UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA DIP.TO TERRITORIO E SISTEMI AGRO-FORESTALI Pubblicazione del Corso di Cultura in Ecologia ATTI DEL XXXVIII CORSO Corso di Cultura in Ecologia Monitoraggio ambientale: metodologie ed applicazioni A cura di Tommaso Anfodillo e Vinicio Carraro Centro Studi per l'Ambiente Alpino S. Vito di Cadore, 3-6 settembre 2001 INDICE Premessa.......................................................................................................................... 1 Marco Ferretti Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks......................................................................................... 3 A. Benassi , G .Marson, F. Liguori, K. Lorenzet, P.Tieppo Progetto di riqualificazione e ottimizzazione delle reti di monitoraggio della qualita’ dell’aria del veneto......................................................................................................... 55 Serena Fonda-Umani I sistemi di monitoraggio in aree marine costiere e relative problematiche ................ 73 Pier Luigi Nimis Il biomonitoraggio della “qualità dell’aria” tramite licheni.......................................... 91 Giacomo Gerosa, Antonio Ballarin-Denti Techniques of ozone monitoring in a mountain forest region: passive and continuous sampling, vertical and canopy profiles........................................................................ 103 Anne Thimonier, Maria Schmitt, Paolo Cherubini, Norbert Kräuchi Monitoring the Swiss forest: building a research platform ........................................ 121 Riccardo Valentini Metodologie di studio della produttività primaria di ecosistemi forestali ................. 133 Carlo Urbinati, Marco Carrer L'analisi degli anelli legnosi come strumento per il monitoraggio climatico ............. 143 Wilfried Haeberli Glacier and Permafrost Monitoring in Cold Mountain Areas as part of global climaterelated observation ...................................................................................................... 159 Roberto Caracciolo Sistema nazionale di monitoraggio e controllo in campo ambientale ........................ 169 Vinicio Carraro, Tommaso Anfodillo, Sergio Rossi Visita ai siti sperimentali di Col de la Roa e Cinque Torri………………….…………..197 PREMESSA La necessità di valutare i cambiamenti ambientali in atto (come, ad esempio, l’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera o le variazioni di temperatura della troposfera e degli oceani) sta mettendo sempre più in evidenza l’importanza di avere a disposizione rilevamenti di lungo periodo che possano consentire l’identificazione di una variabilità temporale. Ciò ha determinato un notevole incremento di siti di monitoraggio dei più diversi caratteri dell’ambiente, mirati a seguirne nel tempo le dinamiche e, possibilmente, a identificarne le cause di variabilità. Con questo Corso si vuole cercare di riassumere le più significative esperienze di monitoraggio e di definirne le caratteristiche, le potenzialità ed i limiti con un approccio interdisciplinare. Verranno quindi discusse le esperienze maturate su diverse attività di monitoraggio, sia in ambiente terrestre (con attenzione particolare all'area alpina), sia in ecosistemi marini. Il Corso si apre con una relazione ricchissima di riferimenti che presenta in modo completo lo “stato dell’arte” nel settore e pone in rilievo le problematiche più importanti delle attività di monitoraggio: dalla certificazione del dato, alla gestione delle reti di rilevamento, alla loro integrazione (Marco Ferretti). A seguire, la relazione di Alessandro Benassi in cui viene affrontato, in modo analitico e spiccatamente operativo, la problematica della riqualificazione dei siti di rilevamento della qualità dell’aria esistenti, ai fini dell’adeguamento agli standard richiesti dalle normative europee. L’interdisciplinarietà, che caratterizza il Corso, si manifesta molto chiaramente con la relazione di Serena Fonda-Umani che tratta delle caratteristiche dei sistemi di monitoraggio in ambiente marino, specificandone le peculiarità ed evidenziando le differenze rispetto a quelli impiegati in ecosistemi terrestri. La relazione di Pier Luigi Nimis e quella di Carlo Urbinati rappresentano due esempi di come il controllo continuo dei fattori dell’ambiente possa essere condotto utilizzando non solo strumentazioni tecnologicamente sofisticate, ma anche organismi viventi che, rispondendo alle variazioni ambientali, sono in grado di “registrare” tali variazioni o rendere testimonianza di un cambiamento. Le informazioni che si possono trarre dagli organismi viventi sulla variabilità pregressa dell’ambiente sono importantissime poiché, di frequente, è possibile valutare cambiamenti avvenuti in periodi piuttosto lunghi (secoli, millenni). Ogni serie temporale ha in sé delle componenti di variazione che dipendono da numerosi fattori agenti in modo sinergico sulla variabile stessa. Per questo è necessario procedere all’analisi delle serie di dati con strumenti anche sofisticati che consentano di estrarre il “segnale” che interessa. Delle metodologie di analisi delle serie temporali tratta la relazione di Andrea Pitacco. Giacomo Gerosa presenta, invece, la possibilità operativa di realizzare attività di monitoraggio dell’ozono troposferico in zone remote (come sono tipicamente quelle forestali) utilizzando campionatori passivi; vengono descritte le caratteristiche, definiti i principi di funzionamento e valutata l’affidabilità in comparazione con analizzatori in continuo. Anne Thimonier presenta l’esperienza che in Svizzera si è svolta relativamente al monitoraggio di lungo termine in ecosistemi forestali. Queste attività, iniziate per indagare le ragioni di fenomeni specifici come il declino delle foreste, si sono poi ampliate ad uno spettro di analisi più ampio, che riguarda tutte le relazioni uomoforesta. Delle possibilità, sviluppate solo di recente, di analizzare la funzionalità degli ecosistemi forestali tratta l’intervento di Riccardo Valentini. Gli ecosistemi forestali scambiano CO2 con l’atmosfera e contribuiscono a determinarne la concentrazione. La quantificazione di tale contributo, in relazione alle altre fonti/sorgenti viene valutato analiticamente alla luce delle più recenti ricerche condotte su tale argomento Il contributo di Roberto Caracciolo inquadra l’attività, dell’ANPA, a cui (in collaborazione con le agenzie regionali e provinciali) sono stati affidati per legge il monitoraggio e il controllo ambientale nel nostro paese. A chiudere il Corso sarà l’intervento di Wilfried Haeberli, la cui esperienza sul monitoraggio della dinamica dei ghiacciai si è maturata con l’osservazione di ghiacciai di tutto il pianeta. La valutazione delle dinamiche di tali sistemi ha contribuito in modo significativo alla quantificazione dei cambiamenti climatici pregressi ed in atto. L'organizzazione del Corso ha impegnato noi ed altri colleghi del Dipartimento. Vorremmo perciò porgere i nostri più sentiti ringraziamenti: a Franco Viola per la fiducia accordataci e per l’aiuto nell’organizzazione del Corso; a Ileana Dainese, Ilaria Giraldin e Luisa Visentin e per il fondamentale supporto di segreteria; a Roberto Menardi, Fausto Fontanella e Carmen Filoso, del Centro Studi per l'Ambiente Alpino di S. Vito di Cadore per il sempre essenziale supporto tecnico e logistico e per la passione che li anima; al Comune di S. Vito di Cadore, alla Provincia di Belluno, alla Comunità Montana Valle del Boite che, con il loro contributo economico, hanno consentito la realizzazione di questo Corso. Le stazioni di monitoraggio, oggetto delle visite tecniche e descritte nell’allegato, sono state realizzare grazie al contributo del progetto Interreg II – AVEN221015 e al progetto MURST IMPAFOR. Padova, 28 agosto 2001 Tommaso Anfodillo Vinicio Carraro Monitoraggio ambientale: metodologie ed applicazioni a cura di T. ANFODILLO & V. CARRARO Atti del XXXVIII Corso di Cultura in Ecologia, 2001: 3-54 ECOSYSTEM MONITORING. FROM THE INTEGRATION BETWEEN MEASUREMENTS TO THE INTEGRATION BETWEEN NETWORKS1 Marco FERRETTI LINNÆA ambiente Srl - Firenze 4 Marco Ferretti 1. INTRODUCTION2 The detection of environmental change arising from large-scale long-term monitoring programmes has been of proven value in warning politicians and the public about dangers to the environment and in informing policy responses. Examples of fruitful co-operation in this field are the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) and the Critical Loads approach (Innes, 1998; Posch et al., 1998; Bull et al., submitted). As a result there is now increased awareness, particularly amongst users of environmental data and information, of the role that co-ordinated measurements across large-scale networks may have in detecting, interpreting, reporting and forecasting global change (e.g. Bricker and Ruggiero, 1998, Urquahrt et al., 1998). The benefits of long-term integrated monitoring at permanent sites have been well documented (Bruns et al 1991; Risser, 1991; Heal, 1991; UNESCO, 1992; Burt, 1994; Summers and Tonneson, 1998; Pryor et al, 1998; Waide et al., 1998; Beard et al., 1999; Ruggiero, 1999). These sites can be used to: (1) establish reliable estimates of baseline values for significant environmental variables and indicators; (2) provide early warning of any long-term changes in these variables; and (3) develop generic models of predictive value as a basis for environmental management and use of natural resources. This approach is also becoming increasingly important in Europe where the monitoring, preservation and enhancement of the environment is more and more based on an ecosystem approach, as demonstrated in the approaches being adopted to meeting the requirements of the Convention on Biological Diversity (United Nations 1995) and the European Commission’s Water Framework Directive (COM(97)49). Long-term approaches to integrated monitoring are of particular interest for several different reasons. When trend detection is a central issue as in global change, a long-term view is important, since many ecological processes operate at a temporal scale broader than is typically considered by traditional ecological research (Magnuson et al., 1991). Long-term may have different meanings, according to the resource being considered and the phenomenon under investigation (Innes, 1998). However, it can be defined as the time scale which enables signals of environmental change to be distinguished from background noise. The biggest benefit of a long-term perspective is that it allows an improved interpretation of monitoring data (Innes, 1998). This is especially true when there are high chances for short-term fluctuations and changes (e.g. Magnuson et al., 1991; Ferretti et al., 1999) as is the case in many ecosystems. In addition, transient phenomena, rare events and subtle processes can be missed by short-term studies (Pickett, 1991). In this paper we consider "long-term" to cover sites where there is a commitment to maintain scientific and monitoring programmes beyond the usual length of a scientific research programme or funding cycle of 3 to 5 years (e.g. Pickett, 1991). More precisely, the benefits of long-term ecological data are obvious when data series cover 20 years or more. For example, trends in ecosystem response to various kind of stressors may be cyclical, directional, episodic or catastrophic (Heal, 1991). According to the nature of the stress and the indicator considered, responses to external disturbances may be delayed (e.g. slow turnover time) or take place through a series of related short-term events (Heal, 1991), the final results being obvious only after several years, i. e. in the long-term (Likens, 1989). In this context, the relationship between research and monitoring is an important aspect because to understand processes at ecosystem level, research needs long-term monitoring data. Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 5 The integrated approach is also an important feature of an ecosystem monitoring programme. In this paper we define integrated monitoring as "the systematic, consistent and simultaneous measurement of physical, chemical, biological and socioeconomic variables of different ecosystem compartments, over time and at specified locations". Societal attributes are incorporated in this definition since they can be both important factors in determining changes (e.g. Rapport et al., 1998) and important impact variables. Monitoring programmes that observe a limited number of parameters and/or individual compartments of the ecosystem may establish states and past trends of the targeted entity, but they are of limited value for understanding processes, modelling, forecasting change and developing scenarios. The integrated monitoring approach fits logically within the DPSIR (Drivers:Pressures:State:Impacts:Response) framework currently being used by the European Environment Agency to report on the European Environment (EEA 1999). By monitoring a wide range of pressure, state and impact variables at long-term sites it is possible to gain an understanding of how ecosystems function and respond to change. Coupling monitoring with modelling would make it possible to predict what will happen in the future and evaluate the success of response (mitigative) strategies (Bricker and Ruggiero, 1998; Forsius et al., 2000). The aim of this paper is to consider ecosystem monitoring in the light of the increasing demand for coordination and integration between existing initiatives. While the discussion is of interest for the monitoring of natural and seminatural ecosystems, the focus will be on long-term integrated monitoring and on forest ecosystems. This is because two order of reasons: first, long-term integrated monitoring is a good example of how ecosystem monitoring is a complex matter; second forests can be used purposefully to explain background, reasons, pros and cons of ecosystem monitoring at a variety of temporal and spatial scales. Problems encountered in long-term forest ecosystem monitoring offer a good basis for debating and clarify many of the questions arising when addressing the concept of integration and how such a concept challenges scientists in various field, from ecology to environmetrics. In this respect, strategies towards integration between existing monitoring systems need to consider user requirements and practical constraints arising from long-term objectives. Although the discussion it will concentrate on issues pertaining to European scale data requirements, it will also refer to requirements at smaller (national, local) and larger (global) scales. The paper will start with some basic issues about monitoring (section 2), including definitions, design and planning, and main initiatives in ecosystem monitoring in Europe (section 3). Section 4 and 5 will be devoted to the integration issue. 2. ABOUT MONITORING1 2.1 DEFINITIONS There are several definitions of monitoring and such a term has been applied to a variety of activities aimed at collecting environmental data. Monitoring studies are defined as “systematic observations of parameters related to a specific problem, designed to provide information on the characteristics of the problem and their changes with time” (SCEP, 1970, quoted by Spellerberg, 1994 p. 18), as “a process of detecting whether change has occurred, establishing its direction and measuring its 1 after Ferretti, 1997, Ferretti et al., 2001 and Ferretti and Ehrardt, 2001 Marco Ferretti 6 extent" (Ferris-Kaan and Patterson, 1992, p. 1), or ".. tracking a particular environmental entity through time, observing its condition, and the change of its condition, in response to a well-defined stimulus" (Stevens, 1994, p. 1). More recently, Elzinga et al., (2001) stress the role of monitoring as a functional element within the “adaptive management” of natural resources. They define monitoring as “the collection and analysis of repeated observations or measurements to evaluate changes in condition and progress toward meeting a management objective” (Elzinga et al., p. 2). Accordingly, “monitoring is only initiated if opportunities for change in management exists” (Elzinga et al., p. 2). In this context, monitoring is firmly linked to resources management and is conceptually distinguished from other activities like inventories, surveillance, measuring changes, baseline studies and long-term studies. Although all the above definitions differ, they all emphasise the time dimension of (bio)monitoring, i.e. the difference between an assessment carried out at a given time (metaphorized by “a photograph”, Wittig, 1993) and a series of assessments over time (“a movie”, Wittig, 1993). Thus, monitoring design should ensure soundness and time consistency of data and should permit to separate random fluctuations (“noise”) from real directional trends (“signals”). Implicit to the above definitions is also the systematic and organized nature of monitoring studies, that usually involve many steps, most of which are subject to errors (e.g. Wagner, 1995). 2.2 DESIGN AND PLANNING The design process of a monitoring programme involves several steps, most of which are reported in Fig. 1 and Table 1 and 2. -Conjecture -Legal mandate -Research objectives -Previous studies -Intuition General assessment/monitoring area and theme -Literature -Conceptual model Specific problem WHAT: choice of variables/indicators HOW: measurement methods Sampling and field and laboratory work Data analysis -Descriptive statistics -Test of hypothesis -Multivariate analysis -Modelling WHERE / WHEN: sampling design Conclusions Unusable data Investigation process Feedback FIGURE 1. Relationships among the phases of an assessment and monitoring programme (modified after Legendre and Legendre, 1998). Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 7 TABLE 1. Main design issues, related areas of concern, example of typical themes and benefits arising after full consideration (based on Cline and Burkman, 1989; Markert, 1993; Wagner, 1995). Example for biomonitoring studies (after Ferretti and Ehrardt, 2001) Benefits related to full consideration of the design issue Design issue Areas of concern Examples of typical themes Definition of the scientific problem Identify the nature of the study Clarify the objective Identify the target population Identify the domain of the study Select suited indicator/indices Understanding data/information needed Clear and concise statement of the objectives Characteristics of the object of the statistical inference Ecological, geographical and temporal coverage of the study Unambiguous selection of indicator and indices Assessment-monitoring > status-changes; cause-effect; BACI Identification of spatial pattern of ozone by plants Ozone symptoms on individual plants, sites or entire regions Individuals-ecosystems; sites-regions; 1 week - 10 years Ozone > Nicotiana tabacum Bel W3 > leaf injury Sampling design Definition of the survey form Definition of sampling strategy Locational methods Sampling density Sampling tactic Fashion of the survey through time Inferential process Distribution of the sampling units over the study area Number of sampling units over the study area Selection of subsamples within the sampling unit Temporary plots; permanent plots; partial replacement Probabilistic; non-probabilistic (model-based) Random, systematic, nested; multistage; stratified;…. 1….n sampling unit every 1 km2 4 clusters, 3 plants each; N-E-S-W directions; 25 m from centre of unit Allows formal definition of nature, itheration, selection and number of (sub) samples Quality Assurance Prepare Manuals Identify MQOs and DQLs Adopt Manuals Personnel training/certification Intercalibration/ring tests Field checks Timing of data/samples collection Standardization of methods Formal expression of data consistency and reproducibility Obtain agreement on the SOPs Personnel skill Data consistency/ reproducibility Data consistency/ reproducibility Timely sampling/Consistency between subsequent sampling Guidelines on ozone injury assessment; scoring details; standards 90% of crews' scores must be +/ 1 class of the reference score Programme managers formally sign the manuals Repeated exercises and audits Check whether the crews' scores are within the DQLs Check whether the visited crews' scores within the DQLs Injury to be scored from May to October; every Monday; +/- 4 hours Allows standardized methods with known performances Field & lab work (when needed) Consider the practical constraints Transport and conservation of samples Sample preparation (physically) Sample preparation (chemically) Instrumental measurements Field accessibility, permissions, …. Correct storage and transmission of samples Washing, drying, homogenization Ashing, decomposition, enrichment speciation Determination of chemical/physical properties of the samples Formal permission to be obtained for each sampling unit Samples to be stored at 3°C for max. 24 hours Leaves to be washed with demineralized water and dried at 65°C Decomposition to be carried out with nitric acid (0.1 M) for 24 hours Trace metals must be determined with AAS (specify conditions) Data management/analysis/reporting Data base structure Data storage Data completeness Data plausibility Data accessibility Distribution functions Statistical descriptors Uncertainties Accuracy and precision Data reliability Advanced statistical analysis Mapping Selection of adequate system and structure Archives the data in the database Actual records vs. expected records Occurrence of unexpected values Rules to access the data Verify normal distribution Select the use the most suited descriptors Estimate of both sampling and non-sampling errors Explicate the degree of reproducibility of the data Explicate the performance of sample sizes Select suitable statistical analysis Select the correct algorithm and mapping system Relational data bases management systems (RDBMS) Data entry and/or download from data loggers No. of leaf injury scores: 8; Expected: 24; Completeness: 30% Injury score:100; accepted range: 0-10; explain Password, usercode Skewness, kurtosis Mean-median-mode-sum; weighted mean; moving averages;….. Standard error: 25% of the mean (p:0.05); observer bias: < 15 % % of data within the accepted DQLs 12 plants per site result in a 30% error relative to the mean Multiple regression; factor analysis; PCA; TwinSpan;….. Inverse distance; kriging;… Allows consideration of users needs and clear questions for the designers Ensure data reproducibility and consistency Ensure safe procedures and logistics Allows proper data management, safe procedures for accessibility and correct data analysis and reporting TABLE 2. Attributes of success for a long-term monitoring programme. Many are also relevant to biomonitoring (after Stohlgren et al., 1995). 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 Secure long-term funding Develop flexible goals Refine objectives Pay adequate attention to information management Take an experimental approach to sampling design Obtain peer-review and statistical review of research proposal and publications Avoid bias in selection of long-term plots location Insure adequate spatial replication Insure adequate temporal replication Synthetize retrospective, experimental and related studies Blend theorethical and empirical models with the means to validate both Obtain periodic research program evaluation Integrate and synthetize with larger and smaller scale research, inventory and monitoring programs Develop an extensive outreach program Clearly, they are all connected with each other, and the designer has to consider them as a whole. Marco Ferretti 8 To be properly addressed, the design process requires some inputs, starting with the recognition of generic issues, such as the existence of a priori defined objectives (e.g., legal mandate in compliance with monitoring, sensu Spellerberg, 1994, p.7), the nature of the problem to be examined, its determinants, their pathways and impacts (Ferretti, 1997; Hunsaker, 1993; Innes, 1995, 1998; Markert, 1993; Olsen et al., 1999; Parr et al., 2000, 2001; Stevens, 1994; Stohlgren et al., 1995). Practical aspects like available expertise and resources are also relevant (e.g. Wolterbeek and Bode, 1995). It is important to recognize the design issues underlying the implementation of the monitoring programme and this is even more important when thinking from the perspective of integration between programmes. 3. ECOSYSTEM MONITORING IN EUROPE: MAIN INITIATIVES2 Assessment and monitoring of terrestrial ecosystems in Europe has a long history. For example, an early attempt at monitoring can be traced back to the 18th century, when a forest census was undertaken in Tuscany (central Italy) to ascertain the extent of wood resources for different purposes (e.g. Agnoletti and Innocenti, 1999). In Switzerland, yield plots for forests were installed in 1888 (Köhl et al., 1994) and internationally coordinated observations on glaciers were started in 1894 (http://www.geo.unish.ch/wgms/). In recent times, monitoring initiatives have been mostly based on emerging environmental issues (e.g. air pollution, climate change, biodiversity). Typically these initiatives have occurred in or have been promoted by developed economies where resources have been available to fund monitoring efforts. For these reasons, Europe continues to be the location of many monitoring programmes. The preparation of a complete list of current European research and monitoring programmes and their key characteristics (e.g. target environmental entity, design features and measurements) is a difficult task in itself and goes beyond the aim of this paper. For example, Fritz (1991) reported more than 80 international level initiatives and many others are carried out at national and sub-national level (e.g. Simpson and Parr, 2000; Ferretti, 1997). In addition, attempts to review monitoring initiatives are already available (e.g. Fritz, 1991; Bruns et al., 1991; Dyer et al., 1988; Hornung et al., 1990), an inventory of existing projects was undertaken under ENRICH, the European Network for Research in global CHange (see http://www.enrich.hi.is/council/annex_iv.html)_, and a list of Terrestrial Ecosystem Monitoring Sites (TEMS) is currently being updated by the Global Terrestrial Observing System (GTOS 1998). Rather, by concentrating on major international initiatives (Table 3), we want to show (i) the extent of terrestrial monitoring in Europe, (ii) the diversity of different programmes and (iii) the high potential that the integration of existing activity could have for supporting informed policy decisionmaking. Major monitoring programmes dealing with freshwaters and glaciers, arctic and alpine environment, forests and other natural and seminatural systems are listed below and some of their major features are summarized in Table 3. 2 after Parr et al., 2001. Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 9 TABLE 3. Synthesis of major monitoring and research initiatives in Europe with their target ecosystems, issues, geographicalcoverage and measurements. Each initiative usually has a number of sub-projects dealing with specific aspects. For acronyms please see the text. (After Parr et al., 2001). Organization and Initiative Target Ecosystem/Compartment Target Issue Target Geographical Coverage Measurements WMO - WHYCOS WHO/UNESCO/WMO/UNEP GEMSWater WGMS UN-ECE ICP-Waters EU TERI LAKE IASC FATE EU TERI ARTERI MAB-NSN ITEX US NSF CALM AMAP ICSU IGBP FAO/UNEP/UNESCO/ICSU GTOS ILTER EU and UN-ECE ICP Forests Level I and II UN-ECE ICP-IM EU TERI MAB-NSN EuroMAB Freshwater Freshwater, groundwater Glaciers Freshwater Terrestrial, freshwaters Arctic, terrestrial Arctic, terrestrial Arctic, terrestrial (tundra) Arctic, terrestrial (Permafrost) Arctic, terrestrial and freshwaters Freshwaters/oceans/atmosphere/terrestrial. Terrestrial Terrestrial, freshwaters Forests Terrestrial, freshwater Terrestrial, freshwaters Terrestrial, coastal, marine Hydrological cycle Water quality Climate, glacier variation Acidification Biodiversity Global change issues see FATE Climate Climate Pollution Hydrology, land surface processes, global change, Changes by natural of anthropogenic impacts Ecosystem dynamic, global change, pollution Pollution Pollution, acidification N-deposition, biodiversity, global change issues. Sustainability Global Global Global Europe, N. America European Europe, N. America European Europe, N. America Global Arctic environment Global Global Global Europe (N. America) Europe, N. America European Europe, N. America Water chemistry, meteo Water chemistry Physical properties, energy flux Chemical, physical, biological indicators Chemical, physical, biological indicators Active layer thickness, soil properties,.. Chemical, physical, biological indicators Meteo, plant performance Active layer, physical properties Pollutants in media Chemical, physical, biological indicators forest cover, land degradation, soil moisture,..... Chemical, physical, biological indicators Chemical, physical biological indicators Chemical, physical, biological indicators Chemical, physical, biological indicators 3.1 FRESHWATERS AND GLACIERS High pressure on water resources is one of today’s most important environmental issues. Increased demand for an adequate quality and quantity of water, chemical and biological pollution and acidification are typical reasons making the assessment and monitoring of water resources important. There are several international initiatives in this field and the most important are briefly summarized here. The World Meteorological Organization - World Hydrological Cycle Observing System (WMO-WHYCOS) was launched in 1993 by the WMO in cooperation with the World Bank, in order to (i) strengthen the technical and institutional capacities of hydrological services to capture and process hydrological data, (ii) establish a global network of national hydrological observatories and (iii) promote and facilitate the dissemination and use of water-related information (http://www.wmo.ch/web/homs/whycos.html). WHYCOS is based on a network of stations throughout the globe which collect data on chemical and physical characteristics of water and meteorological data. The United Nations Environment Programme - Global Environment Monitoring System - Freshwater Quality Programme (UNEP-GEMS Water), launched in 1974 within the GEMS to address the understanding of water quality issues throughout the world. It involves several UN agencies, more than 70 countries (including most European countries) with about 612 monitoring stations selected among those pertaining to the national networks. Many physical and chemical parameters are measured in order to cope with the objective of the programme (http://cs715.cciw.ca/gems/). The World Glacier Monitoring Service (WMGS), launched in 1894 to provide answers to fundamental questions about mechanisms of glacier variations and now to monitor signals of early-detection of climate change (http://www.geo.unish.ch/wgms/). The WGMS coordinates the monitoring of 60 glaciers (intensive sites), plus 800 glaciers being measured for their length. Except New Zealand, all major mountain ranges are covered, with the Alps and Scandinavia having the longest and uninterrupted series of records. 10 Marco Ferretti The United Nations Economic Commission for Europe (UN/ECE) International Cooperative Programme on Waters (ICP-Waters) established by the Executive Body of the Convention on Long Range Transboundary Air Pollution (CLRTAP) in 1985 with the aim “to assess degree and geographical extent of surface water acidification, define long-term trends and variations in aquatic chemistry and biota, and to evaluate dose-response relationships” (Skjelvåle and Ulstein, 1998). There are 26 countries contributing chemical and/or biological data. The European Union Terrestrial Ecosystem Research Initiative (TERI) - Long distance dispersal in Aquatic KEy Species (LAKE) project. Within the TERI framework of gradient studies (http://europa.eu.int/comm/research/hometeri.html), the LAKE project considers the role of migrating birds on the dispersal of aquatic plants and zooplankton and the effects of such dispersal process on wetlands biodiversity. Measurements relate to invertebrate ecology and taxonomy, aquatic ecology, molecular ecology and population dynamics. 3.2 HIGH-LATITUDE (ARCTIC) ENVIRONMENT The high-latitude (arctic) environment is the collective term for boreal, tundra and subarctic terrestrial biomes (Price and Apps, 1995). These biomes covers ca. 25% of the Earth’s land surface and are estimated to contain about 800-900 Pg of the terrestrial ecosystem's total carbon. The high-latitude environment is the subject of different initiatives because of its unique characteristics and its expected sensitivity to global change. In many cases the initiatives described below have already interlinked. The International Arctic Science Committee - Feedback and Arctic Terrestrial Ecosystems (IASC-FATE) started in 1992 and was refined in 1993 (http://elcstephen.planteco.lu.se/CIG/IASCGCTE/FATE.html). It aims to understand, quantify and predict patterns of response of arctic terrestrial and freshwater ecosystems to global change and the feedbacks from these ecosystems to the climate system. This involves questions concerning estimates of (i) surface energy and water balances, (ii) cycling and storage of carbon nutrients, (iii) trace gas fluxes and (iv) redistribution of species and ecotones. FATE has clear links with other research and monitoring initiatives like AMAP, TERI, IGBP, ITEX, LTER (see below). The TERI - Arctic-Alpine Terrestrial Ecosystem Research Initiative (ARTERI) launched within the TERI (http://www.dpc.dk/ARTERI.html) (see Section 3.1.5). ARTERI is strongly focussed on global change and its objectives are (i) to provide a forum for exchange of information and development of collaboration in European Arctic and Alpine terrestrial research, (ii) to develop a theoretical and practical framework for integration of the research efforts, (iii) to provide a focus for a European collaboration with other regional and global research, and (iv) to identify priorities and proposals for further research, integration and interpretation. ARTERI has links with FATE, ITEX and AMAP. Man-and-the-Biosphere - Northern Science Network International Tundra Experiment (MAB-NSN-ITEX), established in 1990, aims to monitor the performance of plant species and communities on a circumpolar basis in undisturbed habitats with Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 11 and without environmental manipulations (http://www.systbot .gu.se/reserach/itex.html). Currently, there are 20 ITEX sites operated by parties from 13 countries. In Europe: Denmark (Greenland), Finland, Iceland, Norway, Sweden and Switzerland all host ITEX sites. The Circumpolar Active Layer Monitoring (CALM) was first launched in 1991 on a volountary basis, but is now formally supported for 5 year by the U.S. National Science Foundation (http://www.geography.uc.edu/kenhinke/CALM/). CALM is designed to monitor and model changes in the thickness of the active layer above permafrost. In all, 10 countries contribute to the network with 69 sites, with Europe being represented by Austria, Denmark/Greenland, Poland, Russia, Sweden and Switzerland. The Arctic Monitoring and Assessment Programme (AMAP) is concerned with pollution issues in all compartments of the Arctic environment, including humans. Monitoring is based on existing national and international monitoring and research networks and consists of 5 sub-programmes: atmosphere, terrestrial, freshwater, marine ecosystems and human health. 3.3 FORESTS AND OTHER NATURAL AND SEMI-NATURAL SYSTEMS This category includes many different ecosystems on which much work has or is being carried out under the auspices of different organizations and with different objectives. Although much work is yet to be done, links between programmes like IGBP, GTOS and ILTER are already established (see below). The International Council for Science (ICSU) International Geosphere-Biosphere Programme (IGBP) was established in 1986 with the objective “to describe and understand the interactive physical, chemical, and biological processes that regulate the total Earth system, the unique environment it provides for life, the changes that are occurring in this system, and the manner in which they are influenced” (http://www.igbp.kva.se/; Koch et al., 1995). IGBP consists of many programme elements, including: Biological Aspects of the Hydrological Cycle (BAHC), Global Change and Terrestrial Ecosystem (GCTE), Land-Ocean Interactions in Coastal Zones (LOICZ) and Land Use/Cover Change (LUCC). In particular, the GCTE is based on large-scale terrestrial transects and one high-latitude transect has been proposed in Northern Europe/Scandinavia (Koch et al., 1995). The International Long-term Ecological Research (ILTER) network was developed after 1993, first as a U. S. National Science Foundation initiative. Today 21 countries contributing 200 long-term research sites have joined the programme (Waide et al., 1998). In Europe ILTER sites are located in the Czech Republik, Hungary, Poland, UK and Switzerland and are also included in other Networks, as in the case of the UK Environmental Change Network (ECN) (Parr, 1998). An important concern of ILTER is to facilitate communication and access for LTER research worldwide. The European Union (EU) Scheme on the Protection of Forests against Atmospheric Pollution and the United Nations Economic Commission for Europe (UN/ECE) International Cooperative Programme on Assessment and Monitoring of Air Pollution Effects on Forests (ICP-Forests) stem from two different legal and political mandates. 12 Marco Ferretti However they were developed and act in close cooperation. Three monitoring levels are considered: (i) Level I is based on a statistically representative survey of tree crown condition (occasionally supplemented by soil and foliar chemistry) selected according to a nominal 16x16 km grid; (ii) Level II - intensive monitoring - is based on a series of subjectively selected case studies and consists of more than 800 permanent monitoring sites spread throughout Europe. Several investigations are carried out on these plots: tree condition, soil, soil solution and foliar chemistry, tree growth and yield, ground vegetation, deposition chemistry, phenology and meteorology; (iii) Level III concerns special ecosystem analysis, but it has not yet been implemented. The United Nations Economic Commission for Europe (UN/ECE) International Cooperative Programme on Integrated Monitoring of Air Pollution Effects on Ecpsystems (ICP-IM) pursues the following objectives : (i) to monitor the biological, physical and chemical status of ecosystems over time in order to explain changes; (ii) to develop and validate models simulating ecosystem response; and (iii) to carry out biomonitoring to assess the effects of pollutants and climate change (Kleemola and Forsius, 2000; see also http://www.vyh.fi/eng/intcoop/projects/icp_im/im.htm). The vast majority of the 59 sites are forested catchments and in some cases they are the same as the EU-UN/ECE ICP-Forests Level II monitoring sites. The European Union Terrestrial Ecosystem Research Initiative (TERI) Within the TERI framework of gradient studies (http://europa.eu.int/comm/research/hometeri.html) are various projects covering a number of terrestrial ecosystems: Sphagnum bog sites, herbaceous plant communities, heathlands and moorlands, former agricultural lands, wetlands, foresttundra ecotones and forests are investigated by a number of initiatives in relation to the effects of elevated CO2 and N-deposition, air pollution, biodiversity, change in land use, and climate change. Consequently, measurements vary from soil biota to gas concentration in the atmosphere, according to the individual project. In keeping with the overall TERI design, sites are generally few and located according to some gradient in relation to the investigation of interests (see section 3.1.5). The Man-and-the-Biosphere - Network EuroMAB (MAB-NSN-EuroMAB) was founded in 1987 as a regional network of the MAB programme operating in European and North American Countries. EuroMAB is a key component in MAB’s objective of achieving a sustainable balance between conserving biodiversity, promoting economic development and maintaining associated cultural values. Biosphere Reserves are the sites where these objective are targeted. Monitoring related to local, national and global issues is one of the components of the three-function system that each biosphere is requested to fulfill. In this context, the Biosphere Reserve Integrated Monitoring (BRIM) programme seeks to improve access to scientific data available in the Biosphere Reserves. Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 13 4. THE REASONS AND THE VARIOUS FACETS OF INTEGRATION IN ECOSYSTEM MONITORING3 4.1. WHY INTEGRATION IS NEEDED? Europe has a wide range of long-term monitoring and research programmes. In addition to the national and international programmes mentioned above, there are also a large number of individual sites across Europe at which long-term monitoring and research is being undertaken (e.g. Simpson and Parr, 2000). However, in many cases these programmes have narrow objectives, focus on a single ecosystem type and/or a single issue and potential users are often unable to make effective use of the whole set of environmental data because of the lack of common approaches to data collection, management and presentation. In addition, the design of such programmes is often unclear (Ferretti, 1997; 1999a, b; Innes, 1998) and the level of integration between individual studies is not always the same between and within existing networks. This is due to the fact that different designs and different networks often address different objectives and/or target different ecosystems. This situation has been acknowledged e.g. by the European Environment Agency (EEA) in its EEA Europe’s Environment: The Second Assessment (EEA 1998): “unfortunately, mechanisms to collect harmonized data on the environment on a European scale are still inadequate”. Further, in this situation there is a clear risk of overlapping efforts, and this is undesirable especially when resources are limited (e.g. Bernstein et al., 1997; Olsen et al., 1999). A similar situation has been reported for the United States, where there are hundreds of local monitoring initiatives (Laskowsky and Kutz, 1998) and where the need for developing concepts and methods for a better use and integration of existing environmental monitoring programmes is being increasingly addressed (e.g. Fritz, 1991; Olsen et al., 1999; House et al., 1998; Summers and Tonnessen, 1998; Schreuder et al., 1999). Thus, adapting existing monitoring and research networks is becoming imperative for successful programmes (Bernstein et al., 1997) and steps in this direction are being taken on both national (Bricker and Ruggiero, 1998) and global scales (IGOS, 1999). In this context, the advantages of improved networking on a pan-European scale become obvious and are reflected in the EU initiative Global Monitoring for Environmental Security (GMES) which recognizes the importance of collecting and producting environmental data to address national, regional and global issues. An integrated observing system in Europe would: (i) provide a consistent European-based system of environmental monitoring to address policy relevant questions, (ii) save resources by avoiding duplication of effort, (iii) provide for more cost effective use of long-term data and a more powerful data and information source for earlier detection of environmental change; (iv) allow a more comprehensive and better understanding of the effects of change, (v) provide better data for model calibration, since modeled effects can be developed and tested on many different ecosystems. 4.2 THE USERS: SOME EXAMPLES An integrated long-term monitoring network has the potential to meet the data and information requirements of a range of users. These users can be classified according to: user type (e.g. policy makers, researchers, commerce, educators, NGO's), 3 after Parr et al., 2001; Ferretti et al., 2001 14 Marco Ferretti scale of interest (i.e. local, national, European, global), information type and environmental issues. Potential global users with a requirement for European information include: the Global Terrestrial Observing System (GTOS); UNESCO, Man and Biosphere, Biosphere Reserves (EuroMAB and BRIM); World Health Organisation (WHO); Secretariats of United Nations Conventions; International Geosphere-Biosphere Programme (IGBP); World Climate Research Programme (WCRP); International Human Dimensions Programme (IHDP); United Nations Economic Commission for Europe (UNECE); Scientific Committee on Problems of the Environment (SCOPE). European users include the European Environment Agency (EEA); European Commission Directorate Generals, inc. DGVI, DGXI & DGXII; and European Earth Observation Community e.g. Centre for Earth Observation (CEO). At a national scale, user requirements for long-term integrated monitoring will include the Agencies and Departments responsible for supplying data and information to the EC on biodiversity, land use and climate change issues but may also include scientists and other experts, local municipalities, trade union organisations and non-governmental organisations. Long-term integrated monitoring also has direct benefits to users at individual sites. It may assist local site managers, planners and resource managers who need to formulate local land use strategies (e.g. those responsible for statutory protection of conservation sites) and develop management practices that do not adversely affect biodiversity. There are also additional benefits to the sites (or networks) that contribute to the network. These include the scientific benefits that arise from generating widely comparable data by the adoption of compatible protocols, data management and information delivery mechanisms. They also include more general incentives such as: increased research opportunities, publicity, strengthening their case for continued financial support and more opportunities to develop relations with other European sites. The precise requirements vary according to the specific issues of concern and the scale of interest. Here we give four examples relating to GTOS, WHO, EEA and Earth Observation users. The Global Terrestrial Observing System (GTOS) (http:www.fao.org/gtos) was created to provide policy makers, resource managers and researchers with access to the data needed to detect, quantify, locate, understand and warn of changes (especially reductions) in the capacity of terrestrial ecosystems to support sustainable development (GTOS 1998). The programme is specifically targeted at delivering information products relevant to 5 issues of global concern: changes in land quality, availability of freshwater resources, loss of biodiversity, climate change, and impacts of pollution and toxicity. It is relevant to the 8 international Conventions concerned with the conservation or utilisation of renewable natural resources, including the Convention on Biological Diversity and the United Nations Framework Convention on Climate Change (Gwynne 1996). GTOS has developed the Global Hierarchical Observing Strategy (GHOST) framework (GCOS 1997) as a rationale for linking data of different scales. The GHOST framework incorporates data collection ranging from detailed large-area experiments for understanding spatial structure and processes to remote sensing data for complete coverage. A key component in the data hierarchy is long-term data from in-situ measurements made at fixed sites. A metadatabase, the Terrrestrial Ecosystem Monitoring Sites (TEMS) and a global system of observing networks are being used as mechanisms to facilitate access and exchange of terrestrial data and information. Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 15 The World Health Organisation (WHO) is (amongst other things) concerned with the impacts of climate change on human health (McMichael et al., 1996; Epstein, 1999; Kovats et al., 2000). Some of these impacts will result from direct effects (e.g. heatwave-related deaths and skin cancer induced by ultraviolet radiation); others will result from disturbances to complex physical and ecological processes (e.g. changes in patterns of infectious disease, drinking-water supplies and agricultural yields). Monitoring of climate change impacts on these ecological processes requires a holistic approach, based on the development of integrated system-based models and validation of such models. For instance, as current monitoring data are often spatially and temporally inconsistent, they can only provide a very broad characterisation of the relationship between climate and vector-borne diseases. Long-term monitoring sites can provide the level of information required to develop models of vector and pathogen dynamics for use in regional impact studies. One of the main roles of the European Environment Agency (EEA) is to provide objective, reliable and comparable information at the European level and ensure that the public is properly informed about the state of the environment. Current approaches to integrated environmental reporting rely heavily on information collected separately from different sectors (e.g. air and water quality, land, and biodiversity). The lack of direct links between data from these sectors makes it difficult to interpret the causes of any changes - a serious deficiency when it comes to informing policy responses. An European-consistent site network could be harnessed to fill this gap, particularly in relation to the key issues of climate change, stratospheric ozone depletion, acidification, tropospheric ozone, biodiversity, inland waters, soil degradation (EEA 1998). For example, in relation to the protection of biodiversity, the cornerstone of the European Union's nature conservation policy is the creation (by 2004) of a coherent ecological network of protected areas across the EU known as NATURA 2000. The overall objective of Natura 2000 is to encourage the preservation of biodiversity priority species and habitats. Although there is no specific requirement to undertake integrated monitoring, such monitoring sites may be necessary to provide baseline data against which any changes in the protected sites could be compared. Data from the sites could be used to help distinguish the effects of local changes in land use and land management, which would be under local or national control, from broader scale impacts such as climate change and transboundary pollution, which would require international action. There is now a substantial investment in Europe in the technology of remote sensing and a range of data products are now easily accessible within Europe. However, space data on their own rarely provide the information required by end users and there is an increasing awareness (GCOS, 1997; GTOS, 1998; Ruggiero, 1999) that the lack of reliable data from in-situ sites is hampering the exploitation of EO data. There are no existing consistent terrestrial site networks for validation of Earth Observation (EO) data in Europe. An organized network could provide a reliable and consistent source of in-situ data for earth observation applications, particularly if it could be linked to user communities through existing mechanisms such as the the Centre for Earth Observation (CEO) project (http://www.ceo.org/). The CEO is a European Community funded programme for advancing the use of EO data. It aims to create awareness of the potential of EO data, to encourage the development of EO applications, and to bring together those who could benefit from the use of such data and those who provide it. 16 Marco Ferretti 4.3 THE DIFFERENT FACETS OF INTEGRATION Long-term monitoring programmes must be designed to provide cost-effective answers to current questions. However, they also need to take into account long-term changes in the environment and shifting economic and policy priorities. These changes can be difficult to predict and this has strategic implications for the design process. For instance, the integrity of the initial design may be compromised by external changes in the environment (e.g. climate change, invasion of pest or alien species) that were not accounted for in the initial design. Secondly, the initial research questions may be answered satisfactorily by other means or become economically less important before the monitoring programme collects sufficient data to answer them. On the positive side, it is often the case that long-term data collected for one purpose usually become increasingly valuable as a resource for addressing new issues. This is not particularly surprising: good ecosystem management decisions in relation to most environmental issues (e.g. climate change, land use change, biodiversity loss, and even the impacts of recreation and changing life styles) require an understanding of fundamental ecosystem processes and tend to draw upon similar sources of data and information. Under the above perspective, the concept of integration in ecosystem monitoring have different facets: (i) Integration of measurements at individual sites. Integrated monitoring is defined as a sequence of observations which encompass a range of driving and response variables from different parts of the ecosystem under study (e.g. land cover, vegetation, fauna, soil, air quality, water quality and climate. Integrated monitoring provides data for the investigation of cause and effect and for the development of models of environmental change (Rankinen 2000). Integrated monitoring is particularly flexible when it comes to addressing a variety of user needs (Simpson et al 2000). This aspect is covered under section 5. (ii) Integration of in-situ monitoring and remote sensing observation programmes enables scaling-up from site specific monitoring to regional and policy relevant scales (Belward et al 2000, Ceulemans 2000). Section 6 will provide some consideration in the above respects. (iii) Integration between monitoring networks and programmes. When choosing sites and locations from a monitoring programme we rarely start with a blank sheet of paper. Usually there are existing sites or networks that already collect data relevant to the questions being asked. Wherever possible, these sites should be included in new networks. The among-network integration will be covered under section 7 and 8. Within this aspect of integration, harmonisation of measurements is a particularly important issue, and will ve considered separtely under section 9. In general, a great deal of difficulty is encountered in development of harmonised approaches to ecosystem measurements in Europe and it is rare for measurement harmonisation to be considered between programmes. Together with other design issues related to a network on long-term integrated monitoring sites in Europe, section 8 will provide considerations on harmonization, quality assurance and so on. Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 17 5. INTEGRATION IN ECOSYSTEM MONITORING: MEASUREMENTS4 5.1 IDENTIFING INDICATORS AND INDICES Indicator and indices are closely linked to the aims of the program. Once the aims is determined, a series of progressive steps should be considered for the identification of suitable indicators. These steps have been recently reviewed by Hunsaker (1993) and Breckenridge et al. (1995). They can be summarized as follows: • identification of indicators categories, like e.g. tree, ground vegetation, atmospheric inputs, soil chemistry and so on. It will achieved by the analysis of the structural and functional relationships operating within the investigated processes at ecosystem level (Fig. 2) and can be performed using more or less detailed conceptual model to show how ecosystem indicator categories are linked each other. This analysis will produce a list of indicator categories that will be examined by relevant scientists in order to select indicators that are most suitable to assess the condition of each category (Brekendridge et al., 1995); • identification of indicators requirements. Desired indicators characteristics are listed in order to have a comparative evaluation of the indicator’s aptitude to produce data of known quality in a cost-effective and timely manner. This step is asked to produce a short list of indicators; • short-listed indicators should be furtherly evaluated and tested in pilot studies in order to identify the most suitable ones (Macdonald and Carmichel, 1996). The full development of a properly designed suite of indicators may require years. However it is of critical importance to the succes of the monitoring program, and scientists should resist political pressures to have immediately “ready-to-use” data at any time of the program. Terrestrial Fauna Atmosphere Wet Dry Ground Water Vegetation Wet Dry Wet Surface Water Dry Litter/ Humus Soil MicroMacroFlora/Fauna Mineral Soil Acquatic MicroMacroFlora/Fauna Deeper Soil Sediment FIGURE 2. Conceptual model of a forest ecosystems (based on Ferretti, 1997a). 4 After Ferretti et al., 1998. 18 Marco Ferretti 5.2 ESTABLISHING LINKS AND RELATIONSHIPS Links between various monitoring activities within the program should be carefully addressed at the time indicators are selected and before plots are installed. Connections and relationships between various indicators should be recognized and considered in view of future integrated evaluation of the entire database of the program. For example, it is quite obvious that soil and foliar sampling and analysis should be related each other. The value of both will be increased when also deposition measurements are carried out within the same sampling area. On the other hand, some surveys can cause serious problems to some others (see below). Therefore, sampling strategy and tactic should be carefully considered in order to ensure maximum connection and mimimum disturbance between surveys. Attention should be given also to possible connections with external activities: for example, if possible, it would be desirable to install the same type of equipment already adopted by existing networks, using the same sampling intervals and so on. This will allow data comparisons, modelling, and inferences. It will also encourage external potential contributors to take active part to the monitoring program and should enhance the cost-effectiveness of both internal and external activities. Links between activities and usage of existing data will be fully and properly considered only if data are documented and of known quality, and her remote access to the database is ensured (Michener et al., 1997). 5.3 PLOT DESIGN When thinking to integration between measurements, the plot design has to be seen as a “response” design for indicator measurements at the monitoring site (Kuehl et al., 1995) and it should satisfy different requirements: in particular, it should ensure maximum connection and minimum disturbance between the various survey that will be undertaken, and adequate size for correct representation of internal variability (minimal area concept, e.g. Kuehl et al., 1995). Monitoring itself has always an impact on the target area. When different surveys should be undertaken on the same relatively small area with high intensity of sampling is fundamental to avoid or to keep at minimum inter- and intra-survey disturbances. Table 4 reports some possible disturbance associated between and within monitoring activity. As it is obvious, some survey may cause problems to some other: in particular, deposition sampling and ground vegetation assessment seem largely conflicting because the high frequency of deposition sampling, the considerable effects of the action associated to that sampling and the high sensitivity of ground vegetation to such disturbances. To ensure maximum connection and minimum disturbance between surveys, different subplots in the frame of the same plot can be considered (Ferretti et al., 1996). An example is given in Fig. 3. All the surveys relevant to the study of biogeochemical cycles (e.g. deposition chemistry, soil and foliage chemistry, litterfall) are performed on one subplot; the tree condition and biodiversity surveys are performed into conterminous subplots. A control plot is installed nearby the sampling plot. It is of course important to ensure homogeneity between subplots. Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 19 TABLE 4 – Investigations carried out at the CONECOFOR Permanent Monitoring Plots and associated potential disturbances. Ozone is not considered since the measurements are carried out outside the PMP. “Frequency of visits”: the frequency of the visits associated to each activity; “Action”: the actual action associated to each survey; “Disturbance”: effects associated to the activity; “Impact on”: the investigation affected by the one under consideration; “Possible solution”: some suitable solutions. (After Ferretti and Nibbi, 2000). Investigation Frequency of visits Action Disturbance Impact on every year observation trampling ground vegetation Soil inventory every 10 years opening of pits; soil cores digging ground vegetation different sub-plots Foliar analysis every 2 years collection of foliage samples removal of branchlets from trees; trampling crown condition; ground vegetation different trees; different sub-plots Increment every 5 years tree measurements; collection of wood cores/disks damage to trees; trampling crown condition; ground vegetation every year LAI measurements trampling ground vegetation Litterfall (1) every month Litterfall collection trampling ground vegetation different trees; different sub-plots maximum care; different sub-plots maximum care; different sub-plots Deposition every week collection of throughfall and stemflow trampling; discharge of water ground vegeatation Crown condition LAI (1) Meteorology (in the plot) every week or month installing measurement devices every year observation Ground vegetation Possible solution maximum care; different sub-plots different sub-plots; discharge equipments disturbance trampling ground vegetation different sub-plots trampling ground vegetation only maximum care (1) undertaken only in 1997 and 1998. 50m BDZ 100m BDV control plot 100m ASS ASF SFL ADA VCA sampling plot FIGURE 3 - Plot design for the ECAFO project carried out in Lombardia, Northern Italy. Two plots are considered for each site: one sampling plot and one control, 1 hectar each. The sampling plot is divided into 4 subplots 50x50 m each. The letters indicate the surveys carried out at each subplot: ASS: Soil Inventory; ASF: Foliar Analysis; SFL: Litterfall Fluxes; ADA: Deposition Chemistry; VCA: Tree Condition Assessment; BDV: Biodiversity (vegetation); BDZ: Biodiversity (soil invertebrates). After Ferretti et al., 1996. Marco Ferretti 20 5.4 ERROR SOURCES AND ERROR PROPAGATION A number of sources of potential errors are associated at each step of the various investigations (Table 5). They can generate both random and systematic errors that should be considered at the early stage of the program. Their early recognition can help in reducing their effect on the quality of the data. Many of the errors can be reduced by a properly designed sampling strategy and tactic, like e.g. the adequate number and density of throughfall and stemflow collectors and their spatial location; in other cases (e.g. chemical analysis, crown condition assessment), adequate SOPs and Quality Control can prevent poor data quality. Error sources are also important in view of the error propagation that is likely to occur when data from different surveys are used together into models. This calls for an early evaluation of actual and potential problems associated to multidisciplinary studies. There is evidence that a qualified statistician should be involved in multidisciplinary monitoring programns since the beginning. Usually it does not occur, and it can results in many problems when attempting to evaluate the whole data set generated by the program. TABLE 5. Possible errors, their quality and the associated risks to the various steps of environmental monitoring, with regard to trace metals analysis (based on Wagner, 1995). Procedure and step Main source and characteristics of possible errors Quality of errors Risk of serious errors Planning Definition of the area Selection of specimens Stratification Sampling method Number of samples Sample mass Timing Spatial variability, heterogeneity Ecological or physiological variability Biological, physiological, spatial variability Representativity Representativity Representativity Temporal variability, trends Systematic + Random Systematic Systematic Systematic and/or Random Random Random Systematic or Random High Moderate Moderate High (controllable) High Low High Sampling Weather condition Packaging Sample conservation during sampling Unreproducible deposition, leaching, matrix effect Contamination or loss Losses due to metabolism, volatilisation, translocation Systematic Systematic Systematic or absolute Very high Controllable Moderate Transportation Contamination, loss Systematic or absolute High Storage Short term Long term Contamination, loss, metabolism, alteration of binding form or weight basis, speciation, solubility Systematic or absolute High very high Sample preparation Cleaning, washing Drying Homogenisation Subsampling Contamination, loss Contamination, loss Contamination, disregard of skewed distribution Representativity Systematic Systematic Systematic Random High Moderate High Moderate Sample pre-treatment Digestion Matrix modification Contamination by reagents or container, losses Contamination by reagents Systematic Systematic Controllable Controllable Analysis Injection Calibration Detection Quantification Inaccurate or badly adjusted tools Physical, chemical interferences e.g. spectral interferences Baseline shift Random or systematic Random or systematic Systematic Random or systematic Moderate Moderate Low Very low Data Evaluation Averaging Confidence interval Trend detection Disregard data characteristics Disregard data characteristics Disregard data characteristics Systematic Systematic Qualitative Moderate Moderate High Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 21 6. INTEGRATION IN ECOSYSTEM MONITORING: LINKS BETWEEN TERRESTRIAL AND REMOTE SENSING OBSERVATION5 Remote sensing techniques will be needed to complement long term monitoring programmes (Price and Apps, 1995). Earth Observation (EO) data (e.g. in the MERIS project: surface reflectance, chlorophyll retrieval, vegetation index, water vapour, suspended matter, cloud albedo, cloud optical thickness, cloud top pressure) collected by space agencies (ESA, NASA; NASDA.) through satellite sensors (radar, radiometers, spectrometers) are relevant to many environmental issues. However, EO data alone is of limited value and most applications need in-situ data for calibration and validation (Running et al, 1999). Reciprocally, EO data can be used to spatially extrapolate in-situ data, thus strengthening their potential policy relevance. Links between measurements carried out at sites (in-situ) and those perfomed by space sensors are therefore important but there are several issues to consider if these are to be effective. Firstly, in-situ measurements of relevance for calibration and validation should be identified, agreed and prioritized according to different applications and user needs. Secondly, combinations of in-situ measurements, modelling and remote sensing are required for up-scaling but these must be specifically adapted for each application. Finally, EO data and in-situ measurements are complementary and their synergies must be developed. However, optimum exploitation of this synergy is still often hindered by lack of communication between in-situ and remote sensing communities. 7. INTEGRATION IN ECOSYSTEM MONITORING: NETWORKS6 Although there is considerable potential for integration of existing programmes to meet a wider range of requirements, design and operational issues related to such an integration process are complex because many of the standard design rules and methods used in the establishment of new monitoring networks cannot be easily applied. For instance, from an operational perspective existing monitoring and research (M&R) sites should be considered as the core of a new European network. Agreement with this view is often reported in the literature (e.g. Heal, 1991; Bricker and Ruggiero, 1998), on the condition that existing sites do not conflict with the targeted monitoring objectives (Innes, 1995). However, the need to make use of existing sites places constraints on site selection procedures and the value placed on sites with existing long-term datasets can make it difficult to adopt harmonised measurement techniques. These (and other) constraints on the form and function of a network may compromise and complicate some key design issues, but in some respects this makes it even more important that design issues are fully considered at the outset. 7.1 THE NEED FOR NETWORK DESIGN In environmental monitoring, the term “design” may be broadly defined as a stepwise process through which adequate decisions are taken to meet the needs of the investigations to be undertaken. Details of the "design" process vary according to the 5 After Parr et al., 2001. 6 after Parr et al., 2001 22 Marco Ferretti audience: those concerned with terrestrial investigations may perceive “design” as a process encompassing a variety of issues, including the identification of the type of study needed (sensu Eberhardt and Thomas, 1991), the selection of individual target ecosystems and environmental entities (Stevens, 1994) and indicators (Hunsaker, 1993), the identification of an appropriate sampling design (e.g. Cochran, 1977) and the definition of measurement procedures (Sykes and Lane, 1996; Tallent-Halsell, 1994; BFH, 1998). In contrast, people using remote sensing techniques will make rather different decisions, e.g. the best measurement techniques to use (for example: satellite imagery or aerial photographs). Design should however be a ubiquitous step in all monitoring programmes since it means making a decision on what, where, when and how to measure something. This is particularly important for long-term studies (e. g. Stohlgren et al., 1995). The design process for monitoring programmes must also consider the end-uses of the data to be generated. Unlike purely research-orientated activities, monitoring should also provide input data for resource managers and/or policy makers (Hunsaker, 1993; Laskowsky and Kutz, 1998). In this context, data from individual sites are of little interest, since policy needs information to be valid at higher levels of geographical and/or ecological coverage (e.g. Urquhart et al., 1998). Monitoring data must therefore be defensible against criticisms about e.g. their representativity (is the sample representative of the target population?), their precision (what degree of precision and what probability do the estimates present?), accuracy (are the methods applied correctly?), consistency (are data consistent through time and space?) and reproducibility (what is the chance that different operators/facilities will get the same results?). Clearly, these goals can only be achieved by thorough planning. When multi-disciplinary, multi-resource and multi-objective monitoring programmes have to be designed and/or combined, many people at different levels (politicians, managers, scientists, pressure groups,) should be involved. Each will have their own priorities, perspectives, and expertise. When support for decision making is needed, the issues underlying operational choices should be understandable to their audience, and this is best achieved by a documented design process (Bernstein et al., 1997). This is a big challenge, but it has a number of benefits, since both clarification of the questions and consensual decisions will strengthen the programme. The design process for a monitoring programme has different parts, and in this paper we will concentrate on general technical issues (e.g. type of study, selection of suitable monitoring sites and measurements). However, it should be emphasised that the design process needs to be supported by a political or scientific mandate that specifically requires the monitoring. Usually, a design process is undertaken after the need for monitoring is expressed and after some other steps are undertaken to identify responsabilities (Fig. 4) (IGOS, 1999). This will be particularly important when the monitoring network required can only be implemented by the co-operation of existing initiatives (e.g. Summers and Tonnessen, 1998). The need for a European network of integrated monitoring sites should therefore be an explicit requirement of influencial policy and/or scientific users, as many monitoring programmes already have a strong political rationale (e.g. the Convention on Long-Range Transboundary Air Pollution under which the UN-ECE ICPs were developed) and may otherwise be reluctant to join a new network under a new “umbrella”. Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 23 7.2 DESIGN CHALLENGES FOR LONG-TERM INTEGRATED MONITORING 7.2.1 Theoretical Aspects Theoretically, there are many ways in which a monitoring network could be designed. Proper design always implies a clear understanding of the monitoring objectives, but there are some general requirements common to all monitoring programmes: (i) monitoring should be able to distinguish between “noise” (random variation) and “signals” (real directional trend) and this has much to do with the type of study on which monitoring is based (Eberhardt and Thomas, 1991), the intensity of sampling (e.g. Suter II, 1990), and the indicators used (Hunsaker, 1993); (ii) monitoring should allow inferences at the appropriate (target) level of the ecological hierarchy (individual, species, population, community, ecosystem, biome, global), however the strength of inferences (e.g. the value of the conclusion) is based on the design of the programme, particularly on its sampling strategy and tactics (Stevens, 1994). In these respects, questions about statistical aspects of the design are major challenges (Koch et al., 1995); (iii) design means decisions, and decisions need documentation: thus individual steps of the design process should be based on a strong body of evidence and should be clearly documented to allow future reassessment and calibration. This part of the design has a great deal to do with Quality Assurance (QA), and good design should be undoubteadly driven by adequate Quality Management (Shampine, 1993). In line with this, other parts of the design process should consider QA procedures (Cline and Burkman, 1989), network management, data management (e.g. Lane, 1997; Stafford, 1993) and reporting rules (Shampine, 1993). Sampling design is a critical part of the design process and is considered here in relation to the selection of monitoring sites. Sampling, on the one hand, controls the inferential process (e.g. Edwards, 1998) and on the other the precision of the estimates of a survey (e.g. Gertner and Köhl, 1995; Köhl et al., 1994b). It is strongly related to the assessment question (Hunsaker, 1993) and to the main problem that any monitoring programme has to face: the distinction between real directional trends and random elements (Eberhardt and Thomas, 1991; Hurlbert, 1984; Palmer, 1993). In theory, monitoring sites can be selected according to their particular characteristics (model-based or judgement sampling), or by a statistical probability sample (designbased approach) (Stevens, 1994; Edwards, 1998). These two approaches lead to different methods for making regional inferences (Stevens, 1994; see also Gregoire, 1999), and this is particularly important when policy implications are considered. With a model-based approach the validity of the population inferences rests on the validity of the model adopted. Regional inferences with a design-based approach are based on the ability of the design to produce a regionally representative sample. In general, design based sampling is inflexible, costly and often difficult, but the inferences need few assumptions and are therefore robust. Model-based sampling is much easier and more flexible, but is prone to bias (almost unquantifiable) and inferences are constrained by assumptions. Therefore, the model adopted must be explicit, validated and “should make ecological sense” (Edwards, 1998). Even with these safeguards, there is evidence that model-based judgement sampling risks result in an unrepresentative (in both statistical and common sense terms) sample of the resource being considered (e.g. Stoddard et al., 1998). The above considerations should be placed in the context of two factors which are of fundamental importance in defining sampling design: one is the aim of the programme itself (IUFRO, 1994; Stevens, 1994); and the second is the nature of the 24 Marco Ferretti data (when available). Therefore, traditional steps for designing a monitoring programme should consider: the kind of study (sample survey, case studies, experiments - Köhl et al., 1994a) which depends on the approach (model-based vs. design based, Stevens, 1994); the survey form (e.g. for forest suveys: temporary, continuous, partial replacement; Scott, 1998); the locational methods of the sampling units; the desired level of precision of the estimates, which drives the density of the sample units; the size of the sample units; and their selection and location on the ground. 7.2.2 Practical Aspects of Network design Although design is first based on theory, it must be implemented in practice, e.g. it should take into account the constraints of the “real world”. For example, a choice usually has to be made between extensive surveys (investigations based on low cost measurement allowing high number of sites) and intensive studies (investigations where the costs of collecting data prohibits a large number of sites) and this choice imposes different constraints on sampling design (e.g. Innes, 1995; Price and Apps, 1995; Ferretti, 1997; Summers and Tonnessen, 1998). If resources are unlimited, it is always possible to design a statistically correct monitoring programme: once the objective is defined, sites can be selected accordingly using rigorous statistical methods (e.g. Cochran, 1977) to ensure representativity and an acceptable level of precision (Figure 5, top). Unfortunately, resources are usually limited and, given the high costs needed to install and operate a long-term intensive/integrated monitoring site, this will compromise the design. Although the representativity (which is independent of sample number) may not be affected, the precision of the estimates will be. There are other features of long-term integrated monitoring that are not easily addressed by conventional design processes. These relate mainly to the need and capability of integrated monitoring to (i) provide data for different users, (ii) address multiple issues and objectives, adapting to changing priorities, and (iii) the need to make use of existing monitoring sites. These three themes are closely linked as additional data users means that different environmental issues will be of interest, thus requiring inputs from different data sources. Figure 5 summarizes how the complexity of the design issues rapidly increase when all these factors are to be taken into account. A major limitation for a “perfect” “theoretical” design is the variety of current European monitoring initiatives and the differences between them. With hundreds of sites already operational, it is clear that a major challenge for any future monitoring programme will be to make efficient use of them. An immediate conclusion is that a design process must accommodate existing sites. The issue of trying to link and combine existing monitoring programmes into a cohesive system has been recently addressed (Bricker and Ruggiero, 1998; Olsen et al., 1999; House et al., 1998; Summers and Tonnessen, 1998; Overton et al., 1993) and is likely to be an area of interest in the coming years. This issue is important from different point of views. For example, even if technical constraints can be managed by robust planning and QA, network design can never guarantee long-term support and funding. However, if there is a broad base of support for the objectives and design, that will deliver outputs of value to many users (e.g. Pickett, 1991), contributors will be more likely remain committed. This is particularly important because environmental priorities change through time as the questions asked by resource managers and politicians follow the environmental issues of concern (e.g. De Vries, 1999). This requires some flexibility of Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 25 the programme to allow emerging issues to be incorporated in its framework. It is also important to make cost-effective use of existing sites and facilities, so that the best use can be made of existing long-term historic datasets. This creates the need to build up concepts and methods to allow a post-hoc integration of these networks. This may not be "design" in a strict sense, because sites are already operational, but it requires choices and decisions: what are the links between different networks of sites? What are the links between sites from different networks? Which sites of which network should be considered? On what basis should decisions be made? 8. DESIGN ISSUES FOR A NETWORK OF LONG-TERM INTEGRATED MONITORING SITES IN EUROPE7 8.1 OUTLINING THE DESIGN PROCESS Even an unconventional design process needs objectives and perspectives - even if these must necessarily be generic. A unifying vision for a a new network must therefore consider general user requirements and the status quo described above. A vision for such a network has been defined e.g. within the NOLIMITS initiatives as "To create a European network of sites for long-term integrated monitoring by bringing together existing operations. The network will make available policy relevant, scientific and educational information to address environmental changes and their consequences at local to global scales, and to provide a focus for collaborative interdisciplinary research between sites, networks and users." (Simpson and Parr, 2000). Based on this vision it is possible to address a series of design objectives related to general issues such as: (i) the nature of the user requirements, (ii) multiple-objective nature of the future network, (iii) the role of existing Monitoring and Research (referred to as M&R) sites and (iv) the operational features of the network. The identification of user requirements is the first step in the design process as these will define the geographical scope of the network, its objectives, relevant environmental scenarios, ecosystems of interest and the measurements needed (Figure 5, middle). The next step is to recognise the role of existing monitoring networks in relation to priorities, scenarios and ecosystems of concern. Can the environmental questions be answered by the existing sites? Are the required measurements already being made? Are new sites needed? (Figure 5, bottom). Once these decisions have been made, the operational aspects should be addressed. Figure 5 provides a diagram illustrating the relationship between the above issues: the design of a European long-term integrated monitoring programme, for multiple users, with multiple objectives and based on existing initiatives, should be developed in a complex system within which a balance must be found. The issues presented in Figure 5 are discussed separately below, but there are inevitable overlaps because of their interdependence. 8.2 DESIGN ISSUES RELATED TO USER REQUIREMENTS The brief review of potential users of data from a European network (see above) indicates that there is a general requirement for data and information from long-term monitoring sites. However, the range of issues which need to be addressed is potentially very large and this poses problems for the design process. For instance, 7 after Parr et al., 2001, and Ferretti et al., 2001 Marco Ferretti 26 the details of site selection and choice of measurement variables will be user and issue specific. Issues related to USER(S) NEEDS Identify Geographical Scales Identify Prorities Network Management Issues related to OPERATIONAL ASPECTS Data Management Quality Assurance Measurements Issues Issues related to (MULTIPLE) OBJECTIVE(S) Site Selection NoLIMITS/2 Issues related to USERS NEEDS Contribute to Unifying vision Identify Geographical Scales Network Management Issues related to OPERATIONAL ASPECTS Contribute to Identify Prorities Modeling Scenarios Data Management Identify target ecosystems Quality Assurance Measurements Issues Issues related to MULTIPLE OBJECTIVES Site Selection NoLIMITS/2 Issues related to USERS NEEDS Contribute to Unifying vision Identify Geographical Scales Network Management Issues related to OPERATIONAL ASPECTS Contribute to Identify Prorities Modeling Scenarios Data Management Identify target ecosystems Quality Assurance Measurements Issues Issues related to MULTIPLE OBJECTIVES Site Selection Identify Providers Statistical Aspects Geographical Coverage Issues related to EXISTING M&R SITES Cal/Val, links with EO, scaling-up NoLIMITS/2 FIGURE 5. Design issues, their subordinates and interrelations at increasing levels of complexity. Top: issues for the design of a traditional thematic single- ecosystem, single- user, single-objective network. Middle: complexity of design increases when new users and multiple objectives are to be taken into account. Bottom: much of the complexity in design arises when existing monitoring and research networks are the core of the new program. (After Parr et al., 2001) Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 27 However, it is possible to identify some common features and design objectives regarding the structure, function and operation of a European network which are important for the users. A consensus on these design features was sought at an international workshop and through bi-lateral discussions with potential user organizations (Simpson and Parr, 2000). These design features are summarised below in relation to the structure, function and operation of a European network: (i) Monitoring objectives should be defined by user requirements; (ii) The network should concentrate on multiple-effect processes and have the flexibility to tackle multiple and emerging environmental issues. The strategic focus of the network should be on a broad suite of interrelated issues that might include: climate change, stratospheric ozone depletion, acidification, tropospheric ozone, biodiversity, inland waters, soil degradation and land use changes. (iii) The network should adopt a multi-disciplinary approach that provides the links between drivers, pressures, states, impacts and responses (DPSIR); it follows that integrated monitoring should be set in a socio-economic context. (iv) Network information should be appropriate for disentangling local from regional changes, isolating signals from noise, developing process level understanding and making forecasts. (v) Data must be temporally and spatially comparable and this will require the harmonisation of measurement protocols and the adoption of quality assurance procedures. (vi) Site distribution tends to be user specific and issue related, but a common theme is that sites should be located in different biogeographic regions across the whole of Europe and nested within a hierarchical structure that enables extrapolation of data to broader scales. (vii) The network must be based on existing sites and networks. (viii) According to the issue being addressed, data may be required for a few variables from many sites or for many variables from fewer sites. However, there was broad agreement that initial efforts should concentrate on a "proof of concept" by collecting high quality data from a few appropriately distributed sites (10's) measuring a range of common variables. (ix) Case studies are required to demonstrate the viability of the network. (x) Network data should be suitable for use in the development and validation of models and for linking to the results of more spatially expansive networks. (xi) The network should provide information for the interpretation and validation of EO images and make use of EO data for scaling up information to the European level. Mechanisms should be put in place to facilitate spatial and temporal matching between EO and in-situ data. (xii) Network data delivery should be timely (user dependent), regular and cheap (preferably free). Those users who require information quickly want to know what is happening now, not what has already happened. (xiii) The network should provide a focus for European contributions to global monitoring programmes (e.g. Running et al, 1999) and a mechanism for coordinating regional efforts. Crossover mechanisms that allow scientists to pursue new or emerging global issues and to ensure that European interests are adequately represented at the global level. Marco Ferretti 28 (xiv) The network should facilitate the exchange of data and information (metadata) between contributing sites (for research purposes) and between sites and users (for policy applications). (xv) Cross-network research activities should be actively encouraged at participating sites. (xvi) Clear policies are required on data and information access. (xvii) Network co-ordination should be a high priority: there should be a central co-ordinating mechanism with some distributed responsibilities and that it should have both top-down and bottom-up dimensions to the management structure. (xviii) User requirements should be kept under review. (xix) Users usually require specific information products rather than new data. 8.3 DESIGN ISSUES RELATED TO MULTIPLE OBJECTIVES 8.3.1 Thematic networks vs integrated networks with multiple objectives There are many examples of thematic networks operating throughout Europe. Thematic networks are not necessarily single objective networks. For example, the joint EC-UN/ECE forest monitoring programme is concerned with air pollution effects on forests, but it has several objectives ranging from the assessment of spatial and temporal variation of forest condition to the establishment of cause-effect relationship (e.g. Lorenz, 1995). However, recent developments in environmental policy (from the UNCED to the Kyoto protocol, to the Interministerial Conference for the protection of forests in Europe) increasingly demand multipurpose/multiobjective integrated monitoring activities. This is acknowledged by the recent suggestion for a new vision in e.g. the European forest monitoring programmes (e.g. De Vries, 1999). The ability of a network to adapt outputs for various uses (and users), to address emerging priorities and to support ancillary/complementary studies are important measures of success for a long-term study (Pickett, 1991; Bricker and Ruggiero, 1998;). It is not easy to predict what future needs will be, and it is certainly not possible to have a cohesive network fully equipped for covering all the potential environmental priorities for all the terrestrial ecosystem of interest and under the full range of environmental conditions of Europe. Rather, the network design should provide a system flexible enough to accommodate change in priorities by considering generic questions like: is the environment changing? Where and at what rate is it changing? What are the causes of change? Flexibility of the system needs to take into account the measurements to be undertaken, as well as the nature and distribution of monitoring units. With respect to measurements, flexibility does not mean that every site of the network should be equipped for all possible measurements: this would be both unfeasible and ineffective. One approach would be for all sites to undertake a few core measurements which may be of relevance to many - if not all - of the potential environmental issues to be targeted. For example, these might be meteorological measurements which are relevant to many monitoring/research needs or land cover or vegetation data which may be required to validate Earth Observation data sets. To enable the network to address multiple or generic issues, sub-sets of these sites could be selected to address specific monitoring objectives. This could be achieved through the development of subprojects with objectives targeted at specidic endpoints for (Suter II, 1990) and subject to periodic review (e.g. Schmoldt et al., 1994. At the sites contributing to each sub- Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 29 project relevant specific measurements would be undertaken in addition to the basic core measurements. In relation to sites, we need to ask whether the nature (ecological coverage, size, distribution) of existing sites is suited to the integrated monitoring of environmental changes. The definition of "a site" also becomes a crucial issue when attempting to design a multi-objective network. If we want to capture an integrated (“physicalchemical, biological, and socio-economic”) response from our monitoring network, the traditional concept of monitoring based on a relatively small plot-site where all measurements are located may have to change. To some extent this will depend on whether the monitoring programme focuses on landscape, individual ecosystems or habitats. A programme operating at the landscape scale will be necessary when questions about e.g. human health, bird communities and large mammals are being taken into account and would also make it easier to integrate existing divergent networks. But to address the landscape scale, each monitoring site will need to be rather large and inclusive of different land use and habitats. Thus the focus will no longer be on a couple of hectares (as in the majority of e.g. forest monitoring programmes), rather on a much larger monitoring unit within which measurements concerning different ecosystems and the socio-economic values can be evaluated together. For example, the large or catchment-site concept used in ILTER and Biosphere Reserves would provide a better framework. 8.3.2 Environmental scenarios and needs for modelling The network design will be strengthened by the consideration of relevant environmental change scenarios. Appropriate scenarios should provide working hypotheses and a means to stratify sites and networks and thus provide an aid to site selection. For example, many authors stress the benefits of using ecologically analogous sites located across ecological and pollution gradients (e.g. Heal, 1991; Koch et al., 1995; Price and Apps 1995, McLaughlin and Percy, 1999). For adequate design and location of monitoring sites a possible way to proceed would be to start from a clear understanding of the conditions and pathways that can facilitate the detection of responses (Innes, 1998). In general, effects will be more likely when the stressor is the main controlling variable, and this often occurs in boundary zones (Heal, 1991). Unfortunately, the response in these zones is often confused by other sources of high variability. Scenarios may be based on both current condition/spatial models (to identify e.g. spatial gradients) (e. g. Latour and Reiling, 1993) and on modeled future condition (to identify e.g. areas where changes are expected). Although models can always be improved by using more effective estimates (e. g. Martin, 1998), to identify scenarios of relevance to current condition models, data and maps are now available for e.g. climate and deposition loads (e.g. Posch et al., 1998; Van Leeuwen et al., 1995; Kräuchi, 1993). However, current condition may vary: for example, the assessment of the effects of climate change would take into account those regions where changes are likely to occur. This also creates the need for modelling. For example, Fowler et al. (1999) indicates changes in the areas subjected to acid deposition, eutrophication and ozone, while Iverson et al. (1999) document the possible future distribution of 80 forest tree species in the Eastern United States. 8.3.3 Choice of measurement/indicators 30 Marco Ferretti Decisions about measurements are usually a priority issue amongst scientists but they are seldom addressed in a systematic way at the regional scale. Some work has been done on defining lists (usually long ones) of observations for monitoring programmes but much less has been done on matching variables to policy questions or measurements according to needs, assessing measurement costs and data consistency. Formal approaches for indicator development were adopted in the framework of the US EMAP Phase I (Hunsaker, 1993; Breckenridge et al., 1995), currently supplemented by Phase II within which Indicator Research and Development is a major element (Summers and Tonnessen, 1998). In Europe, very few attempts have been made in this direction (e.g. Eichhorn et al., 1998). When developing indicators it is important to consider the process under investigation and its determinants (Innes, 1998), the relationship between indicators and endpoints and the characteristics of the indicator, like availability of standard methods, its practicability, the need for low errors etc. (Ferretti, 1997). In integrated monitoring, measurement and indicator selection should also consider the needs of multiple objectives and applications, as in the case of links with EO. Taking into account the above, prioritised lists of measurements (e. g. Breckenridge et al., 1995) should be developed according to the most important contemporary issues, objectives and an assessment of long-term requirements. 8.3.4 Target ecosystems The new network must decide which ecosystems it will target. By definition, these could include natural, semi-natural, and agricultural habitats in terrestrial, freshwater and coastal ecosystems. The relevance of these ecosystems for the detection and monitoring of effects of global environmental change is evident from the work described above. Many of the systems are already covered to a lesser or greater extent by existing monitoring and research programmes. This creates a need for clear selection criteria for existing networks and sites that can also be used to fill gaps in the geographical, ecological or scenarios coverage. Notwithstanding willingness to participate, these criteria should address issues of spatial coverage, statistical requirements and coverage of measurements. The overarching operational design objective must however be to define a concept that links sites from different networks/with different objectives. 8.3.5 Target products and benefits The network must generate high quality products that have a strong resonance in the scientific and policy communities and the design process should address this issue. It is equally important that the flow of benefits is two-way and the data providers gain from their involvement. This second point can be easily overlooked: the GTOS programme has found that a significant number of sites and networks have little incentive to associate themselves with wider networks because data and information arrangements often consist of a one-way flow and they receive little or no direct benefit. Projects and activities that are designed from the beginning with a twoway flow of information and resources are far more likely to sustain themselves over time. 8.4 DESIGN ISSUES RELATED TO THE USE OF EXISTING SITES AND NETWORKS The role of existing sites can be considered from different perspectives. For design purposes it is particularly important to consider questions related to problems of Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 31 scale, statistical aspects and data comparability. Here the discussion will concentrate on the former two, the latter being discussed under the section on QA. 8.4.1 Scales The question of scale is an important issue in ecological monitoring (Arrhenius, 1921, Magnuson et al., 1991; Scott-Findlay and Zheng, 1997), simply because environmental changes can occur at very different spatial and temporal scales (Innes, 1998), and because there is increasing demand for monitoring ecosystems across a range of scales (Levin, 1992; Bradshaw, 1998). While it goes beyond the aim of this paper to review the scale issue (see e.g. Peterson and Parker, 1998), it is important to stress that succesfull monitoring protocols are based on the explicit consideration of spatial and temporal scales. .From the point of view of the network design, it should be considered that spatial and temporal variability are inherent properties of natural resources (Reichle, 1981). They need to be examined in relation to the objective of the monitoring, the phenomenon being investigated and its relevant indicator and attribute, the confidence with which a “change” in the attribute of interest should be detected, and the likelyhood of the natural disturbance. Operatively, the scale issue forces the monitoring design to an explicit definition of what is to be considered as a “change”, its significance (in terms of both statistics and functions, see Bradshaw, 1998, p. 230). In this context, the identification of adequate sampling resolution in both space (e.g. sampling density) and time (e.g. sampling frequency) becomes central, together with vision and methods for up-scaling (e.g. Bradshaw, 1998; Mueggler, 1992; Shiffley and Schlesinger, 1994; Scott, 1998; Detenbeck et al., 1996; Nusser et al., 1998). Concerning the time dimension, once "long-term" has been defined (see Introduction), time scales can be discussed in relation to sampling regimes at the site/plot level (e.g. Pickett, 1991). The sampling frequency must be appropriate for the phenomenon to be monitored and needs to distinguish between the monitoring of e.g. a landscape/environmental attribute (e.g.: forest cover, patchiness, connectivity...; CO2 concentrations, nitrogen deposition, ozone..; - the independent variable) and the responses of e.g. living organisms to changed environmental conditions (e.g., bird populations, foliar nitrogen content – the dependent variable) (Bradshaw, 1988). To define optimal sampling frequency, the inherent variability of the dependant variable within a given time window (e.g., foliar nitrogen over vegetative season or tree lifespan) should be considered in relation to the (expected) time of change in the independent variable. At the same time it should be consider that the response of living organisms vary with ecological conditions and that- in the long term - changes may occur in the frequency of the phenomenon under consideration (e.g. changes in the frequency of extreme events or disturbances; changes in the timing of phenological events). This implies that sampling regimes may not be the same throughout large geographical areas (e.g. from north to south Europe) and creates the need to keep the sampling regimes under review. Spatial scales can be addressed from a variety of perspectives. For instance, although a network of sites based upon local or national requirements for policy data can be used for European scale objectives, the reverse is not necessarily true. This is because precision of data is related to the density of sampling, and the density of sampling is related to the population to be sampled. For example: the 16x16 km grid of the Level I forest condition survey of the EC-UN/ECE was designed to provide data at the European level, but it is acknowledged that it cannot provide data with sufficient precision at the national level (Köhl et al., 1994b). It follows, that 32 Marco Ferretti integration across geographical scales should be specified as an important design feature. It could be best achieved by modelling (Bricker and Ruggiero, 1998) and/or by adequate statistical perspective (see below). This is also true when the monitoring sites are costy as it is in intensive/integrated monitoring (thus preventing high spatial resolution) and/or are already installed (as in the case of the existing M&R sites), and the design have limited chances to have a strong impact the sampling density. Spatial scale are also relevant for the site/plot design. It should be able to capture the variability at site level (Kuhel et al., 1995) and should account for relationship between e.g. size and diversity (Chiarucci et al., 2001). Obviously, this places different requirements according to the indicator being considered (e.g vascular plants or birds). A third question concern up-scaling, and it will be discussed later. 8.4.2 Objectives and Benefits at different Geographical scales The user benefits derived from participating sites within individual countries may be different from those specified for the European level. For instance, at a local level sites may form (i) a focus for associated environmental change research programmes such as those promoted by the International Long Term Ecological Research Network (ILTER), (ii) a focus for international exchange and training, and (iii) part of national or sub-national monitoring initiatives. This results in enhanced research opportunities, publicity and kudos. These benefits need to be identified and promoted when the network design becomes operational. 8.4.3 Statistical aspects An important issue related to the use of data collected at the site level is the statistical design underlying the programme. Although data from particular sites may have a broader relevance, as for example with monitoring sites installed near CO2 springs (Grace and Van Gardigen, 1997), more usually policy requires information at larger geographical scales (Olsen et al., 1999; Urquhart et al., 1998). Extrapolation from one scale to another needs safeguards (Pickett, 1991) and the extension from a site to a region always needs a statistical approach (Olsen et al., 1999). There is a wealth of literature about statistical aspects of field studies, especially about sampling design (e.g. Hurlbert, 1984; Eberhardt and Thomas, 1991; Cochran, 1977; Hagget et al., 1977; Deming, 1950). However, when the design must be based on existing sites the theoretical ideal is unlikely to be achieved. This issue has been addressed recently (Olsen et al., 1999; House et al., 1998; Summers and Tonnessen, 1998) and the use of “found” data (sensu Overton et al., 1993) together with probabilistic samples and combining information (meta-analysis) is currently a major challenge in environmetrics (Edwards, 1998; Overton et al., 1993). Figure 6 summarises aspects that should be taken into consideration when a statistical approach is needed to build-up a network based on existing infrastructure (Olsen et al., 1999). From a statistical point of view, it would be easier to combine existing sites if they were originally selected by probabilistic sampling (Olsen et al., 1999). However, most monitoring programmes are designed without either a probability sample, or experimental rigour (e.g. homogeneous sites randomly selected under different “treatment” condition, Köhl et al., 1994). Instead the ensemble of monitoring sites in Europe seems to form a series of case-studies selected by judgement sampling, the only exception being the Level I network for forest condition monitoring (e.g. Ferretti, 1999b). Given the requirements for representativity (equal and known probability of each element of the population to be sampled, independency Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 33 of the sampling, and casuality), in many cases current monitoring sites cannot be Statistical Perspective Primary characteristics Sample selection characteristics Funding agency Relation to target population Spatial detail Resource extent Field visits Target ecosystems Site selection criteria Design features Resource status & trend Satellite imagery Extent of coverage Inferential process Frequency of site visits Commodity production Aerial photography Objectives Population measure of uncertainty Sampling cycle Pollutants in media Auxiliary information Lenght of series Pollutants in species Historical records Details on data series Information characteristics Data sources Species structure Habitat condition Site characteristics ............... NoLIMITS/3 considered a statistically representative sample of their target ecosystems. FIGURE 6. Basic information needed for defining a statistical perspective aimed at integrating existing networks (based on Olsen et al., 1999).(After Parr et al., 2001). This statistical meaning of the term "representative" is somewhat different from the way the term is commonly used by many field ecologists to mean that the most important ecosystem types within an area are “represented” in the sample. Unfortunately, (Köhl et al. 1994a), “it is a bad mistake to fake representativity by spreading monitoring plots over a wide range of different conditions”. When the sample is not probabilistic, statistically-based inference is prohibited. Model-based inferences can be investigated, but they need a number of assumptions. In this context, the strength of the conclusions may be greater if the sampling sites can be arranged as replicates of an experiment (e.g. Köhl et al., 1994a; Koch et al., 1995; Price and Apps 1995; McLaughlin and Percy, 1999). The shortcoming of this option is that replicates are difficult or even impossible in the natural environment, “simply because every ecosystem is unique” (Innes, 1998). This creates the needs for modelling, research and improved data analysis to deal with different ecological systems (Price and Apps; Innes, 1998; Edwards, 1998; Adams et al., 1997; Bass and Brook, 1997). When possible, the combination of probabilistic sample with case studies selected by judgement sampling should be considered (Overton et al., 1993). Overton et al. (1993) consider two approaches: (i) use the data generated by the noprobabilistic data (found-data) to augment the size of the probabilistic sample, and (ii) use the probabilistic data to ncalibrate models based on found-data (Fig. 7). Marco Ferretti 34 Identify P-sample Yes Desired Attribute Present? Identify Found Data Set No Stratify into Subpopulations Stratify into Subpopulations Assign Found Sites Develop Calibration Rule Assign pseudoprobabilities Predict Attribute for P-sample Produce estimates Produce estimates Pseudo-random Methodology Calibration Methodology No Desired Attribute Present? Yes Site in P-sample frame? Yes Yes Desired attribute unique? No Discard Site No FIGURE 7. Scheme showing possible approaches to use data from monitoring networks that adopted different sampling strategy (after Overton et al, 1993). 8.5 DESIGN ISSUES RELATED TO OPERATIONAL ASPECTS 8.5.1 Site selection criteria: top-down or bottom-up? When a network is based on many different sites- and data-providers, the question arises whether the network should be created by a bottom-up or top-down approach. Top-down design has the advantage of a network fully in line with the objectives of the programme, in terms of site location, indicators and measurements. However, funding for a fully operational network based on a top-down model will be difficult to justify in the absence of proven benefits. Some of these benefits may be demonstrated by initially adopting a bottom-up approach (perhaps based initially on a small number of sites) to make best use of the available resources. In this paper, a combination of top-down and bottom-up approach is suggested. Site selection criteria should be expressed from the top, whereas suggestions for candidate sites that meet the criteria should come from the bottom. Requirements should include ecological attributes (type of ecosystem), location (geographical, in relation to a given stressor) and measurement attributes (measurement already covered, protocols used, time series available). These requirements should be prioritized. For the existing programmes, it would result in a post-hoc stratification: for a new network it will result in an ad-hoc stratification. Secondly, existing organizations may nominate sites that meet the requirements. At the same time, steps should be undertaken to develop methods for integrating information collected at sites selected with a different approach (e. g. probabilistic sample, case studies: Olsen et al., 1999; Overton et al., 1993). Third, gaps Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 35 (e.g. environmental scenarios or ecological situations not covered by existing networks) could be filled by complementing and/or supplementing existing sites from other networks. This will minimise costs by reducing the need to set-up new sites. The selection could be best done by investigating in detail the existing programmes and defining their ecological and geographical coverage, and statistical design (Fig. 8). For example, when looking at the distribution of the ICP-Water sites, considerable gaps are obvious for East, South and West Europe (Skjelvåle and Ulstein, 1998). However these areas are well covered by the EC-UN/ECE forest monitoring programme (EC-UN/ECE, 1999) and in some cases by the UN/ECE ICP on Integrated Monitoring (Kleemola and Forsius, 2000). There are clear connections between the measurements carried out in all three programmes, since investigations about acidification of water (concern of the ICP-Water) will benefit from knowledge about depositional inputs (measured at the forest and IM sites). The designers must then decide whether a gap would be best covered by supplementing a thematic network with new sites, or by additional measurements at a site in another network. User Needs (user requirements) Environmental scenarios Ecosystems of interest Monitoring & Research Sites (define attributes of the scenario) (define attributes) (Identifiy providers) Scenario X, regions J: M&R Sites + Ecosystem Type (define different region for the scenario of concern: e.g. intensity of predicted occurrance, likelyhood of change) (identify M&R sites within each ecosystem type) Mapping Mapping (locate scenario regions of concern) (locate the sites) Potential Providers: Monitoring Networks Potential Providers: Research Networks Merge Scenarios and M&R Sites Identify what is in and what is out Selection of Sites Ecosystem sensitivity Sample selection Spatial coverage Indicator/Measurements Provider Needs (sentinel sites) (p-sample + case studies) (Avoid duplication/allow integration) (Identify improvement areas) (Willingness/Feedback FIGURE 8. Conceptual model to develop operational aspects of network design. (After Parr et al., 2001). 9. INTEGRATION IN ECOSYSTEM MONITORING: HARMONIZATION OF MEASUREMENTS, QUALITY ASSURANCE, MANAGEMENT. 9.1 HARMONIZATION AND QUALITY ASSURANCE Harmonization of measurement methods and Quality Assurance (QA) are central when starting to think to integration between programmes and networks. For example, there is already a great deal of overlap between existing monitoring programmes in terms of the measurements made by different networks. Table 6 shows the overlap between measurements taken by the Level II forests, the UN/ECE Marco Ferretti 36 programme on integrated monitoring (ICP IM 1998) and the UK Environmental Change Network (ECN) (Sykes & Lane 1996, Sykes et al 1998). The first two of these are international networks examining pollution effects on forests. The third, ECN, is a national monitoring network established to detect and interpret the impacts of global climate change on terrestrial and freshwater systems. It is relevant to general issues of environmental change across a range of habitats including the impacts of environmental pressures such as atmospheric pollution and land use change on ecosystems, soils, water, and biota. Table 6 shows that pollution impacts networks have many measurements in common with a network designed to address more general questions related to the impacts of global change.is an organized group of activities aimed at ensuring that the final product will meet the needs of its users (Cline and Burkman, 1989). TABLE 6. Main measurement categories carried out within three integrated monitoring programs in Europe. In brackets: optional measurement according to EC regulations. (After Ferretti et al., 2001). Programma EC UN/ECE Level II Forest Monitoring UN/ECE Integrated Monitoring Program UK Environmental Change Network Scopi Monitoraggio effetti inquinamento atmosferico sulle foreste Superficie limitata, in genere 0.025 km2 Monitoraggio effetti inquinamento atmosferico su ecosistemi terrestri e di acqua dolce Aree idrologicamente definite, 0.1-1 km2 Identificazione di tendenze relative ai cambiamenti ambientali Aree eterogenee (diverso uso del suolo), 1-200 km2 preferenziale preferenziale preferenziale + (+) + + Tipo di sito di monitoraggio Selezione del sito Categorie di misurazioni Vegetazione Condizioni degli alberi Fitopatologia Chimica delle foglie Chimica della lettiera Chimica dei muschi Accrescimento alberi Copertura specie Epifite Alghe verdi aeree Fenologia alberi Invertebrati Vertebrati Suolo Descrizione Chimica fase solida Chimica soluzione circ. Decomp. microbica Chimica atmosfera Deposizioni all’aperto Deposizioni sotto chioma Deposizioni lungo il tronco Inquinanti gassosi Idrologia Deflussi Chimica acque ruscell. Chimica acque superf. Idrobiologia Meteorologia Manuale di riferimento + + (+) + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + (+) + + BFH, 1998 + + + + ICP-IM, 1998 solo NO2 + + + Sykes and Lane, 1996 QA covers many aspects (e.g. Cline and Burkman, 1989; Shampine, 1993), from the design of the programme to the data management and reporting (Ferretti, 1997), Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 37 helps in identifying issue related to harmonization between measurements and is therefore crucial for the success of an environmental monitoring programme (Table 7). TABLE 7. QA activities, areas of concern and related benefits (after Cline ande Burkman, 1989; Innes, 1993). Activity and areas of concern Quality Management Proper design Benefit Considers if the right questions are being asked Allows comparability classifications Identifies critical measurements variables Considers data users’ needs Evaluates numbers and representativenness Partitions sampling and measurement error Judges correctness Record design process Achieves data quality requirements Planning Models Definition of data quality requirements Relevant samples Error structure Peer evaluation and review Documentation Implementation of QA programme Quality Assurance Data quality objectives Aids method selection Use of standard Allows quality control and evaluation Use of standard operating procedures (SOPs) Provides consistent use of method with known data quality Verification and validation Documents sample integrity and data consistency Documentation Provides evidence of activities and quality Quality Control Evaluation samples Basis for statistical control Training and use of SOPs Promotes statistical control Precision determinations Defines random variation and allows accuracy assessment Calibration Reduces or eliminates bias Control charting Documents statistical control Quality Evaluation Use of standards Allows precision and accuracy determinations Replication Provides ongoing evaluation Blanks Monitors contamination Inspections and audits Provides objective evaluation and basis for comparability In Europe, more emphasis tends to be placed on the Quality Control phase of QA rather than on the design phase. For example, the forest monitoring programmes in Europe under the auspices of the CLRTAP have a surprisingly poor design: no attention has been paid to sampling design for the extensive survey or the intensive monitoring. This is a major weakness, which is likely to remain and affect future results (Ferretti, 1999a, b). Quality Control ensures the comparability of the results from different sites and the reproducibility of data collected by different observers. It is primarily concerned with measurement procedures, precision and accuracy. It is usually easier to agree on what should be measured than on how measurements should be made. This is particularly true of biological measurements related to soil, vegetation and fauna for which there are many different "standard" protocols (e.g. Sykes and Lane, 1996; BFH, 38 Marco Ferretti 1998; Tallent-Halsell, 1994). The comparability of data collected by non-standard methods can be documented if inter-calibration exercises are performed, thus providing the basis for improvement. Examples of this have been developed for comparing different land cover and vegetation classifications (e. g. Krynitz and Bergström, 1999), performance of different field crews in tree condition assessment and the results obtained by different labs in water and foliar analysis (e.g Bartels, 1998; Ferretti et al., 1995; Hovind, 1998; Raddum, 1998). Failure to harmonise methodologies may make geographical/spatial comparison impossible. This is particularly important for investigations aiming to generate regionally representative results and/or to compare data from ground investigations at site level with those generated by an objective technique as remote sensing at European/global level. The situation is different for temporal trends, when consistency of methods through time is more important than spatial comparability. Furthermore, post-hoc harmonising of methods at all sites may disrupt existing long-term time series. This issue is prominent in long-term monitoring where methods are likely to change not only between sites but also as a consequence of methodological advancements. Other sources of inconsistency could be caused by changes in: personnel, external conditions, issues, measurement locations, spatial coverage, and measurement frequency (Beard et al., 1999). As a general rule it is probably better to retain existing methods at sites with existing long-term measurements to maintain data integrity but to instigate procedures designed to evolve towards the adoption of harmonised methods. This must include the use of inter-comparability studies of methods (Bricker and Ruggiero, 1998) and rigorous maintenance of methodological meta-data and quality assessment of measurement data. Where possible, samples should be archived for possible future analysis using new and evolving techniques. When a network is to be based on existing sites, formal procedural QA (e.g. Shampine, 1993) must also be considered with respect to (i) the selection and review of network sites; (ii) data collection, coordination and validation; (iii) data analytical processes; (iv) data access and delivery; (v) a reporting system. 9.2 DATA MANAGEMENT Managing scientific information is increasingly important and difficult (Stafford, 1993, Michener and Brunt 2000). It is therefore crucial that monitoring programmes identify formal procedures for managing their data. It should be clear how data are to be: used, stored, validated, processed, accessed and delivered. Timely data analysis will also help to identify problems quickly and to prevent repeated errors (Lane, 1998). All aspects of data management, from collection in the field to delivery in reports, should be defined and agreed in the QA plan. However, when the core of a new monitoring programme consists of existing networks, it is essential to establish rules concerning all the above issues (IGOS, 1999). Although it is imperative that existing networks retain their own management systems, we should also acknowledge that steps towards a European network of integrated monitoring sites will develop common standards, data directories and data descriptions (Hale et al., 1998). This is desirable as it will help users to locate, understand, access and download data of interest. Although considerable experience is already available (Stafford, 1993), it should be recognised that developing a common system will not be easy, as some programmes may find it difficult to comply. For example, the European intensive Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 39 forest monitoring programme has strict rules and well defined protocols for data submission, with ad-hoc software for checking data completeness and plausibility (EC and UN/ECE, 1998). An issue here is the time lag between when data are collected and processed: for example, submission of field data from 1996 was not required until the end of 1997 and was therefore not validated and processed until 1998. This emphasises the need for timely data. 9.3 NETWORK MANAGEMENT To properly design and manage a monitoring network a continuous feedback is needed between society, policy and science and a framework is needed to ensure that the generation of good products is not blocked due to data and information constraints (IGOS, 1999). To achieve this, a consensus on network management should be achieved at an early stage of the design process (see Section 4.2). This is important for many reasons related to the issues of Figure 1, but of particular importance is the need for a commitment to allow operational steps to be taken. Although it is not easy to predict how the new network would be managed, whenever an activity involves many partners with different needs and background, there is a need for a coordinating structure (e.g. the UN-ECE ICPs). For a network involving existing programmes, coordination activities will be even more important because (i) the operational aspects of the design process needs a number of contributors; (ii) data providers would be many, each with different concern and rules and (iii) early consideration needs to be given to data management issues and these are likely to be complex. 10. CONCLUSIONS Ecosystem monitoring is central to provide early warnings about environmental changes and to support or refuse management decision. Just like pure research, to be succesfull, monitoring should be based on robust design, and robust design implies field ecologists, modelists and statisticians to work close. This is particulary true when the operational perspective changes from small- to large-scale, from short- to long-term, from single to integrated measurements and from individual sites to networks and to to networks of networks. However, long-term monitoring programmes may only survive if they can demonstrate all the added value components that derive from different levels of integration. In practice, integration and networking are hampered by practical and institutional problems that result in the design process being dominated by short-term local considerations rather than long-term regional considerations. Improved networking on a pan-European scale would provide for more cost-effective use of long-term data and a more powerful data and information source to enable the earlier detection of environmental change. Some of the issues have been discussed in the paper in relation to the design of panEuropean ecological monitoring network based on existing sites. But these issues are also relevant when establishing smaller local monitoring programmes. In both cases, monitoring programmes may need to address multiple objectives, be flexible enough to address new questions as they arise and be networked with other programmes if they are to survive in the long-term. 40 Marco Ferretti REFERENCES AND FURTHER READINGS Adams D.C., Gurewitch J., Rosenberg M.S.: 1997, ‘Resampling test for meta-analysis of ecological data’. Ecology, 78 : 1277-1283. Agnoletti M., Innocenti M.: 1999, ‘Sulla presenza della farnia in alcuni boschi planiziari della costa toscana nel XVIII secolo’. 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La Direttiva Quadro 96/62/CE (recepita in Italia dal D.Lgs. n° 351 del 04/08/99) e le Direttive Figlie 99/30/CE e 00/69/CE puntano alla razionalizzazione dei punti di campionamento mediante l’individuazione dei criteri di posizionamento su macroscala e microscala delle stazioni di monitoraggio e alla definizione dei nuovi inquinanti per i quali si rende necessaria la misura (metalli pesanti, composti organici volatili). Oltre a ciò occorre tener conto del documento dell’Agenzia Ambientale Europea “Criteria for Euroairnet” (febbraio 1999), nel quale viene indicata la metodologia per la realizzazione della Rete Europea di Rilevamento della Qualità dell’Aria (EUROAIR-NET). Parallelamente l’ottimizzazione della rete della qualità dell’aria del Veneto dovrebbe consentire una razionalizzazione delle spese di gestione, oltre che garantire un livello di qualità dei servizi erogati più elevato rispetto a quello attuale. Nel 1999 è stata effettuata, ad opera del Centro tematico Nazionale Atmosfera Clima ed Emissioni, una ricognizione delle reti di monitoraggio della qualità dell’aria presenti nel Veneto; durante lo scorso anno sono stati raccolti i metadati (tipo di stazione, tipo di zona, coordinate geografiche, ecc.) è stato verificato il microposizionamento di tutte le centraline della Regione. Entrambe le iniziative hanno portato alla luce le numerose problematiche che la rete di rilevamento della qualità dell’aria presenta, ossia: Difficoltà di armonizzazione dei metodi di rilevamento e frammentarietà di gestione; Eccessiva presenza di siti di misura nei centri urbani; Difficoltà a mantenere in qualità un numero elevato di stazioni; Problematiche di microposizionamento delle centraline (rappresentatività limitata); Mancanza di copertura di tutto il territorio regionale; Ridondanze nel rilevamento di alcuni inquinanti (SO2, PTS) e carenze nel rilevamento di altri (PM10, benzene, O3). La rete fissa di rilevamento della qualità dell’aria del Veneto è attualmente costituita da 60 stazioni, 31 di traffico e 29 di fondo, distribuite come indicato in Tabella 1. Tabella 1 Configurazione dell’attuale rete di monitoraggio della qualità dell’aria del Veneto. Provincia PADOVA VERONA VICENZA VENEZIA BELLUNO ROVIGO TREVISO TOTALE REGIONE Stazioni di traffico 5 7 4 9 3 1 2 31 Stazioni di fondo 3 4 7 7 0 5 3 29 Totale 8 11 11 16 3 6 5 60 Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 57 Risulta subito evidente l’elevato numero di stazioni di traffico nelle reti di Verona e Venezia e l’assoluta mancanza di stazioni di fondo nella rete di Belluno. Oltre alle stazioni della rete fissa ogni Dipartimento è dotato di mezzi mobili (Tabella 2) utilizzati per la realizzazione di campagne specifiche su tutte le parti del territorio regionale. Tabella 2 Dotazione dei mezzi mobili presenti nei Dipartimenti ARPAV Provinciali. Provincia Mezzi mobili PADOVA 2 VERONA 2 VICENZA 1 VENEZIA 3 BELLUNO 1 ROVIGO 0 TREVISO 1 TOTALE REGIONE 10 La figura 1 illustra la dislocazione delle centraline sul territorio regionale: alcune zone risultano completamente “scoperte” (fascia alpina, fascia prealpina, area del Garda e del Veneto Orientale, altre invece, come ad esempio le aree urbane di Mestre, Padova, Verona e Vicenza presentano un numero eccessivo di siti di misura. Figura 1. Copertura del territorio della rete di monitoraggio della qualità dell’aria attualmente esistente. A. Benassi ,G .Marson,F. Liguori, K. Lorenzet, P.Tieppo 58 Le Direttive Figlie 99/30/CE, 00/69/CE forniscono delle indicazioni per la determinazione del numero minimo di siti di misura. In particolare, l’allegato VII della Direttiva 99/30/CE individua i criteri per stabilire il numero minimo di punti di campionamento per la misurazione fissa di SO2, NO2, NOx, PM10 e piombo, al fine di valutare la conformità ai valori limite concernenti la protezione della salute e le soglie di allarme. La determinazione del numero minimo dei siti di misura viene effettuata sulla base delle fonti di inquinamento da considerare, distinte in “fonti diffuse” e “fonti localizzate”. Fonti diffuse Popolazione dell’agglomerato (in migliaia) Se le concentrazioni superano la soglia di valutazione superiore Se le concentrazioni massime si trovano tra la soglia di valutazione superiore e inferiore 0 – 250 1 1 Negli agglomerati dove le concentrazioni massime sono al di sotto della soglia di valutazione inferiore Non applicabile 250 – 500 2 1 1 Nel caso della Regione Veneto supponiamo che, per quanto riguarda la prima fascia (0 – 250.000 abitanti) si superi la soglia di valutazione superiore, il cui valore è indicato nella stessa Direttiva, soltanto negli agglomerati di Treviso, Belluno, Rovigo e Vicenza; avremo quindi una stazione per ciascuna di queste città. Per quanto riguarda, invece, la seconda fascia (250.000 – 500.000 abitanti), alla quale appartengono Verona, Padova e Venezia dovremmo considerare due stazioni per città. Complessivamente,per valutare l’inquinamento da fonti diffuse, dovremmo ipotizzare la presenza di 10 stazioni. Fonti localizzate Per valutare l’inquinamento dovuto a fonti puntuali, si dovrebbe calcolare il numero minimo di punti di campionamento, tenendo conto del tipo di emissione, della probabile distribuzione dell’inquinamento e dell’esposizione della popolazione. Non vengono quindi stabiliti dei criteri specifici, ma vengono forniti solo alcuni suggerimenti. Per la determinazione del numero minimo di punti di campionamento al fine della valutazione della conformità ai valori limite per la protezione degli ecosistemi, la Direttiva stabilisce i criteri sottoriportati. Se le concentrazioni massime Se le concentrazioni massime si situano superano la soglia di valutazione tra la soglia di valutazione superiore e superiore inferiore 1 stazione per 20.000 km2 1 stazione per 40.000 km2 In questo punto, tuttavia, la Direttiva non è chiara, perché non spiega dove vadano valutate le concentrazioni massime alle quali si fa riferimento. In ogni caso, tenendo presente che la superficie del Veneto è di poco superiore ai 20.000 km2, si tratterebbe Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 59 di aggiungere un ulteriore sito per un totale di 11 stazioni, senza tener conto dei siti da impiegare per la valutazione dell’inquinamento da fonti diffuse. Indicazioni analoghe sono fornite per stabilire il numero minimo di punti di campionamento per la misurazione delle concentrazioni di benzene e monossido di carbonio ai sensi della Direttiva 00/69/CE . Viene fissato soltanto il numero minimo dei punti di campionamento onde valutare la conformità ai valori limite concernenti la protezione della salute umana, non anche per la valutazione dell’esposizione degli ecosistemi. Anche in questo caso viene effettuata la distinzione in fonti diffuse e in fonti localizzate. Fonti diffuse Popolazione dell’agglomerato (in migliaia) 0 – 250 250 – 500 Se le concentrazioni superano la soglia di valutazione superiore 1 2 Se le concentrazioni massime sono situate tra la soglia di valutazione superiore e inferiore 1 1 Supponendo, analogamente al caso precedente, che il superamento della soglia di valutazione inferiore si presenti nelle quattro città capoluogo (Vicenza, Belluno, Treviso e Rovigo) e che il superamento della soglia di valutazione superiore si manifesti solo nelle altre tre città Verona, Padova e Venezia, si calcolerebbero 10 stazioni. Fonti localizzate Non vengono forniti criteri specifici, suggerendo, anche in questo caso, uno studio sulla tipologia delle emissioni, sull’esposizione della popolazione. Le due Direttive Figlie si riferiscono a due gruppi distinti di inquinanti. La 99/30/CE individua il numero minimo di campionamento per la misurazione di SO2, NO2, NOX, PM10 e Piombo, mentre la 00/69/CE individua il numero minimo di punti di campionamento per il CO e il C6H6. Poiché per comodità e per economia di costi si ipotizza che i punti di campionamento siano localizzati all’interno delle centraline e quindi siano gli stessi per tutti gli inquinanti, si dovrebbero considerare 11 stazioni certe, più un numero, da definire, per la valutazione dell’inquinamento da fonti localizzate. C’è da tenere presente, inoltre, che non è ancora stata emanata la Direttiva Figlia inerente l’ozono (attualmente solo in fase di bozza), nella quale vi saranno delle indicazioni in merito alla determinazione del numero minimo dei punti di campionamento per la misurazione dell’ozono. In questo caso i criteri per la definizione di tali siti saranno un po’ diverse, data la natura dell’ozono, inquinante secondario e di comportamento caratteristico. In realtà nello studio svolto non siamo partiti dal numero di stazioni indicato dalla normativa, ma da quelle esistenti, approfondendo l’analisi del territorio (zone oroclimatiche, aree protette), delle pressioni (impianti produttivi, strade e autostrade), 60 A. Benassi ,G .Marson,F. Liguori, K. Lorenzet, P.Tieppo della distribuzione della popolazione. Da tutto ciò, valutando anche il microposizionamento delle stazioni esistenti e tenendo presente la necessità di copertura di tutto il territorio regionale, siamo arrivati alla formulazione di due configurazioni, una a 34 stazioni e una a 27 stazioni. Quest’ultima rappresenta la configurazione più essenziale possibile per la nostra Regione, altrimenti si rischierebbe di perdere una notevole quantità di informazioni. Le indicazioni presenti nelle Direttive citate riguardano solo il numero minimo dei siti di misura, mentre pochi suggerimenti vengono forniti per la determinazione della configurazione completa di una rete. Le indicazioni sono quindi del tutto generali e dovrebbero poi essere calate nelle diverse realtà. E’ possibile, ad esempio, che la tipologia del paesaggio e la struttura di alcuni paesi europei, si pensi ad esempio alla Svezia o alla Norvegia, sia tale da non richiedere un elevato numero di siti di misura come ad esempio in Italia, dove la struttura morfologica, le condizioni climatiche, la distribuzione della popolazione e delle pressioni (impianti produttivi, strade) sono tutt’altro che omogenee. In questo senso l’analisi svolta rappresenta un approfondimento rispetto a quanto espresso dalla normativa, approfondimento che le Direttive stesse suggeriscono di concretizzare e soprattutto si pone come uno lavoro specifico per il Veneto, basato sullo studio del territorio della nostra Regione. La metodologia seguita per la realizzazione dell’indagine è stata così caratterizzata: Esame dello stato attuale; Caratterizzazione del territorio regionale in termini di pressione e vulnerabilità; Proposta di nuova configurazione: determinazione dei servizi erogabili, dei relativi costi e di alcuni indicatori di rappresentatività della nuova rete. 2. ESAME DELLO STATO ATTUALE Il lavoro è iniziato con il censimento di tutte le centraline del territorio regionale; tramite un questionario compilato a cura dei gestori si è verificato il livello di qualità raggiunto da ciascuna rete. In seguito l’Osservatorio Aria si è occupato di visitare ogni stazione della rete, della raccolta dei metadati e di documentazione (foto del sito, mappe georeferenziate, ecc.) al fine di verificarne il microposizionamento secondo quanto espresso dalle Direttive CE. Ogni stazione è stata classificata in base ai criteri forniti dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, ossia è stato descritta la tipologia della stazione, il tipo di zona secondo la classificazione riportata in Tabella 3. Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 61 Tabella 3 Classificazione delle stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria (da “Criteria for Euroairnet”, febbraio 1999). TIPO DI STAZIONE Traffic (T) Industriale (I) Background (B) TIPO DI ZONA Urbana (U) Suburbana (S) Rurale (R) CARATTERISTICHE DELLA ZONA Residenziale (R) Commerciale (C) Industriale (I) Agricola (A) Naturale (N) Residenziale/Commerciale (RC) Commerciale/Industriale (CI) Industriale/residenziale (IR) Residenziale/Comm/Ind (RCI) Agricola/Naturale (AN) Per le stazioni di traffico sono state raccolte le indicazioni sulla tipologia della strada (canyon, strada ampia) e l’ammontare del traffico circolante (< 2000 v/g, tra 2000 e 10000 v/g, > 10000 v/g). Infine sono state raccolte le coordinate geografiche (latitudine, longitudine) e l’altimetria di ogni sito di rilevamento. Già in questa prima fase si è verificato che una buona parte delle stazioni visitate non soddisfacevano ai requisiti di microposizionamento indicati nella Direttiva 99/30/CE e pertanto non risultavano rappresentative ai fini del monitoraggio dell’inquinamento atmosferico. 3. CARATTERIZZAZIONE DEL TERRITORIO REGIONALE IN TERMINI DI PRESSIONE E VULNERABILITÀ Il territorio è stato caratterizzato dal punto di vista delle pressioni e delle vulnerabilità. La figura 2 rappresenta le informazioni raccolte in merito alle pressioni; sono riportati gli insediamenti produttivi principali della regione, insieme alle strade statali e alle autostrade. Parallelamente è stato fatto uno studio sui recettori di tali pressioni, ossia: La popolazione Le aree protette gli ecosistemi e le colture Il patrimonio artistico 62 A. Benassi ,G .Marson,F. Liguori, K. Lorenzet, P.Tieppo Figura 2 Le pressioni presenti sul territorio regionale. La figura 3 mostra come il Veneto sia caratterizzato da un insediamento di tipo diffuso, distribuito su tutta la parte centrale del territorio, diversamente da quello che succede in altre regioni, come l’Emilia e la Lombardia, dove la maggior parte della popolazione è concentrata nei centri urbani e nelle zone immediatamente circostanti. Figura 3 Densità abitativa nella regione Veneto. Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 63 La popolazione presente negli agglomerati urbani con più di 200.000 abitanti è poco più del 15 %, mentre circa il 40 % della popolazione totale, risiede nei comuni con meno di 10.000 abitanti. E’ fondamentale, secondo la normativa comunitaria in vigore e in base ai criteri individuati dall’Agenzia Europea dell’Ambiente, che le stazioni di monitoraggio siano posizionate in modo da essere effettivamente rappresentative della distribuzione della popolazione. Nella configurazione attuale della rete, invece, i centri urbani risultano fin troppo monitorati e ciò a scapito dei centri più piccoli, o meglio della popolazione che vi risiede. Il grafico 1 evidenzia come le stazioni della Rete di Controllo della Qualità dell’Aria del Veneto siano distribuite con un criterio che non segue la distribuzione della popolazione. Distribuzione della popolazione regionale e delle stazioni in classi di abitanti (configurazione esistente) 45 % popoalzione sul totale % centraline sul totale 40 35 30 % 25 20 15 10 5 0 >200.000 ab. 100.000-200.000 50.000-100.000 20.000-50.000 10.000-20.000 < 10.000 Comuni Grafico 1 Distribuzione della popolazione e delle stazioni attualmente esistenti rispetto alle classi di abitanti. Più del 30 % delle stazioni sono situate nei comuni con più di 200.000 abitanti, comuni nei quali risiede solo il 15 % della popolazione totale regionale. Anche i comuni con popolazione tra i 20.000 e i 50.000 abitanti risultano troppo monitorati, mentre invece nei comuni con meno di 10.000 abitanti, dove risiede più del 40 % della popolazione totale è presente solo l’8 % del totale delle stazioni. L’altro criterio da tenere presente nella scelta dei siti di misura è la salvaguardia delle aree protette e delle colture. La figura 4 riporta le colture tipiche della regione (vigneti e coltivazioni a mais e frumento) insieme alla descrizione delle aree protette (parchi regionali, nazionali, zone a protezione speciale). 64 A. Benassi ,G .Marson,F. Liguori, K. Lorenzet, P.Tieppo Figura 4 Aree protette e colture principali della regione. Distribuzione dei monitor di ozono nella rete attualmente esistente. Al fine di determinare anche l’esposizione di questi recettori, è necessario avere a disposizione un certo numero di stazioni di fondo, oltre a quelle già presenti, che non sono posizionate in luoghi rappresentativi. Le aree più delicate risultano in realtà prive di monitoraggio, nonostante il così elevato numero di siti di misura. Ad esempio l’area del bellunese, ricca di parchi e zone montane di particolare interesse (laghetti alpini, vegetazione di muschi e licheni) risulta dotata di tre sole stazioni, tutte posizionate in prossimità di strade con traffico rilevante e quindi non adatte per la determinazione di inquinanti secondari come l’ozono. Un discorso analogo vale per il Polesine e la Laguna Veneta, altre due aree di interesse per gli ecosistemi presenti. Per la determinazione dell’effetto che l’inquinamento può produrre su tali ecosistemi è necessario individuare dei siti che siano di fondo e soprattutto stabilire quali parametri monitorare. Alcuni tipi di coltivazioni (vigneti, frumento) e di vegetazioni risultano sensibili all’ozono, inquinante secondario, caratteristico perché viene principalmente prodotto nei centri urbani e viene poi diffuso a seconda dei venti presenti e delle condizioni meteorologiche anche in zone molto distanti dal luogo in cui è stato prodotto. In base a queste considerazioni e alle informazioni raccolte, si è visto che effettivamente esistono delle zone del territorio regionale (zona pedemontana, Polesine, zona centrale in prossimità dei colli Euganei e Berici), dove è probabile l’accumulo di ozono. Proprio in queste zone dovranno essere presenti delle stazioni di monitoraggio e particolare attenzione dovrà essere dedicata alla misura dell’ozono. Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 65 La figura 4 mostra come sono distribuiti i monitor di ozono nella configurazione attuale della rete di rilevamento della qualità dell’aria. Una valutazione simile dovrebbe essere effettuata prendendo in considerazione l’altro recettore, il patrimonio architettonico ed artistico (monumenti, palazzi, ville, chiese, ecc.), continuamente sottoposto al deterioramento da parte di agenti corrosivi presenti in atmosfera, come ad esempio gli ossidi di azoto (NOx), l’anidride solforosa (SO2) e l’ozono stesso (O3). Facendo un ragionamento analogo a quanto fatto per gli ecosistemi, occorrerebbe verificare se nelle aree di maggior interesse vi sia un controllo di tali parametri. 4 PROPOSTA DI NUOVA CONFIGURAZIONE Il lavoro svolto ha portato alla redazione di due proposte di configurazione della rete di controllo della qualità dell’aria del Veneto: Una proposta di base (ipotesi A) ponderata per il raggiungimento degli obbiettivi descritti (protezione della popolazione, degli ecosistemi e del patrimonio artistico) Una proposta di minima (ipotesi B) finalizzata principalmente al rispetto della normativa di riferimento e definita per essere realizzata qualora si mirasse ad una configurazione più essenziale possibile. La configurazione di base (ipotesi A) è costituita da un totale di 34 stazioni, di cui 7 di tipo “Hot spot”, situate nelle principali aree metropolitane e in centri rappresentativi di medie e piccole dimensioni e 27 stazioni di “Background”, delle quali 6 collocate in aree urbane, 8 in aree suburbane, 13 in aree con vocazione agricola e naturale (Tabella 4). La figura 5 rappresenta come sarebbero distribuite le stazioni nella configurazione di base della rete (ipotesi A). In rosso sono riportate le stazioni che verrebbero mantenute dalla vecchia configurazione, in blu le nuove stazioni da inserire in luoghi attualmente completamente scoperti (Ponte nelle Alpi, Cerro Veronese, Colli Euganei, Oderzo, Asiago), in celeste le stazioni della ex-rete EMEP. Figura 5 Distribuzione delle stazioni di monitoraggio sul territorio regionale nella proposta di configurazione della rete di controllo della qualità dell’aria (ipotesi A). 66 A. Benassi ,G .Marson,F. Liguori, K. Lorenzet, P.Tieppo Tabella 4 Proposta di configurazione per la Rete Regionale di controllo della qualità dell’Aria del Veneto. Provincia BL BL BL BL VR VR VR VR VR VE VE VE VE VE PD PD PD PD PD TV TV TV TV TV RO RO RO RO RO VI VI VI VI VI Stazione di misura Belluno La Cerva Ponte nelle Alpi Pez Monte Chertz Verona San Giacomo Bovolone Verona Cason Cerro Veronese San Bonifacio Venezia Parco Bissuola Venezia Sacca Fisola Mestre Via Circonvallazione Brussa Chioggia Padova Arcella Mandria Campodoro Carrara S. Stefano Colli Euganei Cesen TV Sauro Vittorio Veneto Castelfranco (EMEP) Zona del mobile Villafora Porto Tolle Borsea Rovigo Castelnuovo Bariano Vicenza Viale Milano Vicenza Q. Italia Bassano Schio Asiago Valenza “Hot spot” “Background” “Background” “Background” “Hot spot” “Background” “Background” “Background” “Background” “Background” “Background” “Hot spot” “Background” “Background” “Hot spot” “Background” “Background” “Background” “Background” “Background” “Background” “Hot spot” “Background” “Background” “Background” “Background” “Background” “Hot spot” “Background” “Hot spot” “Background” “Background” “Background” “Background” Natura del territorio Urbana Sub-urbana Rurale "near-city background" Rurale “Regional” Urbana Urbana Rurale "near-city background" Rurale "near-city background" Sub-urbana Urbana Urbana Urbana Rurale "near-city background" Sub-urbana Urbana Sub-urbana Rurale "near-city background" Rurale "near-city background" Rurale "near-city background" Rurale "near-city background" Urbana Urbana Rurale "near-city background" Rurale "near-city background" Rurale "near-city background" Sub-urbana Sub-urbana Urbana Sub-urbana Urbana Urbana Urbana Urbana Rurale "near-city background" Particolarmente interessante è la rivalutazione dei siti della rete EMEP, stazioni che erano impiegate per la misura delle piogge acide, attualmente non più utilizzate a questo scopo. I siti di misura, tutti di fondo, per lo scopo per il quale erano state costruite, rivestono un rilevante interesse anche ai nostri fini, in particolare per la determinazione dell’esposizione della vegetazione, colture, ecc, all’inquinamento da ozono. Nella nuova configurazione, le stazioni di “Hot-spot” e di “Background” urbano e suburbano sono orientate principalmente alla valutazione dell’esposizione della popolazione nelle 4 aree urbane e su base statistica per tutta la popolazione regionale Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 67 e del patrimonio artistico, con particolare attenzione agli inquinanti di tipo primario (NO, CO, SO2, PM10, benzene). Le stazioni di “Background” sono utilizzate invece per la ricostruzione su base geostatistica dei livelli di concentrazione di inquinanti secondari, essenzialmente ozono, per la valutazione dell’esposizione della popolazione, delle colture, delle aree protette e del patrimonio artistico. Osserviamo come si modifica il grafico della distribuzione della popolazione in rapporto alla distribuzione delle stazioni di monitoraggio, passando dalla vecchia (grafico 1) alla nuova configurazione (grafico 2). Distribuzione della popolazione regionale e delle stazioni in classi di abitanti (nuova configurazione) 45 % popolazione sul totale % centraline sul totale 40 35 % 30 25 20 15 10 5 0 >200.000 ab. 100.000200.000 50.000100.000 20.00050.000 10.00020.000 < 10.000 Comuni Grafico 2 Distribuzione della popolazione e delle stazioni di monitoraggio nella nuova configurazione della rete di monitoraggio del Veneto. E’evidente che, sia per quanto riguarda i comuni con più di 200.000 abitanti che per quanto riguarda i comuni con meno di 10.000 abitanti, le differenze tra gli istogrammi della popolazione e quelli delle stazioni risultano molto ridotti, quindi la nuova configurazione è effettivamente più rappresentativa della distribuzione della popolazione. Parallelamente migliora la situazione per quanto riguarda la valutazione dell’esposizione degli ecosistemi. La figura 6 rappresenta la distribuzione dei monitor di ozono nella nuova configurazione e va confrontata con la figura 4, rappresentativa, invece della vecchia configurazione. Si nota un incremento della misura dell’ozono nelle zone effettivamente a rischio e una riduzione dei monitor nelle stazioni di “Hot spot” (centri urbani delle aree metropolitane), dove la misura di tale parametro è inutile, dal momento che l’ozono viene parzialmente trasformato in ossigeno ad opera dell’ossido di azoto prodotto dal traffico urbano. 68 A. Benassi ,G .Marson,F. Liguori, K. Lorenzet, P.Tieppo Figura 6 Distribuzione dei monitor di ozono nella configurazione proposta per la rete di controllo della qualità dell’aria. Figura 7 Distribuzione delle stazioni di monitoraggio sul territorio regionale nella proposta di configurazione della rete di controllo della qualità dell’aria (ipotesi B). L’altra configurazione considerata (ipotesi B) è stata presentata come proposta di minima, utile come alternativa alla configurazione dell’ipotesi A. Rispetto a quest’ultima sono previste 7 stazioni in meno: 1 di background urbano (Schio), 3 di Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 69 background suburbano (Borsea, Chioggia, S. Bonifacio) e 3 di background rurale (località Pez, Carrara S. Stefano, Valdobbiadene - Cesen). Come si osserva dalla Figura 7 la copertura del territorio regionale è comunque mantenuta tranne che per la provincia di Belluno, dove sarebbero presenti soltanto tre siti di misura. Per entrambe le configurazioni è stata fatta una stima delle risorse necessarie per l’attuazione del progetto. Nella Tabelle 4 riportiamo le stime valutate sia nel caso in cui si procuri sempre nuova strumentazione (ipotesi 1) sia nel caso in cui si preveda un riutilizzo dei monitor facenti parte delle stazioni non inserite nella nuova configurazione (ipotesi 2). La configurazione B presenta, rispetto alla configurazione A, dei costi di investimento e di gestione annuale mediamente inferiori al 20.3%. In entrambi i casi si ha un risparmio sui costi di gestione rispetto alla rete attuale (mediamente –47.1%) e un tempo di recupero dell’investimento dell’ordine di 2.4 anni (27 mesi). E’ da tenere presente comunque che la configurazione A presenta delle potenzialità superiori rispetto alla configurazione B in quanto permette di ricavare una maggiore quantità di informazioni sullo stato della qualità dell’aria della Regione. Nella tabella 4 vengono altresì indicate le stime dei costi di investimento e di gestione per le configurazioni a massimo numero di stazioni, che prevedono il mantenimento o, addirittura, l’aumento delle centraline di monitoraggio. La configurazione denominata “configurazione attuale 2”, tiene conto delle esistenti 60 stazioni, rilocando 13 (8 stazioni ex-EMEP più 5 nuove) di queste nei siti individuati dal presente studio come rappresentative dell’esposizione della vegetazione. La configurazione chiamata “ configurazione O”, è costituita dalle 60 stazioni attualmente esistenti, più le 13 sopra descritte. In quest’ultimo caso l’implementazione dell’attuale rete con i nuovi siti di misura, interessanti per la valutazione dell’esposizione della vegetazione, comporterebbe un incremento notevole dei costi di investimento, ma soprattutto implicherebbe una spesa aggiuntiva dei costi totali di gestione, rispetto alla rete attuale, pari a 732 milioni annui. Oltretutto le configurazioni a 60 ed a 73 stazioni rispettivamente, non comporterebbero un arricchimento di informazioni utili sulla qualità dell’aria, rispetto a quella selezionata a 34, in quanto le restanti stazioni risulterebbero rappresentative di microzone non significative. A. Benassi ,G .Marson,F. Liguori, K. Lorenzet, P.Tieppo 70 Tabella 4 - QUADRO RIASSUNTIVO DEI COSTI - calcoli in base annua - valori in Ml di Lire IVA esclusa Configurazione Configurazione Configurazione Configurazione A Configurazione B Attuale 1 Attuale 2 O ipotesi 1 ipotesi 2 ipotesi 1 ipotesi 2 numero stazioni costi di investimento costi di gestione acquisto monitor installazione nuove stazioni 60 0 0 60 850 800 73 4433 1600 3741 1600 2391 800 3022 1230 1756 615 sostituzione monitor obsoleti 1 totale 754 754 754 2404 905 6938 342 5683 495 3686 275 4527 473 2844 risorse umane 2 1320 1320 1606 748 748 594 594 manutenzione 3 1428 1528 1737 809 809 643 643 costi fissi 4 810 810 986 459 459 365 365 costi laboratorio 5 totale 237 3795 237 3895 198 4527 198 2214 198 2214 198 1800 198 1800 4549 6299 11465 7897 5900 6327 4644 3,59 2,33 2,27 1,43 1581 1581 1995 1995 costi totali anni necessari per il recupero dell'investimento risparmio sui costi di gestione spesa aggiuntiva sui costi di gestione 100 34 27 732 NOTE configurazione attuale1 configurazione costituita dalle 60 stazioni esistenti configurazione attuale 2 configurazione costituita dalle 60 stazioni esistenti con rilocazione di 13 stazioni, proposte per la configurazione a 34 stazioni configurazione O configurazione A configurazione B ipotesi 1 ipotesi 2 configurazione costituita dalle 60 stazioni esistenti più le nuove 13, proposte per la configurazione a 34 stazioni nuova configurazione proposta a 34 stazioni nuova configurazione proposta a 27 stazioni (sottoinsieme cella configurazione a 34 stazioni) nel caso si comprino monitor sempre nuovi e si costruiscano centraline nuove nel caso in cui si preveda un riciclo dei monitor presenti nelle centraline non considerate e un riutilizzo, tramite spostamento delle centraline non previste 1 2 ipotesi di sostituzione strumentazione di un quantitativo pari al 15% annuo dell'attuale parco macchine stimati considerando 80 giorni-uomo dedicati alla singola stazione con costo annuo operatore di 55 ML e n° giornate lavorative pari a 200 3 costo complessivo contratto manutenzione: 3433 ML, validità 24 mesi, estensione 60 stazioni+12 mezzi mobili. Costo medio annuo per stazione: 23,8 ML 4 costi di telefono e energia elettrica costi inerenti a analisi che devono essere eseguite in laboratorio (IPA, metalli, idrocarburi aromatici, determinazione gravimetrica delle polveri) 5 A conclusione del lavoro, è in fase di elaborazione un indice utile per la valutazione delle prestazioni delle due configurazioni proposte. Tale indice sintetico deriva dalla composizione di più indicatori, ciascuno dei quali fornisce una valutazione oggettiva della rappresentatività della rete rispetto al grado di copertura del territorio, all’ esposizione della popolazione, del patrimonio artistico e delle colture. 5 CONCLUSIONI Il progetto descritto vuole indicare quale sarà la via da seguire nei prossimi anni per essere conformi alla normativa comunitaria, in modo da operare omogeneamente alle altre nazioni europee. Sarebbe concretamente difficile pensare di passare in poco tempo dalla configurazione esistente a una delle due proposte. In realtà il cammino da seguire sarà molto lungo e dovrà necessariamente passare attraverso la consultazione dei gestori delle reti che conoscono più da vicino la situazione delle “proprie” centraline, il livello di affidabilità dei dati prodotti, oltre che i problemi a livello locale (presenza di piccoli e medi impianti produttivi, richieste specifiche da parte delle Amministrazioni Pubbliche per il monitoraggio di siti particolari). Si tratterà infatti di Ecosystem monitoring. From the integration between measurements to the integration between networks 71 compiere un lavoro di informazione e di coinvolgimento degli Amministratori locali al fine di far comprendere che un numero elevato di stazioni di rilevamento non risolve i problemi dell’inquinamento atmosferico; oltretutto se i siti di misura non sono rappresentativi, le informazioni ottenute possono essere incomplete, fuorvianti e inutilmente costose. E’ fondamentale collaborare con le Amministrazioni locali al fine di approfondire lo studio del territorio, favorire lo scambio di idee e di informazioni oltre che per instaurare un clima crescente di fiducia nei confronti di ARPAV. La rete di monitoraggio attualmente esistente è il frutto di numerosi cambiamenti avvenuti negli ultimi 5-6 anni. Le stazioni sono passate in pochi mesi dalla gestione da parte dei Comuni e Province alla gestione di ARPAV. Il progetto presentato va attuato gradualmente, apportando dapprima quelle modifiche che sono facilmente realizzabili e che si rendono necessarie per ottenere la maggiore quantità di informazioni sulla qualità dell’aria della nostra Regione. Alcune indicazioni possono essere ad esempio: il posizionamento di almeno 1 o 2 stazioni di fondo nella Provincia di Belluno per la valutazione dell’esposizione delle aree protette e della vegetazione, l’incremento dei monitor di ozono nelle zone di probabile accumulo e la riduzione degli stessi nei siti di traffico, dove la misura di tale parametro non è significativa. Molte delle modifiche facilmente realizzabili non comportano un rilevante impegno di spesa. Ad esempio le stazioni EMEP possono essere riutilizzate; alcune delle stazioni nuove possono essere posizionate in siti idonei già dotati di una struttura adeguata, si pensi al caso di Bosco Chiesanuova dove esiste una stazione di proprietà ARPAV per il rilevamento della radioattività. Infine un interesse particolare dovrà essere rivolto ai parametri meteo, da considerare parallelamente ai parametri chimici. I dati meteo (direzione e velocità del vento, quantità di precipitazione di radiazione solare, ecc.) forniscono una serie di informazioni indispensabili per lo sviluppo di modelli matematici che permettono di integrare le misure di tipo puntuale. In sintesi vengono analizzate le proposte presentate in Tabella 4: “Configurazione attuale 1”: non proponibile perché non in linea con i dettami normativi e per gli alti costi di gestione; “Configurazione attuale 2”: sconsigliabile per gli elevati costi di gestione; “Configurazione O”: sconsigliabile per gli alti costi di investimento e di gestione; “Configurazione A e Configurazione B”: delle quattro ipotesi presentate la configurazione A - ipotesi 2 risulta quella che a fronte di un investimento minore fornirebbe il maggior numero di informazioni ambientali ad un costo di gestione sostenibile e ben inferiore all’attuale. BIBLIOGRAFIA EEA, Febbraio1999, Tecnical Report N° 12 “Criteria for Euroairnet”, The EEA Air Quality Monitoring and Information Network. ARPAV, Osservatorio Aria, Dicembre1999, “Reti di monitoraggio della qualità dell’aria in Veneto. Ricognizione della funzionalità attuale e progetto per la riqualificazione”. Direttiva 99/30/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio. Direttiva 00/69/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio. 72 A. Benassi ,G .Marson,F. Liguori, K. Lorenzet, P.Tieppo Monitoraggio ambientale: metodologie ed applicazioni a cura di T. ANFODILLO & V. CARRARO Atti del XXXVIII Corso di Cultura in Ecologia, 2001:73-90 I SISTEMI DI MONITORAGGIO IN AREE MARINE COSTIERE E RELATIVE PROBLEMATICHE Serena FONDA-UMANI Università di Trieste 74 S. Fonda-Umani Come é ben risaputo il mare é il recettore ultimo di tutti i reflui derivanti dalle attività umane sulla terraferma attraverso i fiumi, i canali, il dilavamento delle porzioni emerse, gli scarichi industriali ed urbani da terra o via mare. Risente inoltre delle attività legate al trasporto marittimo, alla pesca, alla maricoltura, alla navigazione da diporto e alla ricreazione turistica. E’ proprio a questo aspetto, e soprattutto alla balneazione che storicamente sono legate le prime “attenzioni” alla salubrità delle acque marine costiere. In altri termini il primo approccio alla tutela dell’ecosistema marino é scaturito da una visione estremamente antropocentrica e legata all’utilizzo diretto della risorsa mare. Risale al 1975 la Direttiva CEE 76/160 emanata dal Consiglio delle Comunità Europee concernente la qualità delle acque di balneazione. Soltanto dopo sei anni l’Italia si adeguava alla Direttiva Cee emanando il DPR 470/1982. Il decreto, ancora vigente, prevede un numero minimo di analisi delle acque costiere entro 300 m dalla costa volte alla definizione di alcuni fondamentali parametri microbiologici (Coliformi, totali, Coliformi fecali, Streptococchi, Enterovirus) ed alcuni parametri chimici (pH, colorazione, trasparenza, olii minerali, sostanze tensioattive, fenoli, ossigeno disciolto).che corrispondono soltanto in parte a quelli richiesti dalla Direttiva CEE. Attualmente, dopo un avvio molto lento (nel 1987 i punti di controllo lungo le coste italiane erano soltanto 3801) sono le ARPE regionali a farsi carico di queste indagini, che sono diventate di routine e coprono in modo soddisfacente le coste italiane. Sono diventate anche familiari al grande pubblico che segue le diatribe annuali tra la Goletta Verde e le amministrazioni locali e gioisce al sapere che il litorale preferito é stato insignito della mitica bandiera blù. Ma ripeto questo é un monitoraggio volto soltanto all’utilizzo delle acque strettamente costiere ai fini della balneazione. Nel 1976 viene promulgata la famosa “legge Merli” (319/1976) che prevede tra le altre cose piani regionali di risanamento delle acque marine di competenza regionale, per i quali le regioni adempienti attivano i primi monitoraggi della qualità delle acque marine in senso ecosistemico. Fa scuola l’Emilia Romagna che inizia già nel 1976 un monitoraggio della sua zona costiera fino a 3 km e lungo alcuni transetti si spinge fino a 20 km dalla costa a cadenza quasi settimanale sotto costa e più diradata al largo. Gran parte delle analisi riguardano soltanto l’acqua di superficie per la quale si determinano temperatura, salinità, ossigeno disciolto, pH, clorofilla a, trasparenza, sali nutritivi. L’impostazione del monitoraggio attuato dall’Emilia Romagna negli anni 70/80 é legato alla classica percezione che a determinare condizioni distrofiche dell’ecosistema marino sia l’eccesso di nutrienti sversati a mare. L’unico stimatore della biomassa algale é infatti la clorofilla. Più tardi a questa si affiancheranno anche analisi tassonomiche, seppur a livello di gruppi, del fitoplancton. Va ricordato che in quegli anni tutta l’area costiera emiliano – romagnola soffriva frequentemente di episodi di “maree colorate” che altro non sono che il proliferare di una o poche specie di dinoficee. All’epoca si riteneva che fossero tutte fototrofe, quindi dei veri vegetali in grado di fotosintetizzare, mentre oggi sappiamo che in gran parte sono eterotrofe (e quindi hanno necessità di sostanza organica preformata) o più spesso mixotrofe, in grado cioé di rispondere alle condizioni ambientali con comportamenti trofici differenziati. L’esempio dell’Emilia Romagna, che seppur con i limiti di impostazione predetti, va considerato antesignano, viene imitato da ben poche regioni italiane. Bisogno attendere i primi anni 90 perché altre regioni costiere adriatiche, su finanziamenti dell’Ispettorato Centrale della Difesa del Mare del Ministero della Marina Mercantile, si adeguino, adottando piani di monitoraggio molto simili a quello attuato dall’Emilia Romagna. Per la regioni Friuli Venezia Giulia, ad esempio, il finanziamento dura due I sistemi di monitoraggio in aree marine costiere e relative problematiche 75 anni e si interrompe nel 1992. Ve detto che altre regioni, particolarmente sensibili, quali ad esempio la Toscana, il Veneto, la Sicilia, finanziano in quegli anni diverse attività di monitoraggio nelle proprie aree costiere, ma spesso le iniziative sono sporadiche, limitate in termini di tempo ed arealmente, volte a specifici problemi di inquinamento e del tutto scoordinate tra loro. Finalmente nel 1996 lo stesso Ispettorato riesce a lanciare un piano di monitoraggio in 13 regioni, coordinato per parametri da acquisire e tempi di acquisizione. A cadenza quindicinale d’estate e mensile d’inverno vengono rilevati fondamentalmente i parametri introdotti dall’Emilia Romagna, a cadenza stagionale anche quelli previsti per le acque di balneazione sia sull’acqua che nei mitili (vedi allegato 1). Questa prima esperienza dura fino al 1999 e genera un data set che é stato recentemente elaborato e presentato in un libro “Qualità degli ambienti marini costieri italiani” edito dal Ministero dell’Ambiente, che nel frattempo ha preso il posto di quello della Marina Mercantile nel controllo delle acque nazionali. Infine nel 2001 é stato finanziato a scala nazionale il nuovo Programma di Monitoraggio dell’ambiente marino costiero, coordinato dal Servizio Difesa del Mare del Ministero dell’Ambiente. I parametri da rilevare previsti dal nuovo programma si ampliano e comprendono ad esempio anche lo zooplancton e le biocenosi di fondo (vedi allegato 2). Nonostante i miglioramenti introdotti anche questo piano di monitoraggio non può considerarsi sufficiente a comprendere la reale evoluzione degli ecosistemi marini. I risultati che potrà dare, anche a lungo termine, e dopo che tutte le regioni si saranno dotate delle conoscenze metodologiche necessarie a rilevare correttamente i parametri di nuova introduzione, saranno al massimo le evoluzioni temporali dei principali gruppi fitoplanctonici e zooplanctonici, nonché le possibili variazioni a larga scala dei popolamenti bentonici. Soltanto fenomeni rilevanti di distrofia acuta (assenza d’ossigeno, inquinamenti da sversamenti accidentali, ecc.), che possiamo ritenere catastrofici, possono essere rilevati con analisi di questo tipo. Fluttuazioni sul lungo termine, ma in questo caso si parla di almeno 15 – 20 anni, possono dare indicazioni sull’evoluzione climatica del sistema e segnalare differenze significative in termini di biodiversità o di biomassa. A mio avviso manca ancora a livello dei monitoraggi marini in Italia, così come in molti altri paesi, la conoscenza più approfondita del sistema stesso. In altri termini, la percezione del funzionamento dell’ecosistema marino si basa ancora su concetti ampiamente superati a livello di ricerca scientifica che considerano soltanto la cosidetta catena trofica “classica” o del pascolo. Per esemplificare meglio, l’idea che sta alla base di questi tipi di monitoraggio é che i nutrienti che arrivano al mare determinano la quantità e la qualità della biomassa vegetale e che questa a sua volta determina la quantità dei suoi predatori (zooplancton) i quali a loro volta saranno la risorsa primaria per i pesci (sottinteso commestibili). Questa visione é troppo semplicistica e non ci porterà mai alla comprensione del funzionamento dell’ecosistema marino e men che meno delle sue anomalie. Noi ne abbiano una lunga esperienza: uno dei problemi di maggior rilievo comparsi negli ultimi dodici anni nell’Adriatico Settentrionale sono le mucillagini, grandi ammassi di materiale gelatinoso, che si addensano in nubi di parecchi metri in colonna d’acqua e possono ricoprire kilometri quadrati di superficie marina, con danni pesantissimi alla pesca e soprattutto al turismo. I primi progetti di monitoraggio per cercare di capire l’origine del fenomeno iniziarono nel 1990, su finanziamenti delle regioni Friuli Venezia Giulia e Veneto e proseguirono fino a tutto il 1998 con finanziamenti, anche molto cospicui nazionali. Oggi continuano ancora, anche perché le mucillagini comparse una prima volta negli anni tra il 1988 e il 1991, sono comparse più recentemente nel 1997 e nel 76 S. Fonda-Umani 2000, sia su scala nazionale, con il progetto MAT, sia su scala regionale con i progetti INTERREG del Friuli Venezia Giulia e del Veneto. A tutt’oggi il problema non si può ritenere risolto, anche se quantomeno alcune ipotesi sono state scartate e oggi se ne propongano di nuove. Le prime ipotesi relative alle cause che potevano portare alla formazione dei macroaggregati avevano tenuto in particolare considerazione gli essudati prodotti da diatomee bentoniche (Forti 1906, Zanon 1931) e da diatomee planctoniche (Degobbis et al.1995, Monti et al. 1995, Malej & Mosetic 1996, Mosetic et al. 1997), particolarmente in condizioni di fosforo limitazione (Degobbis et al.1995, Heissenberger et al.1996), che sembra favorire la produzione sia esocellulare che intracellulare di zuccheri ad alto peso molecolare (Mycklestad 1977, Malej & Harris 1993; Monti et al. 1995, Obernosterrer & Herndl 1995) e di fibrille (Schuster & Herndl 1995). La situazione di fosforo limitazione è tipica del periodo estivo nell'Adriatico settentrionale ed è stata documentata per più di trent'anni (Chiaudani & Vighi 1982, Maestrini et al. 1997). Era stata inoltre identificata come uno dei fattori scatenanti una particolare evoluzione pluriannuale delle dinamiche del fiume Po (Degobbis et al. 1995), che risultavano significatamente correlate con la comparsa dei macroaggregati. Negli ultimi anni però si è preso in sempre maggior considerazione il ruolo dell'attività batterica nella produzione e rielaborazione del materiale organico disciolto, con formazione di materiale disciolto refrattario che sembra essere la fonte più probabile del materiale aggregante. In effetti, la maggior percentuale del carbonio organico in mare è in forma disciolta: la sua orgine può essere molto diversa: essudazione da parte di microaghe (Williams 1990, Alledredge et al. 1993), perdita durante i processi di predazione (sloppy feeding), (Eppley et al. 1981), attività di degradazione operata dai detritivori sulle “fecal pellets” prodotte dallo zooplancton (Honjio & Roman 1978), lisi cellulare spontanea o per infezione virale (Bratbak et al. 1992, Furhman & Shuttle 1993; Furhman & Noble 1995), processi di escrezione, ecc. Su questo substrato agiscono i batteri, utilizzandolo e trasformandolo in propria biomassa. Tale biomassa viene predata dal nanoplancton eterotrofo il quale a sua volta è predato dal microzooplancton. Tutte queste classi di organismi restituiscono attraverso i processi suelencati all'ambiente CO2 e materiale disciolto, particolarmente carbonio organico disciolto (DOC) e quindi il "loop" si chiude (Azam et al. 1983). Durante questi processi il substrato organico, che non è ovviamente costituito soltanto da molecole semplici di carbonio quali monosaccaridi, ma bensì da un pool di infinite varietà per classe, dimensione e complessità, di molecole organiche, subisce continue trasformazioni, diventando via via meno "digeribile" per i popolamenti batterici. Questo porta ad un incremento della percentuale di materiale refrattario via via che ci si allontana nel tempo e nello spazio dalla sorgente primaria di formazione del DOC, che é in ultima analisi il processo fotosintetico. Al fondo degli oceani l'età media del DOC è attorno ai 6/8.000 anni, e negli strati fotici si stima che la percentuale di refrattario sia sull'ordine del 70-80% (Sondergaad & Middelboe 1995, Thingastad et al. 1997). Uno dei problemi più intriganti che ci si trova oggi ad affrontare è la distinzione tra materiale labile e materiale refrattario, perché in natura esiste in realtà un "continumm" dimensionale (Azam 1998) tra le molecole di taglia più piccola, i polimeri più o meno complessi, i superpolimeri, i colloidi, le particelle submicrometriche, fino alle prime forme di aggregazione del materiale organico (TEP - Transparent Exopolymer Particles) (Alledredge et al. 1993) e CSP (Coomassie Staining Particles) (Long & Azam 1996) visibili in microscopia ottica. Questa "materia grigia" oceanica I sistemi di monitoraggio in aree marine costiere e relative problematiche 77 varia dimensionalmente da 20 nm a > 100 µm. Recentemente è stato introdotto il concetto di idrogel (Chin et al. 1998): l'acqua marina è una matrice polimerica simile ad un gel in cui colloidi e particelle restano intrappolate in una serie infinita di micro "hot spots" (cellule fitoplanctoniche, neve marina, particelle di detrito) sui quali agiscono preferenzialmente i batteri (Azam 1998; Azam et al. 1999). Recentemente è stato descritto per un anno per il Golfo di Trieste l'evoluzione temporale delle abbondaze di TEP e CSP lungo la colonna d'acqua, evidenziando incrementi in taglia e numero di particelle in periodo estivo e in superficie, le particelle di dimensioni maggiori non si riscontrano più negli strati prossimi al fondo, indicando un efficiente sistema di allontanamento o degradazione di tali particelle lungo la colonna d'acqua. La correlazione tra la superficie totale delle particelle e la lipasi è stata interpretata come un segnale della degradazione delle particelle di dimensioni maggiori da parte dei batteri (Fonda Umani et al. 2000). Esiste un'altra possibile via di trasferimento della sostanza organica fotosintetizzata dai produttori primari, soprattutto da quelli di minori dimensioni (<5 µm); eteronanoflagellati e microzooplancton predano, oltre che sulle componenti eterotrofiche, anche sui piccoli produttori primari e a loro volta vengono predati da organismi di taglia maggiore (copepodi, salpe, ecc.). In tal modo trasferiscono sia l'energia derivata da substrati organici preformati, sia da materiale fotosintetizzato recentemente, entrando da un lato in competizione con i predatori di ordine superiore e nello stesso tempo alimentandoli attraverso quella che viene definita la "catena trofica microbica" (Rassoulzadegan 1993). In genere si ha la percezione che una catena ("classica") escluda l'altra (“microbica") e questa a sua volta escluda il "microbial loop". In realtà, ad eccezione di situazioni estreme quali quelle polari, in cui durante i lunghi periodi di buio possono esistere trasferimenti energetici basati unicamente sul materiale disciolto derivato da quello fotosintetizzato durante l'estate, in tutti gli altri sistemi le tre catene sono presenti contemporaneamente, in quella che viene definita "mistivourus food chain". A seconda delle stagioni l'una prevarrà sull'altra, ma senza escludersi a vicenda (Fonda Umani, 2000). A seconda del prevalere di una forma di trasferimento energetico sull'altra cambieranno anche i destini finali del materiale fotosintetizzato. Nel "microbial loop" infatti l'energia ricavata dal substrato disciolto viene restituita o allo stesso substrato o respirata immediatamente o ancora trasformata in prodotti di escrezione "fecal pellets" piccole e quindi galleggianti, che vengono utilizzate negli strati superficiali, con ulteriore rilascio di CO2 in atmosfera. L'unica forma di immagazzinamento del carbonio organico è ancora una volta sotto forma di disciolto refrattario che per processi idrodinamici può venir trasferito negli strati profondi dell'oceano, dove, come abbiamo visto, presenta mediamente età ragguardevoli. L'unica forma prevedibile di vera sedimentazione di tale materiale passa attraverso i processi di flocculazione ed aggregazione (Legendre & LeFevre 1992) Se prevale la catena "classica" invece, i consumatori di ordine superiore, che hanno tempi di vita più lunghi, immobilizzano nelle loro biomasse una parte del carbonio organico per tempi maggiori e producono fecal pellets più pesanti che possono sedimentare lungo la colonna, al di sotto della zona fotica, al limite fino al sedimento di fondo, dove possono venire sepelliti. Anche una certa quantità di fitoplancton non predato può a sua volta sedimentare e, nonostante l'attacco batterico che subisce lungo il suo tragitto, almeno in parte raggiungere il fondo. La produzione primaria può, come abbiamo visto, essere respirata nella zona eufotica, esportata verso gli organismi di maggiori dimensioni o verso gli strati 78 S. Fonda-Umani profondi dell'oceano. La taglia dei produttori primari (grandi autotrofi >2-5 µm, piccoli autotrofi < 2-5 µm) e la disponibilità di DOC labile influenzano profondamente il destino finale del carbonio biogenico. La catena "classica" è caratteristica di zone ad alta energia, sia in termini idrodinamici che in termini di concentrazione di nutrienti, quali aree costiere o di upwelling, dove si verificano imponenti fioriture a diatomee (Kiorbe 1996). Queste, sia che vengano predate attivamente dallo zooplancton, con conseguente produzione di fecal pellets relativamente pesanti, sia che sedimentino attraverso processi di aggregazione, perché non predate efficaciemente, determinano un rapido allontanamento dalla zona fotica del carbonio fissato. La catena "microbica" è invece tipica di zone a bassa energia, con scarso apporto di nutrienti, dove il carbonio viene fotosintetizzato da produttori primari di piccole dimensioni ed essenzialmente utilizzato e respirato in zona fotica. Il Mediterraneo è da sempre considerato uno dei mari più oligotrofici del mondo e dagli studi più recenti sembra essere quasi sempre in condizioni di fosforo limitazione. Per questo ambiente Thingstad e colleghi (1995) hanno messo a punto un semplice modello basandosi su numerose osservazioni precedenti relative all'esistenza di 1) fosforo limitazione sia per il fitoplancton che per i batteri, 2) elevate concentrazioni superficiali di organico disciolto (sia DOP che DOC) con gradienti decrescenti verso il fondo, 3) scarsa degradazione del DOC da parte dei batteri a causa della fosforo limitazione e della predazione e 4) regolazione del ciclo di rigenerazione del fosforo da parte degli organismi di taglia minore e particolarmente dei batteri. Nel modello vengono considerate tre potenziali classi di utilizzatori di fosforo inorganico; batteri, piccoli autotrofi (flagellati) e diatomee. A seconda della maggiore o minore disponibilità di DOC biodegradabile (labile) da un lato e di silice inorganica dall'altro, l'incorporazione del fosforo inorganico sarà più efficiente da parte di uno dei comparti di fissatori. Ad alte concentrazioni di fosforo inorganico prevarrà la catena trofica "classica", che in effetti è più efficiente nel rispondere ad improvvisi e brevi apporti di nutrienti, tipici di zone costiere e di upwelling (Kiorbe 1996), aumentando rapidamente il flusso di materiale sedimentario in colonna con accumuli al nutriclinio. Scarsi apporti di fosforo inorganico e sufficiente disponibilità di DOC degradabile favoriranno la catena microbica in zone idrodinamicamente più stabili ed oligotrofiche. La predazione giocherà il suo ruolo in egual misura: abbondanti biomasse di eteronanoflagellati controlleranno efficaciemente le biomasse di batteri e favoriranno l'assunzione di fosforo da parte dei nanoflagellati autotrofi; consistenti biomasse di ciliati controlleranno efficaciemente sia il nanoplancton autotrofo che eterotrofo, diminuendo la pressione di grazing di quest'ultimo sui batteri i quali saranno più efficienti nell'assunzione di fosforo, la presenza massiccia di predatori di ordine superiore (copepodi) infine abbasserà via predazione il numero di diatomee, ma anche di ciliati, spostando nuovamente l'equilibrio a favore del nanoplancton autotrofo. Il Nord Adriatico cade in fosforo limitazione ad ogni estate con accumulo di DOP e di DOC (Lipizer et al. 1997). In alcune occasioni, come si è detto precedentemente, in quest'area si sono manifestati enormi accumuli di materiale polisaccaridico (mucillagine). I macroaggregati gelatinosi appaiono derivare principalmente dall'aggregazione della sostanza organica disciolta (DOM) (Alldredge & Croker 1995, Leppard 1995). Le variazioni della quantità di DOM sono legate ai ritmi stagionali e alle rispettive efficienze della rete trofica (Zweifel et al. 1993, Copin-Montégut & Avril 1993, Williams 1995). I sistemi di monitoraggio in aree marine costiere e relative problematiche 79 Durante l'estate in tutto il Nord Adriatico la produzione di essudati da parte del fitoplancton può al limite essere anche più consistente, perché la scarsa disponiblità di nutrienti (e soprattuto di fosforo) induce il fitoplancton ad un maggiore tasso di essudazione (Fogg 1983, Myklestad 1974, Thingstad et al. 1997). In estate tuttavia la biomassa fitoplanctonica é minore rispetto alla primavera e conseguentemente anche la produzione primaria diminuisce, pertanto il carbonio fissato per fotosintesi può non essere sufficiente alla richiesta totale di carbonio da parte dei popolamenti batterici (Giani et al. 1999). In questo caso però gli apporti fluviali ricchi in DOC possono presumibilmente sopperire alla richiesta da parte della comunità batterica (Pettine et al. 1999). In autunno le fioriture a diatomee non sono così intense come in primavera e probabilmente si esauriscono rapidamente per fotolimitazione, piuttosto che per effetto della predazione (Cataletto et al. 1993). Ciò determina un ulteriore accumulo di DOC. I pochi dati disponibili relativi alle concentrazioni di DOC suggeriscono un incremento delle quantità presenti nel bacino dalla primavera all'autunno (Pettine et al. 1999). Semplici calcoli di larga massima ci hanno consentito comunque di stabilire che la produzione primaria media, riportata per il bacino settentrionale dell'Adriatico e pari a 80 - 130 gCm-2 per anno giustifica ampiamente le quantità di DOC misurate, che variano da 40 a 60 gCm-2. E' sufficiente che la metà del DOC presente, pari a 30 gCm-2 aggreghi per ottenere uno strato di 5 cm di mucillagine in superficie, basandosi su un contenuto di 0.6 gCl-1 di mucillagine calcolato da Zutic e collaboratori (Azam et al. 1999). In altri termini, le quantità in gioco sono del tutto congrue e non é necessario immaginare nessun fatto eccezionale (fioriture anomale di diatomee o batteri, o iperproduzioni di essudati) per giustificare la quantità di materiale disciolto necessaria a produrre aggregati di grandi dimensioni. E' soprattutto la percentuale di DOC refrattario o lentamente biodegradabile che accumula durante tutto il processo, in quanto la sua produzione sembra essere strettamente legata all'attività batterica. I batteri infatti tendono a rimineralizzare il fosforo prima e più efficacemente che il carbonio, a causa della maggiore attività fosfatasica rispetto a quella glucosidasica (Smith et al. 1992). In situazioni particolarmente spinte di fosforo limitazione però Obernoster e Herndl (1995) osservano che le elevate quantità di PER (Photosynthetic Extracellular Release) non vengono efficaciemente assimilate dai batteri e quindi tendono ad accumulare. Inoltre, il materiale capsulare dei batteri associati alla PER (costituito soprattutto da polisaccaridi e pertanto refrattario) può aumentare la quantità di DOC non biodegradabile (Heissenberger et al. 1996). Quest'ultimo tende ad accumulare negli strati eufotici. Il DOC refrattario in oceano o nei mari a maggior profondità viene lentamente trasferito alla zona afotica per effetto del mescolamento della masse d'acqua. In un bacino a bassa profondità quale il Nord Adriatico tale trasferimento non può avvenire, ma vi possono essere trasporti laterali per effetto delle correnti advettive. La circolazione "tipica" del Nord Adriatico é caratterizzata dal ricambio completo della massa d'acqua ad ogni inverno, per effetto della formazione di acqua densa che fluisce verso Sud (Artegiani et al. 1997). Questo determina l'allontamento e il mancato accumulo di DOC. Ma se, come sembra possibile in determinate condizioni meteorologiche (Hopkins 1999), viene a mancare il ricambio invernale o questo non é totale, si può ipotizzare che una certa parte della massa d'acqua permanga nel bacino settentrionale con tutto il suo carico di DOC refrattario che andrà a sommarsi al DOC prodotto l'anno seguente attraverso i processi biologici brevemente schematizzati precedentemente. Ancora, la circolazione tipica del nord adriatico tende a trasportare S. Fonda-Umani 80 le masse d'acqua e il loro contenuti lungo la costa italiana (Artegiani et al. 1997). All'altezza del Medio Adriatico però parte della corrente discendente viene intrappolata nel vortice anticiclonico che si forma a questa latitudine e successivamente rientrare nell'Alto Adriatico come LIW (Levantine Intermediate Water) modificata e pertanto rimettere in circolo parte del DOC refrattario prodotto durante la precedente stagione produttiva. Il ripetersi di tali rifluimenti di sostanza organica disciolta, seppur diluita, potrebbe, più che aumentare la quantità totale di DOC, aumentarne considerevolmente, anno dopo anno, l'età, determinando un progressivo invecchiamento della sostanza disciolta. L'aumento dell'età del DOC diminuisce ovviamente la sua degradabilità, modificandone la struttura biochimica e presumibilmente aumentando le sue capacità di coagulazione e flocculazione (Azam et al. 1999). Il programma di monitoraggio finalizzato alla comprensione del fenomeno “mucillagini” che stiamo portando avanti da 3 anni é stato messo a punto sulla base di queste considerazioni ed é pertanto essenzialmente rivolto al ciclo del carbonio in ambiente marino. Le analisi si effettuano su un grid di 29 stazioni (fig.1) a cadenza mensile. I parametri rilevati sono riportati nelle tabelle 1, 2 e 3. Fig. 1 I sistemi di monitoraggio in aree marine costiere e relative problematiche 81 Tab. 1 PARAMETERS METEOROLOGICAL-MARINE PARAMETERS CHEMICAL-PHYSICAL PARAMETERS BY MULTIPARAMETRIC PROBE AIRT air temperature AIRTW wet air temperature CLOUDA cloud amount CLOUDT cloud type DEPTH bathymetric depth OIL oil on the surface of sea waters RHUMIDITY relative humidity SEASTATE sea state Secchi-white disk SECCHIW STREAMDIR stream direction STREAMSPD stream speed SURFACTAGE surfactants TAR tar on the surface of sea waters VISIB visibility WATERCOLOR water color wave direction WAVEDIR WAVEHEIGHT wave height WDIR wind direction WSPD wind speed CHLAP chlorophyll a density excess (gamma-st0) GAMMA0 OXYP dissolved oxygen OXYSP dissolved oxygen saturation PHP hydrogen ion concentration SALINP salinity TEMPP sea temperature KPAR light attenuation coefficient LUCHL upwelling chlorophyll radiance PAR photosynthetically available radiation PERCPAR percentual of par in column water REFPAR reference air surface par TPNF temperature from PNF Tab. 2 WATER PHYSIOLOGICAL PARAMETERS CHEMICAL PARAMETERS • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • CHLA CHLA2 CHLA20 CN CSP CSPA DOC DON DOP NH3 NO2 NO3 NTOT OXY PHEO PHEO2 PHEO20 POC PON PO4 PTOT SIO2 TEP TEPA chlorophyll a chlorophyll a < 2 ? m chlorophyll a < 20 ? m atomic ratio (carbon/nitrogen) Coomassie staining particles Coomassie staining particles area dissolved organic carbon dissolved organic nitrogen dissolved organic phosphorous ammonium content (N-NH4) nitrite content (N-NO2) nitrate content (N-NO3) total nitrogen content dissolved oxygen (Winkler) pheopigment pheopigment < 2 ? m pheopigment < 20 ? m particular organic carbon particular organic nitrogen phosphate content (P-PO4) total phosphorous content silicon from dissolved Si(OH)4 transparent exopolymer particles transparent exopolymer particles area • • • • • • • • • • • • • • • • • • • BATTERI bacterial C prod - 3Hleucin BATTERI bacterial C prod - 3Hthymidine BATTERI bacterial enzymatic activity NO3QUPTAKE nitrate uptake NO3VUPTAKE nitrate assimilation rate NH4QUPTAKE ammonium uptake NH4VUPTAKE ammonium assimilation rate PROD.PRIMARIA tot primary prod RESPBACT planktonic respiration BIOLOGICAL PARAMETERS FITOPLANCTON phytoplankton - abundance FITOPLANCTON phytoplankton - carbon content MICROZOOPLANCTON microzooplankton abundance MICROZOOPLANCTON microzooplankton - C content MESOZOOPLANCTON mesozooplankton C,N content NANOPLANCTON auto, heteronano abundance NANOPLANCTON nanoplankton - C content BATTERI photo, heterobact abundance BATTERI bacteria - C content VIRUS virus - abundance S. Fonda-Umani 82 Tab. 3 • • • • • • • • • • • • • • • • • • • SEDIMENT ALKCARBSED BBL, pore water alkalinity • ALKTOTSED BBL, pore water total alkalinity • BATTERI BBL autobacteria - abundance • BATTERI BBL heterobacteria - abundance • BATTERI sediment bacteria - abundance • BATTERI BBL bacterial C production • 3Hthymidine incorporation • BATTERI sediment bacterial C production • 3Hthymidine incorporation BATTERI BBL bacterial C production • 3Hleucine incorporation • BATTERI sediment bacterial C production • 3Hleucine incorporation • BATTERI BBL enzymatic activity • BATTERI sediment enzymatic activity • CARBSED sediment carbohydrates • CHLASED sediment chlorophyll a • CNSED atomic ratio (C/N) • CSED sediment organic • C CSEDGROS2 sediment gross primary prod (2 • ? m) • CSEDGROSP sediment gross primary prod • CSEDNETP sediment net primary prod • CSEDNETP2 sed net primary prod ( 2 ? m) • CSEDRESP C sediment respiration CSEDRESP2 C sediment respiration ( 2 ? m) DOCSED BBL, pore water DOC LIPSED sediment lipide MACROBENTHOS macrobenthos - abundance MACROBENTHOS macro - ash free dry weight MEIOBENTHOS meiobenthos - abundance MICROFITOBENTHOS microphytobenthos abundance NH4SED BBL, pore water NH4 content NO2SED BBL, pore water NO2 content NO3SED BBL, pore water NO3 content NSED sediment tot N O2SEDGROS2 O gross primary prod ( 2 ? m) O2SEDGROSP O gross primary production O2SEDNETP O net primary prod O2SEDNETP2 O net primary prod (2 ? m) O2SEDRESP O sediment respiration O2SEDRESP2 O sediment respiration (2 ? m) PHEOSED sediment pheopigment PO4SED BBL, pore water PO4 content PROTSED sediment proteins SIO2SED BBL, pore water silicate content SO4SED BBL, pore water sulfate content Alcuni dei risultati più significativi ottenuti con questo tipo d’indagine sono l’identificazione dell’eterotrofia o dell’autotrofia del sistema, comparando i dati di produzione primaria con quelli di respirazione (fig.2), le fluttuazioni stagionali interdipendenti dei diversi gruppi trofici (fig. 3), l’evoluzione del rapporto virus/batteri (fig. 4) e la quantificazione dei flussi di carbonio organico all’interno del sistema (fig. 5, 6, 7). PP/ R lug -98 se t-98 no v-98 g en-99 ma r-99 m a g -99 lug -99 se t-99 no v-99 g en-00 ma r-00 m a g -00 lug -00 se t-00 no v-00 g en-01 ma r-01 m a g -01 -5 Fig. 2 -4 -3 -2 -1 0 1 2 83 I sistemi di monitoraggio in aree marine costiere e relative problematiche Fig. 3 300 250 200 150 100 50 0 L A S ON D G F M A MG L S ON G F M A MG '98 '99 '00 Fig. 4 35 30 25 20 15 10 5 0 viruses bacter S. Fonda-Umani 84 Febbraio 1999 5,22 µg C/l/h 2,72 µg C/l/h 0,85 µg C/l/h autotrofi 1256,3 µg C/l Copepodi 7,14 µg C/l 0,033 µg C/l/h 0,67 µg C/l/h 0,04 µg C/l/h 1060 µgC/l 1,2 µg C/l/h batteri Eterotrofi 7,6 µg C/l microeterotrofi 33,95 µg C/l 0,21 µg C/l/h nanoflagellati eterotrofi 3,52 µg C/l 0,03 µg C/l/h nanoflagellati Autotrofi 1,12 µg C/l Fig. 5 Febbraio 2000 2,81 µg C/l/h 9,42 µg C/l/h 1,48 µg C/l/h autotrofi 345,18 µg C/l Copepodi 4,11 µg C/l 0,019 µg C/l/h 4,74 µg C/l/h 0,07 µg C/l/h 911 µgC/l nanoflagellati eterotrofi 4,4 µg C/l 0,03 µg C/l/h batteri eterotrofi 2,81 µg C/l 0,094 µg C/l/h Fig. 6 nanoflagellati autotrofi 0,61 µg C/l microeterotrofi 7,91 µg C/l I sistemi di monitoraggio in aree marine costiere e relative problematiche 85 Febbraio 2001 4,1 µg C/l/h 3,97 µg C/l/h 0,2 µg C/l/h autotrofi 150,56 µg C/l Copepodi 13,52 µg C/l 1,29 µg C/l/h 0,09 µg C/l/h 952 µgC/l batteri eterotrofi 23 µg C/l 2,1 µg C/l/h batteri autotrofi 8,24 µg C/l 0,003 µg C/l/h 0,41 µg C/l/h 0,12 µg C/l/h nanoflagellati eterotrofi 2,86 µg C/l microeterotrofi 3,387 µg C/l 0,08 µg C/l/h nanoflagellati Autotrofi 6,35 µg C/l Fig. 7 Accanto a questi tipi d’analisi stiamo affiancando quelle più specifiche a livello di composizione genetica dei popolamenti batterici coinvolti nella formazione di muco rispetto a quelli caratterizzanti la colonna d’acqua. Con questo tipo di “monitoraggio” abbiamo potuto stabilire il trofismo generale dell’ecosistema in analisi e contiamo quanto prima di identificare chiaramente (e sperimentalmente) i principali produttori delle sostanze aggreganti e le caratteristiche ambientali che ne facilitano la produzione. 86 ALLEGATI All. 1 S. Fonda-Umani I sistemi di monitoraggio in aree marine costiere e relative problematiche All. 2 87 88 All. 2 (parte II) S. Fonda-Umani I sistemi di monitoraggio in aree marine costiere e relative problematiche All. 2 (terza parte) 89 90 S. Fonda-Umani Monitoraggio ambientale: metodologie ed applicazioni a cura di T. ANFODILLO & V. CARRARO Atti del XXXVIII Corso di Cultura in Ecologia, 2001:91-102 IL BIOMONITORAGGIO DELLA “QUALITÀ DELL’ARIA” TRAMITE LICHENI Pier Luigi NIMIS Dipartimento di Biologia, Università di Trieste Riassunto Si discutono alcuni problemi terminologici e metodologici relativi all’impiego di biomonitors di “qualità dell’aria”, con particolare riguardo ai licheni. Le tecniche di biomonitoraggio non misurano nè l’inquinamento nè la qualità dell’aria, ma stimano l’alterazione rispetto alla norma di componenti degli ecosistemi reattivi all’inquinamento. Si suggerisce di abbandonare la tradizionale distinzione tra biomonitors “attivi” e “passivi”, in quanto terminologicamente impropria e fuorviante. Maggiore attenzione andrebbe rivolta alla variabilità dei dati, distinguendo il dato biologico dalla sua interpretazione in termini di alterazioni ambientali, con l’elaborazione di scale di interpretazione diverse per diverse situazioni ambientali. Abstract This is a critical discussion of some main terminological and methodological problems related to the use of biomonitors of “air quality”, with emphasis on the Italian experience concerning lichens, and on methods which can be applied on a large scale. Biomonitoring techniques do not measure air pollution, nor air quality: they estimate the degree of alteration from normal conditions of pollution-reactive components of the ecosystems. The traditional distinction between “active” and “passive” biomonitors should be abandoned, being improper and deceiving. More attention should be devoted to data variability, and to the distinction between biological data and their interpretation in terms of environmental disturbance. Different scales of interpretation are necessary for different bioclimatical and geo-lithological situations. Parole chiave: Bioindicatori, Bioaccumulatori, Biomonitoraggio, Inquinamento, Qualità dell’Aria. Key words: Bioindicators, Bioaccumulators, Biomonitoring, Pollution, Air Quality. 92 Pierluigi Nimis 1. INTRODUZIONE L’utilizzo di indicatori biologici per la valutazione della qualità ambientale è oggi molto diffuso. Negli ultimi anni, anche in Italia, sono stati pubblicati numerosi studi, con lo sviluppo di tecniche originali, e/o l’adattamento al territorio nazionale di tecniche elaborate all’estero. In alcuni casi sono state definite delle scale di interpretazione basate sull’analisi statistica di grandi quantità di dati. Questo articolo, largamente basato su ricerche da me condotte sui licheni, discute alcuni problemi nell’applicazione di tecniche di biomonitoraggio in generale, con particolare riguardo a studi su vasta scala, potenzialmente estendibili a livello nazionale ed internazionale. Si consiglia di utilizzare il termine “monitoraggio” soltanto nei casi in cui la metodica renda possibile una ripetizione dello studio nel tempo. L’importanza della standardizzazione delle metodiche è di evidente rilevanza in questo contesto. Il termine “indicatore” viene solitamente utilizzato per definire un organismo le cui reazioni sono riconducibili agli effetti di ben definite modificazioni ambientali. Tale termine, ormai entrato nella terminologia corrente, rischia di essere pericoloso in un contesto biologico-ecologico. Il termine detiva dal latino “index” che altro non è se non il dito indice: con tale dito possiamo “indicare” una cosa alla volta. Gli organismi, invece, sono sistemi complessi e policausali che reagiscono all’effetto sinergico di numerosi parametri ambientali. E’ irrealistico pensare che un organismo possa fungere da “dito indice” per un fattore soltanto, e molti dei problemi più gravi nel campo del biomonitoraggio derivano dall’accettazione acritica del concetto di “indice”. A mio parere, le tecniche di biomonitoraggio forniscono una stima temporale delle deviazioni da situazioni normali di organismi reattivi a modificazioni ambientali. Espressioni come “monitoraggio dell’ inquinamento tramite licheni” sono epistemologicamente scorrette. Quello che viene monitorato non è l’inquinamento, ma lo stato dei licheni. In altre parole, l’uso del termine “indicatore” ha poco a che fare con il tipo di tecnica utilizzato, e molto con l’interpretazione dei dati, in quanto dipende dal grado di conoscenza – presunta o reale – della causa principale dei parametri che vengono monitorati. Le tecniche di biomonitoraggio permettono di seguire nel tempo lo stato di alcuni organismi particolarmente reattivi a diversi tipi di variazioni ambientali. Le risposte di questi organismi si manifestano a due livelli, che corrispondono a due categorie di tecniche: a) accumulo di sostanze: tecniche di bioaccumulo, che misurano le concentrazioni di sostanze in organismi in grado di assorbirle ed accumularle dall'ambiente; b) modificazioni morfologiche, fisiologiche o genetiche a livello di organismo, di popolazione o di comunità: tecniche di bioindicazione in senso stretto, che stimano gli effetti di variazioni ambientali su componenti sensibili degli ecosistemi. Nel secondo caso gli organismi devono essere sensibili ai fattori indagati, avere presenza diffusa, scarsa mobilità e lungo ciclo vitale, mentre nel caso del bioaccumulo essi devono essere tolleranti alle sostanze considerate. Non vi sono differenze sostanziali tra tecniche di bioindicazione e di bioaccumulo, anche se le prime si basano su misure biologiche, le seconde su analisi chimiche: entrambe rientrano nella definizione del termine “biomonitoraggio” riportata sopra. E’ corrente una distinzione, terminologicamente infelice, tra biomonitors passivi, già presenti sul territorio, e quelli attivi, posizionati dall’operatore. I poco eleganti termini attivo e passivo, impropri e fuorvianti, dovrebbero venire abbandonati (Nimis 1999b). Anche la frequente affermazione per cui il biomonitoraggio produce dati Il biomonitoraggio della “qualità dell’aria” tramite licheni 93 qualitativi, di qualità dell’aria, piuttosto che dati quantitativi di inquinamento, non è corretta. I termini "qualità dell'aria" ed "inquinamento dell'aria", spesso utilizzati come sinonimi, coprono concetti diversi (Nimis 1990, 1991). L’inquinamento, espresso in termini di concentrazioni misurate strumentalmente, è di facile definizione operazionale, ma il suo monitoraggio è difficile, per i seguenti motivi: a) le concentrazioni di inquinanti in atmosfera sono molto variabili nello spazio e nel tempo; il che implica studi condotti su base statistica, per lunghi periodi, e con dense reti di punti di misura; b) gli alti costi degli strumenti ne limitano fortemente il numero, per cui i dati strumentali hanno spesso una scarsa qualità statistica, nonostante l'apparente precisione delle singole misure; c) la strumentazione normalmente utilizzata rileva un numero esiguo di sostanze inquinanti. Il termine qualità dell’aria si riferisce invece agli effetti dell’inquinamento su diversi soggetti, tra cui l'uomo, altri animali, piante, o oggetti inorganici, come i monumenti in pietra; la sua definizione operazionale dovrebbe venire affidata ad indici numerici basati su un altissimo numero di parametri, il che è reso quasi impossibile dalle troppo scarse conoscenze su: a) effetti di singole sostanze inquinanti su uomo, animali, piante, b) effetti sinergici degli inquinanti su diversi organismi, c) trasferimento degli inquinanti negli ecosistemi, e dal il fatto che il danno provocato dagli inquinanti non sempre dipende da valori medi, ma anche da quelli massimi, o dalla durata dell'esposizione. Queste difficoltà hanno portato alla ricerca di indicatori della qualità dell'aria: parametri della più diversa natura che si suppongono correlati con la qualità dell'aria. In assenza di una definizione operazionale del termine qualità dell'aria, gli indicatori diventano il solo modo per definirla. Ciò comporta un ragionamento circolare (”la qualità dell’aria è ciò che si misura attraverso gli indicatori di qualità dell’aria”), inaccettabile dal punto di vista scientifico (Nimis 1991, 1999a,b). Le tecniche di biomonitoraggio producono dati biologici: misure di biodiversità, di variazioni nell’assetto morfologico, fisiologico o genetico degli organismi, misure delle concentrazioni di sostanze negli organismi. Essi hanno un interesse intrinseco, indipendentemente dall’eventuale correlazione con dati strumentali di inquinamento. Il biomonitoraggio non utilizza gli organismi come centraline, né fornisce stime di una non meglio definita qualità dell’aria: esso fornisce dati utili per stimare gli effetti combinati di più inquinanti sulla componente biotica. Il biomonitoraggio non è alternativo rispetto a quello strumentale, ma è un campo di ricerca autonomo nell’ambito della Biologia, che può fornire informazioni importanti per il monitoraggio dell’inquinamento, individuando possibili zone a rischio, ed ottimizzando la localizzazione degli strumenti di misura. 2. LIMITI E VANTAGGI DELLE TECNICHE DI BIOMONITORAGGIO Le tecniche di biomonitoraggio correntemente utilizzate permettono di valutare alterazioni ambientali dovute a tre classi principali di inquinanti: a) SO2 e NOx (es: bioindicazione tramite licheni); b) metalli in traccia (la maggior parte delle tecniche di bioaccumulo); c) ozono (es: l’uso del tabacco come bioindicatore). Il biomonitoraggio della radioattività ambientale, che si avvale di bioaccumulatori quali funghi, licheni e muschi, non viene considerato in questa sede, 94 Pierluigi Nimis in quanto quasi tutti gli esempi italiani si riferiscono alla stima delle ricadute radioattive al suolo, e non alle concentrazioni di radionuclidi in atmosfera (v. Nimis 1996). Ogni tecnica presenta limiti e vantaggi specifici, che vanno attentamente considerati nella pianificazione di reti di monitoraggio biologico. I limiti più frequenti sono: a) Alcune tecniche (soprattutto quelle con biomonitors autoctoni) non sono applicabili ovunque; ad esempio, l’uso di licheni come bioindicatori non è possibile in aree con scarsità di alberi adatti, quello dei licheni come bioaccumulatori non lo è in aree molto inquinate con scarsità di licheni idonei al campionamento; b) non vi è sempre una relazione univoca tra dati biologici e concentrazioni in atmosfera di specifici inquinanti, in primo luogo a causa degli effetti sinergici di più inquinanti e di altri fattori ecologici sugli organismi; c) non è sempre possibile elaborare un’unica scala di interpretazione dei dati biologici in termini di inquinamento, valida per tutto il territorio nazionale; ad esempio, lo stesso valore di biodiversità lichenica indica diversi livelli di inquinamento nell’Italia mediterranea ed in quella submediterranea, a causa dell’influenza del clima sulla biodiversità; d) alcune tecniche presentano limiti evidenti ad un estremo della scala dei valori; ad esempio, quelle di bioindicazione tramite licheni non permettono di risolvere ulteriormente la suddivisione del territorio in fasce ad inquinamento crescente al di sotto della soglia di “deserto lichenico” (sparizione completa di tutte le specie); e) alcune tecniche non permettono di rilevare immediatamente fenomeni acuti di alterazione ambientale, in quanto la reazione degli organismi richiede un certo tempo per essere apprezzabile; in certi casi il monitoraggio temporale può venire effettuato soltanto a distanza di mesi, o di anni. I principali vantaggi sono: a) possibilità di ottenere rapidamente, a bassi costi, e con un’alta densità di campionamento, una stima degli effetti biologici di più inquinanti su organismi reattivi, a diverse scale territoriali; b) individuazione rapida di aree con potenziale superamento dei limiti-soglia per alcuni importanti inquinanti primari (SO2, NOx, ozono, metalli in traccia, etc.); c) valutazione dell’efficacia di misure per la riduzione delle emissioni di inquinanti su lunghi periodi; d) individuazione di potenziali aree a rischio per la localizzazione ottimale degli strumenti di misura dell'inquinamento; e) individuazione di patterns di trasporto a lunga distanza e deposizione di inquinanti, e verifica dell’affidabilità di modelli diffusionali, a diverse scale territoriali. Vantaggi e limiti di ogni tecnica vanno valutati di volta in volta rispetto agli obiettivi ed alla scale territoriali. Una volta chiariti i limiti, molte metodiche si rivelano di grande efficacia e predittività, comprovate da una ricchissima letteratura a livello internazionale. 3. VARIABILITÀ DEI DATI L’alta variabilità dei fenomeni biologici è la causa principale delle difficoltà incontrate in Ecologia nel formulare previsioni affidabili. Il trattamento matematico della complessità non sempre consente stretti limiti di confidenza nella formulazione di modelli predittivi. Il trattamento matematico dell’incertezza è un punto Il biomonitoraggio della “qualità dell’aria” tramite licheni 95 fondamentale nelle scienze ambientali, e - contrariamente a quanto avviene correntemente - l’incertezza, ovunque presente, dovrebbe venire resa esplicita ed incorporata nei modelli finali. La qualità dei dati, fondamentale negli studi di biomonitoraggio, varia in dipendenza di: a) variabilità del fenomeno, dovuta principalmente all’interazione di numerosi fattori a livello di organismo e/o di ecosistema. Secondo Bargagli (1999) la mancanza di rigorosi protocolli di campionamento può indurre ad errori anche del 1000%; b) errore di misura; l’errore strumentale (p.es. nelle tecniche di bioaccumulo) è in genere trascurabile rispetto a quello dovuto all’influenza degli operatori (p.es. in molti studi di bioindicazione); l’ intercalibrazione tra operatori è fondamentale in molte tecniche, soprattutto di bioindicazione, che prevedono la determinazione in campo di numerose specie; l’errore di misura è inversamente proporzionale al numero di fattori considerati nello stabilire i protocolli di campionamento. c) densità di campionamento, con influenza diversa sulla qualità del dato a seconda della variabilità del fenomeno e delle caratteristiche dell’area di studio. Uno dei principali criteri per accettare o meno l’utilizzo generalizzato di una data tecnica è l’esistenza di studi di base sulla variabilità dei dati, e sui principali fattori che la influenzano. Paradossalmente, non solo in Italia, studi del genere sono piuttosto rari, il che comporta problemi nell’interpretazione dei risultati. In alcuni casi, però, importanti studi di base hanno proposto protocolli di campionamento tali da ridurre notevolmente la variabilità dei dati (v. Nimis & al. 2001). In altri casi si preferisce ridurre l’effetto di fattori ecologici diversi dall’inquinamento utilizzando organismi coltivati in condizioni standard, come nel caso del tabacco per il monitoraggio dell’ozono, o quello delle colture di Lolium per studi di bioaccumulo. In ogni caso, sarebbe utopico attendersi dati biologici con una variabilità comparabile agli errori strumentali delle misure chimiche e fisiche. L’alta densità di campionamento può però compensare ampiamente l’alta variabilità dei dati. Nelle reti di rilevamento strumentale la precisione della singola misura viene troppo spesso mistificata per una precisa stima del fenomeno. 4. STRATEGIE DI CAMPIONAMENTO Le indagini di biomonitoraggio hanno diversi obiettivi, e quindi diverse scale territoriali: sono possibili studi su ampia scala, studi di gradiente a distanze crescenti da una presunta fonte emittente, studi before-after. Obiettivi, scale territoriali e strategie di campionamento sono interrelati, e non ha senso specificare rigidamente un’unica strategia valida per tutti i casi. Per un adeguato trattamento statistico dei dati, per facilitare il confronto tra studi diversi, e per ridurre la soggettività dell’operatore, è consigliabile - ove possibile - un campionamento sistematico, basato su una suddivisione del territorio in Unità Geografiche Operazionali (OGUs), meglio se già utilizzate a scala nazionale e/o internazionale. Una troppo rigida applicazione di questi standards, sviluppati in discipline meno complesse della biologia ambientale, rischia però di tradursi in errori ben maggiori di quelli dovuti alla soggettività dell’operatore. Un esempio: Nimis (1999a), dopo aver introdotto un criterio apparentemente automatico nella selezione degli alberi da sottoporre a rilevamento della biodiversità lichenica, consigliava di “selezionare gli alberi con il maggior numero di specie di licheni con maggiore copertura”, introducendo un elemento di soggettività nella scelta dell’albero. Le evidenti differenze nella copertura lichenica tra alberi contigui dello stesso viale sono ben note a qualsiasi operatore: su alcuni alberi particolarmente poveri di licheni si notano spesso delle puntine più o meno 96 Pierluigi Nimis arrugginite: sono quelli su cui più spesso vengono affissi dei manifesti. In casi del genere, tutt’altro che rari, il buon senso consiglierebbe di lasciare all’operatore un sia pur minimo grado di soggettività. Ciò però rischia di inficiare gravemente la validità statistica del metodo. Problemi del genere vanno risolti attraverso adeguati corsi di formazione, corredati da tests di intercalibrazione tra operatori diversi. Per obiettivi o per situazioni territoriali particolari non vanno esclusi altri tipi di campionamento (lungo transetti per studi di gradiente, campionamento preferenziale, etc.). In particolare, un campionamento preferenziale – spesso ingiustamente discriminato - può risultare adeguato: a) quando l’obiettivo si limita alla descrizione della situazione in un singolo punto, b) quando l'obiettivo richiede un'alta densità di campionamento in un’area con generale scarsità di biomonitors autoctoni (il che necessita un accurata ed esaustiva esplorazione del territorio); c) quando l’obiettivo è la comparazione di una serie di siti a rischio precedentemente individuati sulla base di altre informazioni; d) quando l’obiettivo è il ri-campionamento di un’area originariamente campionata in modo preferenziale, per evidenziare eventuali variazioni temporali. In questi casi, tuttavia, l'analisi statistica dei dati, ed il confronto con quelli di altri studi, possono divenire problematici. Non esiste un metodo per stimare una densità di campionamento ottimale, valida per tutte le aree e per tutti gli obiettivi. Per stabilire la densità di campionamento vanno considerati questi fattori principali: a) risorse disponibili (massimo numero possibile di punti-stazione), b) caratteristiche geomorfologico-orografiche e climatiche dell’area di studio, c) disponibilità e distribuzione spaziale di biomonitors autoctoni, d) informazioni sulle principali fonti di emissione, e sui tassi di dispersione degli specifici inquinanti nell’ambiente. La densità dei punti-misura può variare nell’ambito della stessa area, e una densità maggiore può essere opportuna in aree geomorfologicamente corrugate, o in parti del territorio con la maggior variazione geografica dei dati. In questi casi si consiglia: a) un campionamento sistematico in una prima fase, b) l’elaborazione dei dati relativi a questo campionamento, c) un ulteriore campionamento su scala più ridotta, nelle aree con la maggiore variazione geografica dei dati. Gli studi di biomonitoraggio permettono densità di campionamento molto maggiori che le reti di rilevamento strumentale. In molti studi di bioindicazione con organismi sensibili a sostanze che hanno ampi pattern di diffusione atmosferica, una densità relativamente bassa può essere accettabile. In studi di bioaccumulo, invece, vanno considerati i possibili tassi di dispersione di specifici metalli a partire da presumibili fonti inquinanti. I pattern di diffusione e trasporto in atmosfera della maggior parte dei metalli di origine antropica dipendono dalle dimensioni del particellato e dall’altezza dal suolo delle fonti, e spesso si esauriscono su aree ristrette: una scarsa densità di punti di misura può facilmente rivelarsi inadeguata. Ciò riguarda anche gli algoritmi per la formulazione di modelli spaziali. In Italia, a partire dal primo esempio da parte di Nimis et al. (1989), è frequente l’utilizzo di programmi di cartografia computerizzata basati su tecniche di Kriging. Questi sono consigliabili solo quando giustificato dalla densità spaziale delle stazioni, dalla morfologia del territorio, e dalle ipotesi sui tassi di dispersione dei metalli dalle presunte fonti. In vaste aree geomorfologicalmente corrugate e con bassa intensità di campionamento Il biomonitoraggio della “qualità dell’aria” tramite licheni 97 l'uso acritico di tali programmi può portare a modelli inaffidabili, soprattutto se i metalli sono emessi in forma di particellato grossolano, con ambiti di ricaduta ristretti. In casi del genere è consigliabile una stima dell’alterazione ambientale limitata ad ogni singolo punto-stazione, o quadrante. 5. SCALE DI INTERPRETAZIONE Una volta stabiliti protocolli di campionamento tali da ridurre al minimo la variabilità dei dati, strategie di campionamento adeguate all’obiettivo e alla scala territoriale, e metodi di elaborazione e presentazione adatti alla struttura dei dati, rimane il fondamentale problema dell’interpretazione dei dati in termini di alterazioni ambientali. Per esprimere la deviazione da condizioni “normali” è indispensabile che queste vengano quantificate,e per questo si hanno tre strategie principali: a) confronto con condizioni controllate; possibile per alcuni bioindicatori alloctoni, ad es. con esperimenti di fumigazione che quantifichino la relazione tra concentrazioni di inquinanti e reazioni degli organismi (es: tabacco per il monitoraggio delle concentrazioni di ozono); b) confronto con dati di inquinamento, o con stime derivanti da modelli di diffusione. Questo approccio, il migliore per tutti i biomonitors autoctoni, è stato seguito in molti casi (ad es. per la bioindicazione tramite licheni). I dati strumentali, però, sono spesso scarsi o assenti, il che rende problematico qualsiasi confronto statistico. In Italia, sul piano geografico, i dati biologici sono oggi di gran lunga più numerosi di quelli strumentali. c) confronto “interno” all’universo di dati biologici. Quest’ultima strategia, spesso la solo possibile per biomonitors autoctoni causa la carenza di dati strumentali (tipico il caso di quelli relativi ai metalli), richiede un commento a parte. Vi sono, soprattutto per i bioaccumulatori, almeno tre approcci basati su confronti “interni” per stimare la magnitudo delle alterazioni ambientali in termini di deviazioni dalla norma: 1) Comparazione con i valori di background. Questi possono essere calcolati in diverso modo, ad esempio come media dei valori minimi in aree più vaste di qualla di studio. La magnitudo dell’alterazione ambientale è espressa come rapporto tra il valore di una data stazione e quello di background. I valori di background, però, dipendono da fattori locali indipendenti dall’inquinamento, quali la costituzione litopedologica del territorio. In aree con emissioni naturali di mercurio (come in certe parti della Toscana) i backgrounds locali sono molto più alti che altrove. Il confronto tra i massimi in Italia e quelli locali può ridurre il rischio di sovra- o sottostimare l’alterazione di origine antropica. 2) Comparazione con il minimo nell’area di studio. In questo caso il livello di alterazione ambientale è espresso come rapporto tra il dato di una stazione ed il minimo locale, con il vantaggio che molti fattori di disturbo locali (p. es. la litologia) risultano più omogenei, lo svantaggio di non evidenziare fenomeni di alterazione diffusi su tutta l'area. In assenza di valori di background affidabili e/o di misure strumentali, è comunque consigliabile situare alcune stazioni, anche al di fuori dell’area di studio, in ambienti non interessati al tipo di inquinamento i cui effetti si intendono monitorare. 3) Il terzo approccio è possibile solo con un numero di misure tale da permettere analisi statistiche per individuare nella maniera più corretta i valori di background, e definire le classi di alterazione ambientale. Un esempio sono le scale relative alle concentrazioni di metalli nei licheni proposte da Nimis & Bargagli (1999), basate su 98 Pierluigi Nimis centinaia di misure su tutto il territorio nazionale, nelle più diverse condizioni naturali e di disturbo antropico. Dal momento che i dati biologici variano in dipendenza di numerosi fattori, in primo luogo geolitologici (in molti studi di bioaccumulo), e bioclimatici (in molti studi di bioindicazione), quasiasi scala per interpretare i dati in termini di alterazioni ambientali è valida solo nelle condizioni in cui essa è stata elaborata. Ciò rende utopica l’adozione scala unica per tutto il territorio nazionale: scale diverse vanno elaborate per situazioni diverse. Il dato biologico va quindi ben distinto dalla sua interpretazione in termini di alterazioni ambientali: le ricerche non dovrebbero limitarsi all’uso acritico di tecniche e scale considerate ormai “standard”, ma dovrebbero concentrarsi sull’affinamento di scale interpretative in diverse situazioni ambientali e per diversi tipi di alterazione antropogena. Un ruolo fondamentale - supportato finanziariamente dallo Stato potrebbe venir giocato da Università ed altri centri di ricerca di base, che oggi si vedono sin troppo spesso costretti alla pura e semplice applicazione di tecniche routinarie a fini di autofinanziamento. La definizione del biomonitoraggio come stima delle deviazioni da condizioni “normali” richiede un maggiore sforzo di indagine in ecosistemi non disturbati, per quantificare livelli di “naturalità” in situazioni ambientali diverse. In Italia settentrionale, ad esempio, le misure di biodiversità delle comunità licheniche epifite sono state correlate con successo sia con livelli di inquinamento da anidride solforosa, che con stime del rischio-salute per certe patologie (Cislaghi & Nimis 1997). Per l’Italia Mediterranea, ove l’aridità estiva è un fattore limitante per molte specie, va elaborata una scala diversa. Problemi simili riguardano l’utilizzo del tabacco come indicatore di ozono in diverse fasce altitudinali, o i bioaccumulatori di metalli in aree geolitologicamente diverse. In assenza di scale di interpretazione, molte tecniche di bioaccumulo si limitano ad evidenziare pattern geografici nelle concentrazioni di un dato metallo. Attraverso le scale di interpretazione si può invece stimare la magnitudo di eventuali deviazioni da situazioni normali. Entrambe le informazioni sono interessanti: la prima per evidenziare fenomeni diffusionali, la seconda per una valutazione in termini di qualità ambientale. 6. INDICI DI NATURALITÀ E DI ALTERAZIONE Un monitoraggio della “qualità dell’aria” esteso a tutto il territorio nazionale, e con una sola tecnica, sarebbe privo di senso, principalmente per il fatto che il termine “qualità dell’aria” non è definibile operazionalmente. Se con tale termine si intende una stima degli effetti sinergici di più inquinanti su sistemi biologici, allora la tecnica che più si avvicina allo scopo è forse quella di bioindicazione tramite licheni. Questi organismi sono sensibili ad alcuni inquinanti primari gassosi fitotossici comunemente emessi da processi di combustione. I pattern geografici della biodiversità lichenica corrispondono spesso a patterns di trasporto e deposizione atmosferica di SO2 e NOx, analoghi a quelli di altre sostanze gassose emesse dalle stesse fonti, e potenzialmente dannose alla salute umana, anche se non necessariamente ai licheni. L’esempio della Regione Veneto (Cislaghi et al. 1996, Cislaghi & Nimis 1997) è emblematico: la biodiversità lichenica è inversamente correlata all’incidenza del carcinoma polmonare nei maschi giovani nativi: i due bioindicatori (licheni e uomo) probabilmente reagiscono ad inquinanti diversi, ma con gli stessi pattern di trasporto e deposizione sul territorio. Tuttavia, i pattern individuati dalla biodiversità lichenica possono non coincidere con quelli di altri inquinanti verso cui questi organismi sono meno sensibili, Il biomonitoraggio della “qualità dell’aria” tramite licheni 99 come molti metalli in traccia. Ancora una volta il termine “qualità dell’aria” mostra la sua ambiguità terminologica, dovuta ad una definizione di tipo tautologico. L’uso congiunto di più indicatori risponde meglio alla concezione intuitiva del termine, in quanto permette di stimare gli effetti dell’inquinamento su organismi diversi, sensibili a inquinanti diversi. Come pervenire ad una rappresentazione sintetica? E’ possibile raggruppare i diversi indici in un indice unico, espressione di un parametro che si avvicini all’accezione intuitiva del termine “qualità dell’aria”? Procedure del genere sono correntemente impiegate in molti studi di impatto ambientale: diversi indici vengono riassunti in un unico valore, quasi sempre una media più o meno ponderata di quelli assunti dai singoli indici. Nel caso del biomonitoraggio, tuttavia, ciò non è consigliabile: lo stesso valore di “qualità” potrebbe risultare dalla media di situazioni diverse, nascondendo l’emergenza di singoli fenomeni di deviazione dalla norma, potenzialmente indicativi di fenomeni di inquinamento. A mio parere, l’ambiguo termine “qualità dell’aria” dovrebbe essere definitivamente abbandonato dai biologi, a favore di espressioni concettualmente più chiare ed operazionalmente meglio definibili. Un approccio alternativo, applicabile soltanto con tecniche corredate da scale di interpretazione che individuino un “punto zero”, corrispondente al condizioni “normali” per il fattore ed il biomonitor considerato, è stato proposto da Nimis (1999), e basato su due indici sintetici per la valutazione congiunta di più tecniche di biomonitoraggio (o - come nel caso del bioaccumulo - di dati relativi a più parametri ambientali). Essi riflettono, rispettivamente, il grado di naturalità e di alterazione ambientale ( v. Nimis et al. 1999). 7. VERSO DELLE LINEE-GUIDA NAZIONALI ED INTERNAZIONALI L’esistenza di scale di interpretazione affidabili è una conditio sine qua non per l’adozione di una data tecnica su vasta scala, potenzialmente estendibile al territorio nazionale. L’applicazione di una tecnica su larga scala necessita la definizione di procedure di qualità, comprendenti: a) manuali operativi standard, con procedure chiare, disegni ed esempi, b) definizione di obiettivi di qualità di misurazione e limiti di qualità dei dati, per definire il tasso di accettabilità o meno dei dati, stabilire fattori di correzione o ponderazione, c) training ed intercalibrazione, con istruzione comune ed esercizi paralleli di classificazione delle specie e di campionamento, d) controlli in parallelo, in cui un rilevatore indipendente opera parallelamente al rilevatore ufficiale per valutare la riproducibilità dei dati, e) audit in corrispondenza delle valutazioni parallele, f) analisi statistica delle risultanze, per documentare formalmente il livello qualitativo del lavoro. Inoltre, per le metodologie di acquisizione ed archiviazione dei dati, l’identificazione ed il referenziamento geografico dei siti, sarebbe opportuno stabilire un sistema coerente di codifica, trasmissione dati, verifica della completezza delle osservazioni e delle basi di dati. Le linee-guida, e soprattutto le indispensabili scale di interpretazione, dovrebbero essere periodicamente riviste ed aggiornate seguendo gli sviluppi della ricerca di base e l’accumularsi di nuovi dati relativi al territorio nazionale. Studi di base sulla variabilità dei dati possono migliorare le strategie di campionamento, e nuovi dati 100 Pierluigi Nimis possono portare alla modifica delle scale, o all’elaborazione di scale diverse, per diverse parti d’Italia. Infine, le linee-guida nazionali dovranno quanto prima integrarsi a livello europeo, confrontandosi criticamente con analoghe esperienze svolte in altri Paesi (v. Asta & al. 2001, Bargagli & Nimis 2001). Tutte queste attività, che rientrano nelle competenze dell’ Agenzia Nazionale Per l’Ambiente (A.N.P.A.), sono indispensabili per assicurare uno sviluppo serio, integrato e duraturo delle tecniche di biomonitoraggio in Italia. BIBLIOGRAFIA Asta J., Erhardt W., Ferretti M., Fornasier F., Kirschbaum U., Nimis P.L., Purvis W., Pirintsos S., Scheidegger Ch., van Haluwyn Ch., Wirth V. 2001 - Mapping lichen diversity as an indicator of environmental quality - In: Nimis P.L. et al. (eds.): Lichen monitoring – Monitoring Lichens Kluwer, NATO Advanced Science Series (in press). Bargagli, R., 1999 - The elemental composition of vegetation and the possible incidence of soil contamination of samples. - Sci. Total Environ., 176: 121-128. Bargagli R., Nimis P.L. 2001 Guidelines for the use of epiphytic lichens as biomonitors of atmospheric deposition of trace metals. In: Nimis P.L. et al. (eds.): Lichen monitoring – Monitoring Lichens Kluwer, NATO Advanced Science Series (in press). Cislaghi C. & P.L. Nimis 1997 - Lichens, air pollution and lung cancer. - Nature, 387: 463-464. Cislaghi C., Braga M. & P.L. Nimis 1996 - Methodological aspects of an ecological study on the association between two biological indicators. - Stat. Appl., 8, 1: 213-227. Nimis P. L., 1990 - Air Quality Indicators and Indices. The use of plants as bioindicators and biomonitors of air pollution. - In: A.G. Colombo & G. Premazzi (eds.): Proc. Workshop on Indicators and Indices, JRC Ispra. EUR 13060 EN, pp.: 93-126. Nimis P. L., 1991 - Data Quality in Environmental Sciences and the Biomonitoring of Air Pollution. Giorn. Bot. Ital., 125, 3: 126-135. Nimis P.L. 1996 - Radiocesium in plants of forest ecosystems. - Studia Geobot., 15: 349. Nimis P.L. 1999a - Linee-guida per la bioindicazione degli effetti dell’inquinamento tramite la biodiversità dei licheni epifiti. - Atti del Workshop "Biomonitoraggio della qualità dell'aria sul territorio nazionale. Roma, 26-27 novembre 1998. ANPA - Serie Atti, X/1999 267-277. Nimis P. L. 1999b - Forum-discussion: the future of Bioindication by lichens. International Lichenological Newsletter, 32, 1 (in stampa). Nimis P.L. & R. Bargagli 1999 - Linee-guida per l’utilizzo di licheni epifiti come bioaccumulatori di metalli in traccia. - Atti del Workshop "Biomonitoraggio della qualità dell'aria sul territorio nazionale. Roma, 26-27 novembre 1998. ANPA Serie Atti, X/1999:279-289. Nimis P.L., Ciccarelli A., Lazzarin G., Bargagli R., Benedet A., Castello M., Gasparo D., Lausi D., Olivieri S. & M. Tretiach 1989 - I licheni come bioindicatori di inquinamento atmosferico nell' area di Schio-Thiene-Breganze (VI). - Atti Mus. Civ. St. Nat. Verona, 16: 1-154. Nimis P.L., Lazzarin G., Lazzarin A. Skert N. 2000 - Biomonitoring of trace elements with lichens in Veneto. Sci. Total Environ., 255: 97-111. Il biomonitoraggio della “qualità dell’aria” tramite licheni 101 Nimis P.L., Skert N. & M. Castello 1999 - Biomonitoraggio di metalli in traccia tramite licheni in aree a rischio nel Friuli-Venezia Giulia. - Studia Geobot., 18: 3-49. Nimis P.L., Andreussi S., Pittao E. 2001 - The performance of two lichen species as bioaccumulators of trace metals. Sci. Total Environ., 275: 43-51. 102 Pierluigi Nimis Monitoraggio ambientale: metodologie ed applicazioni a cura di T. ANFODILLO & V. CARRARO Atti del XXXVIII Corso di Cultura in Ecologia, 2001:103-120 TECHNIQUES OF OZONE MONITORING IN A MOUNTAIN FOREST REGION: PASSIVE AND CONTINUOUS SAMPLING, VERTICAL AND CANOPY PROFILES Giacomo GEROSA1 and Antonio BALLARIN-DENTI2 University of Milan, Dept. of Plant Production, Milano, Italy Catholic University of Brescia, Dept. of Mathematics and Physics, Brescia, Italy 1 2 ABSTRACT Ozone is the most harmful air pollutant for plant ecosystems in the Mediterranean and Alpine area due to its biological and economical damages on crops and forests. In order to evaluate the relation between ozone exposure and vegetation injury under on-field conditions, suitable ozone monitoring techniques have been investigated. In the framework of a 5-year research project aimed at ozone risk assessment on forests, both continuous analysers and passive samplers have been employed during the summer season (1994-1998) in different sites of a wide mountain region (80 × 40 km2 ) on the southern slope of European Alps. Continuous analysers allowed the recording of ozone hourly concentration means necessary both to calculate specific exposure indexes (as AOT, SUM, W126) and to record daily time-courses. Passive samplers, even though supplied only weekly mean concentration values, made it possible to estimate the altitude concentration gradient useful to correct the altitude dependence of ozone concentrations to be inserted into exposure indexes. In-canopy ozone profiles were also determined by placing passive sampler at different heights inside the forest canopy. Vertical ozone soundings by mean of tethered balloons (kytoons) allowed to measure the vertical concentration gradient above forest canopy. They also revealed ozone reservoirs aloft and were useful to explain the ozone advection dynamic in mountain slopes where ground measurement proved not to be adequate. An inter-comparison between passive (PASSAM, CH) and continuous measurements highlighted the necessity to accurately standardize all the exposure operations, particularly the pre and post exposure conservation at cold temperature to avoid dye (DPE) activity. Advantages and disadvantages from each mentioned technique are discussed. Keywords Ozone, Alps, forests, passive samplers, continuous analyzers, vertical gradients, canopy profiles Domains The systems: Atmospheric system, ecosystems&communities, environmental sciences The processes: environmental toxicology SPECIFIC PROCESSES: ENVIRONMENTAL TECHNOLOGY, ENVIRONMENTAL POLICY, ECOSYSTEM MANAGEMENT The methodological approach: environmental monitoring, environmental modelling Specific databases: information management 104 Giacomo Gerosa, Antonio Ballarin-Denti SYNOPSIS Continuous analysers and passive samplers have been used in an extensive ozone monitoring campaign during five consecutive summer seasons in a forest region on the southern European Alps. Passive sampling allowed the determination of ozone concentration gradients along mountain slopes and vertical profiles inside forest canopies. Above-canopy profiles were determined by tethered balloons. An intercomparison between continuous analysers and passive samplers in ozone monitoring under different experimental conditions highlighted advantages and disadvantages for each mentioned technique. 1. INTRODUCTION Tropospheric ozone has been representing one of the major stress factors for forest ecosystems in both Northern America and Europe [1][2] due to its harmful phytotoxic effects. In mountain areas, where most forests are located, ozone monitoring is often critical, due to logistic factors and the spatial density of sampling required by the morphological complexity of the territory [3][4]. In these cases, the use of passive samplers represents a valid option alternative to continuous analysers which are more expensive and demanding in terms of power supply, temperature control, maintenance, calibration and costs [5][6]. In order to evaluate the relation between ozone exposure and vegetation injuries under on-field conditions, suitable ozone monitoring techniques have been investigated. In the framework of a 5-year research project aimed to the ozone risk assessment on forests both continuous analysers and passive samplers have been employed during the summer season (1994-1998) in different sites of a wide alpine valley (Valtellina) located on the southern side of European Alps (Italy) interested by different levels of forest decline. Wet and dry depositions, nitrogen and sulphur critical loads, soil and leaves nutrient availability and soil toxic xenobiotics had been extensively analysed during previous investigations and have been ruled out as possible causes of the different biological injuries observed [7][8]. Therefore, attention was paid to gaseous air pollution and in particular to photo-oxidant compounds whose symptoms had been noticed by a previous investigation of plant pathology carried out on conifer needles [9]. This paper presents the use of ozone passive samplers in mountain forest sites and discusses both advantages and disadvantages of this technique in our investigations. 2. EXPERIMENTAL METHODS & PROCEDURES 2.1 SITES AND OZONE SAMPLING The investigated area belongs to the Valtellina territory, a valley east-west oriented located on the southern side of Alps in northern Italy covering a territorial domain of about 80x40 km2. Specifically, two forest sites suffering from different forest decline have been studied form 1994 to 1998 [7]: Val Gerola (1500 m asl) and Val Masino (1200 m asl). During 1998 two other sites (named Campelli and Ligari) located at 1300 m and 800 m asl respectively have been added to the investigation. Techniques of ozone monitoring in a mountain forest region: passive and continuous sampling, vertical and canopy profiles Figure 1: 105 Region and investigation sites location [x and y show UTM coordinates (Km)] Val Gerola and Val Masino are lateral valleys of the main valley, both oriented North-South, while Ligari and Campelli are two sites located respectively on the northern and southern sides of the main valley (Valtellina). Both Valtellina and Val Masino have a glacial morphology, while Val Gerola has fluvial morphology. In Val Gerola, Val Masino and Campelli, sites are North-East oriented, while in Ligari, the site is South-East oriented. All these forests sites present similar composition: Picea abies mostly, bordered southward by Fagus sylvatica and northward by Larix decidua. The whole geographic domain forms a highly valued area from a ecological, naturalistic, and tourist point of view placed at about 90 km north of the intensively industrialized and densely populated region of Milan and is involved in II level permanent investigations (UN/ECE ICP-Forest project) on forest stress and novel decline [10]. The investigated area, due to its high morphological complexity and remote location, does not have a proper number of air quality stable monitoring stations equipped with continuous analysers, nor it is suitable to host mobile labs due to the impediments imposed by the difficult access to electric supply in forest environments. The few permanent stations of the Regional Air Quality Network are located exclusively in the valley bottom (300 m asl) and are scarcely useful to evaluate ozone exposures of mountain forests sited on slopes or in side valleys. In order to investigate the ecological role played by ozone as the main forest stressor in this area, the choice of using passive samplers has somehow been forced due to logistic reasons. Giacomo Gerosa, Antonio Ballarin-Denti 106 Ozone passive samplers have been used in 2 of the 4 sites (Val Masino, Val Gerola) over a 5-year monitoring campaign mostly to assess the long term mean exposure of forest sites to tropospheric ozone during the summer seasons, between the end of May and the end of September (16 weeks from 1994 to 1997, 20 weeks in 1998). Since biological injury symptoms are often more pronounced on the upper section of the tree crown [11][12], the vertical ozone concentration gradient inside the forest canopy has been also monitored during the years 1995-97. To this end, two individuals of Picea abies have been selected, one in Val Gerola and the other in Val Masino, and three ozone passive samplers have been located, by means of a pulley, within the canopy at different heights from the ground: 2, 15 and 25 m respectively, the last position being close to the tree top. Measurements have been performed on a weekly basis for the whole summer seasons. In the 1994-1996 summers, passive samplers have been used also to assess the altitude concentration gradients along the Val Gerola valley slope, which had resulted the most ozone polluted. This has been achieved placing passive samplers at different heights along the slope, at 250, 900, 1300, 1500 and 1700 m asl respectively. Two mobile laboratories equipped with continuous analyzers had been employed (one for each site) for a comparative assessment of the efficiency of passive samplers, made up by placing the passive samplers close to the air inlet of the automatic analyzers. From 1994 to 1998 they were located in Val Masino and Val Gerola simultaneously from June to July. In 1998 they were also moved to the other two sites to make measurements from August to September. In order to investigate the origin of ozone in the area and to detect possible accumulation structures aloft, vertical soundings have been performed by thethersonde balloons (kytoons). Ozone vertical profiles have been related to incanopy gradients recorded inside the forest by means of passive samplers. 2.2 PASSIVE SAMPLERS The passive samplers used are produced by PASSAM ag (CH-8708 Männedorf, Switzerland) [12]. Figure 2: Ozone passive samplers (Passam ag, Männendorf, CH) Techniques of ozone monitoring in a mountain forest region: passive and continuous sampling, vertical and canopy profiles 107 Figure 3: Diffusion tubes: a) design and b) physics They are constituted by polypropylene diffusion tubes 5 cm long and 1 cm wide, on whose bottom a glass fiber filter is placed, imbibed of DPE [1,2-di(4-pyridyl)-ethylene] solution in acetic acid which is selectively sensitive to ozone. In fact, ozone reacts with DPE and forms an instable ozonure which decomposes and turns into aldehyde. The total amount of aldehyde in the filter is assayed spectrophotometrically by means of MBTH [3-methyl-2-benzothiazolinone hydrazone] at 442 nm wavelength and then related to the absorbed ozone amount. Figure 4: Diffusion tubes: chemistry. 1-3: exposure; 3-5: analysis Giacomo Gerosa, Antonio Ballarin-Denti 108 Ozone diffuses up to the absorbing mean according to its concentration gradient along the x direction (1) w where Φ is the ozone flux [mol cm-2 s-1] D is the ozone diffusion coefficient [cm2 s-1] C is the ambient ozone concentration [µg m-3] x is the diffusion path The driving force is the concentration gradient between the surrounding air and the absorbing surface, where the ozone concentration is zero (C0 = 0) . The integration of (1) along the diffusion layer leads to (2) remembering that (3) where v is the transfer speed of ozone mass m which diffuses through a surface S perpendicular to the speed vector, by integrating on the whole surface we have: (4) Replacing equation (4) into (2), assuming that C0 = 0 and rearranging, we obtain (5) which can be used in the calculation of the ambient concentration after an exposure of t seconds. The term has the dimension of a flux and is called virtual flux or simply sampling rate [cc/s or ml/min]. Techniques of ozone monitoring in a mountain forest region: passive and continuous sampling, vertical and canopy profiles 109 Table 1: Technical features of PASSAM passive samplers (source: PASSAM ag. - modified) Since literature does not provide a reliable diffusion coefficient for ozone and since the DPE decomposition is not always stoichiometric, the determination of the sampling rate has been achieved by Monn & Hangartner [5] through comparison with standard UV-photometric continuous analyzers in a high number of tests in different sites and conditions [13][14]. The selected calibration function is displayed in Table 1 together with the main features of the used dosimeters. In order to limit the effects of meteorology (rain and strong wind) and of light on the DPE, dosimeters have been placed inside a special shelter equipped with openings which allow air exchange. Dosimeters are placed vertically in the shelter with the opening downward; the stopper is removed at the beginning of sampling. The little tubes were plugged at the end of sampling, stored into a insulated ice-packed bag, and kept in laboratory into a refrigerator (at 4°C). Within 2 months after collection, samples were delivered to be analyzed by Passam laboratories by means of a fast courier (less than 24 hours) inside an insulated box. In order to obtain statistically reliable measurements and to prevent data loss due to accidental intrusion of debris or insects, three dosimeters were used at a time for each shelter. Dosimeters were placed in open air and hanged on lower branches of isolated trees 2 meters from the ground and at least 1.5 m from the trunk in order to avoid possible interferences with biogenic compounds emitted by trees. The chosen exposure time for each measurement has been one week, which allowed the proper assessment of concentrations depending on the seasonal trend and on local meteo-climatic situations. Dosimeters were kept at +4°C sheltered from light both before and after use and were submitted to chemical analysis within 2 months from collection. 2.3 CONTINUOUS ANALYZERS The Two mobile laboratories for air quality analysis were equipped with continuous ozone analyzers (Dasibi 1108-RS, Glandale, CA, USA and Monitor Labs ML8810) besides analyzers for standard air pollutants (nitrogen oxides, sulfur dioxide, carbon oxide, non methane hydrocarbon compounds and particulate matter) as well as usual meteorological sensors (air temperature, pressure, humidity, wind direction and speed, solar radiation and precipitation). The instrument calibration has been performed before and after the campaign by the technicians of the regional reference Q&C laboratory (Environmental Regional Protection Agency of Lombardy). Continuous analyzers allowed to record ozone hourly concentration means necessary to calculate both exposure indexes such as AOT, SUM, W126 [15][16][17][18][19][20] and to record daily time-courses. 110 Giacomo Gerosa, Antonio Ballarin-Denti 2.4 TETHERSONDE BALLOONS Ozone undergoes depletion in the lower air layers close to the ground, while it can accumulate agglomerates at high concentration just above the canopy and in higher air layers [21][22][23]. Both passive samplers and continuous analyzers do not allow the detection of these accumulation structures because they measure ozone concentrations at ground level. During the summer of 1998, a Tethersonde Meteorological Tower produced by AIR inc. (CO, USA) has been used to perform vertical air samplings of ozone concentration up to 2000 m asl in Val Gerola, Val Masino and in a third location in the Valtellina valley bottom near the two valleys outlets. The system is composed by a 7.5 m3 buoy balloon filled up with helium and kept by a nylon rope about 2,000 m long which allows its recovery as well as ascending speed control. Under the balloon, several meteorological and chemical sensors are placed. The ozone analyzer (TS-4A-OZ ) is made up of a potassium iodide electrolytic cell able to detect ozone concentration with a +/-4 ppb accuracy coupled with a transducer and with a remote transmitter of the signal to ground. 3. RESULTS & DISCUSSION While other phytotoxic pollutants like SO2 or NOx exhibited extremely low concentrations (2-5 and 3 ppb respectively on average) [4] [7] [8] [36] [37], ozone showed mean seasonal concentrations of 42 and 71 ppb during the 5 year campaign respectively in Val Masino and Val Gerola. In the latter, the most damaged area, ozone hourly peaks reached a maximum value of 160 ppb in some days during 1996, while in Val Masino, in the same year, they reached 110 ppb. In the 5 year period of investigation no clear trends of O3 mean level are deducted (figure 5). However the two main sites show constant and significant concentration differences all over the period. Ozone daily time-course (figure 6), characterized by a peak during central day hours when solar radiation and temperature reach their maximum, indicates its photochemical origin. Figure 5: Ozone seasonal mean concentrations during the 5 year campaign in the 4 sites. Techniques of ozone monitoring in a mountain forest region: passive and continuous sampling, vertical and canopy profiles 111 Figure 6: Ozone mean daily time-course in sites at different altitudes (Summer 1996) However, in Val Gerola several peak episodes during night hours have been detected thus suggesting the presence of ozone transport phenomena from the outside of the valley basin [24]. High ozone concentrations during night hours in Val Gerola outline a scarce scavenging of this pollutant due to the absence of significant emission sources in the area. 3.1 OZONE EXPOSURE INDEXES DETERMINED BY PASSIVE SAMPLERS The seasonal time-courses of ozone concentrations in the two main sampling areas are similar even though different in absolute value: in fact, highest values can be recorded in Val Gerola, about 70% higher than those of Val Masino. Figure 7: Ozone seasonal time-course in two different sites (Summer 1996) 112 Giacomo Gerosa, Antonio Ballarin-Denti The figure 7 shows also the 40 ppb concentration threshold useful in the calculation of the AOT40 used in the ICP protocols for the determination of vegetation exposures to ozone. In Val Gerola, mean weekly concentrations of this pollutant were almost always above that threshold, while those of Val Masino have showed values below it. Ozone concentration seasonal course shows on average a maximum in July with lower values at beginning and the and of the season. This behaviour, which closely follows the temperature summer evolution and the global solar radiation [25], is affected by shorter fluctuations dependent on seasonal meteorological events such as the transit of fronts and rains. However, precipitation has only an indirect link with ozone since it slows the photochemical production on a regional scale, due to the fact that it is coupled with the decrease of solar radiation and temperature. The total seasonal exposure, estimated as AOT40 on the basis of measurements performed on passive samplers, has reached its maximum values in the 1996 season with 60,000 ppb.h in Val Gerola and 16,000 ppb.h in Val Masino, respectively. 3.2 ALTITUDE GRADIENTS ALONG SLOPES An ozone concentration gradient along the slopes has been found as a function of altitude, in agreement with other investigations results [22][26][27][28][29][30][31]. In Val Gerola this gradient is steeper than that in Val Masino and, beyond a certain altitude, presumably 1000 m asl, ozone concentrations can be compared. A close watch to figure 8 reveals that measurements have two separated data clusters: those of lower altitudes (250m and 900m) show values which can be compared; those of higher altitudes (1300 m, 1500 m and 1700 m) show similar though higher values. The graph (a) shows that the ozone altitudinal gradient, which is almost flat for altitudes lower than 900m, becomes much steeper above 900m; in the graph (b) the gradient is again lower above 1300m and this is confirmed also in the 1996 season except for the first three weeks of July when a most efficient atmospheric mixing occurred. These data show the presence of air stratification during the Figure 8: Ozone concentration dependence on altitude in different sites along the same slopes. a) Val Gerola 1994; b) Val Gerola 1995; c) Val Gerola & Val Masino 1996 Techniques of ozone monitoring in a mountain forest region: passive and continuous sampling, vertical and canopy profiles 113 summer season, to which different ozone concentrations values are coupled, higher in higher altitudes and lower at lower altitudes. The altitude where the ozone altitudinal gradient dramatically varies can be identified around 1000-1200m, which represents the transition between the mixed layer and a more stable layer. 3.3 IN-CANOPY GRADIENTS A significant difference in ozone concentrations has been detected inside the canopy, with increasing concentrations from the ground to the top (figure 9). Figure 9: Ozone concentration profiles at different heights inside a forest canopy (average height: 30 m) Figure 8 shows that in Val Gerola, values recorded at middle height inside the crown are on average 7% higher than those detected at ground level, while those recorded at crown top are 17%. Most impressive vertical gradients have been detected during more stable or more rainy weeks, when the vertical air mixing has been less intense, showing mean ozone concentrations varying of more than 30% between top and base of the tree. The ozone gradients observed inside the canopy are statistically significant (P≤0.001), as proved by the Paired t-test performed on the measurement series at three different heights. The presence of an ozone positive gradient along the canopy can be ascribed to the ozone differential consumption which occurs along the tree and to the related dry deposition processes [32]. In the lower portion, within the crown, ozone is more easily consumed by oxidative reactions due to the presence of high levels of terpenes and organic compounds with which they react. In the upper portion, foliar density is less and therefore the dry deposition intensity on surfaces decreases. The increasing of the crown density, from ground to the top, also limits the ozone vertical diffusion towards the ground. Finally, the photochemical processes which lead to the net formation of 114 Giacomo Gerosa, Antonio Ballarin-Denti ozone occur more easily at the crown top where a higher solar radiation occurs as well as higher temperatures than at the tree base. 3.4 ABOVE-CANOPY VERTICAL PROFILES Ozone vertical samplings performed in 1998 by means of buoy balloons have shown the presence of an ozone positive gradient in the surface layer about 100-200 m thick responsible for the dry deposition of this pollutant on vegetation (figure 10). This gradient appeared more evident in the morning and evening hours. In Val Gerola, the less intense gradient indicates a weak ozone scavenging. In Val Masino, on the contrary, the scavenging is more intense, as all profiles show a dramatic fall of ozone concentration in the air layer close to the ground, probably due to the contribution of NOx from the nearby inhabited area. Figure 10: Ozone vertical profiles above forest canopy at different daytimes. a) Val Masino b) Val Gerola In any case, these vertical gradients in the atmosphere appear to be much less steeper than those detected inside the canopy, about 10-15 times more intense. During the night, in both sites the presence of a richer stationing ozone layer appears at about 400 m asl. This agrees with the results of other investigations performed in mountain areas [21] Techniques of ozone monitoring in a mountain forest region: passive and continuous sampling, vertical and canopy profiles 115 In Val Gerola between 7 and 10 p.m., an unusual increase of ozone concentrations within 200 m above ground level has been observed. This occurrence has been related to the descent of an ozone rich air mass along the slope, coming from outside the valley domain and most likely originating from the plain south of the area [24]. These events represent the cause of frequent ozone concentration peaks detected by continuous analyzers during night hours in Val Gerola and are responsible of the increase of the mean ozone daily course in the same hours (fig.5). The presence of ozone advection from south in this valleys explains the strong difference among seasonal ozone levels observed. 3.5 PASSIVE SAMPLERS VS CONTINOUS ANALYZERS: A COMPARISON UNDER ON-FIELD CONDITIONS All measurements of ozone weekly mean concentrations performed over 5 years by passive samplers in all sites where mobile laboratories were placed have been compared to the hourly mean of continuous measurements obtained over the same period of time. Ozone measurements performed when the sampling efficiency of continuous analyzers was lower than 75% have been excluded. The ozone weekly mean concentrations courses by passive samplers and continuous analyzers on identical periods of time always show similar evolutions (figure 11). Figure 11: Seasonal time-courses of ozone measurements recorded by co-located passive samplers and continuous analysers (Val Gerola, 1995) The t-paired test applied to both measurement series over 5 years (p=0.397382) proves that the H0 hypothesis stating that samples belong to the same population can not be rejected, i.e. the two measurement series do not differ significantly. 116 Figure 12: Giacomo Gerosa, Antonio Ballarin-Denti Normal probability plots of ozone weekly means obtained by a) continuous analysers and b) passive samplers The comparability of the two measurement techniques has been investigated more closely. Once the normality of the ozone weekly mean concentrations distribution obtained by the two measurement techniques has been assessed (n=98, figure 12), necessary to properly perform any kind of correlation analysis implying the use of the Pearson’s coefficient, a linear regression between passive and continuous measurements has been performed (figure 13). Figure 13: Passive samplers versus continuous analysers: linear regression on all 5-years data set The Pearson’s r correlation coefficient on all the comprehensively considered measurements was 0.78824, though the unexplained variance (1-R2) is 37.86% of the Techniques of ozone monitoring in a mountain forest region: passive and continuous sampling, vertical and canopy profiles 117 total variance, thus indicating a not perfect matching between the two measurement techniques. The passive samplers we used tend to overestimate when weekly mean concentrations are higher than 80 µg/m3 (40 ppb) and underestimate in case of lower values. The detectable limit which derives from the analysis is 18 µg/m3 (9 ppb) of ozone weekly mean concentration. This “five-year mean efficiency” of passive samplers used of course includes years in which the two techniques matched perfectly (1995) and others when they did less (1994) (figure 14). No significant efficiency differences have been observed among the different sites. Figure 14: Passive samplers versus continuous analysers: linear regression of the best (1995, b) and worst (1994, a) data set 3.6 PASSIVE SAMPLERS VS CONTINOUS ANALYZERS: DISCUSSION The high air temperature (>30°C), solar light and UV radiation, high wind speed and biogenic emissions have proved to be the main factors affecting the DPE response thus interfering on the quality of measurements taken by passive samplers used in this investigation. The adoption of properly designed shelters reduces the influence of light and wind speed but does not reduce that of temperature, terpenes and UV. This factors may explain the poor efficiency of passive samplers in some years. However, the influence of terpenes and UV which are markedly high in mountain forest sites at high altitude does not seem significant enough, since the performance of passive samplers used in the different plain rural sites (ranging from 100 and 250 m asl) with comparable O3 concentrations [33] has proved to be basically worse: the Pearson's correlation coefficient between continuous analyzers and passive samplers was in fact r = 0.67 and the linear regression O3_CONT= 0.32 O3_PASS+14.3 (N=60). This result may lead to the exclusion of possible interference from other factors not considered here and specifically present in mountain forest environments. The lack of a stable performance of passive samplers could then be attributed to a not always rigorous observance of passive dosimeters handling protocols by the operators, as for the maintenance of dosimeters at low temperature in each phase before and after exposure, for the rapidity of positioning and delivery to the laboratory analysis. Furthermore a stronger evidence of the constancy of both quality and stability of the used DPE should be achieved. 118 Giacomo Gerosa, Antonio Ballarin-Denti 4 CONCLUSIONS Passive samplers are essential when extensive measurements of ozone mean concentrations must be performed and low costs are required in geographical locations where the use of continuous analyzers is not feasible, as in remote areas. These measurements may help the understanding of both the spatial and temporal variability of ozone on an ordinal scale, and also reduce uncertainties in the assessment of air quality in a given region [34]. In any case, however, the use of mean values can not explain the dynamics of environmental exposures to ozone (peaks, daily courses, short term meteoclimatic influences) nor can provide the necessary descriptors for the modeling of the vegetation response to ozone [35]. The advantages in the use of passive samplers can be summarized as follows: they do not need power supply, they are small and easy to use and they do not require a continuous control. However, in order to obtain reliable measurements and to improve passive samplers performance, it is necessary to carefully standardize procedures of positioning, pre and post exposure handling, stocking temperature and timing (also during transport) in order to carry out the chemical analysis as soon as possible. REFERENCES 1. Skelly J. M., Innes J. L. (1994) Waldsterben in the forests of cental Europe and eastern north America: fantasy or reality? Plant Disease 78, 1021-32 2. Schmieden U., Wild A. 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Di Girolamo F., Tagliaferri A. [Eds] (1998). ESPERIME: Esperimenti sul terreno per migliorare le conoscenze sull'inquinamento atmosferico. Final EU Project Report, CE 94.60 IT.00.90 ACKNOWLEDGEMENTS The authors are grateful to Lombardy Foundation for the Environment for the financial support, to the Environmental Protection Agencies of Milan and Sondrio for providing mobile laboratories and Q&C procedures, to CESI Company for the assistance in the use of buoy balloons. Monitoraggio ambientale: metodologie ed applicazioni a cura di T. ANFODILLO & V. CARRARO Atti del XXXVIII Corso di Cultura in Ecologia, 2001:121-132 MONITORING THE SWISS FOREST: BUILDING A RESEARCH PLATFORM Anne THIMONIER, Maria SCHMITT, Paolo CHERUBINI, Norbert KRÄUCHI Swiss Federal Institute for Forest, Snow and Landscape Research (WSL) 8903 Birmensdorf - Switzerland 122 Anne Thimonier, Maria Schmitt, Paolo Cherubini, Norbert Kräuchi 1. BACKGROUND During the late 1970s and the beginning of the 1980s, several cases of forest decline were reported in several areas of Europe. Air pollution was largely incriminated originally, which triggered the setting up in 1985 of the International Co-operative Programme on the Assessment and Monitoring of Air Pollution Effects on Forests (ICP Forests), under the Convention on Long-range Transboundary Air Pollution (CLRTAP) of the UN/ECE. ICP Forests provides the Executive Body of CLRTAP with scientific knowledge of the effects of air pollution and other environmental factors on forests. The data gathered within the framework of this programme and other parallel programmes assessing the effects of air pollution on other receptors (ICP Vegetation, Waters, Materials) contribute to the development of legally binding protocols on international air pollution abatement policies (ECUN/ECE, 2001). Switzerland is one of the 36 European countries participating in the ICP Forests programme. To fulfill national and international commitments in the domain of protection of forests, two programmes were set up in Switzerland. 1) The forest health inventory (Sanasilva), which assesses tree crown condition every year over a systematic grid, was implemented for the first time in 1985. 2) The Swiss Longterm Forest Ecosystem Research LWF was established in 1994, with the aim of gaining a better knowledge of how natural and anthropogenic stresses affect forests in the long term (Cherubini and Innes, 2000). LWF will also help to develop alternative indicators of forest health that have greater value than crown defoliation and to better understand cause-effect relationships in forest ecosystems. Both programmes are based at the Swiss Federal Institute WSL at Birmensdorf. 2. FOREST HEALTH INVENTORY SANASILVA The forest health inventory Sanasilva has been carried out in its current form every year since 1985. Its objective is to monitor the health of the Swiss forest using crown and tree parameters as indicators of forest condition. Sanasilva fulfills the requirements of the so-called Level I assessment of ICP Forests, which aims at monitoring the spatial and temporal variation of forest condition over a systematic grid (16 x 16 km) throughout Europe. The size of the systematic sample grid in Switzerland has been changed twice since 1985. From 1985 until 1992 approximately 8,000 trees were assessed on nearly 700 plots over a 4x4 km grid. In 1993, 1994 and 1997 approximately 4,000 trees were assessed over a 8x8 km subgrid. In 1995, 1996, 1998, 2000 and 2001 approximately 1000 trees over a 16x16 km subgrid were assessed. In 2000, for the first time since 1995, crown defoliation clearly increased in Switzerland (Figure 1). Three out of 10 assessed trees exhibited more than 25% defoliation. Several potential natural and anthropogenic factors could be involved. Part of the increase can be ascribed to the storm Lothar (December 1999), but the storms alone cannot be held responsible for the increase in crown defoliation: the increase in regions not affected by the storms (4.9%) was almost as high as the increase in affected regions (5.1%). In France and Baden-Württemberg, where Lothar and Martin also caused considerable damage, crown defoliation did not increase; in Bavaria and Austria however, which were less affected by the storms, defoliation increased. The long dry period in spring 2000 or natural tree ageing could also have contributed to the deterioration of the crown condition (Dobbertin and Brang, 2001). 123 Monitoring the Swiss forest: building a research platform proportion of trees with > 25% defoliation (%) 50 45 40 35 total defoliation 30 25 20 defoliation due to unknown causes 15 10 5 4 x 4km 8x8 16 x 16 8x8 16 x 16 0 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 Figure 1. Evolution of the proportion of trees with a more than 25% defoliation in Switzerland from 1985 to 2000; the error bar represents the standard error (Dobbertin and Brang, 2001) The Sanasilva data only allow speculations about the causes of crown decline and show the need for further investigations involving a more detailed assessment of the ecosystem components. The multi-disciplinary, long-term studies undertaken within the framework of the Long-term Forest Ecosystem Research LWF will help in establishing cause-effect relationships between assessed indicators of the forest ecosystems and potential natural or anthropogenic stress factors. 3. LONG-TERM FOREST ECOSYSTEM RESEARCH LWF The Swiss Long-term Forest Ecosystem Research LWF was established in 1994 under the Forest Observations Programme (now called Forest Monitoring in Switzerland) (Innes, 1995; Cherubini, 1995; Kräuchi, 1996a and 1996b; Kräuchi, 1998; Cherubini and Innes, 2000; Kräuchi and Cherubini, 2000; http://www.wsl.ch/forest/risks/riskshome-en.ehtml). It is one of four programmes designed to provide basic information about forest dynamics in Switzerland, primarily in relation to the sustainable management of the forest resource. It is a joint programme between the Swiss Federal Institute WSL and the Swiss Agency for the Environment, Forests and Landscape (SAEFL). LWF is the main Swiss contribution to what is termed level II assessment of ICP Forests, set up in 1994 to contribute to a better understanding of the relationships between the condition of forest ecosystems and anthropogenic and natural stress factors through intensive monitoring on selected permanent observation plots in Europe. LWF data thus represent an important addition to international policy-making in relation to pollution control. 4. AIMS In agreement with the objectives of ICP-Forests, level II, the mission of LWF is to improve our understanding of how natural and anthropogenic stresses affect forests in the long term, and assess which risks for humans are involved. LWF focuses on 124 Anne Thimonier, Maria Schmitt, Paolo Cherubini, Norbert Kräuchi gaining a more profound knowledge of the cause-effect relationships in the forest ecosystem and the underlying processes. The aims of LWF are: to assess external anthropogenic and natural stresses (e.g. atmospheric deposition, climate) to assess changes of relevant forest ecosystem components to evaluate the influence of external stresses on forest ecosystems to develop indicators of forest health to analyse the risks under different stress scenarios to provide input data for forest ecosytem models to provide a sound basis for sustainable environmental policies, insofar as forests are concerned to contribute to the assesment of the effectiveness and impacts of the national air pollution abatement policies (e.g. reductions in the release of sulphur dioxide over the last twenty years) 5. SITE SELECTION To achieve these aims, 17 permanent plots have been selected throughout Switzerland (Figure 2, Table 1) using various criteria (Cherubini and Innes, 2000), including: the areas should be homogeneous with respect to their ground conditions and stand structure (local relief, vegetation) should belong to a forest community type that is important in Switzerland should be located in a region sensitive to environmental change should, if possible, already have been the subject of past or ongoing environmental studies. Figure 2. Location of the LWF sites (red dots) and of the Sanasilva 8 x 8 km grid (green dots) (map: A. Baltensweiler) 6. PLOT DESIGN Each LWF plot (3 plots excepted) is 2 ha in area. It consists of a core area surrounded by a buffer zone in which sampling with destructive methods is 125 Monitoring the Swiss forest: building a research platform performed. In each plot, a 43 m x 43m subplot is dedicated to intensive monitoring of a number of components. Table 1. Site characteristics of the 17 LWF plots mean altitude slope a.s.l. (m) Aspect (%) main tree species site species mixture development stage silvicultural system soil type (FAO, 1988) (Lorenz Walthert, pers. comm) woodland association (Ellenberg and Klötzli, 1972) Bettlachstock 1149 S 66 Fagus sylvatica mixed broad-leavedmiddle-aged timber treeforest reserve Rendzic Leptosole 13h: Cardamino-Fagetum tilietosum Neunkirch 582 N 58 Fagus sylvatica broad-leaved old timber tree forest reserve Rendzic Leptosole 13: Cardamino-Fagetum tilietosum Jussy 501 flat 3 Quercus robur broad-leaved young timber tree unmanaged / group selection Eutric Gleysole Lausanne 807 NE 7 Fagus sylvatica broad-leaved old timber tree group-selection Dystric Cambisole 8: Milio-Fagetum Othmarsingen 484 S 27 Fagus sylvatica broad-leaved old timber tree group-selection Haplic Acrisole 7: Galio odorati-Fagetum typicum Vordemwald 480 NW 14 Abies alba mixed coniferous old timber tree group-selection Dystric Planosole 46: Bazzanio-Abietetum Alptal 1160 NW 23 Picea abies coniferous young timber tree selection Mollic Gleysole 49: Equiseto-Abietetum Beatenberg 1511 SW 33 Picea abies coniferous middle-aged timber treeselection Podzole 57: Sphagno-Piceetum calamagrostietosum villosae Schänis 733 60 Fagus sylvatica broad-leaved old timber tree Eutric Cambisole 13: Cardamino-Fagetum tilietosum Celerina 1871 NE 34 Pinus cembra coniferous middle-aged timber treegroup-selection Podzole 59: Larici-Pinetum cembrae Lantsch 1474 W 16 Picea abies coniferous middle-aged timber tree [not determined yet] 65: Erico-Pinetum silvestris National Park 1899 S 11 Pinus mugo coniferous polewood forest reserve Calcaric Fluvisole 67: Erico-Pinetum montanae Lens 1063 SE 75 Pinus sylvestris coniferous young timber tree unmanaged Haplic Calcisole 64: Cytiso-Pinetum silvestris Visp 695 80 Pinus sylvestris coniferous polewood unmanaged Calcaric Phaeozeme38: Arabidi turritae-Quercetum pubescentis Chironico 1365 N 35 Picea abies old timber tree group-selection Podzole 47: Calamagrostio villosae-Abietetum Isone 1220 NE 58 Fagus sylvatica broad-leaved young timber tree unmanaged Podzole 4: Luzulo niveae-Fagetum dryopteridetosum Novaggio 950 68 Quercus cerris broad-leaved polewood unmanaged Podzole 42: Phyteumo betonicifoliae-Quercetumcastanosum W N S coniferous group-selection 35: Galio silvatici-Carpinetum The design is such that sampling of throughfall, litterfall, soil matrix, soil solution and ground vegetation are tightly networked to allow better detection of correlations between the status of and temporal changes in these components (Figure 3). All trees, sampling devices and sampling locations are georeferenced. N subplot B (Sanasilva inventory) intensive monitoring plot litterfall and precipitation collectors vegetation quadrats lysimeters (soil solution) meteorological station vegetation plot soil sampling (solid phase) rain collectors ( 16) snow collectors ( 4) litterfall collectors ( 10) tensiometers (soil water potential) subplot A (Sanasilva inventory) Figure 3. Sampling design of the LWF plot in the Swiss National Park 10 m 126 Anne Thimonier, Maria Schmitt, Paolo Cherubini, Norbert Kräuchi 7. NETWORK MANAGEMENT The network is managed by the staff of the LWF group based at the WSL. The group consists of more than 20 scientists and field and laboratory technicians. These are involved full- or part-time in the LWF programme and belong to various research sections of the WSL, as LWF tries to synergetically benefit from the competences of the staff at the WSL institute. Nine plots are fortnightly maintained by local foresters; in these cases, collected water, plant and soil samples are mailed to the WSL laboratory. Maintenance conditions are settled in a contract between the WSL and the local forest service. The annual costs of the external maintenance of the plots amount to SFr. 5'000 per plot. The remaining plots, the closest to the WSL, are managed by the LWF staff. LWF runs with an annual budget of ca. SFr. 3'000'000 (including overhead costs). QUALITY ASSURANCE The LWF data will be used for comparisons between sites (in Switzerland and in Europe) and over time, and special attention must be given to the data quality. At each step of data acquisition, potential errors need to be identified and reduced to an acceptable level. 8. SAMPLING METHODOLOGY The sampling methods (statistical design, equipment, etc.) used in the core projects of LWF were selected on the basis of recommendations of expert groups of the UN/ECE (ICP Forests manuals, Programme Coordinating Centres, 1994) and statisticians at the WSL (e.g. Ghosh et al., 1995) as well as careful study of the literature (e.g. Thimonier, 1998a). Field assesments and data collection Possible biases in field assessment of parameters such as crown condition are reduced thanks to annual training and intercalibrations of the teams before the inventory is conducted at the national level. Comparability of crown condition assessments obtained by the different countries participating in ICP Forests is also checked regularly in international comparison exercises. Recording of the data in the field directly in the computer noticeably reduces errors in data entry thanks to internal automatic checks (e.g. vegetation data: Kull & Rösler, 1999). Automatic data recording on modular data-loggers equipped with a GSM-module for digital data transfer (e.g. meteorological data) also considerably improves the quality of the data (Jakob et al., 2000). 9. LABORATORY ANALYSES The WSL laboratory in charge of the chemical analysis of plant, soil and water materials regularly participates in international ring tests (e.g. Mosello et al., 1996, 1998; Bartels, 2000) and uses standard and certified materials to calibrate its analytical equipment. Blank samples or replicate samples are also given regularly by the LWF projects. The certification of the WSL laboratory is in progress. All samples are archived, at least until validation of the chemical analyses (water samples) or for an indefinite period when storage facilities are available (soil and plant material). The plausibility of the analyses is then evaluated e.g. by checking if the measured values are within the expected range (detection of outliers) or, in the Monitoring the Swiss forest: building a research platform 127 case of water samples, by calculating ion balances and comparing measured and reconstructed conductivity (Mosello et al., 1996). If the results are unsatisfactory, a replicate of the sample is returned to the laboratory to be re-analyzed. 10. DATA STORAGE LWF data are permanently stored in an integrated project database (Relational Oracle Database). To manage the geographic data, a spatial database module (e.g. ArcSDE from ESRI Inc.) is used. In long-term and multi-disciplinary projects such as LWF, changes in measurement requirements, and subsequently changes in the configuration of the measurement devices and in the entire data processing chain, are most likely to occur. In order to deal easily with such changes, the LWF database developers used a generic approach requiring only few changes to the application parameters (Jakob et al., in press). Geographic information systems (GIS) associated to the Oracle database enables analyses, simulations and visualizations of the data. 11. PROJECTS The LWF is organised into a set of core measurements and a series of research projects which are designed to provide answers to specific questions in relatively short periods of time. Its long-term focus makes LWF a perfect platform for environmental research providing scientists with basic data necessary for understanding the functioning of the ecosystem. LWF is thus encouraging the implementation of specific research projects on the plots. The emphasis of the monitoring and research projects carried out on the LWF platform lies in four main areas: air pollution, climate change, biodiversity and ecosystem health (Table 2). Active partnership with Swiss and international research institutes and universities is promoted. An example of cooperation associates the WSL with the Swiss Paul-Scherrer Institute (study of the isotopic composition δ18O of tree-rings and link with climatic variations, Saurer et al. 2000). Examples of partnership with foreign institutes are collaboration with the Penn State University (ozone research, Innes et al., 2001), or with the University of Padua (Cherubini et al., submitted). One of the latest collaboration joins researchers from the WSL with the University of Montana, with the objective of calibrating and testing the BIOME-BGC model (a simulation tool to calculate fluxes and pools of carbon, nitrogen and water in ecosystems; Thornton, 1998) on the LWF sites. In order to help interpret data collected on the LWF plots, data from other networks are analysed (e.g. meteorological data of the Swiss network; Rebetez and Beniston, 1998; Rebetez, 1999; Rebetez, in press). LWF scientists are also actively involved in national and international experimental projects using facilities such as open top chambers for ozone research (e.g. Ghosh et al., 1998; Skelly et al., 1998) or CO2 natural springs (dendrochronological study of tree growth under elevated CO2 concentrations; Tognetti et al., 2000). 12. CONCLUSION After some years of measurements (up to 6 for some plots), the different ecosystem components at the LWF sites and their initial status have been soundly characterized (e.g. Dobbertin et al., 2001b). The measurement period is too short to draw conclusions about long-term variations, but available data allow in-depth exploration of functional or cause-effect relationships between ecosystem components. Anne Thimonier, Maria Schmitt, Paolo Cherubini, Norbert Kräuchi 128 Table 2. Core projects (*) and platform-based projects implemented on the 17 LWF sites. The LWF plot code corresponds to the first 3 letters of the plot name (see Table 1). ecosystem component tree LWF-plots where data are available frequency of monitoring crown condition * all every year growth (circumference at 1.30 m) * fine-scale growth (girth band) growth (tree-rings) all every 5 years Vor hourly indicator canopy structure (leaf area index, light) needle retention phenology ground vegetation soil and forest floor woody debris ambient air quality Pouttu & Dobbertin 2000 Bet, Vor Vasella & Brügger 2001 Innes & Kräuchi 1995, Innes et al. 1998 Webster et al. 1996 every 2 years all except Lan every 10 years Bea, Bet, Cel, Lau, Nov, Oth, Sch, Vor continuous (2 weekly) Alp, Bea, Bet, Cel, Jus, Lau, Nat, Neu, Nov, Oth, Sch, Vor Bea, Bet, Nov, Sch, Vor continuous (2 weekly) Bea, Bet, Cel, Lau, Nov, Sch, Vor, Oth Alp, Bet, Chi, Iso, Jus, Lau, Neu, Nov, Oth, Vor once Alp, Bea, Bet, Cel, Chi, Jus, Lau, Nat, Neu, Nov, Oth, Sch, Vis, Vor Alp, Bea, Bet, Cel, Jus, Lau, Nat, Neu, Nov, Oth, Sch, Vis, Vor Bea, Bet, Lau, Vor continuous (2 weekly) once all except Lan global radiation, PAR, UV-B, wind speed and direction * precipitation, relative humidity * ozone concentrations all except Lan continuous (10 minutes) all except Lan continuous (60 minutes) continuous (weekly) continuous (2 weekly) tree-rings, documentation of forest management once all Bet, Nov, Oth, Sch, Vor Bea, Bet, Cel, Chi, Jus, Lau, Nat, Nov, Oth, Sch, Vor all except Lan Bretz Guby & Dobbertin 1996, Dobbertin & Kaennel Dobbertin 1998 Thimonier 1998b continuous (4 weekly) root and bud rot of forest trees species diversity ammonia and nitrogen dioxide concentrations stand history once all except Lan fungi, mycorrhiza mycorrhizal diversity climate Vis floristic composition, regeneration * chemical and physical properties of the solid phase * soil solution chemistry * litterfall * insects every 5-10 years all except Lan above ground throughfall and incident nutrient fluxes precipitation * Dobbertin (in press) all except Lan foliar concentrations * litter and fine root decomposition, microbial activity root and soil status in the rhizosphere of individual trees volume Brang 1998, Dobbertin & Brang 2001 all except Lan weekly (spring, fall) every 2 years soil water potential * selected publications Dobbertin et al. 2001a Vonwil 2000 once Rebetez 1996 Cherubini & Dobbertin 1997 Monitoring the Swiss forest: building a research platform 129 LWF data, together with baseline data collected by other Swiss monitoring networks (e.g. air, soil or water quality networks) will be used to develop an ecological risk assessment framework, which will help identify the current and potential threats to forest ecosystems (Kräuchi, submitted). 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Per descrivere tali processi è necessario richiamare alcune definizioni di produttività primaria. La produzione primaria lorda rappresenta la quantità di sostanza organica che viene sintetizzata nel processo della fotosintesi, la produzione primaria netta è ciò che rimane della produzione lorda al netto dei processi respirativi delle piante, mentre la produzione primaria netta dell’ecosistema è la parte di produzione primaria netta che rimane una volta detratte le perdite dovute alla respirazione degli organismi eterotrofi, tra cui i processi di decomposizione della sostanza organica. Tali definizioni si applicano a qualsiasi livello dell’ecosistema e possono essere considerate su base annua. Tuttavia molti processi che influenzano la produzione primaria si svolgono su scale temporali di decine di anni o secoli. Per esempio gli incendi, le catastrofi naturali come alluvioni o tempeste di vento e fattori biotici come gli attacchi di insetti defogliatori sono in grado di sconvolgere l’ecosistema e influenzare notevolmente la sua produttività primaria. Questi fenomeni sono particolarmente significativi se considerati su scale spaziali estese. Se consideriamo la biosfera nel suo insieme vi troveremo, per esempio, foreste molto produttive, altre sfruttate dall’uomo, altre ancora soggette a disturbi naturali. Per questo motivo è stato introdotto un nuovo concetto, quello di produzione primaria netta della biosfera, che rappresenta l’insieme del bilancio del carbonio biosferico, comprendente tutti i fattori che lo compongono. Se si osserva il ciclo del carbonio nelle sue componenti (fig.1) si può notare come le Figura 1 Schema del ciclo del carbonio. I valori sono espressi in gigatonnellate di carbonio. Le frecce indicano i flussi annuali tra i compartimenti. PPL: produzione primaria lorda; Ra: respirazione autotrofa; Rd: respirazione eterotrofa; D: deforestazione; DOC: carbonio organico disciolto; DIC: carbonio inorganico disciolto. Metodologie di studio della produttività primaria di ecosistemi forestali 135 maggiori riserve di questo elemento si trovino nei sedimenti fossili, dove sono contenute circa 40.000 Gt (1 Gt=109 t) di carbonio, di cui circa 4000 utilizzabili come combustibili fossili. Gli oceani ne contengono circa 38.000 Gt, pari a circa 51 volte il contenuto dell’atmosfera. Sulle terre il maggiore serbatoio di carbonio è costituito dal suolo, che ne contiene 1500 Gt, mentre solo un terzo di questo ammontare si trova nella biomassa epigea. Nell’atmosfera vi è il serbatoio più ridotto di carbonio, con circa 750 Gt. L’aspetto più interessante del ciclo globale del carbonio è rappresentato dai flussi di carbonio tra i vari compartimenti. Tra le terre e gli oceani vi è il trasporto di carbonio organico disciolto nelle acque dei fiumi, che è pari a circa 0,4 Gt/anno. Un flusso equivalente si registra in termini di carbonio inorganico. Tuttavia i flussi di carbonio più importanti sono quelli che si verificano tra oceani e atmosfera e tra terre e atmosfera. Lo scambio di carbonio tra oceani e atmosfera è pari a circa 92 Gt/anno nella direzione atmosfera→oceani e a circa 90 Gt/anno nella direzione opposta. Gli oceani agiscono dunque come un elemento in grado di assorbire il carbonio atmosferico, grazie soprattutto alla capacità del diossido di carbonio di diffondersi nelle acque superficiali e di depositarsi sotto forma di carbonati nelle profondità oceaniche. Gli scambi di carbonio tra terre e atmosfera sono caratterizzati da più componenti, che sono anche quelle maggiormente influenzate dalle attività umane. Gli ecosistemi terrestri ogni anno scambiano 60 Gt di carbonio con l’atmosfera. Questo valore rappresenta la produzione primaria netta degli ecosistemi terrestri, risultando dalla differenza tra le 120 Gt di produzione primaria lorda e le 60 Gt liberate dalla respirazione delle piante. La decomposizione della sostanza organica libera circa 60 Gt di carbonio ogni anno, cosicché in linea di principio gli ecosistemi terrestri sarebbero in equilibrio dal punto di vista del bilancio del carbonio: la produzione primaria netta è consumata totalmente dai decompositori e quindi la produzione primaria netta dell’ecosistema è nulla. Vedremo però tra breve che l’asserzione secondo la quale la componente terrestre della biosfera è in equilibrio deve essere rianalizzata sulla basa di nuove osservazioni. Il bilancio del carbonio planetario presenta inoltre due altri fattori inattesi che dipendono largamente dalle attività umane: l’uso dei combustibili fossili e la deforestazione tropicale. L’utilizzo dei combustibili fossili introduce ogni anno nell’atmosfera circa 6 Gt di carbonio, con un andamento in progressiva crescita. Tra tutte le componenti del bilancio del carbonio, quella legata allo sfruttamento dei combustibili fossili è la più documentata ed è in continua espansione. La deforestazione tropicale è responsabile dell’emissione nell’atmosfera di circa 1,6 Gt di carbonio ogni anno. Considerando la ricrescita parziale delle aree sottoposte a deforestazione (si tratta comunque di ecosistemi semplificati, per lo più costituiti da erbe infestanti, molto lontani dalla vegetazione primaria preesistente), che determina un assorbimento di carbonio pari a 0,7 Gt/anno, vi è un’emissione netta di carbonio pari a 0,9 Gt di carbonio ogni anno. Come è noto, a fronte di questi due ultimi fattori, sconosciuti alla nostra atmosfera prima della rivoluzione industriale, la concentrazione di diossido di carbonio nell’atmosfera è passata dalle 280 ppm dell’era preindustriale alle 360 ppm attuali e si prevede per l’inizio del prossimo secolo un suo raddoppio rispetto ai valori iniziali, cioè un livello di circa 560 ppm. È noto che l’aumento di diossido di carbonio è piuttosto preoccupante per le sue implicazioni nei cambiamenti climatici. Riccardo Valentini 136 È possibile verificare il bilancio del carbonio dell’atmosfera, conoscendo i flussi in ingresso e in uscita e i cambiamenti di concentrazione annuale. In base ai dati raccolti negli anni Novanta (tab.1) si è stimato che ogni anno vengono introdotte nell’atmosfera circa 6,9 Gt di carbonio, mentre gli oceani sono in grado di assorbirne circa 2 Gt. Tuttavia, sulla base delle misurazioni di concentrazione si è valutato che nell’atmosfera terrestre entrano soltanto 3,2 Gt di carbonio ogni anno. Rimane quindi da capire dove finiscano 1,7 Gt/anno di carbonio che risultano non spiegate dalle osservazioni e dalle stime dei flussi. Bisogna cioè identificare il cosiddetto carbon sink (assorbitore di carbonio) mancante, ovvero quel fattore che sembra contrastare l’aumento di concentrazione di diossido di carbonio nell’atmosfera, rallentando le possibili conseguenze dell’effetto serra sul clima. Una prima ipotesi formulata per spiegare lo squilibrio osservato è la possibilità che gli oceani in realtà assorbano più carbonio di quanto stimato. Tuttavia, nuove campagne di misura, e soprattutto lo studio della distribuzione del 14C sulla superficie degli oceani, mostrano che valori più elevati di assorbimento non sono possibili nelle condizioni attuali. Infatti lo scambio di diossido di carbonio con gli oceani, pur non essendo limitato dalla diffusione superficiale, in quanto il diossido di carbonio diffonde facilmente in acqua, è ostacolato dalla difficoltà con cui le acque superficiali si mescolano con le acque profonde dove il diossido di carbonio può effettivamente essere immagazzinato. Tabella 1 PROCESSO FLUSSO DI CARBONIO (Gt/anno) Emissioni combustibili fossili deforestazione (inclusa la ricrescita) totale emissioni 6,0 0,9 6,9 Assorbimenti atmosfera (incremento di diossido di carbonio) oceani totale assorbimenti assorbimento mancante 3,2 2,0 5,2 1,7 L’altra ipotesi, confermata da recenti studi sulle fluttuazioni stagionali degli isotopi dell’ossigeno e dell’azoto nell’atmosfera, è che gli ecosistemi terrestri non siano in equilibrio dal punto di vista del bilancio del carbonio, come invece previsto nello schema teorico, ma che in realtà essi rappresentino un elemento assorbitore, ovvero che la produttività primaria netta della biosfera sia diversa da zero e positiva. Le stime di produttività primaria netta degli ecosistemi terrestri sono oggi disponibili su scala globale grazie ai dati raccolti dall’International Biosphere Programme. Tuttavia questi dati, per lo più limitati alla sola componente epigea, non sono in grado di spiegare il carbonio mancante nell’atmosfera, in quanto il bilancio netto di carbonio è rappresentato dalla produzione primaria netta dell’ecosistema che include anche i processi di decomposizione della sostanza organica. Soltanto recentemente, grazie allo sviluppo di nuove metodologie di misura, è divenuto possibile misurare direttamente il flusso netto di carbonio con l’atmosfera e ricavare quindi delle stime sul ruolo degli ecosistemi terrestri nel bilancio del carbonio. Metodologie di studio della produttività primaria di ecosistemi forestali 137 La tecnica di misura eddy covariance (Baldocchi et al., 1996; Moncrieff et al., 1997) si basa sulla correlazione tra le fluttuazioni della componente verticale della velocità del vento e della concentrazione di diossido di carbonio nell’atmosfera in prossimità delle superficie vegetale. Il flusso netto (F) che attraversa l’unità di superficie nell’unità di tempo è dato dalla media temporale del prodotto della velocità del vento (w) per la concentrazione del gas (c), in questo caso diossido di carbonio: F = wc . [1] dove la barra rappresenta il valore medio nel tempo. Poiché nell’atmosfera il moto dell’aria è turbolento, sia la velocità verticale del vento che la concentrazione possono essere decomposte in una componente media ed una fluttuante ( w + w' , c + c ' ), da cui : F = w c + w' c ' [2] Inoltre, poiché è lecito assumere che non vi sia un moto medio dell’atmosfera verso l’alto, cioè che w = 0 , il flusso turbolento si può calcolare dalle sole componenti fluttuanti: F = w' c ' [3] Da un punto di vista operativo è necessario disporre di strumenti adeguati in grado di misurare la componente verticale della velocità del vento e la concentrazione di diossido di carbonio nell’atmosfera sopra la copertura vegetale tanto velocemente (circa 20 volte al secondo) da catturare le fluttuazione rapide che compongono il flusso turbolento. La componente verticale della velocità del vento viene misurata con un particolare anemometro funzionante a impulsi ultrasonori, in grado di decomporre la velocità del vento nelle sue tre componenti spaziali. La concentrazione di diossido di carbonio viene misurata con un analizzatore funzionante sul principio dell’assorbimento della radiazione infrarossa da parte del gas. Infatti il diossido di carbonio, come tutti i gas serra, mostra una forte banda di assorbimento nella regione infrarossa dello spettro. Gli strumenti vengono posti al di sopra della superficie vegetale e forniscono in continuo, con cadenza oraria, il flusso netto di diossido di carbonio tra la superficie vegetale e l’atmosfera. Il vantaggio di questa metodologia è che il valore di flusso netto si riferisce direttamente alla produzione primaria netta dell’ecosistema integrata sull’area di misura, che è dell’ordine di 100 ha. In figura (fig.2) è presentato un esempio di dati giornalieri per una foresta di faggio dell’Appennino centro-meridionale (Valentini et al., 1996). Si può notare come il flusso netto di carbonio abbia un caratteristico andamento giornaliero in risposta alla luce e quindi ai processi fotosintetici. I valori positivi durante il giorno stanno a indicare un flusso di diossido di carbonio diretto verso la superficie. Nel periodo notturno, invece, il flusso diventa negativo, cioè è diretto dalla superficie verso l’atmosfera, indicando una perdita di diossido di carbonio nei processi respiratori. Le osservazioni possono essere ripetute per più giorni, come mostrato nella figura successiva (fig.3). In tal modo è possibile notare la dinamica dei processi fotosintetici e respiratori della foresta di faggio nel corso della stagione. All’inizio la foresta, priva di foglie, è una sorgente di diossido di carbonio, cioè i processi respiratori dominano gli scambi gassosi superficiali. Parallelamente allo sviluppo fogliare aumenta 138 Riccardo Valentini progressivamente l’assorbimento di carbonio per effetto della fotosintesi e il bilancio giornaliero dell’ecosistema si sposta complessivamente a favore dell’assorbimento di carbonio. Figura 2: a. Andamento giornaliero dello scambio netto di carbonio tra foresta e atmosfera per due giornate. I valori negativi indicano assorbimento, quelli positivi emissione. b. Andamento della radiazione fotosinteticamente attiva, espressa in umol di fotoni per unità di superficie e di tempo nelle diverse ore del giorno. Durante l’estate il processo è abbastanza stazionario, con l’assorbimento fotosintetico che comunque supera le perdite dovute alla respirazione. In autunno, con la diminuzione della superficie fogliare, le perdite per respirazione diventano più importanti e l’ecosistema nel suo complesso da elemento di assorbimento diventa nuovamente sorgente di diossido di carbonio verso l’atmosfera. Calcolando il bilancio annuale netto dei flussi di diossido di carbonio si può valutare se l’ecosistema agisca da sorgente o da assorbitore di carbonio atmosferico. Tale analisi (Valentini et al., 1996) mostra che la foresta di faggio analizzata funziona, su base annuale, come elemento di assorbimento di carbonio, con una capacità di accumulo pari a circa 432 gm-2 di carbonio per anno. Alla fine degli anni Novanta è stata avviata un’iniziativa internazionale, denominata FLUXNET (Valentini et al., 1998), a cui afferiscono vari progetti in diversi paesi del mondo, finalizzata allo studio delle capacità di assorbimento o di rilascio del carbonio atmosferico da parte degli ecosistemi terrestri. Metodologie di studio della produttività primaria di ecosistemi forestali 139 Figura 3 a, b, c. Andamento dello scambio netto di carbonio (NEE) per una faggeta, in tre periodi dell’anno. 140 Riccardo Valentini In figura (fig.4) è presentata una sintesi di alcuni dati relativi a varie foreste europee. Come si può notare, alcune foreste sono sorgenti di diossido di carbonio (pino silvestre in Belgio e abete rosso in Svezia), mentre altre, soprattutto nell’area mediterranea, mostrano un significativo assorbimento di carbonio atmosferico. Figura 4 Distribuzione della produzione primaria netta di ecosistema per varie foreste europee (assorbimento di carbonio), espressa in tonnellate di carbonio per ettaro per anno. flI: foresta di leccio, Italia; ffI: foresta di faggio, Italia; faI: foresta di abete rosso, Italia; aG: foreste di abete rosso, Germania; fdb: foresta mista di faggio e douglasia, Belgio; fF: foresta di faggio, Francia; pmF: foresta di pino marittimo, Francia; pFn: foresta di pino silvestre, Finlandia; pO: foresta di pino silvestre, Olanda; aS: foresta di abete rosso, Svezia; pIs: piantagione di pioppi, Islanda; fD: foresta di faggio, Danimarca; pB: foresta di pino silvestre, Belgio; pS: foresta di pino silvestre, Svezia. L’insieme di questi dati mostra una distribuzione latitudinale degli scambi di diossido di carbonio. In particolare si può notare come le foreste delle regioni boreali mostrino valori di scambio netto di carbonio annuale molto ridotti rispetto alle foreste delle zone temperate. Tale particolare comportamento può essere spiegato dall’importanza dei processi respiratori dei vari ecosistemi. Nelle zone boreali la componente respiratoria del bilancio del carbonio è relativamente superiore che negli ecosistemi temperati. Ciò è spiegato dal fatto che nelle regioni boreali la quantità di carbonio organico nei suoli è molto maggiore, soprattutto nella componente volatile: nonostante le temperature siano più basse, il flusso respiratorio risulta quindi relativamente superiore rispetto ai processi fotosintetici. Inoltre la componente respiratoria è influenzata in modo sostanziale dalla disponibilità di risorse idriche che determinano una riduzione della respirazione negli ecosistemi delle zone temperate. Tali osservazioni dimostrano comunque che, nonostante le evidenze sperimentali su scala globale suggeriscano la presenza di un significativo assorbimento di carbonio da parte degli ecosistemi terrestri, la sua localizzazione geografica è ancora oggetto di discussione. In ogni caso, le osservazioni compiute mediante le nuove metodologie di studio dei flussi di carbonio negli ecosistemi confermano l’importanza della componente biologica nel ciclo del carbonio e, più in generale, nella regolazione della composizione chimica dell’atmosfera e dei processi alla base del nostro sistema climatico. Metodologie di studio della produttività primaria di ecosistemi forestali 141 BIBLIOGRAFIA Baldocchi, D., Valentini, R., Running, S., Oechel, W., Dahlman, R. (1996) Strategies for measuring and modelling carbon dioxide and water vapour fluxes over terrestrial ecosystem. Global Change Biology, 2, 159-168. Moncrieff, J., Valentini, R., Greco, S., Seufert, G., Ciccioli, P. (1997) Trace gas exchange over terrestrial ecosystems: methods and perspectives in micrometeorology. J. Exp. Bot., 48, 1133-1142. Valentini, R., Baldocchi, D.D., Tenhunen, J. (1998) Ecological controls on land-surface atmospheric interactions. In Integrating hydrology, ecosystem dynamics and biogeochemistry in complex landscapes, a c. di Tenhunen J., Kabat P., Chichester, John Wiley & Sons Ltd. Valentini, R., Baldocchi, D., Running, S. (1997) The IGBP - BAHC global flux network initiative (FLUXNET): current status and perspectives. Global Change Newsletter, 28,14-16. Valentini, R., De Angelis, P., Matteucci, G., Monaco, R., Dore, S., Scarascia Mugnozza G. E. (1996) Seasonal net carbon dioxide exchange of a beech forest with the atmosphere. Global Change Biology, 2, 199-208 142 Riccardo Valentini Monitoraggio ambientale: metodologie ed applicazioni a cura di T. ANFODILLO & V. CARRARO Atti del XXXVIII Corso di Cultura in Ecologia, 2001:143-158 L'ANALISI DEGLI ANELLI LEGNOSI COME STRUMENTO PER IL MONITORAGGIO CLIMATICO Carlo URBINATI, Marco CARRER Dip.to. Territorio e Sistemi Agro-Forestali - Università di Padova RIASSUNTO La datazione degli anelli legnosi e la successiva analisi delle serie che questi formano, consentono: l'individuazione di diversi segnali (clima ed altri fattori ecologici) registrati dalle piante e la produzione di dati proxy per la ricostruzione di condizioni ambientali pregresse. Negli ultimi venti anni grande diffusione hanno avuto le ricerche dendroclimatiche che, grazie a cospicue banche dati provenienti da diverse aree geografiche del pianeta, hanno permesso di individuare la presenza d'importanti fluttuazioni di crescita (e quindi teoricamente del clima) nel lungo e nel breve periodo. E' emerso che periodi prolungati di anomalia climatica, come la Piccola Era Glaciale (PEG) ed il Periodo Caldo Medievale (PCM) non hanno la valenza planetaria che è stata loro attribuita ed è quindi più corretto riconsiderarli in ambito macroregionale. Anche le anomalie climatiche dell'ultimo secolo registrate, un po’ ovunque, da stazioni meteorologiche o da sistemi di telerilevamento, non sempre si correlano alle risposte di accrescimento legnoso, soprattutto se il materiale analizzato proviene da aree poco antropizzate. Va infine considerato che nelle aree montane, le specie forestali hanno risposte climatiche che variano anche a brevi distanze, in relazione alle modificazioni dei fattori stazionali (pendenza, esposizione, altitudine, substrato geo-litologico). La dendroclimatologia, oltre a fornire informazioni sulle condizioni climatiche pregresse, può anche essere utilizzata per prevedere gli effetti di possibili cambiamenti del clima sull'accrescimento e la produttività delle foreste. Ciò è possibile utilizzando serie climatiche future ricostruite mediante l'impiego di modelli di circolazione generale (GCM). Grande importanza, in tali analisi è il rispetto della corrispondenza fra le scale spazio-temporali utilizzate per lo studio delle perturbazioni ed i relativi effetti sugli ecosistemi. La dendroecologia ed in particolare la dendroclimatologia costituiscono pertanto un importante strumento sincronico integrabile con altre tipologie di analisi e monitoraggio ambientale. 144 Carlo Urbinati & Marco Carrer 1. INTRODUZIONE Analisi e monitoraggio ambientale costituiscono dei sistemi informativi e di controllo dei dinamismi naturali ed indotti dei fattori dell'ambiente. L'impiego di strumenti sempre più avanzati di acquisizione di dati (telerilevamento, sensoristica fine, ecc.) ha enormemente contributo al miglioramento quali-quantitativo delle informazioni raccolte. Peraltro, la recente diffusione di tali strumenti non consente sempre di disporre di serie temporali sufficientemente lunghe per un'accurata valutazione delle variazioni dei parametri indagati. Scostamenti della "normalità" possono essere erroneamente interpretate come indicatori di condizioni limite, quando invece si tratta solo di regolari oscillazioni cicliche del fattore analizzato. La paleoecologia, in senso lato, può offrire un importante contributo al monitoraggio ambientale mettendo a disposizione lunghe serie temporali, utili alla interpretazione della variabilità osservata. In questi ultimi decenni il clima è diventato uno dei fattori ambientali maggiormente monitorati, a causa degli importanti effetti che esso può determinare sulla componente abiotica e biotica dei sistemi naturali e antropogeni. Il clima come tutti gli altri sistemi naturali, è caratterizzato da una variabilità spazio-temporale che si esplica su scale diverse: da oscillazioni microstazionali e interannuali fino a cambiamenti continentali e millenari. La reperibilità dei dati meteorologici registrati è limitata agli ultimi due secoli, e di quelli storici si ferma a circa 5000 anni fa. La paleoclimatologia si è quindi sviluppata con lo scopo di ampliare l'orizzonte temporale della dinamica climatica utilizzando lo studio di fenomeni naturali che dal clima dipendono direttamente. Si ottengono quindi dati proxy (lett. "per procura", ovvero dati ottenuti indirettamente) utili per testare ipotesi relative alle cause della variabilità climatica. Solo una completa comprensione di tali cause può consentire una migliore previsione delle variazioni future mediante l'impiego di modelli di circolazione generale (GCM) (Bradley, 1999). Oggi sappiamo che il clima della terra è cambiato enormemente nelle diverse ere geologiche e specialmente durante gli ultimi 60 milioni di anni (Frakes et al., 1992). Dati proxy del Quaternario (ultimo milione di anni) hanno una migliore risoluzione e consentono una più accurata determinazione della variabilità ad alta frequenza del clima. Per la ricostruzione climatica sono disponibili diverse fonti di dati proxy: glaciologiche, geologiche, biologiche e storiche, ognuna con una specifica risoluzione temporale e valenza informativa. Fra le fonti biologiche, gli anelli legnosi di specie arboree delle zone boreali e temperate sono uno strumento estremamente potente ed accessibile per la datazione degli eventi pregressi e per la ricostruzione delle condizioni ambientali. 2. INFORMAZIONI AMBIENTALI DAGLI ANELLI LEGNOSI Gli anelli legnosi costituiscono un ottimo esempio di archivi naturali (Tab. 1): in questi tessuti a stratificazione annuale sono registrate in modo integrato le risposte dell'albero alle condizioni d'ambiente (Schweingruber, 1988). In termini molto semplicistici si può affermare che maggiore o minore ampiezza dell'anello indicano rispettivamente condizioni più o meno favorevoli. Grazie alla notevole longevità di alcune specie (Tab.2), all'elevata conservabilità del legno, e la reperibilità di materiale fossile e subfossile è stato possibile sviluppare cronologie composite di più di 15.000 anni, assicurando la possibilità di reperire informazioni ambientali molto precise, con risoluzione temporale annuale. Di queste 145 L'analisi degli anelli legnosi come strumento per il monitoraggio climatico serie è possibile ottenere, con procedimenti piò o meno complessi, misure di parametri diversi (quali l'ampiezza, la densità del legno, il contenuto isotopico di C, O, H, ecc., la concentrazione di metalli pesanti o di altre sostanze chimiche) e quindi informazioni tipologicamente differenziate che devono poi essere opportunamente decodificate. Tab. 1 Principali caratteristiche degli archivi naturali. Gli anelli legnosi consetono una risoluzione annuale e numerose informazioni ambientali. T = temperatura; P = precipitazioni; C = composizione chimica dell'aria (Ca) o dell'acqua (Cw); B = biomassa e caratteri vegetazionali; V = eruzioni vulcaniche; M = variazioni di campo magnetico; L = livelli del mare; S = attività solare (da Bradley, 1999). Archivio naturale Intervallo minimo di campionamento Range temporale (anni) Fonti storiche 1giorno/ora ∼ 103 T, P, B, V, M, L, S Anelli legnosi 1 anno/stagione ∼ 104 T, P, B, V, M, S Sedimenti lacustri 1 anno (varve) finoa 20 a. ∼ 104-106 T, B, M, P, V, Cw Coralli 1 anno ∼ 104 Cw, L, T, P Carote di ghiaccio 1 anni Pollini 20 anni ∼ 105 T, P, B Speleotemi 100 anni ∼ 5 x 105 Cw, T, P Paleosuoli 100 anni ∼ 106 T, P, B Loess 100 anni ∼ 106 P, B, M Caretteri gemorfologici 100 anni ∼ Sedimenti marini 500 anni ∼ 107 ∼5x 105 106 Informazioni possibili T, B, Ca, B, V, M, S T, P, V, L T, Cw, B, M, L, P Tab. 2 Elenco delle specie arboree la cui età cambiale è stata effettivamente registrata e riportat in letteratura o in verbis dagli autori. L'albero più vecchio sembra essere un Pinus longeva di oltre 4800 anni. Longevity registrata SPECIE ARBOREA >4000 anni PINUS LONGEVA >3000 anni Fitzroya cupressoides Sequoiadendron giganteum >2000 anni Juniperus occidentalis Pinus aristata, Pinus balfouriana Sequoia sempervirens >1000 anni Chamaecyparis nootkatensis Juniperus occidentalis Lagarostrobus franklinii Carlo Urbinati & Marco Carrer 146 Larix decidua, Larix lyalli Pinus aristata, Pinus albicaulis Pinus balfouriana, Pinus flexilis Pinus leucodermis Pseudotsuga menziesii Taxodium distichum Thuja occidentalis Sequoia sempervirens In dendroclimatologia per isolare nelle serie cronologiche il segnale climatico dal rumore di fondo si fa solitamente riferimento al modello lineare aggregato [1] (Cook and Kariukstis, 1990) Rt = At + Ct + δD1t + δD2t + Et [1] dove: Rt = serie delle ampiezze anulari misurate; At = trend presente nell’ampiezza anulare dovuto all'età ed alle dimensioni della pianta; Ct = segnale macroclimatico; δD1t = impulso perturbatore causato da fattori endogeni microstazionali; δD2t = impulso perturbatore causato da fattori esogeni agenti sull’intero popolamento; Et = variabilità interannuale di natura ignota e indipendente dagli altri segnali. La variabilità dovuta al clima (Ct) può essere isolata dalle altre, previo un adeguato campionamento del materiale legnoso e dopo l'eliminazione di (At). Per effettuare questa operazione risulta necessario definire e successivamente rimuovere, per ogni serie, il trend di crescita che essa evidenzia. Questo, utilizzando i parametri della [1], può essere definito con la seguente funzione generale: Gt = f(At, δD1t, δD2t) [2] dove Gt, il trend di crescita stimato, dipende in parte da processi deterministici legati all'età e, in parte, da processi stocastici rappresentati dagli impulsi perturbatori eventualmente presenti (Cook et al., 1990). In dendrocronologia la standardizzazione costituisce la procedura volta ad eliminare la componente Gt dalle serie cronologiche (Fritts, 1976). Essa consiste nel calcolo del rapporto tra ogni valore anulare misurato Rt ed il relativo valore atteso, stimato attraverso Gt. Il risultato ottenuto è il valore anulare indicizzato: It = Rt/Gt [3] Le nuove serie indicizzate risultano prive di gran parte della variabilità a bassa frequenza, evidenziando invece quella ad alta frequenza, cioè quella determinata dalle oscillazioni climatiche interannuali. Le relazioni clima-accrescimento sono L'analisi degli anelli legnosi come strumento per il monitoraggio climatico 147 comunemente calcolate utilizzando un sistema di regressioni multiple ortogonalizzate (funzioni di risposta) dove le serie climatiche (es. temperature e precipitazioni) sono le variabili indipendenti e le serie legnose la variabile dipendente. L'impiego del metodo bootstrap nella determinazione del set di dati e di procedure di calibrazione e verifica del modello consentono di ottenere risultati statisticamente molto significativi (Cook and Kariukstis, 1990). Le funzioni di risposta, che possono essere calcolate utilizzando sia dati climatici mensili sia stagionali, graficamente evidenziano i regressori maggiormente correlati (positivamente o negativamente) (Fig.1). Una volta che questi ultimi sono stati definiti, con l'impiego di funzioni di trasferimento è possibile stimare l'andamento pregresso dei parametri climatici selezionati: in questa regressione si invertono i ruoli delle variabili, poiché il clima diventa quella dipendente e l'accrescimento indipendente. I parametri maggiormente utilizzati nelle ricostruzioni sono le temperature stagionali e annuali, le precipitazioni, la siccità (indici di aridità), le piene fluviali (Cook et al. 1992; Briffa et al., 1996; Bradley, 1999) per periodi fino a 1000 anni dal presente. La disponibilità di serie temporali lunghe e geograficamente ben distribuite è condizione fondamentale per garantire una ricostruzione di elevata qualità e risoluzione. PDA VDF 3 P =0 05 2 1 0 -1 P =0 05 -2 -3 Precipitation Temperature -4 Oct Nov Dec Jan Feb Mar Apr May Jun Jul Aug Sep Oct Nov Dec Jan Feb Mar Apr May Jun Jul Aug Sep Fig. 1 Profilo delle funzioni di risposta di due popolazioni di Pinus cembra (VDA and PDF). In ascissa sono riportate mensilmente le precipitazioni e le temperature medie delle massime, utilizzate come regressori per la correlazione con gli indici di crescita. La sequenza non segue l'anno solare bensì quello biologico relativo alle zone indagate, che include tre mesi dell'anno precedente (Ott, Nov, e Dic) e nove corrispondenti a quello di formazione dell'anello. In ordinata è riportato un indice che esprime la correlazione parziale mensile (R/s = coeff. corr./dev. std) e quindi il tipo e la significativtà di ogni risposta. Il calcolo è stato eseguito con serie meteorologiche di oltre 70 anni. 3. OSCILLAZIONI CLIMATICHE NEL LUNGO PERIODO 148 Carlo Urbinati & Marco Carrer Lungo e breve periodo sono concetti relativi in natura, ma nel contesto di questo lavoro si vuole assegnare al primo un range temporale compreso fra il secolo ed il millennio mentre al secondo fra il cinquantennio ed il secolo. I risultati presentati in questo capitolo si riferiscono prevalentemente alla temperatura dell'aria, poiché essendo un parametro relativamente stabile rispetto agli altri considerati, è molto utilizzato nelle ricostruzioni. L'impiego integrato di dati proxy di diversa natura hanno consentito di determinare le variazioni climatiche avvenute nell'ultimo millennio e di verificare il ruolo delle diverse forze agenti. (Barnett et al., 1996; Crowley and Kim, 1996; Mann et al., 1998, Huang et al. 2000). Peraltro, poiché alcuni campionamenti (es. carote di ghiaccio) sono eseguiti in aree geografiche limitate ed i dati misurati estensivamente spazializzati, il rischio di consistenti sotto o sovrastime dei risultati finali è molto elevato. Mann et al. (1999) hanno eseguito una ricostruzione spazializzata (maglie di 5° di latitudine) delle temperature di superficie nell'emisfero boreale dell'ultimo millennio utilizzando diversi proxy climatici e le anomalie di temperatura media annua relative al periodo 1902-1980. I risultati evidenziano temperature più elevate nella prima parte del millennio ed un raffreddamento verso il XIV secolo. Tale variabilità è attribuita a fluttuazioni delle concentrazioni di gas serra, irradianza solare, e aerosol vulcanici. A simili risultati perviene Huang et al. (2000) con una studio sui trend delle temperature degli ultimi 500 anni, utilizzando i dati di 616 perforazioni eseguite in tutti i continenti ad eccezione dell'Antartide. La temperatura del pianeta sarebbe aumentata mediamente di circa 1° C, di cui la metà solo negli ultimi 100 anni. Relativamente alle precipitazioni un recente studio a ripercorso la frequenza e l'intensità di eventi siccitosi negli Stati Uniti centrali negli ultimi 2000 anni (Woodhouse and Overpeck, 1998). Indicatori multiproxy indicherebbero il verificarsi di tali eventi con scale pluridecennali o secolari e che eventi considerati estremi come quelli degli anni '30 e '50 non sono rappresentativi dell'intera gamma di variabilità registrata nei due millenni. Le serie di anelli legnosi, invece, in virtù della notevole diffusione e accessibilità della vegetazione arborea, sono disponibili ormai in tutti i continenti e costituiscono pertanto ottimi dati proxy per la ricostruzione climatica. Fino a pochi anni fa cronologie ultramillenarie erano presenti solo in Nord America (Hughes and Graumlich, 1996) ed in parte per l'Europa (Briffa et al. 1992), ma negli ultimi 6-7 anni sono state costruite anche per specie asiatiche, oceaniche e africane (nord). Ciò ha contribuito a migliorare la risoluzione spaziale dei risultati, ma anche sviluppare più efficaci connessioni fra accrescimento e grandi sistemi di circolazione oceanicoatmosferica (El Niño, NOA, ecc.). Questi risultati evidenziano la presenza di frequenti fluttuazioni climatiche avvenute nel breve e nel lungo termine e con notevole variabilità spaziale. Due grandi eventi, relativi all'ultimo millennio della storia del pianeta, sono riportati in letteratura quali anomalie climatiche di lungo termine: il Periodo Caldo Medievale (PCM) inquadrabile fra il X ed il XIII secolo e la Piccola Era Glaciale (PEG) compresa fra il XV ed il XIX secolo (Lamb, 1977; Grove, 1988; Serre-Bachet et al., 1994). L'importanza attuale di questi episodi deriva dalla loro potenzialità per la determinazione delle influenze antropogeniche sulla dinamica globale del clima. Era quindi importante fornire chiare interpretazioni sulla natura di tali eventi climatici L'analisi degli anelli legnosi come strumento per il monitoraggio climatico 149 nelle diverse regioni del pianeta ed anche nelle diverse stagioni dell'anno (Stahle and Cleveland, 1994). Se confrontati con altri eventi climatici occorsi durante e prima del Quaternario, PCM e PEG sono da considerare di intensità medio bassa (variazioni comprese fra 1.01.5 °C di temperatura media), ma poiché le comunità umane erano già molto diffuse e sviluppate, il loro impatto socio-economico (positivo e negativo) è stato molto rilevante. La colonizzazione da parte di navigatori vichinghi (Norse) in Groenlandia e Terranova risulta sincrona con PCM. Durante il medesimo periodo, nel sud degli Stati Uniti, culminò lo sviluppo della civiltà Anasazi (Dean, 1994), in Gran Bretagna si coltivava estensivamente la vite (Le Roy Ladurie, 1971), in Norvegia il grano ed in Cina la coltivazione degli agrumi si spinse fino a regioni molto settentrionali (De'er, 1994), etc. Al contrario le sfavorevoli condizioni climatiche durante PEG sembrano aver causato l'abbassamento del limite superiore di innevamento (snowline) in molte zone del Nord Europa e nelle Alpi, l'avanzamento di molti ghiacciai e la conseguente migrazione a valle di numerose comunità montane dell'epoca (Grove, 1988; Navarra, Pinchera, 2000). Tuttavia, nonostante l'evidenza di tali risultati, ottenuti prevalentemente da ricerche storiche, alcuni autori hanno recentemente messo in dubbio la valenza planetaria di questi periodi di anomalie climatiche, proponendo una loro riconsiderazione a scala macroregionale (Hughes and Diaz, 1994; Stahle and Cleaveland, 1994). Tali autori hanno riscontrato che, durante il PCM, solo in alcune regioni (es. Scandinavia, Cina, America Nord-Ovest e Tasmania) le temperature erano più elevate di quelle attuali e che questi fenomeni non sono sincroni nelle diverse zone. In altre aree (Sud Stati Uniti, Europa mediterranea e Sud America) tali anomalie non sono state neppure evidenziate (Fig. 2). Carlo Urbinati & Marco Carrer 150 Fig. 2 Serie dendrocronologiche detrendizzate con filtri passa-basso (Low-pass) usate per la ricostruzione climatica. L'asse Y-riporta le anomalie di temperatura media annua rispetto alla media 1921-1979. (da Hughes and Diaz, 1994). Una cronologia regionale millenaria, di pino cembro (Pinus cembra L.) costruita con campioni estratti da più di 360 piante vive e morte in ambienti del limite superiore del bosco (treeline) nelle Alpi orientali, evidenzia andamenti di crescita controversi (Fig. 3) (Urbinati et al., 2001). L'accrescimento legnoso nel PCM è infatti inferiore a quello "normale", fenomeno inatteso poiché alla treeline la temperatura è un fattore limitante ed il periodo vegetativo è più breve rispetto agli ambienti di quote inferiori. Dopo un periodo di ripresa nel XIV secolo, l'accrescimento diminuisce considerevolmente fra il XV e i primi decenni del XVII e quindi in linea con gli effetti della PEG. La mancata relazione con PCM è riconducibile a diverse ragioni: i) un ridotto numero di campioni nell'intervallo specifico; ii) la non sensitività della specie agli aumenti di temperatura; iii) una relazione inversa accrescimento-temperatura dovuta al carattere microtermo di Pinus cembra. mm 1.5 1.2 0.9 0.6 0.3 0 -0.3 -0.6 -0.9 -1.2 -1.5 900 1000 1100 1200 1300 anni 1400 1500 1600 1700 1800 1900 2000 Fig. 3 Una cronologia di 1037 anni di Pinus cembra L. costruita per le Alpi orientali. (Urbinati et al. 2001). 4. FLUTTUAZIONI DEL CLIMA NEL BREVE PERIODO Negli ultimi decenni notevole preoccupazione è sorta in merito all'aumento globale della temperatura media dell'aria, i cui valori degli ultimi anni sembrano essere i più elevati del millennio, derivante dall'aumento delle concentrazioni di gas serra e di anidride carbonica (Mann et al. 1998, 1999). Vi sono studi con risultati che vanno "contro corrente" e che non confermano tale tesi come quello di Van Geel et al. (1999) che ha analizzato le variazioni degli isotopi cosmogenici come 14C and 10Be e le variazioni climatiche a scala millenaria nell'ultimo periodo pre e post glaciale. L'ipotesi avanzata è che il clima è un sistema estremamente sensibile anche a piccole L'analisi degli anelli legnosi come strumento per il monitoraggio climatico 151 variazioni dell'attività solare, in grado quindi di controllare gran parte dei fenomeni di riscaldamento globale, come quelli in atto. Anche le analisi delle serie dendrocronologiche, come quelle climatiche, evidenziano importanti fluttuazioni spazio-temporali, anche a scala secolare. Ciò confermerebbe la notevole variabilità regionale del clima ed in molti casi l'assenza di correlazione fra l'accrescimento e le anomalie climatiche registrate dalle stazioni meteorologiche di molte aree boreali (Briffa et al. 1998; Briffa, 2000; Innes et al. 2000). In particolare Briffa et al. (1998) hanno utilizzato una rete di 314 cronologie distribuite nell'emisfero Nord per osservare le relazioni fra temperatura dell'aria e accrescimento legnoso, tramite i parametri di ampiezza totale dell'anello e di densità del legno tardivo. Le serie termometriche provengono da centinaia di stazioni spazializzate (maglia di 5° lat.), le cui varianze sono state corrette e normalizzate in base al periodo 1881-1940.Le analisi sono state eseguite sia a livello macroregionale (Siberia orientale, centrale e occidentale; Europa settentrionale e meridionale, NordAmerica nordoccidentale e sudorientale) e di emisfero (Nord, sud e globale). La correlazione fra le temperature e i parametri di accrescimento è molto positiva fino agli anni '50-'60 dopodiché si perde, soprattutto con il parametro ampiezza. Ciò significa che l'accrescimento diminuisce con l'aumento delle temperature, raggiungendo livelli minimi (anni '70 e '80) simili a quelli raggiunti in periodi più freddi come intorno al 1880. Gli autori non giungono ad una spiegazione esaustiva del fenomeno, ma evidenziano le implicazioni che ciò può avere sulla ricostruzione climatica e la modellizzazione del ciclo del carbonio. Non considerando le divergenze evidenziate e quindi l'esistenza di un sink di CO2 si compierebbe una sovrastima delle temperature pregresse ed una sottostima delle future concentrazioni di CO2. Si ricorda che il processo di spazializzazione estensiva conduce ad una standardizzazione dei risultati e spesso non rispetta la variabilità delle condizioni locali, soprattutto dove i caratteri geomorfologici sono eterogenei. Poiché gran parte delle cronologie anulari provengono da aree montane (maggiore copertura forestale), diventa molto importante valutare localmente le possibili variazioni prima di procedere alla spazializzazione. Gli ecosistemi montani possono avere un'elevata sensitività climatica ed una medesima specie arborea può evidenziare relazioni climaaccrescimento diverse anche a distanze molto ravvicinate, per esempio quando variano i fattori stazionali come esposizione e pendenza dei versanti, altitudine, ecc. Dall'analisi dendroecologica eseguita su 14 popolazioni di Pinus cembra L. e 9 di Larix decidua Mill. in treeline (2000-2200 m di quota) delle Alpi orientali si è potuto osservare che nonostante la diversità di esposizione e di diverso substrato geolitologico, le cronologie di specie si sincronizzano molto bene fra loro e con altre disponibli per l'ambiente alpino. Peraltro l'analisi multivariata (cluster analysis e PCA) delle funzioni di risposta ha evidenziato tre diversi comportamenti nel pino cembro, controllati dal su substrato (stazioni dolomitiche vs. extra-dolomitiche) e dall'esposizione dei versanti (nelle dolomitiche si raggruppano le stazioni esposte a nord e quelle a sud). Temperature e precipitazioni influenzano diversamente la specie nelle diverse ubicazioni (Fig. 4) e spiegano fino al 70% della varianza ad alta frequenza presente nelle serie (Urbinati, Carrer, 2000; Urbinati et al., 2000). 152 Carlo Urbinati & Marco Carrer -4--2 -2-0 0-2 2-4 4-6 AMB ADP FRS FCR VNG LFN LDS VDF PDA VBA AIE CRS FRM MGN Fig. 4 Distribuzione spaziale delle funzioni di risposta calcolate per 14 popolazioni di Pinus cembra L. nelle Alpi orientali. I 24 regressori climatici sono riportati in ascissa e gli acronimi delle 14 popolazioni in ordinata. In legenda sono riportati (retinature differenziate) solamente gli indici (R/s) con valori statisticamente significativi (p<0.05). Le prime 9 popolazioni (da AMB a PDA) provengono da aree dolomitiche, di cui le prime 5 (da AMB a VNG) con esposizione nord e le altre 3 (da LFN a PDA) con esposizione sud. Le ultime 5 (da VBA a MGN) sono di substrato porfirico (Lagorai) e sono tutte esposte a nord (Urbinati et al. 2000). 5. PREVEDERE GLI EFFETTI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI SULLA PRODUTTIVITÀ E DISTRIBUZIONE DELLE SPECIE FORESTALI E ALPINE. Numerosissimi studi sono stati effettuati negli ultimi 15-20 anni circa le risposte degli organismi vegetali alle variazioni termiche e di concentrazione di CO2 atmosferica per valutarne adeguatamente gli impatti sulla vegetazione. Moltissimi di questi hanno riguardato però specie a vita breve (erbacee annuali o semenzali di specie forestali) oppure sono stati spesso eseguiti in condizioni controllate (Körner, 1993). Negli ultimi anni invece la ricerca si è svolta anche in ecosistemi forestali utilizzando specifici dispositivi (open-top e open-side chambers) per meglio quantificare l'entità degli scambi gassosi e l'assimilazione degli alberi in condizioni naturali (Jarvis, 1998). In diverse specie forestali europee è stato osservato un aumento dell'assimilazione (= crescita) con l'aumento della concentrazione di sola CO2 o accoppiata ad un aumento della temperatura. Anche in questo caso però gli esperimenti durano qualche anno e quindi la capacità di acclimatazione non sempre è adeguatamente apprezzata. Alcuni studi dendroecologici hanno evidenziato accrescimenti legnosi più consistenti degli ultimi secoli, attribuendoli alla fertilizzazione da CO2 (LaMarche at L'analisi degli anelli legnosi come strumento per il monitoraggio climatico 153 al. 1984; Graumlich 1991; Nicolussi et al. 1995; Becker et al. 1995). Altri invece non hanno confermato queste ipotesi (Briffa et al. 1990; Schweingruber et al 1993; Carrer et al. 1998). Interessanti informazioni sono state acquisite campionando piante arboree situate in prossimità di sorgenti naturali di CO2. In Toscana ve ne sono alcune, di fama ormai internazionale, dove le concentrazioni raggiungono 650 mmol mol-1, ovvero circa il doppio di quella attuale (360 mmol mol-1). Uno studio sull'accrescimento radiale di alcuni individui di 30 anni di Quercus ilex eseguito su campioni nei pressi delle sorgenti ed in aree di controllo (concentrazione normale di CO2) ha effettivamente dimostrato un maggiore incremento legnoso (12%) nelle prime rispetto alle seconde (Fig. 5). Tuttavia questa maggiore crescita è limitata ai primi anni di vita e con il tempo la differenza fra le due si riduce fino a scomparire (Hättenschwiler et al. 1997). Fig. 5 Cronologie di Quercus ilex da aree controllo (linee tratteggiate) e da aree ad elevata concentrazione di CO2 (linea continua) in due sorgenti naturali in Toscana (Hättenschwiler et al., 1997). Uno studio previsionale sugli effetti di un raddoppio di CO2 sul clima e quindi sull'accrescimento di alcune specie forestali (Pinus sylvestris L. and Larix decidua Mill.) è stato eseguito nella Francia meridionale utilizzando le simulazioni di un modello di circolazione generale atmosferica (AGCM) che in quelle zone prevede un aumento di 3°C di temperatura media e un leggero aumento delle precipitazioni 154 Carlo Urbinati & Marco Carrer (Keller et al., 1997). Solo due delle numerose popolazioni indagate risultano significativamente influenzate dalle variazioni climatiche e ambedue sono ubicate in zone limite del loro areale di distribuzione: una, di larice alla treeline (2300 m slm), aumenterebbe la propria produttività e l'altra, di pino al margine meridionale (elevata aridità), la diminuirebbe. Da questo studio preliminare è scaturito un progetto della UE (FORMAT: FORest Modelling Assessment from Tree Rings) (Tessier et al. 1998) su diverse specie di conifere presenti sulle principali catene montuose di Spagna, Francia e Italia che ha come obiettivo le determinazione spazio-temporale della sensitività di accrescimento ai cambiamenti climatici nei principali tipi forestali. I dati raccolti provengono da oltre 300 popolamenti forestali rappresentativi delle diverse formazioni e più di 2000 stazioni meteorologiche distribuite più o meno omogeneamente nei territori indagati. Le serie cronologiche sono state detrendizzate con procedure differenti (filtri digitali con finestre temporali di 10 e 30 anni) per eliminare la varianza a bassa frequenza ed isolare meglio il segnale climatico. Le serie termo-pluviometriche sono state trattate con un programma specificamente costruito per la loro spazializzazione che utilizza latitudine, longitudine e altitudine per ottenere per ogni popolazione forestale la migliore corrsipondente stazione meteorologica "virtuale", i cui dati sono poi utilizzati per la determinazione delle relazioni clima-accrescimento. Le risposte passate e presenti sono quindi utilizzate per stimare l'accrescimento in uno scenario futuro 2xCO2 (Fig. 6). Fig. 6 Quadro sintetico operativo del progetto UE FORMAT (ENV4-CT97-0641). La calibrazione del modello clima-accrescimento eseguita sul passato consente di trasferire al futuro le relazioni esistenti utilizzando dei dati meteorologici simulati (mediante modelli di circolazione) e valutare quindi la sensitività ai cambiamenti climatici delle diverse specie analizzate. Il progetto FORMAT si prefigge di contribuire in modo predittivo alla quantificazione delle variazioni, positive e negative, di accrescimento legnoso, alla determinazione delle specie più sensibili ai cambiamenti futuri ed alla loro L'analisi degli anelli legnosi come strumento per il monitoraggio climatico 155 localizzazione. Queste informazioni consentiranno lo sviluppo di eventuali strategie per ridurre gli effetti del global change e comunque costituiranno un ulteriore avanzamento verso una gestione sostenibile delle risorse forestali. 6. CONCLUSIONI A conclusione di questa breve rassegna è possibile affermare che lo studio degli anelli legnosi non solo è un ottimo strumento per la ricerca paleoecologica, ma anche un metodo utile ed efficace da associare ad altre forme di monitoraggio ambientale e climatico in particolare. E' però necessario incrementare la raccolta di dati in alcune aree geografiche per valutare i limiti della variabilità al loro interno e concentrare poi gli sforzi nel costruire delle reti integrate internazionali che possano consentire di valutare con maggior precisione i cambiamenti ambientali a scala regionale. RINGRAZIAMENTI Questo lavoro è stato realizzato nell'ambito dei progetti di ricerca FORMAT dell'Unione Europea (ENV4-CT97-0641) e IMPAFOR del M.U.R.S.T. Si ringraziano tutti i collaboratori del laboratorio di Dendroecologia del Dip.to TESAF per l'aiuto fornito nelle diverse fasi del lavoro. BIBLIOGRAFIA Barnett, T.P., Santer, B., Jones, P.., Bradley, R.S., and Briffa, K.R. (1996) Estimates of low frequency natural variability in near surface air temperature. Holocene 6, 255-263 Becker, M., Bert, G.D., Bouchon, J., Dupouey, J.L., Picard, J.F., and Ulrich, E. (1995) Long term changes in forest productivity in Northeastern France: the dendroecological approach. 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As a consequence, climatic changes cause pronounced effects in the glacial and periglacial belts of mountain areas. The 20th century has, indeed, seen striking changes in glacierized areas of mountain ranges and, hence, in the extension of glacial and periglacial mountain belts all over the world. This development was accompanied by increasing activities of man in cold high-mountain ranges. It is, in fact, the combination of ice vanishing and human impact, which has introduced the most striking changes in high-mountain landscapes. Such changes in the directly visible (glaciers) and more invisible (permafrost) components of the alpine cryosphere are of highest significance not only as signals of ongoing change (IPCC 2001) but also with respect to impacts at much larger scales. They are now monitored as part of global climate-related observing systems (GCOS/GTOS; Cihlar and others 1997). 2. PRINCIPLE MECHANISMS In the chain of processes linking climate and glacier fluctuations, mass balance is the direct/undelayed reaction whereas glacier length variation is the indirect/delayed response (Fig. 1). Observed glacier fluctuations contribute important information about natural variability, rates of change and acceleration tendencies with respect to long-term energy fluxes at the earth surface. As a good approximation, glacier mass balance may be expressed as the energy required for the melting or freezing related to ice thickness changes. The energy flux thus calculated can be compared with the estimated anthropogenic greenhouse forcing. Pronounced filter, memory and enhancement functions between mass and length change are related to latent heat exchange, the persistence over long time-intervals of the perennial ice masses and the positive feed-backs related to the surface albedo or the mass balance/altitude relation. As a consequence, glacier signals from mountain areas are key elements of early detection strategies for dealing with possible man-induced climate change (Haeberli and others 2000, IPCC 2001). Perennially frozen slopes occur in many mountain ranges of the world. Ice-rich debris or morainic material especially exist under subcontinental to continental-type climatic conditions with elevated glacier equilibrium lines. Such supersaturated mountain permafrost exhibits pronounced creep movements, thereby forming large numbers of rock glaciers. Reactions of mountain permafrost to climatic changes (Fig. 2) take place in the form of ice melt at the permafrost table with or without changes in active layer thickness (direct response, time scale: years), disturbance of temperature profiles within the permafrost (delayed response, time scale: decades to centuries) and displacements of the permafrost base (final response: time scale centuries to millennia). Active layer thickness and borehole temperature are considered key variables in long-term monitoring programmes. Glacier and permafrost monitoring in cold mountain areas as part of global climate-related observation 161 Figure 1. Climate/glacier-relation. Permafrost thermal reactions T0 T1 0°C A A B C h1 B C h0 z D ! Immediate response (year/s): Changes in active n layer thickness and thaw settlement / frost heave in ice-supersaturated material at the permafrost table. ! Intermediate response (years / decades): Disturbance of the temperature profiles within the permafrost, i.e. between the permafrost table and the permafrost base ! Final stage (decades, centuries, millennia): Vertical displacement of the permafrost base ! Modification of permafrost distribution pattern ! Adjustment of geomorphic, hydrological and nivoglaciological processes Figure 2. Permafrost reaction to surface warming. 3. MONITORING STRATEGY Internationally coordinated glacier observations have a century-long tradition (Haeberli and others 1998). Today, the World Glacier Monitoring Service is in charge of collecting and publishing standardized data on glacier fluctuations. Access to more Wilfried Haeberli 162 information on monitoring strategies, organisational aspects and publications is found under http://www.geo.unizh.ch/wgms Worlwide permafrost monitoring is much younger and, in fact, only started during recent years. Corresponding information is found under http://www.geodata.soton.ac.uk/ipa/ Such long-term observations on glacier and permafrost changes are now becoming part of the Global Climate Observing System (GCOS). A Global Hierarchical Observing Strategy (GHOST) of tiers was developed to be used for all GCOS terrestrial variables and for relating detailed process-oriented point investigations with more regional observations to eventually reach global coverage. Global Terrestrial Networks for each, glaciers (GTN-G) and permafrost (GTN-P), have been initiated according to this tier system in the following way (cf. Haeberli and others 2000, Harris and others 2001): (1) transects along environmental gradients (continental/mountains?) (2) process-oriented studies of glacier mass balance within major climatic zones and of shallow permafrost thermal state, energy flux and surface controls. (3) regional glacier mass change within major mountain systems and permafrost borehole temperatures at intermediate depths. (4) representative long-term observations of glacier length change selected according to size/dynamic response; prospecting, mapping and spatial modelling of permafrost. (5) global coverage by glacier inventories repeated at time intervals of a few decades (satellite imagery/GIS/DEM), combination of in-situ measurements, remote sensing and GCMs/RCMs. 3. EVOLUTION DURING THE PAST 100 YEARS Results of long observational series on fluctuations of mountain glaciers represent convincing evidence of fast climatic change at a global scale: mass loss/retreat of mountain glaciers during the 20th century is striking all over the world (Fig. 3). As far as documented by the sample of direct long-term mass balance measurements, glacier melt strikingly accelerated during recent decades (Fig. 4, Haeberli and others 1999). Continued acceleration in annual mass loss as expected in greenhousewarming scenarios for the coming decades has the potential of terminating the existence of most smaller mountain glaciers on earth well before the end of this century. Glacier fluctuations reconstructed for historical and Holocene time periods from direct measurements, old paintings, written sources, moraines, pollen analysis, Glacier and permafrost monitoring in cold mountain areas as part of global climate-related observation 163 tree-ring investigation, etc. indicate that glacier extent in the Alps may have varied over the past millennia within a range defined by the extremes of the maximum Little Ice Age advance and today's reduced stage, respectively (Fig. 5). The recent emergence of a stone-age man from cold ice/permafrost on a high-altitude ridge of the Oetztal Alps confirms that the extent of Alpine ice is probably more reduced today than ever during the past 5,000 years. The situation appears to be evolving at a high and possibly accelerating rate towards or even beyond the "warm" limit of natural variability during the upper Holocene. Worldwide glacier signals Figure 3. Cumulative glacier length changes (from Haeberli and others 2000). Wilfried Haeberli 164 Figure 4. Glacier mass balances (from WGMS homepage). Holocene glacier length changes Time scale Glacier fluctuations convent. 14 C yBP (Radiocarbon years Before Present = 1950) Swiss Alps (after M. Gamper & J. Suter, 1982; H. Holzhauser 1995) 1850 ~1920 2000 0 1000 Aletsch ? 2000 Alpine glacier changes 3000 4000 ANALYSIS OF EUROPEAN GLACIER INVENTORIES 1970/80 5000 6000 Holocene optimum ?? 7000 8000 9000 ice volume around 1970/80: average mass balance 1850-1970/80: mass loss 1850-1970/80: average mass balance 1980-2000: mass loss 1980-2000: simulated mass loss 1970/80-2025: simulated mass loss 1970/80-2100: 130 -0.25 50 -0.65 25 50 90 km3 m/y % of 1850 m/y % of 1970/80 % of 1970/80 % of 1970/80 advance 10'000 retreat Haeberli and Hoelzle (1995): Annals of Glaciology 21 Graphik MM. ‘01 Figure 5. Holocene glacier fluctuations (from Haeberli and others 1999) and analysis of European glacier inventories. Glacier and permafrost monitoring in cold mountain areas as part of global climate-related observation 165 High-mountain permafrost must have been affected as well but its secular evolution is much less well known. Monitoring long-term behaviour of mountain permafrost in view of warming trends has now been initiated by the EU-funded PACE-project (Permafrost and Climate in Europe; Figs. 6-8; Harris and others 2001). Preliminary interpretation of the corresponding borehole temperature profiles indicates 20th-century ground warming at a rate which is comparable with atmospheric warming. Permafrost temperatures collected from boreholes in other mountain ranges of the northern hemisphere also point to relevant warming trends (Haeberli and others 1998 cf. Fig. 9). Figure 6. PACE drill sites (from Harris and others 2001). Wilfried Haeberli 166 PACE Standard set up ~ 20m ca. 15m Data logger 0 UTL-1 • Two boreholes 20 • Two thermistor chains 40 thermistor depths: 100m 0.0, 0.4, 0.8, 1.2, 1.6, 2.0, 2.5, 3.0, 4.0, 5.0, 7.0, 60 9.0, 11, 13, 15, 20, 25, 30, 40, 50, 60, 70, 80, 85, 90, 92, 94, 96, 98, 100 • Several UTL-1 loggers 80 100 Figure 7. Standard set-up for PACE boreholes. Figure 8. Selected PACE borehole temperatures (from Harris and others 2001). Glacier and permafrost monitoring in cold mountain areas as part of global climate-related observation 167 Mountain permafrost temperatures 11.6m, Murtèl-Corvatsch 1987 - 2000 Temperature (°C) -1.0 -1.5 -2.0 -2.5 -3.0 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 Figure 9. Evolution of borehole temperature in the permafrost of the Murtèl rock glacier, Swiss Alps. 4. PERSPECTIVES FOR THE COMING CENTURY Glacierized and perennially frozen mountain areas would be among the most heavily affected parts of the world in the event of accelerated future warming. Due to the complicated dependence from various factors of the energy balance at glacier and permafrost surfaces, potential future changes can only very roughly be estimated. Empirical methods and energy balance considerations indicate that a large fraction of the presently existing mountain glacier mass could disappear with the anticipated warming over the next 100 years (Fig. 5; cf. Maisch 2000). Many low-latitude mountain chains would loose major parts of their glacier cover within decades. Lower limits of permafrost occurrence in mountain areas could rise by several hundred meters. Such a tendency, however, could to some degree be counterbalanced by a reduction of thermally insulating winter snow; on the other hand, shorter snow cover duration during spring/early summer months of highest energy influx from the atmosphere could also enhance warming effects. Due to the slow reaction of thermal conditions at depth, pronounced disequilibria are most likely to result over extended time periods and wide areas. In case of future accelerated warming, the cryosphere components of high mountain environments would, thus, most likely change at high rates and lead to 168 Wilfried Haeberli pronounced disequilibria in the water cycle, in mass wasting processes and sediment flux as well as in growth conditions of vegetation. Corresponding changes in landscape and scenery could, in fact, belong to the most directly visible and most easily understandable signals of global warming. The improvement of basic knowledge about glaciers and permafrost in mountain areas critically depends on appropriate monitoring programmes. Highest priority should thereby given to the survival of high-performance, long-term observation projects in pivotal regions, that are in danger to be discontinued. Monitoring of mountain permafrost is in its infancy but should be systematically built up in order to give a true global view and to help with local/regional assessments. REFERENCES Cihlar, J., Barry, T.G., Ortega Gil, E., Haeberli, W., Kuma, K., Landwehr, J.M., Norse, D., Running, S., Scholes, R., Solomon, A.M., and Zhao, S. (1997): GCOS/GTOS plan for terrestrial climate-related observation. GCOS 32, version 2.0, WMO/ TD-796, UNEP/DEIA/TR, 97-7. Haeberli, W., Barry, R. and Cihlar, J. (2000): Glacier monitoring within the Global Climate Observing System. Annals of Glaciology, 31, 241-246. Haeberli, W., Barsch, D., Brown, J., Guodong, C., Corte, A.E., Dramis, F., Evin, M., Gorbunov, A.P., Guglielmin, M., Harris, C., Harris, S.A., Hoelzle, M., Kääb, A., King, L., Lieb, G.K., Matsuoka, N., Ødegaard, R.S., Shroder, J.F., Sollid, J.L., Trombotto, D., Von der Mühll, D., Shaoling, W., and Xiufeng, Z. (1998): Mapping, modelling and monitoring of mountain permafrost: A review of ongoing programs. In Programme, Abstracts, and Working Group Reports, Seventh International Conference on Permafrost, 23-26 June 1998, Yellowknife, N.W.T.: 233-246. Haeberli, W., Frauenfelder, R., Hoelzle, M., and. Maisch, M.. (1999): On rates and acceleration trends of global glacier mass changes. Geografiska Annaler, 81A: 585-591. Haeberli, W., M. Hoelzle and S. Suter (eds.) (1998): Into the second century of worldwide glacier monitoring: prospects and strategies. Studies and Reports in Hydrology, 56, UNESCO, Paris. Harris, Ch., Haeberli, W., Vonder Mühll, D and King, L. (2001): Permafrost Monitoring in the High Mountains of Europe: the PACE Project in its Global Context. Permafrost and Periglacial Processes, 12, 3-11. IPCC (2001): Third Assessment Report. Cambridge University Press Maisch, M. (2000): The longterm signal of climate change in the Swiss Alps: glacier retreat since the end of the Little Ice Age and future ice decay scenarios. Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria 23 (2), 139 -151. Monitoraggio ambientale: metodologie ed applicazioni a cura di T. ANFODILLO & V. CARRARO Atti del XXXVIII Corso di Cultura in Ecologia, 2001: 169-196 SISTEMA NAZIONALE DI MONITORAGGIO E CONTROLLO IN CAMPO AMBIENTALE Roberto CARACCIOLO Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente - Roma 170 Roberto Caracciolo 1. LE FINALITÀ DEGLI STRUMENTI CONOSCITIVI Gli strumenti di conoscenza rappresentano l’indispensabile presupposto per la sostenibilità delle politiche ambientali, in quanto consentono la corretta pianificazione degli interventi di tutela e risanamento (impiego ex-ante), nonché la successiva e necessaria verifica della loro efficacia (impiego ex-post). Efficacia che deve e può essere migliorata attraverso forme di comunicazione al pubblico degli elementi di conoscenza acquisiti in merito alle problematiche ambientali. E ciò non tanto per motivi, pure importanti, di trasparenza, quanto per il loro potenziale educativo e partecipativo, per migliorare i livelli di consapevolezza e favorire collaborazioni diffuse alle attività di tutela dell’ambiente. Per questa ragione il sistema delle Agenzie ambientali, nazionale, regionali e delle province autonome (ANPA-ARPA-APPA), nato dalla legge di riordino del settore del monitoraggio e del controllo ambientale nel nostro Paese, ha conferito la massima importanza alle attività di sviluppo di un efficace e moderno sistema conoscitivo. In particolare l’Agenzia nazionale ha condotto una preliminare attività istruttoria finalizzata a identificare requisiti e criteri di riferimento per la realizzazione di detto sistema. Quale esito di questa attività sono stati predisposti due documenti: il primo orientato agli aspetti costitutivi, organizzativi e di gestione dell’informazione (Sistema di gestione dell’informazione); il secondo all’impiego degli elementi di conoscenza per le attività di sorveglianza e controllo (Sistema di monitoraggio-controllo). I principali presupposti per lo sviluppo degli elementi costitutivi dei due sistemi sono riconducibili a: la significativa evoluzione concettuale che stanno subendo gli approcci alle attività di tutela dell’ambiente, così come risulta dai nuovi orientamenti assunti dalle politiche ambientali in tutti i contesti, quale conseguenza dell’attuazione degli indirizzi dell’Agenda 21. Ci si riferisce in particolare a: riduzione e prevenzione integrate, obiettivi di qualità, tutela delle risorse e subordinatamente della molteplicità dei loro usi, miglioramento dei livelli conoscitivi, partecipazione del pubblico, ecc; il trasferimento delle funzioni di gestione di gestione dell’informazione ambientale alle Agenzie ambientali; la decisione di affidare alle stesse Agenzie il compito di interfacciare i sistemi conoscitivi nazionale e comunitario. Ne sono conseguite scelte strategiche principali nell’elaborazione dei principi costitutivi dei sistemi da realizzare. Innanzitutto si è tenuto di dover procedere al riordinamento della nozione stessa del controllo, e di conseguenza della funzione, da una logica di tipo notarile/ prescrittivo, basata essenzialmente su verifiche tabellari (controllo/prescrizione), a una in cui fosse prevalente l’azione conoscitiva (controllo/conoscenza). Quindi è stato valutato opportuno far convergere in una architettura di sistema unitario le diverse funzioni basate sull’azione conoscitiva dell’ambiente, quali il supporto alla pianificazione, il controllo, la comunicazione. Tale architettura è stata disegnata avendo come riferimento il sistema conoscitivo europeo. Sistema nazionale di monitoraggio e controllo in campo ambientale 171 2. IL RUOLO DELLE ATTIVITÀ DI MONITORAGGIO-CONTROLLO A livello nazionale, il riconoscimento del ruolo dei controlli ambientali quale essenziale strumento di supporto per le politiche destinate alla prevenzione e alla riduzione integrate dell'inquinamento si è posto a seguito del referendum nazionale che ha determinato la separazione dei controlli ambientali da quelli sanitari. Ne è conseguita la decisione di realizzare un sistema nazionale dei controlli che, con la legge 61/94, è centrato nel sistema delle Agenzie ambientali costituito dall'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente e dalle Agenzie regionali e delle Province autonome di Trento e Bolzano. Oltre alle attribuzioni generali stabilite dalla citata legge 61/94, compiti specifici in materia di controlli sono attribuiti a una moltitudine di soggetti. Questo processo di riorganizzazione e ridefinizione di ruoli e obiettivi è stato avviato nel contesto preesistente caratterizzato da un complesso insieme di accordi internazionali, istituti normativi comunitari e nazionali, autorità e istituzioni competenti per il controllo e la prevenzione dell'inquinamento a livello locale, regionale e centrale. La situazione risultante si presenta pertanto complessa, inadeguata e difficilmente gestibile, e rende necessario identificare uno schema organizzativo e funzionale più efficace di fronte ai problemi epocali determinati dai fenomeni di inquinamento, dall’eutrofizzazione, dalla frammentazione degli ecosistemi e dalla preoccupante riduzione della biodiversità. Va tenuto presente, inoltre, che la questione dell’esercizio delle funzioni di controllo, ancora di più nell’epoca attuale caratterizzata dalla cosiddetta “globalizzazione”, è un problema non solo ecologico ma anche sociale ed economico. Gli esiti di questa attività hanno consentito una prima qualificazione degli elementi costitutivi, degli strumenti, delle funzioni e delle finalità alla base della realizzazione del Sistema nazionale dei controlli ambientali. Tale processo riferito alle attività di controllo comporta innanzitutto il conferimento di una maggior importanza a un’adeguata ed efficace azione conoscitiva: solo attraverso un’accurata ricognizione degli usi del territorio (identificazione delle azioni di pressione) e di caratterizzazione degli ecosistemi, è possibile programmare azioni razionali di monitoraggio delle qualità presenti e delle cause di alterazioni (emissioni, scarichi, rifiuti) di tali qualità, per poi verificarne l’ottemperanza agli obiettivi fissati dalle leggi, l’efficacia dei piani di gestione e risanamento sia in relazione ai risultati conseguiti che alla produttività delle risorse impegnate. 3. LE CONDIZIONI AL CONTORNO PER LO SVILUPPO DEL SISTEMA DI MONITORAGGIO-CONTROLLO La riduzione e la prevenzione integrate dell’inquinamento sono un obiettivo prioritario del V programma d’azione ambientale della UE approvato dal Consiglio dei rappresentanti dei Governi e Stati membri con la risoluzione 1° febbraio 1993. Roberto Caracciolo 172 Le azioni da intraprendere per il conseguimento di questo obiettivo costituiscono nel loro insieme un importante strumento a sostegno delle politiche mirate ad uno sviluppo sostenibile inteso quale equilibrio tra attività umana, benessere socioeconomico, risorse e capacità autorigenerative della natura, in attuazione degli indirizzi concordati dalle 175 Nazioni che hanno dato vita alla Conferenza di Rio e che hanno fissato degli obiettivi nel documento conclusivo detto significativamente Agenda 21, perché di riferimento per le politiche ecocompatibili del 21° secolo. Nei riquadri 1 e 2 sono riportati, rispettivamente, criteri e principi per la sostenibilità, quale esito di un approfondito studio condotto dall’Istituto di WUPPERTAL8 . Riquadro 1. Criteri ecologici per l’utilizzo dello spazio ambientale a. l’utilizzo di una risorsa rinnovabile non può essere più rapido del suo ritmo di rinnovamento; b. l’emissione di materiali non può essere maggiore della capacità di assorbimento dell’ambiente; c. l’utilizzo di risorse non rinnovabili deve essere ridotto al minimo. Esse devono essere utilizzate nella misura in cui viene creato un sostituto fisico di equivalente livello funzionale sotto forma di risorse rinnovabili; d. il tempo degli interventi umani deve essere in rapporto equilibrato col tempo dei processi naturali, sia dei processi di decomposizione dei rifiuti che dei ritmi di rigenerazione delle materie prime rinnovabili o degli ecosistemi 8 L’istituto di Wuppertal conduce ricerche per committenti pubblici e privati. Occupa alcune decine di economisti, tecnologi, climatologi, chimici, fisici, biologi, sociologi e storici della cultura. I dipartimenti sono cinque: Politica del clima, Flussi di materiali e cambiamenti di struttura, Energia, Trasporti, Nuovi modelli di benessere. Presidente dell’Istituto è il prof, Ernst von Weizacker. Sistema nazionale di monitoraggio e controllo in campo ambientale 173 Riquadro 2. Principi per l’utilizzo delle risorse 1. Principi di rigenerazione : • una risorsa rinnovabile può venire utilizzata solo nella misura in cui nello stesso periodo si rigenera; • nell’ambiente non può venire rilasciata una quantità di sostanze maggiore di quella che vi possa essere assorbita. 2. Principio di utilizzo : l’utilizzo di energia e di materiali deve essere ridotto a un livello a basso rischio La Dir. 96/61/CE sulla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento sottolinea la necessità di fissare principi generali omogenei e condivisi relativamente ai comparti ambientali, ai criteri di riferimento per la definizione degli obiettivi di qualità, alla confrontabilità, significatività e disponibilità dei dati e delle informazioni ambientali e alle procedure di comunicazione e trasmissione degli stessi agli utenti istituzionali e al pubblico. E’ importante sottolineare come approcci differenti nei sistemi di autorizzazione e disomogenei nelle azioni di controllo possono incoraggiare il trasferimento dell’inquinamento tra settori ambientali e ambiti geografici diversi anziché proteggere l’ambiente nel suo complesso. L’attuazione dei provvedimenti di decentramento fissati dalla legge Bassanini rendono ancora più indifferibile e urgente la realizzazione di un quadro di riferimento omogeneo in materia di controlli ambientali. Gli obiettivi di qualità delle politiche ambientali devono essere fissati realisticamente riconoscendo l'impossibilità di ricreare un irraggiungibile stato ecologicamente ideale. Ciò presuppone l'accettazione di un certo livello di impatto ambientale purché esso non comprometta i fenomeni naturali di autorecupero, il biota e la salute dell'uomo, e la velocità di utilizzo delle risorse sia compatibile con la velocità naturale di autorigenerazione. Gli obiettivi di qualità inoltre sono prioritariamente fissati in funzione della salvaguardia delle caratteristiche ecologiche del sistema e secondariamente in funzione della destinazione d'uso. Si ritiene infatti che il raggiungimento di un buono stato ecologico in un comparto ambientale sia la precondizione che garantisce anche gli usi plurimi cui destinare le risorse nonché la loro rinnovabilità. Il quadro di riferimento su esposto si completa con una significativa evoluzione concettuale della nozione di controllo: da una impostazione basata sul binomio controllo / prescrizione si è pervenuti al concetto di controllo / conoscenza. La protezione degli ecosistemi naturali e antropizzati richiede infatti un sistema di controllo ambientale che non sia limitato alla pur necessaria verifica di conformità a norme e prescrizioni (modello prescrizione/controllo), ma che consenta Roberto Caracciolo 174 prioritariamente di acquisire i dati, sulle cause del degrado e sui suoi effetti, di trasformarli in informazioni utili e di aggiornare continuamente le conoscenze sullo stato e la dinamica evolutiva dell’ambiente nel suo complesso (modello controllo/ conoscenza). Le ragioni di questa evoluzione non derivano soltanto da impostazioni tecniche ma rispondono a esigenze pratiche. L'esperienza internazionale più avanzata consente di affermare che un sistema di controllo basato sul binomio prescrizione/sanzione tende a generare un insieme normativo e prescrittivo sempre più analitico, articolato e complesso, a moltiplicare i parametri da sottoporre a controllo e a rendere più complesse e costose le metodologie necessarie. Le conseguenze sono: l'ingestibilità del sistema, la pratica impossibilità di effettuare tutti i controlli previsti e un incremento insostenibile dei costi per investimenti finanziari, di personale e di formazione. L’attuale concezione dell’attività di controllo è ben rappresentata dallo schema di figura 1 da cui si vede come il controllo sia un atto isolato e terminale di un processo. A B LEGISLAZIONE LEGISLAZIONE AUTORIZZAZIONE AUTORIZZAZIONE CONTROLLOISPETTIVO ISPETTIVO CONTROLLO fissai ivalori valorilimite limite fissa dettaleleprescrizioni prescrizioni detta verificaottemperanze ottemperanze verifica AAeeBB Figura 1 - Rappresentazione schematica dell'attuale funzione svolta dai controlli in campo ambientale: sono un atto isolato e terminale di un processo. Nel modello controllo/conoscenza, viceversa, l’attività di controllo è inserita nel sistema di correlazioni tra lo stato dell’ambiente, le pressioni, gli effetti e le risposte secondo lo schema di figura 2 noto come DPSIR: Driving forces, Pressures, States, Impacts, Responses, estensione derivata dalla Agenzia europea dall’analogo modello PSR proposto dall’OCSE. Il controllo si orienta così essenzialmente all'osservazione degli elementi che costituiscono gli indicatori di pressione, di stato e di impatto e quindi riguarda gli scarichi, le emissioni in atmosfera, i rifiuti, ecc., ma anche gli ecosistemi ricettori quali acque, suolo, aria. Ne consegue la necessità di effettuare i controlli non solo su singoli parametri chimici, fisici o biologici (l'approccio "tabellare" fin qui prevalente) ma anche su indici di stato (chimico, fisico, biologico e quantitativo), di pressione e di impatto, a utilizzare procedure e metodologie omogenee e confrontabili in diversi contesti geografici (ecoregioni / ecosistemi tipo, biotopi, bacini idrografici) e soprattutto a impostare Sistema nazionale di monitoraggio e controllo in campo ambientale l’azione in modo programmatico, utilizzando le relazioni tra conoscenza secondo lo schema di figura 2. 175 gli elementi di Figura 2 - Il modello DPSIR proposto dall'Agenzia europea come estensione del modello PSR (Pressione, Stato, Risposte) sviluppato dall'OCSE. Esso fornisce una rappresentazione schematica completa delle relazioni di causalità tra gli elementi che intervengono nelle analisi delle problematiche ambientali. Al fine di ottenere una visione più completa dei vari fattori che contribuiscono a determinare lo stato dell’ambiente, occorre utilizzare in maniera cooperativa e integrata tutte le metodiche di indagine disponibili: chimiche, fisiche, microbiologiche, tossicologiche, di mutagenesi e “indicatori e indici biologici” . Ciascuna metodica, in genere utilizzata singolarmente, assolve a un ruolo distinto e non sovrapponibile con le altre. Nei controlli condotti con metodiche chimiche e fisiche la tradizione scientifica e l’affidabilità sono elevatissime: si tratta di potenziarli e pianificarli. Le metodiche microbiologiche tradizionali rivestono importanza in quanto svelano, sostanzialmente, l’esistenza di rischi sanitari, di tipo infettivo, ma prescindono dallo stato ecologico generale dell’ambiente. Ritardi si registrano invece nel nostro paese nel campo delle metodiche di mutagenesi e tossicologiche e in quelli degli indici e indicatori biologici. La tossicologia e la mutagenesi svelano l’esistenza di fenomeni tossici e lesivi del DNA dei viventi dovuti a inquinanti singoli o cocktails di inquinanti anche con effetti sinergici o antagonisti. Gli indici e indicatori biologici non sono in grado, generalmente, di svelare le cause dell’inquinamento ma forniscono una preziosa diagnosi sullo stato generale dell’ambiente in cui vengono applicati e svelano l’entità del discostamento dalle Roberto Caracciolo 176 condizioni di “normalità”. Sono, inoltre, in grado di svelare inquinamenti pregressi, nascosti e saltuari. Insieme (tossicologia, mutagenesi e indicatori biologici) sono in grado di svelare inquinanti che sfuggono alle normali, seppur accurate, determinazioni tradizionali di laboratorio. In realtà esistono già metodiche standardizzate e affidabili in campo tossicologico ma queste non trovano la necessaria diffusione nel tessuto operativo dei controlli. Nel campo degli indicatori biologici, al di là della positiva esperienza del metodo IBE (Indice Biotico Esteso) e di significative esperienze di monitoraggio della qualità dell’aria con i licheni, esistono notevoli ritardi da colmare, anche attraverso la promozione di iniziative di ricerca. Ovviamente una buona base conoscitiva rappresenta solo un necessario presupposto e non esaurisce le componenti di un sistema efficace di controllo all’interno del quale devono trovare collocazione numerose altre essenziali funzioni: l'indirizzo, la vigilanza, la prevenzione, il riscontro e l'auditing, la formazione. Per quanto detto sopra i risultati dei controlli, i dati e le analisi prodotte, devono consentire la elaborazione di una informazione significativa, integrata e aggregata accessibile e fruibile da parte dei soggetti decisori a ogni livello, dal pubblico , dalle organizzazioni sindacali e dalle categorie imprenditoriali interessate (figura 3). DATI INFORMAZIONI indici e indicatori DEFINIZIONE STATO E TREND OBIETTIVI DI POLITICHE AMBIENTALI SELEZIONE PRIORITA’ VERIFICHE COMUNICAZIONE Figura 3 - Elaborazione e finalità delle informazioni ambientali. Sistema nazionale di monitoraggio e controllo in campo ambientale 177 In particolare la comunicazione al pubblico deve rappresentare una finalità imprescindibile di un sistema di controllo e ciò, come anticipato, non tanto per motivi, seppur importanti, di trasparenza, quanto per il suo potenziale educativo e partecipativo. Infatti soprattutto attraverso la promozione di queste due attività si potranno migliorare i livelli di consapevolezza delle popolazioni attivando collaborazioni diffuse che migliorino l’efficacia delle politiche ambientali. In altre parole il sistema di monitoraggio-controllo si inserisce nel quadro più generale di un sistema comune delle conoscenze ambientali ( vedi figura 4) . Sistema Sistemaconoscitivo conoscitivo socio-economico socio-economico Sistema SistemaInformativo Informativo Ambientale Ambientale Sistema Sistemaconoscitivo conoscitivo ambientale ambientale didibase base Sistema Sistemadei dei controlli controlli Documentazione Documentazione comunicazione comunicazione Figura 4 - Integrazione del sistema dei controlli con il sistema delle conoscenze. Le osservazioni e le informazioni sono mirate alla verifica costante della validità dei modelli interpretativi dello stato e delle dinamiche ambientali. Sono altresì indispensabili alla verifica della rispondenza degli strumenti (tecnici, normativi e organizzativi) adottati per il perseguimento di obiettivi di qualità e funzionali. Sulla base di queste funzioni il sistema dei controlli diventa quindi uno strumento essenziale che genera ricadute positive nell’orientare anche la progettazione e la pianificazione e che consente, infine, la verifica dei risultati conseguiti attraverso gli interventi strutturali o di emergenza, di tutela e di risanamento. Dall’attività generale di controllo, inoltre, è possibile creare un vero e proprio osservatorio degli elementi di criticità e dei settori di debolezza del tessuto produttivo del nostro Paese. Nello scenario che si apre con l’unione europea conseguente all’applicazione del trattato di Maastricht, la libera concorrenza tra le imprese si giocherà soprattutto sul piano della qualità anche ecologica dei processi produttivi e dei prodotti. Roberto Caracciolo 178 L’individuazione delle sacche di arretratezza e il monitoraggio dei predetti elementi di criticità potranno svolgere un ruolo di supporto alle politiche di governo, all’imprenditoria e alle associazioni dei lavoratori e dei cittadini nello spingere in alto la qualità delle imprese verso la ecosostenibilità. Si tratta in definitiva di aumentare la competitività delle imprese italiane, individuando i bisogni di innovazione tecnologica e le esigenze di ricerca, promuovendo il trasferimento di nuove tecnologie ecocompatibili, agevolando lo sviluppo di accordi volontari a difesa dell’ambiente e della natura e infine ampliando la base produttiva con la creazione di nuove professionalità. La complessità e la diffusione delle emergenze ambientali interessano ambiti che si sviluppano da quello planetario, a quello continentale, nazionale e locale e quindi interessano una pluralità di soggetti che partecipano a reti conoscitive e funzionali sempre più articolate, stratificate e complesse (figura 5). In particolare per i paesi membri della UE, l'integrazione a livello comunitario è essenziale. II sistema nazionale dei controlli di un paese membro, inserito in un più vasto sistema di conoscenze ambientali, dovrà articolarsi e operare coerentemente con gli obiettivi e le regole comunitarie. In questa prospettiva il sistema permanente di informazione e sorveglianza europeo EIONET, coordinato dalla Agenzia Europea per l'Ambiente costituisce un riferimento necessario . ONU, UNEP, OCSE Convenzioni internazionali (Clima globale, Convenzione di Barcellona, ecc…) ecc…) EEA, EUROSTAT, CE, …. Direttive (Acque per la vita dei pesci, ecc…) ecc…) ANPA, ARPA, CTN, … Leggi, decreti (Rifiuti, T.U. acque, ecc…) ecc…) Figura 5 - Contesti territoriali, oggetti e soggetti delle conoscenze ambientali. Sistema nazionale di monitoraggio e controllo in campo ambientale 179 4. IL QUADRO ISTITUZIONALE ITALIANO La normativa attualmente in vigore, le convenzioni internazionali sottoscritte dall'Italia, i circa 200 riferimenti normativi elaborati dalla UE e la conseguente legislazione derivata a livello nazionale e regionale, hanno determinato una situazione molto complessa per quanto attiene alla tipologia dei controlli richiesti e alle competenze dei diversi soggetti coinvolti. Questo imponente corpus di leggi, regolamenti, decisioni, protocolli e normative tecniche di riferimento, pur avendo consentito il raggiungimento di risultati (più rilevanti in altri paesi della Comunità ma meno significativi a livello nazionale) nel contenimento dei fenomeni di inquinamento non ha tuttavia contrastato un progressivo deterioramento dello stato dell'ambiente nel suo complesso e a tutti i livelli, fino alla scala dell’ecosistema globale (clima, ozono). Contemporaneamente la proliferazione di strumenti normativi, spesso determinata dall’urgenza di dover fornire risposte a situazioni di emergenza e di crisi ambientali, ha prodotto un forma di inquinamento normativo che rende difficile l’ottemperanza specie da parte delle imprese provocando incertezze alla gestione e oneri organizzativi e finanziari a volte insostenibili. Ciò ha determinato, sia a livello comunitario che nazionale, la tendenza a ristrutturare il corpo normativo mediante norme unificanti di riferimento che semplifichino e impostino in modo più efficace la legislazione ambientale: la legge 61/94, il D.L.gs 22/97 sui rifiuti, la IPPC, la direttiva europea sulle risorse idriche (WFR: water framework directive) e l'analoga norma italiana sulla tutela delle acque (D.L.gs 152/99). Queste innovazioni normative impatteranno, a livello nazionale, sull'insieme dei soggetti titolari delle azioni di controllo che si presenta nel suo complesso scarsamente integrato, fortemente disomogeneo territorialmente, estremamente complesso e spesso inefficace in particolare per quanto riguarda la capacità di convogliare a livello regionale e centrale (governo, ANPA, ISTAT,...) e quindi comunitario, un flusso adeguato, aggiornato e significativo di informazioni necessarie alla conoscenza dello stato dell'ambiente e alla impostazione, verifica e adeguamento delle politiche ambientali. Ciò ha determinato numerosi casi di avvio delle procedure di infrazione da parte della CE nei confronti dell’Italia anche in situazioni in cui erano disponibili i dati e gli adempimenti richiesti ma sconosciuti a livello centrale e comunitario. Parimenti le nostre strutture di monitoraggio-controllo stentano ad avere un “ritorno” dei flussi di informazione per migliorare le proprie capacità operative e la propria azione programmatoria. Nel contempo il quadro italiano, che a livello organizzativo corrisponde a un modello a legami deboli, coesiste all’interno di una elevata densità di strutture tecniche che producono una consistente quantità di dati (disponibili presso soggetti pubblici e privati) che però stentano ad emergere in modo organico e finalizzato, e a tradursi in informazioni. La situazione risulta quindi largamente insoddisfacente. 180 Roberto Caracciolo Il Sistema delle Agenzie non esaurisce di certo il complesso dei soggetti titolari o comunque interessati a una qualche funzione di controllo. Sono titolari di specifiche competenze i Servizi tecnici nazionali, il CNR., l’ICRAM, la Marina, il Servizio sanitario nazionale per le materie attinenti all'igiene e alla sanità pubblica, i PMP e i Laboratori di igiene e profilassi che non ancora divengono Agenzie, i Dipartimenti di prevenzione delle USL, le Autorità e i Consorzi di bacino, i Gestori dei servizi idrici integrati, i Consorzi di bonifica, gli Istituti Zooprofilattici, i Laboratori di zoologia medica o Agro-forestali, nonché laboratori pubblici e privati abilitati dalle autorità ministeriali, le Province e i Comuni , i titolari delle autorizzazioni di scarico. Nelle Aree Naturali protette i compiti di controllo sono individuati in prima istanza, negli Organismi di Gestione e nelle direzioni degli Enti parco che si avvalgono di un proprio corpo ispettivo e della Guardia Forestale. Per gli aspetti di verifiche ispettive/amministrative operano altresì i nuclei dei Carabinieri NOE e NAS, i corpi della Guardia di Finanza e della Guardia Forestale e, spesso, le guardie ecologiche provinciali. L'insieme delle considerazioni svolte delinea una situazione che, pure nella sua complessa e dinamica realtà, presenta notevoli potenzialità e opportunità per avviare un processo di riorganizzazione che produca un sistema nazionale dei controlli efficace e coerente con i nuovi orientamenti normativi e metodologici e, soprattutto, con i nuovi bisogni ecologici del territorio. Presupposto indispensabile per l’avvio di tale processo è rappresentato dalla capacità di integrazione e dialogo in un sistema coerente: ovvero nella costituzione di una rete di soggetti con funzioni e competenze chiaramente definite, negli obiettivi e nei limiti, e condivise che operino sinergicamente per il conseguimento e la verifica , nel campo dei controlli, degli obiettivi delle politiche ambientali assunti a livello locale, nazionale, comunitario e internazionale. 5. GLI ELEMENTI DI BASE DEL SISTEMA DI MONITORAGGIOCONTROLLO 5.1 DECLARATORIE Prima di entrare nel merito degli elementi costitutivi del sistema, sembra opportuno definire, attraverso specifiche declaratorie, le diverse forme che contribuiscono alla funzione di monitoraggio-controllo. Ciò al fine di ridurre i possibili rischi di equivoci interpretativi nella definizione dell’articolazione e organizzazione funzionale delle diverse componenti del Sistema. Questa esigenza risponde anche ad una necessità di chiarezza derivante dalle funzioni e obiettivi dei controlli ambientali che necessitano del ricorso a un vasto e differenziato insieme di metodologie e conoscenze in un quadro di complessa multidisciplinarietà. In tal senso, innanzi tutto va distinta l’accezione di controllo, di origine anglosassone, intesa come azione finalizzata a limitare le dimensioni di un determinato fenomeno (emissioni, inquinamento,ecc.), da quella intesa come azione di Sistema nazionale di monitoraggio e controllo in campo ambientale 181 riscontro delle dimensioni del fenomeno e dell’osservanza a determinate limitazioni / prescrizioni ( più propriamente di tipo “ispettivo” finalizzato alla verifica). Inoltre devono essere distinte le azioni di controllo di natura amministrativa che si esercitano su base documentale (atti amministrativi, auditing, certificazioni, ecc.) da quelle di tipo tecnico che si esercitano su dati risultanti da misure (valori di emissioni, parametri rilevati su scarichi, concentrazioni in aria, ecc.). Un’azione fondamentale comunemente ricondotta sotto il generico termine di “controllo” è la sorveglianza ambientale che, nei vari comparti viene effettuata spesso attraverso i monitoraggi. Tale azione, anche se non imposta da leggi finalizzate alla verifica di limiti o obiettivi prefissati, è comunque essenziale per la conoscenza dello stato dell’ambiente. In definitiva, i controlli sia tecnici che di tipo amministrativo e di monitoraggio rispondono sostanzialmente a categorie che, pur distinte per finalità e strumenti, rientrano, insieme e in maniera integrata, nel concetto di controllo / conoscenza. Per controllo / conoscenza si intende l'insieme delle azioni conoscitive tese a verificare il conseguimento di obiettivi fissati. Il controllo / conoscenza si articola in : controlli ambientali finalizzati a verificare lo stato di qualità delle componenti ecosistemiche; controlli ispettivi finalizzati a verificare l’ottemperanza a limiti fissati per le sorgenti di impatto (emissioni, scarichi, rifiuti); controlli amministrativi finalizzati a verificare l’esistenza di tute le autorizzazioni, dei registri e delle conformità tra le prescrizioni autorizzatorie e le tipologie impiantistiche e gestionali. I controlli ambientali e i controlli ispettivi forniscono nel loro insieme la conoscenza e la misura delle alterazioni dello stato e il livello delle pressioni riferite sia allo spazio che al tempo. Essi forniscono gli elementi conoscitivi di base e consentono la comprensione e la verifica delle relazioni di cause e effetti. Vengono effettuati sia a livello puntuale che nell'ambito di un sito o area significativa e riguardano valori istantanei o integrati di singoli parametri indicativi chimici, fisici o biologici, e indici di qualità. Il controllo / limitazione si attua mediante un l'insieme di provvedimenti (leggi, norme tecniche, piani, prescrizioni, ecc.) al fine di limitare i livelli di inquinamento presenti nell'ecosistema. L'attribuzione dei fenomeni osservati alle "driving forces" (cause generatrici primarie derivanti dalle attività umane) operanti sul sito o area in esame, la verifica dei modelli conoscitivi in uso e il riscontro dei trend evolutivi in relazione agli obiettivi di tutela e di risanamento assunti nelle politiche ambientali, è la base per l'efficace esercizio del controllo limitazione che riguarda tipicamente la fissazione di obiettivi di qualità, dei limiti alle emissioni, di interventi strutturali, attraverso interventi normativi e prescrittivi. 182 Roberto Caracciolo L'insieme dei controlli / conoscenza e dei controlli / limitazione costituisce un sistema finalizzato alla pianificazione e verifica delle politiche ambientali. Sulla base delle declaratorie suddette, la funzione di controllo limitazione che viene orienta dal controllo/conoscenza, attiene principalmente alla sfera di competenza degli organi di governo. Viceversa il Sistema nazionale dei controlli di cui vengono tracciati gli elementi di base, deve intendersi centrato essenzialmente sul controllo ambientale e sul controllo ispettivo, cioè è tipicamente un sistema di controllo / conoscenza. 5.2 GLI OGGETTI E LE FUNZIONI DEI CONTROLLI La rilevanza delle implicazioni socio-economiche connesse con la elaborazione di una efficace politica di tutela e risanamento ambientale richiede una definizione chiara degli oggetti su cui attuare il controllo per conseguire un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso che sia politicamente, tecnicamente e finanziariamente possibile. La normativa sulla valutazione dell'impatto ambientale (DPCM 27 dicembre 1988) e la filosofia alla base del vigente "Programma politico e di azione della Comunità europea a favore dell'ambiente e di uno sviluppo sostenibile" (GUCE NC 138 del 17/5/1993) individuano 9 componenti ambientali delle quali è necessario definire il livello di qualità esistente e gli obiettivi di qualità : ambiente idrico con riferimento all'acqua come ambiente fisico, ecosistemi acquatici e come risorsa; atmosfera: aspetti meteoclimatici e qualità dell'aria; suolo e sottosuolo: aspetti geologici, geomorfologici e pedologici e risorsa non rinnovabile; vegetazione, flora e fauna: specie protette, minacciate, autoctonie,endemismi, ecotipi e equilibri naturali; ecosistema: habitat e aspetti strutturali; paesaggio: aspetti estetici, socio-culturali e storico-testimoniali; rumore e vibrazioni; salute pubblica (che si cita per completezza ma che non riguarda il sistema in discussione ma il sistema sanitario nazionale); radiazioni ionizzanti e non. Su tali componenti, con le limitazioni del punto 8, si devono esercitare le funzioni di monitoraggio-controllo per la valutazione dello stato di qualità, delle pressioni e degli impatti. Per ognuna di tali componenti e per gli effetti dovuti a pressioni antropiche ma anche a cause naturali, un sistema di controllo a regime dovrà rispondere alle funzioni e obiettivi già indicati: la conoscenza dello stato: elaborazione e verifica di bilanci e modelli interpretativi della dinamica evolutiva dei fenomeni e delle interconnessione tra componenti diverse, definizione di standard di riferimento; Sistema nazionale di monitoraggio e controllo in campo ambientale 183 prevenzione e indirizzo: fissazione e verifica degli obiettivi di qualità, normativa (accordi internazionali, legislazione, guide e norme tecniche), metodologie, tecnologie; vigilanza e riscontro: auditing, reporting, ispezioni e verifiche; informazione al pubblico ed educazione ambientale. 5.3 GLI STRUMENTI DI BASE Le funzioni del sistema di controllo si esplicano utilizzando un adeguato ed efficace insieme di strumenti di base sia di natura operativa che conoscitiva. Si possono indicare tra gli strumenti necessari: Strumenti operativi: a) reti di monitoraggio: generaliste, tematiche e locali Le reti devono consentire la sistematica e periodica raccolta di informazioni significative sui parametri e gli indici chimici, fisici e biologici di interesse generale o per specifici tematismi (per esempio: i corpi idrici superficiali; la qualità dell’aria in aree urbane). L'articolazione delle reti deve essere pianificata a partire da un realistico censimento dell'esistente in modo da consentire, a costi accettabili, una efficace copertura territoriale e un adeguato livello di integrazione. b) le strutture laboratoristiche: laboratori a competenza territoriale, laboratori specialistici, centri di riferimento tematico Costituiscono, congiuntamente con le reti, lo "hardware" del sistema. L’individuazione di un insieme di laboratori e del loro ruolo specifico, funzioni generali di controllo o funzioni specialistiche e tematiche, è ritenuta una esigenza essenziale per contenere i costi di funzionamento dell’intero sistema. Un ruolo strutturale rilevante deve essere assegnato ai centri nazionali di riferimento tematici con il mandato di elaborare le regole e le metodiche comuni, le guide tecniche e di rappresentare lo stato delle conoscenze specialistiche. Essi, coinvolgendo strutture esperte delle Agenzie regionali e provinciali, enti e istituti specialistici potranno garantire la massima diffusione del know-how e la massima condivisione delle regole operative. Questi obiettivi possono essere conseguiti nel rispetto delle compatibilità delle risorse e dei mezzi finanziari, governando, in un quadro coordinato e concordato, la prevedibile tendenza, specie a livello dei più organizzati ed efficienti soggetti titolari di funzioni di controllo, a eccedere nelle dotazioni di apparecchiature e strumentazioni avanzate e costose. Una adeguata copertura territoriale dovrà essere coniugata con la funzionalità e il grado di utilizzo delle risorse strumentali. c) indagini e campagne Rispondono alle esigenze di approfondire e verificare con approccio selettivo e mirato la validità e completezza delle informazioni e delle conoscenze, di provare i modelli interpretativi e funzionali e, in riposta a specifici indicatori "spia", prevenire emergenze e fenomeni critici. d) metodologie analitiche La complessità raggiunta dai fenomeni di degrado e l’enorme quantitativo di molecole di sintesi (e loro derivati o ricombinanti), xenobiotiche, biocide, mutageniche, rendono necessario un approccio integrato anche nelle metodologie analitiche. La continua evoluzione degli standard di qualità ambientali dovuta all’approfondimento degli studi tossicologici ed ecotossicologici e dei fenomeni ambientali, richiede l’adeguamento periodico e sistematico delle metodologie analitiche. 184 Roberto Caracciolo Strumenti conoscitivi: a) gli usi del territorio La conoscenza del territorio, natura, usi, fattori di pressione, zone protette, ecc. e la definizione di siti e aree significative, il censimento di eventuali "hot points", per tutti i comparti ambientali, è condizione preliminare e essenziale ai fini della pianificazione e attuazione dei controlli. Tra le componenti principali di questo strumento vanno segnalate le cartografie tematiche. b) gli indici e gli indicatori di qualità, di pressione e risposta Il ridimensionamento dell'approccio tabellare ai controlli si riflette nella tendenza a utilizzare indici e indicatori significativi per lo stato, le pressioni e gli impatti. Sempre maggior interesse suscitano gli indicatori e gli indici biologici per la loro capacità di rappresentare e memorizzare in modo integrato effetti plurimi e di accumulo. L'uso di tali indici, completato dall’uso di test ecotossicologici e da parametri chimico-fisici, fornisce una quadro globale ma anche di dettaglio dei fenomeni sotto osservazione nello specifico ecosistema. c) i criteri di classificazione specifici ai comparti La pianificazione degli interventi di tutela e ripristino in funzione di obiettivi di qualità e della sostenibilità, e la verifica dei trend verso tali obiettivi, comporta lo sviluppo di metodologie di classificazione che debbono garantire la significativa e la comparabilità dei dati e delle informazioni nell'ambito delle ecoregioni e degli ecotipi specifici di un dato territorio. Queste sono condizione essenziali al fine della ottimizzazione degli interventi in di costi-benefici . d) lo studio delle relazioni di causa e effetto E’ una attività conoscitiva che completa l'elaborazione delle informazioni prodotte dai controlli e verifica la validità degli strumenti disponibili nel contempo alimentando il sistema comune della conoscenza ambientale. Questo strumento consente inoltre, a fronte degli obiettivi di qualità fissati, di confermare o rimodulare gli interventi di tutela e miglioramento della qualità dell’ecosistema. 5.4 METODI E PROCEDURE Un presupposto prioritario per la realizzazione di un efficace sistema di monitoraggio-controllo è costituito dalla disponibilità di metodi e procedure omogenei e condivisi da tutti i soggetti competenti, che garantiscano la qualità e comparabilità dei dati e la significatività delle informazioni che costituiscono elementi di base dei processi decisionali. Per garantire queste condizioni e favorire l'accettazione e il ricorso ai metodi e alle procedure individuate, è opportuno che la loro predisposizione non sia, in principio, delegata a un organismo specifico ma risulti da una elaborazione diffusa e condivisa. Si tratta quindi di elaborare e programmare, in materia di controlli: a) linee guida e guide tecniche Esse riguarderanno un complesso di materie relative ai campionamenti, alle analisi, ai metodi di elaborazione dei dati e di classificazione ma anche alle procedure di acquisizione e diffusione delle informazioni e risultati. Pur ritenendo opportuno individuare un organismo che svolga attività di coordinamento e indirizzo in materia, la complessità e diversità dei problemi da affrontare fa supporre che questi prodotti alla base della operatività del sistema siano frutto di un insieme diversificato di soggetti competenti. In questo ambito si è già sottolineato il ruolo sostanziale del Centri tematici nazionali. Sistema nazionale di monitoraggio e controllo in campo ambientale 185 b) campagne di intercalibrazione Devono consentire la verifica della significatività e comparabilità dei risultati e rappresentare test dell'efficacia degli strumenti analitici messi in campo. La periodicità di queste campagne deve garantire la qualità tecnica del sistema dei controlli. c) protocolli Devono fornire chiare indicazioni sulle modalità di esecuzione dei controlli sia ambientali che ispettivi, favorendo sia la qualità che l’efficacia delle attività. Contemporaneamente è opportuno prevedere procedure che evitino sia interventi multipli e ripetuti su uno stesso soggetto derivanti da autonome iniziative dei titolari della funzione di controllo (coordinamento) che un eccesso di riscontri parametrici o documentali (semplificazione). Il primo aspetto presuppone un chiarimento dei ruoli operativi, anche gerarchicamente organizzati, nelle funzioni di controllo di cui attualmente sono titolari una miriade di soggetti. Ciò comporta una approfondita analisi delle normative in essere e una verifica dei suoi possibili sviluppi. Per il secondo aspetto un approccio significativo potrà essere la verifica degli obiettivi di qualità per un ecosistema o un sito effettuata secondo una logica di albero degli eventi, nel senso di far riferimento a più tabelle di riscontri, e solo se si verificano determinate condizioni, le verifiche sono effettuate su tutte le tabelle. d) i sistemi qualità (qualità dei dati; unità operative; centri di eccellenza) La cultura della qualità nel campo dei controlli ambientali è quasi inesistente a livello nazionale e l'occasione offerta dalla necessità di attivare un sistema nazionale dei controlli è provvidenziale per recuperare tale ritardo. Si ritiene che il conseguimento di questo risultato, la realizzazione cioè di un sistema qualità nel campo dei controlli che interessi i prodotti e le strutture, incontrerà molte difficoltà ma rappresenta uno degli elementi più qualificanti della proposta in discussione. La qualità in campo ambientale è essenziale non solo nell’ambito del sistema di conoscenza dell’ambiente ma fondamentale per la competitività del sistema produttivo sugli scenari internazionali. e) workshop e seminari tematici Rappresentano il momento della comunicazione, della verifica del sistema nella sua globalità, della trasparenza e fruibilità dei risultati conseguiti. Come per le campagne di intercalibrazione tra strutture operative la periodicità di queste iniziative è necessaria per la creazione di un patrimonio comune di conoscenze. f) centri e scuole di formazione La complessità dei fenomeni esaminati, l'evoluzione tecnico scientifica e delle normative, richiedono un forte investimento culturale e finanziario nella formazione e aggiornamento del personale specialistico sulle metodiche, sul quadro delle conoscenze e sugli obiettivi. Il controllo dell'ambiente non può essere efficace se i suoi obiettivi e strumenti non sono patrimonio culturale sentito e condiviso del personale addetto e più in generale del cittadino. La formazione deve inoltre rappresentare un indirizzo e un sostegno ai processi di promozione di nuove professionalità. 5.5 LA PIANIFICAZIONE Al fine di realizzare un controllo efficace ed efficiente sia in termini di significatività e qualità dei dati sia dal punto di vista dei costi-benefici (minimizzare duplicazioni, massimizzare la fruibilità dei risultati) i controlli ispettivi e quelli 186 Roberto Caracciolo ambientali (monitoraggi) devono rispondere contemporaneamente ai criteri di una pianificazione spazio-temporale. Essi quindi riguardano "bacini" significativi del comparto in esame (bacino idrico, sistema lagunare, polo industriale, bacino portuale, insediamento civile, .....) e sono organizzati temporalmente sulla base di un programma o piano operativo concordato tra i soggetti interessati. La pianificazione delle singole azioni deve scaturire prioritariamente da un’efficace caratterizzazione dei comparti territoriali in relazione sia alle attività antropiche che al dimensionamento quali-quantitativo delle componenti ecosistemiche. Ad esempio per il controllo della qualità di un corpo idrico, devono essere prioritariamente determinate le condizioni quali-quantitative di tutte le componenti del bacino idrografico di interesse (qualità delle acque, portata, ecc.) e delle pressioni antropiche presenti (qualificazione degli scarichi, dimensionamento dell’uso di fitofarmaci, ecc.). In base all’esito di questa indagine vengono fissati i punti di campionamento nonché le frequenze temporali di misura di parametri di qualità e viene programmata l’azione ispettiva sulle sorgenti di impatto. Attività ispettive ulteriori possono essere attuate in relazione a specifiche segnalatori di indicatori spia, monitorati sia attraverso reti in continuo che con campagne periodiche di riscontro. Sono parti integranti della pianificazione le azioni di elaborazione delle informazione e della immissione delle stesse in una rete articolata, dal livello locale a quello nazionale, di comunicazione e informazione. Per conseguire questi obiettivi è necessario che tra i soggetti titolari delle funzioni di controllo si vengano a realizzare due condizioni fondamentali: una articolazione e integrazione territoriale a più livelli (dal bacino o distretto al livello nazionale), quindi una rete di relazioni in cui i ruoli dei singoli soggetti siano chiaramente definiti (competenze, limiti territoriale e referenti); la definizione e la condivisione delle regole e degli strumenti di controllo. Il Sistema delle Agenzie ambientali rappresenta un riferimento fondamentale per garantire queste condizioni e riferire le iniziative di pianificazione in un quadro certo di soggetti e di relazioni funzionali, fortemente integrato con le strutture operanti a livello comunitario. 6. I SOGGETTI DELLE ATTIVITÀ DI MONITORAGGIO-CONTROLLO Anche se come ricordato i soggetti chiamati a svolgere attività direttamente o indirettamente collegate a funzioni di controllo sono numerosi ed operano a tutti i livelli territoriali, è evidente che con la legge n. 61/94 la responsabilità primaria di questa attività risiede nel sistema agenziale, costituito da ANPA , ARPA e APPA. A tale sistema, infatti, è sicuramente attribuita la responsabilità dell’ azione conoscitiva su quegli elementi dello schema di figura 2 riconducibili a qualità delle componenti ambientali, principali pressioni esercitate su queste ultime e in parte a Sistema nazionale di monitoraggio e controllo in campo ambientale 187 componenti di impatto. Altri soggetti devono contribuire al sistema soprattutto con dati di contorno, quali gli usi del territorio (driving forces). All’interno del sistema agenziale, il combinato disposto di legge n. 61/94 e DPR 4/6/97 n. 335 fornisce un quadro abbastanza esaustivo delle attribuzioni di strutture centrali e regionali. In particolare, le Agenzie regionali svolgono, oltre a tutte le attività tecnicoscientifiche per la protezione dell’ambiente (art. 01, legge 61) di interesse regionale, tutte le funzioni operative sul territorio per il controllo ambientale e ispettivo. In tal senso sono dotate di strutture tecniche laboratoristiche, gestiscono reti di monitoraggio, svolgono campagne di misura, ecc. L'ANPA e l'insieme delle Agenzie regionali e delle province autonome (ARPAAPPA) sono identificate dal legislatore come i soggetti primari per l’attuazione dei controlli ambientali. In particolare, le ARPA e le APPA hanno compiti operativi per l’esercizio di tali funzioni sul territorio. L'ANPA, ai sensi dell'articolo 1 lettera b della legge n. 61/94, svolge "attività di indirizzo e coordinamento tecnico nei confronti delle agenzie regionali allo scopo di rendere omogenee sul piano nazionale le metodologie operative per l'esercizio delle competenze ad esse spettanti". Le modalità di attuazione di questa funzione sono esplicitate all’art. 7 del citato DRP concernente il Regolamento dell’ANPA. In particolare è stabilito che: 1. Le attività di indirizzo e coordinamento tecnico nei confronti delle agenzie regionali concernono: a) l’adozione di criteri di normalizzazione e di intercalibrazione delle misure in campo ambientale per la validazione dei dati; b) l’elaborazione di metodologie per le attività di raccolta e di validazione dei dati e per la realizzazione di reti di monitoraggio in applicazione della normativa vigente; c) l’elaborazione e la diffusione di criteri, metodi e linee guida per le attività di controllo e protezione ambientale. 2. Le attività di cui al comma 1 sono svolte d’intesa con le regioni e le province autonome per quanto riguarda le materie rientranti nella loro diretta competenza e possono essere svolte in collaborazione con le agenzie regionali e delle province autonome, anche attraverso gli strumenti previsti all’art. 10, comma 4. 3. Per il più efficace espletamento delle proprie funzioni sull’intero territorio nazionale, l’ANPA può stipulare, ai sensi dell’art. 1, comma 3, e dell’art. 03, comma 5, del decreto legge 4 dicembre 1993, n. 496, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 gennaio 1994, n. 61, con le regioni e le province autonome apposite convenzioni che prevedono la specializzazione di strutture tecniche delle agenzie regionali e delle province autonome, l’assistenza tecnica alle agenzie medesime, ovvero il supporto tecnico delle stesse agenzie all’ANPA. 188 Roberto Caracciolo Come si evince dalle disposizioni sopra riportate, il legislatore evidenzia tre aspetti fondamentali delle azioni di controllo e di coordinamento: la necessità di conoscenza, la necessità di rendere omogenei attività e prodotti, la necessità di specializzare strutture all’interno del sistema. Questi elementi sono alla base della presente proposta di sistema dei controlli, che integra con una analoga elaborazione relativa al sistema nazionale di osservazione e informazione in campo ambientale. Quest’ultimo in particolare è stato elaborato assumendo come riferimento il sistema comunitario centrato sulle funzioni dell’Agenzia Europea per l’Ambiente. L'esigenza di indirizzi generali atti ad assicurare uniformità di obiettivi per tutto il territorio nazionale, rimandando a strumenti normativi più agili (norme tecniche) le attuazioni tecniche di maggior dettaglio, risponde alla complessità delle questioni ambientali e alla diversificazione delle situazioni rinvenibili sul territorio nazionale. L'evoluzione in senso federalista della struttura dello Stato, richiede garanzie di uniformità di indirizzi nella definizioni di ruoli e competenze (controllore/controllato) e confrontabilità dei risultati prodotti dal sistema dei controlli a livello locale per garantire il monitoraggio dell'ambiente a livello nazionale. L'inserimento dell'ANPA nel sistema statistico nazionale individua per l'agenzia un ruolo fondamentale nella acquisizione, elaborazione e diffusione delle informazioni ambientali e della conoscenza dello stato dell'ambiente. Analogamente appare di rilevante importante la funzione di coordinamento e indirizzo nella emanazione della documentazione tecnica di riferimento (guide, norme e manuali) per lo svolgimento delle funzioni di controllo. Per lo svolgimento dei suoi compiti l'Agenzia si avvale della collaborazione organica dei centri e istituti nazionali di eccellenza (ENEA, ISS, CNR-IRSA, ISPEL, ISTAT) tramite gli strumenti delle convenzioni. Sistema nazionale di monitoraggio e controllo in campo ambientale 189 SIGLE E ACRONIMI ANPA APPA ARPA CE CNR CTN EEA EIONET ENEA EUROSTAT ICRAM IRSA ISS ISTAT NAS NOE OCSE PMP UE UNEP USL Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente Commissione europea Consiglio nazionale delle ricerche Centro tematico nazionale Environmental european agency Environment Information and observation network Ente nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente Statistical office of the european communities Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare Istituto di Ricerca sulle Acque Istituto superiore della sanità Istituto nazionale di statistica Nucleo antisofisticazioni Carabinieri Nucleo operativo ecologico Carabinieri Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico Presidi multizonali di prevenzione Unione europea United Nation Environment Program Unità sanitaria locale 190 Roberto Caracciolo BIBLIOGRAFIA SU MONITORAGGIO E REPORTING DELLO STATO DELL’AMBIENTE European Environment Agency: Report for the Review of the Fifth Environmental Action Programme, Copenhagen, 1995 European Environment Agency: Europe’s Environment - 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(A synthesis report by the Group on the State of the Environment), Parigi 1993 OECD: Environmental Indicators: OECD Core set, Parigi 1994 OECD: Report on the OECD workshop on agri-environmental indicators, Parigi 1998 OECD: Towards Sustainable Development: Environmental Indicators, Parigi 1998 EUROSTAT: Environment Statistics, Lussemburgo 1996 EUROSTAT: Environmental Indicators and Green Accounting, Lussemburgo 1996 EUROSTAT: Indicators of Sustainable Development, Lussemburgo 1997 EUROSTAT-OECD: Questionnaire 1998, Lussemburgo 1998 EUROSTAT: Europe’s Environment: Statistical Compendium for the Second Assessment, Lussemburgo 1998 EUROSTAT: Pilot Studies on Waste Statistics: Test of Methodology Using the European Waste Catalogue, Lussemburgo 1998 EUROSTAT: Eurostat’s Methodology Sheets, Lussemburgo 1998 192 Roberto Caracciolo EUROSTAT: I. Öhman - M. Ronconi: Progetti e attività di EUROSTAT per lo sviluppo delle statistiche ambientali a livello europeo (Seconda Conferenza nazionale delle Agenzie ambientali - Firenze, 24-25 marzo 1998 – Seminario Gli strumenti di conoscenza dell’ambiente per le politiche di sostenibilità) EUROSTAT: Towards environmental pressure indicators for the EU - First edition 1999, Lussemburgo 1999 ISTAT: Statistica forestale 1948-49, Roma 1950 ISTAT: Annuario di statistica forestale 1960, Roma 1961 ISTAT: Annuario di statistica forestale 1970, Roma 1971 ISTAT: Annuario di statistica forestale 1980, Roma 1981 ISTAT: Statistiche ambientali, Roma 1984 ISTAT: 13° Censimento Generale della popolazione e delle abitazioni - 20 ottobre 1991: Popolazione e abitazioni ISTAT: 7° Censimento Generale dell’industria e dei servizi - 20 ottobre 1991: imprese, istituzioni e unità locali ISTAT: 4° Censimento Generale dell’agricoltura: 21 ottobre 1990: Caratteristiche strutturali delle aziende agricole ISTAT: Statistiche ambientali, Roma 1991 ISTAT: Statistiche forestali 1990, Roma 1993 ISTAT: Statistiche ambientali, Roma 1993 ISTAT: Settore agricoltura - Coltivazioni agricole e foreste: anni 1995-1996 ISTAT: Settore agricoltura - Statistiche sulla pesca, caccia e zootecnia: anno 1996 ISTAT: Ambiente e territorio - Statistiche ambientali, Roma 1996 ISTAT: Ambiente e territorio - Statistiche ambientali, Roma 1998 ISTAT: Settore turismo: statistiche del turismo ISTAT: Conoscere l’Italia, 1997 ISTAT: Annuario statistico italiano 1997 ISTAT: Agricoltura: statistiche dell’agricoltura anno 1995, Roma 1998 ISTAT: Annuario statistico italiano 1998 ISTAT: Agricoltura: statistiche dell’agricoltura anno 1996, Roma 1999 ISTAT: Annuario statistico italiano 1999 ANPA: Sistema nazionale dei controlli in campo ambientale. Requisiti e criteri di realizzazione - Serie Documenti 2/98 ANPA: Sistema nazionale di osservazione e informazione in campo ambientale. Requisiti e criteri di realizzazione - Serie Documenti 3/98 ANPA: L’impatto ambientale dei prodotti fitosanitari - Serie Documenti 4/98 ANPA: FORECO: Countermeasures applied in forest ecosystems and their secondary effects. A review of literature - Serie Documenti 6/98 ANPA: Cleaner Production in the Mediterranean Region, Serie Documenti 7/99 ANPA: Le principali metodiche di campionamento e analisi del particellato in sospensione in ambienti acquatici: rassegna bibliografica, Serie Documenti 9/99 ANPA: Il rischio in Italia da sostanze inorganiche. Fondo naturale incontaminato e contaminato, Serie Documenti 1/99 ANPA: Quaderno di informazione sulla legge quadro 447/95 e decreti attuativi, Serie Quaderni 2/98 ANPA: Prima Conferenza Nazionale delle Agenzie Ambientali. Torino 10-12 marzo 1997. Atti., Serie Atti 1/98 ANPA: Risk Assessment and Risk Management of Contaminated Sites in Europe, Serie Atti 1/99 Sistema nazionale di monitoraggio e controllo in campo ambientale 193 ANPA: Atti del “Workshop”: “Biomonitoraggio della qualità dell’aria sul territorio nazionale”. Roma, 26-27 novembre 1998., Serie Atti 2/99 ANPA: Seconda Conferenza Nazionale delle Agenzie Ambientali. Firenze, 23-24 marzo 1998. Atti., Serie Atti 3/99 ANPA: Linee guida per l’elaborazione di piani comunali di risanamento acustico, Serie Linee guida 1/98 ANPA: Il sistema ANPA di contabilità dei rifiuti. Prime elaborazioni dei dati., Serie Stato Ambiente 1/98 ANPA: Reti nazionali di sorveglianza della radioattività ambientale in Italia: 1993, Serie Stato Ambiente 2/98 ANPA: Reti nazionali di sorveglianza della radioattività ambientale in Italia: 1994 – 1997. Serie Stato Ambiente 3/99 ANPA (in collaborazione con il Ministero dell’ambiente): Acque idonee alla vita dei pesci. Attuazione del decreto legislativo 25 gennaio 1992 n. 130, Serie Stato Ambiente 4/99 ANPA (in collaborazione con Ministero dell’ambiente): Acque idonee alla molluschicoltura. Attuazione del decreto legislativo 131/92, Serie Stato Ambiente 5/99 ANPA: Emissioni in atmosfera e qualità dell’aria in Italia, Serie Stato Ambiente 6/99 ANPA: Il monitoraggio dello stato dell’ambiente in Italia, Serie Stato Ambiente 7/2000 ANPA: La radioattività ambientale sulle coste delle regioni Basilicata e Calabria. Maggio-giugno 1997 ANPA: SEMINAT: Long-term dynamics of radionuclides in semi-natural environments: derivation of parameters and modelling. Mid-Term Report 19961997 ANPA: Giornata di studio: “Osservatorio Acustico Nazionale Informatizzato”, Serie Noise. Dicembre 1998 ANPA: SOIR Parte II: Programma attuativo WIS per il Catasto dei rifiuti. Dicembre 1998 ANPA: Secondo rapporto sui rifiuti urbani e sugli imballaggi e rifiuti di imballaggio. Febbraio 1999. ANPA: Rassegna degli atti normativi più rilevanti emessi a livello nazionale in materia di tutela dell’ambiente (versione 14-23 aprile 1999) ANPA: Rassegna degli atti normativi più rilevanti emessi a livello nazionale in materia di tutela dell’ambiente (versione 14-15 giugno 1999) ANPA: Primo Rapporto sui rifiuti speciali. Novembre 1999 ANPA: Valutazione della dispersione in atmosfera di effluenti aeriformi – guida ai criteri di selezione dei modelli matematici, RTI 1/97-AMB ANPA: Verifica dei livelli sonori all’interno di locali di intrattenimento danzante o di pubblico spettacolo: D.P.C. 18 settembre 1997, RTI 1/97-AMB/ACUS ANPA: Le barriere verdi. Per la riduzione dell’inquinamento acustico nel rispetto dell’ambiente, RTI 2/97-AMB/ACUS ANPA: Suoli contaminati. Procedure di riferimento per il prelievo e l’analisi dei campioni, RTI 2/97-AMB/COAB ANPA: Studio pilota nella regione biogeografica alpina, RTI 1/97-AMB/COBI ANPA: Informazione alla popolazione in materia di rischi tecnologici, RTI nov. 98AMB ANPA: Inquinamento acustico: le piste motoristiche, RTI 1/98-AMB/ACUS ANPA: Le attività dell’ANPA per la mappatura del rischio industriale in Italia, RTI 1 /98-AMB/RISC 194 Roberto Caracciolo ANPA: La banca dati incidenti rilevanti dell’ANPA, RTI 2/98-AMB/RISC/ARIS ANPA: Carta e basi di dati delle faglie capaci per l’Italia Centro-Meridionale: presentazione e stato avanzamento progetto Ithaca, RTI 1/98-AMB/DISU ANPA: Censimento e mappatura delle aree della provincia di Frosinone occupate da discariche di rifiuti, RTI 2/98-AMB/PROC ANPA: Valutazione e controllo del rischio connesso all’uso dei prodotti fitosanitari per i comparti ambientali, con particolare riferimento alle acque superficiali e sotterranee, RTI 1/98-AMB/NOCS ANPA: Indagine sul pescato della regione Calabria, RTI 1/98-AMB/LARA ANPA: Risultati di una campagna di misure radiometriche intorno al sito del centro enea di Saluggia (VC), condotta congiuntamente dall’ANPA e dall’ARPAPIEMONTE, RTI 2/98-AMB/LARA ANPA: La classificazione tematica della copertura e dell’uso del suolo, RTI 2/98AMB/SINA ANPA: Seminario “Gli strumenti di conoscenza dell’ambiente per le politiche di sostenibilità”, RTI 1/99-AMB ANPA: Prime stime sul comportamento dell’Italia nell’ambito delle valutazioni sullo stato dell’ambiente nell’UE, RTI 2/99-AMB ANPA: Realizzazione del sistema conoscitivo italiano in campo ambientale, RTI 3/99AMB ANPA: Studio preliminare sui livelli ambientali di tritio nella foresta di Tarvisio, RTI 1/99-AMB/LARA ANPA: Georeferenziazione di alcuni incidenti stradali relativi al trasporto di merci pericolose, RTI2/99-AMB/NOCS ANPA: Un anno a supporto degli enti locali nelle misurazioni di inquinamento elettromagnetico, RTI 1/99-AMB/SIAE ANPA: Individuazione di un sistema di indicatori di gestione forestale sostenibile in Italia. Rapporto finale di ricerca, RTI 01/00-AMB/MON ANPA/CTN_AIM: Verso il primo rapporto sui corpi idrici italiani (a cura di Mario Bucci, Marco Mazzoni, Antonio Melley), 1999 Ministero dell’ambiente: Nota Preliminare alla Prima Relazione sullo stato dell’ambiente, 1987 Ministero dell’ambiente: Prima Relazione sullo stato dell’ambiente, 1989 Ministero dell’ambiente: Seconda Relazione sullo stato dell’ambiente, 1992 In inglese 1993 Ministero dell’ambiente: Sintesi della Terza Relazione sullo stato dell’ambiente, 1996 Ministero dell’ambiente: Terza Relazione sullo stato dell’ambiente, 1997 Ministero dell’ambiente, Servizio Conservazione della Natura: Elenco ufficiale delle Aree Protette, 1997 Ministero dell’ambiente - Comitato Nazionale per la Lotta alla Desertificazione: Comunicazione per la lotta alla siccità e alla desertificazione, 1999 Ministero dell’ambiente: Documentazione dalle notifiche sulle sperimentazioni sugli organismi geneticamente modificati, 1996-1999 Ministero del tesoro: La valutazione “ex-ante” del Programma di sviluppo del Mezzogiorno, 1999 Regione Piemonte: Relazione sullo stato dell’ambiente (n. 0), 1995 Ecoistituto del Friuli - Venezia Giulia: Stato dell’ambiente nel Friuli Venzia-Giulia. Rapporto 1996. Sistema nazionale di monitoraggio e controllo in campo ambientale 195 ARPAT Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana: Verso la relazione sullo stato dell’ambiente: stima delle pressioni ambientali nelle province della Toscana, 1997 Regione Toscana: Relazione sullo stato dell’ambiente in Toscana. Documento preliminare, 1997 Istituto Regionale di Ricerche Economiche e Sociali dell’Umbria (IRRES) - Centro Interuniversitario per l’Ambiente, Università degli Studi di Perugia e LUISS di Roma (CIPLA): Relazione sullo stato dell’ambiente in Umbria, Perugia 1997 Regione Toscana- ARPAT: Rapporto sullo stato dell’ambiente in Toscana 1997, 1998 Regione Toscana- ARPAT: Rapporto sullo stato dell’ambiente in Toscana 1999, 2000 Regione Emilia-Romagna: Relazione sullo stato dell’ambiente ’99, 2000 ARPAC - Regione Campania: Primo Rapporto ambientale, 1999 Corpo Forestale dello Stato - Servizio Antincendi Boschivi: Foglio Nazionale Incendi, 1986-1998 Comitato Glaciologico Italiano: Catasto dei Ghiacciai Italiani, 1958-1998 Comitato Nazionale delle Ricerche: Lista delle aree con provvedimento di tutela, 1997 European Soil Bureau: Soil erosion risk assessment in Italy in Soil Map of Italy Project, 1999 Rijks et al.: Mars Metereological Database, 1998 196 Roberto Caracciolo Monitoraggio ambientale: metodologie ed applicazioni a cura di T. ANFODILLO & V. CARRARO Atti del XXXVIII Corso di Cultura in Ecologia, 2001 VISITA AI SITI SPERIMENTALI STAZIONI DI COL DE LA ROA E CINQUE TORRI Vinicio CARRARO, Tommaso ANFODILLO, Sergio ROSSI Dip.to Territorio e Sistemi Agro-Forestali - Università di Padova 198 Vinicio Carraro, Tommaso Anfodillo, Sergio Rossi 1. LA STAZIONE DI COL DE LA ROA La stazione è situata sulla zona cacuminale di Col de la Roa (da cui la denominazione), ad una altitudine di 1107 m. Collegata via cavo direttamente al computer del Centro Studi per l'Ambiente Alpino, che in linea d'aria dista circa 500 m, la stazione è stata predisposta per il monitoraggio dei seguenti parametri: temperatura aria radiazione globale precipitazioni radiazione fotosinteticamente attiva (PAR) umidità relativa velocità del vento concentrazione di ozono nell'aria direzione del vento pH delle precipitazioni pressione atmosferica Un computer (datalogger) gestisce la strumentazione interrogando ogni minuto, secondo la sequenza programmata, ciascuno sensore collegato, ed esegue una prima elaborazione dei dati, che poi vengono trasmessi quotidianamente al Centro. La stazione fu installata già nel 1986 con fondi MPI e MURST, sotto la responsabilità scientifica del Prof. Mario Cappelli, ma per alterne vicende non fu possibile mantenere una accettabile continuità di funzionamento. Dieci anni più tardi, convinti dell’importanza di mantenere e sviluppare un’attività di monitoraggio dei parametri climatici e di alcuni inquinanti della troposfera in ambiente montano, si è deciso di ripristinare la funzionalità della stazione ormai diventata obsoleta. Si è avviato quindi un lavoro di progettazione, smontaggio e riassemblaggio della stazione protrattosi da maggio a ottobre 1995 al fine di raggiungere due obiettivi fondamentali: - realizzare una struttura che fosse relativamente "agile" ossia che potesse fornire i risultati del monitoraggio in tempi brevi; - dare ai risultati del monitoraggio la più ampia fruibilità possibile ossia consentirne l'utilizzo a persone con interessi notevolmente diversi. 1.1 Caratteristiche della stazione La stazione è costituita dai seguenti elementi modulari e componibili: A) B) C) D) E) F) CABINA DI RICOVERO CENTRALINA METEOROLOGICA LINEA DI MISURA DELL’ACIDITÀ DELLE PRECIPITAZIONI LINEA DI ANALISI QUALITÀ ARIA SISTEMA DI ACQUISIZIONE E TRASMISSIONE DATI SISTEMA DI RICEZIONE, MEMORIZZAZIONE ED ELABORAZIONE DATI Visita ai siti sperimentali stazioni di Col de la Roa e Cinque Torri A ) CABINA DI RICOVERO La cabina è situata all'interno di un'area recintata con rete metallica alta 1.80 m con un cancello di ingresso sul lato NO. Essa è costituita da un box metallico di colore bianco coibentato (pareti K= 0.7) e ulteriore rivestimento interno su tutti le pareti, compresi soffitto porta e pavimento con “Stiroform“ da 5 cm e pannelli di sughero da 0.5 cm a vista. Dimensioni: 1.20x1.20x altezza 2.40 m La cabina è fissata su due putrelle metalliche ancorate ad un preesistente basamento di calcestruzzo mediante tirafondi, ed è sormontata da una griglia in ferro zincato a supporto delle aste dei principali sensori meteorologici e di prelievo aria. Vi si accede mediante una porta sul lato SO. E’ provvista di impianto elettrico derivato da linea interrata di alimentazione 220 V, con interruttori salvavita scaricatore per le sovratensioni e relativa messa a terra con treccia di rame e dispersori su tutta la linea. Sulla parete SE trovano collocazione le componenti esterne per il condizionamento della cabina (unità esterna del condizionatore, box del ventilatore e ventilatore per aria forzata). All’interno sono ricoverati gli strumenti analizzatori, il datalogger e la distribuzione dell’impianto in linea per la misura del pH con le elettrovalvole, alloggiati su carrello multipiano. Inoltre, un modulo di continuità, uno stabilizzatore per gli analizzatori, e la pompa di aspirazione dell’aria degli stessi. Gli apparati di climatizzazione consentono il mantenimento di una temperatura costante di 18±2 °C. CONDIZIONATORE ARIA Casa costruttrice: TOSHIBA Il condizionatore è composto da due unità, una disposta all’esterno della cabina ed una all’interno della stessa. Caratteristiche generali: Alimentazione: Capacità di raffreddamento: 1Ø; 220-240V; 50Hz 2.3kW Unità interna: RAS-09UKR Amperaggio di raffreddamento: Potenza di raffreddamento: Dimensioni: larghezza altezza profondità Peso: 0.18A 40W 790mm 265mm 155mm 8Kg Unità esterna: RAS-09UA Amperaggio di raffreddamento: Potenza di raffreddamento: 3.03A 690W Dimensioni: larghezza altezza profondità Peso: 770mm 530mm 200mm 26Kg 199 200 Vinicio Carraro, Tommaso Anfodillo, Sergio Rossi STABILIZZATORE AROS VOLTMATIC Modello VMC-F24703 VENTILATORE VORTICE Modello 10/4 Cod. 11620 STUFA ELETTRICA Due resistenze indipendenti da 600 Watt Ventilazione B ) CENTRALINA METEOROLOGICA PIRANOMETRO Kipp & Zonen mod. CM 6B ISO 9060 first class Banda: tra 335 nm e 2200 nm Sensibilità: 10.85 10-6 V per W m-2 Segnale in uscita: 92.166 Wm-2 per mV Linearità: ±1.2% Stabilità: cambiamenti <±1% per periodi superiori ad un anno Tempo di risposta: < 30 s Termopila Influenza della temperatura: -2% da -10 a +40 relativamentea 20°C RADIAZIONE FOTOSINTETICAMENTE ATTIVA (PAR) LI-COR Inc. Modello LI190 SZ Banda: tra 400nm e 700nm Sensibilità: tipica 8 A per 1000 mol/s m2 Segnale in uscita: 2.914mV per 1000 mol m2 s-1 Precisione assoluta: ±5% Linearità: deviazione massima pari a 1% fino a 10000 mol/s m2 Stabilità: cambiamenti <±2% per periodi superiori ad un anno Tempo di risposta: 10 s Rilevatore fotovoltaico al silicio di alta sensibilità Contenitore impermeabile in alluminio anodizzato con diffusore acrilico Influenza della temperatura: ±0.15% per °C massimo Dimensioni: diametro 2.38cm altezza 2.54cm Peso: 28g TEMPERATURA ED UMIDITA' RELATIVA ROTRONIC Modello MP340 - 001 - CS3 Tipo di segnale in uscita: tensione Tensione di alimentazione: 4.8-26.5V Assorbimento di corrente massimo: 8mA Carico minimo in uscita: >1k Protezione elemento sensibile: maglia metallica Dimensioni: lunghezza 265mm Peso: 100g Visita ai siti sperimentali stazioni di Col de la Roa e Cinque Torri Sensore di umidità: Elemento sensibile: ROTRONIC-HYGROMETER C94 Range di misura: da 0 a 100% UR Precisione a 23°C: ±1% UR (tra 5% e 95% UR) ±2% UR (<5% e >95% UR) Riproducibilità: <0.5% Stabilità a lungo termine: tipica in condizioni normali <1% UR/anno Costante di temperatura a 23°C e movimento d’aria pari a 1m/s: <10s Segnale d’uscita: da 0 a 1 V DC= 0...100% UR Sensore di temperatura: Elemento sensibile: RTD Pt 100 1/3 DIN Range di misura: da -40° a +60°C Precisione a 23°C: ±0.3°C Riproducibilità: <0.1°C Costante di tempo a 23°C e movimento d’aria pari a 1 m/s : <15s Segnale d’uscita: da 0 a 1 V DC=-40 a + 60°C PRESSIONE ATMOSFERICA VAISALA Modello PTA427 Tensione di alimentazione: 10-30V DC Sensibilità alla tensione di alimentazione: <0.1mB Corrente assorbita: 7mA Range di misura: da 800 a 1060mB Temperatura di utilizzo: da -40 a +60°C Linearità: ±0.30mB Isteresi: ±0.03mB Riproducibilità: ±0.03mB Precisione totale: ±0.50mB Influenza della temperatura: <±0.08mB per °C Stabilità: <+0.3mB per anno Segnale d’uscita: da 0 a 5V DC Carico minimo: 10k Tempo di risposta: <2s Dimensioni: larghezza 69mm altezza 128mm profondità 31mm Peso: 160g VELOCITA’ E DIREZIONE DEL VENTO Modello Wind Monitor 05103 Young Velocità vento: Sensibilità: 0.5 m/s tipica Precisione di taratura: ±0.3m/s nel campo 1-60m/s ±1.0m/s oltre i 60m/s Direzione vento: Campo di misura: 0-360° Angolo elettrico: 355° Resistenza del potenziometro: 10k ±20% Accuratezza: ±3° Segnale in uscita: potenziometrico 201 202 Vinicio Carraro, Tommaso Anfodillo, Sergio Rossi C ) LINEA DI MISURA DELL’ACIDITÀ DELLE PRECIPITAZIONI PLUVIOMETRO RISCALDATO MICROS Modello PLUV/R Area imboccatura: 500cm2 Sensibilità tipica: 10impulsi/mm H2O Uscita: contatto reed protetto - resistenza contatto ON=50 max - tensione di picco max=30V Potenza massima assorbita dalla resistenza di riscaldamento: 120W Tensione elemento riscaldante: 24V; 50 Hz Tensione di alimentazione termostato: 220V; 50Hz Dimensioni: diametro 260mm altezza 480mm Peso: 3Kg Bocca tarata da 500 cm2, vaschetta basculante e collegamento in linea con la misura del pH. Gli impulsi trasmessi dal sensore della bascula attivano due elettrovalvole per lo scarico ed il successivo riempimento della cella di misura del pH della precipitazione. Nota: Una terza elettrovalvola comandata dal programma di acquisizione dati viene attivata alle ore 24:00 nel caso di assenza giornaliera di precipitazione. Si preleva in questo modo da un serbatoio ausiliario una quantità idonea di acqua distillata che sostituisce il campione d’acqua nella cella di misura del pH garantendo così l’indispensabile immersione dell’elettrodo anche con prolungati periodi siccità. pH-METRO RADIOMETER COPENAGHEN Standard pH METER modello PHM210 Tensione di alimentazione: 12V adattatore principale Range di misura: pH: da -9.00 a +23.00 mV: da -1999 a +1999 °C: da 0 a +99.9 Risoluzione: pH: 0.01 mV: 1 sul display °C: 1 senza sonda di temperatura Precisione: pH: ±0.01 pH dopo la calibrazione a 25°C mV: ±1mV±0.1% della lettura a 25°C °C: ±0.5°C a 25°C Criterio di stabilità: 3mV/min~0.05pH/min Requisiti elettrodo: RADIOMETER COPENAGHEN Modello pH C 2401/8 Sensibilità: 90-103% Zero pH: 5.80-7.50 Resistenza di entrata dell’elettrodo:>1012 Ω Temperatura ambiente: 5-40°C Umidità relativa: 20-80% Visita ai siti sperimentali stazioni di Col de la Roa e Cinque Torri Peso: 1.5Kg D ) LINEA DI ANALISI QUALITÀ ARIA ANALIZZATORE DI OZONO API 400 Specifiche generali: Tensione di alimentazione: Consumo: Campo operativo temperatura: Campo operativo umidità: 220 Vca ; 50 Hz 250W 5-40°C 0-95% Accuratezza: Errore di linearità: Tempo di ritardo: Tempo di risposta (95% della scala totale): Precisione: Unità di misura: Limite rilevabilità: Rumore di Zero: <1% del fondo scala adottata <10 secondi <20 secondi (rise and fall times) 0.5% della lettura ppm <0.0006 ppm <0.0003 ppm POMPA DI ASPIRAZIONE ARIA THOMAS INDUSTRIES Inc. (USA) Modello 607CD22 203 204 Vinicio Carraro, Tommaso Anfodillo, Sergio Rossi 2 LE STAZIONI DI CINQUE TORRI 2.1 BREVE DESCRIZIONE DELL'AREA DOLOMITICA DI CINQUE TORRI Il gruppo delle Cinque Torri (comune di Cortina d'Ampezzo) è uno spettacolare complesso dolomitico, che si trova tra il Monte Averau e la Tofana di Rozes, a pochi chilometri dal passo Falzarego (fig. 2). La cima più alta è la Torre Grande (quota 2366) e le sue pareti sono la meta abituale di molti scalatori. L'elemento minerale dominante di queste vette è la La Dolomia Principale9. Dolomia è una roccia sedimentaria formata da carbonato doppio di calcio e magnesio [CaMg(CO3)2] al cui interno si trovano alghe (stromatoliti) e fossili di molluschi bivalvi (megalodonti). I banchi sedimentari di Dolomia, in genere, poggiano su uno strato di argille molto plastiche (strati di Raibl). Queste argille, a loro volta, spesso si trovano sopra una base di Dolomia Cassiana o Dolomia del Durestein, dolomie più compatte e stratificate della Principale. Il processo litogenetico, che ha portato alla formazione delle rocce delle Dolomiti, si è compiuto grossomodo tra il Permiano e il Giurassico (250-180 milioni di Fig anni fa). La formazione delle montagne (orogenesi) è invece avvenuta più tardi, nel Bosellini, 1988 Terziario circa 50 milioni di anni fa. 9 Alcune montagne dell'area dolomitica (es. Marmolada, Croda Rossa e cima dell'Antelao) sono tuttavia, calcaree, formate cioè, da rocce di semplice carbonato di calcio (CaCO3). Visita ai siti sperimentali stazioni di Col de la Roa e Cinque Torri Fig. 2 Mappa delle Dolomiti orientali 205 206 Vinicio Carraro, Tommaso Anfodillo, Sergio Rossi La zona di Cinque Torri è caratterizzata da un clima tipicamente alpino, con accentuata continentalità, inverni freddi ed estati fresche e piovose (Del Favero et al., 1985). Tali condizioni ambientali sono particolarmente favorevoli al larice e, in particolar modo, al pino cembro. A titolo puramente indicavo, nella tabella successiva in fig. 3 sono riportati alcuni valori termo-pluviometrici registrati dal 1996 al 2000. Media annua Media del mese più freddo (dicembre) Media del mese più caldo (agosto) Media annua delle massime Media annua delle minime Massima assoluta Minima assoluta Escursione media giornaliera Media delle massime giornaliere del mese più caldo Media delle minime giornaliere del mese più freddo Mesi con temperatura media superiore a 10° Mesi con media mens. min. giorn. minore di 0 ° Mesi con minima assoluta minore di 0 ° Precipitazioni annue2 Precipitazioni estive (giu-ago)2 2.49 °C -4.6 °C 10.5 °C 5.9 °C 0.59 °C 25 °C -21.9 °C 6.5 °C 14.6 °C - 6.4 °C Agosto da nov. ad apr. da ott. a mag. 1150 mm 450 mm 90 180 Temperatura media 160 Pioggia P °C 70 140 60 120 50 100 40 80 30 60 20 40 T 10 20 0 0 -10 -20 gen feb mar apr mag giu lug ago set ott Fig. 3 - Andamento di temperatura media e precipitazioni mensili nov dic mm 80 Visita ai siti sperimentali stazioni di Col de la Roa e Cinque Torri Il manto forestale dell'area delle Cinque Torri delinea il limite superiore del bosco (timberline). L'altitudine di questa linea di confine, verosimilmente, è un po' inferiore a quella potenziale, a causa delle attività antropiche del passato (pascolo e tagli). Le specie arboree sono rappresentate prevalentemente da Larice (Larix decidua), pino cembro (Pinus cembra) e in misura minore, abete rosso10 (Picea abies), che danno origine a popolamenti aperti, i cosiddetti larici-cembreti, che assumono spesso le sembianze di un prato alberato. La flora del sottobosco oltre che di specie erbacee è ricca anche di arbusti nani (fig. 4). Fig. 4 - Esempio di sottobosco: 1. Primula farinosa L., 2. Sesleria varia (Jacq.) Wettst., 3. Erica carnea L., 4. Rhododendron hirsutum L., 5. Dryas octopetala L., 6. Carex ferruginea Scop., 7. Vaccinium uliginosum L., 8.Daphne striata Tratt., 9. Rhodothamnus chamaecistus (L.) Rchb. 10 Quest'ultima specie, verosimilmente, qui è al limite altitudinale massimo. 207 208 Vinicio Carraro, Tommaso Anfodillo, Sergio Rossi 2.2 CARATTERISTICHE DELLE STAZIONI DI MONITORAGGIO La precisione e l'attendibilità dei dati registrati non possono prescindere da una scelta oculata e dall'installazione corretta dei sensori. Per tale ragione, la configurazione delle stazioni rispetta alcuni criteri standard, che consentono di eseguire delle misure affidabili e realmente rappresentative delle condizioni ambientali locali. Assieme ai parametri microclimatici vengono monitorati quelli relativi all'ecofisiologia delle specie forestali presenti. L'obiettivo è determinare la resistenza, o la sensibilità, delle specie edificatrici le cenosi d’alta quota nell’area alpina orientale nei confronti dei cambiamenti d’ambiente, ed in particolare verso le variazioni dei regimi termici e udometrici. Le stazioni di monitoraggio si trovano nei pressi del complesso dolomitico delle Cinque Torri, a sud-est a nord dello stesso (stazioni 1 e 2), e sono poste ad una quota rispettivamente di 2080 e 2130 m s.l.m. (v. fig. 6). La prima è in funzione dal 1995, mentre la seconda opera dalla primavera 2001. Quest'ultima è stata collocata ad una quota superiore, al fine di evidenziare un'eventuale azione sull'ecologia delle specie studiate. La scelta del sito n. 2 è stata obbligata, in un certo senso, dalla reperibilità dell'abete rosso. Al contrario del pino cembro e del larice, infatti, non è stato possibile trovarlo più in alto. La differenza di quota tra le due stazioni, se pur non eccessiva, nella zona del limite può, in ogni caso, influenzare notevolmente la fisiologia delle specie forestali. Le stazioni schematicamente sono costituite da (fig. 5): " un sistema di alimentazione elettrica (pannelli solari e batterie); " un dispositivo di acquisizione dati (datalogger CR10X Campbell); " un modem GSM l'interrogazione e la trasmissione dei dati a distanza; " un gruppo di sensori. Fig. 5 Visita ai siti sperimentali stazioni di Col de la Roa e Cinque Torri Fig. 6 - Localizzazioni delle stazioni di monitoraggio 209 210 Vinicio Carraro, Tommaso Anfodillo, Sergio Rossi L'impianto di alimentazione, opportunamente sovradimensionato (tab. 2), è in grado fornire energia alla stazione anche nel caso in cui i pannelli solari non dovessero funzionare per alcuni giorni. Tab. 2 Caratteristiche del sistema di alimentazione Potenza di picco dei pannelli solari Corrente di picco dei pannelli solari Potenza media giornaliera disponibile Corrente media giornaliera disponibile Capacità degli accumulatori effettiva Consumo massimo giornaliero in W Autonomia minima degli accumulatori 100 W 7A 13 W ca. 22 A 80 A 3.6 W, 7.5 A g-1 11 giorni Il sistema di acquisizione dati, che nell'attuale configurazione dispone di un numero d'ingressi minimo di ingressi pari a 56, "interroga" i sensori ogni minuto. L'archiviazione dei dati avviene, invece, con scansioni temporali di 15 o 60 minuti, secondo il parametro misurato (v. tab. 3). I dati sono registrati in una memoria PROM (Progammable Read Only Memory) da 1 a 2 Mb (in funzione del modello), che nel nostro caso equivalgono ad almeno 45 giorni di misure. Attraverso un modem GSM le stazioni sono controllate a distanza: un apposito software consente di collegare il computer dell'ufficio, anch'esso dotato di modem, al datalogger di ogni stazione. In questo modo è possibile: " " " " monitorare la situazione in tempo reale; acquisire i dati; accendere o spegnere sensori; riprogrammare il datalogger. Ciò garantisce un controllo accurato della strumentazione, consentendo di intervenire immediatamente in caso di guasto, e di acquisire i dati con estrema facilità anche in inverno, quando le stazioni sono difficilmente raggiungibili a causa della neve. Oltre ai parametri monitorati ed acquisiti dai vari sensori, in queste stazioni vengono effettuate anche campagne di misure che è possibile eseguire solo manualmente o con l'ausilio strumenti portatili. 211 Visita ai siti sperimentali stazioni di Col de la Roa e Cinque Torri Tab. 3 Parametri misurati nelle stazioni di Cinque Torri Parametri misurati Temperatura dell'aria Umidità dell'aria Temperatura del suolo Stazione 1 Stazione 2 Periodo Tutto l'anno Tutto l'anno Tutto l'anno Temperatura foglie, fusti e rami Tutto l'anno Flusso di calore del suolo Tutto l'anno Radiazione netta Tutto l'anno Radiazione globale Tutto l'anno Rad. Fotosintetic. attiva Fino al 1999 Velocità e direzione vento Tutto l'anno Variazione umidità del suolo Tutto l'anno Pioggia Densità di flusso di linfa Accrescimento dei fusti Formazione delle cellule legnose1 Allungamento dei getti e delle foglie1 Conduttanza stomatica e fotosintesi1 1 Estateautunno Periodo estivo Tipo di campionamento Media ogni 15' dei valori misurati sul minuto Media ogni 15' dei valori misurati sul minuto Media ogni 15' dei valori misurati sul minuto Media ogni 15' dei valori misurati sul minuto Media ogni 15' dei valori misurati sul minuto Media ogni 15' dei valori misurati sul minuto Media ogni 15' dei valori misurati sul minuto Media ogni 15' dei valori misurati sul minuto Media ogni 15' dei valori misurati sul minuto Valore orario Valore cumulato nell'ora Media ogni 15' dei valori misurati sul minuto Tutto l'anno Periodo vegetativo Settimanale Periodo vegetativo Settimanale Occasionale Periodo vegetativo Media nei 15' Misure effettuate manualmente o con strumenti manuali Il monitoraggio dei parametri ecologici consente di studiare la risposta delle specie forestali al variare delle condizioni ambientali. Ogni stagione vegetativa ha una sua 212 Vinicio Carraro, Tommaso Anfodillo, Sergio Rossi particolare connotazione e quindi, anche il “comportamento” delle piante forestali, per così dire, si adegua e varia di conseguenza. Diventa allora interessante valutare ad esempio le dinamiche di accrescimento degli alberi durante i vari anni (fig. 7), oppure l'effetto sull'attività fisiologica prodotto da un improvviso abbassamento della temperatura o, ancora, la reazione ad un periodo relativamente caldo e poco piovoso (v. fig. 8). 1 1996 1998 2000 0.9 1999 0.8 1997 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 252 247 242 237 232 227 222 217 212 207 202 197 192 187 182 177 172 167 162 157 152 0 Giorni dell'anno Fig. 7 Curve di accrescimento relativo in circonferenza di un larice Fig. 8 Densità di flusso relativo di 2 giornate, con diversa disponibilità idrica del suolo In ogni caso, lo studio delle relazioni albero-ambiente è tutt’altro che agevole, ma disponendo di una lunga serie temporale di dati raccolti è certamente più alta la probabilità di interpretarle con successo. In definitiva, solo con una misura continua dei Visita ai siti sperimentali stazioni di Col de la Roa e Cinque Torri più importanti fattori ecologici è possibile studiare gli alberi in relazione alla dinamica delle condizioni dell’ambiente. La maggior parte dei sensori impiegati misura la variabilità dei diversi fattori ecologici. Come appare chiaramente dalla tab. 3 si tratta per lo più di parametri microclimatici. I sensori di Granier e i dendrometri, invece, misurano la dinamica di alcune attività fisiologiche degli alberi, vale a dire rispettivamente: " " la traspirazione (tramite la misura del flusso di linfa) l'accrescimento. 2. 2.1 Sensori di Granier I sensori di Granier sono degli aghi dotati di un avvolgimento resistivo esterno, in costantana (parte rossa del sensore, fig. 9). All'interno dell'ago (circa a metà dell'avvolgimento resitivo) è alloggiata una termocoppia. Fig. 9 sensori di Granier La misura del flusso di linfa viene effettuata collegando in serie due sensori che vengono inseriti nella parte conducente del fusto (alburno), dopo essere stati, a loro volta, alloggiati in un tubetto d'alluminio (v. fig. 10). Fig.10 Schema d'installazione dei sensori di Granier Facendo fluire della corrente elettrica nell'avvolgimento resistivo, il sensore superiore viene riscaldato a circa 30-35 °C. Tra le due sonde si genera, così, una differenza di temperatura, variabile da 10 a 15 °C, che viene registrata, tramite le termocoppie, dal 213 214 Vinicio Carraro, Tommaso Anfodillo, Sergio Rossi datalogger (fig. 11). Dal momento che flusso di linfa dissipa il calore del sensore riscaldato, la differenza di temperatura risulterà tanto minore quanto più elevata sarà la traspirazione della pianta. In definitiva, il flusso di linfa, essendo funzione della differenza di temperatura tra le due sonde, viene calcolato con una particolare formula messa a punto dalle ricerche svolte dall'ideatore dei sensori (A. Granier, 1985). ll sistema, che misura flussi dell'ordine di 1.5-2.5 dm-3dm-2h-1 (15-25 cm h-1), ha il pregio di essere semplice ed economico. Per contro consente di eseguire una misura puntuale e non può essere applicato a tutte le specie (es. specie con legno a porosità anulare) Fig. 11 Andamento in una giornata tipo della densità del flusso di linfa di un larice e della differenza di temperature tra i due sensori di Granier 2.2.2 Dendrometri I dendrometri vengono impiegati per monitorare la variazione di dimensione dei fusti dovute, fondamentalmente, all'accrescimento e alla variazione del loro stato idrico. Questi sensori sono costituiti da una mensola ancorata al tronco con due viti, sulla quale è fissato il trasduttore di movimento. Nella versione più semplice (dendrometro a puntale), tale trasduttore è dotato di un astina metallica appoggiata, sotto la spinta di una molla, sulla corteccia del fusto. L'astina, libera di muoversi lungo il suo asse longitudinale, a sua volta è collegata con il cursore di un potenziometro elettrico, che traduce qualsiasi movimento in una tensione elettrica. La misura che si ottiene è puntuale e trascura quindi le possibili asimmetrie del fusto. Tale inconveniente è risolvibile utilizzando il dendrometro a bindella, una versione un po' più complessa che misura le variazioni dimensionali su tutta la circonferenza. Ciò avviene tramite una bindella di acciaio che avvolge il fusto aderendo alla corteccia. Un'estremità è vincolata al supporto del dendrometro e l'atra è collegata al cursore di un potenziometro elettrico, dotato di una molla per tenere in tensione la bindella. Visita ai siti sperimentali stazioni di Col de la Roa e Cinque Torri Fig. 12 Dendrometro a puntale Fig. 13 Dendrometro a bindella La risoluzione di lettura adottata è di 0.6 µm per i dendrometri a puntale e di 6 µm per quelli a bindella. Come anticipato, la variazione dimensionale dei fusti dipende anche dallo stato idrico della pianta e, in minore misura, dalla dilatazione termica dei materiali, legno compreso (qualche decina di m m-1 °C-1). Quest'ultima ha tuttavia un effetto trascurabile. Viceversa, la ciclica riduzione (attraverso la traspirazione) e ricostituzione delle riserve idriche nella pianta determina una contrazione (shrinkage), o una dilatazione (swelling), delle dimensioni del tronco, con oscillazioni a cadenza giornaliera o plurigiornaliera dell'ordine di qualche centinaio di µm (fig. 12). I dati acquisiti devono quindi essere ulteriormente elaborati per eliminare il "disturbo" indotto dai fenomeni che mascherano la curva di reale accrescimento del fusto. Per tale ragione, attualmente, con cadenza settimanale, vengono anche eseguiti dei prelievi di tessuto legnoso per studiare l'effettiva dinamica di sviluppo dell'anello in formazione e poterla, così, comparare con i dati ottenuti tramite dendrometri. 215 216 Vinicio Carraro, Tommaso Anfodillo, Sergio Rossi Fig. 12 Curva di accrescimento radiale di un pino cembro (anno 2001) Visita ai siti sperimentali stazioni di Col de la Roa e Cinque Torri 3 METODOLOGIE E PROBLEMATICHE NEL MONITORAGGIO DELL’ACCRESCIMENTO RADIALE 3.1 RELAZIONI CLIMA-ACCRESCIMENTO: INTRODUZIONE In natura ogni specie vegetale è caratterizzata da un insieme di particolarità strutturali e funzionali che le permettono di accrescersi e di riprodursi solo in determinati ambienti. L’ambiente a sua volta seleziona gli individui in relazione alle strategie di adattamento che essi possono mettere in atto. Esiste perciò una relazione fra ambiente e specie in cui la specie per poter sopravvivere deve assicurare il funzionamento di tutti i processi vitali in quell’ambiente (Anfodillo & Rento, 1995). Sotto la pressione dei fattori ambientali di rado in natura esiste una specie risultante che ha evoluto in assoluto la migliore strategia di adattamento; si osservano invece comunità in cui le specie hanno differenziato diverse strategie per garantire comunque il successo nella lotta per la sopravvivenza. Ciascuna specie vegetale risponde quindi alla variazione dei fattori ambientali in modo del tutto particolare: questo è il campo di studio dell’ecofisiologia, la scienza che si occupa dei rapporti tra esseri viventi e ambiente. Questa scienza si basa sulla capacità fisica di osservare e misurare i parametri ambientali e di quantificare le risposte delle piante. Per tale motivo essa è strettamente legata alla capacità tecnica dell’uomo di produrre strumenti adatti alla misurazione dei fattori climatici e di individuare le metodologie di analisi più precise per lo studio delle risposte dei vegetali. Nell’ambito degli studi ecofisiologici svolti su timberline alpine particolare riguardo è dato alle relazioni clima-accrescimento (Urbinati & Carrer, 1997, Anfodillo et al. 1996). L’accrescimento delle piante è controllato da numerosi fattori sia endogeni che esogeni; fra questi ultimi uno dei più importanti è il clima (Fritts, 1976). Per questo motivo lo studio dei fenomeni di accrescimento in zona di alta quota non può esimere dal considerare tali relazioni. L’influenza del clima e delle sue variazioni nel tempo sullo spessore degli anelli può essere analizzato attraverso studi di tipo dendrocronologico (Carrer & Urbinati, 1997; Urbinati & Carrer, 1996; Urbinati et al. 1996). Tali studi rilevano lo spessore totale dell’anello o la densità del legno mettendoli poi in relazione con i dati meteorologici mensili o annuali. Datazioni di questo tipo si sono rivelate di grande utilità non solo nella analisi dei processi ecologici ma anche nella gestione dei sistemi ambientali generando nuove branche della dendroecologia come la dendroclimatologia, la dendroidrologia, la dendrogeomorfologia, scienze che si basano su analisi ambientali su serie temporali secolari e millenarie. Purtroppo tali studi non sono in grado di stimare in alcun modo l'influenza dei fattori climatici per ambiti temporali più brevi dell’anno. Un metodo per il monitoraggio dell’accrescimento a scala temporale più breve prevede l’uso dei dendrometri, strumenti in grado di rilevare la variazione del diametro del fusto o di rami. In questo caso però risulta impossibile acquisire informazioni a livello anatomico per quanto riguarda il ritmo di crescita cellulare o il momento di passaggio dal legno primaticcio a quello tardivo; i dati inoltre sono fortemente influenzati dallo stato di idratazione delle cellule xilematiche e floematiche e dai processi fisici di dilatazione e contrazione del tronco stesso (Fritts et al., 1965; Mitscherlich, 1975). Si è perciò reso necessario individuare metodi di analisi più approfonditi che prevedono prelievi periodici e rilevamenti durante l’intera stagione vegetativa. Questi necessitano di specifiche conoscenze a livello di anatomia del legno e strumentazioni adatte per la preparazione dei campioni. Tali studi hanno preso avvio solo recentemente alla luce delle prime analisi anatomiche sulla durata di formazione dell’anello e sul controllo dell’attività cambiale (Sundberg et al., 1987; Antonova & Stasova, 1993; Antonova et al., 1995; Antonova & Stasova, 1997; Camarero et al., 1998). 217 218 Vinicio Carraro, Tommaso Anfodillo, Sergio Rossi Studi anatomici dell’anello legnoso aprono nuovi ed interessanti campi di esplorazione dell’ecofisiologia. Vengono attualmente considerati estremamente utili perché correlando le variazioni climatiche alla crescita cellulare xilematica e alla lunghezza del periodo vegetativo permettono di analizzare le relazioni clima-accrescimento su scala temporale minore rispetto a quella utilizzata dai dendrocronologi andando così ad affiancarsi e a completare in modo preciso e puntuale il quadro di insieme prodotto dagli studi dendrocronologici. Visita ai siti sperimentali stazioni di Col de la Roa e Cinque Torri 3.2 RILIEVO DELL’ACCRESCIMENTO MEDIANTE ANALISI ANATOMICHE DELL’ANELLO LEGNOSO Procedimento Individuazione delle piante mediante analisi degli accrescimenti negli ultimi 3 anni Omogeneità intraindividuale Omogeneità interindividuale Piante campione Prelievi settimanali di microcarote di legno Preparazione dei campioni per l’inclusione Inclusione in paraffina e predisposizione nei blocchetti di supporto Prelievo mediante microtomo di sezioni di 5-10 µm Sparaffinatura e successiva colorazione delle sezioni Safranina Acquisizione al microscopio delle immagini dell’anello Rilievo automatico dei parametri cellulari mediante programma WinCell Cresyl fast violet Analisi quantitativa mediante rilievo microscopico In luce polarizzata N° cellule lignificate Area del lume Cellule in allungamento Diametro radiale del lume Cellule in lignificazione Spessore della parete Cellule mature In luce visibile 219 220 Vinicio Carraro, Tommaso Anfodillo, Sergio Rossi Elaborazione dei dati e confronti statistici 3.3 FENOLOGIA E DINAMICA DI ACCRESCIMENTO DI GETTI E AGHI Le specie viventi in un determinato ambiente sviluppano sistemi di controllo che le permettono loro di superare l’alternanza delle stagioni e i periodi sfavorevoli mediante una regolazione dell’inizio e della fine dell’attività vegetativa. Nelle cenosi dei climi temperati e temperato-freddi le specie vegetali acquisiscono durante l’inverno una capacità di tolleranza al freddo che non possiedono durante il periodo estivo quando invece si rivelano essere piuttosto vulnerabili alle basse temperature. Il meccanismo che regola l’inizio della crescita in primavera per le piante perenni rappresenta un compromesso tra il tentativo di garantire la durata massima al periodo utile per la fotosintesi e per la crescita e allo stesso tempo minimizzare i rischi di danno da freddo (Linkosalo, 2000). I diversi stadi fenologici, cioè quelli che caratterizzano i diversi momenti della vita degli organi della pianta, possono essere considerati in generale il prodotto dell’interazione tra i fattori interni alla pianta (endogeni) e quelli esterni (esogeni). Tuttavia a loro volta anche i ritmi genetici originari sono stati determinati da fattori esterni e fissati attraverso i meccanismi di adattamento e selezione. Inizio e fine dei diversi stadi fenologici quindi si modificano di anno in anno perché si adeguano costantemente all’andamento metereologico (Larcher, 1993). Fasi vegetative Fasi riproduttive Rigonfiamento gemme Apertura gemme vegetative Formazione della gemma terminale Viraggio del colore delle foglie Caduta foglie Comparsa delle gemme a fiore Sporofilli completamente sviluppati Emissione polline Appressamento delle squame dei coni Completo sviluppo dello strobilo Tab. 1. Fasi fenologiche nelle conifere. Tabella utilizzata dal Gruppo di lavoro nazionale per i Giardini Fenologici (1992). Visita ai siti sperimentali stazioni di Col de la Roa e Cinque Torri 70 larice abete rosso 25 50 20 40 15 30 10 20 10 5 0 0 152 159 166 173 180 187 194 201 208 215 giorno giuliano Fig. 6. Dinamica di distensione degli aghi primari (stazione delle 5 Torri, anno 2001) lunghezza getti (mm) 50 60 lunghezza aghi (mm) lunghezza aghi (mm) 60 30 pino cembro larice pino cembro 40 abete rosso 30 20 10 0 152 159 166 173 180 187 194 201 208 215 giorno giuliano Fig. 7. Dinamica di distensione dei getti principali con esposizione a sud (stazione delle 5 Torri, anno 2001) 3.4 UN PRIMO APPROCCIO ALLO STUDIO DELL’ACCRESCIMENTO 3.4.1 Materiali e metodi L’area di studio è situata sulle Alpi Orienali a 2080 m s.l.m. nei pressi del rifugio 5 Torri nel Comune di Cortina d’Ampezzo. Comprende una formazione arborea di laricicembreto tipico situata al limite superiore del bosco su terreni esposti prevalentemente a sud e con inclinazione media del 30%. Le specie arboree oggetto di studio sono Larix decidua Miller, Pinus cembra L. e Picea abies (L.) Karst. Sono stati selezionati 5 individui per specie rappresentativi della popolazione adulta, senza visibili danni da parassiti o da alterazioni dell’accrescimento e tendenzialmente isolati in modo da minimizzare il fenomeno di competizione per la radiazione solare e per la disponibilità idrica. Nel novembre del 1998 sono stati effettuati 1 o 2 carotaggi per pianta mediante succhiello di Pressler. Dalle carote è stata isolata la porzione contenente i quattro anelli di accrescimento più esterni corrispondenti agli anni 1995-1998. I campioni sono stati fatti bollire per renderne più agevole il taglio. Le carote sono state tagliate mediante microtomo a ghiaccio prelevando sezioni con spessore di 20 µm che sono state colorate mediante safranina e montate con balsamo su vetrini portaoggetto. Al microscopio a 250 ingrandimenti sono state prelevate immagini digitali dei quattro anelli. L’area del lume delle tracheidi è stato infine rilevato automaticamente mediante programma MacCell. Il rilievo è stato effettuato su quattro file di cellule per ciascun anello. La scelta delle file è legata all’ampiezza delle cellule, all’assenza di canali resiniferi e di sovrapposizione di parti terminali di tracheidi, alla qualità della sezione. I dati ottenuti hanno permesso di costruire curve di accrescimento annuale denominate tracheidogrammi. Sincronizzazione delle curve Nel confronto fra curve è stato possibile mettere in evidenza trend di crescita simili pur essendoci una forte variabilità fra cellule adiacenti nella stessa fila e fra file della stessa pianta. L’ampiezza di queste variazioni si riduce nell’ultima parte dell’anello quando vengono prodotte cellule più piccole che costituiranno il legno tardivo. 221 222 Vinicio Carraro, Tommaso Anfodillo, Sergio Rossi Il numero di cellule delle file è estremamente variabile anche all’interno dell’anello stesso. La dimensione del lume cellulare è influenzata dai fattori climatici (primo dei quali in questi ambienti è la temperatura) e quindi ciascuna cellula “registra” come una vera e propria stazione metereologica l’andamento climatico. Naturalmente maggiori sono le cellule formate nel corso dell’anno maggiori saranno le informazioni che si possono estrarre dall’analisi di un tracheidogramma. Sono state quindi individuate per ciascuna specie e per ciascun anno gli anelli che hanno formato il maggior numero di cellule e cioè gli anelli che hanno registrato il maggior numero di informazioni. La possibilità di ottenere informazioni dipende però non solo dalla velocità di formazione di nuove cellule del cambio ma anche dal momento del periodo vegetativo, dalla sensibilità della specie, dalla intensità del fattore climatico agente. Attraverso l’analisi visiva degli andamenti e delle ampiezze dei picchi positivi e negativi è stato possibile individuare cellule che che hanno “registrato” la medesima risposta climatica. Elaborazione dei dati: sincronizzazione fra file File differenti possono rispondere al fattore climatico con intensità differenti cioè picchi molto evidenti in una fila possono corrispondere a picchi quasi irrilevanti nell’altra. In alcuni casi è stato però possibile individuare gruppi di cellule “marcatori” dotati dei medesimi andamenti relativi nei nelle ampiezze del lume. Son state così individuate cellule formate nel medesimo momento t che hanno permesso di sincronizzate le 4 file di cellule di ogni pianta. Marcatori simili sono stati individuati anche nel confronto fra specie; questo fatto rivela che le tre specie risentono, come era logico ipotizzare, delle medesime influenze ambientali. Ipotizzando che il tempo di risposta al fattore ambientale sia il medesimo è stata quindi effettuata una sincronizzazione fra i tracheidogrammi di larice, cembro e abete rosso. La sincronizzazione è stata effettuata solamente nelle cellule formate nella prima parte del periodo vegetativo perché le tracheidi del legno tardivo sono prive di marcatori. Per quanto riguarda il larice la sincronizzazione si è rivelata spesso aleatoria anche per le cellule primaverili a causa del limitato numero di tracheidi formate nel tempo. Elaborazione dei dati: sincronizzazione con il tempo Studi precedenti hanno dimostrato che in questi ambienti il fattore climatico più importante è la temperatura. Per tale motivo al fine di sincronizzare il ritmo di crescita cellulare con il tempo, le curve vengono sincronizzate con l’andamento delle temperature minime, medie e massime facendo corrispondere ai picchi di temperatura quelli dei marcatori. Non conoscendo il ritardo nella risposta della specie al fattore climatico si sono fatti corrispondere i picchi ipotizzando una risposta al fattore temperatura immediato. Calcolo dei parametri di accrescimento Sono stati infine calcolati alcuni parametri di accrescimento riferiti ai periodi individuati mediante la sincronizzazione dei tracheidogrammi con le curve delle temperature. Sono stati infine effettuati confronti fra i dati elaborati e i dati acquisi dai dendrometri collocati su piante campione situate presso il medesimo sito. I parametri calcolati sono i seguenti: numero cellule = numero di cellule formate nel periodo numero cellule cellule/giorno = n° giorni del periodo 223 Visita ai siti sperimentali stazioni di Col de la Roa e Cinque Torri lume cellulare cumulato = ∑ area del lume delle cellule formate nel periodo lume cellulare cumulato n°cellule formate nel periodo lume cellulare cumulato lume cellulare/giorno = n° giorni del periodo circonferenza = differenza fra le misure di circonferenza all' inizio e alla fine del periodo lume cellulare medio = 3.4.2 Risultati Analisi descrittiva dei dati grezzi larice 1b98.f4 cembro 598.f3 lume cellulare abete rosso 4b98.f4 1 10 19 28 37 46 55 64 numero di cellula 73 82 91 100 Fig. 8. Tracheidogrammi delle tre specie a confronto (le curve sono state traslate graficamente per facilitarne la lettura) Pinus cembra Larix decidua Picea abies numero di tracheidi 58.62 ± 0.28 50.19 ± 0.35 83.18 ± 0.24 area media del lume (µ µm) 707.46 ± 5.15 654.21 ± 12.98 629.95 ± 3.69 area massima del lume (µ µm) 1551.90 ± 30.17 1965.59 ± 84.61 1599.79 ± 29.88 Tab. 2. Tabella comparativa fra numero medio, dimensione media e dimensione massima delle tracheidi. 224 Vinicio Carraro, Tommaso Anfodillo, Sergio Rossi Analisi descrittiva dei dati elaborati 1200,0 1,6 1,4 1000,0 lume/giorno (micron) cellule/giorno 1,2 800,0 1,0 600,0 0,8 0,6 400,0 cellule/giorno 0,4 200,0 lume cellulare/giorno 0,2 Fig. 9. Confronto fra il numero e la dimensione delle cellule formate nel periodo (pino cembro, 1995). 0,0 0,0 1 2 3 4 5 6 7 8 20 18000 18 16000 numero di cellule 16 14000 14 12000 12 10000 10 numero cellule 8000 8 lume cellulare cumulato 6 lume cellulare (micron) momenti t-iesimi Fig. 10. Confronto fra il numero e la dimensione delle cellule formate nel periodo (abete rosso, 1995). 6000 4 4000 163 171 179 187 195 203 211 giorno giuliano 219 227 18000 16000 lume cellulare (micron) 14000 12000 10000 8000 Fig 11. Correlazione fra numero di cellule formate nel tempo e dimensione delle stesse (abete rosso, 1996) 6000 4000 2 R = 0.6903 2000 0 6 7 8 9 10 11 12 13 14 numero di cellule 15 16 17 18 19 20 Visita ai siti sperimentali stazioni di Col de la Roa e Cinque Torri 14 1,2 12 1 0,8 10 0,6 8 0,4 6 0,2 4 0 numero cellule 2 circonferenza (mm) numero cellule Confronti con i dendrometri Fig. 12. Confronto fra il numero di cellule formate e la variazione di circonferenza (cembro, 1997) -0,2 circonferenza 0 -0,4 177 183 189 195 201 207 213 219 225 231 237 1200 0,7 1000 0,6 0,5 800 0,4 600 0,3 400 lume cellulare medio 200 circonferenza 0 0,2 circonferenza (mm) lume cellulare (micron) giorno giuliano Fig. 13. Confronto fra lume cellulare medio e circonferenza (abete rosso, 1995) 0,1 0 175 181 187 193 199 205 211 217 223 229 giorno giuliano 18000 0,7 16000 0,6 0,5 12000 10000 0,4 8000 0,3 6000 lume cellulare cumulato 4000 0,2 circonferenza 0,1 2000 0 0 173 178 183 188 193 198 203 208 213 218 223 228 233 giorno giuliano circonferenza (mm) lume cellulare (micron) 14000 Fig. 14. Confronto fra lume cellulare cumulato e circonferenza del fusto (abete rosso 1995) 225 16000 0,7 14000 0,6 0,5 12000 0,4 10000 0,3 8000 0,2 6000 0,1 4000 circonferenza (mm) lume cellulare (micron) Monitoraggio ambientale: metodologie ed applicazioni a cura di T. ANFODILLO & V. CARRARO Atti del XXXVIII Corso di Cultura in Ecologia, 2001 0 lume cellulare cumulato 2000 -0,1 circonferenza 0 -0,2 180 185 190 195 200 205 210 215 220 225 230 235 240 giorno giuliano Fig. 15. Confronto fra lume cumulato e circonferenza del fusto (abete rosso 1996) 3.4.3 Conclusioni L’analisi cellulare degli anelli legnosi ha permesso di approfondire le conoscenze riguardanti l’accrescimento radiale in larice, pino cembro e abete rosso. In particolare ha messo in evidenza alcune differenze fra le specie soprattutto per quanto riguarda il numero e la dimensione delle tracheidi. Il larice per esempio produce un numero di cellule mediamente inferiore alle altre due specie anche se presenta un legno primaticcio con tracheidi a lume nettamente più ampio rispetto a cembro e abete rosso; la seconda parte dell’anello si caratterizza invece per avere tracheidi a lume estremamente ridotto. Un andamento di questo tipo potrebbe essere collegato alla particolare fisiologia del larice che ha bisogno di una grande disponibilità idrica iniziale per l’emissione delle foglie. Il numero di tracheidi prodotte da una pianta e la loro dimensione media non è costante nell’arco della stagione vegetativa, vi sono cioè periodi di incremento del ritmo di formazione cellulare. La sincronizzazione con il tempo ha evidenziato che durante tali periodi le tracheidi prodotte presentano lumi cellulari mediamente più ampi a differenza di altri periodi in cui vengono prodotte poche cellule con lume mediamente più piccolo. Misure di circonferenza del fusto rilevate dai dendrometri e dati di accrescimento cellulare elaborati mostrano in molti casi ritmi di variazione simili rivelando che è stata effettuata una sufficientemente buona sincronizzazione fra curve dei tracheidogrammi con quelle delle temperature. Viene così inoltre confermata l’ipotesi di partenza per cui la dimensione delle cellule in formazione è influenzata dall’andamento termico stagionale. Visita ai siti sperimentali stazioni di Col de la Roa e Cinque Torri 227 BIBLIOGRAFIA Anfodillo T, Carrer M, Rento S, Urbinati C (1996) Accrescimento radiale di Picea abies Karst., Larix decidua Mill., Pinus Cembra L. e fattori climatici al limite superiore del bosco: primi risultati di un’indagine nelle Alpi orientali. In Atti VII Convegno Nazionale S.IT.E, Napoli, 35-38. Anfodillo T, Rento S (1995) Ecologia delle foreste di alta quota. Atti del XXXII Corso di cultura in Ecologia, San Vito di Cadore. Antonova GF, Stasova VV (1993) Effects of environmental factors on wood formation in Scots pine stems. Trees 7: 214-219. Antonova GF, Cherkashin VP, Stasova VV, Varaksina TN (1995) Daily dynamics in xylem cell radial growth of Scots pine (Pinus sylvestris L.). Trees 10: 24-30. Antonova GF, Stasova VV (1997) Effects of environmental factors on wood formation in larch (Larix sibirica Ldb.) stems. Trees 11:462-468. AA.VV. 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