Anno 18, numero 4 – ottobre-dicembre 2013 CORP-1099039-0000-MSD-NL-10/2015 Poste italiane S.p.a. Sped. abb. postale - 70% - DCB - Roma Colloquia 4/13 4 Focus Oncologia 20 Pink Project 27 Quella “sospensione” fra dramma e quotidianità Colloquia Anno 18 | N. 4 | ottobre-dicembre 2013 Periodico trimestrale riservato alla classe medica edito in collaborazione con Indice EDITORIALE eColloquia Via Vitorchiano 151 – 00189 Roma Tel 06 36 19 11 – Fax 06 36 380 311 www.univadis.it 3 FOCUS ONCOLOGIA Oncologia tra presente e futuro 8 Enrico Cortesi Che cos’è la target therapy 10 Carmine Pinto Qualità di cura, terapia e terapie di supporto 14 Paolo Marchetti Un’attenzione costante ai diritti delle donne malate di tumore 16 Intervista ad Annamaria Mancuso La comunicazione sul cancro: dal tabù ai racconti in prima persona 18 A cura di Carla Massi LA MEDICINA E LE ARTI Pink Project 24 Intervista a Francesca Tilio di Monica Ricci LA MSD SI RACCONTA “Insieme”, un cortometraggio per raccontare il tumore 28 A cura di Emanuela Tanini SONDIAMO... IL TERRENO Patologie osteoarticolari 29 A cura di Maria Luisa Zambrano LE RUBRICHE SECONDO ME... di Giacomo Milillo La medicina di famiglia e il paziente oncologico 20 A cura di Giacomo Milillo, Luciana Cacciotti SALUTE ED ECONOMIA di Federico Spandonaro Oncologia: innovazione, mercato, equità di accesso alle cure 21 L’ULTIMA PAROLA di Giuseppe De Rita Quella “sospensione” fra dramma e quotidianità 31 Ogni farmaco menzionato deve essere usato in accordo con il relativo riassunto delle caratteristiche del prodotto fornito dalla ditta produttrice. Numero verde 800 23 99 89 Anno 18 N. 4 – ottobre-dicembre 2013 ISSN 1124-3805 Registrazione del Tribunale di Roma n. 244 del 16.05.1996 Il Pensiero Scientifico Editore Via San Giovanni Valdarno 8 – 00138 Roma Tel 06 862 821 – Fax 06 862 82 250 Internet: www.pensiero.it Stampa: Arti Grafiche Tris, Roma – dicembre 2013 Direttore responsabile: Giovanni Luca De Fiore Redazione: Manuela Baroncini Progetto grafico: Antonella Mion Prezzo: Fascicolo singolo €15,00 I contenuti pubblicati dalla rivista rispecchiano le opinioni degli Autori e non necessariamente quelle dell’Editore o della MSD Italia S.r.l. Contattando la redazione, è possibile richiedere le bibliografie relative ai singoli articoli. Le immagini: Gerhard Richter (1932) In copertina: Fuji,1996 Pag. 8 Abstraktes Bild, Courbet, 1986 Pag. 10 Kegel (Cone), 1985 Pag. 12 Abstract painting (555), 1984 Pag. 13 Untitled (14.4.86), 1986 Pag. 14 Cage 4, 2006 Pag. 16 Kerze, 1982 Pag. 17 Kerze II, 1989 Pag. 19 FAZ-Uebermalung, 2002 Frank Auerbach (1931) Pag. 20 Portrait of JYM Seated, 1976 Jasper Johns (1930) Pag. 21 0 through 9, 1961 Jules Olitski (1922-2007) Pag. 31 Prince Patutsky triumph over Kaiser Hymie, 1964 L’Editore rimane a disposizione di quanti avessero a vantare ragioni sulla riproduzione delle immagini pubblicate. Editoriale e-Colloquia: dalla carta al digitale e-Colloquia: non parleremo di “nuovo format editoriale”, quanto di uno strumento radicalmente rinnovato per contribuire a soddisfare i bisogni informativi in gran parte nuovi dei professionisti della sanità. PIERLUIGI ANTONELLI* S ostenibilità. Qualsiasi decisione siamo chiamati a prendere è ormai – e da diverse stagioni – filtrata attraverso questa parola, diventata uno dei termini più familiari degli ultimi anni. Sostenibilità vuol dire compatibilità con le risorse di cui si dispone, non soltanto economiche ma anche – se non soprattutto – di altri beni che sempre più diffusamente scarseggiano: tempo e attenzione. La sanità è un ambito in cui l’insostenibilità di molte scelte è frequentemente discussa: sia nel campo della ricerca sia in quello dell’assistenza. Ha fatto scuola – nell’uno e nell’altro settore – un articolo chiave di Sir Ian Chalmers e Paul Glasziou pubblicato su The Lancet nel 2009 che indicava negli sprechi evitabili uno dei principali obiettivi della sanità dei prossimi anni. Di fronte a questa “emergenza” molti hanno la tentazione di Qualcosa di autenticamente innovativo nella misura in cui potrà accompagnare o motivare il cambiamento dei percorsi di aggiornamento culturale del medico, del farmacista o del decision maker istituzionale. Un aspetto, infine, da sottolineare con particolare enfasi: il legame tra sostenibilità, innovazione e condivisione. La prima – vuoi economica, vuoi ambientale – cresce insieme alla capacità di cambiare e quest’ultima è tanto più a portata di mano se diventa obiettivo di un impegno partecipato. Le nuove tecnologie della comunicazione offrono questa possibilità: i contenuti che proporremo su e-Colloquia non soltanto raggiungeranno un numero di destinatari molto maggiore (a costi economici ed ambientali assai ridotti) ma potranno essere commentati e condivisi da utenti che rispondere in modo – per così dire – conservatore: però, se quella – ci auguriamo – potranno presto trasformarsi da fruitori in sintetizzata dalla formula “fare di più non significa fare meglio” produttori di informazioni e conoscenze, in un processo di (mutuata dalla iniziativa Choosing Wisely che ha coinvolto generazione di saperi al quale MSD Italia sarà numerose società scientifiche statunitensi) è per molti aspetti una felice di dare il proprio contributo al pari prospettiva seducente, un’opzione almeno altrettanto degli altri attori. convincente è cogliere le opportunità offerte dalla tecnologia per indirizzare attività e progetti in una direzione di maggiore sostenibilità. Nelle pagine che seguono sono descritte le novità principali di e-Colloquia e le caratteristiche Non è detto – in altre parole – che una maggiore “lentezza” fondamentali del nuovo corso sia la risposta obbligata alle sfide che la Medicina e la Scienza ci della rivista. Come ha scritto il propongono quotidianamente. più innovativo dei direttori di riviste È questo il senso di e-Colloquia: non parleremo di “nuovo scientifiche, Richard Smith, è tempo che i format editoriale”, quanto di uno strumento radicalmente medical journals passino dalla condizione di bruco rinnovato per contribuire a soddisfare i bisogni informativi in gran a quella di farfalla: ed è nelle cose che la seconda, oltre parte nuovi dei professionisti della sanità. ad essere più dinamica e rapida, sia anche più bella... *Managing Director MSD. COLLOQUIA 3 Perché da Colloquia a e-Colloquia? Per la sostenibilità ambientale... Dieci risme di carta corrispondono più o meno al 5% di un albero; per una rivista come Colloquia si usano circa 90 risme, cioè 45.000 fogli, quindi più della metà di un pino alto 15 metri. Ci vogliono 100 litri di acqua per produrre 1 kg di carta. Il cloro e i composti ossidanti con cui si effettua il processo di sbiancamento della carta se dispersi o non opportunamente trattati possono inquinare i corsi d’acqua. Avete ancora il cuore di parlare di “profumo” della carta? ... per liberare spazio La dematerializzazione è la conversione di un qualunque documento cartaceo in un formato digitale. In Italia è prevista dal D.Lgs. 82/2005. La dematerializzazione di solo il 10% dei documenti e degli archivi pubblici genererebbe un risparmio di 3 miliardi di euro. ... per condividere Perché su Internet, in un minuto, vengono visualizzati 1,3 milioni di video e condivisi 20 milioni di foto. ... per la facilità di consultazione Il 50% di chi possiede un tablet oramai preferisce leggere news, riviste e libri sullo schermo piuttosto che su carta. ... per la portabilità 5,5 miliardi di persone vanno on line su un dispositivo mobile e solo 1,5 tramite desktop. Per tutti questi motivi Colloquia diventa e-Colloquia Editoriali di opinion leader su attualità, clinica e politica sanitaria Gallerie di immagini Weblink per accedere direttamente alle fonti Rubriche di approfondimento sui rapporti tra sanità e tecnologia Audio, video, animazioni e infografiche La nuova versione digitale sarà scaricabile dal sito di Univadis (www.univadis.it) focus Oncologia Oncologia tra presente e futuro C ome attraverso un caleidoscopio, che utilizza specchi e frammenti di vetro colorati per creare una molteplicità di strutture simmetriche, la diagnosi molecolare ha contribuito nell’ultimo decennio a rivelare l’eterogeneità della patologia neoplastica e la complessità delle sue proprietà biologiche. L’immediata rilevanza clinica della classificazione molecolare dei tumori risiede principalmente nella sua capacità di stratificare i pazienti per gruppi a prognosi diversa e nella possibilità di predire quali trattamenti abbiano le maggiori probabilità di successo. Nell’era della personalizzazione delle terapie, le evidenze scientifiche a sostegno dell’eterogeneità biologica del cancro hanno consentito di identificare un numero considerevole di possibili bersagli terapeutici, avviando il processo di cambiamento della strategia terapeutica dall’utilizzo quasi esclusivo di farmaci 8 COLLOQUIA Nell’era della genomica del cancro si rende necessario un sostanziale cambiamento nello sviluppo clinico di farmaci a bersaglio molecolare. Diversi aspetti devono essere tenuti in considerazione per integrare efficacemente l’analisi molecolare nel disegno di studi clinici prospettici. ENRICO CORTESI* citotossici all’impiego di farmaci a bersaglio molecolare. Tra questi, gli inibitori di protein-chinasi, piccole molecole in grado di inibire vie di segnale attive a livello intracellulare, giocano oggi un ruolo cruciale nella terapia oncologica, accanto agli anticorpi monoclonali, diretti contro molecole chiave per la sopravvivenza e la replicazione delle cellule tumorali, che già da tempo sono entrati nell’armamentario terapeutico contro il cancro. A partire dalla pionieristica esperienza nel cancro della mammella con trastuzumab (anticorpo monoclonale antiHER2), passando per l’impiego di gefitinib ed erlotinib (inbitori tirosin-chinasici di EGFR) nel carcinoma polmonare non a piccole cellule, fino alla recente esperienza nel melanoma con vemurafenib (inibitore di BRAF) e nel carcinoma polmonare non a piccole cellule con crizotinib (ALK/MET inibitore), è emerso che il successo dello sviluppo e dell’uso clinico di farmaci a bersaglio molecolare è quanto mai legato all’identificazione di marcatori predittivi di risposta alla terapia, elemento chiave per la individualizzazione del trattamento. L’applicazione clinica più concreta della diagnostica molecolare in oncologia sembra pertanto associata alla ricerca di biomarcatori in grado di identificare i sottogruppi di pazienti che avranno maggiore beneficio dalla terapia con anticorpi monoclonali, come nel caso delle mutazioni di KRAS (fattore predittivo di resitenza al cetuximab) o con inibitori di tirosin-chinasi, come nel caso delle mutazioni attivanti di EGFR (marcatore predittivo di risposta a gefitinib ed erlotinib). Il ruolo predominante che la diagnostica molecolare ha recentemente guadagnato nella gestione clinica dei pazienti oncologici richiede lo sviluppo di test diagnostici robusti e impone criteri rigorosi per la standardizzazione dei test e per la loro validazione clinica. L’introduzione di analisi molecolari altamente sensibili ha rivelato la coesistenza di multiple mutazioni in cloni di cellule tumorali diversi, presenti nel contesto di uno stesso frammento di tessuto. Alla luce delle evidenze a supporto di una tale eterogeneità intratumorale, ulteriormente complicata dalla pressione selettiva esercitata dalle terapie a bersaglio molecolare sulle diverse sottopopolazioni di cellule tumorali, l’accuratezza dell’analisi del profilo molecolare di un tumore su una singola biopsia appare Focus Oncologia limitata e di scarsa rilevanza clinica. È questa la base teorica per l’identificazione di procedure ripetibili e minimamente invasive che consentono oggi di studiare il profilo molecolare di un tumore non più soltanto su frammenti di tessuto tumorale, ma anche attraverso l’analisi del profilo di espressione genica su “biopsia liquida”, ovvero su cellule tumorali circolanti o DNA tumorale circolante presenti nel sangue periferico di soggetti affetti da neoplasie. Con il numero crescente di terapie a bersaglio molecolare approvate o in fase di sperimentazione in oncologia, l’idea di poter disporre di un ritratto molecolare completo del singolo tumore, sulla base dell’espressione di un pannello di biomarcatori, offre di fatto una serie di possibili vantaggi legati all’immediata disponibilità di informazioni che consentano una scelta terapeutica mirata, così come alla possibilità di velocizzare i tempi di arruolamento dei pazienti in studi clinici mirati. In un momento storico in cui in oncologia le conoscenze sulla biologia dei tumori crescono con velocità sorprendente, l’analisi molecolare delle vie di segnale dominanti | Oncologia tra presente e futuro considerazione per integrare efficacemente l’analisi molecolare nel disegno di studi clinici prospettici. L’eterogeneità biologica intratumorale, per esempio, impone di determinare a priori la rilevanza clinica delle diverse mutazioni identificate nel contesto di un singolo tumore, distinguendo le alterazioni geniche di vie di segnale dominanti da quelle presenti in cloni tumorali minori, non rilevanti dal punto di vista della scelta terapeutica. Oltre alle difficoltà nell’interpretazione clinica del profilo molecolare di un tumore, i criteri di eleggibilità ancora basati sulla classificazione istologica dei tumori rendono il disegno attuale di gran parte degli studi clinici inadeguato, impedendo di fatto l’accesso alle terapie a bersaglio molecolare in studio a pazienti con varianti molecolari simili di neoplasie diverse. La progressiva sottoclassificazione dei tumori, così, limita lo sviluppo clinico dei farmaci biologici, rallentando notevolmente i tempi di arruolamento dei pazienti negli studi clinici. Studi esplorativi di fase I-II o la costruzione di network multicentrici in cui la caratterizzazione molecolare dei tumori faciliti l’inclusione dei Con il numero crescente di terapie a bersaglio molecolare approvate o in fase di sperimentazione in oncologia, l’idea di poter disporre di un ritratto molecolare completo del singolo tumore, sulla base dell’espressione di un pannello di biomarcatori, offre di fatto una serie di possibili vantaggi legati all’immediata disponibilità di informazioni che consentano una scelta terapeutica mirata, così come alla possibilità di velocizzare i tempi di arruolamento dei pazienti in studi clinici mirati. nel singolo tumore offre lo strumento necessario per integrare il profilo di espressione genica nella gestione clinica del malato oncologico. Conoscere le basi molecolari del cancro ha un notevole impatto clinico anche in relazione alla comprensione dei meccanismi di resistenza alla terapia. L’efficacia dei farmaci a bersaglio molecolare, infatti, è limitata da una varietà di meccanismi di resistenza alla terapia, in termini sia di resistenza primaria o innata in tumori teoricamente dipendenti dalla via di segnale dominante identificata, sia di resistenza acquisita o secondaria verso terapie alle quali il tumore era inizialmente sensibile. La combinazione di terapie dirette verso multipli bersagli molecolari, parallelamente a quanto accaduto con l’associazione di farmaci chemioterapici diversi in regimi di combinazione, rappresenta verosimilmente la chiave per superare i suddetti meccanismi di resistenza alle terapie biologiche, aumentando tasso e durata della risposta clinica alla combinazione di più farmaci o consentendo terapie di salvataggio per pazienti in progressione di malattia sotto trattamento. Il numero delle combinazioni terapeutiche possibili è virtualmente illimitato, pertanto il ruolo che la ricerca preclinica riveste nel presente dell’oncologia è destinato nel futuro prossimo a guadagnare attenzione crescente da parte della comunità scientifica. È auspicabile infatti che la gestione del percorso terapeutico del paziente oncologico sia competenza di un gruppo multidisciplinare di oncologi clinici e molecolari, con l’obiettivo di condurre ed interpretare gli studi clinici alla luce di un comune approccio sperimentale. Nell’era della genomica del cancro, infatti, si rende necessario un sostanziale cambiamento nello sviluppo clinico di farmaci a bersaglio molecolare. Diversi aspetti devono essere tenuti in pazienti negli studi clinici possono rappresentare una possibile soluzione. Il disegno tradizionale degli studi di fase III per la validazione dell’utilità clinica di biomarcatori prevede che pazienti selezionati per una data alterazione molecolare vengano randomizzati a ricevere il solo trattamento standard o lo stesso associato alla specifica terapia a bersaglio molecolare e successivamente confrontati per endpoint predefiniti quali la sopravvivenza libera da progressione o la sopravvivenza globale. Un simile modello di studio è difficilmente applicabile quando l’alterazione molecolare è poco frequente e l’arruolamento dei pazienti conseguentemente lento. In assenza di un gruppo di controllo, per uno studio di fase II non randomizzato, che preveda l’inclusione di pazienti selezionati sulla base delle caratteristiche molecolari della malattia, gli unici endpoint clinici affidabili sono il tasso di risposte obiettive e la durata della risposta clinica, prescindendo così dalle difficoltà interpretative dei dati sulla sopravvivenza libera da progressione. Studi di fase II così disegnati possono fornire informazioni clinicamente rilevanti sull’attività di farmaci a bersaglio molecolare in sottogruppi di pazienti biologicamente preselezionati, consentendo la rapida approvazione di nuove terapie da parte degli enti regolatori, come accaduto di recente per crizotinib in pazienti affetti da carcinoma polmonare non a piccole cellule con riarrangiamenti genici di ALK. In conclusione, l’immagine multisfaccettata del cancro che il caleidoscopio della diagnosi molecolare ci offre è lo strumento per l’integrazione tra scienza e tecnologia, vera sfida dell’oncologia moderna tra presente e futuro. * Oncologia Medica, Policlinico Umberto I, Roma. COLLOQUIA 9 focus Oncologia Che cos’è la target therapy Q uasi il 60% dei pazienti con diagnosi di tumore sopravvive a 5 anni, e questo progresso è dovuto al miglioramento globale delle strategie di controllo dei tumori, a cui oggi si accompagna sempre di più lo sviluppo di terapie “personalizzate” mirate su target molecolari, che configurano quelle che oggi definiamo target therapy. L’introduzione di una terapia “personalizzata”, cioè diretta contro un determinato bersaglio cellulare alla base del processo di cancerogenesi e di diffusione della neoplasia, consentendo una selezione su base “molecolare” dei pazienti, da un lato ha permesso un miglioramento delle sopravvivenze e dall’altro ha evitato inutili tossicità in pazienti identificati ab initio come “resistenti” e, di conseguenza, anche una razionalizzazione delle risorse economiche. Alterazioni molecolari e bersagli cellulari Queste alterazioni molecolari possono riguardare il DNA e/o l’RNA e possono essere rappresentate da: mutazioni puntiformi, delezioni, riarrangiamenti o fusioni di geni, alterazioni di sequenze, livelli alterati di espressione di trascritti, alterate espressioni allele-specifiche. Oggi sono già disponibili differenti tecnologie, e nuove e più sensibili tecnologie si affacciano già nella pratica di laboratorio per poterle identificare. Il progresso tecnologico sta inoltre comportando due tipi di vantaggi: una riduzione progressiva dei costi per i diversi test molecolari e la possibilità di eseguire su un singolo campione di tessuto più valutazioni contemporaneamente, con le conseguenti implicazioni cliniche. Le alterazioni molecolari di un oncogenic pathways non sono sempre predittive per un’attività di farmaci target. 10 COLLOQUIA Se gli avanzamenti della ricerca ed i miglioramenti delle cure in oncologia sono e saranno rappresentati sempre più dall’integrazione tra identificazione di target molecolari e sviluppo di specifici farmaci, la sfida sarà quella di rendere compatibili questi indiscutibili progressi ed innovazioni con le risorse e l’organizzazione del nostro Sistema Sanitario Nazionale. CARMINE PINTO* Focus Oncologia L’attivazione di un pathway oncogenico può avere inoltre un ruolo differente nei diversi tumori, e differenti alterazioni molecolari dello stesso oncogene possono non essere biologicamente equivalenti. Obiettivo della ricerca in oncologia è quindi quello di individuare le alterazioni molecolari cosiddette driver, che possono condizionare la risposta ad uno specifico farmaco. Va inoltre considerato che il profilo molecolare di un tumore può significativamente modificarsi nel corso di trattamenti con farmaci target, cioè si possono verificare delle alterazioni molecolari secondarie e quindi resistenze acquisite. Quali sono i potenziali benefici di una target therapy: • selezione dei pazienti per resistenza/sensibilità ad un farmaco target, con un vantaggio sia di attività (si utilizza il farmaco nel paziente giusto), sia di tossicità (non viene utilizzato il farmaco nel paziente che è noto essere resistente); • razionalizzazione della spesa e delle risorse, limitando l’utilizzo di questi farmaci “ad alto costo” in un setting definito di pazienti. L’approvazione all’impiego clinico in oncologia di farmaci diretti contro specifici bersagli cellulari richiede un’organizzazione ed una condivisione di processi/percorsi che coinvolgono oncologi medici, patologi e biologi molecolari e istituzioni sanitarie. Risulta necessario definire le basi per garantire ai pazienti l’accesso ad un test molecolare indicato per un farmaco a specifico target: • disponibilità adeguata di tessuto per poter eseguire i test. Nel caso del tumore del colon la quantità di tessuto disponibile dopo chirurgia non limita le determinazioni, mentre nel caso del tumore del polmone il più delle volte risultano disponibili solo biopsie con quantità limitate di campioni; • test molecolari ripetibili con metodiche robuste; • laboratori che eseguono i test validati sulla base di controlli di qualità nazionali; • tecnologie sensibili ed a costo “accettabile”; • organizzazione dei “percorsi” dei tessuti; • implementazione e riduzione dei tempi del processo dal centro che ha fatto la diagnosi istologica al centro di diagnostica molecolare, che possono anche far parte di strutture differenti e geograficamente distanti. La terapia personalizzata nella pratica clinica Realtà già definite di terapia personalizzata nella pratica clinica sono rappresentate dal carcinoma della mammella e dal carcinoma dello stomaco con iper-espressione/ amplificazione di HER-2 che risultano sensibili al trattamento con l’anticorpo | Che cos’è la target therapy? monoclonale anti-HER-2 trastuzumab, dal carcinoma del colon-retto con oncogene RAS wild type che risulta responsivo ad una terapia con gli anticorpi monoclonali anti-EGFR cetuximab e panitumumab, dall’adenocarcinoma del polmone con gene EGFR mutato che è sensibile al trattamento con gli inibitori di tirosina chinasi (TKi) gefitinib, erlotinib e afatinib, dall’adenocarcinoma del polmone con riarrangiamento di ALK-EML4 e ROS-1 responsivo al trattamento con crizotinib, e dal melanoma con mutazione di BRAF sensibile al trattamento con vemurafenib e dabrafenib (tabella I). Nelle donne con carcinoma della mammella, la popolazione con Tabella I. Farmaci a bersaglio molecolare registrati in base a specifici biomarker. Agente Biomarker Tumore Indicazione registrativa in Italia (AIFA) Imatinib c-Kit espresso (mutato) GIST Metastatico, adiuvante alto rischio Trastuzumab HER2 iperespressione/ amplificazione Carcinoma mammario Carcinoma gastrico Adiuvante, neoadiuvante, metastatico in monoterapia o in combinazione con chemioterapia Metastatico in combinazione con cisplatino e 5-fluorouracile/capecitabina Pertuzumab HER2 iperespressione/ amplificazione Carcinoma mammario Metastatico o ricorrente localmente in I linea in combinazione con docetaxel e trastuzumab; in corso iter per rimborsabilità AIFA; al momento in fascia Cnn Lapatinib HER2 iperespressione/ amplificazione Carcinoma mammario Metastatico/avanzato in combinazione con capecitabina in pazienti in progressione dopo trastuzumab Cetuximab KRAS wild type Carcinoma del colon-retto Metastatico in combinazione con chemioterapia o in monoterapia Panitumumab All RAS wild type Carcinoma del colon-retto Metastatico pretrattato in monoterapia Metastatico in combinazione con chemioterapia in corso iter per rimborsabilità AIFA Gefitinib EGFR mutato Adenocarcinoma del polmone Stadio IIIB-IV Erlotinib EGFR mutato Adenocarcinoma del polmone Stadio IIIB-IV Afatinib EGFR mutato Adenocarcinoma del polmone Stadio IIIB-IV; in corso iter per registrazione AIFA Crizotinib EML4-ALK fusione NSCLC Stadio IIIB-IV; in corso iter per rimborsabilità AIFA; al momento attivazione legge 648 Vemurafenib BRAF mutato Melanoma Metastatico/inoperabile Dabrafenib BRAF mutato Melanoma Metastatico/inoperabile; in corso iter per rimborsabilità AIFA COLLOQUIA 11 Focus Oncologia | Che cos’è la target therapy iperespressione e/o amplificazione di HER2+ (pari a circa il 20% della popolazione totale), l’introduzione nel regime di chemioterapia dell’anticorpo monoclonale anti-HER2 trastuzumab sia nel setting del trattamento adiuvante sia in quello della malattia metastatica ha determinato un significativo miglioramento della sopravvivenza globale o overall survival (OS). Se il trastuzumab rappresenta la prima generazione di farmaci anti-HER2, oggi abbiamo già disponibili anticorpi di seconda generazione quali il T-DM1 (trastuzumab emtansine) ed il pertuzumab. Il T-DM1 coniuga l’attività del trastuzumab con quella citotossica inibitoria dei microtubuli del DM1. In pazienti con carcinoma mammario metastatico HER2+, in progressione dopo trattamento con regimi contenenti taxani e trastuzumab, il T-DM1 ha dimostrato un vantaggio significativo quando confrontato nello Studio Emilia con la combinazione capecitabina più lapatinib. Il pertuzumab è un anticorpo monoclonale che lega HER2 in un differente epitopo rispetto a quello bersaglio del trastuzumab, impedendone la dimerizzazione e la conseguente attivazione. Nello studio di fase III Cleopatra, il pertuzumab in combinazione con trastuzumab e docetaxel, in I linea in pazienti con carcinoma mammario metastatico HER2+, ha dimostrato una significativa maggiore efficacia nei confronti di trastuzumab e docetaxel. Il ruolo di HER2 è stato valutato anche nel carcinoma gastrico avanzato. Circa il 20% della popolazione risulta essere HER2+, con una maggiore frequenza per i tumori della giunzione gastro-esofagea rispetto alle forme distali e per l’istotipo intestinale rispetto al diffuso, in cui la positività per HER2 può raggiungere il 30% dei casi. Nello studio ToGa l’introduzione del trastuzumab in combinazione con cisplatino/fluoropirimidina, in I linea in pazienti con carcinoma gastrico avanzato HER2+, ha prodotto un significativo vantaggio in risposte obiettive o response rate (RR), sopravvivenza libera da progressione o progression free survival (PFS) e OS rispetto al solo cisplatino/fluoropirimidina. Viene 12 COLLOQUIA considerata HER2+ la popolazione con HER2 2+ all’immunostochimica e ISH+, o con HER2 3+ all’immunoistochimica. Sono in corso studi con anticorpi antiHER2 di seconda generazione, e cioè con il T-DM1 in pazienti in progressione dopo trastuzumab (Studio Gatsby) ed il pertuzumab in I linea (Studio JACOB) La caratterizzazione molecolare dei pazienti con carcinoma del colon-retto metastatico (CCRM) sulla base del test per le mutazioni di KRAS (codone 12 e 13 dell’esone 2) ha rappresentato un importante progresso in questa patologia, permettendo di escludere dal trattamento con gli anticorpi monoclonali (mAb) anti-EGFR cetuximab e panitumumab, una popolazione chiaramente resistente. In questo setting di pazienti nello studio CRYSTAL la combinazione FOLFIRI + cetuximab rispetto al solo FOLFIRI determinava un significativo vantaggio in OS. Le mutazioni dei codoni 12 e 13 di KRAS hanno rappresentato fino ad agosto 2013 l’unico criterio previsto dalle Agenzie regolatorie europee e nazionali (EMA, AIFA) per la selezione su base molecolare dei pazienti con CCRM da sottoporre a trattamento con farmaci anti-EGFR. La popolazione KRAS wild type così considerata rappresenta circa il 60% dei CCRM. Ulteriori approfondimenti nella caratterizzazione molecolare del CCRM hanno permesso di individuare altre mutazioni che possono intervenire nella resistenza al trattamento con mAb anti-EGFR. I dati della rivalutazione molecolare dello studio di fase III PRIME hanno suggerito che anche mutazioni negli esoni 3 e 4 di KRAS e negli esoni 2, 3 e 4 di NRAS rappresentano fattori di possibile resistenza al panitumumab. In particolare, la popolazione di pazienti con CCRM definito come all RAS wild type presentava nello studio PRIME un significativo vantaggio in OS con Focus Oncologia l’impiego del panitumumab in combinazione con FOLFOX rispetto alla sola chemioterapia. L’analisi dei dati di sopravvivenza ha altresì evidenziato un effetto detrimentale di questa combinazione nella popolazione all RAS mutato. Infine, lo studio PRIME ha confermato il forte ruolo prognostico negativo delle mutazioni di BRAF, sebbene queste non abbiano mostrato un chiaro effetto predittivo rispetto alle terapie anti-EGFR. Il Committee for Medicinal Products for Human Use (CHMP) ha pertanto approvato la modifica delle indicazioni al trattamento del panitumumab che è attualmente indicato nei pazienti all RAS wild type. Risultati confermatori sono stati recentemente presentati all’ECCO-ESMO 2013 in merito alla valutazione dello stato mutazionale di all RAS dei pazienti dello studio FIRE 3 che confrontava in I linea la combinazione FOLFIRI + cetuximab verso FOLFIRI + bevacizumab. Anche in questo studio la popolazione all RAS wild type ha mostrato un significativo vantaggio in OS nel braccio FOLFIRI + cetuximab, in assenza di effetti detrimentali per l’OS di questa combinazione nei pazienti con mutazioni dei geni RAS. Nel carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), ed in particolare nell’adenocarcinoma, sono state individuate alterazioni molecolari che identificano differenti setting di pazienti potenzialmente sensibili ad un trattamento mirato. Si sta quindi riclassificando l’adenocarcinoma polmonare in sottogruppi a differente profilo molecolare che individuano diverse malattie, anche con incidenza dell’1-2%, sensibili a specifiche terapie target. Farmaci mirati su bersagli cellulari sono in studio, ed alcuni di questi quali gefitinib, erlotinib, afatinib e crizotinib sono già approvati da organismi regolatori (FDA, EMA, AIFA). Uno dei risultati più significativi è quello ottenuto con i TKi anti-EGFR. Nella popolazione con mutazioni degli esoni 18-21 di EGFR, che rappresenta il 14-16% degli adenocarcinomi (con più alta frequenza nella popolazioni asiatica, nelle donne e nei no/deboli fumatori), i farmaci TKi inibitori (gefitinib, erlotinib, afatinib) determinano un importante e significativo vantaggio in PFS. Negli studi clinici randomizzati il confronto tra i bracci di trattamento non ha rilevato un vantaggio in OS in quanto la maggior parte dei pazienti andava incontro a crossover, e cioè in progressione i pazienti già sottoposti a chemioterapia ricevevano il TKi inibitore, che risulta attivo sia in prima linea che nei pazienti già pretrattati con chemioterapia. In ogni caso le sopravvivenze evidenziate con l’introduzione dei TKi anti-EGFR sono risultate superiori ai 20 mesi, quindi ampiamente più lunghe di quelle ottenibili con la chemioterapia tradizionale. I pazienti con adenocarcinoma del polmone caratterizzati dal riarrangiamento di ALKEML4 (ALK+), evidenziato in circa il 4% dei casi, sono risultati fortemente responsivi al trattamento con il crizotinib. Anche il riarrangiamento di ROS1, presente in circa l’1% dei casi, indica una sensibilità a questo farmaco. Numerosi studi di caratterizzazione in funzione terapeutica del NSCLC sono in corso, e si stanno sviluppando nuovi ed interessanti farmaci come l’LDK 378 i cui primi dati ne rivelano una significativa attività nella popolazione ALK+ sia chemonaive che dopo resistenza acquisita a crizotinib. Importante settore di ricerca clinica è la valutazione delle nuove alterazioni geniche che si verificano quando i pazienti dopo ad un farmaco target vanno incontro a progressione. In quest’ambito una seconda biopsia può fornire rilevanti informazioni per la ricerca dei “nuovi” acquisiti target molecolari e per i successivi trattamenti. Anche per patologie meno frequenti, | Che cos’è la target therapy abbiamo dei marcatori di sensibilità a farmaci biologici. Le mutazioni V600 di BRAF, presenti in circa il 40% dei casi di melanoma, rendono questi pazienti sensibili al trattamento con i farmaci anti-BRAF, vemurafenib e dabrafenib. Nei pazienti con melanoma metastatico e BRAF mutato il trattamento con BRAF inibitori produce un miglioramento significativo della PFS, con curve simili per i due farmaci. Un ulteriore vantaggio, anche correlato al superamento delle resistenze ai BRAF inibitori, è stato ottenuto con l’introduzione di un anti-MEK il trametinib, che già in I linea in combinazione con il dabrafenib determina un ulteriore miglioramento nella PFS. Farmaci target su precisi bersagli linfocitari che intervengono nella regolazione della risposta immunitaria, come il CTL-4, determinano rilevanti vantaggi in OS nei pazienti con melanoma metastatico. Ipilimumab anticorpo monoclonale anti CTL-4 ha prodotto un significativo miglioramento dell’OS, con possibilità di lungo sopravvivenze, ed è stato registrato nel nostro Paese per il trattamento dei pazienti con melanoma metastatico dopo il fallimento di una precedente linea di terapia, diversamente da quanto avviene negli USA dove il farmaco può essere utilizzato in qualunque linea di terapia. Più di recente sono stati pubblicati i dati sull’efficacia in pazienti pretrattati degli anticorpi monoclonali anti-PD1, nivolumab e lambrolizumab, che risultano estremamente promettenti, in monoterapia ed in combinazione con ipilimumab. In conclusione se gli avanzamenti della ricerca ed i miglioramenti delle cure in oncologia sono e saranno rappresentati sempre più dall’integrazione tra identificazione di target molecolari e sviluppo di specifici farmaci, la sfida sarà quella di rendere compatibili questi indiscutibili progressi ed innovazioni con le risorse e l’organizzazione del nostro Sistema Sanitario Nazionale. * Unità Operativa di Oncologia Medica, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna, Policlinico S. Orsola-Malpighi, [email protected] COLLOQUIA 13 focus Oncologia Qualità di cura, terapia e terapie di supporto Se la risposta alla chemioterapia in termini di riduzione del tumore è un obiettivo importantissimo, non possiamo prescindere dall’attenzione agli effetti collaterali, in modo che la paziente possa vivere nella maniera più serena possibile il periodo della chemioterapia. PAOLO MARCHETTI* N egli ultimi anni, grande risalto è stato dato alle terapie di supporto. Uno degli obiettivi principali dell’ASCO è, infatti, quello di attuare una maggiore integrazione tra le terapie di supporto e le terapie attive. Per molti anni le terapie 14 COLLOQUIA di supporto sono state considerate appannaggio esclusivo dei cosiddetti “palliativisti”, poi è stato dimostrato che ottenere un buon controllo dei sintomi, soprattutto una riduzione degli effetti collaterali indotti dai trattamenti, oltre a garantire una migliore qualità della vita, consente di avere una migliore sopravvivenza in molti tumori. Un paziente che riesce a tollerare meglio i trattamenti, a tollerarli per un periodo più lungo, a tollerarli senza particolari effetti negativi, riesce anche poi ad avere una risposta complessiva migliore. Questo ha spinto l’ASCO già due anni fa a iniziare questo percorso formativo nei confronti delle terapie di supporto, con un ritardo di qualche anno rispetto, ad esempio, alla Società Europea di Oncologia o all’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica), che hanno pubblicato dei position paper molto chiari a favore di un impegno a tutto tondo nei confronti delle necessità del paziente. Per molti effetti collaterali indotti dai trattamenti, tra cui la CINV (Nausea e Vomito Indotti da Chemioterapia), che sembra quasi dimenticata, riveste particolare importanza imparare a valutare la soggettività del sintomo, cioè quale impatto ogni sintomo abbia sulla vita quotidiana, al di là della sua classificazione secondo le scale internazionali. Al congresso ASCO 2013 è stata dedicata una sessione proprio alla necessità di cambiare questo atteggiamento. Se nell’ambito di uno studio clinico, l’interruzione o il rinvio di uno specifico trattamento sono previsti solo per le tossicità più rilevanti (in genere G3 o G4), nella pratica clinica quale impatto hanno sulle attività quotidiane di un paziente nausea e vomito di grado 1 o 2 (da 1 a 2/3 episodi di vomito al giorno)? Ovviamente, sappiamo bene che, pur non rappresentando un motivo sufficiente per l’interruzione di un trattamento importante, questi sintomi di intensità “minore” hanno un impatto significativo sulla qualità della vita dei nostri pazienti. Siamo così sicuri che un episodio di vomito nella paziente che va a prendere il figlio a scuola e che si deve fermare non abbia un impatto significativo sulla sua qualità della vita? È evidente che non è così. Tuttavia, se valutati nella prospettiva di uno studio o di un protocollo, questo tipo di effetti collaterali ha uno scarso impatto pratico, perché non induce a modificazioni significative della terapia. Al contrario, Focus Oncologia imparando ad ascoltare i pazienti, a rivolgerci a loro per cercare di comprendere quali sono i loro reali bisogni, avremo la possibilità di identificare precocemente questi sintomi, attuando le strategie migliori per il loro controllo. Spesso le “unmet needs” non sono bisogni “senza risposta”, ma problemi non riconosciuti, per i quali la risposta sarebbe disponibile. Per quanto riguarda, ad esempio, l’approccio terapeutico utilizzato per prevenire o curare l’emesi nelle donne con cancro della mammella, bisogna ricordare che spesso si tratta di pazienti che continuano a svolgere una vita caratterizzata da molteplici impegni personali, lavorativi e familiari. Questi effetti collaterali potrebbero allora non essere affatto così “modesti” come la loro classificazione in G1 o G2 porterebbe a ritenere. Oggi abbiamo farmaci, come consigliano. Siamo pertanto in presenza di una incomprensibile divaricazione tra linee guida e pratica clinica. Gli oncologi sono molto attenti ad applicare le linee guida per i trattamenti attivi, ma troppo spesso dimenticano di applicare quanto lunghi anni di ricerca hanno dimostrato come efficace nelle terapie di supporto. Una collega americana, al congresso ASCO 2013, illustrando un atteggiamento errato nei confronti dei bisogni di una paziente, ha sinteticamente riportato il pensiero di alcuni oncologi (speriamo una sparuta minoranza!): “Sì, ha qualche effetto collaterale, ma si consideri fortunata se siamo qui ancora a parlarne, perché vuol dire che la terapia sta facendo effetto”. È necessario allontanare con fermezza atteggiamenti di questo tipo, perché se la risposta alla chemioterapia in termini di riduzione del tumore è un obiettivo importantissimo, non possiamo prescindere dall’attenzione Dovremmo probabilmente effettuare dei corsi per insegnare ai medici ad ascoltare, perché lavorando più sulla capacità di ascolto, più sul rapporto medico-paziente, riusciremmo a far sì che le informazioni presenti nelle linee guida, le informazioni che derivano dai lavori scientifici possano essere trasferite nella pratica clinica in maniera più diffusa, più rapida e più tempestiva per garantire ai pazienti quello che tutti vogliamo, il loro benessere. l’aprepitant, che può essere impiegato in associazione con gli schemi di terapia antiemetica più frequentemente utilizzati, con buoni risultati anche nel controllo dell’emesi tardiva, garantendo alla paziente di vivere con maggiore serenità anche un periodo tanto impegnativo come quello della chemioterapia. All’inizio, soprattutto i colleghi più giovani rimangono stupiti dal miglioramento della qualità della vita (nel suo complesso) tra un ciclo e l’altro, proprio per il controllo di questo fastidioso effetto collaterale dovuto all’impiego di aprepitant. Anche se le indicazioni delle linee guida in materia è molto chiaro (ESMO Guidelines, livello di evidenza I, Grado di raccomandazione A), bisogna ammettere che esiste ancora una certa difficoltà a trasferire nella pratica clinica quegli indirizzi che le linee guida ci agli effetti collaterali, in modo che la paziente possa vivere nella maniera più serena possibile il periodo della chemioterapia. Molti colleghi oncologi riferiscono di non riscontrare frequentemente questo tipo di problemi. Considerando i dati presenti in letteratura sull’incidenza della CINV con molti schemi terapeutici, questa osservazione potrebbe essere il segnale di una scarsa capacità di rilevare il problema. Infatti, la CINV non è un sintomo facilmente riconoscibile, se non viene specificamente ricercato, se non viene richiesto con attenzione e cura al paziente “quante volte mangia”, “quante difficoltà ha a mangiare”, “quanto le risulta difficile cucinare per la sua famiglia o entrare in negozi dove sono esposti determinati cibi”, perché purtroppo la nausea viene vissuta anche in questo modo. Se impariamo a | Qualità di cura, terapia e terapie di supporto chiedere al paziente, se impariamo ad ascoltare quello che il paziente ci dice, probabilmente avremo la capacità di dare risposte a quei bisogni che spesso vengono considerati non risolti, ma sono non risolti solo perché non li riconosciamo e non li riconosciamo perché non sappiamo ascoltare i pazienti. L’insegnamento più importante che abbiamo avuto da questo ASCO è la conferma autorevole in una assise internazionale di grande rilievo dell’importanza di ascoltare i pazienti e i loro bisogni, per poi trovare nell’armamentario terapeutico attuale le risposte da proporre. Per accelerare questo processo “culturale”, abbiamo portato avanti diversi progetti formativi sul trattamento dei sintomi. L’AIOM, ad esempio, ha una task force coordinata dalla dottoressa Zagonel che si occupa specificamente di attività formativa per tutti i diversi sintomi e che ha prodotto un compendio sul riconoscimento e trattamento dei sintomi presentati dal paziente oncologico (disponibile sul sito di AIOM). È molto difficile dire quale sarà il risultato di questo tipo di interventi formativi, perché, pur essendo ampiamente noti i lavori di riferimento e le diverse linee guida, esiste ancora una grande difficoltà al trasferimento nella pratica clinica. Questo probabilmente richiede una sensibilizzazione costante da parte dei responsabili delle strutture e di tutti coloro che sono a contatto con i pazienti a riprendere questa capacità di ascolto. Dovremmo probabilmente effettuare dei corsi per insegnare ai medici ad ascoltare, perché lavorando più sulla capacità di ascolto, più sul rapporto medico-paziente, riusciremmo a far sì che le informazioni presenti nelle linee guida, le informazioni che derivano dai lavori scientifici possano essere trasferite nella pratica clinica in maniera più diffusa, più rapida e più tempestiva per garantire ai pazienti quello che tutti vogliamo, il loro benessere. *Oncologia Medica, Scuola di Specializzazione in Oncologia, Facoltà di Medicina e Psicologia “Sapienza” Università di Roma; Consulente Scientifico IDI - I.R.C.C.S., Roma; U.O.C. Oncologia Medica, Ospedale Sant’Andrea. COLLOQUIA 15 focus Oncologia Un’attenzione costante ai diritti delle donne malate di tumore Uno degli obiettivi principali è la partecipazione attiva alle politiche sanitarie e sociali connesse alla malattia oncologica, ma altrettanto importante è supportare la ricerca, l’attività assistenziale e l’informazione, come anche la formazione degli operatori sanitari e volontari. Intervista ad ANNAMARIA MANCUSO* Come nasce l’idea di un’Associazione per la prevenzione e la lotta ai tumori femminili? L’Associazione nasce nel 1993 dalla mia volontà, durante il periodo in cui mi hanno diagnosticato un carcinoma mammario. In quel periodo sentivo fortemente la necessità di condividere con altre donne questa esperienza, e anche grazie al sostegno di alcuni medici dell’Istituto dei Tumori di Milano abbiamo dato vita all’Associazione. Salute Donna nasce quindi sotto la spinta emotiva di poter condividere con altre donne il percorso che stavo affrontando. Ho iniziato a lavorarci proprio mentre mi stavo sottoponendo con grandi sofferenze alla chemioterapia, sentendo il bisogno di confrontarmi con altre donne che avevano avuto la malattia in passato o che, proprio in quel momento, come me, la stavano affrontando. All’inizio l’Associazione è nata sull’impegno spontaneo di poche persone – la mia e di altre mie amiche che non avevano la malattia e dei medici dell’Istituto dei Tumori di Milano. Poi, poco alla volta, sono iniziati a uscire sui giornali articoli che parlavano delle attività che organizzavamo sul territorio, e le donne hanno cominciato a avvicinarsi. Con il tempo l’Associazione si è ampliata, anche grazie al sostegno chiesto alle aziende del settore sanitario per divulgare i nostri progetti. 16 COLLOQUIA Inizialmente, come Associazione abbiamo lavorato soprattutto sulla qualità dell’offerta sanitaria, proprio perché la mia esperienza è iniziata in modo drammatico, con un errore di diagnosi fatta sul territorio, dove il mio cancro non era stato diagnosticato. Da qui l’importanza di effettuare un controllo attento sulle strutture in grado di garantire la qualità della diagnosi. Quali obiettivi si prefigge l’Associazione della quale è presidente? Uno degli obiettivi principali è la partecipazione attiva alle politiche sanitarie e sociali connesse alla malattia oncologica, ma altrettanto importante è supportare la ricerca, l’attività assistenziale e l’informazione, come anche la formazione degli operatori sanitari e volontari. Inoltre, ci impegniamo per la riduzione della disomogeneità dell’assistenza e per la promozione di un’organizzazione assistenziale in grado di prevenire e curare con metodi efficaci e di qualità. Non ultimo, vogliamo sempre più essere un punto di appoggio per chi si trova ad affrontare la malattia. Oggi l’Associazione è diventata una realtà significativa nonché un punto di riferimento a livello nazionale per molte donne colpite da tumore. Quali sono le attività principali di cui si occupa? L’Associazione si occupa, come dicevo prima, di prevenzione dei tumori femminili e promuove sul territorio della Regione Lombardia e in altre regioni iniziative volte a sensibilizzare l’opinione pubblica a un corretto stile di vita e a sostenere la ricerca scientifica presso l’Istituto dei Tumori ed altre aziende ospedaliere. Attraverso la rivista “Salute Donna News”, l’Associazione promuove la sua opera di sensibilizzazione: è una pubblicazione quadrimestrale stampata in 15.000 copie destinate ai soci, alle aziende sanitarie e alle istituzioni regionali, provinciali e comunali del territorio, nonché agli ambulatori dell’Associazione stessa. Oggi Salute Donna è una realtà dove le donne colpite da tumore possono trovare conforto e riprendere un cammino interrotto, con l’assistenza e l’aiuto delle nostre psicologhe nei momenti più difficili della malattia. Esiste un servizio di Linea Verde (800 223295) attraverso il quale 5 volontarie – consultando gli specialisti di riferimento in base al caso – forniscono informazioni a chi ha dubbi, perplessità o bisogno di sostegno in ambito oncologico, e, se richiesto, possono prenotare visite mediche, esami diagnostici e visite psicologiche. Focus Oncologia Quali sono le attività dell’Associazione specificamente rivolte alla prevenzione? Gli ambulatori di prevenzione sono gestiti dalle Sezioni di riferimento per collocazione geografica ed effettuano a titolo gratuito visite senologiche ed esami della cute: nel 2012 si sono registrate circa 6000 visite. Oltre a 150 volontari che collaborano per lo svolgimento delle attività connesse, l’Associazione mette a disposizione delle utenti degli ambulatori un proprio mammografo e un ecografo con corsia preferenziale, effettuando annualmente circa 600 esami mammografici/300 ecografie, per un valore simbolico, calcolato rispetto alla quota ticket, di euro 40.500 offerto dall’Associazione a dimostrazione del proprio impegno sociale verso la popolazione del territorio. Presso l’Azienda ospedaliera di Vimercate prosegue inoltre un’attività di screening mammografico che impegna giornalmente una o due volontarie. È stata registrata un’utenza di 1500 persone. Organizziamo inoltre delle Giornate di Senologia per incontrare la popolazione femminile, durante le quali vengono effettuate visite senologiche, mammografie ed ecografie gratuite. Dal 2014 non potremmo più fare mammografie ed ecografie gratuitamente, perché ormai i nostri strumenti sono superati nella tecnologia e li doneremo al Senegal. Tuttavia, stiamo stipulando convenzioni con strutture sul territorio che ci permettono di inviare le nostre iscritte con un costo inferiore del ticket, mentre le visite rimangono gratuite con possibilità di offerta all’associazione. Quali sono i bisogni ancora oggi inattesi delle donne colpite da tumore? Purtroppo esistono ancora molte differenze tra le regioni del Nord e quelle del Sud, e in questo senso i bisogni inattesi sono soprattutto delle donne che abitano nel sud Italia. Non è accettabile, infatti, che una donna sia costretta a spostarsi da una regione all’altra per poter accedere a servizi e trattamenti, sostenendo spese che non sono coperte dal Servizio Sanitario Nazionale, come quelle degli spostamenti e di eventuali | Un’attenzione costante ai diritti delle donne malate di tumore soggiorni in città diverse da quelle di residenza. Un altro punto importante riguarda il riconoscimento delle donne colpite da tumore nel mondo lavorativo, in quanto ancora troppo spesso la malattia penalizza l’attività lavorativa. Le lunghe assenze causate dalla chemioterapia costituiscono ancora un rischio di licenziamento, e a questo riguardo è di fondamentale importanza la costante attenzione del legislatore a queste problematiche. Tra le tante iniziative sociali che portate avanti, c’è un progetto in particolare del quale vorrebbe parlarci? Un’iniziativa che mi sta particolarmente a cuore è la realizzazione del cortometraggio “Insieme” (n.d.r. vedi a pag. 28), che racconta momenti di vita di una giovane donna di fronte all’esperienza del cancro. Mi preme dire che il cinema, come tutti i media, può essere di grandissimo aiuto nel dare informazioni su larga scala, perché si rivolge alla massa della popolazione. L’esperienza del malato di cancro può essere raccontata attraverso le immagini che hanno una grandissima forza emotiva, i dialoghi e le musiche, ed è proprio quanto abbiamo tentato di realizzare. Pochi ma essenziali messaggi su alcuni aspetti fondamentali comuni a tutte le persone costrette loro malgrado a vivere l’esperienza di un tumore. Molti di questi aspetti spesso ed erroneamente vengono gravemente sottovalutati dagli oncologi, limitando così il percorso verso la guarigione e soprattutto peggiorando la qualità di vita del paziente durante i trattamenti e nella quotidianità. Quello che vogliamo fare è portare il cortometraggio “Insieme” sul territorio per sensibilizzare sugli effetti collaterali della malattia, e in particolare stimolare i pazienti a parlarne con il proprio medico, per sottolineare l’importanza di questo tipo di comunicazione tra medico e paziente. Per ulteriori informazioni sulle attività di Salute Donna onlus, visitare www.salutedonnaweb.it * Fondatrice e Presidente Salute Donna onlus, Associazione per la prevenzione e lotta ai tumori femminili. COLLOQUIA 17 focus Oncologia La comunicazione sul cancro: dal tabù ai racconti in prima persona Il nostro raccontare di salute ci deve far essere molto accorti: le nostre informazioni vanno ad impattare con un sentire spesso vulnerabile e soggettivo. Con le paure, le speranze, forse anche l’ipocondria. A cura di CARLA MASSI* “V a bene, scrivi pure una cinquantina di righe. Ma, mi raccomando, nel titolo non scrivere la parola cancro”. Siamo nei primi anni Novanta. Questo, più o meno, era quello che mi veniva detto dai miei capi in redazione. Era difficile convincere quanto fosse importante far uscire sul giornale articoli che trattassero di questa malattia. Anche solo di prevenzione. Spesso riuscivo a spuntarla dopo lunghe discussioni, trattative e una buona dose di testardaggine. La svolta, proprio nella seconda metà dei Novanta. Quando sono riuscita a far accettare la parola tumore o cancro nel titolo. Una piccola grande vittoria che andava di pari passo con la diffusione, anche nelle tv e nei settimanali, dei pezzi su quello che veniva ancora chiamato “male incurabile” (a dire il vero lo chiamano così ancora adesso tradendo un’inaccettabile ignoranza). Fino a una quindicina di anni fa, dunque, ancora si battagliava per far conoscere, fuori degli ospedali e degli ambulatori, l’autopalpazione, le ultime della ricerca, gli esami per la prostata. Il collegamento fumo-cancro al polmone, poi, suscitava scongiuri di ogni genere e numero. La tenacia ha vinto e proprio grazie ai media si è riusciti a far passare tanti messaggi al grande pubblico e aiutare i medici a parlare di tutela della salute con parole accessibili ai più. Il caso Di Bella Proprio alla fine degli anni Novanta c’è stato il grande “incidente”, il dramma 18 COLLOQUIA collettivo, la rissa scientifica trasformata in duello politico: il caso Di Bella. Di quel medico siciliano classe 1912 che viveva nel suo studio a Modena e aveva messo a punto una terapia alternativa a quelle tradizionali per curare il cancro. Ha occupato per mesi le prime pagine dei giornali. Aveva acceso gli animi nei salotti televisivi e tenuto banco anche nel Parlamento europeo. Io stessa fui inviata a Bruxelles per una sua audizione. Per miopia governativa e della classe medica riuscì, anni ‘97-’98, a mettere sotto scacco l’allora Ministro della Sanità Rosy Bindi insieme al fior fiore dell’oncologia (ancora chiusa in una torre d’avorio). Riuscì a far partire una sperimentazione della cura a base di somatostatina in tutta Italia: per la prima volta nella storia della medicina a spese del Servizio Sanitario Nazionale e non di una casa farmaceutica. Da lì il “diritto alla cura” chiesto con manifestini anche sugli sportelli dei taxi, le manifestazioni, i pazienti e i familiari sotto Palazzo Chigi il giorno di Pasqua. Le radio impazzavano, i giornali che cercavano di non essere faziosi venivano additati dai facinorosi. Più di un giudice aveva dato il via libera alla terapia Di Bella. Gli oncologi furono, loro malgrado, costretti a uscire dalle corsie. Imparare a parlare al grande pubblico, spiegare quali erano stati, fino ad allora, i successi dei nostri ricercatori, l’epidemiologia e il profilo della malattia. Scattò l’allarme: molti pazienti volevano abbandonare la chemio e iniziare quest’altra cura. Molti medici chiesero aiuto anche ai giornalisti per far capire come stavano le cose. Il nostro linguaggio si fuse con il loro. Uno della corte di Di Bella, Ivano Camponeschi (non medico ma uomo dal passato di tour operator), arrivò a dire all’Ansa che dopo aver saputo del ricovero di Giovannino Agnelli allo Sloan Kettering di New York «tentammo di prendere contatti con la famiglia per spiegare come la terapia lì impostata non avrebbe risolto il problema». Il tormentone è andato avanti per più di un anno: tra battaglie, denunce (Di Bella ad un certo punto disse che la sua firma sul protocollo della sperimentazione era stata falsificata), pazienti che continuavano a morire e dibattiti tv che facevano audience. Una mattina dei primi di maggio del ‘98 eravamo in tanti davanti alla casa del professore di Modena: Umberto Veronesi e sei oncologi della commissione nazionale lì in pellegrinaggio per parlare con Di Bella della soppressione del discusso protocollo contenente il tamoxifene e le modifiche necessarie a fargli accettare gli altri protocolli. Il ruolo dei giornalisti, i racconti dei pazienti Insomma, una brutta storia. Che ha avuto un solo merito: quello di far parlare di cancro sui giornali, alla radio e in tv. Sono uscite le storie di dolore ma anche le guarigioni, i ritratti degli oncologi e il ruolo della ricerca. “Quel” male si era riusciti ad avvicinarlo senza troppi timori perché era stato sollevato il polverone del caso Di Bella. Tra tante macerie una piccola pianta era spuntata. Chi, fino ad allora, si era occupato di medicina nei giornali è riuscito a tornare in campo (anche se con le ossa rotte) e a far capire quanto potesse essere importante scrivere di salute. Diventare non solo fornitori di notizie ma anche di informazioni. Piano piano, come si dice, le cose sono Focus Oncologia | La comunicazione sul cancro: dal tabù ai racconti in prima persona venute da sole. Certo, qualche sbavatura c’è stata e forse ancora c’è: l’enfasi non sempre va d’accordo con la medicina, i risultati di laboratorio sono ancora spacciati come rimedi da trovare in farmacia ma possiamo contare su molti contributi forti sia dal punto di vista Girone. In Italia come all’estero dove perfino una giovanissima cantante, Anastacia, ha rivelato il suo cancro al seno subito dopo la diagnosi. Angelina Jolie, affetta da un danno genetico come sua madre e una sua zia, ha pubblicizzato la decisione di intervenire con una che descrive la sua lotta con il “bastardo” carcinoma al colon. O “A parte il cancro tutto bene” di un grande giornalista scomparso, Corrado Sannucci. O «L’albero dei mille anni» firmato da un direttore di vari giornali (lo è stato anche del Messaggero) Pietro Calabrese. Che ha scientifico che giornalistico. Il lavoro di comunicazione fatto proprio sul cancro ha generato una rivoluzione che, nei primi anni Novanta, non si poteva immaginare: si parla della malattia senza vergogna, se ne scrive, in tv non è più un tabù. Una grande mano l’hanno data anche coloro che hanno deciso di raccontare la loro storia in prima persona. L’Airc, l’Associazione ricerca cancro fondata da Umberto Veronesi, è riuscita a convincere, quasi venti anni fa, gli ex malati vip a metterci la faccia. Pensiamo alla tennista Lea Pericoli, alla coppia Vianello-Mondaini, all’attore Remo mastectomia per evitare l’insorgenza del tumore. Michael Douglas, colpito alla gola, non si è sottratto al dire in pubblico. E poi le mostre fotografiche con i ritratti delle pazienti fiere, i libri scritti dopo essere usciti dal tunnel e noi giornalisti (quelli più ostinati!) che continuiamo a insistere per pubblicare la raccolta fondi destinati alla ricerca, l’appuntamento di una maratona (viva la Komen e il nastrino rosa) o di un menù anticancro. Con gli anni, anche l’ironia (magari solo nei titoli) è riuscita ad inserirsi nella comunicazione del tumore. Che dire di “Ho il cancro e non ho l’abito adatto” un delizioso volumetto scritto da Cristina Piga fatto, come gli altri, della sua storia, del suo doloroso percorso, delle notti insonni e delle emozioni un evento collettivo. Ma non basta scrivere o intervistare. Anche il giornalista, soprattutto in questo campo, deve attenersi a regole di comunicazione particolarmente rigide. Il nostro raccontare di salute ci deve far essere molto accorti: le nostre informazioni vanno ad impattare con un sentire spesso vulnerabile e soggettivo. Con le paure, le speranze, forse anche l’ipocondria. *Giornalista scientifico, Il Messaggero. SECONDO ME... di Giacomo Milillo* La medicina di famiglia e il paziente oncologico Solo attraverso la consapevolezza del nostro ruolo potremo con determinazione pretendere l’acquisizione delle giuste competenze e conoscenze indispensabili a fare del medico di famiglia una figura ancora centrale del sistema assistenziale pubblico. A cura di GIACOMO MILILLO*, LUCIANA CACCIOTTI** nelle sue circostanze di vita e di rete sociale; • continuativa, perché copre longitudinalmente i bisogni del paziente; • comprensiva, perché comprende la cura, la riabilitazione e il sostegno del paziente da una parte, dall’altra la prevenzione e la promozione alla salute; • di coordinamento, per inviare, se necessario, il paziente ad altri professionisti e istituzioni sanitarie. I n Italia attualmente vivono 2.250.000 persone che hanno avuto una diagnosi di cancro; molte di loro, il 57%, l’hanno avuta da più di cinque anni. Si configura quindi un nuovo scenario di questa malattia che, grazie al miglioramento dei mezzi di diagnosi e delle cure, vede aumentata la sopravvivenza delle persone. Il cancro, quindi, è diventato una malattia cronica, polifasica e multidisciplinare, in cui il ruolo del medico di medicina generale (MMG) diventa centrale. Per sua stessa natura la medicina di famiglia, secondo la definizione NIVEL (Netherland Institute for Health Service Research) è: • generale, perché rivolta ad un’ampia fascia di popolazione; • di primo contatto, perché è un servizio disponibile sempre e a breve distanza dal paziente; • orientata nel contesto, in quanto considera la persona nel suo insieme e 20 COLLOQUIA La riorganizzazione della medicina territoriale è un tema molto dibattuto in questo periodo, ma ancora di più assume rilievo nella cura del malato oncologico. La presa in carico integrata del paziente che si è ammalato di cancro prevede la presenza di diverse figure professionali (oncologo, chirurgo, specialista di radioterapia oncologica, psiconcologo, infermiere, fisioterapista), con i quali il MMG deve avere la possibilità di comunicare per contribuire, piuttosto che esserne informato, all’impostazione del percorso di cura e delle scelte terapeutiche. A questo proposito, nel 2012, la Fimmg ha proposto ai suoi iscritti un questionario per rilevare l’esistenza, in tutta Italia, di una “rete” strutturata tra ospedale e territorio. Dai risultati è apparsa chiara la difficoltà, per il MMG, di comunicare con il centro specialistico, mancando, nella maggior parte dei casi, dei percorsi facilitati, che consentano un immediato contatto con lo specialista di riferimento. Un secondo momento critico è quello della fine delle cure specialistiche. A questo punto il paziente viene dimesso dal centro oncologico perché libero da malattia, ma la sua percezione non è questa, quanto piuttosto quella di un abbandono, avendo davanti un percorso poco definito. È indispensabile che il centro specialistico, contemporaneamente alla dimissione del paziente, lo affidi al MMG. Solo in questo modo il paziente continuerà a sentirsi tutelato e probabilmente comincerà a percepire la sua guarigione proprio sapendo di essere seguito dal suo medico di famiglia. È chiaro che anche ai MMG viene richiesto un sostanziale cambiamento, innanzitutto l’aggiornamento e l’acquisizione di nuove competenze in ambito oncologico; insieme a tutto ciò, è indispensabile avere una diversa percezione del proprio ruolo rispetto ai malati di cancro, sentendoci responsabili anche in questo ambito (quello oncologico) della salute del nostro paziente, piuttosto che considerarlo di esclusiva competenza ospedaliera. Proponiamo infine una riflessione: nelle malattie croniche e ancora di più in ambito oncologico, non sempre è possibile prevedere una guarigione o avere la possibilità di scegliere la soluzione migliore. Spesso, bisogna optare per una soluzione “buona abbastanza” per quel paziente. In questo senso, la fragilità del paziente oncologico, per i suoi molteplici problemi, di natura fisica e psicologica, fa emergere anche la nostra fragilità, in un ambito in cui non possiamo dare certezze di nessun genere. Concludendo, auspichiamo che il ruolo del MMG, finora marginale nel percorso di cura del malato oncologico, venga rivisto e collocato nella giusta posizione. Solo attraverso la consapevolezza del nostro ruolo potremo con determinazione pretendere l’acquisizione delle giuste competenze e conoscenze indispensabili a fare del medico di famiglia una figura ancora centrale del sistema assistenziale pubblico. *Segretario Generale Nazionale della Federazione nazionale medici di medicina generale (Fimmg); **Rappresentante Nazionale Fimmg presso l’Osservatorio permanente sulla condizione del Malato Oncologico. SALUTE ED ECONOMIA di Federico Spandonaro* Oncologia: innovazione, mercato, equità di accesso alle cure La prevenzione, in particolare, si è dimostrata costo-efficace, ma in un numero ancora ristretto di patologie, evidenza che, nei Paesi ad alto tenore di reddito, come l’Italia, si è tradotta nell’adozione di screening di popolazione. Introduzione I tumori sono la seconda causa di morte dopo le malattie del sistema circolatorio, con un tasso di 28,85 decessi ogni 10.000 abitanti, pari al 30% di tutti i decessi, nella popolazione generale1. La patologia è fortemente legata all’età e i suddetti tassi arrivano all’81,15 (113,56 per i maschi) nella fascia di età 70-74 anni, per raddoppiarsi al 164,52 (244,97 per i maschi) nella fascia di età 80-84 anni. Il tasso standardizzato di mortalità mostra ancora rilevanti differenze geografiche, variando fra il 24,34 del Sud e il 27,31 per 10.000 abitanti del Nord Ovest. Malgrado i notevoli progressi della medicina, sia in termini di prevenzione, e quindi di diagnosi e intervento precoce, sia in termini di terapie chirurgiche e farmacologiche, i risparmi in termini di vite salvate e nell’utilizzazione delle risorse sono ancora modesti, rispetto a quanto si è realizzato in altri ambiti, come quello delle malattie infettive e del sistema cardio-circolatorio, a dimostrare ancora una modesta capacità, se non in casi specifici, di incidere sulla evoluzione della patologia. La prevenzione, in particolare, si è dimostrata costo-efficace, ma in un numero ancora ristretto di patologie, evidenza che nei Paesi ad alto tenore di reddito, come l’Italia, si è tradotta nell’adozione di screening di popolazione. Screening e ospedalizzazione Come è noto i tassi di adesione, pur in crescita, sono ancora molto difformi nelle diverse aree geografiche, richiedendo ulteriori sforzi di miglioramento nelle strategie di educazione alla prevenzione della popolazione2. I tassi di adesione corretti nel 2010 per la mammella si posizionavano fra il 29,9% della Calabria e il 78,9% del Trentino; per la cervice uterina la variabilità è persino maggiore, passando dal 18,3% del Molise, al 60,2% dell’Umbria; e, infine, la situazione è sostanzialmente analoga per lo screening colon-rettale: dal 24,1% della Basilicata, al 78,3% del Trentino. Limitandoci a tre principali screening di popolazione che le Regioni sono obbligate a offrire, possiamo notare effetti sulla ospedalizzazione (andamenti fra il 2006 e il 2010) non completamente sovrapponibili; i ricoveri con diagnosi di tumore alla mammella sono diminuiti del 10,1%, sebbene in sostanza per effetto della riduzione dei ricoveri diurni (34,4%), riconducibile alla possibilità di deospedalizzazione delle prestazioni, mentre sono aumentati (+3,2%) i ricoveri ordinari; il tasso di ospedalizzazione ordinaria si è mantenuto costante intorno all’1,08 per 1.000 abitanti, ancora con forti disparità regionali (da oltre l’1,4 del Friuli Venezia Giulia, a meno dello 0,8 in Calabria), con una significativa razionalizzazione della degenza media ordinaria (da 5,1 giorni a 4,5); i ricoveri con diagnosi di tumore alla cervice uterina sono, invece, diminuiti del 5,2%, prevalentemente per effetto della riduzione dei ricoveri ordinari (-9,2%); il tasso di ospedalizzazione ordinaria si è anch’esso ridotto dal 6,2 per 1.000 abitanti al 5,5, con significative disparità regionali (da quasi il 7,0 della Puglia, a circa il 4,5 in Toscana), con una lieve razionalizzazione della degenza media ordinaria (da 4,6 giorni a 4,2); infine, i ricoveri con diagnosi di cancro colonrettale sono lievemente diminuiti, sebbene in sostanza per effetto della riduzione dei ricoveri diurni, riconducibile COLLOQUIA 21 Salute ed Economia | Oncologia: innovazione, mercato, equità di accesso alle cure alla deospedalizzazione (day hospital tramutato in prestazioni ambulatoriali complesse); il tasso di ospedalizzazione ordinaria si è ridotto significativamente passando dall’1,0 per 1.000 abitanti allo 0,96 (4,0%), ancora con forti disparità regionali (1,4 nelle Marche, meno dello 0,4 nella P.A. di Bolzano), e con una significativa razionalizzazione della degenza media ordinaria (da 5,4 giorni a 4,6). Complessivamente, le ospedalizzazioni sopra descritte comportano un costo stimato (al 2010, mediante l’utilizzo delle tariffe per DRG, quindi più correttamente definibile come valore attribuibile alla produzione) che supera il miliardo di euro (€ 1.093 milioni, rispettivamente € 221, € 680 e € 192 milioni)3. Complessivamente, per l’Italia è stato stimato un costo per le patologie oncologiche di € 16,5 mld, pari all’1,08% del PIL, di cui € 6,9 mld di costi sanitari diretti (pari al 5% della spesa sanitaria e al 41,8% del totale), € 9,6 mld di costi indiretti (58,2% del totale)4. La spesa farmaceutica Sul fronte farmacologico, la ricerca genera farmaci sempre più efficaci, ma anche sempre più costosi, trattandosi in larga misura di molecole complesse (biologici e, in particolare, anticorpi monoclonali). I farmaci della classe terapeutica (ATC) L, antineoplastici e immunomodulatori, nel 2012 hanno assorbito € 3,3 miliardi, pari al 13% della spesa complessiva (pubblica e privata), rappresentando la terza voce di spesa farmaceutica dopo la classe C (cardiovascolare) e A (gastrointestinale e metabolismo)5. Al contrario, rappresenta solo lo 0,8% in termini di DDD/1.000 ab die, tanto da essere di gran lunga la classe con il più alto costo per DDD (con un rapporto di 29 volte rispetto al costo per DDD dell’area cardiovascolare). La spesa pro-capite della classe è pari a € 55,9, di cui € 51,1 erogati in ambito ospedaliero, tanto da rappresentare la prima voce di spesa ospedaliera (pari al 38,4% del totale), con un costo doppio rispetto alla classe seguente (antimicrobici per uso sistemico). Si noti che anticorpi monoclonali e inibitori del fattore di necrosi tumorale 22 COLLOQUIA alfa da soli assorbono circa il 40% della suddetta spesa. La sintetica esposizione che precede evidenzia, quindi, un problema sociale, in prospettiva di crescente impatto. Le dimensioni sono molteplici; senza pretesa di esaustività possiamo citare, in primo luogo, quella associata alle disparità geografiche, di genere e di censo associate alla patologia; evidentemente, su di esse incidono tanto fattori ambientali, quanto quelli socioeconomici, che si rendono particolarmente evidenti nelle diverse percentuali di adesione agli screening. Si tratta di ambiti che richiedono investimenti, anche al di fuori del settore strettamente sanitario, che in tempo di crisi rischiano di essere messi in discussione. La variabilità regionale (anche, ad protezione brevettuale • la riduzione delle dimensioni delle popolazioni target. Lo sviluppo di molecole sempre più complesse, infatti, spinge verso l’alto i costi di investimento e riduce allo stesso tempo le opportunità di rientro, vuoi perché sono sempre di più le molecole con effetti terapeutici sovrapponibili, che si dividono le quote di mercato, vuoi perché si va verso una medicina predittiva, che ulteriormente riduce i potenziali volumi di vendita delle singole molecole. Una nota aggiuntiva vale la pena spenderla sulla questione dell’avvento (atteso) delle target therapies: avere terapie di sicura efficacia è certamente una prospettiva affascinante, e certamente una ottimizzazione anche in Fino ad oggi, l’oncologia ha beneficiato di un trattamento sostanzialmente favorevole in termini di accesso al mercato: nei Paesi a budget variabile, che spesso utilizzano criteri di costo-utilità (o costo-efficacia) delle molecole quale benchmark per l’inserimento nelle liste di rimborsabilità pubblica, il cosiddetto threshold (la soglia di accettabilità sociale) per l’oncologia è stato spesso dell’ordine di 2/3 volte quello della generalità delle altre aree terapeutiche. esempio, nei tassi di ospedalizzazione e nella degenza media) evidenzia a sua volta disparità non giustificabili nella dimensione organizzativa. Come detto si tratta di cure, in genere, notevolmente costose, che potrebbero comportare problematiche di equità di accesso: non a caso rispetto ad altri ambiti il contributo della spesa privata è praticamente irrisorio. Si tratta, ancora, di cure per patologie ad esito spesso infausto, ponendosi quindi come presidi di ultima istanza nel tentativo di preservare la vita. Di fatto ad oggi la tendenza/aspettativa è quella di ottenere una cronicizzazione delle patologie, con ulteriori costi per il sistema sanitario. Costi che tenderanno ad aumentare in valore assoluto, e presumibilmente anche relativo, perché l’escalation dei costi unitari delle terapie è associato a numerosi fattori concomitanti: • l’aumento dei costi di ricerca • la riduzione dei tempi di effettiva termini di efficienza ma, come prima detto, riducendosi la popolazione target e quindi il volume delle vendite, aumenteranno i prezzi; è altresì lecito aspettarsi un ampliamento del ricorso a schemi di payment by result, che esitano in una redistribuzione dei rischi fra produttore e acquirente (pubblico). A fronte di una attesa, ulteriore, crescita dell’onere, nel futuro è allora facile prevedere che la questione della rimborsabilità si porrà in maniera sempre più cogente: vale quindi la pena di riassumerne i tratti maggiormente salienti. Oncologia e accesso al mercato Fino ad oggi, l’oncologia ha beneficiato di un trattamento sostanzialmente favorevole in termini di accesso al mercato: nei Paesi a budget variabile, che spesso utilizzano criteri di costo-utilità (o costo-efficacia) delle molecole quale benchmark per l’inserimento nelle liste di rimborsabilità pubblica, il cosiddetto threshold (la soglia Salute ed Economia di accettabilità sociale) per l’oncologia è stato spesso dell’ordine di 2/3 volte quello della generalità delle altre aree terapeutiche. Considerando, altresì, che non raramente gli endpoint di beneficio proposti sono risultati relativamente “deboli”, misurando non tanto l’incremento di sopravvivenza, quanto la cosiddetta progression free survival, una misura surrogata, sebbene auspicabilmente correlata alla overall survival, che di fatto si limita ad attestare il non aggravamento (spesso strumentale) della patologia: nella migliore delle ipotesi, quindi, indicando un potenziale beneficio nella qualità della vita. Anche nei Paesi a budget fisso, più indirizzati a far valere valutazioni di budget impact, spesso per i farmaci oncologici si sono adottate “maglie larghe”, giustificate da valutazioni Le tendenze in atto fanno presagire un crescente impatto dell’oncologia nei costi dei sistemi sanitari e, auspicabilmente, un crescente beneficio per gli individui e la Società. La pressione economica, insieme alla crisi strutturale che vivono i Paesi più ricchi, fa presagire che, relativamente presto, andranno definitivamente in conflitto esigenze assistenziali presenti e future, come anche politiche sanitarie e industriali. multidimensionali (potremmo dire di HTA): anzi, la lista dei farmaci inseriti nelle liste di rimborsabilità in questi Paesi risulta tendenzialmente maggiore che nei Paesi che adottano più rigidamente criteri di costo-utilità. Una rilevante questione è quella relativa al fondamento teorico, ed etico, di un trattamento di fatto differenziato per le terapie oncologiche. Le ragioni che si possono addurre a giustificazione sono essenzialmente legate ad un principio di salvaguardia dal massimo maleficio (la morte), che non sembra particolarmente fondato in un contesto in cui si misura il beneficio della terapia in QALY, unità di misura che adotta una scala ben precisa che varia da 1 (perfetta salute) a 0 (morte). | Oncologia: innovazione, mercato, equità di accesso alle cure Siamo infatti nell’ambito delle scelte pubbliche e non in quello delle scelte individuali, e in tale ambito non sembra che possa esserci altro criterio (pubblico e in termini di efficienza dell’intervento sociale) che una soglia convenzionale e unica di willingness to pay per QALY guadagnato, quale che sia la sua natura (secondo il principio per cui “un QALY è un QALY, indipendentemente dalla patologia e dalla terapia”). Probabilmente, ha più senso riferirsi ad argomentazioni legate ad aspetti equitativi, osservando la carenza di valutazioni distributive negli studi di valutazione economica: nello specifico è indubbio che si tratta di terapie per situazioni per lo più estreme, per le quali qualcuno ha parlato di salvaguardia del “diritto alla speranza” (evidentemente individuale). Ma va aggiunto che la ricerca e, quindi, l’evidenza sulle preferenze sociali per le varie possibili alternative (per esemplificare, terapie per i giovani o i vecchi, per gli uomini o per le donne, per i cronici o per gli acuti, per i fumatori o i non fumatori, ecc.) sono scarsissime e le metodologie per elicitarle oggetto di discussione. Probabilmente l’argomento più forte a giustificazione di un trattamento differenziato delle terapie in alcuni ambiti è legato alla teoria delle opzioni reali: in altri termini, trattandosi di terapie per lo più per popolazioni di dimensioni piccole (argomento comune ai farmaci orfani), il prezzo deve essere alto per dare un ritorno all’investimento, e non riconoscerlo vorrebbe dire impedire l’ulteriore ricerca e sviluppo. In effetti, oggi, seppure non molte molecole siano annoverabili fra le disease modifying therapies, si assiste ad una crescente loro capacità di cronicizzare la patologia: ne segue per l’individuo un guadagno di tempo che può aprire la possibilità (opzione reale) di beneficiare di nuove terapie nel frattempo introdotte sul mercato, e per l’azienda la possibilità (altra opzione) di mantenere investimenti in ambiti in cui la ricerca deve ancora fare passi avanti significativi. In termini metodologici si pone, quindi, la questione di come valorizzare le opzioni reali implicate dall’accesso al mercato delle innovazioni, materia su cui la metodologia è sufficientemente sviluppata, ma le applicazioni nel contesto farmaceutico ancora minime. Il problema è reso ulteriormente complesso dalle diverse possibili strategie che le politiche sanitarie possono decidere di adottare; ad esempio, è possibile sostenere che le opzioni reali siano già scontate nelle decisioni aziendali di investire su una molecola: ma questo implica scaricare tutti i rischi sulla ricerca, delineando una politica industriale poco incentivante, con eventuali conseguenze per il tessuto produttivo nazionale. Concludendo, le tendenze in atto fanno presagire un crescente impatto dell’oncologia nei costi dei sistemi sanitari e, auspicabilmente, un crescente beneficio per gli individui e la Società. La pressione economica, insieme alla crisi strutturale che vivono i Paesi più ricchi, fa presagire che, relativamente presto, andranno definitivamente in conflitto esigenze assistenziali presenti e future, come anche politiche sanitarie e industriali. Il dibattito sul valore della ricerca, in questo ambito, stenta a svilupparsi in modo adeguato, soffocato dalla difficoltà politica di affrontare temi che hanno indubbiamente risvolti emotivi ed etici rilevanti; non di meno, procrastinare un serio confronto sul tema rischia di far prendere poi decisioni affrettate, e possibilmente inadeguate, sulla spinta dell’emergenza: pessima abitudine, purtroppo invitta nel nostro Paese, che andrebbe invece abolita. Bibliografia/linkografia 1. Dati Istat. http://dati.istat.it/Index.aspx? DataSetCode=DCIS_CMORTEM&Lang= 2. Osservatorio Nazionale Screening. www.osservatorionazionalescreening.it 3. Dati Ministero della Salute. www.salute.gov.it/portale/temi/p2_4.jsp?li ngua=italiano&area=ricoveriOspedalieri 4. Luengo-Fernandez R, et al. Economic burden o cancer across the European Union: a popolation-based cost analysis. Lancet Oncol 2013; 14: 1165-74. 5. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto Nazionale. Anno 2012. Agenzia Italiana del Farmaco, settembre 2013. *Università di Tor Vergata, Presidente Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità (CREA Sanità) COLLOQUIA 23 La Medicina e le Arti Pink Project Un progetto fotografico in rosa, un messaggio di speranza rivolto a tutte le donne colpite da tumore al seno, ma non solo. Intervista a FRANCESCA TILIO*, di MONICA RICCI** Francesca, leggiamo nella tua biografia che la passione per le immagini ti accompagna da sempre. Qual è il tuo background, la tua formazione? In ambito lavorativo nasco come grafica pubblicitaria, dopo aver attraversato il mondo delle immagini fin da quando ero bambina. All’inizio come spettatrice, poi, attraverso la scuola e il lavoro, approdando attivamente in questo mondo. Il mio background è formato da esperienze teatrali fatte dai 15 ai 30 anni, prima come attrice, poi da regista, scoprendo che forse stare dietro le scene mi piaceva più che lo starne davanti. E credo che probabilmente per questo le mie fotografie rimandino in qualche modo a dei set cinematografici, ad attimi rubati di qualche scena costruita, situazioni che mi costruisco completamente da sola, un po’ come se realizzassi la regia di uno spettacolo e lo congelassi in uno scatto. Come nasce l’idea del Pink Project? La fotografia è un percorso che ho iniziato dopo la malattia. Nel 2006 mi hanno diagnosticato un cancro al seno. L’autopalpazione mi aveva fatto scoprire che qualcosa non andava. Nel giro di pochissimo tempo mi hanno operato e sottoposta a chemioterapia. La prima reflex è il regalo che mi sono fatta quando ho terminato la cura. Da quel momento ho iniziato a fotografare senza grosse velleità, ma piuttosto che fotografare 24 COLLOQUIA La Medicina e le Arti | Pink Project COLLOQUIA 25 La Medicina e le Arti | Pink Project paesaggi o scene di vita familiare, cercavo ogni volta di costruire qualcosa, di dare forma alle mie visioni. Ben presto ho avuto la fortuna e la possibilità di fare mostre, comprendendo che avrei voluto coltivare nel tempo questo giovane amore, fotografare il mondo femminile e sperimentare in particolare l’autoritratto. Al Pink Project sono arrivata anni dopo, esattamente dopo sette anni dalla fine della chemioterapia, durante i quali, molto spesso, ero io la protagonista degli scatti fotografici; questo mi consentiva da un lato di mettermi in gioco con ironia e dall’altro di raggiungere un risultato quasi terapeutico, mi faceva stare meglio. D’altra parte il potere dell’autoritratto è affermato da tempo nel mondo fotografico, Cristina Nuñez ad esempio lo porta avanti come manifesto. Nel frattempo vinsi nel 2010 il premio Camera d’Oro al Lens Based Art Show di Torino con Me2, un progetto di autoritratti e performance con parrucche: ogni volta mi trasformavo interpretando un personaggio diverso. Pink Project, dicevo, è nato l’anno scorso, quando ho deciso di portare con 26 COLLOQUIA me in un viaggio a New York il vestito rosa di mia madre che avevo ritrovato in soffitta – lo stesso che indossava nelle foto con me piccolissima in braccio – e la parrucca rosa che i colleghi di lavoro mi avevano regalato durante il periodo della chemioterapia. Inizialmente li ho portati non sapendo ancora cosa farne, sapevo solo che avrei voluto fotografarmi con quegli elementi. Tornata a casa, dopo un mese circa, ho scoperto di aspettare un bambino e poco dopo sono ripartita per un viaggio in Scozia. In quel viaggio, oltre al mio bagaglio rosa, avevo una pancia di quattro mesi e ho pensato che sarebbe stato bello documentare le fasi della mia maternità, indossando quello stesso vestito, magari concedendomi altri viaggi e mostrando una pancia sempre più grande. In questo modo è nata l’idea di Pink Project, anche perché, tornando in Italia, ho scoperto che aspettavo una femmina, era come se si chiudesse un cerchio. Gli elementi “rosa” c’erano tutti: la parrucca della chemioterapia, il vestito di mia madre e la maternità, un evento che i medici mi avevano prospettato quasi impossibile; per di più il bambino che portavo in grembo era una femmina. Tutto quello che stavo facendo aveva finalmente un senso pieno e avrei voluto portarlo avanti nel tempo. Così è nato il Pink Project. Quale messaggio hai voluto rivolgere alle donne che, come te, sono state colpite da questa malattia? Come pensi possa essere utile la tua esperienza a chi ha scoperto di avere un tumore al seno? La volontà principale è di farlo girare per far capire alle donne, soprattutto alle più giovani, che dalla malattia si può rinascere, si può stare bene e può anche capitare qualcosa di inaspettato e di positivo. Gli eventi negativi a volte possono trasformarsi in opportunità, dal dolore possono nascere nuove occasioni. Il Pink Project è stato esposto per la prima volta a settembre al SI FEST OFF #13 di Savignano sul Rubicone. Lì ho capito il potenziale che aveva ciò che stavo facendo. Sono venute tante persone, molte donne si sono fatte fotografare con la parrucca rosa e tutti mi lasciavano dei messaggi fantastici, mi abbracciavano e si commuovevano di fronte alla mia storia. Ho capito che tante donne potevano ritrovarsi in quello che stavo raccontando, alcune perché c’erano passate direttamente, altre perché avevano avuto una madre o una sorella malata, o un’amica, altre per pura empatia femminile. Oggi, purtroppo, tante, troppe famiglie conoscono storie di cancro, quindi quasi tutti si ritrovano nella storia che racconto… spero che un messaggio positivo e di rinascita possa aiutare a stare meglio. Sto lavorando affinché il Pink Project diventi un progetto più strutturato, per trasformarlo in un evento di raccolta fondi. Vorrei che diventasse una mostra itinerante e, in ogni spostamento, riuscire ad organizzare un evento di inaugurazione, durante il quale allestire un set fotografico per ritrarre tante donne con la parrucca rosa; quindi creare un grosso contenitore di immagini, testimoni positive a favore di questo messaggio. *Per info e sviluppi del progetto, potete consultare il sito www.francescatilio.it, o la pagina facebook www.facebook.com/ pinkprojectphotography; **Policy & Communication MSD Italia. COLLOQUIA 27 La MSD si racconta “Insieme”, un cortometraggio per raccontare il tumore MELTIN’POT in collaborazione con SALUTE DONNA Onlus e SOCIETÀ ITALIANA DI PSICO ONCOLOGIA FOTOGRAFIA ENRICO COSTANTINI presentano TRATTO DA UNA STORIA VERA Un punto di vista originale sull’esperienza di malattia, un messaggio di speranza e di apertura al futuro. A cura di EMANUELA TANINI* Regia di Insieme ANNAMARIA LIGUORI EURIDICE AXEN GIORGIA WURTH NICOLAS VAPORIDIS Con la partecipazione di MONICA SCATTINI BRANI MUSICALI DI MARCO CARTA SOGGETTO DAVID FRATINI SCENEGGIATURA DAVID FRATINI E ANNAMARIA LIGUORI DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA LEONE ORFEO FONICO DI PRESA DIRETTA TULLIO MORGANTI MONTAGGIO FEDERICO MUSICHE ANTONELLO SORRENTINO COSTUMI LUDOVICA LA MANNA DIRETTORE DI PRODUZIONE BEATRICE MOSELE PRODUTTORI ESECUTIVI NICOLA LIGUORI E TOMMASO RANCHINO PROGETTO A CURA DI PRO FORMAT COMUNICAZIONE PRODOTTO DA MELTIN’POT PER SALUTE DONNA ONLUS E SIPO REALIZZATO GRAZIE AL SUPPORTO NON CONDIZIONATO DI MSD SOCIETÀ ITALIANA DI PSICO ONCOLOGIA N ell’ultimo numero di Colloquia del 2012, vi avevamo parlato di ONCOMovies®, un progetto di comunicazione dedicato a medici e pazienti, che, attraverso la potenza catalizzatrice delle immagini cinematografiche che negli ultimi sessant’anni hanno raccontato storie di cancro, potesse accendere i riflettori sull’importanza della qualità di vita anche durante il percorso di cura. L’idea del progetto nasceva dalla consapevolezza di quanto, nella battaglia contro il tumore, il rapporto tra medico e paziente fosse determinante. Spesso, infatti, attraverso questo rapporto non riescono a passare tutte le informazioni veramente importanti e alcuni aspetti sfuggono all’osservazione del medico. Non parliamo solo degli aspetti più delicati, come l’impatto della malattia sulla sfera psicologica e sulla vita sessuale, ma anche delle 28 COLLOQUIA conseguenze dirette degli effetti collaterali della chemioterapia sulla vita quotidiana dei pazienti. Da entrambe le parti ci sono, infatti, obiettive resistenze ad affrontare apertamente queste problematiche: da parte del medico l’interesse prevalente è quello di combattere la malattia, mentre il paziente spesso ritiene che gli effetti collaterali siano un inevitabile prezzo da pagare per l’efficacia della cura. Un gioco delle parti, quindi, che non giova né al paziente né alla risoluzione della malattia. Da qui la necessità di trovare una chiave nuova per riscoprire il valore di una comunicazione a 360°, che metta al riparo dal temibile rischio di perdere aspetti importanti nella gestione del percorso di cura, con ripercussioni negative non solo sulla qualità di vita ma sulla stessa efficacia delle terapie. Partendo da ONCOMovies®, grazie al contributo incondizionato di MSD Italia, in collaborazione con Donna Salute onlus, con la Società italiana di Psicooncologia e Pro Format Comunicazione, si è voluto fare un ulteriore passo avanti, dando la possibilità ai pazienti di diventare autori di nuove storie: le loro! Attraverso il sito www.nonausea.it, abbiamo raccolto numerose storie di vita “vera” e testimonianze di grande coraggio, dignità e amore. Grazie alla collaborazione con il Festival Internazionale del Cortometraggio di Roma “Corti & Cigarettes”, è stato indetto un concorso per giovani sceneggiatori, affinché una delle storie pervenute potesse diventare la base per la realizzazione di un cortometraggio. Il board, composto dagli oncologi Domenica Lorusso (Istituto dei Tumori di Milano), Massimo di Maio (Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, Napoli), Giovanni Rosti (Primario di Oncologia, Ospedale di Treviso), Emilio Bria (Oncologia Medica, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona), dalla psiconcologa Anna Costantini, Presidente della Società Italiana di Psiconcologia, e da Annamaria Mancuso, Presidente dell’Associazione Pazienti “Salute Donna”, si è appassionato fin dall’inizio a questo progetto, ed ha selezionato la sceneggiatura che meglio delle altre avrebbe potuto raccontare la storia di una battaglia vittoriosa contro la malattia. Così, con pochissime risorse ma con enorme passione ed entusiasmo, è nato il cortometraggio “Insieme”. Liberamente ispirato alla storia di Giovanna ed Eugenia, per la sceneggiatura di David Fratini e la regia di Annamaria Liguori, il cortometraggio “Insieme” racconta frammenti durissimi di vita reale di una giovane donna che lotta contro il cancro: paure e speranze, rabbie e delusioni ma soprattutto l’energia, la determinazione, il coraggio che la protagonista riesce a trovare in se stessa grazie al supporto ricevuto dalla sorella, dal medico, dal partner. Le relazioni, gli affetti, il dialogo si riveleranno le risorse decisive per superare i passaggi difficili del percorso di cura. “Insieme” racconta anche altre storie: quella della Dottoressa Costantini, la psiconcologa del board, che mette a disposizione la propria casa al mare per le riprese; racconta la storia di attori del calibro di Nicolas Vaporidis, Monica Scattini, Euridice Axen e Giorgia Wurth che decidono di prestare il loro volto per realizzare un cortometraggio nel quale credono; racconta di Marco Carta, giovanissimo cantante, vincitore di “Amici” e del Festival di Sanremo, che concede di utilizzare gratuitamente due suoi brani per la colonna sonora e che decide di condividere il ricordo della sua mamma, morta troppo giovane di cancro. Il 2 settembre scorso, “Insieme” è Sondiamo... il terreno stato presentato alla stampa e al pubblico quale evento collaterale della 70° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, e Il 6 ottobre “Insieme” ha sfilato ancora una volta sul red carpet, in occasione del Festival In ternazionale del cortometraggio di Roma, raccogliendo anche in questo caso un grande successo di pubblico e degli addetti ai lavori. A meno di due mesi dalla sua presentazione quasi 60 milioni di persone hanno letto, visto, ascoltato notizie sul cortometraggio, e oltre 10.000 persone hanno guardato “Insieme” su Youtube, commentandolo positivamente nel 100% dei casi. Con questo progetto MSD ha voluto trovare un modo nuovo, qual è quello del linguaggio cinematografico, per essere al fianco di medici e pazienti. E Giovanna ed Eugenia, che avevano voluto condividere la loro storia, erano lì, sedute tra il pubblico della 70a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, a testimoniare ancora una volta che questa battaglia si può vincere... insieme! Il cortometraggio è disponibile per la visione sul sito www.nonausea.it all’indirizzo: http://nonausea.it/combattere-ilcancro-insieme-un-cortometraggio * Sr Specialist, Policy & Communication, MSD Italia. Le vostre opinioni in un coupon Patologie osteoarticolari A cura di MARIA LUISA ZAMBRANO* C ome di consueto, attraverso i coupon di Colloquia abbiamo intervistato i nostri lettori sulla conoscenza e sulla personale valutazione delle malattie osteoarticolari. Di seguito riportiamo i principali risultati dell’indagine. Per comprendere la percezione della gravità dell’osteoporosi, abbiamo chiesto di quantificare il rischio di fratture nelle donne dopo i 50 anni. La figura 1 mostra che il 42% ritiene che 1 donna su 5 andrà incontro a frattura, poco meno del 40% ritiene sia 1 donna su 10, mentre circa il 20 pensa che addirittura una donna su 2 andrà incontro a frattura. Interessante osservare che gli specialisti (di tutte le discipline, non solo di malattie osteoarticolari) tendono a sottovalutare il rischio rispetto ai propri colleghi di medicina generale. Abbiamo poi chiesto quali rischi si corrano entro il primo anno, dopo una frattura di femore. Tra gli intervistati, è ampia la consapevolezza di un alto rischio di morte o di nuova frattura. La figura 2 evidenzia inoltre che stavolta sono gli specialisti ad attribuire alla frattura di femore un rischio maggiore rispetto ai colleghi di medicina generale. La terza domanda ha riguardato l’argomento dolore. Abbiamo chiesto quali obiettivi deve soddisfare una terapia antinfiammatoria. Nella figura 3 è mostrato che gli intervistati, in egual misura, hanno dato la priorità all’efficacia antalgica insieme all’assenza di effetti gastrointestinali. Al terzo posto troviamo il non aumento di eventi cardiovascolari insieme al sollievo dal dolore per 24 ore (attributi ritenuti leggermente più importanti dagli specialisti). La quarta e ultima domanda ha infine riguardato i canali di aggiornamento riguardo alle patologie osteoarticolari. La figura 4 mostra che in questo caso le preferenze di medici di medicina generale e specialisti divergono notevolmente. Gli specialisti, infatti, preferiscono innanzitutto siti e portali online seguiti dagli incontri con i colleghi, ma con una importante preferenza (il 25%) verso le FAD online. I medici di medicina generale preferiscono invece gli incontri con i colleghi (44,5%) e gli opinion leader (14,2 %) e solo in misura minore apprezzano l’aggiornamento online. In conclusione, possiamo affermare che sia i medici di medicina generale che gli specialisti sono consapevoli dell’importante rischio di fratture cui va incontro una donna dopo i cinquant’anni, sulle terapie antinfiammatorie chiedono che siano rapidamente efficaci senza importanti effetti collaterali e desiderano ricevere aggiornamenti scientifici in merito sia attraverso incontri personali (medici di medicina generale) che online (specialisti). *Specialist Market Research & Analytics, MSD Italia. COLLOQUIA 29 Sondiamo... il terreno | Patologie osteoarticolari � Quante donne di età superiore ai 50 anni andranno incontro a fratture di tipo osteoporotico nei successivi anni di vita? � Quali rischi si corrono entro il primo anno dopo una frattura di femore? Non si corrono rischi 1 su 10 37,4% 43,4% 39,2% 1 su 5 4,7% 2,7% 4,1% Nel 20% dei casi si muore 43,3% 38,9% 42,0% 33,5% 38,9% 35,1% Il rischio di fratturarsi è doppio 1 su 2 61,8% 58,4% 60,8% 19,3% 17,7% 18,8% Altro 0,0% 0,0% 0,0% � Nella somministrazione di una terapia antinfiammatoria quali obiettivi devono essere soddisfatti (possibilità risposta multipla)? Efficacia analgesica nel dolore acuto � Per il trattamento delle patologie osteoarticolari, quale canale preferisce per il suo aggiornamento scientifico (possibilità risposta multipla)? Incontri residenziali con i colleghi 23,4% 23,3% 23,3% 44,5% 28,9% 39,7% Sollievo dal dolore per 24 ore 12,0% 14,7% 12,9% Incontri residenziali con top OL 14,2% 9,2% 12,7% Assenza di effetti gastrointestinali gravi quali ulcere o emorragie 24,2% 24,4% 24,3% FAD online Efficacia nel trattamento dell’infiammazione e/o del dolore acuto laddove altri farmaci hanno fallito 18,9% 25,7% 21,0% 10,3% 9,4% 10,0% Non aumento del rischio di eventi cardiovascolari Siti e portali online 19,5% 13,8% 15,7% 14,4% 34,9% 24,2% Rapidità di insorgenza dell’effetto desiderato 6,4% 4,4% 5,8% Buon rapporto costo-beneficio 9,9% 8,1% 9,3% Altro 2,9% 1,3% 2,4% Altro (specificare) 0,0% 0,0% 0,0% 30 COLLOQUIA MMG Specialista Totale medici L’ULTIMA PAROLA di Giuseppe De Rita* Quella “sospensione” fra dramma e quotidianità Il tumore diventa un problema sociosanitario, dove vincono i bisogni e gli atteggiamenti dei pazienti che richiedono terapie sempre più personalizzate, più attenzione agli impatti psicologici della malattia, più accoglienza e condivisione da parte della comunità locale. uò apparire strano, ma nell’opinione P della gente comune hanno perso centralità, negli ultimi anni, l’attenzione e le paura verso le patologie tumorali, cioè verso il “cancro” come incubo incombente sulle nostre vite. Un cedimento di tensione che certo ha il suo motore nella crescente importanza che diamo alle malattie della vecchiaia o alle patologie cardiovascolari (l’incubo prevalente è quello di invecchiare in uno stato di non autosufficienza oppure quello di essere fulminati da un ictus o un infarto); ma che forse è legato anche ad uno stadio di sospensione psicologica che la gente ha nei confronti del fronteggiamento del tumore. Per anni questo è sembrato una condanna senza appello, poi un male incurabile ma da combattere con pazienza e coraggio, poi è andata maturando con l’attesa di un trattamento medico-sanitario capace di dare più speranza e certezze per il futuro. Il miracolo del farmaco pienamente vittorioso non è avvenuto, ma nella psicologia collettiva non ci si sente più in un tunnel senza uscita, ma in un campo aperto alla intelligenza media delle ricerche scientifiche dove qualcosa di buono può sempre avvenire. Dalla paura e dall’incubo si passa ad una ragionevole attesa di buone notizie e di buone prassi. Non so se sia un atteggiamento giusto, perché rischia di scivolare verso una propensione ad abbassare la guardia rispetto ad una patologia che resta minacciosa e centrale nella vita della collettività (resta sempre la maggiore causa di morte sotto i 70 anni di età); ma è un atteggiamento che dobbiamo realisticamente accettare. Anche perché corrisponde a quel che accade nel corso della malattia: nella fase acuta, fin dall’annuncio si ha prima paura e poi voglia di reagire, aiutando con tale reazione il superamento sanitario della prima drammatizzazione; dopo la conclusione della fase acuta, il trattamento si sposta verso una fase di mantenimento di una buona qualità della vita, fase affidata alla famiglia, all’associazionismo, alla comunità locale. Il tumore diventa così un problema sociosanitario, dove vincono i bisogni e gli atteggiamenti dei pazienti che richiedono terapie sempre più personalizzate, più attenzione agli impatti psicologici della malattia, più accoglienza e condivisione da parte della comunità locale. Lo spostamento dalla paura iniziale (in previsione di perdere la vita) ad una più o meno sofferta accettazione del carattere quasi “cronico” (o almeno di lunga durata) della malattia è chiaramente la chiave che spiega quella “sospensione” fra dramma e quotidianità che ho citato all’inizio. Come per tutti i problemi italiani lo spostamento verso la quotidianità, il sociale, la comunità locale mette in circuito una relativa serenità di vita. Ma anche da chi, come me, crede fermamente nella quotidianità, nel sociale, nella comunità, va detto che non basta uno spostamento inerte delle responsabilità: occorre “armare” tali responsabilità: bisogna che il territorio abbia adeguate strutture di intervento sociale (oltre che naturalmente sanitario); occorre che vi siano più servizi di riabilitazione; occorre rendere disponibili le informazioni necessarie per gestire le varie fasi del percorso di cura; occorre stabilire rapporti significativi con le realtà economiche e aziendali locali (per poter sviluppare strumenti che permettano il reinserimento pur parziale nel lavoro dei malati); occorre sostenere, anche finanziariamente ove occorra, le famiglie che restano comunque insostituibile perno del lavoro di sostegno; occorre riprendere la strada dello sviluppo di una medicina territoriale capace di connettere le diverse competenze che possano aiutare i singoli ad uscire dalle tentazioni di solitudine che comunque i malati subiscono spesso nelle loro diverse vicende. La civiltà di un popolo come il nostro si è sempre misurata sulla qualità della vita dei suoi territori, quelli “elettivi” come quelli più marginali. E questa banale verità vale anche per il complesso delle attenzioni e delle cure che dobbiamo ai malati di tumore che hanno superato la fase acuta e che proprio nel territorio possono trovare le strutture in cui, per loro, si integrano sanità e sociale, impegno familiare ed esistenza di reti lunghe di informazione e sostegno, presenza degli enti locali e vitalità dell’associazionismo e del volontariato, risorse pubbliche e responsabilità private. Restiamo quindi oggettivamente “in sospensione” almeno quanto sospesi siamo in termini di psicologia collettiva. Ma con la consapevolezza che dietro la sospensione ci sono impegni molto seri di azione dei vari soggetti e dei vari territori. *Segretario Generale Fondazione Censis. COLLOQUIA 31 APPASSIONATI ALLA VITA CI SONO MOMENTI CHE VALGONO ANNI DI RICERCA. Ogni giorno portiamo la passione per la vita nei nostri laboratori, nei nostri uffici, negli ospedali, nelle vostre case. Lavoriamo per migliorare la salute attraverso la ricerca e lo sviluppo di farmaci e vaccini innovativi. Il nostro impegno raggiunge tutti, anche attraverso programmi umanitari di donazione e distribuzione di farmaci. Per assicurare ad ogni singola persona un futuro migliore. www.univadis.it www.contattamsd.it [email protected] www.msd-italia.it 09-13-MSD-2011-IT5849-J Be well.