I REATI DI OMESSO VERSAMENTO, CRISI DI LIQUIDITA’ E RICONOSCIMENTO DELL’ESIMENTE: PRIME (TIMIDE) APERTURE DELLA CORTE DI CASSAZIONE? di Luigi Gianzi∗ SOMMARIO: 1. La crisi economica come esimente nei reati tributari: la giurisprudenza di merito tra inesigibilità della condotta doverosa, causa di esclusione della colpevolezza e forza maggiore. - 2. Le più recenti e importanti aperture della suprema Corte di cassazione. - 3. Prospettive e nuovi dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 10-ter D. Lgs. 74 del 2000. 1. La crisi economica come esimente nei reati tributari: la giurisprudenza di merito tra inesigibilità della condotta doverosa, causa di esclusione della colpevolezza e forza maggiore. Già durante la vigenza della l. n. 516 del 1982 (di conversione del d.l. 429 del 19821) la giurisprudenza della suprema Corte di cassazione negava con granitica fermezza la rilevanza, tanto sotto il profilo oggettivo che soggettivo, della crisi di liquidità quale esimente della responsabilità per le fattispecie di omesso versamento a fini fiscali2 o previdenziali3. ∗ Avvocato in Milano e socio del Centro di Diritto Penale Tributario. 1 Disposizioni relative alla repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria. 2 V., Cass. pen, sez. III, 18 gennaio 1995, n. 1447, in Cass. pen., 1996, pag. 313; Id., 24 marzo 1999, n. 1178, in Riv. pen., 1999, pag. 881. 1 La posizione dei Giudici di legittimità era semplice e netta: il soggetto su cui incombeva l’obbligo del versamento doveva comunque gestire le proprie risorse in modo da essere in grado di provvedervi, senza che l’incapacità economica o finanziaria - ancorché estranea alla sfera di volizione del contribuente - potesse costituire causa di forza maggiore, presupposto dello stato di necessità e men che meno motivo di esclusione della colpevolezza per carenza dell’elemento soggettivo. Con l’introduzione dei delitti di cui all’art. 10-bis e 10-ter d. lgs. 74 del 2000 (operata rispettivamente dalla legge “Finanziaria 2005” e dal c.d. “Decreto Bersani” del 2006) l’orientamento non è mutato4. La tematica, tuttavia, negli ultimi anni ha assunto nuova vitalità per via della crisi finanziaria che affligge l’economia globale, facendo crescere a dismisura i procedimenti penali per i reati di omesso versamento di ritenute certificate e di IVA5. Di recente, la giurisprudenza di merito - e solo dalla fine del 2013 quella di legittimità - ha registrato significative aperture volte a riconoscere alla illiquidità finanziaria efficacia 3 Cfr., ex pluribus, Cass. pen., sez. III, 25 settembre 2007, Tafuro, in Cass. pen., 2009, 3, pag. 1236; Id., sez. III, 5 luglio 2001, Castellotti, in Cass. pen., 2002, pag. 3207. 4 Cfr., tra le più recenti, Cass., Sez. III, 17 gennaio 2013, n. 9578, in Riv. dir. trib., 2013, 3, III, pag. 36, secondo la quale “la crisi di liquidità dell’impresa non esclude la configurabilità del reato di omesso versamento i.v.a., previsto dall’art. 10-ter d. lgs. n. 74 del 2000, perché una corretta linea operativa imponeva un accantonamento dell’imposta dovuta all’Erario”. 5 Sulla questione, cfr. il contributo di I. CARACCIOLI, Omessi versamenti con la via d’uscita della forza maggiore, in Il sole24ore, del 29 settembre 2013. 2 scriminante sulla rilevanza penale delle omissioni tributarie: sia ricorrendo alla imprevedibilità/inevitabilità del verificarsi dell’inadempimento fiscale quale ragione di esclusione del profilo soggettivo del reato, sia ripiegando sull’esimente della forza maggiore intesa in termini di interruzione del nesso causale. Si è pertanto esclusa l’integrazione dell’elemento psicologico o del rapporto di casualità nelle seguenti fattispecie: 1. ritardi nei pagamenti dei crediti da parte della Pubblica Amministrazione 6 e, più in generale, condotte inadempienti di terzi; 2. diversità di soggetti tra chi doveva operare l’accantonamento e chi ha omesso il versamento penalmente rilevante; 3. crisi economica non imputabile al contribuente e non adeguatamente fronteggiabile tramite idonee misure da valutarsi in concreto. 6 In dottrina (G. L. SOANA, in Crisi di liquidità del contribuente e omesso versamento di ritenute certificate e di IVA, pag. 13, in www.penalecontemporaneo.it) si è rilevato come “questa possibile esclusione del dolo non potrà mai ricorrere con riferimento alle ipotesi - sovente richiamate dalle difese ed anche dalle decisioni di merito conclusesi con un’assoluzione - di mancato pagamento di crediti del contribuente da parte di Pubbliche amministrazioni. Infatti, sulla base dell’art. 6 d.P.R. n. 633/1972, per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate a favore dello Stato (anche di enti pubblici territoriali, USL, enti pubblici, enti ospedalieri di ricovero, enti pubblici di assistenza e previdenza, organi dello stato) l’IVA diviene esigibile solo all’atto del pagamento dei relativi corrispettivi. Pertanto, non si potrà mai verificare che il debito IVA del contribuente possa avere origine da tale inadempimento da parte della Pubblica Amministrazione in quanto lo stesso sorge solo a seguito dell’effettivo pagamento del corrispettivo da essa dovuto; né, a parere di chi scrive, sarà possibile invocare, per le ragioni già dette, che da questo inadempimento sia derivata la crisi di liquidità che ha portato al mancato versamento di IVA dovuta per prestazioni regolarmente pagate”. 3 Nell’alveo della prima ipotesi fattuale si colloca la sentenza del G.I.P. presso il Tribunale di Firenze del 27 luglio 2012, con la quale è stato assolto un imprenditore accusato di omesso versamento dell’IVA perchè "si era trovato in gravi difficoltà economiche in conseguenza del mancato adempimento dei creditori della sua azienda, di modo che versava in quella situazione che la dottrina e la giurisprudenza hanno definito di “illiquidità”. Sulla base di tali premesse "e tenuto conto del fatto che la condotta omissiva del contribuente in tanto può essere sanzionata in quanto si versi in una ipotesi di dolo, seppur generico", il Giudice ha ritenuto che "nel caso di specie non può che emettersi sentenza di assoluzione per carenza dell'elemento psicologico del reato….. il processo penale a differenza di quello tributario, impone di valutare e di provare la volontarietà dell'omissione (nel senso richiesto dalla norma violata, di tal che deve risultare che l'agente si è rappresentato, e ha voluto l'omissione del versamento nel termine richiesto), volontarietà che nel caso di specie non sussiste a causa della crisi finanziaria in cui si era venuto a trovare (l'imputato) in conseguenza, anche, delle condotte di soggetti terzi inadempienti nei suoi confronti”. L’orientamento è stato successivamente confermato dallo stesso Tribunale di Firenze con la sentenza del 10 agosto 2012. A medesime conclusioni sono giunti: il Tribunale di Venezia (sentenza n. 1573 del 5 gennaio 2013), il Tribunale di Trento (sentenza n. 908 del 12 dicembre 2012); il G.I.P. presso il Tribunale di Milano (sentenze del 19 settembre 2012 e 7 gennaio 2013), il Tribunale di Milano in composizione monocratica (sentenze del 26 febbraio 2013 e 22 maggio 2013) ed infine il Tribunale di Novara con sentenza del 20 marzo 2013. Nell’ambito della seconda si è impegnato il Tribunale di Milano con la sentenza (già citata) del 22 maggio 2013: il Giudice, nel motivare l’assoluzione dall’accusa di omesso 4 versamento dell’IVA dell’amministratore entrato in carica cinque mesi prima del 27 dicembre (termine ultimo per il versamento), considerato che si tratta di fattispecie che “si realizza progressivamente, presupponendo l’accantonamento degli importi dovuti per l’IVA”, ha valorizzato la circostanza che “quando assunse la carica di legale rappresentante del consorzio, [l’imputato] non aveva la disponibilità finanziaria per adempiere al versamento dell’obbligo tributario e non era in grado di reperirlo con gli ordinari strumenti di finanziamento”. Nello stesso senso ma con un esplicito riferimento all’esimente della forza maggiore quale causa dell’interruzione del nesso di causalità, si era già espresso il Tribunale lombardo con la sentenza del 28 aprile 2011. Il Tribunale meneghino, con sentenza dell’11 giugno 2013, ha affrontato anche il tema dell’autore mediato ex art. 48 c.p., assolvendo l’amministratore subentrante, che aveva assunto la carica in prossimità della scadenze tributarie e non vi aveva potuto far fronte a causa dell’inganno perpetrato dal predecessore sull’esistenza di un ingente debito fiscale7. Va da sé che in questa come in tutte le precedenti ipotesi di successione dei vertici gestori della società, del reato risponderà l’amministratore in carica nel periodo di competenza degli accantonamenti mensili o trimestrali; a nulla rileva che il delitto si consumi in epoca successiva alla dismissione della carica: il dato è meramente formale perché ciò che conta è il pregresso perfezionamento del contributo dotato di concreta efficienza causale rispetto all’omissione erariale. 7 Sull’attribuzione di responsabilità ex art. 48 c.p. cfr. anche Cass., sez. III, 9 aprile 2013, n. 39082, in Diritto e Giustizia on line del 24 settembre 2013. 5 La Corte di cassazione, sezione III penale, con sentenza n. 12268 del 19 febbraio 2013 (depositata il 15 marzo 2013) ha infatti affermato che “le somme incassate a titolo di IVA sono destinate ad essere versate all'erario e non sono nella libera disponibilità del contribuente che dovrebbe, invece, accantonarle se non provvede al versamento periodico mensile o trimestrale e da tale incombenza non può ritenersi estraneo, in caso di successione tra amministratori di una società, colui che la rappresentava nel periodo antecedente alla scadenza del termine per il versamento, poiché la sua condotta potrebbe aver fornito un contributo causale alla commissione del fatto, creando materialmente i presupposti per il successivo omesso versamento”. Sulla terza ipotesi si è cimentato il Tribunale di Roma con le sentenze del 7 e 12 maggio 2013, nelle quali - pur non pervenendo all’assoluzione - il Giudice ha evidenziato come l’esistenza di una grave crisi finanziaria possa delinearsi come causa di forza maggiore a condizione che l’evento (omissione del pagamento delle imposte) sia completamente svincolato dalla condotta e dalla colpa dell’agente: nel senso che, se l’accadimento, per quanto eccezionale, poteva essere in concreto previsto ed evitato, si è fuori dall’ambito di operatività dell’esimente ex art. 45 c.p. (nella fattispecie, secondo il Giudice, la crisi dipendeva da operazioni commerciali e scelte gestionali avventate e imprudenti, fermamente volute dall’imputato e denotanti quanto meno l’accettazione del rischio del verificarsi dell’evento omissivo addebitatogli)8. 8 Alla conclusione il Giudice perviene anche valorizzando un particolare aspetto del meccanismo di riscossione dell’IVA, evidenziato anche in dottrina (v. G.L. SOANA, I reati tributari, 2013, pag. 325), secondo il quale il soggetto IVA, chiamato a versare l’imposta all’erario, riceve materialmente dal terzo, cessionario del bene o committente del servizio, la somma che dovrà essere versata, sicché non può mai invocare a titolo di 6 Ancorata all’istituto della forza maggiore, pur se non connotata dal requisito dell’assoluta imprevedibilità, è da registrare la sentenza n. 105 del 7 gennaio 2014 del Tribunale di Roma (sez. VI penale). Assolvendo l’imprenditore, il Giudice capitolino ha valorizzato un principio interpretativo che trova riscontro nelle sentenze della Suprema Corte a sezioni unite n. 37424/13 e n. 37425/13 in materia di irretroattività dei delitti di omesso versamento delle ritenute d’acconto (relative all’anno 2004) e dell’IVA (per l’anno 2005). L’esimente sarebbe applicabile anche ai reati dichiarativi e a consumazione istantanea qualora l’imprenditore riuscisse a dimostrare: a) l’esistenza di contingenti ed oggettive difficoltà economiche “esimente” l’impossibilità di versare somme di cui non avrebbe dovuto disporre liberamente, ma che si sarebbe dovuto limitare ad accantonare in vista del successivo versamento. In altre parole, si è rilevato (A. VALSECCHI, Omesso versamento delle ritenute certificate e dell’IVA - artt. 10 bis e 10 ter, d. lgs. 74/00 - per insolvenza del contribuente, in www.penalecontemporaneo.it) che “se in materia di omesso versamento delle ritenute, il Giudice deve valutare la condotta del contribuente anche tenendo conto che questi deve contare solo sulle proprie risorse per adempiere all’obbligazione tributaria, nel caso dell’omesso versamento dell’IVA, invece, pesa negativamente, nel giudizio sul contribuente inadempiente, l’aver questi speso il denaro ricevuto dal terzo, cessionario o committente, a titolo di imposta sul valore aggiunto. Ciò naturalmente vale solo nei casi in cui il terzo abbia effettivamente onorato il proprio debito nei confronti del fornitore del bene o del servizio, soggetto passivo IVA; al contrario, in caso di inadempimento del terzo, il soggetto IVA può in taluni casi trovarsi a dover versare all’erario IVA su operazioni effettuate, ma mai pagate, circostanza di cui il Giudice dovrebbe tener conto al momento di valutare la rimproverabilità dell’omissione del versamento dovuta a insolvenza”. In dette ipotesi, l’omissione sarebbe priva di rilevanza penale per G. L. SOANA, Crisi di liquidità del contribuente e omesso versamento di ritenute certificate G e di IVA, cit., pag. 12. 7 e finanziarie intervenute nel periodo nel quale si è manifestato l’illecito fiscale (crisi congiunturale, carenza di ordinativi ecc.); b) la riconducibilità dell’omesso versamento a fattori estranei alle sue scelte quali il diniego della concessione di un fido o della rateizzazione del debito tributario. Non sono certo mancate sentenze di merito di segno contrario. Il Tribunale di La Spezia (sent. n. 1121 del 20 dicembre 2011), ad esempio, ha escluso il valore scriminante dell’illiquidità qualora l’agente non versi l’imposta allo Stato preferendo i crediti dei lavoratori. Tale scelta, autonoma e volontaria dell’imprenditore, per quanto nobile sotto il profilo morale non giustifica l’omissione tributaria. Stupisce che gli orientamenti giustificazionisti non abbiano colto le implicazioni con il perimetro applicativo del reato di bancarotta semplice ex art. 217 primo comma n. 4. Ad eccezione dei (rari) casi di transitoria tensione finanziaria, è fuori di dubbio che se l’amministratore perviene alla scadenza fiscale senza adempiervi, prolungando oltremodo l’agonia dell’azienda, l’omissione di una tempestiva richiesta di fallimento comprometta ulteriormente, e spesso definitivamente, le garanzie a tutela del ceto creditorio, in primis l’ Erario. Se così è, l’ostinato esercizio dell’impresa - venuti irrimediabilmente meno i presupposti di solvibilità - non solo non può escludere il nesso di causalità o svuotare di contenuti l’elemento soggettivo del reato tributario ma finisce anche con l’integrare il reato concorsuale. 8 2. Le più recenti e importanti aperture della Suprema Corte di Cassazione A fronte del disomogeneo orientamento assunto dalla giurisprudenza di merito, era indifferibile l’intervento della Suprema Corte. La prima occasione (come si è detto) si è espressa con le sentenze delle Sezioni Unite n. 37424/2013 e n. 37425/2013. Successivamente è intervenuta la pronuncia n. 2614/2014 della terza sezione penale, depositata il 21 gennaio 2014 (in Diritto e Giustizia on line del 22 gennaio 2014). Gli ermellini hanno affermato, richiamando sul punto le Sezioni Unite (n. 37424/13), che per la commissione del reato basta la coscienza e la volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato e che la prova del dolo è insita, in genere, nella semplice presentazione della dichiarazione annuale. La pronuncia però riconosce che indicazioni difensive specifiche, concrete e documentate, atte a ravvisare un’incolpevole e reale impossibilità ad adempiere, possano escludere il dolo e dunque il reato. La terza sezione, che è quella specializzata in materia, ha affinato ulteriormente la questione attraverso la sentenza n. 5467/2014 depositata il 4 febbraio 2014 (in Diritto e Giustizia on line del 5 febbraio 2014), pervenendo alla conclusione che, se la crisi di liquidità non può escludere aprioristicamente il dolo, per procedere in tal senso è necessaria “la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni (compreso il ricorso al credito bancario), anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una 9 improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili”. Non va dimenticato che il profilo soggettivo deve essere connotato anche dalla fondata certezza della transitorietà della crisi finanziaria, pena commissione dei reati di ricorso abusivo al credito e - per le ragioni anzidette - di bancarotta semplice. Non è concretamente configurabile un fattore di esclusione del profilo psicologico del reato tributario o di interruzione del nesso di causalità che al contempo comprometta i legittimi interessi della massa creditoria. In tema di esimente della forza maggiore, degna di nota è la pronuncia n. 5905/14 depositata il 7 febbraio 2014 (in Diritto e Giustizia on line del 10 febbraio 2014). La terza sezione l’ha riconosciuta quale causa di interruzione del nesso causale a condizione che la crisi finanziaria sia “imprevista ed imprevedibile …., e non correlata in alcun modo alla condotta gestionale dell’imprenditore”. Si verserà pertanto nell’ambito dell’esimente ove la crisi di liquidità sia determinata dall’attesa (vana) di un pagamento da parte di un cliente prestigioso colpito da un imprevedibile crack, da finanziamenti pubblici bloccati all’ultimo momento a causa di un’indagine penale su altri soggetti oppure dall’aver subito un furto o una rapina. Altro aspetto rilevante della pronuncia attiene all’onere probatorio (rectius di allegazione), ritenuto sempre a carico dell’imputato non essendo possibile dimostrare - se non con probatio diabolica - un elemento negativo se non è convertibile in specifici elementi positivi da cui desumerlo. 10 Sempre la terza sezione ma in termini di aperta contraddizione con la precedente decisione, con la pronuncia la n. 10813/2014 depositata il 6 marzo 2014 (in Diritto e Giustizia on line del 7 marzo 2014) ha applicato l’esimente della forza maggiore anche nel caso di crisi di liquidità non imprevedibile: “il ricorrente [n.d.r.: in crisi di liquidità] che voglia giovarsi in concreto di tale esimente evidentemente riconducibile alla forza maggiore, dovrà dare prova che non gli sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili”. La sentenza rileva anche sotto un altro aspetto di viva attualità pratica: la scelta imprenditoriale di preferire dipendenti e fornitori all’Erario non prova di per sé l’illiquidità e la crisi, di talché non può essere dedotta quale giustificazione dell’inadempimento tributario penalmente rilevante. Lo sforzo esegetico della Corte di cassazione potrebbe aprire interessanti prospettive anche sul versante - del tutto affine e assimilabile - dell’omesso versamento di ritenute previdenziali per la quota a carico dei dipendenti, mettendo in discussione il consolidato principio enucleato nella pronuncia a Sezioni Unite (n. 27641/2003), secondo cui lo stato di insolvenza del datore di lavoro può avere rilevanza solo laddove sia stato tale da impedire il pagamento ai dipendenti delle correlative retribuzioni, mentre alcuna rilevanza esprime laddove l’imprenditore abbia comunque pagato le retribuzioni ed omesso il solo versamento delle ritenute previdenziali. Per concludere, in considerazione dell’importanza dei temi sul tappeto e di una tutt’altro che chiara ed univoca 11 interpretazione giurisprudenziale, è auspicabile che la suprema Corte in ragione della funzione nomofilattica che le è propria rimetta presto le questioni alle Sezioni Unite. 3. Prospettive e nuovi dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 10ter D. Lgs. 74/2000. In attesa della (soltanto preannunciata nell’ambito dei decreti delegati della riforma fiscale 9 ) riduzione delle fattispecie penalmente rilevanti, che potrebbe riguardare anche i reati ex art. 10-bis e 10-ter D. Lgs. 74/2000, quest’ultimo è sospettato di incostituzionalità per quanto concerne le violazioni antecedenti alla riforma operata con la legge 148/2011. I Tribunali di Bologna (ordinanza del 13 giugno 2013) e Bergamo (ordinanza n. 274 del 17 settembre 2013) hanno sollevato una questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost., relativamente al delitto di omesso versamento IVA ove l’importo dell’inadempimento sia inferiore ai 103.291 euro, soglia di punibilità prevista prima della novella del 2011 per il reato di dichiarazione infedele. Si dubita della costituzionalità della norma perché se il contribuente, anziché dichiarare e non versare l'IVA, avesse presentato una dichiarazione infedele con un’imposta evasa (IVA) superiore a 50.000 euro ma inferiore a 103.291 euro sarebbe stato esente da censura penale. In altri termini, si verrebbe a creare disparità fra chi in buona fede ha assolto l’obbligo dichiarativo ma ha omesso di versare l’IVA (poiché ad esempio in crisi di liquidità) e chi invece ha 9 Cfr. recentissima l. 11 marzo 2014 n. 23 - in vigore dal 27 marzo 2014 di delega al governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita. 12 callidamente presentato una dichiarazione dei redditi infedele ma sotto soglia. Avvocato Luigi Gianzi 13