Anno 18, numero 4 – ottobre-dicembre 2013
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Poste italiane S.p.a. Sped. abb. postale - 70% - DCB - Roma
Colloquia
4/13
4 Focus
Oncologia
20 Pink
Project
27 Quella “sospensione”
fra dramma
e quotidianità
Colloquia
Anno 18
|
N. 4
|
ottobre-dicembre 2013
Periodico trimestrale riservato alla classe
medica edito in collaborazione con
Indice
EDITORIALE
eColloquia
Via Vitorchiano 151 – 00189 Roma
Tel 06 36 19 11 – Fax 06 36 380 311
www.univadis.it
3
FOCUS ONCOLOGIA
Oncologia tra presente e futuro 8
Enrico Cortesi
Che cos’è la target therapy 10
Carmine Pinto
Qualità di cura, terapia
e terapie di supporto 14
Paolo Marchetti
Un’attenzione costante
ai diritti delle donne
malate di tumore 16
Intervista ad Annamaria Mancuso
La comunicazione
sul cancro: dal tabù
ai racconti in prima persona 18
A cura di Carla Massi
LA MEDICINA E LE ARTI
Pink Project 24
Intervista a Francesca Tilio di Monica Ricci
LA MSD SI RACCONTA
“Insieme”, un cortometraggio
per raccontare il tumore 28
A cura di Emanuela Tanini
SONDIAMO... IL TERRENO
Patologie osteoarticolari 29
A cura di Maria Luisa Zambrano
LE RUBRICHE
SECONDO ME...
di Giacomo Milillo
La medicina di famiglia
e il paziente oncologico 20
A cura di Giacomo Milillo, Luciana Cacciotti
SALUTE ED ECONOMIA
di Federico Spandonaro
Oncologia: innovazione, mercato,
equità di accesso alle cure 21
L’ULTIMA PAROLA
di Giuseppe De Rita
Quella “sospensione”
fra dramma e quotidianità 31
Ogni farmaco menzionato deve essere
usato in accordo con il relativo riassunto
delle caratteristiche del prodotto fornito
dalla ditta produttrice.
Numero verde 800 23 99 89
Anno 18 N. 4 – ottobre-dicembre 2013
ISSN 1124-3805
Registrazione del Tribunale di Roma
n. 244 del 16.05.1996
Il Pensiero Scientifico Editore
Via San Giovanni Valdarno 8 – 00138 Roma
Tel 06 862 821 – Fax 06 862 82 250
Internet:
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Stampa:
Arti Grafiche Tris, Roma – dicembre 2013
Direttore responsabile:
Giovanni Luca De Fiore
Redazione:
Manuela Baroncini
Progetto grafico:
Antonella Mion
Prezzo: Fascicolo singolo €15,00
I contenuti pubblicati dalla rivista
rispecchiano le opinioni degli Autori
e non necessariamente quelle
dell’Editore o della MSD Italia S.r.l.
Contattando la redazione,
è possibile richiedere le bibliografie
relative ai singoli articoli.
Le immagini:
Gerhard Richter (1932)
In copertina: Fuji,1996
Pag. 8 Abstraktes Bild, Courbet, 1986
Pag. 10 Kegel (Cone), 1985
Pag. 12 Abstract painting (555), 1984
Pag. 13 Untitled (14.4.86), 1986
Pag. 14 Cage 4, 2006
Pag. 16 Kerze, 1982
Pag. 17 Kerze II, 1989
Pag. 19 FAZ-Uebermalung, 2002
Frank Auerbach (1931)
Pag. 20 Portrait of JYM Seated, 1976
Jasper Johns (1930)
Pag. 21 0 through 9, 1961
Jules Olitski (1922-2007)
Pag. 31 Prince Patutsky triumph over
Kaiser Hymie, 1964
L’Editore rimane a disposizione
di quanti avessero a vantare ragioni
sulla riproduzione delle immagini
pubblicate.
Editoriale
e-Colloquia: dalla carta al digitale
e-Colloquia: non parleremo di “nuovo format editoriale”, quanto di uno strumento radicalmente rinnovato
per contribuire a soddisfare i bisogni informativi in gran parte nuovi dei professionisti della sanità.
PIERLUIGI ANTONELLI*
S
ostenibilità. Qualsiasi decisione siamo chiamati a prendere è
ormai – e da diverse stagioni – filtrata attraverso questa
parola, diventata uno dei termini più familiari degli ultimi anni.
Sostenibilità vuol dire compatibilità con le risorse di cui si
dispone, non soltanto economiche ma anche – se non
soprattutto – di altri beni che sempre più diffusamente
scarseggiano: tempo e attenzione.
La sanità è un ambito in cui l’insostenibilità di molte scelte è
frequentemente discussa: sia nel campo della ricerca sia in quello
dell’assistenza. Ha fatto scuola – nell’uno e nell’altro settore –
un articolo chiave di Sir Ian Chalmers e Paul Glasziou pubblicato
su The Lancet nel 2009 che indicava negli sprechi evitabili uno
dei principali obiettivi della sanità dei prossimi anni.
Di fronte a questa “emergenza” molti hanno la tentazione di
Qualcosa di autenticamente innovativo nella misura in cui
potrà accompagnare o motivare il cambiamento dei percorsi di
aggiornamento culturale del medico, del farmacista o del
decision maker istituzionale.
Un aspetto, infine, da sottolineare con particolare enfasi:
il legame tra sostenibilità, innovazione e condivisione.
La prima – vuoi economica, vuoi ambientale – cresce insieme
alla capacità di cambiare e quest’ultima è tanto più a portata di
mano se diventa obiettivo di un impegno partecipato.
Le nuove tecnologie della comunicazione offrono questa
possibilità: i contenuti che proporremo su e-Colloquia non
soltanto raggiungeranno un numero di destinatari molto
maggiore (a costi economici ed ambientali assai ridotti)
ma potranno essere commentati e condivisi da utenti che
rispondere in modo – per così dire – conservatore: però, se quella
– ci auguriamo – potranno presto trasformarsi da fruitori in
sintetizzata dalla formula “fare di più non significa fare meglio”
produttori di informazioni e conoscenze, in un processo di
(mutuata dalla iniziativa Choosing Wisely che ha coinvolto
generazione di saperi al quale MSD Italia sarà
numerose società scientifiche statunitensi) è per molti aspetti una
felice di dare il proprio contributo al pari
prospettiva seducente, un’opzione almeno altrettanto
degli altri attori.
convincente è cogliere le opportunità offerte dalla tecnologia per
indirizzare attività e progetti in una direzione di maggiore
sostenibilità.
Nelle pagine che seguono sono
descritte le novità principali di
e-Colloquia e le caratteristiche
Non è detto – in altre parole – che una maggiore “lentezza”
fondamentali del nuovo corso
sia la risposta obbligata alle sfide che la Medicina e la Scienza ci
della rivista. Come ha scritto il
propongono quotidianamente.
più innovativo dei direttori di riviste
È questo il senso di e-Colloquia: non parleremo di “nuovo
scientifiche, Richard Smith, è tempo che i
format editoriale”, quanto di uno strumento radicalmente
medical journals passino dalla condizione di bruco
rinnovato per contribuire a soddisfare i bisogni informativi in gran
a quella di farfalla: ed è nelle cose che la seconda, oltre
parte nuovi dei professionisti della sanità.
ad essere più dinamica e rapida, sia anche più bella...
*Managing Director MSD.
COLLOQUIA 3
Perché da Colloquia a e-Colloquia?
Per la sostenibilità
ambientale...
Dieci risme di carta corrispondono più o meno al
5% di un albero; per una rivista come Colloquia si
usano circa 90 risme, cioè 45.000 fogli, quindi
più della metà di un pino alto 15 metri.
Ci vogliono 100 litri di acqua per produrre 1 kg di carta.
Il cloro e i composti ossidanti con cui si
effettua il processo di sbiancamento
della carta se dispersi o non opportunamente trattati possono inquinare i
corsi d’acqua.
Avete ancora il cuore di parlare di
“profumo” della carta?
... per liberare spazio
La dematerializzazione è la conversione di un qualunque documento cartaceo in un formato digitale. In Italia è prevista dal
D.Lgs. 82/2005.
La dematerializzazione di solo il 10% dei documenti e degli archivi pubblici genererebbe un risparmio di 3 miliardi di euro.
... per condividere
Perché su Internet, in un minuto,
vengono visualizzati 1,3 milioni di
video e condivisi 20 milioni di foto.
... per la facilità
di consultazione
Il 50% di chi possiede un tablet oramai preferisce leggere news,
riviste e libri sullo schermo piuttosto che su carta.
... per la portabilità
5,5 miliardi di persone vanno on line su un dispositivo mobile e
solo 1,5 tramite desktop.
Per tutti questi motivi Colloquia diventa
e-Colloquia
Editoriali
di opinion leader
su attualità,
clinica e politica
sanitaria
Gallerie
di immagini
Weblink
per accedere
direttamente
alle fonti
Rubriche di
approfondimento
sui rapporti
tra sanità
e tecnologia
Audio, video,
animazioni
e infografiche
La nuova versione digitale
sarà scaricabile dal sito di
Univadis (www.univadis.it)
focus
Oncologia
Oncologia tra presente e futuro
C
ome attraverso un caleidoscopio, che utilizza specchi e
frammenti di vetro colorati per creare una molteplicità di
strutture simmetriche, la diagnosi molecolare ha contribuito
nell’ultimo decennio a rivelare l’eterogeneità della patologia
neoplastica e la complessità delle sue proprietà biologiche.
L’immediata rilevanza clinica della classificazione molecolare
dei tumori risiede principalmente nella sua capacità di stratificare i
pazienti per gruppi a prognosi diversa e nella possibilità di predire
quali trattamenti abbiano le maggiori probabilità di successo.
Nell’era della personalizzazione delle terapie, le evidenze
scientifiche a sostegno dell’eterogeneità biologica del cancro
hanno consentito di identificare un numero considerevole di
possibili bersagli terapeutici, avviando il processo di cambiamento
della strategia terapeutica dall’utilizzo quasi esclusivo di farmaci
8 COLLOQUIA
Nell’era della genomica del cancro si rende
necessario un sostanziale cambiamento nello
sviluppo clinico di farmaci a bersaglio molecolare.
Diversi aspetti devono essere tenuti in
considerazione per integrare efficacemente l’analisi
molecolare nel disegno di studi clinici prospettici.
ENRICO CORTESI*
citotossici all’impiego di farmaci a bersaglio molecolare. Tra
questi, gli inibitori di protein-chinasi, piccole molecole in grado
di inibire vie di segnale attive a livello intracellulare, giocano
oggi un ruolo cruciale nella terapia oncologica, accanto agli
anticorpi monoclonali, diretti contro molecole chiave per la
sopravvivenza e la replicazione delle cellule tumorali, che già da
tempo sono entrati nell’armamentario terapeutico contro il
cancro. A partire dalla pionieristica esperienza nel cancro della
mammella con trastuzumab (anticorpo monoclonale antiHER2), passando per l’impiego di gefitinib ed erlotinib (inbitori
tirosin-chinasici di EGFR) nel carcinoma polmonare non a
piccole cellule, fino alla recente esperienza nel melanoma con
vemurafenib (inibitore di BRAF) e nel carcinoma polmonare non
a piccole cellule con crizotinib (ALK/MET inibitore), è emerso
che il successo dello sviluppo e dell’uso clinico di farmaci a
bersaglio molecolare è quanto mai legato all’identificazione di
marcatori predittivi di risposta alla terapia, elemento chiave per
la individualizzazione del trattamento. L’applicazione clinica più
concreta della diagnostica molecolare in oncologia sembra
pertanto associata alla ricerca di biomarcatori in grado di
identificare i sottogruppi di pazienti che avranno maggiore
beneficio dalla terapia con anticorpi monoclonali, come nel
caso delle mutazioni di KRAS (fattore predittivo di resitenza al
cetuximab) o con inibitori di tirosin-chinasi, come nel caso delle
mutazioni attivanti di EGFR (marcatore predittivo di risposta a
gefitinib ed erlotinib). Il ruolo predominante che la diagnostica
molecolare ha recentemente guadagnato nella gestione clinica
dei pazienti oncologici richiede lo sviluppo di test diagnostici
robusti e impone criteri rigorosi per la standardizzazione dei test
e per la loro validazione clinica. L’introduzione di analisi
molecolari altamente sensibili ha rivelato la coesistenza di
multiple mutazioni in cloni di cellule tumorali diversi, presenti
nel contesto di uno stesso frammento di tessuto. Alla luce delle
evidenze a supporto di una tale eterogeneità intratumorale,
ulteriormente complicata dalla pressione selettiva esercitata
dalle terapie a bersaglio molecolare sulle diverse
sottopopolazioni di cellule tumorali, l’accuratezza dell’analisi del
profilo molecolare di un tumore su una singola biopsia appare
Focus Oncologia
limitata e di scarsa rilevanza clinica. È questa la base teorica per
l’identificazione di procedure ripetibili e minimamente invasive
che consentono oggi di studiare il profilo molecolare di un
tumore non più soltanto su frammenti di tessuto tumorale, ma
anche attraverso l’analisi del profilo di espressione genica su
“biopsia liquida”, ovvero su cellule tumorali circolanti o DNA
tumorale circolante presenti nel sangue periferico di soggetti
affetti da neoplasie. Con il numero crescente di terapie a
bersaglio molecolare approvate o in fase di sperimentazione in
oncologia, l’idea di poter disporre di un ritratto molecolare
completo del singolo tumore, sulla base dell’espressione di un
pannello di biomarcatori, offre di fatto una serie di possibili
vantaggi legati all’immediata disponibilità di informazioni che
consentano una scelta terapeutica mirata, così come alla
possibilità di velocizzare i tempi di arruolamento dei pazienti in
studi clinici mirati. In un momento storico in cui in oncologia le
conoscenze sulla biologia dei tumori crescono con velocità
sorprendente, l’analisi molecolare delle vie di segnale dominanti
|
Oncologia tra presente e futuro
considerazione per integrare efficacemente l’analisi molecolare
nel disegno di studi clinici prospettici. L’eterogeneità biologica
intratumorale, per esempio, impone di determinare a priori la
rilevanza clinica delle diverse mutazioni identificate nel contesto
di un singolo tumore, distinguendo le alterazioni geniche di vie di
segnale dominanti da quelle presenti in cloni tumorali minori,
non rilevanti dal punto di vista della scelta terapeutica. Oltre alle
difficoltà nell’interpretazione clinica del profilo molecolare di un
tumore, i criteri di eleggibilità ancora basati sulla classificazione
istologica dei tumori rendono il disegno attuale di gran parte
degli studi clinici inadeguato, impedendo di fatto l’accesso alle
terapie a bersaglio molecolare in studio a pazienti con varianti
molecolari simili di neoplasie diverse. La progressiva
sottoclassificazione dei tumori, così, limita lo sviluppo clinico dei
farmaci biologici, rallentando notevolmente i tempi di
arruolamento dei pazienti negli studi clinici. Studi esplorativi di
fase I-II o la costruzione di network multicentrici in cui la
caratterizzazione molecolare dei tumori faciliti l’inclusione dei
Con il numero crescente di terapie a bersaglio molecolare approvate o in fase di sperimentazione in oncologia,
l’idea di poter disporre di un ritratto molecolare completo del singolo tumore, sulla base dell’espressione di un
pannello di biomarcatori, offre di fatto una serie di possibili vantaggi legati all’immediata disponibilità di
informazioni che consentano una scelta terapeutica mirata, così come alla possibilità di velocizzare i tempi di
arruolamento dei pazienti in studi clinici mirati.
nel singolo tumore offre lo strumento necessario per integrare il
profilo di espressione genica nella gestione clinica del malato
oncologico. Conoscere le basi molecolari del cancro ha un
notevole impatto clinico anche in relazione alla comprensione
dei meccanismi di resistenza alla terapia. L’efficacia dei farmaci a
bersaglio molecolare, infatti, è limitata da una varietà di
meccanismi di resistenza alla terapia, in termini sia di resistenza
primaria o innata in tumori teoricamente dipendenti dalla via di
segnale dominante identificata, sia di resistenza acquisita o
secondaria verso terapie alle quali il tumore era inizialmente
sensibile. La combinazione di terapie dirette verso multipli
bersagli molecolari, parallelamente a quanto accaduto con
l’associazione di farmaci chemioterapici diversi in regimi di
combinazione, rappresenta verosimilmente la chiave per
superare i suddetti meccanismi di resistenza alle terapie
biologiche, aumentando tasso e durata della risposta clinica alla
combinazione di più farmaci o consentendo terapie di
salvataggio per pazienti in progressione di malattia sotto
trattamento. Il numero delle combinazioni terapeutiche possibili
è virtualmente illimitato, pertanto il ruolo che la ricerca
preclinica riveste nel presente dell’oncologia è destinato nel
futuro prossimo a guadagnare attenzione crescente da parte
della comunità scientifica. È auspicabile infatti che la gestione
del percorso terapeutico del paziente oncologico sia
competenza di un gruppo multidisciplinare di oncologi clinici e
molecolari, con l’obiettivo di condurre ed interpretare gli studi
clinici alla luce di un comune approccio sperimentale. Nell’era
della genomica del cancro, infatti, si rende necessario un
sostanziale cambiamento nello sviluppo clinico di farmaci a
bersaglio molecolare. Diversi aspetti devono essere tenuti in
pazienti negli studi clinici possono rappresentare una possibile
soluzione. Il disegno tradizionale degli studi di fase III per la
validazione dell’utilità clinica di biomarcatori prevede che pazienti
selezionati per una data alterazione molecolare vengano
randomizzati a ricevere il solo trattamento standard o lo stesso
associato alla specifica terapia a bersaglio molecolare e
successivamente confrontati per endpoint predefiniti quali la
sopravvivenza libera da progressione o la sopravvivenza globale.
Un simile modello di studio è difficilmente applicabile quando
l’alterazione molecolare è poco frequente e l’arruolamento dei
pazienti conseguentemente lento. In assenza di un gruppo di
controllo, per uno studio di fase II non randomizzato, che
preveda l’inclusione di pazienti selezionati sulla base delle
caratteristiche molecolari della malattia, gli unici endpoint clinici
affidabili sono il tasso di risposte obiettive e la durata della
risposta clinica, prescindendo così dalle difficoltà interpretative
dei dati sulla sopravvivenza libera da progressione. Studi di fase II
così disegnati possono fornire informazioni clinicamente rilevanti
sull’attività di farmaci a bersaglio molecolare in sottogruppi di
pazienti biologicamente preselezionati, consentendo la rapida
approvazione di nuove terapie da parte degli enti regolatori,
come accaduto di recente per crizotinib in pazienti affetti da
carcinoma polmonare non a piccole cellule con riarrangiamenti
genici di ALK.
In conclusione, l’immagine multisfaccettata del cancro che il
caleidoscopio della diagnosi molecolare ci offre è lo strumento
per l’integrazione tra scienza e tecnologia, vera sfida
dell’oncologia moderna tra presente e futuro.
* Oncologia Medica, Policlinico Umberto I, Roma.
COLLOQUIA 9
focus
Oncologia
Che cos’è la target therapy
Q
uasi il 60% dei pazienti con
diagnosi di tumore sopravvive a 5
anni, e questo progresso è dovuto al
miglioramento globale delle strategie di
controllo dei tumori, a cui oggi si
accompagna sempre di più lo sviluppo di
terapie “personalizzate” mirate su target
molecolari, che configurano quelle che
oggi definiamo target therapy.
L’introduzione di una terapia
“personalizzata”, cioè diretta contro un
determinato bersaglio cellulare alla base
del processo di cancerogenesi e di
diffusione della neoplasia, consentendo
una selezione su base “molecolare” dei
pazienti, da un lato ha permesso un
miglioramento delle sopravvivenze e
dall’altro ha evitato inutili tossicità in
pazienti identificati ab initio come
“resistenti” e, di conseguenza, anche
una razionalizzazione delle risorse
economiche.
Alterazioni molecolari
e bersagli cellulari
Queste alterazioni molecolari possono
riguardare il DNA e/o l’RNA e possono
essere rappresentate da: mutazioni
puntiformi, delezioni, riarrangiamenti o
fusioni di geni, alterazioni di sequenze,
livelli alterati di espressione di trascritti,
alterate espressioni allele-specifiche.
Oggi sono già disponibili differenti
tecnologie, e nuove e più sensibili
tecnologie si affacciano già nella pratica
di laboratorio per poterle identificare.
Il progresso tecnologico sta inoltre
comportando due tipi di vantaggi:
una riduzione progressiva dei costi per i
diversi test molecolari e la possibilità di
eseguire su un singolo campione di
tessuto più valutazioni
contemporaneamente, con le
conseguenti implicazioni cliniche.
Le alterazioni molecolari di un oncogenic
pathways non sono sempre predittive
per un’attività di farmaci target.
10 COLLOQUIA
Se gli avanzamenti della ricerca ed i miglioramenti delle cure
in oncologia sono e saranno rappresentati sempre più dall’integrazione
tra identificazione di target molecolari e sviluppo di specifici farmaci,
la sfida sarà quella di rendere compatibili questi indiscutibili progressi
ed innovazioni con le risorse e l’organizzazione del nostro Sistema
Sanitario Nazionale.
CARMINE PINTO*
Focus Oncologia
L’attivazione di un pathway oncogenico
può avere inoltre un ruolo differente nei
diversi tumori, e differenti alterazioni
molecolari dello stesso oncogene
possono non essere biologicamente
equivalenti. Obiettivo della ricerca in
oncologia è quindi quello di individuare
le alterazioni molecolari cosiddette
driver, che possono condizionare la
risposta ad uno specifico farmaco.
Va inoltre considerato che il profilo
molecolare di un tumore può
significativamente modificarsi nel corso
di trattamenti con farmaci target, cioè si
possono verificare delle alterazioni
molecolari secondarie e quindi resistenze
acquisite.
Quali sono i potenziali benefici di una
target therapy:
• selezione dei pazienti per
resistenza/sensibilità ad un farmaco
target, con un vantaggio sia di attività
(si utilizza il farmaco nel paziente
giusto), sia di tossicità (non viene
utilizzato il farmaco nel paziente che
è noto essere resistente);
• razionalizzazione della spesa e delle
risorse, limitando l’utilizzo di questi
farmaci “ad alto costo” in un setting
definito di pazienti.
L’approvazione all’impiego clinico in
oncologia di farmaci diretti contro
specifici bersagli cellulari richiede
un’organizzazione ed una condivisione di
processi/percorsi che coinvolgono
oncologi medici, patologi e biologi
molecolari e istituzioni sanitarie. Risulta
necessario definire le basi per garantire
ai pazienti l’accesso ad un test
molecolare indicato per un farmaco a
specifico target:
• disponibilità adeguata di tessuto per
poter eseguire i test. Nel caso del
tumore del colon la quantità di
tessuto disponibile dopo chirurgia
non limita le determinazioni, mentre
nel caso del tumore del polmone il
più delle volte risultano disponibili
solo biopsie con quantità limitate di
campioni;
• test molecolari ripetibili con
metodiche robuste;
• laboratori che eseguono i test validati
sulla base di controlli di qualità
nazionali;
• tecnologie sensibili ed a costo
“accettabile”;
• organizzazione dei “percorsi” dei
tessuti;
• implementazione e riduzione dei
tempi del processo dal centro che ha
fatto la diagnosi istologica al centro
di diagnostica molecolare, che
possono anche far parte di strutture
differenti e geograficamente distanti.
La terapia personalizzata
nella pratica clinica
Realtà già definite di terapia
personalizzata nella pratica clinica sono
rappresentate dal carcinoma della
mammella e dal carcinoma dello
stomaco con iper-espressione/
amplificazione di HER-2 che risultano
sensibili al trattamento con l’anticorpo
|
Che cos’è la target therapy?
monoclonale anti-HER-2 trastuzumab,
dal carcinoma del colon-retto con
oncogene RAS wild type che risulta
responsivo ad una terapia con gli
anticorpi monoclonali anti-EGFR
cetuximab e panitumumab,
dall’adenocarcinoma del polmone con
gene EGFR mutato che è sensibile al
trattamento con gli inibitori di tirosina
chinasi (TKi) gefitinib, erlotinib e afatinib,
dall’adenocarcinoma del polmone con
riarrangiamento di ALK-EML4 e ROS-1
responsivo al trattamento con crizotinib,
e dal melanoma con mutazione di BRAF
sensibile al trattamento con vemurafenib
e dabrafenib (tabella I).
Nelle donne con carcinoma della
mammella, la popolazione con
Tabella I. Farmaci a bersaglio molecolare registrati in base a specifici biomarker.
Agente
Biomarker
Tumore
Indicazione registrativa in Italia (AIFA)
Imatinib
c-Kit espresso (mutato) GIST
Metastatico, adiuvante alto rischio
Trastuzumab
HER2 iperespressione/
amplificazione
Carcinoma
mammario
Carcinoma
gastrico
Adiuvante, neoadiuvante, metastatico
in monoterapia o in combinazione
con chemioterapia
Metastatico in combinazione con
cisplatino e 5-fluorouracile/capecitabina
Pertuzumab
HER2 iperespressione/
amplificazione
Carcinoma
mammario
Metastatico o ricorrente localmente in
I linea in combinazione con docetaxel
e trastuzumab;
in corso iter per rimborsabilità AIFA;
al momento in fascia Cnn
Lapatinib
HER2 iperespressione/
amplificazione
Carcinoma
mammario
Metastatico/avanzato in combinazione
con capecitabina in pazienti
in progressione dopo trastuzumab
Cetuximab
KRAS wild type
Carcinoma
del colon-retto
Metastatico in combinazione
con chemioterapia o in monoterapia
Panitumumab
All RAS wild type
Carcinoma
del colon-retto
Metastatico pretrattato in monoterapia
Metastatico in combinazione
con chemioterapia in corso iter
per rimborsabilità AIFA
Gefitinib
EGFR mutato
Adenocarcinoma
del polmone
Stadio IIIB-IV
Erlotinib
EGFR mutato
Adenocarcinoma
del polmone
Stadio IIIB-IV
Afatinib
EGFR mutato
Adenocarcinoma
del polmone
Stadio IIIB-IV;
in corso iter per registrazione AIFA
Crizotinib
EML4-ALK fusione
NSCLC
Stadio IIIB-IV;
in corso iter per rimborsabilità AIFA;
al momento attivazione legge 648
Vemurafenib
BRAF mutato
Melanoma
Metastatico/inoperabile
Dabrafenib
BRAF mutato
Melanoma
Metastatico/inoperabile;
in corso iter per rimborsabilità AIFA
COLLOQUIA 11
Focus Oncologia
|
Che cos’è la target therapy
iperespressione e/o amplificazione di
HER2+ (pari a circa il 20% della
popolazione totale), l’introduzione nel
regime di chemioterapia dell’anticorpo
monoclonale anti-HER2 trastuzumab sia
nel setting del trattamento adiuvante sia
in quello della malattia metastatica ha
determinato un significativo
miglioramento della sopravvivenza
globale o overall survival (OS). Se il
trastuzumab rappresenta la prima
generazione di farmaci anti-HER2, oggi
abbiamo già disponibili anticorpi di
seconda generazione quali il T-DM1
(trastuzumab emtansine) ed il
pertuzumab. Il T-DM1 coniuga l’attività
del trastuzumab con quella citotossica
inibitoria dei microtubuli del DM1.
In pazienti con carcinoma mammario
metastatico HER2+, in progressione
dopo trattamento con regimi contenenti
taxani e trastuzumab, il T-DM1 ha
dimostrato un vantaggio significativo
quando confrontato nello Studio Emilia
con la combinazione capecitabina più
lapatinib. Il pertuzumab è un anticorpo
monoclonale che lega HER2 in un
differente epitopo rispetto a quello
bersaglio del trastuzumab, impedendone
la dimerizzazione e la conseguente
attivazione. Nello studio di fase III
Cleopatra, il pertuzumab in
combinazione con trastuzumab e
docetaxel, in I linea in pazienti con
carcinoma mammario metastatico
HER2+, ha dimostrato una significativa
maggiore efficacia nei confronti di
trastuzumab e docetaxel.
Il ruolo di HER2 è stato valutato
anche nel carcinoma gastrico avanzato.
Circa il 20% della popolazione risulta
essere HER2+, con una maggiore
frequenza per i tumori della giunzione
gastro-esofagea rispetto alle forme distali
e per l’istotipo intestinale rispetto al
diffuso, in cui la positività per HER2 può
raggiungere il 30% dei casi.
Nello studio ToGa l’introduzione del
trastuzumab in combinazione con
cisplatino/fluoropirimidina, in I linea in
pazienti con carcinoma gastrico avanzato
HER2+, ha prodotto un significativo
vantaggio in risposte obiettive o
response rate (RR), sopravvivenza libera
da progressione o progression free
survival (PFS) e OS rispetto al solo
cisplatino/fluoropirimidina. Viene
12 COLLOQUIA
considerata HER2+ la popolazione con
HER2 2+ all’immunostochimica e ISH+,
o con HER2 3+ all’immunoistochimica.
Sono in corso studi con anticorpi antiHER2 di seconda generazione, e cioè con
il T-DM1 in pazienti in progressione dopo
trastuzumab (Studio Gatsby) ed il
pertuzumab in I linea (Studio JACOB)
La caratterizzazione molecolare dei
pazienti con carcinoma del colon-retto
metastatico (CCRM) sulla base del test
per le mutazioni di KRAS (codone 12 e
13 dell’esone 2) ha rappresentato un
importante progresso in questa
patologia, permettendo di escludere dal
trattamento con gli anticorpi
monoclonali (mAb) anti-EGFR cetuximab
e panitumumab, una popolazione
chiaramente resistente. In questo setting
di pazienti nello studio CRYSTAL la
combinazione FOLFIRI + cetuximab
rispetto al solo FOLFIRI determinava un
significativo vantaggio in OS. Le
mutazioni dei codoni 12 e 13 di KRAS
hanno rappresentato fino ad agosto
2013 l’unico criterio previsto dalle
Agenzie regolatorie europee e nazionali
(EMA, AIFA) per la selezione su base
molecolare dei pazienti con CCRM da
sottoporre a trattamento con farmaci
anti-EGFR. La popolazione KRAS wild
type così considerata rappresenta circa il
60% dei CCRM. Ulteriori
approfondimenti nella caratterizzazione
molecolare del CCRM hanno permesso
di individuare altre mutazioni che
possono intervenire nella resistenza al
trattamento con mAb anti-EGFR. I dati
della rivalutazione molecolare dello
studio di fase III PRIME hanno suggerito
che anche mutazioni negli esoni 3 e 4 di
KRAS e negli esoni 2, 3 e 4 di NRAS
rappresentano fattori di possibile
resistenza al panitumumab. In
particolare, la popolazione di pazienti
con CCRM definito come all RAS wild
type presentava nello studio PRIME un
significativo vantaggio in OS con
Focus Oncologia
l’impiego del panitumumab in
combinazione con FOLFOX rispetto alla
sola chemioterapia. L’analisi dei dati di
sopravvivenza ha altresì evidenziato un
effetto detrimentale di questa
combinazione nella popolazione all RAS
mutato. Infine, lo studio PRIME ha
confermato il forte ruolo prognostico
negativo delle mutazioni di BRAF,
sebbene queste non abbiano mostrato
un chiaro effetto predittivo rispetto alle
terapie anti-EGFR. Il Committee for
Medicinal Products for Human Use
(CHMP) ha pertanto approvato la
modifica delle indicazioni al trattamento
del panitumumab che è attualmente
indicato nei pazienti all RAS wild type.
Risultati confermatori sono stati
recentemente presentati all’ECCO-ESMO
2013 in merito alla valutazione dello
stato mutazionale di all RAS dei pazienti
dello studio FIRE 3 che confrontava in I
linea la combinazione FOLFIRI +
cetuximab verso FOLFIRI + bevacizumab.
Anche in questo studio la popolazione all
RAS wild type ha mostrato un
significativo vantaggio in OS nel braccio
FOLFIRI + cetuximab, in assenza di effetti
detrimentali per l’OS di questa
combinazione nei pazienti con mutazioni
dei geni RAS.
Nel carcinoma polmonare non a
piccole cellule (NSCLC), ed in particolare
nell’adenocarcinoma, sono state
individuate alterazioni molecolari che
identificano differenti setting di pazienti
potenzialmente sensibili ad un
trattamento mirato. Si sta quindi
riclassificando l’adenocarcinoma
polmonare in sottogruppi a differente
profilo molecolare che individuano
diverse malattie, anche con incidenza
dell’1-2%, sensibili a specifiche terapie
target. Farmaci mirati su bersagli cellulari
sono in studio, ed alcuni di questi quali
gefitinib, erlotinib, afatinib e crizotinib
sono già approvati da organismi
regolatori (FDA, EMA, AIFA). Uno dei
risultati più significativi è quello ottenuto
con i TKi anti-EGFR. Nella popolazione
con mutazioni degli esoni 18-21 di EGFR,
che rappresenta il 14-16% degli
adenocarcinomi (con più alta frequenza
nella popolazioni asiatica, nelle donne e
nei no/deboli fumatori), i farmaci TKi
inibitori (gefitinib, erlotinib, afatinib)
determinano un importante e
significativo vantaggio in PFS. Negli studi
clinici randomizzati il confronto tra i
bracci di trattamento non ha rilevato un
vantaggio in OS in quanto la maggior
parte dei pazienti andava incontro a
crossover, e cioè in progressione i
pazienti già sottoposti a chemioterapia
ricevevano il TKi inibitore, che risulta
attivo sia in prima linea che nei pazienti
già pretrattati con chemioterapia. In ogni
caso le sopravvivenze evidenziate con
l’introduzione dei TKi anti-EGFR sono
risultate superiori ai 20 mesi, quindi
ampiamente più lunghe di quelle
ottenibili con la chemioterapia
tradizionale. I pazienti con
adenocarcinoma del polmone
caratterizzati dal riarrangiamento di ALKEML4 (ALK+), evidenziato in circa il 4%
dei casi, sono risultati fortemente
responsivi al trattamento con il crizotinib.
Anche il riarrangiamento di ROS1,
presente in circa l’1% dei casi, indica una
sensibilità a questo farmaco. Numerosi
studi di caratterizzazione in funzione
terapeutica del NSCLC sono in corso, e si
stanno sviluppando nuovi ed interessanti
farmaci come l’LDK 378 i cui primi dati
ne rivelano una significativa attività nella
popolazione ALK+ sia chemonaive che
dopo resistenza acquisita a crizotinib.
Importante settore di ricerca clinica è la
valutazione delle nuove alterazioni
geniche che si verificano quando i
pazienti dopo ad un farmaco target
vanno incontro a progressione. In
quest’ambito una seconda biopsia può
fornire rilevanti informazioni per la
ricerca dei “nuovi” acquisiti target
molecolari e per i successivi trattamenti.
Anche per patologie meno frequenti,
|
Che cos’è la target therapy
abbiamo dei marcatori di sensibilità a
farmaci biologici. Le mutazioni V600 di
BRAF, presenti in circa il 40% dei casi di
melanoma, rendono questi pazienti
sensibili al trattamento con i farmaci
anti-BRAF, vemurafenib e dabrafenib.
Nei pazienti con melanoma metastatico
e BRAF mutato il trattamento con BRAF
inibitori produce un miglioramento
significativo della PFS, con curve simili
per i due farmaci. Un ulteriore
vantaggio, anche correlato al
superamento delle resistenze ai BRAF
inibitori, è stato ottenuto con
l’introduzione di un anti-MEK il
trametinib, che già in I linea in
combinazione con il dabrafenib
determina un ulteriore miglioramento
nella PFS. Farmaci target su precisi
bersagli linfocitari che intervengono
nella regolazione della risposta
immunitaria, come il CTL-4,
determinano rilevanti vantaggi in OS nei
pazienti con melanoma metastatico.
Ipilimumab anticorpo monoclonale anti
CTL-4 ha prodotto un significativo
miglioramento dell’OS, con possibilità di
lungo sopravvivenze, ed è stato
registrato nel nostro Paese per il
trattamento dei pazienti con melanoma
metastatico dopo il fallimento di una
precedente linea di terapia,
diversamente da quanto avviene negli
USA dove il farmaco può essere
utilizzato in qualunque linea di terapia.
Più di recente sono stati pubblicati i dati
sull’efficacia in pazienti pretrattati degli
anticorpi monoclonali anti-PD1,
nivolumab e lambrolizumab, che
risultano estremamente promettenti, in
monoterapia ed in combinazione con
ipilimumab.
In conclusione se gli avanzamenti
della ricerca ed i miglioramenti delle
cure in oncologia sono e saranno
rappresentati sempre più
dall’integrazione tra identificazione di
target molecolari e sviluppo di specifici
farmaci, la sfida sarà quella di rendere
compatibili questi indiscutibili progressi
ed innovazioni con le risorse e
l’organizzazione del nostro Sistema
Sanitario Nazionale.
* Unità Operativa di Oncologia Medica,
Azienda Ospedaliero-Universitaria di
Bologna, Policlinico S. Orsola-Malpighi,
[email protected]
COLLOQUIA 13
focus
Oncologia
Qualità di cura, terapia
e terapie di supporto
Se la risposta alla chemioterapia in termini di riduzione del tumore è
un obiettivo importantissimo, non possiamo prescindere dall’attenzione
agli effetti collaterali, in modo che la paziente possa vivere nella
maniera più serena possibile il periodo della chemioterapia.
PAOLO MARCHETTI*
N
egli ultimi anni, grande risalto è
stato dato alle terapie di supporto.
Uno degli obiettivi principali dell’ASCO è,
infatti, quello di attuare una maggiore
integrazione tra le terapie di supporto e
le terapie attive. Per molti anni le terapie
14 COLLOQUIA
di supporto sono state considerate
appannaggio esclusivo dei cosiddetti
“palliativisti”, poi è stato dimostrato che
ottenere un buon controllo dei sintomi,
soprattutto una riduzione degli effetti
collaterali indotti dai trattamenti, oltre a
garantire una migliore qualità della vita,
consente di avere una migliore
sopravvivenza in molti tumori. Un
paziente che riesce a tollerare meglio i
trattamenti, a tollerarli per un periodo
più lungo, a tollerarli senza particolari
effetti negativi, riesce anche poi ad avere
una risposta complessiva migliore.
Questo ha spinto l’ASCO già due anni fa
a iniziare questo percorso formativo nei
confronti delle terapie di supporto, con
un ritardo di qualche anno rispetto, ad
esempio, alla Società Europea di
Oncologia o all’AIOM (Associazione
Italiana di Oncologia Medica), che hanno
pubblicato dei position paper molto
chiari a favore di un impegno a tutto
tondo nei confronti delle necessità del
paziente.
Per molti effetti collaterali indotti dai
trattamenti, tra cui la CINV (Nausea e
Vomito Indotti da Chemioterapia), che
sembra quasi dimenticata, riveste
particolare importanza imparare a
valutare la soggettività del sintomo, cioè
quale impatto ogni sintomo abbia sulla
vita quotidiana, al di là della sua
classificazione secondo le scale
internazionali. Al congresso ASCO 2013
è stata dedicata una sessione proprio alla
necessità di cambiare questo
atteggiamento. Se nell’ambito di uno
studio clinico, l’interruzione o il rinvio di
uno specifico trattamento sono previsti
solo per le tossicità più rilevanti (in
genere G3 o G4), nella pratica clinica
quale impatto hanno sulle attività
quotidiane di un paziente nausea e
vomito di grado 1 o 2 (da 1 a 2/3 episodi
di vomito al giorno)? Ovviamente,
sappiamo bene che, pur non
rappresentando un motivo sufficiente
per l’interruzione di un trattamento
importante, questi sintomi di intensità
“minore” hanno un impatto significativo
sulla qualità della vita dei nostri pazienti.
Siamo così sicuri che un episodio di
vomito nella paziente che va a prendere
il figlio a scuola e che si deve fermare
non abbia un impatto significativo sulla
sua qualità della vita? È evidente che non
è così. Tuttavia, se valutati nella
prospettiva di uno studio o di un
protocollo, questo tipo di effetti
collaterali ha uno scarso impatto pratico,
perché non induce a modificazioni
significative della terapia. Al contrario,
Focus Oncologia
imparando ad ascoltare i pazienti, a
rivolgerci a loro per cercare di
comprendere quali sono i loro reali
bisogni, avremo la possibilità di
identificare precocemente questi
sintomi, attuando le strategie migliori
per il loro controllo. Spesso le “unmet
needs” non sono bisogni “senza
risposta”, ma problemi non riconosciuti,
per i quali la risposta sarebbe
disponibile.
Per quanto riguarda, ad esempio,
l’approccio terapeutico utilizzato per
prevenire o curare l’emesi nelle donne
con cancro della mammella, bisogna
ricordare che spesso si tratta di pazienti
che continuano a svolgere una vita
caratterizzata da molteplici impegni
personali, lavorativi e familiari. Questi
effetti collaterali potrebbero allora non
essere affatto così “modesti” come la
loro classificazione in G1 o G2
porterebbe a ritenere.
Oggi abbiamo farmaci, come
consigliano. Siamo pertanto in presenza
di una incomprensibile divaricazione tra
linee guida e pratica clinica. Gli oncologi
sono molto attenti ad applicare le linee
guida per i trattamenti attivi, ma troppo
spesso dimenticano di applicare quanto
lunghi anni di ricerca hanno dimostrato
come efficace nelle terapie di supporto.
Una collega americana, al congresso
ASCO 2013, illustrando un
atteggiamento errato nei confronti dei
bisogni di una paziente, ha
sinteticamente riportato il pensiero di
alcuni oncologi (speriamo una sparuta
minoranza!): “Sì, ha qualche effetto
collaterale, ma si consideri fortunata se
siamo qui ancora a parlarne, perché
vuol dire che la terapia sta facendo
effetto”. È necessario allontanare con
fermezza atteggiamenti di questo tipo,
perché se la risposta alla chemioterapia
in termini di riduzione del tumore è un
obiettivo importantissimo, non
possiamo prescindere dall’attenzione
Dovremmo probabilmente effettuare dei corsi per insegnare ai medici ad
ascoltare, perché lavorando più sulla capacità di ascolto, più sul rapporto
medico-paziente, riusciremmo a far sì che le informazioni presenti nelle
linee guida, le informazioni che derivano dai lavori scientifici possano
essere trasferite nella pratica clinica in maniera più diffusa, più rapida e
più tempestiva per garantire ai pazienti quello che tutti vogliamo, il loro
benessere.
l’aprepitant, che può essere impiegato
in associazione con gli schemi di terapia
antiemetica più frequentemente
utilizzati, con buoni risultati anche nel
controllo dell’emesi tardiva, garantendo
alla paziente di vivere con maggiore
serenità anche un periodo tanto
impegnativo come quello della
chemioterapia. All’inizio, soprattutto i
colleghi più giovani rimangono stupiti
dal miglioramento della qualità della vita
(nel suo complesso) tra un ciclo e l’altro,
proprio per il controllo di questo
fastidioso effetto collaterale dovuto
all’impiego di aprepitant.
Anche se le indicazioni delle linee
guida in materia è molto chiaro (ESMO
Guidelines, livello di evidenza I, Grado di
raccomandazione A), bisogna
ammettere che esiste ancora una certa
difficoltà a trasferire nella pratica clinica
quegli indirizzi che le linee guida ci
agli effetti collaterali, in modo che la
paziente possa vivere nella maniera più
serena possibile il periodo della
chemioterapia.
Molti colleghi oncologi riferiscono di
non riscontrare frequentemente questo
tipo di problemi. Considerando i dati
presenti in letteratura sull’incidenza della
CINV con molti schemi terapeutici,
questa osservazione potrebbe essere il
segnale di una scarsa capacità di rilevare
il problema. Infatti, la CINV non è un
sintomo facilmente riconoscibile, se non
viene specificamente ricercato, se non
viene richiesto con attenzione e cura al
paziente “quante volte mangia”,
“quante difficoltà ha a mangiare”,
“quanto le risulta difficile cucinare per la
sua famiglia o entrare in negozi dove
sono esposti determinati cibi”, perché
purtroppo la nausea viene vissuta anche
in questo modo. Se impariamo a
|
Qualità di cura, terapia e terapie di supporto
chiedere al paziente, se impariamo ad
ascoltare quello che il paziente ci dice,
probabilmente avremo la capacità di
dare risposte a quei bisogni che spesso
vengono considerati non risolti, ma
sono non risolti solo perché non li
riconosciamo e non li riconosciamo
perché non sappiamo ascoltare i
pazienti. L’insegnamento più importante
che abbiamo avuto da questo ASCO è la
conferma autorevole in una assise
internazionale di grande rilievo
dell’importanza di ascoltare i pazienti e i
loro bisogni, per poi trovare
nell’armamentario terapeutico attuale le
risposte da proporre.
Per accelerare questo processo
“culturale”, abbiamo portato avanti
diversi progetti formativi sul trattamento
dei sintomi. L’AIOM, ad esempio, ha
una task force coordinata dalla
dottoressa Zagonel che si occupa
specificamente di attività formativa per
tutti i diversi sintomi e che ha prodotto
un compendio sul riconoscimento e
trattamento dei sintomi presentati dal
paziente oncologico (disponibile sul sito
di AIOM). È molto difficile dire quale
sarà il risultato di questo tipo di
interventi formativi, perché, pur essendo
ampiamente noti i lavori di riferimento e
le diverse linee guida, esiste ancora una
grande difficoltà al trasferimento nella
pratica clinica. Questo probabilmente
richiede una sensibilizzazione costante
da parte dei responsabili delle strutture
e di tutti coloro che sono a contatto con
i pazienti a riprendere questa capacità di
ascolto. Dovremmo probabilmente
effettuare dei corsi per insegnare ai
medici ad ascoltare, perché lavorando
più sulla capacità di ascolto, più sul
rapporto medico-paziente, riusciremmo
a far sì che le informazioni presenti nelle
linee guida, le informazioni che derivano
dai lavori scientifici possano essere
trasferite nella pratica clinica in maniera
più diffusa, più rapida e più tempestiva
per garantire ai pazienti quello che tutti
vogliamo, il loro benessere.
*Oncologia Medica, Scuola di
Specializzazione in Oncologia, Facoltà
di Medicina e Psicologia “Sapienza”
Università di Roma; Consulente
Scientifico IDI - I.R.C.C.S., Roma;
U.O.C. Oncologia Medica, Ospedale
Sant’Andrea.
COLLOQUIA 15
focus
Oncologia
Un’attenzione costante ai diritti
delle donne malate di tumore
Uno degli obiettivi principali è la partecipazione attiva alle politiche
sanitarie e sociali connesse alla malattia oncologica, ma altrettanto
importante è supportare la ricerca, l’attività assistenziale
e l’informazione, come anche la formazione degli operatori sanitari
e volontari.
Intervista ad ANNAMARIA MANCUSO*
Come nasce l’idea di
un’Associazione per la
prevenzione e la lotta ai tumori
femminili?
L’Associazione nasce nel 1993 dalla
mia volontà, durante il periodo in cui mi
hanno diagnosticato un carcinoma
mammario. In quel periodo sentivo
fortemente la necessità di condividere
con altre donne questa esperienza, e
anche grazie al sostegno di alcuni medici
dell’Istituto dei Tumori di Milano
abbiamo dato vita all’Associazione.
Salute Donna nasce quindi sotto la
spinta emotiva di poter condividere con
altre donne il percorso che stavo
affrontando. Ho iniziato a lavorarci
proprio mentre mi stavo sottoponendo
con grandi sofferenze alla chemioterapia,
sentendo il bisogno di confrontarmi con
altre donne che avevano avuto la
malattia in passato o che, proprio in quel
momento, come me, la stavano
affrontando.
All’inizio l’Associazione è nata
sull’impegno spontaneo di poche
persone – la mia e di altre mie amiche
che non avevano la malattia e dei medici
dell’Istituto dei Tumori di Milano. Poi,
poco alla volta, sono iniziati a uscire sui
giornali articoli che parlavano delle
attività che organizzavamo sul territorio,
e le donne hanno cominciato a
avvicinarsi. Con il tempo l’Associazione si
è ampliata, anche grazie al sostegno
chiesto alle aziende del settore sanitario
per divulgare i nostri progetti.
16 COLLOQUIA
Inizialmente, come Associazione
abbiamo lavorato soprattutto sulla qualità
dell’offerta sanitaria, proprio perché la
mia esperienza è iniziata in modo
drammatico, con un errore di diagnosi
fatta sul territorio, dove il mio cancro non
era stato diagnosticato. Da qui
l’importanza di effettuare un controllo
attento sulle strutture in grado di
garantire la qualità della diagnosi.
Quali obiettivi si prefigge
l’Associazione della quale è
presidente?
Uno degli obiettivi principali è la
partecipazione attiva alle politiche
sanitarie e sociali connesse alla malattia
oncologica, ma altrettanto importante è
supportare la ricerca, l’attività
assistenziale e l’informazione, come
anche la formazione degli operatori
sanitari e volontari.
Inoltre, ci impegniamo per la riduzione
della disomogeneità dell’assistenza e per
la promozione di un’organizzazione
assistenziale in grado di prevenire e
curare con metodi efficaci e di qualità.
Non ultimo, vogliamo sempre più
essere un punto di appoggio per chi si
trova ad affrontare la malattia.
Oggi l’Associazione è diventata
una realtà significativa nonché un
punto di riferimento a livello
nazionale per molte donne colpite
da tumore. Quali sono le attività
principali di cui si occupa?
L’Associazione si occupa, come
dicevo prima, di prevenzione dei tumori
femminili e promuove sul territorio
della Regione Lombardia e in altre
regioni iniziative volte a sensibilizzare
l’opinione pubblica a un corretto stile di
vita e a sostenere la ricerca scientifica
presso l’Istituto dei Tumori ed altre
aziende ospedaliere. Attraverso la rivista
“Salute Donna News”, l’Associazione
promuove la sua opera di
sensibilizzazione: è una pubblicazione
quadrimestrale stampata in 15.000
copie destinate ai soci, alle aziende
sanitarie e alle istituzioni regionali,
provinciali e comunali del territorio,
nonché agli ambulatori
dell’Associazione stessa.
Oggi Salute Donna è una realtà
dove le donne colpite da tumore
possono trovare conforto e riprendere
un cammino interrotto, con l’assistenza
e l’aiuto delle nostre psicologhe nei
momenti più difficili della malattia.
Esiste un servizio di Linea Verde
(800 223295) attraverso il quale 5
volontarie – consultando gli specialisti
di riferimento in base al caso –
forniscono informazioni a chi ha dubbi,
perplessità o bisogno di sostegno in
ambito oncologico, e, se richiesto,
possono prenotare visite mediche,
esami diagnostici e visite psicologiche.
Focus Oncologia
Quali sono le attività
dell’Associazione specificamente
rivolte alla prevenzione?
Gli ambulatori di prevenzione sono
gestiti dalle Sezioni di riferimento per
collocazione geografica ed effettuano a
titolo gratuito visite senologiche ed esami
della cute: nel 2012 si sono registrate
circa 6000 visite.
Oltre a 150 volontari che collaborano
per lo svolgimento delle attività connesse,
l’Associazione mette a disposizione delle
utenti degli ambulatori un proprio
mammografo e un ecografo con corsia
preferenziale, effettuando annualmente
circa 600 esami mammografici/300
ecografie, per un valore simbolico,
calcolato rispetto alla quota ticket, di euro
40.500 offerto dall’Associazione a
dimostrazione del proprio impegno
sociale verso la popolazione del territorio.
Presso l’Azienda ospedaliera di
Vimercate prosegue inoltre un’attività di
screening mammografico che impegna
giornalmente una o due volontarie.
È stata registrata un’utenza di 1500
persone.
Organizziamo inoltre delle Giornate di
Senologia per incontrare la popolazione
femminile, durante le quali vengono
effettuate visite senologiche,
mammografie ed ecografie gratuite.
Dal 2014 non potremmo più fare
mammografie ed ecografie
gratuitamente, perché ormai i nostri
strumenti sono superati nella tecnologia e
li doneremo al Senegal. Tuttavia, stiamo
stipulando convenzioni con strutture sul
territorio che ci permettono di inviare le
nostre iscritte con un costo inferiore del
ticket, mentre le visite rimangono gratuite
con possibilità di offerta all’associazione.
Quali sono i bisogni ancora oggi
inattesi delle donne colpite da
tumore?
Purtroppo esistono ancora molte
differenze tra le regioni del Nord e quelle
del Sud, e in questo senso i bisogni
inattesi sono soprattutto delle donne che
abitano nel sud Italia. Non è accettabile,
infatti, che una donna sia costretta a
spostarsi da una regione all’altra per poter
accedere a servizi e trattamenti,
sostenendo spese che non sono coperte
dal Servizio Sanitario Nazionale, come
quelle degli spostamenti e di eventuali
|
Un’attenzione costante ai diritti delle donne malate di tumore
soggiorni in città diverse da quelle di
residenza.
Un altro punto importante riguarda il
riconoscimento delle donne colpite da
tumore nel mondo lavorativo, in quanto
ancora troppo spesso la malattia penalizza
l’attività lavorativa. Le lunghe assenze
causate dalla chemioterapia costituiscono
ancora un rischio di licenziamento, e a
questo riguardo è di fondamentale
importanza la costante attenzione del
legislatore a queste problematiche.
Tra le tante iniziative sociali che
portate avanti, c’è un progetto in
particolare del quale vorrebbe
parlarci?
Un’iniziativa che mi sta particolarmente
a cuore è la realizzazione del
cortometraggio “Insieme” (n.d.r. vedi a
pag. 28), che racconta momenti di vita di
una giovane donna di fronte all’esperienza
del cancro.
Mi preme dire che il cinema, come tutti
i media, può essere di grandissimo aiuto
nel dare informazioni su larga scala, perché
si rivolge alla massa della popolazione.
L’esperienza del malato di cancro può
essere raccontata attraverso le immagini
che hanno una grandissima forza emotiva,
i dialoghi e le musiche, ed è proprio quanto
abbiamo tentato di realizzare. Pochi ma
essenziali messaggi su alcuni aspetti
fondamentali comuni a tutte le persone
costrette loro malgrado a vivere
l’esperienza di un tumore. Molti di questi
aspetti spesso ed erroneamente vengono
gravemente sottovalutati dagli oncologi,
limitando così il percorso verso la
guarigione e soprattutto peggiorando la
qualità di vita del paziente durante i
trattamenti e nella quotidianità.
Quello che vogliamo fare è portare il
cortometraggio “Insieme” sul territorio per
sensibilizzare sugli effetti collaterali della
malattia, e in particolare stimolare i pazienti
a parlarne con il proprio medico, per
sottolineare l’importanza di questo tipo di
comunicazione tra medico e paziente.
Per ulteriori informazioni sulle attività
di Salute Donna onlus, visitare
www.salutedonnaweb.it
* Fondatrice e Presidente Salute Donna
onlus, Associazione per la prevenzione
e lotta ai tumori femminili.
COLLOQUIA 17
focus
Oncologia
La comunicazione sul cancro: dal
tabù ai racconti in prima persona
Il nostro raccontare di salute ci deve far essere molto accorti: le nostre
informazioni vanno ad impattare con un sentire spesso vulnerabile e
soggettivo. Con le paure, le speranze, forse anche l’ipocondria.
A cura di CARLA MASSI*
“V
a bene, scrivi pure una
cinquantina di righe. Ma, mi
raccomando, nel titolo non scrivere la
parola cancro”. Siamo nei primi anni
Novanta. Questo, più o meno, era quello
che mi veniva detto dai miei capi in
redazione. Era difficile convincere quanto
fosse importante far uscire sul giornale
articoli che trattassero di questa malattia.
Anche solo di prevenzione. Spesso
riuscivo a spuntarla dopo lunghe
discussioni, trattative e una buona dose di
testardaggine.
La svolta, proprio nella seconda metà
dei Novanta. Quando sono riuscita a far
accettare la parola tumore o cancro nel
titolo. Una piccola grande vittoria che
andava di pari passo con la diffusione,
anche nelle tv e nei settimanali, dei pezzi
su quello che veniva ancora chiamato
“male incurabile” (a dire il vero lo
chiamano così ancora adesso tradendo
un’inaccettabile ignoranza).
Fino a una quindicina di anni fa,
dunque, ancora si battagliava per far
conoscere, fuori degli ospedali e degli
ambulatori, l’autopalpazione, le ultime
della ricerca, gli esami per la prostata.
Il collegamento fumo-cancro al polmone,
poi, suscitava scongiuri di ogni genere e
numero. La tenacia ha vinto e proprio
grazie ai media si è riusciti a far passare
tanti messaggi al grande pubblico e
aiutare i medici a parlare di tutela della
salute con parole accessibili ai più.
Il caso Di Bella
Proprio alla fine degli anni Novanta c’è
stato il grande “incidente”, il dramma
18 COLLOQUIA
collettivo, la rissa scientifica trasformata in
duello politico: il caso Di Bella. Di quel
medico siciliano classe 1912 che viveva
nel suo studio a Modena e aveva messo a
punto una terapia alternativa a quelle
tradizionali per curare il cancro. Ha
occupato per mesi le prime pagine dei
giornali. Aveva acceso gli animi nei salotti
televisivi e tenuto banco anche nel
Parlamento europeo. Io stessa fui inviata
a Bruxelles per una sua audizione.
Per miopia governativa e della classe
medica riuscì, anni ‘97-’98, a mettere
sotto scacco l’allora Ministro della Sanità
Rosy Bindi insieme al fior fiore
dell’oncologia (ancora chiusa in una torre
d’avorio). Riuscì a far partire una
sperimentazione della cura a base di
somatostatina in tutta Italia: per la prima
volta nella storia della medicina a spese
del Servizio Sanitario Nazionale e non di
una casa farmaceutica. Da lì il “diritto alla
cura” chiesto con manifestini anche sugli
sportelli dei taxi, le manifestazioni, i
pazienti e i familiari sotto Palazzo Chigi il
giorno di Pasqua. Le radio impazzavano, i
giornali che cercavano di non essere
faziosi venivano additati dai facinorosi.
Più di un giudice aveva dato il via libera
alla terapia Di Bella. Gli oncologi furono,
loro malgrado, costretti a uscire dalle
corsie. Imparare a parlare al grande
pubblico, spiegare quali erano stati, fino
ad allora, i successi dei nostri ricercatori,
l’epidemiologia e il profilo della malattia.
Scattò l’allarme: molti pazienti volevano
abbandonare la chemio e iniziare
quest’altra cura. Molti medici chiesero
aiuto anche ai giornalisti per far capire
come stavano le cose. Il nostro linguaggio
si fuse con il loro. Uno della corte di Di
Bella, Ivano Camponeschi (non medico ma
uomo dal passato di tour operator), arrivò
a dire all’Ansa che dopo aver saputo del
ricovero di Giovannino Agnelli allo Sloan
Kettering di New York «tentammo di
prendere contatti con la famiglia per
spiegare come la terapia lì impostata non
avrebbe risolto il problema».
Il tormentone è andato avanti per più
di un anno: tra battaglie, denunce
(Di Bella ad un certo punto disse che la
sua firma sul protocollo della
sperimentazione era stata falsificata),
pazienti che continuavano a morire e
dibattiti tv che facevano audience. Una
mattina dei primi di maggio del ‘98
eravamo in tanti davanti alla casa del
professore di Modena: Umberto Veronesi
e sei oncologi della commissione
nazionale lì in pellegrinaggio per parlare
con Di Bella della soppressione del
discusso protocollo contenente il
tamoxifene e le modifiche necessarie a
fargli accettare gli altri protocolli.
Il ruolo dei giornalisti,
i racconti dei pazienti
Insomma, una brutta storia. Che ha
avuto un solo merito: quello di far parlare
di cancro sui giornali, alla radio e in tv.
Sono uscite le storie di dolore ma anche le
guarigioni, i ritratti degli oncologi e il ruolo
della ricerca. “Quel” male si era riusciti ad
avvicinarlo senza troppi timori perché era
stato sollevato il polverone del caso Di
Bella. Tra tante macerie una piccola pianta
era spuntata.
Chi, fino ad allora, si era occupato di
medicina nei giornali è riuscito a tornare in
campo (anche se con le ossa rotte) e a far
capire quanto potesse essere importante
scrivere di salute. Diventare non solo
fornitori di notizie ma anche di
informazioni.
Piano piano, come si dice, le cose sono
Focus Oncologia
|
La comunicazione sul cancro: dal tabù ai racconti in prima persona
venute da sole. Certo, qualche sbavatura
c’è stata e forse ancora c’è: l’enfasi non
sempre va d’accordo con la medicina, i
risultati di laboratorio sono ancora
spacciati come rimedi da trovare in
farmacia ma possiamo contare su molti
contributi forti sia dal punto di vista
Girone. In Italia come all’estero dove
perfino una giovanissima cantante,
Anastacia, ha rivelato il suo cancro al seno
subito dopo la diagnosi. Angelina Jolie,
affetta da un danno genetico come sua
madre e una sua zia, ha pubblicizzato la
decisione di intervenire con una
che descrive la sua lotta con il “bastardo”
carcinoma al colon. O “A parte il cancro
tutto bene” di un grande giornalista
scomparso, Corrado Sannucci. O «L’albero
dei mille anni» firmato da un direttore di
vari giornali (lo è stato anche del
Messaggero) Pietro Calabrese. Che ha
scientifico che giornalistico.
Il lavoro di comunicazione fatto
proprio sul cancro ha generato una
rivoluzione che, nei primi anni Novanta,
non si poteva immaginare: si parla della
malattia senza vergogna, se ne scrive, in
tv non è più un tabù. Una grande mano
l’hanno data anche coloro che hanno
deciso di raccontare la loro storia in prima
persona.
L’Airc, l’Associazione ricerca cancro
fondata da Umberto Veronesi, è riuscita a
convincere, quasi venti anni fa, gli ex
malati vip a metterci la faccia. Pensiamo
alla tennista Lea Pericoli, alla coppia
Vianello-Mondaini, all’attore Remo
mastectomia per evitare l’insorgenza del
tumore. Michael Douglas, colpito alla
gola, non si è sottratto al dire in pubblico.
E poi le mostre fotografiche con i
ritratti delle pazienti fiere, i libri scritti dopo
essere usciti dal tunnel e noi giornalisti
(quelli più ostinati!) che continuiamo a
insistere per pubblicare la raccolta fondi
destinati alla ricerca, l’appuntamento di
una maratona (viva la Komen e il nastrino
rosa) o di un menù anticancro.
Con gli anni, anche l’ironia (magari solo
nei titoli) è riuscita ad inserirsi nella
comunicazione del tumore. Che dire di
“Ho il cancro e non ho l’abito adatto” un
delizioso volumetto scritto da Cristina Piga
fatto, come gli altri, della sua storia, del
suo doloroso percorso, delle notti insonni
e delle emozioni un evento collettivo.
Ma non basta scrivere o intervistare.
Anche il giornalista, soprattutto in questo
campo, deve attenersi a regole di
comunicazione particolarmente rigide. Il
nostro raccontare di salute ci deve far
essere molto accorti: le nostre
informazioni vanno ad impattare con un
sentire spesso vulnerabile e soggettivo.
Con le paure, le speranze, forse anche
l’ipocondria.
*Giornalista scientifico,
Il Messaggero.
SECONDO ME...
di Giacomo Milillo*
La medicina di famiglia
e il paziente oncologico
Solo attraverso la consapevolezza del nostro ruolo potremo con
determinazione pretendere l’acquisizione delle giuste competenze e
conoscenze indispensabili a fare del medico di famiglia una figura
ancora centrale del sistema assistenziale pubblico.
A cura di GIACOMO MILILLO*, LUCIANA CACCIOTTI**
nelle sue circostanze di vita e di rete
sociale;
• continuativa, perché copre
longitudinalmente i bisogni del
paziente;
• comprensiva, perché comprende la
cura, la riabilitazione e il sostegno del
paziente da una parte, dall’altra la
prevenzione e la promozione alla
salute;
• di coordinamento, per inviare, se
necessario, il paziente ad altri
professionisti e istituzioni sanitarie.
I
n Italia attualmente vivono 2.250.000
persone che hanno avuto una diagnosi
di cancro; molte di loro, il 57%, l’hanno
avuta da più di cinque anni. Si configura
quindi un nuovo scenario di questa
malattia che, grazie al miglioramento dei
mezzi di diagnosi e delle cure, vede
aumentata la sopravvivenza delle persone.
Il cancro, quindi, è diventato una
malattia cronica, polifasica e
multidisciplinare, in cui il ruolo del medico
di medicina generale (MMG) diventa
centrale.
Per sua stessa natura la medicina di
famiglia, secondo la definizione NIVEL
(Netherland Institute for Health Service
Research) è:
• generale, perché rivolta ad un’ampia
fascia di popolazione;
• di primo contatto, perché è un servizio
disponibile sempre e a breve distanza
dal paziente;
• orientata nel contesto, in quanto
considera la persona nel suo insieme e
20 COLLOQUIA
La riorganizzazione della medicina
territoriale è un tema molto dibattuto in
questo periodo, ma ancora di più assume
rilievo nella cura del malato oncologico.
La presa in carico integrata del paziente
che si è ammalato di cancro prevede la
presenza di diverse figure professionali
(oncologo, chirurgo, specialista di
radioterapia oncologica, psiconcologo,
infermiere, fisioterapista), con i quali il
MMG deve avere la possibilità di
comunicare per contribuire, piuttosto che
esserne informato, all’impostazione del
percorso di cura e delle scelte
terapeutiche.
A questo proposito, nel 2012, la Fimmg
ha proposto ai suoi iscritti un questionario
per rilevare l’esistenza, in tutta Italia, di una
“rete” strutturata tra ospedale e territorio.
Dai risultati è apparsa chiara la
difficoltà, per il MMG, di comunicare con il
centro specialistico, mancando, nella
maggior parte dei casi, dei percorsi
facilitati, che consentano un immediato
contatto con lo specialista di riferimento.
Un secondo momento critico è quello
della fine delle cure specialistiche.
A questo punto il paziente viene dimesso
dal centro oncologico perché libero da
malattia, ma la sua percezione non è
questa, quanto piuttosto quella di un
abbandono, avendo davanti un percorso
poco definito. È indispensabile che il
centro specialistico, contemporaneamente
alla dimissione del paziente, lo affidi al
MMG. Solo in questo modo il paziente
continuerà a sentirsi tutelato e
probabilmente comincerà a percepire la
sua guarigione proprio sapendo di essere
seguito dal suo medico di famiglia.
È chiaro che anche ai MMG viene
richiesto un sostanziale cambiamento,
innanzitutto l’aggiornamento e
l’acquisizione di nuove competenze in
ambito oncologico; insieme a tutto ciò, è
indispensabile avere una diversa
percezione del proprio ruolo rispetto ai
malati di cancro, sentendoci responsabili
anche in questo ambito (quello
oncologico) della salute del nostro
paziente, piuttosto che considerarlo di
esclusiva competenza ospedaliera.
Proponiamo infine una riflessione: nelle
malattie croniche e ancora di più in ambito
oncologico, non sempre è possibile
prevedere una guarigione o avere la
possibilità di scegliere la soluzione migliore.
Spesso, bisogna optare per una soluzione
“buona abbastanza” per quel paziente.
In questo senso, la fragilità del paziente
oncologico, per i suoi molteplici problemi,
di natura fisica e psicologica, fa emergere
anche la nostra fragilità, in un ambito in
cui non possiamo dare certezze di nessun
genere.
Concludendo, auspichiamo che il ruolo
del MMG, finora marginale nel percorso di
cura del malato oncologico, venga rivisto e
collocato nella giusta posizione.
Solo attraverso la consapevolezza del
nostro ruolo potremo con determinazione
pretendere l’acquisizione delle giuste
competenze e conoscenze indispensabili a
fare del medico di famiglia una figura
ancora centrale del sistema assistenziale
pubblico.
*Segretario Generale Nazionale della
Federazione nazionale medici di
medicina generale (Fimmg);
**Rappresentante Nazionale Fimmg
presso l’Osservatorio permanente sulla
condizione del Malato Oncologico.
SALUTE ED ECONOMIA
di Federico Spandonaro*
Oncologia: innovazione, mercato,
equità di accesso alle cure
La prevenzione, in particolare, si è dimostrata costo-efficace, ma in un
numero ancora ristretto di patologie, evidenza che, nei Paesi ad alto
tenore di reddito, come l’Italia, si è tradotta nell’adozione di screening
di popolazione.
Introduzione
I tumori sono la seconda causa di
morte dopo le malattie del sistema
circolatorio, con un tasso di 28,85
decessi ogni 10.000 abitanti, pari al
30% di tutti i decessi, nella popolazione
generale1.
La patologia è fortemente legata
all’età e i suddetti tassi arrivano
all’81,15 (113,56 per i maschi) nella
fascia di età 70-74 anni, per
raddoppiarsi al 164,52 (244,97 per i
maschi) nella fascia di età 80-84 anni.
Il tasso standardizzato di mortalità
mostra ancora rilevanti differenze
geografiche, variando fra il 24,34 del
Sud e il 27,31 per 10.000 abitanti del
Nord Ovest.
Malgrado i notevoli progressi della
medicina, sia in termini di prevenzione,
e quindi di diagnosi e intervento
precoce, sia in termini di terapie
chirurgiche e farmacologiche, i risparmi
in termini di vite salvate e
nell’utilizzazione delle risorse sono
ancora modesti, rispetto a quanto si è
realizzato in altri ambiti, come quello
delle malattie infettive e del sistema
cardio-circolatorio, a dimostrare ancora
una modesta capacità, se non in casi
specifici, di incidere sulla evoluzione della
patologia.
La prevenzione, in particolare, si è
dimostrata costo-efficace, ma in un
numero ancora ristretto di patologie,
evidenza che nei Paesi ad alto tenore di
reddito, come l’Italia, si è tradotta
nell’adozione di screening di
popolazione.
Screening e ospedalizzazione
Come è noto i tassi di adesione, pur
in crescita, sono ancora molto difformi
nelle diverse aree geografiche,
richiedendo ulteriori sforzi di
miglioramento nelle strategie di
educazione alla prevenzione della
popolazione2. I tassi di adesione corretti
nel 2010 per la mammella si
posizionavano fra il 29,9% della Calabria
e il 78,9% del Trentino; per la cervice
uterina la variabilità è persino maggiore,
passando dal 18,3% del Molise, al
60,2% dell’Umbria; e, infine, la
situazione è sostanzialmente analoga per
lo screening colon-rettale: dal 24,1%
della Basilicata, al 78,3% del Trentino.
Limitandoci a tre principali screening
di popolazione che le Regioni sono
obbligate a offrire, possiamo notare
effetti sulla ospedalizzazione (andamenti
fra il 2006 e il 2010) non completamente
sovrapponibili; i ricoveri con diagnosi di
tumore alla mammella sono diminuiti del
10,1%, sebbene in sostanza per effetto
della riduzione dei ricoveri diurni (34,4%), riconducibile alla possibilità di
deospedalizzazione delle prestazioni,
mentre sono aumentati (+3,2%) i ricoveri
ordinari; il tasso di ospedalizzazione
ordinaria si è mantenuto costante intorno
all’1,08 per 1.000 abitanti, ancora con
forti disparità regionali (da oltre l’1,4 del
Friuli Venezia Giulia, a meno dello 0,8 in
Calabria), con una significativa
razionalizzazione della degenza media
ordinaria (da 5,1 giorni a 4,5); i ricoveri
con diagnosi di tumore alla cervice
uterina sono, invece, diminuiti del 5,2%,
prevalentemente per effetto della
riduzione dei ricoveri ordinari (-9,2%); il
tasso di ospedalizzazione ordinaria si è
anch’esso ridotto dal 6,2 per 1.000
abitanti al 5,5, con significative disparità
regionali (da quasi il 7,0 della Puglia, a
circa il 4,5 in Toscana), con una lieve
razionalizzazione della degenza media
ordinaria (da 4,6 giorni a 4,2); infine, i
ricoveri con diagnosi di cancro colonrettale sono lievemente diminuiti,
sebbene in sostanza per effetto della
riduzione dei ricoveri diurni, riconducibile
COLLOQUIA 21
Salute ed Economia
|
Oncologia: innovazione, mercato, equità di accesso alle cure
alla deospedalizzazione (day hospital
tramutato in prestazioni ambulatoriali
complesse); il tasso di ospedalizzazione
ordinaria si è ridotto significativamente
passando dall’1,0 per 1.000 abitanti allo
0,96 (4,0%), ancora con forti disparità
regionali (1,4 nelle Marche, meno dello
0,4 nella P.A. di Bolzano), e con una
significativa razionalizzazione della
degenza media ordinaria (da 5,4 giorni a
4,6).
Complessivamente, le ospedalizzazioni
sopra descritte comportano un costo
stimato (al 2010, mediante l’utilizzo delle
tariffe per DRG, quindi più correttamente
definibile come valore attribuibile alla
produzione) che supera il miliardo di euro
(€ 1.093 milioni, rispettivamente € 221,
€ 680 e € 192 milioni)3.
Complessivamente, per l’Italia è stato
stimato un costo per le patologie
oncologiche di € 16,5 mld, pari all’1,08%
del PIL, di cui € 6,9 mld di costi sanitari
diretti (pari al 5% della spesa sanitaria e
al 41,8% del totale), € 9,6 mld di costi
indiretti (58,2% del totale)4.
La spesa farmaceutica
Sul fronte farmacologico, la ricerca
genera farmaci sempre più efficaci, ma
anche sempre più costosi, trattandosi in
larga misura di molecole complesse
(biologici e, in particolare, anticorpi
monoclonali).
I farmaci della classe terapeutica (ATC)
L, antineoplastici e immunomodulatori,
nel 2012 hanno assorbito € 3,3 miliardi,
pari al 13% della spesa complessiva
(pubblica e privata), rappresentando la
terza voce di spesa farmaceutica dopo la
classe C (cardiovascolare) e A
(gastrointestinale e metabolismo)5.
Al contrario, rappresenta solo lo 0,8%
in termini di DDD/1.000 ab die, tanto da
essere di gran lunga la classe con il più
alto costo per DDD (con un rapporto di
29 volte rispetto al costo per DDD
dell’area cardiovascolare).
La spesa pro-capite della classe è pari
a € 55,9, di cui € 51,1 erogati in ambito
ospedaliero, tanto da rappresentare la
prima voce di spesa ospedaliera (pari al
38,4% del totale), con un costo doppio
rispetto alla classe seguente
(antimicrobici per uso sistemico).
Si noti che anticorpi monoclonali e
inibitori del fattore di necrosi tumorale
22 COLLOQUIA
alfa da soli assorbono circa il 40% della
suddetta spesa.
La sintetica esposizione che precede
evidenzia, quindi, un problema sociale,
in prospettiva di crescente impatto.
Le dimensioni sono molteplici; senza
pretesa di esaustività possiamo citare,
in primo luogo, quella associata alle
disparità geografiche, di genere e di
censo associate alla patologia;
evidentemente, su di esse incidono tanto
fattori ambientali, quanto quelli socioeconomici, che si rendono
particolarmente evidenti nelle diverse
percentuali di adesione agli screening.
Si tratta di ambiti che richiedono
investimenti, anche al di fuori del settore
strettamente sanitario, che in tempo di
crisi rischiano di essere messi in
discussione.
La variabilità regionale (anche, ad
protezione brevettuale
• la riduzione delle dimensioni delle
popolazioni target.
Lo sviluppo di molecole sempre più
complesse, infatti, spinge verso l’alto i
costi di investimento e riduce allo stesso
tempo le opportunità di rientro, vuoi
perché sono sempre di più le molecole
con effetti terapeutici sovrapponibili, che
si dividono le quote di mercato, vuoi
perché si va verso una medicina
predittiva, che ulteriormente riduce i
potenziali volumi di vendita delle singole
molecole.
Una nota aggiuntiva vale la pena
spenderla sulla questione dell’avvento
(atteso) delle target therapies: avere
terapie di sicura efficacia è certamente
una prospettiva affascinante, e
certamente una ottimizzazione anche in
Fino ad oggi, l’oncologia ha beneficiato di un trattamento sostanzialmente
favorevole in termini di accesso al mercato: nei Paesi a budget variabile,
che spesso utilizzano criteri di costo-utilità (o costo-efficacia) delle
molecole quale benchmark per l’inserimento nelle liste di rimborsabilità
pubblica, il cosiddetto threshold (la soglia di accettabilità sociale) per
l’oncologia è stato spesso dell’ordine di 2/3 volte quello della generalità
delle altre aree terapeutiche.
esempio, nei tassi di ospedalizzazione e
nella degenza media) evidenzia a sua
volta disparità non giustificabili nella
dimensione organizzativa.
Come detto si tratta di cure, in
genere, notevolmente costose, che
potrebbero comportare problematiche di
equità di accesso: non a caso rispetto ad
altri ambiti il contributo della spesa
privata è praticamente irrisorio.
Si tratta, ancora, di cure per patologie
ad esito spesso infausto, ponendosi
quindi come presidi di ultima istanza nel
tentativo di preservare la vita.
Di fatto ad oggi la
tendenza/aspettativa è quella di ottenere
una cronicizzazione delle patologie, con
ulteriori costi per il sistema sanitario.
Costi che tenderanno ad aumentare
in valore assoluto, e presumibilmente
anche relativo, perché l’escalation dei
costi unitari delle terapie è associato a
numerosi fattori concomitanti:
• l’aumento dei costi di ricerca
• la riduzione dei tempi di effettiva
termini di efficienza ma, come prima
detto, riducendosi la popolazione target e
quindi il volume delle vendite,
aumenteranno i prezzi; è altresì lecito
aspettarsi un ampliamento del ricorso a
schemi di payment by result, che esitano
in una redistribuzione dei rischi fra
produttore e acquirente (pubblico).
A fronte di una attesa, ulteriore,
crescita dell’onere, nel futuro è allora
facile prevedere che la questione della
rimborsabilità si porrà in maniera sempre
più cogente: vale quindi la pena di
riassumerne i tratti maggiormente salienti.
Oncologia e accesso al mercato
Fino ad oggi, l’oncologia ha
beneficiato di un trattamento
sostanzialmente favorevole in termini di
accesso al mercato: nei Paesi a budget
variabile, che spesso utilizzano criteri di
costo-utilità (o costo-efficacia) delle
molecole quale benchmark per
l’inserimento nelle liste di rimborsabilità
pubblica, il cosiddetto threshold (la soglia
Salute ed Economia
di accettabilità sociale) per l’oncologia è
stato spesso dell’ordine di 2/3 volte quello
della generalità delle altre aree
terapeutiche. Considerando, altresì, che
non raramente gli endpoint di beneficio
proposti sono risultati relativamente
“deboli”, misurando non tanto
l’incremento di sopravvivenza, quanto la
cosiddetta progression free survival, una
misura surrogata, sebbene
auspicabilmente correlata alla overall
survival, che di fatto si limita ad attestare
il non aggravamento (spesso strumentale)
della patologia: nella migliore delle
ipotesi, quindi, indicando un potenziale
beneficio nella qualità della vita.
Anche nei Paesi a budget fisso, più
indirizzati a far valere valutazioni di
budget impact, spesso per i farmaci
oncologici si sono adottate “maglie
larghe”, giustificate da valutazioni
Le tendenze in atto fanno
presagire un crescente impatto
dell’oncologia nei costi dei sistemi
sanitari e, auspicabilmente,
un crescente beneficio per gli
individui e la Società. La pressione
economica, insieme alla crisi
strutturale che vivono i Paesi
più ricchi, fa presagire che,
relativamente presto, andranno
definitivamente in conflitto
esigenze assistenziali presenti e
future, come anche politiche
sanitarie e industriali.
multidimensionali (potremmo dire di
HTA): anzi, la lista dei farmaci inseriti nelle
liste di rimborsabilità in questi Paesi risulta
tendenzialmente maggiore che nei Paesi
che adottano più rigidamente criteri di
costo-utilità.
Una rilevante questione è quella
relativa al fondamento teorico, ed etico, di
un trattamento di fatto differenziato per le
terapie oncologiche. Le ragioni che si
possono addurre a giustificazione sono
essenzialmente legate ad un principio di
salvaguardia dal massimo maleficio (la
morte), che non sembra particolarmente
fondato in un contesto in cui si misura il
beneficio della terapia in QALY, unità di
misura che adotta una scala ben precisa
che varia da 1 (perfetta salute) a 0 (morte).
|
Oncologia: innovazione, mercato, equità di accesso alle cure
Siamo infatti nell’ambito delle scelte
pubbliche e non in quello delle scelte
individuali, e in tale ambito non sembra
che possa esserci altro criterio (pubblico e
in termini di efficienza dell’intervento
sociale) che una soglia convenzionale e
unica di willingness to pay per QALY
guadagnato, quale che sia la sua natura
(secondo il principio per cui “un QALY è
un QALY, indipendentemente dalla
patologia e dalla terapia”).
Probabilmente, ha più senso riferirsi
ad argomentazioni legate ad aspetti
equitativi, osservando la carenza di
valutazioni distributive negli studi di
valutazione economica: nello specifico è
indubbio che si tratta di terapie per
situazioni per lo più estreme, per le quali
qualcuno ha parlato di salvaguardia del
“diritto alla speranza” (evidentemente
individuale).
Ma va aggiunto che la ricerca e,
quindi, l’evidenza sulle preferenze sociali
per le varie possibili alternative (per
esemplificare, terapie per i giovani o i
vecchi, per gli uomini o per le donne, per
i cronici o per gli acuti, per i fumatori o i
non fumatori, ecc.) sono scarsissime e le
metodologie per elicitarle oggetto di
discussione.
Probabilmente l’argomento più forte a
giustificazione di un trattamento
differenziato delle terapie in alcuni ambiti
è legato alla teoria delle opzioni reali: in
altri termini, trattandosi di terapie per lo
più per popolazioni di dimensioni piccole
(argomento comune ai farmaci orfani), il
prezzo deve essere alto per dare un
ritorno all’investimento, e non
riconoscerlo vorrebbe dire impedire
l’ulteriore ricerca e sviluppo.
In effetti, oggi, seppure non molte
molecole siano annoverabili fra le disease
modifying therapies, si assiste ad una
crescente loro capacità di cronicizzare la
patologia: ne segue per l’individuo un
guadagno di tempo che può aprire la
possibilità (opzione reale) di beneficiare di
nuove terapie nel frattempo introdotte
sul mercato, e per l’azienda la possibilità
(altra opzione) di mantenere investimenti
in ambiti in cui la ricerca deve ancora fare
passi avanti significativi.
In termini metodologici si pone,
quindi, la questione di come valorizzare le
opzioni reali implicate dall’accesso al
mercato delle innovazioni, materia su cui
la metodologia è sufficientemente
sviluppata, ma le applicazioni nel
contesto farmaceutico ancora minime.
Il problema è reso ulteriormente
complesso dalle diverse possibili strategie
che le politiche sanitarie possono
decidere di adottare; ad esempio, è
possibile sostenere che le opzioni reali
siano già scontate nelle decisioni
aziendali di investire su una molecola: ma
questo implica scaricare tutti i rischi sulla
ricerca, delineando una politica
industriale poco incentivante, con
eventuali conseguenze per il tessuto
produttivo nazionale.
Concludendo, le tendenze in atto
fanno presagire un crescente impatto
dell’oncologia nei costi dei sistemi sanitari
e, auspicabilmente, un crescente
beneficio per gli individui e la Società.
La pressione economica, insieme alla crisi
strutturale che vivono i Paesi più ricchi, fa
presagire che, relativamente presto,
andranno definitivamente in conflitto
esigenze assistenziali presenti e future,
come anche politiche sanitarie e
industriali. Il dibattito sul valore della
ricerca, in questo ambito, stenta a
svilupparsi in modo adeguato, soffocato
dalla difficoltà politica di affrontare temi
che hanno indubbiamente risvolti emotivi
ed etici rilevanti; non di meno,
procrastinare un serio confronto sul tema
rischia di far prendere poi decisioni
affrettate, e possibilmente inadeguate,
sulla spinta dell’emergenza: pessima
abitudine, purtroppo invitta nel nostro
Paese, che andrebbe invece abolita.
Bibliografia/linkografia
1. Dati Istat. http://dati.istat.it/Index.aspx?
DataSetCode=DCIS_CMORTEM&Lang=
2. Osservatorio Nazionale Screening.
www.osservatorionazionalescreening.it
3. Dati Ministero della Salute.
www.salute.gov.it/portale/temi/p2_4.jsp?li
ngua=italiano&area=ricoveriOspedalieri
4. Luengo-Fernandez R, et al. Economic
burden o cancer across the European
Union: a popolation-based cost analysis.
Lancet Oncol 2013; 14: 1165-74.
5. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto
Nazionale. Anno 2012. Agenzia Italiana
del Farmaco, settembre 2013.
*Università di Tor Vergata,
Presidente Consorzio per la Ricerca
Economica Applicata in Sanità
(CREA Sanità)
COLLOQUIA 23
La Medicina e le Arti
Pink
Project
Un progetto fotografico in rosa,
un messaggio di speranza rivolto
a tutte le donne colpite da
tumore al seno, ma non solo.
Intervista a FRANCESCA TILIO*,
di MONICA RICCI**
Francesca, leggiamo nella tua
biografia che la passione per le
immagini ti accompagna da
sempre. Qual è il tuo background,
la tua formazione?
In ambito lavorativo nasco come
grafica pubblicitaria, dopo aver
attraversato il mondo delle immagini fin da
quando ero bambina. All’inizio come
spettatrice, poi, attraverso la scuola e il
lavoro, approdando attivamente in questo
mondo. Il mio background è formato da
esperienze teatrali fatte dai 15 ai 30 anni,
prima come attrice, poi da regista,
scoprendo che forse stare dietro le scene
mi piaceva più che lo starne davanti. E
credo che probabilmente per questo le mie
fotografie rimandino in qualche modo a
dei set cinematografici, ad attimi rubati di
qualche scena costruita, situazioni che mi
costruisco completamente da sola, un po’
come se realizzassi la regia di uno
spettacolo e lo congelassi in uno scatto.
Come nasce l’idea del Pink
Project?
La fotografia è un percorso che ho
iniziato dopo la malattia. Nel 2006 mi
hanno diagnosticato un cancro al seno.
L’autopalpazione mi aveva fatto scoprire
che qualcosa non andava. Nel giro di
pochissimo tempo mi hanno operato e
sottoposta a chemioterapia. La prima
reflex è il regalo che mi sono fatta quando
ho terminato la cura. Da quel momento
ho iniziato a fotografare senza grosse
velleità, ma piuttosto che fotografare
24 COLLOQUIA
La Medicina e le Arti
|
Pink Project
COLLOQUIA 25
La Medicina e le Arti
|
Pink Project
paesaggi o scene di vita familiare, cercavo
ogni volta di costruire qualcosa, di dare
forma alle mie visioni. Ben presto ho avuto
la fortuna e la possibilità di fare mostre,
comprendendo che avrei voluto coltivare
nel tempo questo giovane amore,
fotografare il mondo femminile e
sperimentare in particolare l’autoritratto.
Al Pink Project sono arrivata anni dopo,
esattamente dopo sette anni dalla fine
della chemioterapia, durante i quali, molto
spesso, ero io la protagonista degli scatti
fotografici; questo mi consentiva da un
lato di mettermi in gioco con ironia e
dall’altro di raggiungere un risultato quasi
terapeutico, mi faceva stare meglio. D’altra
parte il potere dell’autoritratto è affermato
da tempo nel mondo fotografico, Cristina
Nuñez ad esempio lo porta avanti come
manifesto.
Nel frattempo vinsi nel 2010 il premio
Camera d’Oro al Lens Based Art Show di
Torino con Me2, un progetto di autoritratti
e performance con parrucche: ogni volta
mi trasformavo interpretando un
personaggio diverso.
Pink Project, dicevo, è nato l’anno
scorso, quando ho deciso di portare con
26 COLLOQUIA
me in un viaggio a New York il vestito rosa
di mia madre che avevo ritrovato in soffitta
– lo stesso che indossava nelle foto con
me piccolissima in braccio – e la parrucca
rosa che i colleghi di lavoro mi avevano
regalato durante il periodo della
chemioterapia. Inizialmente li ho portati
non sapendo ancora cosa farne, sapevo
solo che avrei voluto fotografarmi con
quegli elementi. Tornata a casa, dopo un
mese circa, ho scoperto di aspettare un
bambino e poco dopo sono ripartita per
un viaggio in Scozia. In quel viaggio, oltre
al mio bagaglio rosa, avevo una pancia di
quattro mesi e ho pensato che sarebbe
stato bello documentare le fasi della mia
maternità, indossando quello stesso
vestito, magari concedendomi altri viaggi e
mostrando una pancia sempre più grande.
In questo modo è nata l’idea di Pink
Project, anche perché, tornando in Italia,
ho scoperto che aspettavo una femmina,
era come se si chiudesse un cerchio.
Gli elementi “rosa” c’erano tutti: la
parrucca della chemioterapia, il vestito di
mia madre e la maternità, un evento che i
medici mi avevano prospettato quasi
impossibile; per di più il bambino che
portavo in grembo era una femmina.
Tutto quello che stavo facendo aveva
finalmente un senso pieno e avrei voluto
portarlo avanti nel tempo. Così è nato il
Pink Project.
Quale messaggio hai voluto
rivolgere alle donne che, come te,
sono state colpite da questa
malattia? Come pensi possa
essere utile la tua esperienza a chi
ha scoperto di avere un tumore al
seno?
La volontà principale è di farlo girare
per far capire alle donne, soprattutto alle
più giovani, che dalla malattia si può
rinascere, si può stare bene e può anche
capitare qualcosa di inaspettato e di
positivo. Gli eventi negativi a volte
possono trasformarsi in opportunità, dal
dolore possono nascere nuove occasioni.
Il Pink Project è stato esposto per la
prima volta a settembre al SI FEST OFF
#13 di Savignano sul Rubicone. Lì ho
capito il potenziale che aveva ciò che
stavo facendo. Sono venute tante
persone, molte donne si sono fatte
fotografare con la parrucca rosa e tutti mi
lasciavano dei messaggi fantastici, mi
abbracciavano e si commuovevano di
fronte alla mia storia. Ho capito che tante
donne potevano ritrovarsi in quello che
stavo raccontando, alcune perché c’erano
passate direttamente, altre perché
avevano avuto una madre o una sorella
malata, o un’amica, altre per pura
empatia femminile. Oggi, purtroppo,
tante, troppe famiglie conoscono storie di
cancro, quindi quasi tutti si ritrovano nella
storia che racconto… spero che un
messaggio positivo e di rinascita possa
aiutare a stare meglio.
Sto lavorando affinché il Pink Project
diventi un progetto più strutturato, per
trasformarlo in un evento di raccolta
fondi. Vorrei che diventasse una mostra
itinerante e, in ogni spostamento, riuscire
ad organizzare un evento di
inaugurazione, durante il quale allestire
un set fotografico per ritrarre tante
donne con la parrucca rosa; quindi creare
un grosso contenitore di immagini,
testimoni positive a favore di questo
messaggio.
*Per info e sviluppi del progetto, potete
consultare il sito www.francescatilio.it,
o la pagina facebook www.facebook.com/
pinkprojectphotography;
**Policy & Communication MSD Italia.
COLLOQUIA 27
La MSD si racconta
“Insieme”, un cortometraggio
per raccontare il tumore
MELTIN’POT in collaborazione con SALUTE DONNA Onlus e SOCIETÀ ITALIANA DI PSICO ONCOLOGIA
FOTOGRAFIA ENRICO COSTANTINI
presentano
TRATTO DA UNA STORIA VERA
Un punto di vista originale
sull’esperienza di malattia,
un messaggio di speranza e di
apertura al futuro.
A cura di EMANUELA TANINI*
Regia di
Insieme
ANNAMARIA LIGUORI
EURIDICE AXEN
GIORGIA WURTH
NICOLAS VAPORIDIS
Con la partecipazione di
MONICA SCATTINI
BRANI MUSICALI DI MARCO CARTA
SOGGETTO DAVID FRATINI SCENEGGIATURA DAVID FRATINI E ANNAMARIA LIGUORI DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA LEONE ORFEO
FONICO DI PRESA DIRETTA TULLIO MORGANTI MONTAGGIO FEDERICO MUSICHE ANTONELLO SORRENTINO COSTUMI LUDOVICA LA MANNA
DIRETTORE DI PRODUZIONE BEATRICE MOSELE PRODUTTORI ESECUTIVI NICOLA LIGUORI E TOMMASO RANCHINO
PROGETTO A CURA DI PRO FORMAT COMUNICAZIONE PRODOTTO DA MELTIN’POT PER SALUTE DONNA ONLUS E SIPO
REALIZZATO GRAZIE AL SUPPORTO NON CONDIZIONATO DI MSD
SOCIETÀ ITALIANA
DI PSICO ONCOLOGIA
N
ell’ultimo numero di Colloquia del
2012, vi avevamo parlato di
ONCOMovies®, un progetto di
comunicazione dedicato a medici e
pazienti, che, attraverso la potenza
catalizzatrice delle immagini
cinematografiche che negli ultimi
sessant’anni hanno raccontato storie di
cancro, potesse accendere i riflettori
sull’importanza della qualità di vita anche
durante il percorso di cura.
L’idea del progetto nasceva dalla
consapevolezza di quanto, nella battaglia
contro il tumore, il rapporto tra medico e
paziente fosse determinante.
Spesso, infatti, attraverso questo
rapporto non riescono a passare tutte le
informazioni veramente importanti e
alcuni aspetti sfuggono all’osservazione
del medico. Non parliamo solo degli
aspetti più delicati, come l’impatto della
malattia sulla sfera psicologica e sulla
vita sessuale, ma anche delle
28 COLLOQUIA
conseguenze dirette degli effetti
collaterali della chemioterapia sulla vita
quotidiana dei pazienti.
Da entrambe le parti ci sono, infatti,
obiettive resistenze ad affrontare
apertamente queste problematiche: da
parte del medico l’interesse prevalente è
quello di combattere la malattia, mentre
il paziente spesso ritiene che gli effetti
collaterali siano un inevitabile prezzo da
pagare per l’efficacia della cura. Un
gioco delle parti, quindi, che non giova
né al paziente né alla risoluzione della
malattia.
Da qui la necessità di trovare una
chiave nuova per riscoprire il valore di
una comunicazione a 360°, che metta al
riparo dal temibile rischio di perdere
aspetti importanti nella gestione del
percorso di cura, con ripercussioni
negative non solo sulla qualità di vita ma
sulla stessa efficacia delle terapie.
Partendo da ONCOMovies®, grazie al
contributo incondizionato di MSD Italia,
in collaborazione con Donna Salute
onlus, con la Società italiana di Psicooncologia e Pro Format Comunicazione,
si è voluto fare un ulteriore passo avanti,
dando la possibilità ai pazienti di
diventare autori di nuove storie: le loro!
Attraverso il sito www.nonausea.it,
abbiamo raccolto numerose storie di vita
“vera” e testimonianze di grande
coraggio, dignità e amore.
Grazie alla collaborazione con il
Festival Internazionale del
Cortometraggio di Roma “Corti &
Cigarettes”, è stato indetto un concorso
per giovani sceneggiatori, affinché una
delle storie pervenute potesse diventare
la base per la realizzazione di un
cortometraggio.
Il board, composto dagli oncologi
Domenica Lorusso (Istituto dei Tumori
di Milano), Massimo di Maio (Istituto
Nazionale per lo Studio e la Cura dei
Tumori, Napoli), Giovanni Rosti (Primario
di Oncologia, Ospedale di Treviso),
Emilio Bria (Oncologia Medica, Azienda
Ospedaliera Universitaria Integrata di
Verona), dalla psiconcologa Anna
Costantini, Presidente della Società
Italiana di Psiconcologia, e da
Annamaria Mancuso, Presidente
dell’Associazione Pazienti “Salute
Donna”, si è appassionato fin dall’inizio a
questo progetto, ed ha selezionato la
sceneggiatura che meglio delle altre
avrebbe potuto raccontare la storia di
una battaglia vittoriosa contro la
malattia.
Così, con pochissime risorse ma con
enorme passione ed entusiasmo, è nato il
cortometraggio “Insieme”.
Liberamente ispirato alla storia di
Giovanna ed Eugenia, per la
sceneggiatura di David Fratini e la regia di
Annamaria Liguori, il cortometraggio
“Insieme” racconta frammenti durissimi di
vita reale di una giovane donna che lotta
contro il cancro: paure e speranze, rabbie
e delusioni ma soprattutto l’energia, la
determinazione, il coraggio che la
protagonista riesce a trovare in se stessa
grazie al supporto ricevuto dalla sorella,
dal medico, dal partner. Le relazioni, gli
affetti, il dialogo si riveleranno le risorse
decisive per superare i passaggi difficili
del percorso di cura.
“Insieme” racconta anche altre storie:
quella della Dottoressa Costantini, la
psiconcologa del board, che mette a
disposizione la propria casa al mare per le
riprese; racconta la storia di attori del
calibro di Nicolas Vaporidis, Monica
Scattini, Euridice Axen e Giorgia Wurth
che decidono di prestare il loro volto per
realizzare un cortometraggio nel quale
credono; racconta di Marco Carta,
giovanissimo cantante, vincitore di
“Amici” e del Festival di Sanremo, che
concede di utilizzare gratuitamente due
suoi brani per la colonna sonora e che
decide di condividere il ricordo della sua
mamma, morta troppo giovane di
cancro.
Il 2 settembre scorso, “Insieme” è
Sondiamo... il terreno
stato presentato alla stampa e al
pubblico quale evento collaterale
della 70° Mostra Internazionale del
Cinema di Venezia, e Il 6 ottobre
“Insieme” ha sfilato ancora una volta
sul red carpet, in occasione del
Festival In ternazionale del
cortometraggio di Roma,
raccogliendo anche in questo caso un
grande successo di pubblico e degli
addetti ai lavori.
A meno di due mesi dalla sua
presentazione quasi 60 milioni di
persone hanno letto, visto, ascoltato
notizie sul cortometraggio, e oltre
10.000 persone hanno guardato
“Insieme” su Youtube,
commentandolo positivamente nel
100% dei casi.
Con questo progetto MSD ha
voluto trovare un modo nuovo, qual è
quello del linguaggio
cinematografico, per essere al fianco
di medici e pazienti.
E Giovanna ed Eugenia, che
avevano voluto condividere la loro
storia, erano lì, sedute tra il pubblico
della 70a Mostra Internazionale del
Cinema di Venezia, a testimoniare
ancora una volta che questa battaglia
si può vincere... insieme!
Il cortometraggio è disponibile
per la visione sul sito
www.nonausea.it
all’indirizzo:
http://nonausea.it/combattere-ilcancro-insieme-un-cortometraggio
* Sr Specialist, Policy & Communication,
MSD Italia.
Le vostre opinioni in un coupon
Patologie osteoarticolari
A cura di MARIA LUISA ZAMBRANO*
C
ome di consueto, attraverso i coupon
di Colloquia abbiamo intervistato i
nostri lettori sulla conoscenza e sulla
personale valutazione delle malattie
osteoarticolari. Di seguito riportiamo i
principali risultati dell’indagine.
Per comprendere la percezione della
gravità dell’osteoporosi, abbiamo chiesto
di quantificare il rischio di fratture nelle
donne dopo i 50 anni.
La figura 1 mostra che il 42% ritiene che
1 donna su 5 andrà incontro a frattura,
poco meno del 40% ritiene sia 1 donna
su 10, mentre circa il 20 pensa che
addirittura una donna su 2 andrà incontro
a frattura. Interessante osservare che gli
specialisti (di tutte le discipline, non solo
di malattie osteoarticolari) tendono a
sottovalutare il rischio rispetto ai propri
colleghi di medicina generale.
Abbiamo poi chiesto quali rischi si
corrano entro il primo anno, dopo una
frattura di femore. Tra gli intervistati, è
ampia la consapevolezza di un alto rischio
di morte o di nuova frattura.
La figura 2 evidenzia inoltre che stavolta
sono gli specialisti ad attribuire alla
frattura di femore un rischio maggiore
rispetto ai colleghi di medicina generale.
La terza domanda ha riguardato
l’argomento dolore. Abbiamo chiesto
quali obiettivi deve soddisfare una terapia
antinfiammatoria. Nella figura 3 è
mostrato che gli intervistati, in egual
misura, hanno dato la priorità all’efficacia
antalgica insieme all’assenza di effetti
gastrointestinali. Al terzo posto troviamo il
non aumento di eventi cardiovascolari
insieme al sollievo dal dolore per 24 ore
(attributi ritenuti leggermente più
importanti dagli specialisti).
La quarta e ultima domanda ha infine
riguardato i canali di aggiornamento
riguardo alle patologie osteoarticolari.
La figura 4 mostra che in questo caso le
preferenze di medici di medicina generale
e specialisti divergono notevolmente.
Gli specialisti, infatti, preferiscono
innanzitutto siti e portali online seguiti
dagli incontri con i colleghi, ma con una
importante preferenza (il 25%) verso le
FAD online. I medici di medicina generale
preferiscono invece gli incontri con i
colleghi (44,5%) e gli opinion leader
(14,2 %) e solo in misura minore
apprezzano l’aggiornamento online.
In conclusione, possiamo affermare
che sia i medici di medicina generale che
gli specialisti sono consapevoli
dell’importante rischio di fratture cui va
incontro una donna dopo i cinquant’anni,
sulle terapie antinfiammatorie chiedono
che siano rapidamente efficaci senza
importanti effetti collaterali e desiderano
ricevere aggiornamenti scientifici in
merito sia attraverso incontri personali
(medici di medicina generale) che online
(specialisti).
*Specialist Market Research & Analytics,
MSD Italia.
COLLOQUIA 29
Sondiamo... il terreno
|
Patologie osteoarticolari
� Quante donne di età superiore ai 50 anni
andranno incontro a fratture di tipo
osteoporotico nei successivi anni di vita?
� Quali rischi si corrono entro il primo anno
dopo una frattura di femore?
Non si corrono rischi
1 su 10
37,4%
43,4%
39,2%
1 su 5
4,7%
2,7%
4,1%
Nel 20% dei casi si muore
43,3%
38,9%
42,0%
33,5%
38,9%
35,1%
Il rischio di fratturarsi è doppio
1 su 2
61,8%
58,4%
60,8%
19,3%
17,7%
18,8%
Altro
0,0%
0,0%
0,0%
� Nella somministrazione di una terapia
antinfiammatoria quali obiettivi devono
essere soddisfatti (possibilità risposta multipla)?
Efficacia analgesica nel dolore acuto
� Per il trattamento delle patologie
osteoarticolari, quale canale preferisce
per il suo aggiornamento scientifico
(possibilità risposta multipla)?
Incontri residenziali con i colleghi
23,4%
23,3%
23,3%
44,5%
28,9%
39,7%
Sollievo dal dolore per 24 ore
12,0%
14,7%
12,9%
Incontri residenziali con top OL
14,2%
9,2%
12,7%
Assenza di effetti gastrointestinali gravi
quali ulcere o emorragie
24,2%
24,4%
24,3%
FAD online
Efficacia nel trattamento dell’infiammazione e/o
del dolore acuto laddove altri farmaci hanno fallito
18,9%
25,7%
21,0%
10,3%
9,4%
10,0%
Non aumento del rischio di eventi cardiovascolari
Siti e portali online
19,5%
13,8%
15,7%
14,4%
34,9%
24,2%
Rapidità di insorgenza dell’effetto desiderato
6,4%
4,4%
5,8%
Buon rapporto costo-beneficio
9,9%
8,1%
9,3%
Altro
2,9%
1,3%
2,4%
Altro (specificare)
0,0%
0,0%
0,0%
30 COLLOQUIA
MMG
Specialista
Totale medici
L’ULTIMA PAROLA
di Giuseppe De Rita*
Quella “sospensione”
fra dramma e quotidianità
Il tumore diventa un problema sociosanitario, dove vincono i bisogni
e gli atteggiamenti dei pazienti che richiedono terapie sempre più
personalizzate, più attenzione agli impatti psicologici della malattia,
più accoglienza e condivisione da parte della comunità locale.
uò apparire strano, ma nell’opinione
P della gente comune hanno perso
centralità, negli ultimi anni, l’attenzione
e le paura verso le patologie tumorali,
cioè verso il “cancro” come incubo
incombente sulle nostre vite.
Un cedimento di tensione che certo ha il
suo motore nella crescente importanza
che diamo alle malattie della vecchiaia o
alle patologie cardiovascolari (l’incubo
prevalente è quello di invecchiare in uno
stato di non autosufficienza oppure
quello di essere fulminati da un ictus o
un infarto); ma che forse è legato anche
ad uno stadio di sospensione psicologica
che la gente ha nei confronti del
fronteggiamento del tumore. Per anni
questo è sembrato una condanna senza
appello, poi un male incurabile ma da
combattere con pazienza e coraggio, poi
è andata maturando con l’attesa di un
trattamento medico-sanitario capace di
dare più speranza e certezze per il futuro.
Il miracolo del farmaco pienamente
vittorioso non è avvenuto, ma nella
psicologia collettiva non ci si sente più
in un tunnel senza uscita, ma in un
campo aperto alla intelligenza media
delle ricerche scientifiche dove qualcosa
di buono può sempre avvenire. Dalla
paura e dall’incubo si passa ad una
ragionevole attesa di buone notizie e di
buone prassi.
Non so se sia un atteggiamento
giusto, perché rischia di scivolare verso
una propensione ad abbassare la guardia
rispetto ad una patologia che resta
minacciosa e centrale nella vita della
collettività (resta sempre la maggiore
causa di morte sotto i 70 anni di età);
ma è un atteggiamento che dobbiamo
realisticamente accettare. Anche perché
corrisponde a quel che accade nel corso
della malattia: nella fase acuta, fin
dall’annuncio si ha prima paura e poi
voglia di reagire, aiutando con tale
reazione il superamento sanitario della
prima drammatizzazione; dopo la
conclusione della fase acuta, il
trattamento si sposta verso una fase di
mantenimento di una buona qualità
della vita, fase affidata alla famiglia,
all’associazionismo, alla comunità locale.
Il tumore diventa così un problema
sociosanitario, dove vincono i bisogni e
gli atteggiamenti dei pazienti che
richiedono terapie sempre più
personalizzate, più attenzione agli
impatti psicologici della malattia, più
accoglienza e condivisione da parte della
comunità locale. Lo spostamento dalla
paura iniziale (in previsione di perdere la
vita) ad una più o meno sofferta
accettazione del carattere quasi “cronico”
(o almeno di lunga durata) della
malattia è chiaramente la chiave che
spiega quella “sospensione” fra dramma
e quotidianità che ho citato all’inizio.
Come per tutti i problemi italiani lo
spostamento verso la quotidianità,
il sociale, la comunità locale mette in
circuito una relativa serenità di vita.
Ma anche da chi, come me, crede
fermamente nella quotidianità, nel
sociale, nella comunità, va detto che non
basta uno spostamento inerte delle
responsabilità: occorre “armare” tali
responsabilità: bisogna che il territorio
abbia adeguate strutture di intervento
sociale (oltre che naturalmente
sanitario); occorre che vi siano più
servizi di riabilitazione; occorre rendere
disponibili le informazioni necessarie per
gestire le varie fasi del percorso di cura;
occorre stabilire rapporti significativi con
le realtà economiche e aziendali locali
(per poter sviluppare strumenti che
permettano il reinserimento pur parziale
nel lavoro dei malati); occorre sostenere,
anche finanziariamente ove occorra,
le famiglie che restano comunque
insostituibile perno del lavoro di
sostegno; occorre riprendere la strada
dello sviluppo di una medicina
territoriale capace di connettere le diverse
competenze che possano aiutare i singoli
ad uscire dalle tentazioni di solitudine
che comunque i malati subiscono spesso
nelle loro diverse vicende.
La civiltà di un popolo come il nostro
si è sempre misurata sulla qualità della
vita dei suoi territori, quelli “elettivi”
come quelli più marginali. E questa
banale verità vale anche per il complesso
delle attenzioni e delle cure che
dobbiamo ai malati di tumore che hanno
superato la fase acuta e che proprio nel
territorio possono trovare le strutture in
cui, per loro, si integrano sanità e sociale,
impegno familiare ed esistenza di reti
lunghe di informazione e sostegno,
presenza degli enti locali e vitalità
dell’associazionismo e del volontariato,
risorse pubbliche e responsabilità private.
Restiamo quindi oggettivamente
“in sospensione” almeno quanto sospesi
siamo in termini di psicologia collettiva.
Ma con la consapevolezza che dietro la
sospensione ci sono impegni molto seri
di azione dei vari soggetti e dei vari
territori.
*Segretario Generale Fondazione Censis.
COLLOQUIA 31
APPASSIONATI ALLA VITA
CI SONO MOMENTI CHE VALGONO ANNI DI RICERCA.
Ogni giorno portiamo la passione per la vita nei nostri laboratori,
nei nostri uffici, negli ospedali, nelle vostre case.
Lavoriamo per migliorare la salute attraverso
la ricerca e lo sviluppo di farmaci e vaccini innovativi.
Il nostro impegno raggiunge tutti, anche attraverso programmi
umanitari di donazione e distribuzione di farmaci.
Per assicurare ad ogni singola persona un futuro migliore.
www.univadis.it www.contattamsd.it [email protected] www.msd-italia.it 09-13-MSD-2011-IT5849-J
Be well.
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