processo di
regolamentazione, immissione in commercio, verifica e sorveglianza post-marketing
di questi dispositivi siano estremamente
efficaci per evitare leggerezze che possano
compromettere l’efficacia degli strumenti
e la salute dei pazienti.
N. 3 Settembre 2014
riferisce alla misurazione delle glicemie
capillari mediante l’utilizzo di un glucometro, effettuate dal paziente o dai suoi
familiari, al di fuori del contesto ospedaliero.
Il termine ”autocontrollo“ si riferisce
invece all’interpretazione dei risultati ed
ai conseguenti interventi terapeutici volti
a migliorarlo.
Misurare solo la glicemia quindi non
basta, bisogna interpretare correttamente
i report ottenuti per poter prendere le
decisioni terapeutiche più corrette.
Da questi risultati viene prescritta quindi la terapia più adeguata; ma siamo
veramente sicuri della correttezza di questi
report?
Nel corso dell’ultimo decennio, tutte
le Aziende Farmaceutiche impegnate nel
settore, hanno immesso sul mercato degli
strumenti sempre più accurati e precisi.
Per accuratezza s’intende la concordanza tra la glicemia capillare e quella
determinata in laboratorio.
27
ARTICOLO ORIGINALE
N. 3 Settembre 2014
La prima edizione della norma è la
CEN EN ISO 15197 del 2003, che stabilisce i requisiti di accettabile prestazione analitica e specifica la procedura per
dimostrarla.
Tale normativa imponeva che il 95 %
dei risultati doveva rientrare nel range
compreso tra ± 15 mg/dL per glicemie
inferiori a 75 mg/dl oppure nel range
compreso tra ± 20 % per glicemie ≥ a 75
mg/dL.
Le misurazioni erano eseguite da utilizzatori opportunamente “addestrati“ e
la valutazione degli interferenti era considerata, ma senza specifiche ne di tipo di
interferenti, ne di livello.
Dopo 10 anni, il 15 Maggio 2013,
dall’organismo che si occupa degli Standard Internazionali, sono state pubblicate
le nuove norme ISO in cui numerosi ed
importanti parametri qualitativi sono stati
riesaminati e resi, dunque, più stringenti
con l’obiettivo di garantire una maggiore
sicurezza.
La nuova normativa EN ISO 15197 del
2013, a differenza della precedente, impone che il 95 % dei risultati ricadano nel
range compreso tra ± 15 mg/dL per glicemie inferiori a 100 mg/dL oppure nel
range compreso tra ± 15 % se la glicemia
è ≥ 100 mg/dL.
Inoltre il 99 % delle misurazioni ottenute deve ricadere nelle zone A + B della
Consensus Error Grid ( EGA ).
Non dovrebbero comparire misurazioni
nelle zone C-D-E in quanto il trattamento
terapeutico non risulta adeguato, anzi
pericoloso per la vita del paziente (8).
A differenza della normativa del 2003
dove venivano arruolati utilizzatori
“addestrati“, nella nuova normativa sono
stati scelti utilizzatori “comuni“.
In un recente studio (9) sono stati
valutati 43 misuratori di glicemia in commercio in Europa e, quindi, con marchio
CE: ed è emerso che circa l’80% degli
apparecchi testati soddisfa la vecchia normativa ISO 2003, mentre circa la metà
non supera il test di qualità, se si applica
la nuova versione della normativa ISO
2013.
METODI DI LETTURA
Gli strumenti per la rilevazione della
glicemia capillare funzionano tramite due
sistemi :
1) sensori a rilevazione colorimetrica;
2) sensori a rilevazione elettrochimica.
Nel metodo a rilevazione colorimetrica, il sangue scioglie i reagenti innescando una reazione evidenziata da uno
specifico indicatore colorimetrico.
Il colore sviluppato è proporzionale
alla quantità di glucosio presente nel
campione di sangue. In base ad uno specifico algoritmo, lo strumento calcola la
quantità di glucosio nel campione in funzione della luce assorbita.
Il metodo colorimetrico era più utilizzato in passato, oggi è stato quasi del
tutto sostituito dal metodo elettrochimico
in quanto si verificavano delle alterazioni
di lettura sulla finestra ottica per accumulo
di detriti con conseguenti bias analitici.
I sistemi di ultima generazione sfruttano invece sensori di tipo elettrochimico, che utilizzano letture derivanti dalla
quantificazione di una corrente elettrica
nota generata a seguito di una reazione
enzimatica.
In base ad uno specifico algoritmo lo
strumento calcola la differenza tra la quantità di corrente iniziale e quella finale, che
è proporzionale alla concenrazione di
glucosio nel sangue.
INTERFERENZE SUL RISULTATO FINALE
Sempre nella nuova normativa del
2013, vengono forniti i livelli di accettabi-
28
INNOVAZIONI TECNOLOGICHE
Oltre all’accuratezza ed alla precisione,
che sono 2 caratteristiche insostituibili, i
nuovi glucometri presentano una serie di
innovazioni tecnologiche tra cui:
• sono maneggevoli, di piccole dimensioni, con display colorato ed allarmi acustici;
ARTICOLO ORIGINALE
• utilizzano la tecnologia autocoding (non
richiedono più la codifica);
• consentono di ottenere la media glicemica di tutti i valori registrati;
• aspirazione capillare del sangue (riduzione dell’errore di campionamento);
• porta di inserimento striscia retroilluminata (esecuzione del test in scarse condizioni di luce);
• campione di sangue e tempo di esecuzione del test ridotti;
• prelievo effettuabile da diverse zone
del corpo (palmo della mano);
• descrizione dettagliata degli errori (non
più messaggi in codice);
• aggiunta di note ai profili glicemici
(malattia, malessere, stress, sport, ecc.);
• impostazione della funzione di avviso
(si può impostare l’orario per la rilevazione successiva);
• rilevazione della chetonemia (in caso
di iperglicemia);
• trasmissione dati al PC ed invio dei
report per posta elettronica (telemedicina);
• inserimento di informazioni relative ai
carboidrati ed alle unità di insulina;
• elevato numero di memorizzazioni dati
(fino a 2000);
• riduzione delle interferenze da sostanze
endogene ed esogene;
• plasmacalibrazione (si ottiene
l’equivalente plasmatico).
La maggior parte dei pazienti che
afferiscono nei nostri ambulatori notano
la differenza tra la glicemia eseguita mediante il prelievo di laboratoiro e quella
rilevata la mattina dell’esame mediante il
loro glucometro.
Per questo motivo, la maggior parte
delle Aziende Farmaceutiche hanno plasmacalibrato (19) i glucometri ; in pratica
lo strumento legge quanto glucosio è
contenuto nel campione di sangue capillare, lo moltiplica per 1,11 che è il fattore
plasma-equivalente e fornisce un risultato sovrapponibile a quello di laboratorio.
N. 3 Settembre 2014
lità per poter dichiarare l’esclusione delle
possibili interferenze (± 10 mg/dL e ±
10% rispetto al campione di controllo) a
livelli definiti in apposite linee guida (Clinical Chemistry EP7-A2 Guideline).
Quando si parla di automonitoraggio
è necessario considerare tutti quei fattori
che possono interferire sull’accuratezza
del dato glicemico.
Questi fattori possono dipendere dal
sistema (strisce reattive, meter), dall’utilizzatore (manualità), da interferenti endogeni ed esogeni, oppure dalle condizioni
ambientali.
Gli interferenti endogeni sono
l’ematocrito, la bilirubina, l’acido urico
(10), l’urea, la creatinina, il colesterolo ed
i trigliceridi.
I valori di ematocrito possono inficiare
sensibilmente l’accuratezza delle misurazioni (11-12); l’aumento del numero gli
eritrociti impedisce meccanicamente la
diffusione del plasma attraverso lo strato
reagente, bloccando i pori nella membrana
o diminuendo il volume plasmatico disponibile per la diffusione (13) .
Come conseguenza, elevati valori di
ematocrito determinano una sottostima
della glicemia; al contrario, valori bassi
possono generare una sovrastima(14-15).
Gli interferenti esogeni sono il maltosio, l’icodextrina, il galattosio, lo
xilosio (16), il paracetamolo (17), l’acido
ascorbico, l’ossigenoterapia.
Gli interferenti ambientali comprendono invece l’altitudine, la temperatura,
l’umidità ambientale (18).
La valutazione deve essere condotta
a 2 livelli di concentrazione glicemica, uno
da 50 a 100 mg/dL e l’altra tra 250 e 350
mg/dL; se la deviazione è > del 10% la
sostanza deve essere classificata come
interferente.
ERRORI DI CODIFICA DEL
GLUCOMETRO
Gli strumenti non codificati correttamente possono determinare un errore
29
ARTICOLO ORIGINALE
N. 3 Settembre 2014
30
mediano del 43 % (20).
Due studi differenti (21-22) sono
concordi sull’incidenza del problema: circa
1 soggetto su 6 non codifica correttamente lo strumento o dimentica di codificarlo,
con risultati inadeguati.
I glucometri di ultima generazione
utilizzano la tecnica autocoding, ossia
la prima striscia reattiva di ogni nuovo
flacone utilizzato, codifica tutte le altre.
CONCLUSIONI
L’autocontrollo glicemico consente un
miglioramento del controllo metabolico
quando il paziente viene correttamente
educato ad interagire con la propria glicemia, modificando la terapia insulinica
in funzione dei dati rilevati.
Prestazioni analitiche migliorate consentono di concorrere all’ottimizzazione
insulinica, particolarmente importante e
complessa nei pazienti di tipo 1 oppure
in quelli che utilizzano il microinfusore,
riducendo al minimo le fonti di variabilità
che possono impattare sulle decisioni
terapeutiche.
Esso rappresenta quindi un vero e
proprio strumento terapeutico, da prescrivere secondo precise indicazioni e
modalità, preceduto da un addestramento
efficace da parte di un team sanitario
qualificato.
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ARTICOLO ORIGINALE
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31
ARTICOLO ORIGINALE
DITO A SCATTO: CAUSE E RIMEDI
Dott.ssa Lucia Pagano
Medico-Chirurgo. Medicina Fisica e Riabilitazione - Università degli Studi di Roma La Sapienza - Facoltà di Medicina
e Psicologia - Azienda Ospedaliera Sant’Andrea.
Prof.ssa Maria Chiara Vulpiani
Responsabile U.O.S Medicina Fisica e Riabilitativa - Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Facoltà di Medicina e Psicologia
- Università La Sapienza di Roma.
Prof.ssa Donatella Trischitta
Dirigente Medico, presso la Cattedra di Ortopedia e Traumatologia della II Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università
degli Studi di Roma “La Sapienza”- Servizio di Fisiatria.
Dott. Mario Vetrano
Fisiatra-Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Facoltà di Medicina e Psicologia - Università La Sapienza di Roma.
Dott. Alberto Orologi
Medico di Medicina Generale ASL RM.F. Specialista in Odontostomatologia.
Dott. Emiliano Amore
Dirigente Medico presso l’Azienda Sanitaria Provinciale ASP di Siracusa, l’Ospedale Umberto I - Libero professionista
nel campo dell’oncoplastica, in particolare nel caso del tumore alla mammella, e della Medicina e Chirurgia Estetica.
N. 3 Settembre 2014
E-mail: [email protected]
32
Il dito a scatto, detto anche tenosinovite stenosante, o morbo di Notta, dal
nome di colui che per primo, nel 1850,
descrisse tale patologia, è un disturbo in
cui una delle dita delle mani rimane in
posizione piegata, per poi raddrizzarsi con
un brusco scatto (come se venisse tirato
e rilasciato un grilletto, “trigger finger“).
La malattia è causata dal restringimento
della guaina sinoviale che circonda il tendine del dito colpito. Il disturbo è spesso
doloroso e, in condizioni particolarmente
gravi, può determinare un vero e proprio
blocco funzionale della sede colpita.
Il dito a scatto insorge più comunemente nella mano dominante e nella
maggior parte dei casi colpisce il pollice,
il medio o l’anulare. La patologia può
colpire più dita contemporaneamente e
coinvolgere entrambe le mani. Tra i principali fattori di rischio per l’insorgenza di
questa patologia, oltre che l’artrite reumatoide, troviamo il diabete mellito,
l’ipotiroidismo, la rizoartrosi, specie in
soggetti che compiono movimenti di presa
ripetuti: un soggetto è più incline a sviluppare il dito a scatto se costretto ad afferrare
un oggetto, come uno strumento o un
utensile per lavoro (forbici, cesoie...), per
lunghi periodi di tempo. La patologia può
essere presente anche nel bambino dalla
nascita ed in questi casi si parla di dito a
scatto congenito.(1) Il trattamento terapeutico varia in relazione alla gravità ed
alla durata del disturbo.
BREVI CENNI ANATOMICI
I muscoli che muovono le dita della
mano sono situati nell’avambraccio, al di
sopra del polso.
Lunghi tendini, chiamati flessori, partono dai muscoli dell’avambraccio, passano nel polso e si inseriscono sulle falangi
delle dita. Quando si flette un dito, il
flessore scorre attraverso vari tunnel piuttosto stretti che si chiamano pulegge, la
cui funzione è mantenere il tendine aderente al piano osseo. Semplificando si
potrebbe dire che sono le corde che permettono alle dita di flettersi. Quando
passano dal palmo alle dita le corde tendinee sono tenute aderenti al piano osseo
dalle puleggie, che sono dei piccoli tunnel
di tessuto fibroso.
CAUSE E SINTOMI
Le cause del dito a scatto non sono
state ancora del tutto chiarite; esistono
però diversi fattori di rischio. Molto frequentemente, infatti, la tenosinovite stenosante viene osservata in tutti quei soggetti che, per lavoro o per hobby, fanno
un uso particolarmente intenso della ma-
DIAGNOSI
La diagnosi di dito a scatto è semplice
ed essenzialmente clinica basandosi
sull’evidenza dello scatto e sul riscon-
ARTICOLO ORIGINALE
Figura 1.
Dito a scatti
tro, alla palpazione dell’articolazione metacarpo-falangea, di una formazione nodulare che scorre avanti e indietro in sincronia con la flesso-estensione del dito
interessato dal problema.(2) Il medico ed
in generale gli operatori sanitari che si
occupano della importante problematica
della malattia diabetica possono porre al
paziente diverse domande dirimenti sul
piano diagnostico e conseguentemente
terapeutico. (tabella 1) Può inoltre risultare
comunque di una certa utilità l’esecuzione
di un’ecografia allo scopo di verificare il
grado di infiammazione dei tendini flessori.
(3) Richieste di altri esami diagnostici sono
decisamente rare e riferibili a casi decisamente particolari. Ad esempio, la Risonanza Magnetica può essere utile solo nei
casi dubbi per una diagnosi differenziale.
Molto raramente, per effettuare la visita,
può essere necessaria l’iniezione di un
anestetico locale.
N. 3 Settembre 2014
no; ciò, in alcuni casi, provoca a lungo
andare un’infiammazione della guaina
tendinea. Circa il sesso e l’età si è rilevata
una maggiore incidenza della patologia
in donne ed anziani. Inoltre, soggetti con
patologie citate nella parte introduttiva
(in specie il diabete mellito) sono definiti
più a rischio in termini di sviluppo
dell’infiammazione causa del dito a scatto.
Tale infiammazione aumenta il volume
del tendine (tenosinovite), rendendo difficoltoso il passaggio attraverso la puleggia.
Il perdurare della confricazione del tendine
con la puleggia contribuisce ad alimentare
la infiammazione con conseguente dolore
e, causando un ispessimento della puleggia
stessa, un impedimento alla scorrimento
del tendine.
Quando si cerca di estendere il dito,
il tendine rimane bloccato all’ingresso
della puleggia; aumentando la forza necessaria per completare il movimento, il
tendine riesce a superare l’ostacolo provocando lo scatto che il paziente avverte.
(figura 1) La stadiazione della malattia
secondo la classificazione di Green (utile
clinicamente, ma soprattutto nell’ottica
della scelta terapeutica) prevede quattro
stadi (da I a IV). Nello stadio I, il soggetto
lamenta dolore, edema e difficoltà a eseguire i movimenti attivi di flessoestensione, ma non si registra un vero e
proprio scatto del dito coinvolto. Nel secondo e terzo stadio, fasi subacute della
malattia, si ha la comparsa, soprattutto
al mattino, del blocco in flessione che
però il soggetto può correggere attivamente (stadio II) oppure passivamente cioè, in termini più grossolani, bisogna
aiutarsi con l’altra mano - (stadio III); nella
fase cronica della patologia, il blocco in
flessione non è più correggibile (stadio
IV). Spesso il paziente ha avuto o avrà
altre tendinopatie come gomito del tennista, morbo di Dupuytren o tendinite di
de Quervain che sono comunque disturbi
completamente diversi dalla malattia del
dito a scatto. La risoluzione spontanea
del dito a scatto è rara pur se possibile.
Tabella 1: Classificazione secondo Green
Grado I
Dolore, edema, movimenti irregolari del dito
Grado II
Blocco in flessione correggibile attivamente
Grado III
Blocco in flessione correggibile passivamente
Grado IV
Blocco in flessione non correggibile
33
N. 3 Settembre 2014
ARTICOLO ORIGINALE
TERAPIA
34
Dopo qualche giorno dalla comparsa
dei primi sintomi è meglio consultare il
medico, che potrà consigliare una visita
da uno specialista (chirurgo della mano
o meglio ancora fisiatra, essendo il primo
approccio solitamente conservativo). Una
prima cura consiste nel tenere a riposo il
dito, per esempio con l’aiuto di un tutore
appositamente studiato , per mantenere
il dito colpito in posizione estesa, per un
tempo massimo di sei settimane, e seguire
un ciclo di ultrasuoni e laserterapia per
ridurre l’infiammazione. Il medico potrà
prescrivere per qualche giorno anche Fans
(antinfiammatori non steroidei) o cortisonici (antiinfiammatori steroidei) da assumere per via orale. Il medico può anche
suggerire di svolgere esercizi delicati che
aiutino a mantenere la mobilità articolare
del dito coinvolto. Nei casi di dito a scatto
di media gravità si può tentare il ricorso
a infiltrazioni locali di corticosteroidi associate a somministrazioni orali di farmaci
antinfiammatori. La terapia cortisonica
risulta più efficace nel caso in cui venga
effettuata subito dopo la comparsa della
sintomatologia. L’infiltrazione è spesso
dolorosa nelle prime 24-48 ore ma spesso
risolve il problema dello scatto. Si consigliano cicli di al massimo 2 infiltrazioni.
La terapia locale con infiltrazione comporta
dei rischi connessi ai possibili danni al
tendine (rottura patologica), e non assicura
la risoluzione completa della malattia. Nei
soggetti affetti da patologie quali il diabete
e l’artrite reumatoide, oppure se il dito a
scatto e durato da molto tempo l’efficacia
della somministrazione di cortisonici può
risultare ridotta. Se due infiltrazioni non
riescono a risolvere il problema si può
considerare l’esecuzione di due infiltrazioni
di acido ialuronico. L’acido ialuronico è il
principale glicosamminoglicano della sostanza fondamentale del tessuto connettivo. Permette l’immediato ripristino della
viscosità del fluido sinoviale, il mantenimento delle proprietà viscoelastiche per
5-7 giorni dopo l’iniezione. Si iniettano 2
cc di farmaco, usando un ago da insulina.
Dal punto di vista tecnico per essere sicuri
di essere sul punto giusto da infiltrare e
sul tendine è sufficiente pungere il tendine
flessore con l’ago, dopo far muovere il
dito, e se l’ago si muove con il movimento
del dito, questo ci indica che siamo sul
tendine. Dopo basta retrarre l’ago di qualche millimetro e quindi infiltrare con molta
delicatezza.(4-5-6)
Se i tentativi conservativi risultano vani
si può intervenire chirurgicamente, con
la Liberazione percutanea del dito a
scatto (o release percutaneo): in questa
procedura chirurgica, eseguita in anestesia
locale, il medico chirurgo utilizza un ago
per riportare alla posizione normale il dito
bloccato. Il release percutaneo è più efficace se applicato ad indice, anulare e
medio. Subito dopo l’intervento, il paziente
è sollecitato a muovere e ad estendere le
dita. Generalmente il recupero è graduale
e si completa nell’arco di 3 settimane.
Nella maggior parte dei casi la fisioterapia
non è necessaria e il recupero dell’uso
della mano è veloce, qualora una riabilitazione venisse ritenuta necessaria, gli
esercizi interesserebbero la settimana successiva all’intervento. Immediatamente
dopo l’intervento risulta utile l’uso notturno di uno splint denominato molla di
Levame (figura 2) per mantenere il dito
in estensione che si consiglia mantenere
fino a completa maturazione cicatriziale
dei tessuti (circa trenta gg dall’intervento).
Dopo un mese appunto viene eseguita
una visita di controllo finale. L’altro
trattamento possibile è la tenolisi dei
flessori, che rappresenta una procedura
chirurgica utile a migliorare i movimenti
delle dita attraverso la liberazione del
tendine dalle aderenze che ne limitano lo
scorrimento, al fine di ripristinarne la sua
normale funzionalità. Dopo l’intervento
è necessario osservare un periodo di riposo. Nella maggior parte dei pazienti si
assiste ad un miglioramento già nei giorni
successivi all’intervento, ma il recupero
completo può richiedere fino a tre mesi.
Figura 2. Splint dinamico di Levame
Le rare complicanze che possono insorgere, a seguito del trattamento del dito
a scatto, includono:
• rottura del tendine;
• infezioni, spesso trattabili con antibiotici;
• rigidità del dito, spesso determinata
dall’eccessiva cautela nel compiere
movimenti nella fase post-operatoria;
• recidive, in casi eccezionali, anche a
distanza di anni. (7)
RIMEDI E CONSIGLI PER ALLEVIARE I
SINTOMI DEL DITO A SCATTO
Medici, Infermiere e Personale Sanitario che giornalmente o periodicamente
approcciano pazienti diabetici dovrebbero
essere istruito a dare dei suggerimenti per
migliorare la qualità di vita di questi pazienti. (8) Pur sembrando delle banalità si
tratta di indicazioni risultate efficaci e
CONCLUSIONI
Dal punto di vista clinico, il dito a
scatto può presentarsi in modo differente
a seconda dello stadio evolutivo del disturbo e molte opzioni terapeutiche consentono il recupero funzionale della mano.
Il paziente ed il medico di Medicina
Generale per primi devono saper cogliere
i segni clinici del dito a scatto, ma soprattutto devono cercare di prevenire la progressione della malattia attraverso il ricorso
al Fisiatra o se necessario al Chirurgo della
Mano.
ARTICOLO ORIGINALE
COMPLICANZE POST-OPERATORIE
scientificamente accettate come valide.
(tabella 2)
Tabella 2: Rimedi e consigli per alleviare i sintomi
del dito a scatto
• Mantenere il dito a riposo per 4-6 settimane consente
di evitare l’eccessiva sollecitazione e di rilassare
l’area interessata dal disturbo.
• Ridurre al minimo i movimenti di presa ripetuti ed
i lavori manuali impegnativi.
• Evitare sforzi eccessivi e traumi.
• Utilizzare guanti anti vibrazioni in caso di attività
manuali ripetitive.
• Compiere esercizi defaticanti per le mani e di rotazione per il polso.
• Massaggiare il dito colpito può apportare benessere
e contribuire ad alleviare il dolore.
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N. 3 Settembre 2014
Ricorrere alla fisioterapia può contribuire
a raggiungere un esito positivo al trattamento. Esteticamente la ferita chirurgica
è di ottima qualità ed è difficilmente riconoscibile già ad un mese di distanza
dall’intervento. Come cenni storici ricordiamo che il primo trattamento chirurgico
fu messo a punto da Schonborn nel 1889.
35
N. 3 Settembre 2014
ARTICOLO ORIGINALE
INIETTARE O NO?
36
Dr Helen Mosnier-Pudar,
Medico Praticante presso il Servizio delle Malattie Endocrine e del Sistema Metabolico
Cochin Hospital - Parigi
L’attenzione verso uno schema di
insulina ottimizzato per ottenere un buon
controllo glicemico, prevenire o ritardare
la comparsa di complicanze legate al
diabete è attualmente riconosciuta da
tutti. Questo risultato non può essere
ottenuto senza che i pazienti diventino
responsabili del trattamento e senza
implicazioni per loro, non solo in termini
di esecuzione delle iniezioni, ma anche
in termini di controllo glicemico. Nonostante un miglioramento nei dispositivi
per le iniezioni, in particolare gli aghi,
l’aderenza al trattamento dell’iniezione
e, soprattutto, alla terapia insulinica rimane una sfida.
Il controllo glicemico (livello di emoglobina glicosilata - HbA1c, episodi di
acido-chetosi) è correlato alla percentuale
di iniezioni di insulina effettuata (1). Venti
del 57% dei pazienti, secondo gli studi,
sostengono di essere limitati nella loro
vita quotidiana dal numero di iniezioni di
insulina e dalla dose somministrata (1-3).
Le circostanze dell’inizio del trattamento con insulina variano a seconda del
tipo di diabete. Nel diabete di tipo 1,
l’inizio del trattamento corrisponde con
la diagnosi. Non ci occuperemo qui di
tutti i dettagli di una comunicazione
adeguata della diagnosi. In breve, si tratta
di rispettare lo stato d’animo del paziente,
esplorando i suoi sentimenti verso il diabete e il suo trattamento, cercando di
captare le sue reazioni, soprattutto a
livello emotivo, sul fatto di aver ricevuto
la diagnosi.
Nel diabete di tipo 2, la terapia insulinica sarà indicata solo in caso di fallimento del trattamento antidiabetico per
via orale. Al contrario del diabete di tipo
1, la terapia insulinica non è di vitale
importanza nel diabete di tipo 2, ma
rimane essenziale per il controllo metabolico. Nonostante ciò, l’inizio è spesso
ritardato a causa dell’esistenza di barriere
multiple sia da parte del paziente che di
chi lo cura. Le ragioni più frequentemente
addotte (4) dai pazienti sono la natura
definitiva della terapia insulinica, la severità
della malattia che porta al trattamento
insulinico, l’obbligo che essa comporta,
il rischio di ipoglicemia e la sensazione di
fallimento personale. Infine, le ragioni
legate all’effettiva iniezione: la mancanza
di fiducia in se stessi, l’incapacità di portarla a termine e la sensazione di dolore.
I pensieri del paziente sulla gravità
della malattia e il trattamento giocano un
ruolo importante nella accettazione della
terapia con insulina nel diabete di tipo 2
(5). Nei pazienti che non stanno già assu-
L’aderenza a lungo termine alla terapia
insulinica da parte dei pazienti, sia quelli
con tipo 1 o tipo 2 di diabete, e le sue
determinanti non sono ben note. In un
recente studio, più della metà (57%) dei
pazienti in trattamento con insulina ha
dichiarato di saltare le iniezioni di insulina
e il 20% lo fa regolarmente, persino spesso (2). I fattori di questa scarsa adesione
sono un’età giovane, il basso reddito, un
livello di istruzione superiore, il diabete di
tipo 2, il non seguire i consigli dietetici,
un elevato numero di iniezioni quotidiane,
il dolore delle iniezioni e l’imbarazzo causato da questo dolore e la maggiore interferenza delle iniezioni nella vita quotidiana.
Diversi fattori sono stati in particolare
avanzati. Da una parte c’è l’interferenza
delle iniezioni nelle attività quotidiane.
Quando sorge un conflitto tra la necessità
di effettuare una iniezione di insulina e
un impegno, il paziente può organizzare
la sua attività in modo che si possa eseguire l’iniezione oppure risolvere il conflitto decidendo di non fare l’iniezione.
Per ridurre l’onere che la terapia insulinica
comporta per i pazienti, gli operatori
sanitari hanno bisogno di andare oltre al
dare semplicemente una prescrizione e
ARTICOLO ORIGINALE
i sentimenti riguardo alla gravità della
malattia o la percezione del trattamento
insulinico come dipendenza, sono sconosciuti (5). Bisogna sempre sottolineare
l’importanza del rapporto tra il paziente
e l’operatore sanitario, che permette loro
di condividere le decisioni, le informazioni
circa gli effetti collaterali della terapia
insulinica e le istruzioni sullo svolgimento
delle iniezioni.
N. 3 Settembre 2014
mendo insulina, quasi la metà afferma
che la loro malattia non è sufficientemente
grave da ricorrere a questo tipo di trattamento. L’inizio della terapia insulinica
indica, per il paziente, una progressione
della malattia, un fallimento di precedenti
trattamenti e anche un fallimento personale.
Ai loro occhi la terapia insulinica spesso
rappresenta l’insuccesso dell’autogestione
del diabete. Questa sensazione di fallimento può essere ulteriormente rafforzata
qualora il medico presenti il ricorso
all’insulina come minaccia per cercare di
motivare il paziente.
Spesso si parla di resistenza alla terapia
insulinica (6). Questo termine riunisce le
convinzioni del paziente sulla terapia
insulinica, i suoi sentimenti di inadeguatezza in relazione alle capacità necessarie
per svolgere la terapia insulinica e la
mancanza di conoscenza. Per superare
queste barriere, i pazienti hanno bisogno
che coloro che li assistono ne prendano
atto. Solo questo riconoscimento permetterà loro di trovare una soluzione che
consenta l’inizio della terapia insulinica
nelle migliori condizioni possibili. Altrimenti, l’aderenza del paziente al programma della terapia ne sarà compromesso.
Così, circa il 30% dei pazienti non inizia
il trattamento o lo abbandona molto
rapidamente (4). Le ragioni addotte dai
pazienti per tale comportamento sono la
decisione di seguire più minuziosamente
i consigli circa la dieta e l’esercizio, la
paura delle iniezioni, l’impatto negativo
a livello professionale e sociale, il carattere
permanente del trattamento, la pressione
che rappresenta e i dubbi circa l’utilità
della terapia insulinica. Questi pazienti
spesso sentono di non aver ricevuto sufficienti informazioni sui rischi e i benefici
della terapia insulinica.
Alle barriere dei pazienti si aggiungono
le barriere degli operatori sanitari. Una
buona conoscenza medica non sottindende la capacità dell’operatore sanitario di
riconoscere ciò che impedisce ai pazienti
di cominciare le iniezioni di insulina. Spesso
si pone come barriera l’anticipazione del
dolore, mentre gli aspetti psicologici, quali
37
ARTICOLO ORIGINALE
N. 3 Settembre 2014
38
delle informazioni. Comprendere le difficoltà incontrate dai pazienti e aiutarli a
ricercare soluzioni personalizzate è una
delle questioni principali nella cura dei
pazienti in trattamento insulinico (7).
Gli altri due fattori che causano difficoltà sono legati all’esecuzione delle iniezioni: dolore e sensazione di imbarazzo.
La banalizzazione della procedura e la
minimizzazione dei sentimenti sono fin
troppo frequenti, ed i pazienti affermano
che i medici non dimostrano un interesse
sufficiente nei problemi incontrati. Il riconoscimento delle difficoltà e la ricerca di
soluzioni sono importanti per migliorare
l’aderenza al trattamento. La condivisione
con i pazienti del miglior dispositivo di
iniezione per loro in termini di ergonomia,
visibilità e semplicità d’uso miglioreranno
le prestazioni delle iniezioni, soprattutto
fuori casa, in pubblico ... Allo stesso
modo, controllare i siti di iniezione e
scegliere l’ ago più appropriato, sono
elementi che faciliteranno lo svolgimento
delle iniezioni (8).
I fattori di rischio di scarsa aderenza
variano a seconda del tipo di diabete. Per
il diabete di tipo 1, i pazienti che hanno
uno stile di vita poco salutare, compiono
un elevato numero di iniezioni quotidiane
e coloro che trovano che questo interferisca notevolmente con la loro vita quotidiana spesso mancano le iniezioni. Per il
diabete di tipo 2 si distinguono la giovane
età e la scarsa osservanza dei consigli
dietetici.
Quindi, l’educazione del paziente allo
svolgimento dell’iniezione è un punto
cruciale dal quale partire per una buona
pratica. Per questo motivo, è essenziale
che i medici abbiano grande conoscenza
e un know-how di altissimo livello sul
tema. Inoltre, al di là della padronanza
della tecnica dell’iniezione e della conoscenza dei diversi dispositivi disponibili,
devono essere competenti nella comunicazione e nella formazione.
Insegnare ad un altro come eseguire
una procedura non si può inventare.
Essere in grado di comprendere e
gestire reazioni spesso negative e le emozioni che accompagnano l’inizio del trattamento con insulina è molto importante
e garantisce una corretta esecuzione
dell’iniezione da parte del paziente.
L’iniezione di insulina è una procedura
che spesso diventa abitudine.
La ripetizione di questa azione la rende
più facile. Ma allo stesso tempo l’abitudine
può diventare routine e quindi, senza
regole di buona pratica, la procedura
diventa meno precisa e si allontana dal
percorso consigliato. È quindi sempre più
importante rivalutare la tecnica di iniezione
con i pazienti, ribadire i suggerimenti,
rivedere tutti i passaggi e non esitare a
ripetere i messaggi.
Una maggiore conoscenza della malattia e il suo trattamento, una migliore
capacità di mantenere le abitudini di vita
e le competenze per risolvere i problemi
che emergono nella vita quotidiana, in
particolare quelle legate al trattamento,
consentono una migliore aderenza alla
terapia insulinica (9). L’educazione terapeutica aiuta i pazienti a sviluppare questa
capacità. Avere padronanza della procedura e della sua tecnica è essenziale per
consentire al paziente di gestire pienamente tutto il complesso processo che va
dall’iniezione al controllo glicemico e
quindi il controllo metabolico. Questo può
essere solo se gli operatori sanitari hanno
le conoscenze mediche necessarie, ma
anche la relativa competenza metodologica e didattica indispensabile per guidare
il paziente nel suo percorso di assunzione
della terapia insulinica.
1. Goebel-Fabbri AE, Fikkan J, Franko DL, Pearson K, Anderson, BJ, Weinger K: Insulin restriction
and associated morbidity and mortality in women with type 1 diabetes. Diabetes Care
2008;31:415-419.
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Care 2010;33:240-245.
3. Peyrot M, Rubin RR, Lauritzen T, Skovlund SE, Snoeck FJ, Matthews DR, Landgraf R, Kleinebreil
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DG: Barriers to insulin initiation: the Translating Research into Action for Diabetes Insulin Starts
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ARTICOLO ORIGINALE
BIBLIOGRAPHY
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physicians’ misconceptions of patients’ fears contribute to existing barriers. J Diabetes
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of health disparities and challenge of intelligence. J Health Soc Behav 2008;49:72-91.
39
Al momento della stampa della rivista altri eventi sono in fase di definizione.
Rivolgersi al Presidente della Sezione Regionale per eventuali ulteriori informazioni
15 novembre 2013 - 15 novembre 2014 - Corso Online - Corso FAD. Il paziente con diabete: strategie di cura. Sponsor
Roche Diagnostics
16 dicembre 2013 - 16 dicembre 2014 - Corso Online - Corso FAD. Iniezioni di insulina in sicurezza. Sponsor Artsana
15 gennaio - 31 dicembre 2014 - Corso Online - Corso FAD. Dalla cura di sé alla cura del paziente diabetico:
comunicazione ed educazione terapeutica. Sponsor Sanofi
13 e 27 settembre 2014 - Cavenago di Brianza (MB) - Devero Hotel - L’infermiere in prima linea nella gestione della
persona in terapia insulinica con microinfusore. Multisponsor
26 e 27 settembre 2014 - Bisceglie (BT) - Nicotel - La Comunicazione all’interno del Team Diabetologico: trattamento
delle chetoacidosi e delle ipoglicemie. Lifescan
27 settembre 2014 - Vicenza - Hotel Magnolia - Oltre l’episodio ipoglicemico: focus su aspetti clinici, assistenziali,
tecnologici comunicativi, sociali ed economici. Lifescan
3 e 4 ottobre 2014 - Napoli - Montespina Park Hotel - Guidare il paziente nel percorso educativo e terapeutico di
gestione del diabete. Lifescan
4 ottobre 2014 - Udine - Hotel Là di Moret - IPO, no grazie. Un percorso diagnostico educazionale per il paziente con
ipoglicemia. Lifescan
8 ottobre 2014 - Lamezia Terme - T Hotel - La transizione dei giovani con diabete mellito verso l’età adulta. Multisponsor
11 ottobre 2014 - Arco di Trento - Palace Hotel - Ipoglicemia: un killer silente. Lifescan
17 e 18 ottobre 2014 - Bologna - Starhotels Excelsior - Diabete di tipo 2 e adherence: quale miglioramento per la
qualità della vita della persona con diabete e quale sostenibilità del sistema. AstraZeneca
25 ottobre - Bagnatica (BG) - Airport Hotel - XI Congresso OSDI Lombardia - Tempo di Diabete: da ieri ad oggi, la
cura e l’assistenza alla persona con Diabete. Multisponsor
31 ottobre 2014 - Orbassano (TO) - Az. Ospedaliera S. Luigi Gonzaga - Diabete di tipo 2 e adherence: quale
miglioramente per la qualità di vita della persona con diabete? AstraZeneca
7 novembre 2014 - Monza (MB) - Hotel de la Ville - Diabete di tipo 2 e adherence: quale miglioramento per la qualità
di vita della persona con diabete? AstraZeneca
15 novembre 2014 - Todi (PG) - Hotel Europalace - VII Congresso OSDI Umbria - Le complicanze del diabete: quando
un corretto stile di vita può essere d’aiuto. Multisponsor
21 novembre 2014 - Genova - Novotel - Diabete di tipo 2 e adherence: quale miglioramento per la qualità della vita
della persona con diabete e quale sostenibilità del sistema? AstraZeneca
N. 3 Settembre 2014
24 e 25 ottobre - Cison di Valmarino (TV) - Castelbrando - Diabete nel tempo. Quanto incide l’educazione terapeutica
nella prevenzione delle complicanze croniche. Sanofi
28 novembre 2014 - Lamezia Terme - T Hotel - Diabete di tipo 2 e adherence: quale miglioramento per la qualità
della vita della persona con diabete e quale sostenibilità del sistema? AstraZeneca
28 novembre 2014 - Castelfranco Veneto (TV) - Hotel Fior - Diabete di tipo 2 e adherence: quale miglioramento
per la qualità della vita della persona con diabete e quale sostenibilità del sistema? AstraZeneca
29 novembre 2014 - Trento - Quid Hotel - L’anziano diabetico e le sue fragilità. Multisponsor
29 novembre 2014 - Osimo - G Gotel - Amare le differenze. Il Diabete nella società multietnica. Abbott
6 dicembre 2014 - Vinci-Sovigliana (FI) - Hotel Da Vinci - La multi-professionalità nella gestione del piede diabetico:
dalla prevenzione alla cura. Bayer Diabetes Care
13 dicembre 2014 - Pineto (TE) - Hotel Parco degli Ulivi - Congresso OSDI Abruzzo - Il percorso diagnostico-terapeutico
assistenziale della persona con il diabete. OSDI
17 gennaio 2015 - Udine - Hotel Là di Moret - VII Congresso OSDI Friuli - Complicanze acute e croniche del diabete:
centralità del ruolo infermieristico nella prevenzione primaria e secondaria. OSDI
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Presidente
Giovanni Lo Grasso
[email protected]
Vice Presidente
Marcella Lai
[email protected]
Past President
Roberta Chiandetti
[email protected]
Segretaria
Elisa Levis
[email protected]
Consiglieri
Gemma Annicelli
Lia Cucco
Raffaella Fiorentino
Vilma Magliano
Alberto Pambianco
Silvana Pastori
Clara Rebora
Katja Speese
Silvia Tiozzo
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
[email protected]
Tesoriere
Michele Galantino
[email protected]
Abruzzo-Molise
Roberto Berardinucci
[email protected]
Calabria
Francesca Corazziere
[email protected]
Campania
Nunziata Di Palma
[email protected]
E. Romagna
Simonetta Fantini
[email protected]
Friuli V.G.
Valentina Toffoletti
[email protected]
Lazio
Paola Saltarelli
[email protected]
Liguria
Maura Mazzoni
[email protected]
Lombardia
Mariarosa Cattaneo
[email protected]
Marche
Manuela Montoni
[email protected]
Puglia
Maria Grazia Accogli
[email protected]
Sardegna
Simonetta Mamusa
[email protected]
Sicilia
Salvatore Strano
[email protected]
Toscana
Marilena Carnevale
[email protected]
Trentino A.A.
Patrizia Contrini
[email protected]
Umbria
Raffaella Lupatelli
[email protected]
Veneto
Fabio Favaretto
[email protected]
Direttivo Osdi Veneto
E’ mancata ad Aprile di quest’anno Annalisa Boldrin:
una Moglie, una Mamma , un’Infermiera, una Cara Collega.
Un’infermiera dedicata anche Lei come noi, alla Diabetologia, dedicata tutti
i giorni alla persona con diabete.
Vogliamo continuare a sentirla vicina e ricordarla insieme alle colleghe della
diabetologia di Padova nella sua riservatezza, nel coraggio e nella dignità che
ha saputo dimostrare lottando fino in fondo.
Con stima e affetto il Direttivo Osdi Veneto vuole raggiungere con un forte
abbraccio la famiglia e le persone/colleghe che le hanno voluto bene.
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osdi puglia