LE ANTICHITÀ CRISTIANE DEL VILLAGGIO DI MEKAWER
M. Piccirillo
Il primo esploratore moderno del territorio transgiordanico Ulrich Seetzen
associò il nome del villaggio di Mekawer nel territorio di Madaba, riferitogli dai beduini durante il suo secondo viaggio in Transgiordania nel 1807,
con la fortezza di Machairos, sulla quale lungamente si sofferma lo storico
Giuseppe Flavio1.
L’intuizione toponomastica dell’esploratore condusse all’identificazione
della fortezza sulla cima isolata di Qal‘at al-Mishnaqa a nord ovest del villaggio2. In seguito allo scavo condotto dallo Studium Biblicum Franciscanum, si
è giunti a distinguere definitivamente il villaggio sull’altopiano dalla fortezza
descritta dallo storico giudeo come composta dalla città alta (il palazzo
erodiano) e dalla città bassa ubicata sul ripido declivio nord della stessa cima3.
Il villaggio ha una sua autonomia topografica rispetto alla fortezza. La
ceramica raccolta in superficie tra le case del villaggio e primariamente una
iscrizione in greco (foto 24) e i corredi funerari delle tombe nell’esteso cimitero di sud, confermano che nel primo secolo il villaggio esisteva contemporaneamente con la fortezza4.
1. Bellum Judaicum, VII, 6; II, 18, 6. Nella fortezza, secondo lo storico ebreo, fu chiuso in
prigione e decapitato Giovanni Battista (Antiquitates Judaicae, XVIII, 5, 1-2). U.J. Seetzen,
Reisen durch Syrien, Palästina, Phönicien, die Transjordan-Länder..., Herausgegeben und
kommentirt von F. Krause, vol. II, Berlin 1854, 330-333: “Endlich nannte man mir einen
Ort Mkauer oder nach dem Dialekt der hiesigen Beduinen, welche das kef wie ein Tsch
aussprechen, Mtschauer, und aus der Angabe del Lage desselben wurde ich überzeugt, dass
dieses der nämliche Ort seyn müsse”. Per l’identificazione e esplorazione del villaggio, A.
Strobel, “Auf der Suche nach Machärus und Callirrhoe. Selbstzeugnisse und Dokumente zu
einem geographischen Problem des 19. Jahrhunderts”, ZDPV 93, 1977, 247-267.
2. J. Vardaman, Machaerous: Project for Excavation, Louisville, Kentucky (manuscript).
3. Rapporti preliminari sullo scavo della fortezza: V. Corbo, “La fortezza di Macheronte.
Rapporto preliminare della prima campagna di scavo: 8 settembre - 28 ottobre 1978”, LA
28, 1978, 217-238; della seconda campagna in LA 29, 1989, 315-326; della terza campagna
in LA 30, 1980, 365-376; della quarta campagna in LA 31, 1981, 257-286. Cfr inoltre A.
Strobel, “Das römische Belagerungswerk um Machärus. Topographische Untersuchungen”
ZDPV 90, 1974, 128-184. S. Loffreda, La ceramica di Macheronte e dell’Herodion (90 a.C.
- 135 d.C.) (SBF Collectio Maior 39), Jerusalem 1996, in stampa.
4. Una iscrizione in greco proveniente dal cimitero fu pubblicata da A. Strobel, “Ein
Grabstein aus römischer Zeit in Mukawer”, RB 95, 1988, 92-96 (“Tomba di Tommaso, di
sua moglie Mele e dei loro figli, eretta loro viventi”). L’iscrizione dal cimitero fu da noi
trasportata al sicuro nell’erigendo museo di Mekawer.
LA 45 (1995) 293-318; tavv. 25-42
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M. PICCIRILLO
Mentre la fortezza, una volta distrutta, non fu più ricostruita, il villaggio continuò ad essere abitato anche in periodo bizantino-arabo. Un episodio raccontato nella Vita di San Saba da Cirillo di Scitopoli (VI sec.),
ricorda incidentalmente il nome del villaggio5. Machaberos fu inserito da
Giorgio Ciprio (VI sec.) tra le località della provincia di Arabia6.
Dopo secoli di abbandono le rovine furono rioccupate verso la fine del
secolo scorso da alcune famiglie dei Bene Hamideh.
Le rovine del villaggio furono visitate dalla missione del Duca de
Luynes nel 18647. I beduini indicarono all’esploratore i resti di una chiesa
absidata (al-Kaniseh) che fu fotografata e in parte rilevata. La chiesa fu poi
descritta da Adam Smith nel 19058. Il padre Abel nel 1909 scrisse di due
chiese esistenti nel villaggio senza ulteriori precisazioni9.
5. Cyrilli, Vita Sabae, LXXXI (ed. E. Schwartz, Lepzig 1939, p. 186, 15-17: ajpo\
Macairou/ntwn).
6. Georgii Cyprii Descriptio, n. 1082 (ed. H. Gelzer, p. 208): kw/mh Macaberw. Il
toponimo ricorre come Comi Machaveron nella Descriptio Parochiae Jerusalem (Itinera
Hierosolymitana, ed. T. Tobler - A. Molinier, Genevae 1879, p. 326).
7. Le Duc de Luynes, Voyage d’exploration à la Mer Morte, à Petra et sur la rive gauche
du Jourdain, I, p. 161s; Atlas, Pls. 36-39. “Les restes de M’kaur ne sont qu’un amas confus
de ruines déformées et corrodées par l’action du temps. A peine peut-on trouver deux ou
trois troncons de petites colonnes. Dans l’édifice le plus reconnaissable, quoique très-altéré,
on distingue une abside à peu près orientée, una base de petite colonne d’ordre dorique
romain, une mauvaise moulure de corniche, et une pierre avec une grosse rainure pour
l’écoulement des eaux. L’aspect de ces ruines donne l’idée d’une ville importante par son
étendue, mais très-médiocre sous le rapport de son architecture…: peu de pierres équarries,
pas d’inscriptions, pas de colonnes d’un diamètre moyen: les bergers arabes nous assurèrent
que dans cette vaste superficie de ruines on n’en trouverait aucune; nulle voûte ni arcade
élevée, nulle sculpture de figure ni d’ornement”.
8. A. Smith, “Callirrhoe and Machaerous”, PEFQSt, 1905, p. 219-231: “The next few hours
and the following morning were spent in examining the ruins of the town. They show the
features common to the remains of Byzantine towns in Moab; the masonry of the walls [...]
is the usual rubble between two lines of large dressed stones, without mortar. Many deep
cisterns in the limestone rock; the few which still hold water are carefully guarded by a
sept of the Hamideh Arabs, whose chief came to our tent and sold us some water. They
cultivate a little of the surrounding plateau and house their cattle in the ruins. The ruins
extend about three-quarters of a mile from north to south, and perhaps half a mile from east
to west on the ridge, which is divided into two parts connected by a col. [...] The bulk of
the buildings were domestic, but there were obviously several public buildings. The largest
of these, called the Keniseh by the Arabs, on the west edge of the ridge, is about 20 paces
square (but probably longer originally, for a more recent wall cuts across its west end), and
shows the remains of a semi-circular apse at the east end with a cave under the centre of it,
a bank behind the cave and the apse built up from this” (p. 225-6).
9. Abel, RB, 1909, p. 386: “Le christianisme fleurit à Machéronte: la preuve en est fournie
par la présence de deux églises en ruines”.
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Nel 1964, il Dipartimento delle Antichità scavò una chiesa mosaicata
nel settore ovest del villaggio (foto 2, n. 1)10. Una seconda chiesa fu scoperta nel 1990 durante i lavori intrappresi dal Ministero del Turismo per
creare un posto di ristoro per i visitatori (foto 2, n. 2)11. Nel 1994 potemmo
rilevare l’edificio sacro del settore settentrionale sul declivio della collina
sulla quale sorge il villaggio moderno a nord del cimitero (foto 2, n. 3)12.
Un pavimento mosaicato decorato con un motivo geometrico di rombi dai
colori netti, mi fu mostrato da un abitante del villaggio a ovest della chiesa
occidentale, a sud della strada che prosegue per la fortezza. Mosaico che
non è stato mai riportato alla luce.
In questo studio raccogliamo i dati riguardanti i tre edifici sacri cristiani finora scoperti tra le case del villaggio e gli elementi architettonici ad essi riferibili.
1. La chiesa occidentale
L’edificio absidato fu mostrato dai beduini Hamaideh a tutti i visitatori del
villaggio a cominciare dalla spedizione del Duca de Luynes. La descrizione
più accurata resta quella di padre Bellarmino Bagatti del 195313. L’edificio
fu scavato dal Dipartimento nel 1964. Purtroppo manca la documentazione
di scavo, a parte una notizia molto sommaria e due foto nell’archivio14.
10. M. Piccirillo, La Terra Santa, 1982, pp. 119-121. La scoperta dell’iscrizione nel mosai-
co della chiesa di Mekawer fu segnalata da padre S. Saller in LA 14, 1964, p. 286.
11. Il Ministero del Turismo è impegnato in un progetto di rivalutazione turistica del sito che com-
prende il restauro della fortezza esplorata dallo SBF negli anni 1978-1981 con la costruzione di
un accesso meno disagevole alla cima di Qal‘at al-Mishnaqa, e di un posto di ristoro per i visitatori
con riutilizzo di alcune case del villaggio. La consulenza archeologica del progetto è affidata agli
archeologi dello SBF. L’architetto Luigi Marino dell’Università di Firenze ha preparato il progetto di restauro e di conservazione delle strutture emergenti: L. Marino, “Interventi alla fortezza e al
villaggio di Macheronte”, in L. Marino (a cura di), Siti e Monumenti della Giordania. Rapporto
sullo stato di conservazione, Firenze 1994, pp. 73-78. Finora è stata completata la nuova strada
che attraversando il villaggio giunge ad una piazzuola belvedere di fronte alla fortezza. Di qui attraverso una scala di discesa costruita dal Ministero del Turismo, si scende alla strada sterrata che
sale sulla cima sul versante occidentale con un tornante un po’ ripido ma rispettoso del paesaggio
e delle rovine, in parte disegnata dall’architetto Massimo Benedettucci di Roma ed eseguita dall’unità tecnica del Ministero del Turismo e dell’Antichità.
12. Cfr “Ricerca storico-archeologica in Giordania”, LA 44, 1994, p. 640, tavv. 61-62.
13. B. Bagatti, “Una visita a Macheronte dove fu decapitato S. Giovanni Battista”, La Terra Santa, 1953, pp. 336-340. Padre Bagatti è anche il primo che descrive il cimitero antico
a sud est del villaggio.
14. Cfr Nota 8. Una delle foto del Registration Centre del Dipartimento delle Antichità fu
da me ripubblicata in Chiese e mosaici di Madaba, Jerusalem 1989, p. 256 e recentemente
in The Mosaics of Jordan, Amman 1993, p. 246, n. 414.
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M. PICCIRILLO
Sul posto resta la muratura perimetrale dell’edificio sacro con l’accenno dell’abside centrale (foto 3). La chiesa faceva parte di un complesso i
cui ambienti si estendono a sud e a ovest dove è possibile vedere un vano
mosaicato mai esplorato.
Dalle foto risulta che il tappeto della navata centrale era decorato con
una serie sovrapposta di girali di tralci di vite che inquadravano una iscrizione dedicatoria (foto 4 e 5). La composizione rimanda ad una posizione
del lacerto al centro della navata. I motivi figurativi dei girali erano stati
accuratamente sfigurati durante la crisi iconofobica da datare all’epoca
omayyade15. Con un alberello carico di frutti, resta identificabile un asinello
con un carico di grappoli d’uva, e resti di un volatile nella risulta dei girali
a lato dell’iscrizione. Sul piano tecnico-figurativo il mosaico di buona qualità è ben ambientato tra i lavori coevi dei mosaicisti di Madaba.
L’iscrizione
Strappata e malamente restaurata con l’aggiunta di un riquadro spurio,
l’iscrizione è conservata nel deposito del Museo del Folclore a Amman
(foto 6). Ne restano solo alcune parole alla fine di ogni linea, in parte
controllabili nelle foto dello scavo16.
[...e˙y]ifo/qh
[...]PLOUANOU PA
[...i˙ndiktiw◊noß] ç e˙n e¶touß uçz
[...pro]sfairo/nt(wn kai«) Ma[...] denou (kai«) Serg(i÷ou)
(kai«) Qeodo/rou (kai«) Sohlou (?)
ig(oume÷nou)
[…] fu mosaicata
[…]
[…] l’indizione 6 dell’anno 496
[…] degli offerenti e di Ma[...] DENOU e di Sergio, di
Teodoro di Soel(?) l’egumeno
15. M. Piccirillo, “Iconofobia o iconoclastia nei mosaici di Giordania?”, Bisanzio e l’Occidente: arte, archeologia, storia. Studi in onore di Fernanda de’ Maffei, Roma 1996, pp. 173-192.
16. P.-L. Gatier, Inscriptions de la Jordanie, Tome 2, Région centrale (Amman, Hesban,
Madaba, Ma‘in, Dhiban), IGLS 5, XXI (BAH, CXIV), Paris 1986, p. 195s. Citato IGLJ, 2.
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L’anno calcolato secondo l’era della Provincia Arabia corrisponde al
602/03, quando era già in sede a Madaba il Vescovo Leonzio successore di
Sergio, secondo l’iscrizione di un annesso nord della “cattedrale”17.
La lettura dell’ultimo nome a chiusura dell’iscrizione non è sicura18.
Sembra certa, invece, la lettura del titolo, ig(oume/nou) che rimanda ad un
monastero nel villaggio o nelle sue immediate vicinanze19.
2. La chiesa del Vescovo Malechios
La decisione di adattare a posto di ristoro alcune case del villaggio arabo
di Mekawer, ha portato all’identificazione di una seconda chiesa ad un centinaio di metri a est dell’edificio ecclesiastico precedente (foto 7-8). Lo
scavo è stato condotto nella primavera del 1990 dal signor Hazim Jaser del
Fig. 1 Lo scavo della chiesa del Vescovo Malechios e dell’area circostante
(dis. E. Alliata, 1990).
17. Piccirillo, Chiese e mosaici di Madaba, p. 22; IGLJ, 2, p. 136s.
18. Gatier legge Qoma (IGLJ, 2, p. 195).
19. Durante la visita ad una casa costruita su una cima isolata al centro dell’avvallamento
di Mekawer verso sud, ho potuto notare un frammento di architrave con una rosetta in cerchio (Piccirillo, Chiese e mosaici di Madaba, p. 257). Non posso però confermare quanto
assicuratomi dagli abitanti che la casa era stata costruita su un pavimento mosaicato.
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Dipartimento delle Antichità e dal signor George Iskandar del Ministero del
Turismo con la nostra supervisione20.
La chiesa ubicata a sud della strada che attraversa il villaggio, è circondata su tre lati, a nord, nord ovest e a est, dalle piccole abitazioni monolocali del villaggio dominate dalla casa più ampia dello sheikh costruita
negli anni trenta (fig. 1). Una delle case costruita al centro della chiesa è
stata demolita nel corso dei lavori. La costruzione di queste case con materiali di spoglio è all’origine degli sconvolgimenti degli strati archeologici e
alla quasi totale manomissione delle costruzioni antiche.
Dallo scavo continuato dalla Cooperativa Archeologica di Firenze nel
1992-93 risulta che la chiesa fu costruita su ambienti preesistenti di difficile datazione (fig. 2)21. A nord, tra la casa dello sheikh e la chiesa, si sviluppano una serie di piccoli ambienti irregolari forse di uso domestico ricavati
sul declivio della montagna. A contatto diretto con il muro della chiesa si
trovano due vaschette quadrangolari intonacate con il fondo mosaicato a
tessere bianche di modulo maggiorato22.
Altre due vasche dello stesso tipo sono ubicate nell’area a sud ovest
della facciata fuori asse rispetto agli ambienti che si sviluppano a nord, uno
dei quali con tracce di mosaico in tessere bianche.
A est, il muro di chiusura dell’abside della chiesa è costruito sopra una
muratura precedente con differente allineamento. Meglio conservati sono
due vani di forma irregolare accostati all’edificio che si sviluppano in direzione est-ovest con apertura a sud ad una quota più bassa rispetto al cortile. I due ambienti autonomi, originariamente coperti ad arco, sono raggiungibili con alcuni scalini. Il primo era lastricato; il secondo era pavimentato
con uno strato di intonaco grigio che copre anche le pareti e le basi degli
archi della copertura (foto 9). Nel cortile antistante a sud era scavata una
cisterna ancora oggi in uso.
Altri vani continuavano verso nord est con apertura rivolta verso occidente, venendo a creare così una specie di cortiletto interno tra la chiesa e
la casa dello sheikh. Il pavimento lastricato dell’ambiente di nord est, nei
20. Una notizia preliminare in “Ricerca storico-archeologica in Giordania” a cura di M.
Piccirillo, LA 40, 1990, pp. 466-468.
21. S. Bianchi - F. Faggella, “L’intervento di scavo presso il villaggio”, “Ricerca storicoarcheologica in Giordania”, LA 42, 1992, p. 382s; S. Bianchi, “La fortezza e il villaggio di
Macheronte: Problemi di interpretazione per il restauro e la valorizzazione”, in Marino (a
cura di), Siti e Monumenti della Giordania, pp. 83-88.
22. Nelle due vaschette si possono riconoscere due pozzetti per vinificazione, se di epoca
bizantina, o un mikweh, se di epoca più antica.
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Fig. 2 Lo scavo dell’area circostante la chiesa del Vescovo Malechios (Cooperativa Archeologica - Firenze, 1992-1993).
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pressi della strada era attraversato da una canaletta che proseguiva verso
una cisterna, forse quella ubicata all’interno della chiesa (foto 10).
La chiesa è a tre navate con abside inclusa. Il synthronon a doppio gradino fu aggiunto in un secondo tempo sul mosaico del pavimento (foto 11).
Un concio isolato dietro l’altare è addossato al centro della curva del primo gradino del synthronon (foto 12)23. Il terzo ricorso in altezza della conca absidale è caratterizzato da una croce scolpita in rilievo sul concio centrale (foto 13). Sul pavimento mosaicato, all’altezza della corda absidale,
fu inserita la base dell’altare costituita da una lastra di riutilizzo in scisto
bituminoso con modanatura accentuata24. Sui quattro angoli della lastra è
scolpito l’alloggiamento per le colonnine dell’altare.
Il presbiterio risulta rialzato di due gradini e aggettante nella navata
(foto 1). Non resta traccia della balaustra. Nello scavo però è stato recuperato un ampio frammento di un pluteo decorato con una croce fiorita in
cerchio su piedistallo (foto 14).
Nella navata centrale, nei pressi dell’angolo di sud-ovest del gradino
del presbiterio, è infissa nel pavimento una pietra quadrata con foro al centro, nell’area dove normalmente è ubicato l’ambone (foto 11).
L’abside era affiancata dai due ambienti di servizio di forma poligonale
con un lato che segue la muratura dell’abside.
Malgrado le manomissioni, si può seguire il tracciato della chiesa divisa in tre navate da pilastri. Il perimetro interno era caratterizzato da un banco, ancora in gran parte conservato lungo la parete nord. Delle tre porte che
si aprivano in facciata restano solo i battenti della porta nord. Un vestibolo
lastricato con cisterna sottostante si estendeva ad occidente.
L’area che mostra più cambiamenti è quella di nord est in relazione con
l’annesso liturgico a nord dell’abside. L’ambiente, anomalo per una chiesa,
è composto da un doppio vano rialzato mosaicato a tessere bianche con la
bocca di una cisterna al centro25. Certamente ad una fase successiva va addebitata la costruzione di una parete intermedia che blocca l’ingresso del
vano orientale e in parte la bocca della cisterna sottostante.
23. Anche se non esattamente nella stessa posizione, un concio isolato con foro nella parte
superiore fu da noi trovato ancora in loco al centro del primo gradino del synthronon nella
chiesa del Vescovo Sergio a Umm al-Rasas (M. Piccirillo - E. Alliata, Umm al-Rasas Mayfa‘ah, I. Gli scavi del complesso di Santo Stefano, Jerusalem 1993, p. 75, foto 18).
24. La lastra doveva far parte di una tavola per le offerte (Piccirillo - Alliata, Umm al-Rasas
- Mayfa‘ah, I, p. 307, n. 46).
25. Una sistemazione simile si riscontra nel vano di servizio nord della chiesa dei Santi Lot
e Procopio a Khirbat al-Mukhayyat: S. Saller - B. Bagatti, The Town of Nebo (Khirbet elMekhayyat), Jerusalem 1949, p. 40.
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All’interno dell’annesso furono trovati uno ziro (foto 15; fig. 9,1) e una
croce processionale in bronzo di 40 cm di altezza con l’aggiunta dell’impugnatura modanata in bronzo di 13 cm di lunghezza nella quale era ancora inserita parte dell’asta in legno (foto 16; fig. 4)26. Una teca rotonda
chiusa da un vetro era saldata al centro dei bracci da cui pendevano due
catenelle a cui mancano però le lettere A e W solite nelle croci non recuperate nello scavo.
Nell’annesso di sud a fianco dell’abside, l’unico cambiamento di rilievo è l’apertura sulla parete meridionale di una porta che dava la possibilità
di accedervi dall’esterno della chiesa.
Fig. 3 La croce
processionale
in bronzo
(Dis. B. Steri).
26. La croce che mostrava un piegamento del braccio verticale, fu rotta al momento dello
scavo. Restaurata dalla Fondazione Max Van Berchem, è ora esposta nel Museo Archeologico di Madaba.
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M. PICCIRILLO
Il pavimento mosaicato
A giudicare dai pochi lacerti superstiti, il programma del pavimento
mosaicato del presbiterio era diviso in due pannelli (fig. 4; foto 11). Un
pannello rettangolare limitato al semicerchio absidale era decorato con una
composizione di cerchi secanti a formare quadrati concavi caricati di diamanti. Il secondo pannello esteso a tutta l’area del bema era formato da una
composizione di cerchi annodati, circondata da una treccia a due capi.
L’annesso liturgico di sud era decorato con un fitto reticolo di fiori con
ampio bordo di tessere bianche sui lati (foto 11).
Del mosaico della navata centrale resta solo un lacerto nei pressi del
gradino del presbiterio con alcune parole delle due linee dell’iscrizione
dedicatoria inserita in un rettangolo formato da una linea di tessere nere
dopo il bordo di tessere bianche decorato con una linea continua di fiori tra
due serie di diamanti spaziati (foto 17). Nella linea di fiori il centro della
composizione è indicato da una croce di fiori. Il tappeto della navata andato totalmente distrutto era circondato da una fascia di cancorrenti di tessere
rosse e da una treccia a calice allentata policroma con orlo curvo.
Nella navata meridionale resta uno stralcio del motivo geometrico a
grandi cerchi secanti a formare quadrati concavi chiuso in una treccia a due
capi. Il motivo è arricchito dalla bicromia e da cerchi e quadrati posti di
punta inseriti nelle risulte.
Il mosaico meglio conservato è quello della navata settentrionale (foto 19).
Era introdotto a est nei pressi del gradino dell’annesso nord da una iscrizione di due linee in tabula ansata. Il programma chiuso in una treccia continua
a due capi, di cui resta traccia anche nei pressi della porta in facciata, era suddiviso in almeno tre pannelli distinti. Un pannello figurativo a est introduceva un motivo geometrico di cerchi secanti a formare quadrati concavi decorati
con diamanti. Motivo seguito verso il centro della navata da una composizione formata da una serie continua di tre quadrati affiancati. Ne resta una
serie completa con un volatile e un cesto che inquadrano una iscrizione.
Nel pannello figurativo di est molto danneggiato restano due lampade
che pendono all’interno di un timpano sorretto da due colonnine ai lati di
un oggetto non identificato. Sulla destra della composizione resta il braccio sinistro alzato di un orante27, probabilmente all’interno di un secondo
timpano sostenuto da colonnine. Al centro della composizione sembra di
riconoscere una tenda che scende dall’alto.
27. Come nell’orante della cappella recentemente scoperta sulla terrazza inferiore di Qal‘at
Amman (Piccirillo, The Mosaics of Jordan, p. 458 s).
LE ANTICHITÀ CRISTIANE DEL VILLAGGIO DI MEKAWER
303
Fig. 4 Il settore orientale della chiesa del Vescovo Malechios
(Dis. L. Marino, 1990).
Le iscrizioni
A. L’iscrizione dedicatoria (foto 17)
Dell’iscrizione che si sviluppava su due linee nei pressi del gradino del
presbiterio, resta soltanto la parte centrale. Le lettere in tessere nere sono
alte 15 cm.
Nell’iscrizione dedicatoria si può leggere il nome del vescovo
(Ma)lechios insieme all’inizio di una invocazione al Signore Gesù Cristo28.
28. Cfr SEG XL, 1990, nn. 1526-1528.
304
M. PICCIRILLO
[.........Ma]leciou e˙pisk(o/pou) e˙kti÷sq[h]
[.........]mon(aco/ß). K(u/ri)e ∆I(hso)uv C(rist)e« mn(h/sqhti)...
[Al tempo dell’amatissimo da Dio Ma]lechios vescovo fu costruita
[...........]mon(aco). Signore Gesù Cristo ricordati di [...]
Il dato storicamente rilevante dell’iscrizione è il nome del vescovo
Malechios. Ammesso, come noi pensiamo, che il villaggio bizantino di
Machaberos facesse parte della diocesi di Madaba, abbiamo un nuovo
nome da aggiungere alla lista episcopale della città.
Mancando la data, per suggerire una possibile collocazione cronologica, bisogna ricorrere ad altri dati che discuteremo nella conclusione.
B. L’iscrizione est della navata nord (foto 18)
L’iscrizione di due linee inserita in una tabula ansata introduce a est il programma musivo della navata. Le lettere in tessere nere sono alte 7 cm.
∆ Cris(te/) boe/q(ei) Sergin to\n dou/lo(n souv)
k(ai\) ajna/pa(uson) Georgin to\n dou/l(on souv)
“Cristo soccorri Sergio il tuo servo
e da’ riposo a Giorgio il tuo servo”
LE ANTICHITÀ CRISTIANE DEL VILLAGGIO DI MEKAWER
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C. Iscrizione al centro della navata nord (foto 19)
L’iscrizione si sviluppa su quattro linee sottolineate da linee di tessere rosse in un riquadro tra un uccello e un cesto. Le lettere in tessere nere sono
alte 5 cm.
∆ [...]I Boh/(qei)
touv dou/lo(u souv)
Iwannhß
Wbedou
“(Cristo) soccorri
il tuo servo
Giovanni
di Obedo”
D. Doppia iscrizione dipinta all’interno di un vassoio trovato in frammenti
in una grotta fuori del muro nord della chiesa (foto 20; fig. 11,13).
a. hn W Qew
b. tou em Iwannhß .h
F. Graffito. L’iscrizione è graffita sul labbro di uno zirro (foto 21; fig. 9,2).
Sembra di poter leggere il nome Sergiß.
Elementi architettonici
Oltre alla lastra di pluteo con croce in cerchio e la base dell’altare in scisto
bituminoso, tra le rovine della chiesa e nello scavo dell’area circostante
sono stati ricuperati alcuni rocchi di colonne in pietra arenaria (foto 22),
due capitellini in arenaria bianca uno dei quali dimezzato reca croci e lettere greche incise tra le foglie (foto 25-26; fig. 5), un capitello a grandi
foglie stilizzate sugli angoli (foto 22; fig. 6), due architravi in pietra con
croce incisa al centro di un motivo geometrico (foto 23; fig. 7) o tra due
rosette (fig. 7), diverse chiavi di volta con croci e scudi in rilievo (foto 24;
fig. 6), insieme con elementi architettonici modanati di basi di pilastri che
sembrano provenire da un monumento di epoca romana (fig. 7).
306
Fig. 5 Capitelli (Dis. B. Steri).
M. PICCIRILLO
LE ANTICHITÀ CRISTIANE DEL VILLAGGIO DI MEKAWER
Fig. 6 Elementi architettonici (Dis. E. Alliata).
307
308
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Fig. 7 Elementi architettonici (Dis. E. Alliata).
LE ANTICHITÀ CRISTIANE DEL VILLAGGIO DI MEKAWER
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3. La cappella settentrionale
La cappella è stata in parte liberata dalle pietre del crollo. Nella muratura
sembra di riconoscere il dente di fondazione. Gli scavatori occasionali in
cerca di tesori son scesi oltre il pavimento originario (foto 27-28).
La cappella absidata (13,65 × 6,00 m) sembra far parte di un complesso più vasto che si estende a sud e a ovest sul declivio a nord ovest del
cimitero (fig. 8). Attraverso una porta sulla parete meridionale, di cui resta
lo stipite di est, la cappella era in relazione con un ambiente di servizio
addossato sul muro orientale del complesso. Di questo piccolo vano irregolare di forma poligonale restano la porta e i supporti di un arco sulle
pareti di nord e di sud.
Fig. 8 La cappella
settentrionale
(Dis. R. Sabelli A. al-Khatib).
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Conclusione
Dobbiamo a Giuseppe Flavio il ricordo dell’imprigionamento e della uccisione di Giovanni il Battista nella fortezza di Macheronte. Nella tradizione
cristiana, il ricordo della tomba del Battista si sposta a Samaria-Sebastiah
in area palestinese, insieme al ricordo del martirio29.
Il villaggio di Machaberos viene ricordato per inciso, come nel caso
del racconto del miracolo di San Saba narrato da Cirillo di Scitopoli, e
nella lista geografica di Giorgio Ciprio tra le località della provincia di
Arabia.
La presenza del cristianesimo nel villaggio è da collegare alla cristianizzazione della regione circostante. Eusebio di Cesarea ricorda nell’Onomasticon Qoraiata, oggi al-Qurayat, sulla strada per Macheronte, come un
villaggio completamente cristiano verso la fine del III inizi del IV secolo
(On. 112, 14)30.
La data conservata dall’iscrizione della chiesa occidentale, 602/603,
collega il mosaico della chiesa all’attività degli artigiani mosaicisti ben
attestata nelle chiese della regione per lo stesso periodo.
Un dato importante per la storia della diocesi di Madaba, da cui Mechaberos doveva dipendere, è il nome del vescovo Malechios, che qui compare per la prima volta, conservato nel mosaico della chiesa centrale.
Lo stile del mosaico, diverso da quello della chiesa datata precedente,
può essere un buon indizio per scartare l’ipotesi che Malechios fu il successore di Leonzio nella prima metà del VII secolo.
Nella lista episcopale di Madaba, riscritta grazie alle iscrizioni delle
chiese finora scoperte in città e nel suo territorio, abbiamo un vuoto tra il
vescovo Elia (attestato nel 530 e 535/6) e il vescovo Giovanni (in sede nel
29. Per lo spostamento della tradizione da Macheronte a Samaria cfr i passi raccolti da D.
Baldi, Enchiridion Locorum Sanctorum, Jerusalem 1955, pp. 229-243. Padre Bonifacio da
Ragusa, Custode di Terra Santa, riassumendo la storia del culto di Giovanni il Battista nella
chiesa orientale scrive: “Festum istud unaquaeque natio in propria Ecclesia celebrat. Olim
celebrabatur in castro, quod Macharunta, ultra Jordanem sito, vocatur. Nunc autem
Macharunta solo aequata iacet, nec quidem vestigium castri, nec ecclesiae in loco in quo
decollatus fuerat Joannes fabrictae, apparet. Ostenditur tamen in Sebasten Samariae Metropoli Monasterium, et Ecclesia mirae magnitudinis fabricata ad honorem Joannis Praecursoris
Domini, et martyris” (Liber de perenni cultu Terrae Sanctae, Venetiis 1875, 87). Per i monumenti in memoria di Giovanni il Battista a Sebastia in Samaria, cfr D. Baldi - B. Bagatti,
Saint Jean-Baptiste dans les souvenirs de sa patrie, Jerusalem 1980, pp. 69-81.
30. B. Bagatti, “Ricerche su alcuni antichi siti giudeo-cristiani”, LA 11, 1961, 311-313
(Koraiatha).
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557, 562, 565)31. Un altro vuoto divide il vescovo Leonzio (602/3, 608) dai
vescovi Sergio II, Giobbe (756; 762) e Teofane (767) attestati per l’VIII
secolo32.
Il modo di scrivere le lettere delle tre iscrizioni conservate nel mosaico, con le E e le S quadrate e le X di modulo minore, è vicino alle iscrizioni del gruppo più antico delle iscrizioni del Nebo e di Madaba33. Anche la
tecnica del mosaico, con l’utilizzo di tessere piuttosto grandi e la chiara
contrapposizione dei toni cromatici nel loro utilizzo, potrebbe essere paragonata ai mosaici della fine del V secolo primi decenni del VI secolo trovati sul Monte Nebo, a Hesban e a Madaba34.
Pur senza essere vincolanti, questi motivi ci portano a datare il mosaico alla seconda metà del V secolo o alla prima metà del VI secolo e a
ipotizzare l’episcopato di Malechios o tra il vescovo Gaiano e Fido e Ciro,
o tra Elia e il vescovo Giovanni. Fino ad una conferma auspicabile proveniente dalla continuazione della ricerca.
Michele Piccirillo, ofm
Studium Biblicum Franciscanum
Jerusalem - Mount Nebo
31. Per la lista dei vescovi di Madaba cfr Piccirillo, Chiese e mosaici di Madaba, pp. 319324.
32. La lista va integrata dalle recenti scoperte al Nebo (M. Piccirillo, “Le due iscrizioni della
cappella della Theotokos nel Wadi ‘Ayn al-Kanisah - Monte Nebo”, LA 44, 1994, 521-538;
cfr in particolare L. Di Segni, “La data della cappella della Theotokos sul monte Nebo. Nota
epigrafica”, ibi, 531-533).
33. Come nelle iscrizioni del santuario primitivo di Mosè (S. Saller, The Memorial of Moses
on Mount Nebo, II, Pl. 117s) e nel fotisterion inferiore della ‘cattedrale’ di Madaba
(Piccirillo, Chiese e mosaici di Madaba, p. 34).
34. Cfr Piccirillo, The Mosaics of Jordan, in particolare pp. 119, 176s, 189s.
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M. PICCIRILLO
La ceramica (nota di Eugenio Alliata)
Presentiamo una selezione ristretta del materiale raccolto durante i lavori
eseguiti dal Dipartimento del Turismo nel 1990 e portata al Nebo, suddivisa in 10 scatole secondo gli ambienti di provenienza. Le due scatole più
grandi contenevano numerosi frammenti di grandi vasi da magazzino, raccolti nella sacrestia sud della chiesa; alquanti frammenti ceramici provenivano da un grotta sul fianco nord della chiesa, solo parzialmente scavata, e
diversi altri dalle stanze messe in luce sul lato est (fig. 3). Un considerevole sforzo da parte di diversi membri del gruppo (pur impegnati contemporaneamente altrove) è stato compiuto nel restauro dei grandi vasi della
sacrestia sud (n. 1-2); senza la ben sperimentata abilità di restauratore di
Marian Arndt e senza la particolare dedizione posta da Anne Michel (e dall’autore della presente nota) nella rimozione delle fortissime incrostazioni
calcaree non si sarebbe potuto ottenere alcun risultato.
Dal punto di vista cronologico i ritrovamenti si collocano nel periodo
arabo antico, tra la seconda metà dell’ottavo secolo e la prima metà del
nono; questa risulta dunque essere l’epoca dell’ultima occupazione degli
edifici scavati. Altre epoche di occupazione dell’area sono indicate dalla
presenza di reperti appartenenti a periodi più recenti (n. 11: mamelucco) e
più antichi (n. 12: calcolitico).
1 Mw 185. (Foto 15) Dalla sacrestia sud. Ziro. Impasto un po’ granuloso, ben
cotto, di colore rosaceo. L’orlo presenta la particolarità di avere una profonda scanalatura. Il vaso, integralmente restaurato, è ora esposto nel museo locale.
2 Mw 90. (Foto 21) Dalla sacrestia sud. Ziro. Impasto un po’ granuloso,
molto ben cotto, di colore rosa con ingobbio bianco. Le spalle del vaso sono
ricoperte da una decorazione di ampio sviluppo, eseguita a pettine, costituita da due zig-zag, disordinatamente intersecantisi, che corrono entro un
campo delimitato da due linee parallele; tra le due coppie di manici, un po’
in alto, verso l’orlo, sono presenti due croci eseguite nello stesso tempo e
con il medesimo strumento. Sull’orlo fu incisa, dopo la cottura del vaso,
una iscrizione che risulta di lettura molto difficile anche perché eseguita
con uno strumento rozzo, su di una superficie granulosa, curvilinea e
concava; il graffito fu per giunta parzialmente abraso, evidentemente a
motivo di un cambio di proprietà o di destinazione sopraggiunto. Si può
forse leggere: Georgi/ o u (oppure Sergi/ o u) ej p is(ko/ p ou). Notare la forma
angolata dell’ E e del S , che si confonde con la G , e la strana legatura della
lettera H (oppure I ) con il gruppo OU ; anche la P appare disarticolata. Due
vescovi di nome Sergio sono conosciuti per la diocesi di Madaba, uno nel
sesto e l’altro nell’ottavo secolo; nessuno di nome Giorgio ha lasciato
LE ANTICHITÀ CRISTIANE DEL VILLAGGIO DI MEKAWER
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finora memoria di sé (Piccirillo 1989, p. 321-322). Le caratteristiche tipologiche
dell’orlo di questo ziro rimandano piuttosto agli esemplari ritrovati nei
livelli di abbandono a Umm er-Rasas, di ottavo-nono secolo, piuttosto che
a quelli di sesto secolo (Alliata 1994, fig. 17,1; Alliata 1991, fig. 8).
3 Mw 156. Dalla grotta nord. Anfora. Impasto di colore beige con ingobbio
bianco. La decorazione è costituita di numerose righe sottili, incise a pettine prima dell’attaccatura del manico. Il collo alto e le spalle inclinate
l’assimilano ad altri tipi di anfore del periodo arabo antico (Haldimann
1992, fig. 5,6).
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4 Mw 1. Dalla grotta nord. Anfora d’impasto rosato con grigio in sezione;
cottura molto forte. L’esterno ha ingobbio bianco e decorazione dipinta in
colore rosso-marrone di tipo “classico”: zig zag sull’orlo e spirali alternate
ad alberelli sul corpo del vaso (Schneider 1950, fig. 2,2; Harding 1951, fig.
3,47; Alliata 1991, fig. 15,1). Su questo tipo di anfora dalle dimensioni
ridotte e dal fondo ristretto si trovano anche, a volte, decorazioni più varie
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e fantasiose (Haldimann 1992, fig. 4,1). Il vaso è stato restaurato quasi
integralmente da pochi e ampi frammenti.
Mw 32. Dalla grotta nord. Pentola, impasto di colore marrone, con alcuni
inclusi di colore bianco; cottura debole. L’assenza di costolature è tipica
(Alliata 1991, fig. 14,4).
Mw 267. Dalla chiesa. Piccolo curioso vaso dalla lavorazione raffinata e
dalla funzione sconosciuta. Impasto beige-bianco con rosa in sezione. Pur
essendo conservato per la quasi totalità del suo sviluppo, non presenta
alcun accenno alla presenza di manici, tuttavia è possibile che uno esistesse
nella porzione di orlo mancante.
Mw 136. Dalla grotta nord. Piccola brocca a filtro. Impasto rosso con
ingobbio bianco sulla parete esterna. La decorazione consiste di linee fini
incise a pettine.
Mw 140, 141. Frammenti della parete di portalucerne fittile. Impasto rosa
ricco di piccoli inclusi bianchi; ingobbio bianco esterno. Decorazione incisa a pettine (Bagatti 1972).
Mw 214. Ritrovato nell’ingresso alla grotta nord. Piatto. Ceramica fine, ben
cotta, di colore rosso bruno. Pulitura a stecco sull’esterno (Magness 1993,
p. 198, Form FBW 2B, datazione proposta: settimo-decimo secolo).
Mw 131. Catino. Dalla grotta nord. Impasto di colore rosaceo e cottura
forte. Decorazione incisa a pettina sia sull’orlo che sulla parete esterna.
Mw 38. Brocca rustica, modellata senza l’uso del tornio con argilla dall’impasto grossolano. Decorazione dipinta a motivi geometrici in pittura di
colore rosso-bruno. Periodo mamelucco (XIII-XV sec.). Frammenti di tale
ceramica, così come di invetriata, che rimanda allo stesso periodo, si possono osservare facilmente passeggiando tra le rovine del villaggio antico.
Mw 83. Pietra di basalto. Dalla sacrestia sud. Lavorata come accetta, più
rusticamente nell’impugnatura e assai finemente nel taglio, che tuttavia è
guasto. Risale ad un periodo preistorico, molto probabilmente al III-IV
millennio a. C.
Mw 96, 186, 2. Da diverse scatole della grotta nord. Piatto dipinto ricostruibile
per intero solo nel disegno dai frammenti preservati. Impasto rosaceo, di
argilla ben depurata e ben cotta. I paralleli ci conducono a datare questo
vaso nel settimo secolo, o non molto dopo, per l’affinità con la “Fine
Byzantine Ware” (Magness 1993, p. 201, Form FBW 2D, datata tra il sesto
e l’ottavo secolo) e con i “Jerash Bowls” (Watson 1989, fig. 1, Form 12;
Smith - Day 1989, Pl. 47,7 e p. 104-105) diffusi principalmente tra la fine
del sesto e la prima metà del settimo secolo. Sulla superficie esterna è
applicato uno spesso ingobbio bianco, mentre la superficie interna risulta
decorata di pittura rossa. Sul fondo sono rappresentati come degli alberelli
stilizzati, segue un’ampia banda e uno zig zag ornato di punti, una linea di
scrittura, un’altra banda di colore e ancora un’altra linea di scrittura. Le
iscrizioni, purtroppo frammentarie, sono tracciate con mano corsiva ma
senza legature; alcune lettere (a, e, h) si presentano nella loro forma minuscola.
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…COUEM IWANNHS QH …
…M≥ HN + W QEW …
Nella linea più esterna (a) si legge chiaramente il nome di Iwannhß , senza
che si debba necessariamente pensare al Precursore. La seconda linea (b)
presenta il principio e la parte finale di un appello o invocazione, come si
rileva dalla presenza della croce e del vocativo iniziale. Si può integrare il
nome che segue con uno dei rari nomi che iniziano con quel gruppo di
lettere (Qe/ w n, Qewna◊ ß , Qew/ n umoß) o si può scegliere tra i molti nomi
teoforici (il più comune localmente sarebbe Qeo/ d wroß) ammettendo lo
scambio non inconsueto di omega per omicron. Poiché la frase sembra
terminare con un ∆A(m≥ h / n ) , che gli conferisce un sapore quasi liturgico,
tendiamo piuttosto a riconoscervi una invocazione alla Vergine (¤W Qeoto/ ke) o a dio stesso (¤W Qeo/ ß ). I due frammenti addizionali di iscrizione (cd) non sono di alcun aiuto.
Mw 177. Dalla grotta nord. Frammento di spalla di lucerna con parte della
decorazione a raggiera, spirale e doppio cerchio. Impasto di colore grigiorosa, con ingobbio bianco esterno.
Mw 92. Dalla sacrestia sud. Piccolo frammento di una delle ben note
lucerne palestinesi con iscrizioni (Loffreda 1989, p. 160 e Tav. 18,2 per una
lucerna con una alfa nella stessa posizione; a p. 225 si prende in considerazione la distribuzione geografica del tipo). Impasto di colore rosa, ben
depurato, ben cotto.
Mw 346. Dalle stanze a est della chiesa. Impasto rosato. La decorazione, in
rilievo presenta una certa varietà di elementi. Il manico a linguetta e la
forma generale della lucerna, piuttosto tondeggiante, la accostano ad esemplari di sesto secolo.
Mw 175, 176. Dalla grotta nord. Due frammenti della parte superiore della stessa lucerna, che alla semplice decorazione a raggiera aggiunge la presenza di una
croce nella parte posteriore, al posto del manico. Impasto di colore rosso con diversi inclusi bianchi, anche grandi. Datazione: tra la metà del sesto e il principio
dell’ottavo secolo (Magness 1993, p. 251-252 Form 3A).
Mw 178. Dalla grotta nord. Frammento di spalla di lucerna che alla semplice raggiera, conservata nella parte posteriore, aggiunge una linea a serpentina
nella parte media e anteriore. Impasto di colore rosaceo (Magness 1993, p.
251.253 Form 3B).
Bibliografia per la nota sulla ceramica
Alliata E.
1991 “Ceramica dal complesso di S. Stefano a Umm al-Rasas”, LA 41, 365-442.
1994 “Nota sulla ceramica”, in M. Piccirillo, “La Chiesa del Profeta Elia a Madaba”,
LA 44, 392-404.
Bagatti B.
1972 “Incensieri e portalucerne fittili in Palestina nei secoli II-VII”, Rivista di Archeologia Cristiana 48, 35-41.
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M. PICCIRILLO
Haldimann M.-A.
1992 “Umm el-Walid: Prolégomènes Céramologique”, in La Syrie de Byzance à l’Islam
VIIe-VIIIe siècles. Actes du Colloque international Lyon - Maison de l’Orient
Méditerranéen / Paris - Institut du Monde Arabe 11-15 Septembre 1990, a cura di P.
Canivet - J.-P. Rey-Coquais, Damas, 229-232.
Harding G. L.
1951 “Excavations on the Citadel, Amman”, ADAJ 1, 7-16.
Loffreda S.
1989 Lucerne bizantine in Terra Santa con iscrizioni in greco (SBF Collectio Maior
35), Jerusalem.
Magness J.
1993 Jerusalem Ceramic Chronology circa 200-800 CE, Sheffield.
Piccirillo M.
1989 Chiese e Mosaici di Madaba, Jerusalem.
Schneider H.
1950 The Memorial of Moses on Mount Nebo. III: The Pottery (SBF Collectio Maior
1), Jerusalem.
Smith R. - Day L.
1989 Pella of the Decapolis. Vol. II. Final report on The College of Wooster
Excavations in Area IX, The Civic Complex, 1979-1985, with contributions by Koucky
Frank, Lapp Erik and Köhler-Rollefson Ilse, The College of Wooster [XXIV+168, 63
tavole (40 di fotografie in bianco e nero e 20 di disegni), 47 figure nel testo, 24x30
cm.].
Watson P.
1989 “Jerash Bowls: Study of a provincial Group of Byzantine Decorated Fine Ware”,
Syria 66, 223-261.
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M.Piccirillo--Le antichita` cristiane del villaggio di Mekawer