Grandi speranze, incipit
My father's family name being Pirrip, and my Christian name
Philip, my infant tongue could make of both names nothing
longer or more explicit than Pip. So, I called myself Pip, and
came to be called Pip.
Grandi speranze, incipit
Gérard Genette, Figure III. Discorso del racconto (1972)
“Il narratore, all’interno del suo racconto, può esistere solo
(come qualunque soggetto dell’enunciazione in un enunciato)
in “prima persona” […] La scelta del romanziere non si
verifica fra due forme grammaticali, ma fra due atteggiamenti
narrativi […]: far raccontare la storia a uno dei “personaggi” o
da un narratore estraneo alla storia stessa. La presenza di verbi
in prima persona in un testo narrativo può quindi rinviare a
due situazioni diversissime, confuse dalla grammatica ma
necessariamente distinguibili da parte dell’analisi narrativa: la
designazione del narratore in quanto tale da parte di se stesso,
come quando Virgilio scrive “Arma virumque cano…”, e
l’identità di persona tra il narratore e uno dei personaggi della
storia, come quando Crusoe scrive: “Io nacqui nel 1632 a
York…”.
Grandi speranze, incipit
Gérard Genette, Figure III. Discorso del racconto (1972)
Il termine “racconto in prima persona” si riferisce, è scontato,
solo alla seconda situazione […]. Dato che il narratore può, in
ogni momento, intervenire come tale nel racconto, qualunque
narrazione è, per definizione, virtualmente fatta in prima
persona […]. Il vero problema è sapere se il narratore ha o no
l’occasione di usare la prima persona per designare uno dei
suoi personaggi. Distingueremo perciò ora due tipi di
racconto: il primo con narratore assente dalla storia raccontata
(esempio: Flaubert nell’Educazione sentimentale), e il secondo
con narratore presente come personaggio nella storia
raccontata [esempio: Pip in Grandi speranze]. Chiamo il
primo tipo eterodiegetico, e il secondo omodiegetico” (29293).
Grandi speranze, incipit
Gérard Genette, Figure III. Discorso del racconto (1972)
“L’assenza è assoluta, ma la presenza ha le sue gradazioni.
Sarà dunque necessario distinguere due varietà all’interno del
tipo omodiegetico: una, dove il narratore è protagonista del
suo racconto, l’altra, dove si limita a sotenere un ruolo
secondario, coincidente con un ruolo d’osservatore e di
testimone […] Alla prima varietà riserviamo il termine di
autodiegetico: rappresenta, in un certo senso, il grado forte
dell’omodiegetico” (293).
Grandi speranze, incipit
Gérard Genette, Figure III. Discorso del racconto (1972)
• Narratore eterodiegetico, assente dalla storia: NP
(Il rosso e il nero)
• Narratore omodiegetico, presente come personaggio nella
storia: N=P
• Narratore autodiegetico, protagonista della storia
(Grandi speranze)
Grandi speranze, incipit
Livelli della narrazione autobiografica retrospettiva
Livello
Storia
Narrazione
Soggetto
Io narrato
(Pip personaggio)
Io narrante
(Pip narratore)
Tempo
X1X2X3…
(momenti successivi
della storia)
Y
(momento indeterminato
della narrazione)
Grandi speranze, incipit
Brooks, Trame: “Come accade in molti romanzi
dell’Ottocento, l’eroe è orfano, non determinato dunque da
eredità o condizionamenti visibili, apparentemente privo
d’autore: questo elimina subito, ad esempio, i problemi che
Julien Sorel avverte nei confronti della paternità. Possono
essevi ragioni sociologiche e ragioni sentimentali per l’alta
incidenza di orfani nel romanzo dell’Ottocento, ma è chiaro ad
ogni modo che un protagonista privo di genitori libera l’autore
da ogni conflitto con autorità preesistenti, consentendogli di
partire da zero per creare tutti i motivi determinanti della
trama all’interno del suo testo. […] Quanto lo vediamo per la
prima volta, Pip è in cerca di un’’autorità’ (questa parola figura
nel secondo paragrafo del romanzo) che possa definire,
giustificare, ‘autorizzare’ l’intreccio successivo della sua vita”
(125).
Il romanzo vittoriano
Walter Allen, The English Novel (1954): “[I vittoriani]
accettavano senza problemi la società in cui vivevano; o piuttosto,
quando la criticavano, la criticavano nel modo in cui lo stavano
facendo molti dei loro lettori. Davano voce ai loro dubbi e paure;
condividevano pienamente gli assunti della loro epoca. […] Certo,
erano consapevoli quanto noi, se guardiamo indietro, delle
tensioni e delle contraddizioni dei loro tempi, il caos causato dalla
rivoluzione industriale, la presenza della povertà di massa […]
Erano, dunque, attentamente consapevoli dei mali della loro
epoca; eppure non potevano non credere che questi mali […]
avrebbero finito per essere puramente temporanei, perché su tutti i
fronti affiorava la più palese evidenza dell’enorme incremento
della ricchezza materiale e delle comodità fisiche arrecate dalla
civiltà. Sembravano non esserci buone ragioni perché questo
progresso non dovesse continuare indefinitamente”.
Il romanzo vittoriano
Walter Allen, The English Novel (1954): “C’erano, ovviamente,
voci dissonanti […]. Ma in complesso, i primi vittoriani
accettavano l’idea del progresso senza troppi problemi. L’epoca
mostra il trionfo del protestantesimo, e forse il suo grande
compimento fu l’accettazione universale dell’idea di
rispettabilità”.
“Questo senso di identità con i loro tempi è fondamentale
importanza in ogni considerazione dei primi romanzieri
vittoriani. È la fonte sia della loro forza che della loro
debolezza, e li distingue sia dai loro successori che dai loro
grandi contemporanei europei”.
Il romanzo vittoriano
Walter Allen, The English Novel (1954): “Ciò non significa che
i vittoriani fossero acritici rispetto al loro paese e alla loro
epoca, ma le loro critiche sono molto meno radicali di quelle,
mettiamo, di Balzac, Stendhal, Turgenev, Flaubert e
Dostoevskij, e sono di tipo diverso. Per una buona ragione: la
condizione dell’Inghilterra in in confronto con quella della
Francia e della Russia. [...] La Francia ha subito un rapido
declino rispetto all’epoca eroica della Rivoluzione e di
Napoleone. La gloria è svanita, e il declino è consistito in una
discesa nella volgarità, in tutto ciò che può essere condensato
nella parola bourgeois. Balzac, Stendhal e Flaubert sono stati
grandi romantici che, invece di voltare le spalle al mondo con
disgusto, si sono rivolti verso di esso con disgusto e lo hanno
combattuto con le sue stesse armi. In loro il realismo è nato
come un credo estetico”.
Charles Dickens (1812-1870)
• Nasce il 7 febbraio 1812 a Landport, presso Portsmouth, secondo
di otto figli;
• Padre: John Dickens; Madre: Elisabeth Barrow
• 1815: Trasferimento a Londra
• 1817: Trasferimento a Chatham (Kent)
• 1823: Nuovo trasferimento a Londra
Arresto del padre
• Feb. 1824: Il padre viene arrestato per debiti. Charles inizia a
lavorare in una fabbrica di lucido da scarpe
• Mag. 1824: Il padre viene rilasciato
• 1824-27: Studi scolastici
Charles Dickens (1812-1870)
• 1927: Assunto come aiutante in un ufficio legale
• 1929: Assunto come stenografo parlamentare
• 1834: Assunto come cronista dal “Morning Chronicle”
Prime opere
• Set. 1834: Primo bozzetto pubblicato sul “Morning Chronicle”,
firmato con lo pseudonimo “Boz”
• 1836: Raccolta e pubblicazione degli Sketches by Boz
• 1836-37 (puntate mensili): The Pickwick Papers (Il circolo
Pickwick)
• 1836: Matrimonio con Catherine Hogarth
Romanzi
• 1837-38: Oliver Twist
• 1840-41: The Old Curiosity Shop (La bottega dell’antiquario)
• 1843-48: Racconti di Natale
• 1846-48: Dombey and Son (Dombey e figlio)
• 1849-50: David Copperfield
• 1852-53: Bleak House (Casa desolata)
• 1854: Hard Times (Tempi difficili)
• 1859: A Tale of Two Cities (Racconto tra due città)
Great Expectations (Grandi speranze)
• Maggio 1859: Fonda e dirige la rivista “All the Year Round”, su
cui escono A Tale of Two Cities e Wilkie Collins, The Woman in
White (La donna in bianco, 1860)
• Autunno 1860: Vendite in forte calo
• 1 dic. 1860-3 ago. 1861: Pubblicazione del romanzo a puntate
settimanali
• 1864-65: Our Mutual Friend (Il nostro comune amico)
• 1870: The Mystery of Edwin Drood (Il mistero di Edwin Drood,
incompiuto)
Peter Brooks, Trame
•Trama ufficiale: Il sogno della Satis House / Storia di fate
 “my fairy godmother” (p. 170)
• Trama repressa: L’incubo della Satis House / Storia di streghe
 “the witch of the place” (p. 92)
Peter Brooks, Trame
“Il sogno della Satis House è un sogno ad occhi aperti, dove
‘Sua Maestà l’Io’ si compiace di accarezzare fantasie di ascesa
sociale e di raffinatezza. A Miss Havisham viene assegnato il
ruolo della buona fata madrina: la sua stampella è una bacchetta
magica, esplicitamente evocata per ben due volte verso la fine
della prima parte. Questa trama ha del resto una sua sanzione da
parte degli adulti: viene formulata la prima volta da
Pumblechook e dalla moglie di Joe quando avanzano l’ipotesi
che l’anziana signorina intenda ‘fare qualcosa’ per Pip; e Pip
naturalmente ci crede, in modo che quando le ‘speranze’ si
materializzano egli le accetta come naturale realizzazione del
suo sogno, delle sue ‘aspirazioni’.
Peter Brooks, Trame
Eppure, identificare Satis House con il sogno significa cancellare
a viva forza tutte le altre cose che quella casa suggerisce e
rappresenta, tutto ciò che si raggruma intorno al simbolo centrale
della torta nuziale ormai guasta e maleodorante e delle cose che
vi strisciano sopra. […] Ogni tentativo di leggere la Satis House
come un messaggio di raffinatezza e di scalata sociale può essere
sovvertito fin dall’inizio” (129-30)
Tzvetan Todorov, La letteratura fantastica (1970)
• Strano: Avvenimenti insoliti, in un contesto normale
e razionale
• Meraviglioso: Avvenimenti impossibili,
soprannaturali
• Fantastico: Incertezza, esitazione tra una spiegazione
razionale e una spiegazione soprannaturale
Tzvetan Todorov, La letteratura fantastica (1970)
“Così penetriamo nel cuore del fantastico. In un mondo che è
sicuramente il nostro, quello che conosciamo, senza diavoli,
né silfidi, né vampiri, si verifica un avvenimento che,
appunto, non si può spiegare con le leggi del mondo che ci è
familiare. Colui che percepisce l’avvenimento deve optare
per una delle due soluzioni possibili: o si tratta di un’illusione
dei sensi, di un prodotto dell’immaginazione, e in tal caso le
leggi del mondo rimangono quelle che sono, oppure
l’avvenimento è realmente accaduto, è parte integrante della
realtà, ma allora questa realtà è governata da regole a noi
ignote. […]”
Tzvetan Todorov, La letteratura fantastica (1970)
“Il fantastico occupa il lasso di tempo di questa incertezza;
non appena si è scelta l’una o l’altra risposta, si abbandona la
sfera del fantastico per entrare in quella di un genere simile,
lo strano o il meraviglioso. Il fantastico è l’esitazione provata
da un essere il quale conosce soltanto le leggi naturali, di
fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale”.
Peter Brooks, Trame
“È importante notare come questo incipit caratterizzi Pip come
un’esistenza priva di trama, al momento esatto in cui si verifica
l’evento che risulterà decisivo per l’intreccio futuro della sua
vita, come egli stesso scoprirà a due terzi almeno del romanzo.
È un essere alieno, non garantito da autorità paterne, autonominatosi; e sul punto di entrare a far parte del codice
linguistico e del sistema sociale che sottintende, Pip sarà per
tutta la prima parte del romanzo in cerca di una trama, mentre
il romanzo racconterà la graduale precipitazione di un senso
della trama, il delinearsi inatteso di direzioni e intenzioni
insospettate intorno a lui” (127).
Distizione tra io narrante e io narrato
a) Riferimenti espliciti all’atto della scrittura:
“mi sembra di vederlo [un personaggio], mentre scrivo” (281)
“mentre scrivo queste parole” (487)
b) Contrapposizioni esplicite tra il presente e il passato
“Adesso lo racconto celiando, ma allora non fu affatto uno
scherzo, per me” (331)
c) Enfasi sul processo del ricordo:
“L’intera scena mi si staglia dinanzi vividamente, rivedo perfino
le gocce di pioggia d’aprile sulle finestre del Tribunale...” (487)
d) Anticipazioni, allusioni a quello che succederà più avanti:
“io solo so quanto Estella mi fece soffrire in seguito” (90)
“In seguito, nella mia esistenza...” (115)
“vedremo fra poco che...” (435)
“vi era qualcosa di vago che indugiava nei miei pensieri, e che
si rivelerà alla fine di questo povero racconto” (480)
Distizione tra io narrante e io narrato
e) Giudizi retrospettivi sul proprio comportamento passato:
“Ero troppo vigliacco per fare ciò che sapevo essere il bene,
così come ero stato troppo vigliacco per evitare di fare ciò che
sapevo essere il male” (45)
f) Constatazioni della propria ignoranza passata:
“A quel tempo, non avevo nessuna esperienza del mondo…”
(45-46)
“A quel tempo non sapevo nulla...” (66)
g) Constatazioni della differenza tra la prospettiva del passato e
quella del futuro:
“Allora vedevo le cose ben diversamente da come le vidi poi
nella vita...” (49)
Jean Rousset, Forma e significato (1962)
• “Struttura del doppio registro”, fondata sulla distinzione tra
io narrante e io narrato e sulla distanza (temporale,
conoscitiva, esistenziale) tra i due soggetti
• Ne parla a proposito di un romanzo di Marivaux, La Vie de
Marianne (1731-41)
“Marianne è al tempo stesso colei che vive le sue avventure e
colei che le racconta [...]. Tuttavia, i due registri non si
confondono [...], restano distinti e disgiunti: la Marianne matura
che racconta non è la giovane Marianne che viveva il suo
isolamento e il suo amore; ella la considera da lontano; la
Marianne del presente ha per la Marianne del passato lo sguardo
di un autore per un personaggio di cui conosce il destino e che
gli è per metà estraneo; narratrice di se stessa, ma di una se
stessa lontana, ella interviene costantemente nel suo racconto”
Great Expectations, cap. XXIX:
“Betimes in the morning I was up and out. It was too early yet
to go to Miss Havisham's, so I loitered into the country on Miss
Havisham's side of town - which was not Joe's side; I could go
there to-morrow - thinking about my patroness, and painting
brilliant pictures of her plans for me.
She had adopted Estella, she had as good as adopted me, and
it could not fail to be her intention to bring us together. She
reserved it for me to restore the desolate house, admit the
sunshine into the dark rooms, set the clocks a–going and the
cold hearths a–blazing, tear down the cobwebs, destroy the
vermin,—in short, do all the shining deeds of the young
Knight of romance, and marry the Princess.
I had stopped to look at the house as I passed; and its seared red
brick walls, blocked windows, and strong green ivy clasping
even the stacks of chimneys with its twigs and tendons, as if
with sinewy old arms, had made up a rich attractive mystery,
of which I was the hero. Estella was the inspiration of it, and the
heart of it, of course. But, though she had taken such strong
possession of me, though my fancy and my hope were so set
upon her, though her influence on my boyish life and character
had been all–powerful, I did not, even that romantic morning,
invest her with any attributes save those she possessed. I
mention this in this place, of a fixed purpose, because it is the
clue by which I am to be followed into my poor labyrinth.
According to my experience, the conventional notion of a lover
cannot be always true. The unqualified truth is, that when I loved
Estella with the love of a man, I loved her simply because I
found her irresistible. Once for all; I knew to my sorrow, often
and often, if not always, that I loved her against reason, against
promise, against peace, against hope, against happiness, against
all discouragement that could be. Once for all; I loved her none
the less because I knew it, and it had no more influence in
restraining me, than if I had devoutly believed her to be human
perfection.
Franco Moretti, Il romanzo di formazione
“Common è un termine dalla storia lunga e complicata,
[che] vive della sovrapposizione tra l’ambito semantico del
“diffuso”, “comune”, “ordinario”, “normale”, e quello chel
“non degno di nota”, “banale”, “volgare”, e financo
“spregevole”. Sensibile com’è alle distinzioni di classe, e
desideroso di farvi la sua figura, Pip coglie automaticamente
l’accezione spregiativa del termine, e cerca di sottrarvisi”
(210-211).
Franco Moretti, Il romanzo di formazione
“Nel romanzo inglese le esperienze più significative non
sono quelle che alterano, ma quelle che confermano le scelte
compiute dall’”innocenza” infantile. Più che romanzo di
formazione, vien voglia di chiamarlo romanzo di
conservazione”
Peter Brooks, Trame
“La parte centrale del romanzo […] appare caratterizzata dal
tema del ritorno. Sul piano letterale: proprio i vari ritorni di Pip
da Londra alla sua città natale costituiscono il Leitmotiv
dell’intera sezione londinese, la fase delle speranze e il loro
epilogo. Apparentemente, i ritorni di Pip sono dovuti al desiderio
di riparare al male fatto al povero e trascurato Joe, un’intenzione
che peraltro non viene mai realizzata; implicitamente, c’è
sempre il desiderio di scoprire le intenzioni della presunta
benefattrice della Satis House, e di portare a compimento le
trame da lei ordite. Ma in realtò ad ogni ritorno corrisponde una
regressione, nella Satis House, alla condizione del ‘ragazzotto
rozzo e volgare’ (cap. XXIX) che invano sogna la sua scalata
sociale, in un incubo di ripetizioni frustranti e senza esito alcuno;
al tempo stesso, rivive l’altro incubo infantile, quello rimosso,
del legame con il galeotto”.
Peter Brooks, Trame
Entrambi i ritorni ribadiscono come le trame ‘ufficiali’ di Pip,
apparentemente improntate al progresso, all’ascesa e alla
soddisfazione del desiderio, siano in effetti soggette a un
processo di ripetizione di un passato non ancora dominato, vera
forza determinante della sua vita e della sua carriera” (p. 136).
Peter Brooks, Trame
“Se il modello del Bildungsroman sembra sottintendere una
tensione progressiva, verso uno sviluppo e un mutamento, la
storia di Pip – e questo può valere anche per vari altri romanzi di
educazione nell’Ottocento – man mano che procede appare
sempre più chiaramente frutto delle vicende passate, un tentativo
di ritorno alle origini per ritrovarvi le motivazioni e la chiave di
quanto altrimenti non può non risultare, come Pip stesso dice a
Miss Havisham, una vita ‘cieca e senza gioia’ (cap. XLIX). Il
passato esige di essere incorporato come passato all’interno del
presente, dominato attraverso il gioco delle ripetizioni perché ci
possa essere una salvezza dalle ripetizioni stesse, e si possa
arrivare a una realizzazione del cambiamento, della differenza,
del progresso” (144).
Il suspense
Emile Zola, Il Naturalismo nel teatro (1881):
“Il romanzo naturalista è semplicemente una ricerca sulla
natura, gli uomini e le cose. Esso non ha più alcun
interesse per l’ingegnosità di un racconto bene inventato e
svolto secondo certe regole. L’immaginazione non ha più
spazio, l’intreccio importa poco al romanziere, il quale non
si preoccupa né dell’esposizione, né della trama, né della
conclusione; egli cioè non interviene per togliere o
aggiungere nulla alla realtà, non costruisce di sana pianta
una impalcatura secondo le esigenze di un’idea concepita
prima. Si parte dal presupposto che la natura è sufficiente;
bisogna accettarla quale è senza modificarla o rifinirla in
niente [...].
Il suspense
Emile Zola, Il Naturalismo nel teatro (1881):
Invece di immaginare un’avventura, di complicarla,
distribuendo colpi di scena che la conducano via via ad una
conclusione finale, si prende semplicemente nella vita la
storia di un uomo o di un gruppo di uomini, di cui si
registrano fedelmente le azioni. L’opera diventa un
processo verbale e niente altro; non ha che il pregio
dell’osservazione esatta, della penetrazione più o meno
profonda, dell’analisi, del collegamento logico dei fatti”.
Il suspense
Zola, Il senso del reale (1878):
“Certo il romanziere [naturalista] ricorre ancora
all’invenzione; inventa una trama, un dramma; ma si tratta
di un pezzetto di dramma, la prima storia che gli capita e
che la vita quotidiana gli offre continuamente. Poi
nell’economia dell’opera, ciò ha un’importanza assai
esigua. I fatti vi compaiono solo come sviluppo logico dei
personaggi. Il problema consiste nel costruire creature vive
che rappresentano davanti ai lettori la commedia umana
con più naturalezza possibile. Tutti gli sforzi dello scrittore
tendono a nascondere l’immaginario sotto il reale” (214).
Il suspense
R.L. Stevenson, A Gossip on Romance (A proposito del
romance, 1882):
“Oggigiorno gli inglesi hanno la tendenza, e non ne so il
perché, a guardare dall’alto in basso le trame dense
d’incidenti e a riservare la loro estatica ammirazione per il
tintinnio dei cucchiaini da tè e i sommessi accenti del
curato. Si considera “intelligente” un romanzo purché non
abbia alcuna trama, o se proprio deve concedersela ne offra
una noiosissima”.
Il suspense
S. Chatman, Storia e discorso: La struttura narrativa nel
romanzo e nel film (1978):
Distingue tra sorpresa e suspense
 Sorpresa: Avvenimento improvviso, inaspettato, che
però ha un carattere effimero; è un effetto che si consuma
rapidamente;
• Suspense: Fenomeno più complesso, basato su uno stato
di apprensione e di tensione del lettore che viene
mantenuto, che viene alimentato, a prescindere dall’esito
previsto o prevedibile dell’avvenimento.
Il suspense
S. Chatman, Storia e discorso: La struttura narrativa nel
romanzo e nel film (1978):
“Suspense e sorpresa sono termini complementari, non
contraddittori. Entrambi possono funzionare insieme nelle
narrazioni in modi complessi: una concatenazione di eventi
può avere inizio con una sorpresa, trasformarsi in un
intreccio di suspense e poi terminare con un
capovolgimento, vale a dire eludendo le attese – un’altra
sorpresa. Grandi speranze ne fornisce esempi classici; il
suo intreccio è una vera e propria associazione suspensesorpresa. [...] Seguiamone un poco il filo”.
Il suspense
“La sorpresa iniziale è lo shock che Pip ha quando
Magwitch lo agguanta all’improvviso nel cimitero;
l’episodio conduce a un crescendo di suspense provocato
dal furto del cibo e della lima [...]. Il suspense è in parte
alleviato dalla consegna a Magwitch. Pip non deve più
temere per la sua pelle. Ma il lettore avverte un doppio
suspense, la paura di Pip stesso, e la previsione di guai di
cui Pip non è ancora a conoscenza. Pip prende quello che
gli viene a mano [...]. Un pasticcio di maiale desta
particolarmente l’attenzione: il pasticcio è destinato al
pranzo di Natale e noi temiamo per Pip una nuova ondata
di avvenimenti”.
Il suspense
“Il sospetto si rivela esatto: dopo il budino [...], la sorella
annuncia il pasticcio di maiale. Il suspense che abbiamo
provato è ora giustificato, ma per Pip l’effetto è di sorpresa
[...]. La sorpresa di Pip si muta in un suspense
insopportabile: “Abbandonai la gamba del tavolo e fuggi
con quanta forza avevo”. Solo per essere fermato da una
nuova sopresa: i soldati alla porta. A questo punto il
capitolo finisce. [...]” (59-60).
Il suspense
Roland Barthes, Maschile, femminile, neutro (1970):
 Mette l’accento sulla struttura fondamentalmente
“interrogativa” della narrazione, che si basa su una
domanda (o su una serie di domande) a cui la storia – con
il suo sviluppo – deve fornire una risposta;
 E su questa base, propone una distinzione tra quattro
tipologie di domande:
Il suspense
Roland Barthes, Maschile, femminile, neutro (1970):
“Il “suspense” [...] si lega in modo evidente alla domanda:
una domanda vitale la cui risposta, incerta, tarda in
maniera particolare.
Ogni racconto, a quanto pare, comporta
fondamentalmente una domanda. Si possono ricondurre i
racconti classici della letteratura occidentale, per quanto
semplificate siano le sue strutture, a quattro domande
principali, a quattro tipi di “suspense”: due suspense
d’essere e due suspense di fare. Secondo il primo tipo di
suspense, il racconto assolve la funzione di ritardare e di
rispondere alla domanda Chi? (Chi ha fatto questo? Chi è
in realtà questo personaggio? ecc.) [...]”
Il suspense
“Il secondo tipo di suspense è più raro: il problema non è
quello di identificare il nome proprio dello sconosciuto, ma
– se così possiamo dire – il suo nome di specie, il suo nome
comune: Chi diviene Che cosa? Che cos’è? [...] Il terzo tipo
è il più banale e fornisce il modello di tutti i racconti
“drammatici”: la domanda riguarda l’esito dell’azione
intrapresa: andrà a finire bene o male? Chi vincerà? [...]
Per finire ci sono dei racconti la cui conclusione è
conosciuta dal lettore fin dall’inizio e la cui struttura è non
di meno sospensiva: la domanda verte allora sul modo in
cui l’esito sarà raggiunto. A quest’ultimo suspense
appartengono tanto la tragedia, fondata sulla molla
dell’ineluttabilità, quanto quel tipo di racconto di cui si sa in
anticipo il risultato, per poi risalire alle origini, secondo il
procedimento del flash-back” (21-22).
Il suspense
Roland Barthes, S/Z (1970):
“La dinamica del testo [...] è paradossale: è una dinamica
statica: il problema è quello di mantenere l’enigma nel
vuoto iniziale della sua risposta; laddove le frasi fingono lo
“svolgimento” della storia e non possono impedirsi di
portare, spostare questa storia, il codice ermeneutico
esercita un’azione contraria: deve disporre nel flusso del
discorso dei ritardi (zig-zag, fermate, deviazioni); la sua
struttura è essenzialmente reattiva gaicché oppone
all’avanzata ineluttabile del linguaggio un gioco scaglionato
di fermate: costituisce, tra la domanda e la risposta, tutto
uno spazio dilatorio, il cui emblema potrebbe essere la
“reticenza”, quella figura retorica che interrompe la frase, la
sospende e la devia [...]”.
Il suspense
“Donde, nel codice ermeneutico, comparativamente ai suoi
termini estremi (la domanda e la risposta) l’abbondanza dei
morfemi dilatori: l’inganno, o esca (sorta di deviazione
deliberata della verità), l’equivoco (misto di verità e
d’inganno che, molto spesso, delimitando l’enigma,
contribuisce a infittirlo), la risposta parziale (che non fa
altro che acuire l’attesa della verità), la risposta sospesa
(arresto afasico dello svelamento), e il blocco
(constatazione di insolubilità)” (72).
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Grandi speranze