PAOLO CAMASTRA BOTRICELLO, appena ieri ATTRAVERSO DOCUMENTI E TESTIMONIANZE DEL TEMPO più 21 anni di amministrazione comunale (1964/85), visti da vicino Seconda Edizione - 2009 Finito di stampare nel mese di dicembre 2009 presso la Tipolitografia L’Alternativa di Catanzaro A mia moglie Rosetta, per i saggi consigli e l’amorevole incoraggiamento e ai cari nipotini, Paolo e Cristina, a cui voglio dedicare il tempo “rubato” ai miei figli Pasquale e Valerio. PREFAZIONE L’Autore di questo volume non ha bisogno di essere presentato. Paolo Camastra, infatti, è largamente noto nelle nostre comunità e fuori, sia per la lunga attività politico - amministrativa svolta (è stato sindaco di Botricello ininterrottamente per circa un ventennio dopo l’abbrivio dell’autonomia di quel Comune e, successivamente, consigliere e assessore provinciale), sia per la quasi quarantennale attività professionale di economista d’impresa. Sotto questo aspetto, quindi, il mio compito risulta indubbiamente agevolato. Meno agevole è, invece, per me rispondere alle domande: “Cosa?” e, soprattutto, “Perché?” questo libro. Quanto al primo punto di domanda, osservo che nel testo, frutto di impegno gravoso, l’Autore, né storico né letterato per sua stessa ammissione, “assembla” - ad onta del titolo - testimonianze e documenti di storia, anche antica, e di cronaca; evoca miti e leggende; rammenta in un felice “amarcord” il modo di vivere della operosa gente del “villaggio Botricello”, prima e dopo la seconda grande guerra e fino ai giorni nostri; rivendica con malcelato orgoglio i successi dell’attività amministrativa svolta in favore di una comunità allora in cerca di una propria identità, la quale ha poi saputo magnificamente riscattarsi attraverso il lavoro e progredire; ricorda, infine, alcune personalità che hanno dato lustro al suo paese. Come chiamare questa “cosa”? Zibaldone, forse? Preferisco antologia, nel suo significato etimologico di “scelta di fiori” e cioè delle cose più belle ed interessanti. E, perché, poi, l’Autore ha ritenuto di cimentarsi in questa opera, arricchendo e riorganizzando il contenuto di un suo precedente “instant book” sulla stessa materia, andato a ruba? Per dare una risposta a tale domanda, ho cercato il filo rosso che, a mio parere, lega i capitoli, i paragrafi, le numerose foto del libro e penso di averlo rinvenuto essenzialmente nello spirito di servizio che ha animato l’Autore, forse in un atto di autentico amore verso la sua gente. I “fiori” raccolti, infatti, appartengono tutti al giardino della storia di questa collettività locale. 7 La banca “Centro Calabria”, che mi onoro di rappresentare, è uno degli attori di questo territorio, operandovi dal di dentro, con la mente e con il cuore, per concorrere al suo sviluppo, non solo economico. Essa ha ritenuto pertanto di dover sostenere e condividere il sentimento dell’Autore che con la sua opera indubbiamente contribuisce a formare e mantenere la memoria storica della laboriosa comunità botricellese. Giuseppe Spagnuolo Presidente Credito Cooperativo Centro Calabria 8 PREMESSA Nel confermare quanto premesso in occasione del primo “opuscolo”, aggiungo soltanto di aver scritto questa seconda edizione perchè incoraggiato dalle richieste di numerosi cittadini, in prevalenza giovani, che hanno reputato la prima utile ed interessante. In aggiunta all’articolato “Piano degli Orientamenti”, redatto nel 1964 dai tecnici Oliveti e Benincasa del locale nucleo ATA, ho ritenuto opportuno arricchire il nuovo testo di ulteriori “contenuti”, per la riscoperta della civiltà contadina e per fornire uno spaccato di vita reale botricellese fino agli anni 60 . Molto utili mi sono stati i libri su cultura e civiltà contadina di Giuseppe Greco e “Tradizione in Calabria” di Concetta Basile; testi dai quali ho attinto notizie su attività lavorative, usi, credenze, termini e tanti altri interessanti dati. Così come ho reputato importante, perché molto attinenti, inserire alcuni articoli del prof. Marcello Barberio, pubblicati sulla rivista “Calabria Letteraria”. Preziosa è stata infine la memoria storica di alcuni anziani, da me intervistati, per raccontare “curiosando” alcuni “fatterelli” realmente accaduti. Il libro non ha pretese particolari; vuole essere soltanto un “pro-memoria”della mia esperienza politico-amministrativa, un “quattro passi” dal 1964 al 1985, per ricordare fatti, opere ed episodi più significativi, supportato da articoli di stampa e foto d’epoca. Nel riscrivere i 21 anni di Amministrazione comunale ho ripensato molto alle apprensioni ed ai sacrifici sostenuti da mia moglie, perchè le funzioni di Sindaco richiedono umiltà, onestà, serietà, disponibilità, spirito di servizio, amore grande verso il paese e, soprattutto, tempo che si sottrae alla propria famiglia. Ventuno anni sono tanti. Molte cose sono cambiate d’allora: senso della famiglia affievolito, ideologie scomparse, principi e valori, che fanno grande l’uomo, “svalutati”. Ho riscontrato, però, colloquiando con i giovani, che si avverte la necessità di riscoprirli e non per un nostalgico ricordo di com’eravamo, ma perché si sente ancora forte il bisogno di riempire il nostro vivere di sani principi e di nobili contenuti. Questo mi fa sperare che la nuova generazione si saprà ben programmare e costruire l’avvenire. Paolo Camastra 9 CAPITOLO PRIMO Sulle origini di Botricello ORIGINI DI BOTRICELLO Il Comune di Botricello, già frazione di Andali, ha ottenuto l’autonomia con Legge n. 1432 del 13/12/1956, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 1 del 2/1/1957. Equidistante da Catanzaro e da Crotone, con kmq 15,24 di territorio, confina con i comuni di Andali, Belcastro e Cropani e con il mare Ionio. Botricello è attraversato dalla strada a scorrimento veloce S.S. 106 e dalla ferrovia Reggio C.-Taranto (la strada ferrata è stata inaugurata nel 1875). E’ il primo centro abitato della provincia di Catanzaro che si incontra, provenendo dalla neo provincia di Crotone; dista Km. 60 dall’aeroporto di Lamezia e Km 35 dal porto di Crotone. Ubicato nella fascia Crotone - Catanzaro - Lametia Terme è considerato area a sviluppo integrato agricoltura - industria - turismo. Stemma del Comune 13 L’abitato, di recente formazione (fine sec. XVIII), non può vantare storia antica, pertanto, per parlare del suo passato si deve necessariamente considerare la località, “il luogo”, nel contesto comprensoriale in cui ricade: dal fiume Tacina al Crocchio ed oltre. I paesi viciniori, specie Belcastro, Andali, Cropani e la stessa Uria di Sellia Marina, costituendo la stessa area, vanno visti come un’unica località; il loro antico retaggio storico, pertanto, si deve in parte ascrivere anche al patrimonio culturale del “luogo” Botricello (vedi articolo “la Cattedrale di Belcastro” al paragrafo “il nostro Arcivescovo). Per come esposto nella prefazione, questo lavoro vuole semplicemente raccontare fatti e modi di vivere di un passato recente (appena ieri): nessuna presunzione di libro storico. Per il passato remoto ci si limita soltanto a riportare delle “NOTE” . NOTE SULLE ORIGINI DI BOTRICELLO Il nome potrebbe derivare dal greco Bothros, fosso. Significa anche grappolo d’uva. (Bòthros: cavità scavata nella roccia o nel terreno, attraverso la quale, secondo le credenze greche, era possibile comunicare con il mondo dei defunti o delle divinità sotterranee. Vi si versavano libagioni e vi si collocavano oggetti votivi). ° Posto lungo l’arco del Golfo di Squillace, al limite tra l’istmo di Catanzaro ed il Marchesato di Crotone, Botricello era sino all’eversione della feudalità (1806) un feudo rustico, prima dei d’Aquino e successivamente di altri feudatari, Morelli, Piterà, Grimaldi, DeRiso (da una pubblicazione della Provincia). ° Dal Dizionario dei Luoghi di Calabria di Gustavo Valente” si legge: “Nel 1524 era un feudo rustico pertinenza di Belcastro appartenente a Giacomo Nomicisio da Tropea. Passò alla famiglia Morelli di Cosenza nel 1535, e nel 1616 ai Piterà per successione femminile. Dal 1633 al 1662 ai Grimaldi, e poi ai de Riso, fino all’eversione della feudalità, che vi ebbero il titolo di Marchesi nel 1797 ° Della torre costiera detta Tagliacarne (sec. XVI) restano i ruderi ° Il paese si adagia sulla costa jonica che, anticamente, era servita da una 14 via che seguiva sempre il lungomare, partendo da Taranto e mettendo in comunicazione fra di loro le seguenti città: Metaponto, Heraclea, Sjbaris, Croton, Scolacium, Caulonia, Locri e Regium. Questa via era forse l’unica che esistesse per buona parte della sua lunghezza già nell’età greca, poichè serviva ai rapporti fra le ricche colonie del mare Jonio. Un collegamento della via suddetta con la Popilia avveniva nel punto più stretto della penisola, fra Hipponium e Scolacium (*). Subentrata la dominazione romana in Calabria, la via Popilia, RomaReggio, fu allungata dal litorale jonico fino a Taranto, attraversando la marina di Cropani-Botricello, e venne chiamata Traianea-Appia, perchè fatta costruire dall’imperatore Traiano. «E vi concorsero alle spese i Reggini, i Locresi, e tanti altri». La strada venne realizzata verso la metà del sec. VI di Roma, essendo l’imperatore Traiano, ed aveva una lunghezza di 304 miglia e si estendeva su tutto il litorale jonico. (da «Cropani» di P. Remigio Le Pera) (*) Vie della Magna Grecia. Atti del 2° Convegno di Studi sulla Magna Grecia, tenuto a Taranto nel 1962. 15 ° Il cartaginese Annibale Barca, famoso per le sue vittorie durante la seconda guerra punica, marciando dalla Spagna, attraverso i Pirenei, la Provenza e le Alpi, scese in Italia, dove sconfisse le legioni romane in tre battaglie principali: Trebbia (218 a.C.) Lago Trasimeno (217 a.C.) e Canne (216 a.C.). Dopo questa ultima vittoria, però, non avendo ricevuto aiuti a sufficienza né dalla madrepatria né dai nuovi alleati, non poté portare un attacco diretto a Roma, nonostante questa fosse in chiare difficoltà militari; decise, invece, di scendere nel Bruzio e si accampò nella pianura a Sud di Crotone, da Cutro a Sellia. Nella territorio ove oggi ricade Botricello, pertanto, tra il 216 e il 202 a.C. (battaglia di Zama), vi fu la presenza punica di Annibale e del suo esercito. ° Nella zona archeologica (loc. Marina di Bruni), nel 1967 su segnalazione della prof. Emilia Zinzi, è stato rinvenuto un complesso cultuale paleocristiano del V sec. d.c. «Tutta l’area della chiesa e del battistero e tutta l’area circostante sono interessate da una vasta necropoli. Lo scavo della basilichetta è continuato negli anni 69 e 70. I risultati sono stati del tutto inaspettati e stupefacenti, per come dimostra la relazione del prof. Arslan. I reperti, di notevole interesse, sono conservati nei magazzini del museo di Crotone. Tra l’altro è stato rinvenuto un sigillo di un Achilleo console e spatario. ° “Pelasgi: il mistero della lamina di Botricello”. Domenico Raso, scrive che verso la fine degli anni novanta è stata trovata a Botricello una piccola lamina rettangolare (lunga cm 29,5 circa, h cm 2,9 circa), di metallo colore grigio chiaro, patinato scuro con riflessi argentei in cui è riportato, a giudizio del dott. Roberto Spadea, direttore archeologico, “una decorazione con pseudo-ideogrammi egizi a sbalzo”. Successivamente, dal lavoro di sviluppo grafico del pittore reggino Tito Valenzise, appositamente incaricato, si è potuto leggere le raffigurazioni in sequenza, lungo quello che era stato in effetti un braccialetto. Interessante anche la lettura delle sequenze del racconto raffigurativo, ripartito tra figure erette in posizione statica e figure in posizione dinamica che sembrano assistere o dirigere e sorvegliare un lavoro dei campi. Il Valenzise riprodusse anche delle segnature che si rivelarono essere delle segnature di pura prescrittura pelasgica. Il nome Pelasgi appare per la prima volta nei poemi di Omero e sono indi16 cati nell’Iliade tra gli alleati di Troia. L’Odissea li posiziona a Creta, insieme agli Achei e Dori. Eschilo considera Pelago, nato dalla terra e signore di un regno che si estende da Argo a Dodona e Strymon, ma nel Prometeo la terra dei Pelasgi è semplicemente Argo. I più chiari esempi di testimonianza del Pelasgi in riti,usi e strutture antiche si trovano in Arcadia, la regione jonica nel nord-est del Peloponneso, ed in Attica. Nella stessa Atene il muro originario dell’Acropoli ed una zona di fondazioni al disotto di esso sono venerate nel quinto secolo a. C. come “Pelasgiche”. Della lamina non se ne seppe più nulla. Come mai fu trovata a Botricello? Smarrita da un antico viandante? E’ egiziana o pelasgica? i Pelasgi transitarono o dimorarono nel nostro territorio? * (Dalla lettura “La città di Belcastro” si evince che molti dei fatti citati ed evidenziati in neretto si sono svolti nei pressi o nel luogo che negli anni futuri sorse Botricello. A tale proposito, vedi anche l’articolo “la Cattedrale di Belcastro” al cap. X paragrafo “Il nostro Arcivescovo”) La città di Belcastro (di Andrea Pesavento) (pubblicato su La Provincia KR nr. 24-25/2003) omissis La Contea nel sec. XV Alla morte di Isabella D’Aquino, avvenuta nel 1373, nello stesso anno pervenne ai Santoseverino, come risulta dalla conferma fatta dal papa Gregorio XI della concessione e donazione del feudo, fatta dalla regina Giovanna e dal marito Ludovico, ad Enrico de Sanctoseverino ed ai suoi eredi del comitato di Belcastro. Enrico Sanseverino, uno dei potenti del regno, era ancora conte di Belcastro nel 1390 . La contea passò quindi al figlio Luigi, che fu ribelle a re Ladislao. Perciò nel 1401 fu privato del feudo. L’anno dopo la città venne venduta a Pietro Paolo da Viterbo, alias Peretto de Andreis, che ebbe la contea di Belcastro ed il marchesato di Crotone. Pietro Paolo da Viterbo si schierò per il di La Marche. Nell’estate 1417 le truppe di Antonuccio dei Camponeschi di Aquila devastavano le proprietà di Pietro Paolo da Viterbo, marchese di Crotone e conte di Belcastro. 17 In seguito pervenne ai Ruffo. Prima Nicolò poi le figlie Giovannella ed Enrichetta, moglie quest’ultima di Antonio Centelles, che fu ribelle al re Alfonso d’Aragona. Con la discesa dell’esercito del re nell’autunno 1444 la città verrà assediata. Il re, dopo aver ottenuto il controllo delle terre e dei passi sul Neto, si diresse ad occupare quelli sul Tacina. Il 16 novembre l’accampamento regio è presso Rocca Bernarda, la quale si difese tenacemente per alcuni giorni ma “espugnatone il castello” le truppe del re, dopo aver messo a ferro e fuoco quella terra, si diressero alla conquista di Belcastro. Il 21 novembre il regnante è a Belcastro. In quel giorno Alfonso concedeva dei privilegi ai rappresentanti dell’università di Cropani. Dopo poco i cittadini di Belcastro si arrendevano “e gli furo aperte le porte non possette però espugnar il castello, e la torre detta di Castellaci”, lasciate delle truppe di presidio alla città e per proseguire nell’assedio, il re si diresse su Santa Severina. Dopo la caduta della città venne nominato castellano del castello di Belcastro Galberano de Barbera . In seguito il De Barbera oltre che castellano divenne anche governatore e capitano della città, come risulta da un ordine di re Alfonso. Il re il 9 agosto 1449 comandava al tesoriere di Calabria Gabriele Cardone di pagare al nobile Galcerando de Barbera, castellano del castello e torre di Belcastro e governatore e capitano della città ed ai suoi aiutanti il salario, che a loro spettava, sia quello arretrato, quanto il presente ed il futuro . Dopo la morte di re Alfonso divampò la ribellione in Calabria contro il re Ferdinando. Particolarmente cruento fu lo scontro tra le truppe regie ed i ribelli nella contea di Belcastro e nel marchesato di Crotone, dove erano particolarmente attivi i seguaci del marchese di Crotone Antonio Centelles. Le operazioni militari si svolgevano con fasi alterne. Alfonso d’Avalos, comandante delle truppe regie, sconfiggeva il 19 maggio 1459 presso Belcastro i ribelli e li costringeva a ripiegare su Crotone, ma questi scontratisi con le truppe del tesoriere le sgominavano. Gli scontri proseguivano ed il 2 giugno un esercito composto da contadini del ducato di Squillace, del conte di Nicastro e del conte d’Arena e di altri baroni subivano una grave sconfitta presso Maida da Alfonso d’Avalos che poi però doveva ritirarsi verso Cosenza. Frattanto le terre del Marchesato nell’estate 1459 venivano prese for18 malmente in consegna dagli emissari del principe di Taranto, anche se nella città di Crotone, già da tempo in mano ai seguaci del Centelles, rimaneva ancora nel castello un presidio regio che vi rimarrà fino ad agosto. Re Ferdinando prima di scendere con l’esercito in Calabria reintegrò il Centelles nei suoi antichi feudi. Il marchese ebbe quindi pieno possesso del suo antico stato, di cui parte si era già con la forza impossessato, e che comprendeva Crotone, Santa Severina, Belcastro, Catanzaro, Tropea ed altri luoghi15. Durante la discesa del re Ferdinando con un esercito, Belcastro fu assediata. I cittadini si arresero l’otto ottobre dopo aver avuto la conferma dei privilegi, tra i quali quello di rimanere in demanio, ed aver ottenuto alcuni sgravi fiscali. Intanto si arrendevano Santa Severina, Cirò ed altre città; resistevano Le Castella e Crotone. Giunte le tre galee ad esse si unì un’altra che già si trovava sui mari di Calabria, ed insieme posero il blocco e bombardarono Le Castella, la quale si arrese dopo che il 14 ottobre il re “in felicibus castris prope Belcastrum” aveva accolto le richieste fatte da Michele Petro a nome di quella università. Il 24 giugno 1462 Ferdinando,accogliendo la richiesta di perdono e di sottomissione di Antonio Centelles e della consorte Errichetta Ruffo, li reintegrava nei feudi confiscati a causa della ribellione, avendo alzato le loro insegne e le loro armi in favore degli Angioini e perdendo per questo i loro beni che erano stati così donati dal re: il marchesato di Crotone al principe di Taranto, le città di Catanzaro e di Santa Severina e le terre di Mesoraca, Castella, Roccabernarda, Policastro, Taverna, Roccafalluca e Tiriolo erano state poste in demanio, la contea di Belcastro, la baronia di Cropani e le terre di Zagarise e Gimigliano erano state date al principe di Bisignano e a Tommaso Carrafa. Le terre di Cirò e Melissa, la baronia di Castelmonardo con le motte di Montesori e Monterusso e Polia, le terre di Rosarno e la baronia di San Lucido con le motte o terre di San Giovanni e Montebello, le terre di Castelvetere e Roccella a Galeotto Baldaxino assieme ai casali e alle torri e con la provvigione di 4000 ducati con la gabella della seta, Badolato, Motta di Caccuri e con altre terre18. Così Antonio Centelles e la moglie ebbero da re Ferdinando la città di Crotone con il titolo e la dignità di marchese che era detenuta dal principe di Taranto, la città di Catanzaro con il titolo e la dignità di conte, la città di Santa Severina e le terre di Mesoraca, Le Castella, Rocca Bernarda, 19 Policastro, Taverna, Rocca Fallucca e Tiriolo, terre in demanio che erano amministrate da ufficiali del re, la città di Belcastro con il titolo e la dignità di conte e la baronia di Cropani e Zagarise e la terra di Gimigliano, terre occupate e detenute dal principe di Bisignano e da Maso Barrese….omissis… Non tutte queste città e terre ritorneranno subito in potere del Centelles. Antonio Gazo fu incaricato di consegnargli Belcastro, Zagarise e Cropani che deteneva militarmente il Barrese; Crotone fu esclusa dalla consegna e Santa Severina con il titolo di Principe fu data solo nel giugno 1464 assieme alla pensione annua di 1000 ducati sulle saline di Neto. ..omissis *L’importanza strategica di Belcastro, legata al controllo della via che collegava le contee di Catanzaro e di Crotone, risalta ancora alla metà del sec. XV, in occasione degli avvenimenti che costrinsero i sovrani aragonesi a scendere personalmente in Calabria, per sedare le rivolte del Marchese di Crotone Antonio Centelles. Durante le operazioni condotte da re Alfonso, quest’ultimo si preoccupò subito di tagliare la strada da cui potevano provenire aiuti ai ribelli e, dopo aver assunto il controllo dei guadi del Neto, si diresse ad occupare quelli del Tacina, ponendo l’assedio a Belcastro il 21.11.1444. Dopo poco i cittadini si arrendevano “e gli furono aperte le porte non possette però espugnar il castello e la torre detta di Castellaci” . Tale quadro appare confermato durante la successiva discesa di re Ferdinando che, nel suo piano d’attacco tendente ad isolare le città ribelli fedeli al Marchese, proveniente da Catanzaro, penetrò nelle terre di quest’ultimo il 2.10.1459 e si accampò presso il ponte sul fiume Crocchio, ponendo l’assedio a Belcastro . Considerazioni: La lamina pelasgica, il complesso cultuale paleocristiano, il passaggio di Annibale, la strada romana Troianea-Appia, il Golfo di Squillace, la vicinanza di Crotone e di Uria, la posizione strategica del comprensorio nell’aria della Magna Grecia, fanno di Botricello, apparentemente senza storia e tradizioni, un’area di grandissimo interesse archeologico. Significativi anche i numerosi ritrovamenti di epoca romana e greca, nei luoghi circostanti, da Cutro-Tacina a Cropani-Sellia. Il sottosuolo dell’in20 tera zona è una miniera inesauribile, un vero giacimento di antichi reperti, chiese, tombe, ville o città intere, che attendono di essere “scoperti” . Soltanto dalla loro lettura si potrà ricostruire la vera storia della nostra terra natia.. 21 ° 1788. “Botricello”. (Atlante del Regno di Napoli in VI fogli di G.A. Rizzi Zannone, 1788). (la carta geografica più antica ove, anche se sbiadito, compare per la prima volta il nome Botricello) 22 RECENTI SCAVI A BOTRICELLO E ROCCELLETTA Relazione prof. Ermanno A.Arslan Estratto da: “Atti del II Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana” (Matera - Taranto - Foggia - 25/31 maggio 1969) …Omissis… Maggiore interesse presenta uno scavo che è stato effettuato nel 1967 e, per pochissimi giorni, nel 1968 (agosto) a Botricello (Catanzaro) in un podere assegnato dall’Ente Sila a poche decine di metri dalla riva del mare (Fondo Marine), su segnalazione della Prof. Zinzi. Gli scavi 1967 avevano accertato la presenza nella zona di una vasta necropoli, analoga a quella di Roccelletta, con tombe a muretti laterizi e copertura a grandi lastre di calcare o di marmo (anepigrafe), oppure con muretti di ciottoli senza legante o a semplice ammasso senza copertura, e con corredi costituiti da vasetti analoghi a quelli appena presentati, oltre a vetri sottilissimi. Di questi si è potuto recuperare, nelle tombe violate o sfondate dal peso del terreno, solo un pezzo riconoscibile, un collo verdastro, a cono molto allungato. Lo scavo del 1968 fu più fortunato. Venne alla luce una basilichetta, in penoso stato di conservazione, che la mancanza di tempo non permise di liberare completamente. Essa consta di un’unica navata, con abside semicircolare. Lo spessore delle murature, conservate solo settorialmente al livello della pavimentazione antica, permette di escludere la presenza di volte, anche nell’abside. In questa l’assenza dallo scavo di tubi fittili per volta, presenti in Calabria in edifici tardo - antichi, permette di escludere anche questa soluzione per la copertura. La tecnica muraria è modestissima, con una rozza struttura (quasi un conglomerato) ricca di ciottoli e di materiale laterizio di recupero. Molti frammenti di ernbricì di tipo romano sono stati recuperati nel terreno di scavo, che presenta un unico strato di crollo. La pavimentazione, settorialmente ancora in situ, consisteva in grossi laterizi, senza dislivelli tra la navata e l’area absidale. Sepolture, del tipo descritto sopra, sono presenti all’interno ed esternamente, lungo il perimetro. Il punto di sutura, in pianta, tra i muri rettilinei della navata e l’abside, farebbe pensare ad un doppio stipite, che sarebbe indizio di una più com23 plessa articolazione delle membrature in alzato. Purtroppo solo l’attacco Nord è leggibile, mentre quello Sud è ridotto alla fondazione; anche molti altri particolari dell’edificio, per lo stato di estrema degradazione dei ruderi, rimangono incerti. Forse neppure gli scavi che riprenderanno in agosto potranno portare luce completa. Comunque la pianta che presento è da considerarsi solo come provvisoria ed indicativa. Al termine della navata, all’inizio della zona absidale, venne trovata, dall’aratro, ancora nel 1966, una spessa lastra di marmo, rettangolare, con orlo modanato in un profilo elegante; Essa venne interpretata, da chi dirigeva lo scavo nel 1967, come una copertura di tomba. Non è agevole una interpretazione del reperto che, se non fosse per lo spessore eccessivo, potrebbe venire interpretato come una mensa d’altare, da intendere sostenuta da colonnine (delle quali sarebbe riconoscibile l’appoggio semicircolare rilevato sulla faccia inferiore). Non si spiegherebbe così però la superficie di quella che sarebbe la faccia superiore, appena sbozzata e quindi irregolare, mentre quella inferiore è accuratamente levigata. Forse non andremo lontani dalla verità riconoscendo nel reperto una base di altare, con la mensa sostenuta dalle colonnine, delle quali avremmo quindi l’appoggio inferiore. Il reperto, nella assoluta carenza di materiali del genere in Calabria, assumerebbe una certa importanza e mi spiace che insorrnontabili difficoltà causate da problemi di tempo e di distanza non mi permettano di prescntarne una documentazione grafica adeguata. I vari frammenti sono ora conservati nei magazzini del museo di Crotone. Lungo il perimetro esterno dell’abside, al livello della pavimentazione interna, vennero recuperati, in frammenti ma completi, due vasetti, non pertinenti a corredi funerari, del tipo già ricordato in questa relazione. Essi possono rappresentare un utile suggerimento per la datazione della costruzione. Il termine degli scavi mi impedì di raggiungere la fronte della chiesa e di individuare le entrate. A sud della chiesa è stato poi liberato parzialmente un piccolo vano quadrato e con abside semicircolare ad Est: le cui murature, anche senza presentare differenze tecniche sensibili si appoggiano, con netta soluzione di continuità, a quelle, evi dentemente più antiche, della basilichetta; nessun elemento finora, ci permette di affermare o negare la presenza originaria di volte nel piccolo vano, che ci ricorda quello, a destinazione fune24 raria, posto a Sud della trichora e contenente il noto sarcofago a S. Martino di Copanello. Anteriormente al vano absidato che si apriva ad Ovest, e forse anche a Nord, verso la chiesa (in questo settore le strutture. sono particolarmente sconvolte) si presenta una pavimentazione identica a quella interna alla chiesa. Ancora più ad. Ovest, dopo un settore completamente sconvolto, che l’ampliamento dello scavo ci permetterà forse in futuro di chiarire, sono stati individuati alcuni lastroni in calcare locale, disposti come a formare una pavimentazione. Forse si tratta di uno spazio scoperto. Incastrato tra due di questi lastroni è stato recuperato un sigillo plumbeo bizantino, in buone condizioni e perfettamente leggibile. Sormontata da una croce gammata avvolta da mi racemo stilizzato ma piuttosto articolato. Ho compiuto una breve ricerca al fine di ottenere una datazione del sigillo, che però non trova riscontro nei materiali calabresi pubblicati, specialmente dal Salinas, nella raccolta dello Schlumberger e nelle raccolte vaticane Purtroppo non è ancora finita la fatica di Padre Laurenti, il cui «corpus» solo potrebbe fornire la certezza che altri sigilli uguali non sono noti. Lasciando quindi ad altri il compito di valutare la portata storica di un sigillo di un Achilleo console e spatario in questo angolo di Calabria, tenteremo una datazione attraverso l’analisi del nostro esemplare. Il tipo viene unanimemente riconosciuto come proprio (anche se con eccezioni) del periodo iconoclasta, per l’assenza di ogni accenno figurativo. Ci moviamo quindi tra l’VIII ed il IX secolo. La leggenda non abbreviata starebbe ad indicare una data alta, come anche il titolo di console. L’abbinarnento però con la qualifica di spatario, relativamente bassa nella gerarchia militare bizantina, starebbe però ad indicare il contrario. Qualche interesse può presentare il racemo con la croce, che appare, nei materiali da me considerati, estremamente raro. Nello Schlumberger ve ne sono due: uno di Teodoro, patrizio e stratega, ed uno di Giorgio, pure patrizio e stratega; il primo dell’VIII sec. ed il secondo dell’VIII - IX. Quest’ultimo figura come acquistato in Italia. Ma il confronto più strin25 gente, quasi decisivo, è possibile con un sigillo pubblicato dal Bartoli, di Paolo esarca, trovato sul Palatino e noto anche in un altro esemplare. La sua datazione è agevole e non può superare il terzo decennio dell’VIII secolo. Oltre al racemo, che appare solo un pò impoverito, corrispondono perfettamente anche gli elementi paleografici, come la forma dell’alfa. Non è privo di significato, penso, che ben tre sigilli con racemo provengano dall’Italia. La datazione si restringerebbe quindi, per ora, alla prima metà dell’VIII secolo, e può rappresentare un prezioso «terminus ante quem» per la costruzione del complesso culturale che stiamo esaminando. Inoltre la giacitura del sigillo, pienamente visibile sulla pavimentazione (non è stato necessario spostare i lastroni peri recuperarlo) e ricoperto da un unico strato di crollo, ci dà una preziosa testimonianza sull’epoca della distruzione della chiesa. Questa deve essere avvenuta nell’VIII secolo, in seguito ad attacco dal mare, in armonia con quanto sappiamo sulla crescente insicurezza delle coste in quei tempi, che portò all’abbandono di tutti i centri costieri, a favore di centri d’altura, più difendibili. La località non tornò ad essere abitata che con le bonifiche recentissime dell’Ente Sila. La chiesetta, come è stato accennato, presenta però due fasi di costruzione, anzi forse tre. Il problema sarà forse risolto con gli scavi previsti quest’anno, che saranno diretti a chiarire la posizione originaria dell’altare, della facciata e delle entrate, le caratteristiche del vano a Sud e la sua destinazione. In attesa di questi chiarimenti, ed in considerazione della grande semplicità della basilichetta (a nave singola con abside semi.circolare orientata e copertura lignea), che la rende direi, quasi atipica, penso che sia perlorneno rischioso tentare un inquadramento cronologico, icnografico e stilistico. Pure qualche considerazione si impone. Negli ultimi decenni, accanto ai noti complessi bizantino - normanni, sui quali esiste una ricca bibliografia che pone in risalto soprattutto i rapporti con la Sicilia e la tendenza a creare impostazioni spaziali che si possono esemplificare con la Cattolica di Stilo, è stata segnalata tutta una serie di piccoli complessi, di difficile datazione ma reputati per lo più del X-XI secolo, che con Botricello presentano stringenti analogie. Trattasi infatti di piccolissime chiese, a navata singola, con abside semicircolare, come a Maranello, al Colle di Sassonia, spesso con due piccole absidi ricavate lateralmente alla maggiore in nicchie scavate nello spessore della muratu26 ra, come a Cassano, a Gerace (S. GiovannelIo, la Nunziatella, a Scalea. Spesso vi sono, come a Botricello, vani affiancati, come al Mercurion o alla chiesa della Panaghìa a Rossano. L’entrata è spesso laterale. Questi esempi, che apparivano di difficile sistemazione, estranei a quello che sembrava lo spirito informatore dell’architettura calabrese, trovano ora un confronto che potrebbe, a mio parere, mettere in dubbio in alcuni casi la loro tradizionale sistemazione cronologica e che, comunque, ci illumina sull’esistenza di una tradizione locale indipendente dai centri viciniori. Complessi analoghi, con due vani affiancati, volendo tentare degli accostamenti che sono il primo a riconoscere come arrischiati, sono abbastanza frequenti in Grecia propria. Citiamo ad es. la chiesetta con vano absidato affiancato a Sud nell’area A di Kenchréai presso Corinto, la cui datazione sembra oscillare tra il IV ed il VI sec.. Sarebbe molto interessante che nello scavo del vano Sud di Botricello affiorassero apprestamenti di carattere funerario, come è avvenuto a S. Martino di Copanello. Questo elemento, accanto alle caratteristiche planimetriche di S. Martino, potrebbe far estendere al nostro complesso la cauta proposta di influssi siriaci e in genere orientali, che nel VIVII secolo si giustificherebbero molto bene sul piano storico. Appunto a questi secoli tenderei ad attribuire la costruzione del complesso, analogamente a S. Martino, sempre però in attesa che l’ampliamento della casistica con ulteriori ritrovamenti permetta una valutazione più sicura del contesto in cui si inseriscono. Un elemento che tenderebbe ad alzare la data è rappresentato dalla scoperta di ceramica acroma, non solo nella necropoli intorno alla chiesa (che potrebbe essere più antica), ma anche addossata ai muri perimetrali. Tipi di vasi analoghi sono abbastanza comuni in Calabria. Se ne occupò nel 1957 il De Franiscis in occasione di uno scavo a Monasterace Marina (Loc. Lesa) elencando una piccola serie di ri trovamenti, con materiali conservati al Museo di Reggio Calabria, da Pianopoli, Palmi, Porto S. Venere, Rossano, Strongoli, Satriano, S. Costantino di Briatico. Venne proposta, per i materiali associati, la datazione al IV - V secolo. Potrei personalmente aggiungere, oltre i materiali di Roccelletta e Botricello, altri scavati nel 1967 sotto Curinga, oltre a pezzi conservati al Museo di Crotone ed in collezioni private nel Catanzarese. Segnalazioni, spesso non accompagnate da adeguato materiale illustrativo, giungono da Tropea, da Satriano (forse i medesimi pezzi citati dal De 27 Franciscis) e da Cinquefrondi . Ma il tipo di ceramica è largamente diffuso anche n Sicilia. Dopo l’indicazione del Fuehrer, ricordiamo, in disordine, Chiaramonte Gulfi, in tombe del V - VII secolo con vetri sottilissimi analoghi a quelli di Botricello, trovati pure a Modica, Barrafranc, Sofiana, in necropoli paleocristiana che presenta nell’ordinamento e nella struttura delle tombe stringenti analogie con il complesso di Roccelletta, e in molti altri luoghi. Come si vede le datazioni oscillano fra il IV ed il VII secolo-. Esemplari che non esiterei a definire identici vengono datati in Grecia al V e, preferenzialmente, al VI secolo. Trattasi di corredi funerari, composti da 4 - 5 pezzi non verniciati, recuperati, ad esempio, a Corinto, in necropoli cristiane. La datazione è interessante per il fatto che in Grecia, al contrario della Sicilia e della Calabria, è stato possibile seguire l’evoluzione dei tipi sino al XII - XIII secolo. Questi materiali, modesti, ma per ciò stesso estremamente indicativi, coprono una area vasta, e giungono a corroborare la datazione da me proposta per Botricello, oltre a sistemare cronologicamente la necropoli di Roccelletta sia pure con possibilità di notevoli oscillazioni. E’ evidente come sarebbe meritorio uno studio esaustivo del problema, oggi forse possibile, raccogliendo sistematicamente tipologie e relazioni di scavo, con una attenta valutazione dei materiali associati, ad esempio dei vasi d’argilla con serie continue di profonde striature orizzontali, comuni in tutti i terreni di scavo calabresi con strato paleocristiano e bizantino, per i quali vi è la più completa incertezza cronologica. Purtroppo non vi è molto da aggiungere per delineare un quadro completo delle recenti scoperte paleocristiane in Calabria. Si potrebbe citare la tarda sisternazione forse cultuale del frigidarium delle terme di una grandiosa villa tardo - romana (fine III - inizio IV secolo) ad Acconia di Curinga, nel quale una delle piscine venne riempita con strutture murarie ad alveare, demolendo parzialmente il muretto di contenimento, in modo da ottenere, nel settore orientale del vano, un’abside semicircolare leggermente sopraelevata. L’ipotesi sarebbe allettante, in quanto coopererebbe a giustificare l’eccezionale stato di conservazione del complesso, che come chiesa cristiana avrebbe avuto una più lunga vita. La sconfortante assenza di materiali significanti, dovuta all’opera devastatrice delle piene del vicino torrente 28 che hanno rispettato solo le strutture murarie, mi rendono però estremamente incerto nella proposta. Riprendendo quanto accennato iniziando questa esposizione. penso che sia da sottolineare come le scoperte recenti, sia di complessi architettonici che di necropoli, si raccolgano preferenzialmente nella regione costiera. Giova ricordare a questo punto l’ovvia constatazione della migrazione nell’alto medioevo di quasi tutti gli in sedia menti dal piano al monte, per sfuggire alla sempre maggiore insicurezza delle coste. I centri di antica tradizione urbana quindi si contrassero progressivamente e quasi sempre scomparvero. Venne così a mancare ogni continuità politica, civile, cultuale. Solo nell’ultimo secolo, possiamo dire, il processo subì una netta inversione, con il ritorno al mare degli insediamenti, non di rado nel sito medesimo di antiche città dimenticate e scomparse. Ciò porta ad ovvie conclusioni, spesso finora però tralasciate. Le testimonianze architettoniche romane, tardo antiche, paleocristiane e dei primi periodi bizantini andranno cercate e scavate sul mare, sovrapposte spesso a quelle greche, mentre quelle più tarde, dal VII - VIII secolo in poi, saranno esclusivamente nei centri d’altura, in migliore stato di conservazione, per la mai cessata continuità di utilizzazione. Ogni illazione sui caratteri del mondo calabrese dall’epoca romana a, direi, l’VIII secolo, non potrà quindi trovare Fondamenti logici prima di una organica esplorazione in questo senso di zone che finora hanno spesso interessato solo lo studioso di arte greca. Penso di avere dimostrato, a Roccelletta, a Botricello, a Copanello, come sulle coste della Calabria basti affondare il piccone nel terreno per recuperare ricche ed ingiustamente inaspettate vestigia dei primi secoli cristiani. P.S. (26/10/70) - Lo scavo della basilichetta paleocristiana di Botricello è continuato, dopo il Congresso di Archeologia Cristiana di Matera, con due campagne, la prima nell’estate 1969 e la ‘seconda nell’estate 1970. I risultati sono stati del tutto inaspettati e, date le scarse speranze iniziali, stupefacenti. Sarebbe lungo ed ingiustificato elencarli ora e in questa sede. Basterà accennare ad un probabile deambulatorio intorno alla navata della chiesa, che a sua volta ha mostrato una organizzazione strutturale complessa. Inoltre il vano absidato a Sud della chiesa si è rivelato .più complicato del previsto, con tre absidi in serie e non più una. Infine si è scoperto a Sud del complesso un vano battesimale con fonte a vasca quadriloba 29 mentre la necropoli ha restituito interessanti corredi funerari, con vetri intatti, fibule e gioielli. La presenza di significativi frammenti ceramici nello scavo (ceramica sigillata chiara «D,,) ha infine permesso di ancorare a punti fermi il discorso sulla cronologia, che viene decisamente spostata verso il V secolo, almeno per una delle fasi edilizie. Lo scavo continua e, nuove, enigmatiche, strutture (forse l’ambone al centro della navata, altri vani absidati ) rischiano di ampliare ancora il nostro discorso. Torneremo quindi sull’argomento a scavo concluso. E’ evidente che i nuovi dati in parte modificano e certamente rendono insufficienti le deduzioni tratte a Matera, che non ho voluto però modificare prima della pubblicazione. Su di esse infatti ho mpostato l’attività di scavo a Botricello in questi ultimi anni, ‘Desidero quindi che esse rimangano come relazione preliminate dopo la campagna di scavo del 1968. (copia Relazione prof. Arslan ricevuta da Biblioteca “Parco Archeologico di Scolacium” tramite gentile autorizzazione della Dott.ssa Maria Grazia Aisa - Ispettore di Zona per l’Archeologia, che ringrazio). 30 Complesso Paleocristiano Sigillo bizantino in piombo 31 IL FIUME CROCCHIO (O CROCCHIA) “tra miti e leggende” La storia di Botricello e la vita stessa dei suoi abitanti sono state sempre strettamente legate al fiume Crocchio, che costeggia la zona industriale del paese. Considerato un piccolo Nilo, per i botricellesi era l’amico fiume, perché le sue acque venivano utilizzate per usi irrigui e domestici; costituiva, infatti, l’unica fonte di approvvigionamento idrico e le donne vi si recavano per il bucato. Diventava nemico quando scorreva «turvulu» o c’era «a chiina», perché simile all’Omerico Scamandro irritato. Il fiume ha origine dalla Sila Piccola, nel pantano Tirivolo. intorno alle pendici di M. Felicita, a S.O. di Femminamorta, e si precipita vertiginoso, tra profonde gole, con un lamento da uragano fino alla pianura. dove riceve l’unico affluente Nascari, oggi Nasari. Forse questo è il fiume di cui parla lo storico antico Licofrone nella sua “Cassandra”: «Et sinum celer Flumen emanat Irrigans profundum Choni1 et fertilitatem». Dallo storico Plinio il Crocchio viene invece chiamato Arocha e ritenuto originariamente navigabile nei pressi della foce: «Amnes navigabiles sunt Cecinus, Crotalus, Semiris, Arocha, Targines». Dal canto suo lo storico calabrese Gabriele Barrio da Francica, aggiunge: «Non longe a Cropano Arocha fluvius navigabilis fluit». In seguito lo stesso corso d’acqua venne denominato Crogi e finalmente Crocchio, da non confondersi però con il fiume “Crotalus”, come in passato ha fatto invece qualche storico locale, il cui corso corrisponderebbe invece all’attuale fiume Corace. Attualmente il fiume conserva il suo nome antico di Crocchio, con significato di fiume che canta intrepido sbattendo con flutto che pulsa: del color di croco. I latini lo chiamavano Crocus et Croscum. Sul Crocchio, narra ancora la tradizione antica, si svolse una battaglia tra la potente repubblica di Crotone e il piccolo stato di Uria, che segnava pure i confini tra le due città contendenti. Altra suggestiva ipotesi, alquanto attendibile. Nei pressi del fiume Crocchio esisteva un’antica città denominata “Erapolis” “Arocas ossia Crocchia ed in fine Atenapolis vicino al fiume Simeri”. Dalla distruzione 32 o dalla scomparsa di queste due città, si suppone che le popolazioni abbiano emigrato verso luoghi più sicuri e salubri, più in alto, e fondate una nuova città, chiamandola “Cropos” dalla fertilità della terra. Infatti solo Simeri e Cropani sono ubicati sul fianco dei due fiumi. Aggiungo, che proprio nei pressi fra Cropani M. e il fiume Crocchia sono stati rinvenuti dei reperti con segni evidenti di un’antica città distrutta. Secondo il Leoni, la vicina Cropani doveva far parte della repubblica Sciletica, perché questa aveva esteso i suoi confini “dalla contrada di S. Andrea nel cantone di Davoli sino al fiume Tacina, stendendosi all’intorno fino alle fonti del fiume Angitola. Quindi può dirsi che comprendesse i mandamenti di Gasperina, Squillace, Borgia, Catanzaro, Soveria, Cropani”. Ma la repubblica di Squillace ha avuto poca durata per il sopravvento di Crotone, che si estese fino al territorio di Locri, pertanto, Cropani dovette appartenere a quella di Crotone. Quando la Magna Grecia passò al dominio di Roma dopo la disfatta di Pirro, incominciò la decadenza delle città joniche. Durante la seconda guerra punica, quando la fortuna di Annibale declinò, tutte le città che avevano prestato aiuto ai Cartaginesi furono dai Romani vessate e devastate. Dalla distruzione nacque la desolazione, il latifondo, la malaria. E’ sicuro che i Greci risalirono il Crocchio con le loro navi. Nel corso dei secoli si formò un alveo più ampio perché le sue acque strariparono dagli argini a causa dello sfruttamento del legname della Sila, operato sia dai Greci che dai Romani.Il Crocchio conserva ancora il suo fascino antico per i suoi meravigliosi paesaggi. Le sue acque si raccolgono a monte, tra le sorgenti di Tirivolo (intorno a quella della “Rota”, vi si riunivano i briganti nelle loro sedute in piena Sila Piccola) e dopo lunghe e scroscianti cadute tra le selve silane si adagiano su un letto sprofondato fra meno aspre colline, sulla più alta delle quali la città di Cropani si affaccia come un balcone sullo Jonio. Il fiume prosegue sereno, adesso, su una bella pianura, serpeggia dolcemente, accarezza il “Turrazzu” (torre del XIII secolo eretta contro i turcheschi) ed è finalmente mare. Le rive del Crocchio, che hanno visto in passato il raduno di eserciti in furiose battaglie, oggi potrebbero rivivere attraverso la pacifica e più fruttuosa riscoperta da parte del crescente esercito di naturalisti ed ambientalisti interessati alle bellezze della Calabria. Infatti, lasciando la leggenda e la poesia, è in realtà un fiume perenne 33 di particolare attrattiva. Nel 1994, quale Assessore Provinciale all’Ambiente, intendevo programmare la bonifica dei fiumi, anche per progettare itinerari turistici con percorsi ippici. I tecnici dell’Ufficio, appositamente inviati per un sopralluogo, sono rimasti entusiasti dell’incomparabile bellezza dei paesaggi del Crocchio, sia per le abbondanti acque, che per lunghi tratti scorrono tra due alte e spettacolari pareti rocciose, e sia per la lussureggiante vegetazione. Le sue acque impetuose sono state sfruttate anche per alimentare due centrali elettriche, di cui una nel territorio di Sersale, e l’altra in quello di Cropani. (1) Choni sarebbe un’antichissima città nei pressi dell’affluente Nasari. Si vuole che risponda all’attuale Belcastro. 34 TORRE DI CROCCHIO O TORRAZZO La Calabria per tre quarti è protesa nel mare. Per questa sua particolare posizione di una penisola nel centro del Mediterraneo e vicina all’Africa, rimase per secoli esposta alle frequenti scorrerie dei Saraceni, avidi di bottino. Molte città furono totalmente distrutte e insidiate dai predoni ottomani, più volte capitanati da rinnegati, come il messinese Cicala e Uccialli da Isola Caporizzuto1. Quando l’espansione e la potenza marinara dei Saraceni aumentò minacciosa per la Calabria soprattutto, allora nel 1545 «Il viceré D. Pietro di Toledo ha convenuto di fortificare la costa con un sistema di Torri che dando l’allarme o facendo resistenza, metta dietro una protezione le terre e gli uomini e le campagne, anche per Cropani e per la zona vicina venne ordinata la costruzione di una Torre detta Torrazzo» 2. E fu in quel tempo che venivano costruite sulle coste calabre oltre cinquanta di queste Torri. Tra queste è annoverata quella di Cropani Marina edificata alle foci del Crocchio, come sentinella avanzata ad avvistare le flotte pirate. In territorio di Cropani, ma ad un tiro di schioppo dall’abitato di Botricello, la Torre di Crocchio, fu tra le prime costruite nel 1570, anno in cui era affidata al torriero Caporale Marco Costa. In riparazione nel 1594, nel 16056 figura affidata al torriero caporale Giov. Battista Ferrero, nel 1616 a Rotella Giov. Battista, e nel 1718 a Domenico Jozzi»3. La torre di Cropani, indicata pure col nome del fondaco Cannameli, in costruzione nel 1594, era già in funzione nel 16054. Finì la sua funzione di torre di guardia, come tutte le altre, verso la fine dell’ottocento quando la Francia conquistò tutto il Nord-Ovest africano perchè cessarono le incursioni barbaresche e le loro razzie. Della. Torre suddetta si serviva pure Taverna per la sua difesa, avendo quella Università stanziato «per munizione della Torre di Crocchia ducati 14» 5. Cropani pagava per due cavallari per la custodia di detta Torre distante 6 miglia; Taverna ne pagava per tre. La Torre di Cropani fu utilizzata dal governo francese per la dogana, perchè «con decreto di rinnovamento del 7-11-1810 la Torre Crocchia 35 faceva parte della direzione doganale Crotone-Capo Spartivento, sotto il 2° controllo di Catanzaro»6. La Torre di Crocchia con l’unità d’Italia perdette ogni funzione logistica e quindi abbandonata (dal libro «Cropani» di P. Remigio Lepera). NOTE (1) L’Uccialii nel 1536 fu preso come schiavo a Punta delle Castella da Barbarossa ancor fanciullo, ed in seguito divenne un famoso ammiraglio della flotta turca. (2) O. Valente, Le Torri costiere, pago 36 (3) O. Valente, op. cit., pago 70. (4) D. Martire, ms. II, pago 255. Elenco Acton: O.B. Nola Molisi, Cronica dell’antichissima e nobilissima città di Crotone, Napoli, F. Sovio, 1649/84. (5) D. Olivo, Contributo alla storia della Calabria, pago 273. (6) U. Caldora, Calabria Napoleonica, pagg. 260-66. Cantilena popolare alla vista di galere nemiche: A’ mmezzumari ‘na campana sona: i turchi su arrivati alla marina! All’armi! All’armi! La campana sona: li Turchi su’ calati alla marina: chu ava i scarpi rutte, si li sola, nun ha paura de pigliare spina Pigghiati l’armi, curriti, curriti, cci vola forza e curaggiu figghioli li Turchi su calati alla marina. P. Fiore Frodi e prolungamento dei lavori. Il caso di una torre nella marina di Cropani (Internet- da Archivio storico Crotone) di Andrea PESAVENTO (pubblicato su Il Paese nr. 9-10/1993) Appena andate in vigore le nuove tassazioni del biennio 1590-1591 vennero appaltate sei nuove torri tra le quali una nella marina di Cropani. Nel gennaio 1594 la nuova torre, chiamata Crocchia, è già in costruzione. Il mastro fabricatore che si è aggiudicato l’appalto è Adante o Dante Cafaro della città di Cava che alcuni anni dopo costruirà la torre dei 36 Gesuiti nel villaggio di San Leonardo.?Con le prime perizie iniziano le controversie. Il mastro è accusato di frode per essersi accordato con il delegato della regia udienza provinciale alterando le misure del costruito. In attesa che un ingegnere su incarico della Regia Corte si porti sul luogo per una verifica, viene concesso un anticipo al mastro perchè possa procedere nei lavori. Il tempo passa e, poichè è ormai iniziata la bella stagione, l’ingegnere delegato, il cavalier Fontana, fa sapere che non intende portarsi sul luogo prima di settembre per paura dei corsari. Finiti i soldi, si fermano i lavori. Il Cafaro ai primi di luglio protesta per il danno che il fermo dei lavori crea a lui, ai lavoratori ed all’opera. Egli chiede che nell’attesa venga consegnato un pò di denaro all’università di Cropani per poter proseguire.?”Molto Illustr. M.ro Adante Cafaro, partitario della torre di Cropani, fa intendere a V. E. Ill.mo come essendosi stata fatta mesura de tutta la opera per esso fatta in quella per lo uomo experto eletto dalla Regia Audientia Prov.le per ordine dela Cam.a se retrovo creditore in docati mille cinquecento ottantatre et venendo in Cam.a per lo debito mandato fu da uno malevolo malignato dicendo che in detta mesura ci era errore per il che li fu suspetato il pagamento e li furo pagati a buon conto docati trecento con la plegiaria et che se fusse servito detta misura per uno deli ingegneri dela regia corte li quali como che non si poterono conferire, si ordino al cap.no di Seminara che con experti havessero visto detta mesura et perche S.M. Ill.ma il detto cap.no voleva docati sexanta da esso supp.te per le giornati che in cio haveva vacare insieme con detti esperti, alla quale spesa esso non era altrimenti tenuto come cosa che la procurava il regio fisco, have havuto unaltra volta recorso in camera per la quale referete V.S. e stata edmessa detta revisione al cavalier Fontana, regio ingegniero, et li sono stati pagati altri docati cento ad buon conto similmente con plegeria. Il quale cavalier Fontana denega volere andare in questi tempori estivi et per la suspitione de corsali per lo che esso supp.te pate molto interesse oltre quello che in cio sino ad questa hora ha patito si havera perso quasi uno anno de tempo con suoi operarii et animali che tiene in la opera come in esser andato et venuto tante volte dalli confini di Calabria per tanto supplica V. S. sia servita ordinare se paghino almeno docati doicento, deli denari de torri alla detta universita de Cropani la quale ne sia casera et serva di spenderlo personalmente per servitio di detta opera senza fare tocare uno quatrino ad esso supplicante et cio si tanto dura questa estate 37 non perda tempo perche altramente ci sara perdita di interesse et in tal caso danno per allora se protesta contro la regia corte de tutto il danno..”?Datum Neapoli in eadem Reg. Cam. Sum. die 13 mensis Julii 1594.?La richiesta è accolta e si ordina al tesoriere di Calabria Ultra di consegnare ducati 200, dei denari riscossi per la fabbrica delle torri, all’università di Cropani perchè li utilizzi nella costruzione della torre. Il versamento è effettuato ai primi di agosto dal luogotenente del tesoriere che consegna in Crotone il denaro al delegato dell’università di Cropani, Francesco Braczello. Al th.ro de Cal.a Ultra Per non posserse conferire in Cropane lo ingegnero cavalier Fontana sino al sett.ro proximo venturo per revedere la mesura fatta dela opera della torre che se fabrica in detta terra per mastro Adante Cafaro .... la Camera debbia delli denari dela fabrica de torri pagare docati doicento alla d.ta universita con obligatione de convertirli in fabrica dela istessa torre et de recuperare le cautele dela spesa per sua indennita et per darne debito al detto partito accio fratanto non si perda tempo. Cotrone 3 agosto 1594.?ANC. 49,1594, ff.204-206. (Archivio di Stato di Catanzaro). 38 TRISCHENE (URIA) Notizie desunte da due Cronache, riferiscono, che tre sorelle di Priamo, scampate alla rovine di Troia, approdarono ad Uria, nei pressi di Sellia Marina ed ivi edificarono tre tabernacoli (Treis Schenè). Origini lontane, ma certamente greche, comprovate dal ritrovamento di scheletri putrificati ed oggetti loro posti accanto, di monete con sul retro due o tre tabernacoli e sul rovescio il Minotauro. Con l’affermarsi delle città MagnoGreche nei secoli VIII-VII, una parte del territorio di Trischene passò sotto le dipendenze di Crotone e, nonostante i tentativi di riappropriazione del territorio, nel (510 a.C.) dovette riconoscere l’egemonia della riduzione dei confini territoriali da Uria al Corace. Nel corso della grande espansione romana, per sfuggire alle minacce dei Bruzi e dei Canesi, si pose sotto il protettorato di Roma, fino a diventare una colonia, senza però mai assurgere al rango di “Municipium”. Trischene, alla caduta dell’Impero Romano, dopo aver diviso la soggezione all’Impero Greco, artagi cui rimase fedele tanto che ottenne un diploma di privilegio da Eraclio il 9 marzo 639, subì lutti e rovine prima ad opera dei Saraceni di Sicilia (852 d.C.) e poi degli Arabi (924 d.C.), a causa anche della debolezza e dei dissidi interni provocati da due fazioni civili opposte. Entrambe non raggiunsero accordo alcuno sul governo della città, per cui, difronte ad una ulteriore incursione dei Saraceni il ramo greco fu costretto a rifugiarsi sul monte Panormite (Taverna Vecchia) mentre quello latino scelse il monte Selion (Sellia Superiore). (Dal sito Comune di Sellia Marina) SCOPERTA URIA DI TRISCHENE? (di Marcello Barberio) A metà luglio 2006, si è tenuto a Cropani un interessante convegno sui reperti archeologici del locale Antiquarium, provenienti da fortuiti ritrovamenti nel comprensorio Crotone Simeri: hanno partecipato archeologi della Sovrintendenza del Lazio e dell’Ina (Institute nautical archeology degli Usa), il direttore della Sovrintendenza ai Beni Culturali della 39 Calabria, esperti dell’Università della Calabria e di Salerno, la dottoressa M.G.Aisa, direttrice coordinatrice della Sovrintendenza della Calabria, la quale, unitamente agli archeologi Giuseppe Nicoletti e Stefania Panella ha curato i lavori di messa in sicurezza degli scavi di località Giglio di Uria di Sellia Marina. Qui, in prossimità del fiume Uria, durante i lavori di realizzazione di un metanodotto, sono emersi dal terreno reperti di straordinario interesse scientifico, tanto da indurre la stessa direttrice degli scavi ad affermare: “L’area comincia a dare importanti indicazioni. La zona più antica è quella posta sud con la fornace a pianta circolare, le anfore sono di tipo dress 1 risalenti all’inizio del I secolo a.C..Abbiamo ritrovato vetri e materiale di notevole pregio, una sorta di manto stradale del II secolo d.C: alcune tombe sono state deturpate dall’esecuzione dei lavori della Snam, i corredi funebri sono relativi a tombe multiple, una tomba singola è stata realizzata sulla nuda terra e conteneva uno scheletro interamente conservato. Scavi di Sellia Marina: fornace romana a pianta circolare (Foto A. Davoli) 40 Il percorso storico-archeologico, il numero dei reperti ci convincono che si tratti di vere e proprie necropoli del periodo latino. S’intravede già uno strato greco, ovviamente più in profondità. I due ambienti intonacati inducono a pensare a una cisterna di epoca tardo-romana. Abbiamo rinvenuto due monete di bronzo il cui conio risale al III secolo a.C: sul dritto è riprodotto Zeus laureato e sul rovescio un’aquila. Siamo, insomma, in presenza di tre zone di epoca diversa ma di sicura continuità di vita tra un periodo e l’altro. L’area comincia a dare importanti indicazioni: forse ci troviamo di fronte ai resti dell’antica TRISCHENE.” Durante la visita agli scavi, organizzata dal “Gal della Valle del Crocchio”, abbiamo notato l’abbondanza degli scarti ceramici del periodo romano, diligentemente raccolti dai volontari francesi e spagnoli del campo estivo, mentre accanto alle fornaci sono evidenti i resti di lavorazione di terrecotte (vasi e tazze utilizzati forse con funzione di drenaggio, ove non fossero rifiuti di un kerameikos o quartiere dei vasai). E’ stato confermato, altresì, che alcuni saggi stratigrafici hanno rilevato la sequenza della frequentazione del sito dal periodo greco al tardo medioevo, quasi un supporto ai “frammenti” delle fonti letterarie antiche e alle “Croniche” medievali di cui ho trattato varie volte su questa stessa rivista(1) e su “Da Ocriculum e Trischene”(Rubbettino Editore, 2004), nel tentativo di dimostrare come la città di Trischene, “ad mare sita… civitas nobilis et magna ac popolosa, muris et turribus cincta inter Crotalum et Semirys amnes non longe a freto”(2), non nascesse dal sonno della ragione, perché partorita dalla fantasia degli scrittori locali, ma fosse una polis della storia. I costanti ritrovamenti confermano che “non periere ruinae!”. Appena 10 anni fa, gli archeologi del Parco della Roccelletta di Borgia e quelli del cantiere “Ospedale San Giovanni di Dio di Crotone” verificavano sul vicino sito di Roccani di Simeri Crichi strutture murarie del II secolo d.C, la “basis villae costruita nella tarda età repubblicana ed età augustea…su un precedente insediamento agricolo greco-ellenistico in parte rioccupato dai Bretti…monete greche di Siracusa e di Reggio del IVIII secolo a.C,…frammenti di vetro e ceramica sigillata e a vernice rossa interna, anfore della media età imperiale...ceramiche acrome e sigillate Africana A…frammenti di dolia e di intonaco affrescati in rosso e porpora”. L’archeologo Ruga così concludeva la sua relazione ispettiva: 41 “Trattasi di una testimonianza quasi eccezionale”. Quei campioni ceramici vennero depositati presso il Parco Archeologico di Scolacium. Insomma, “etiam non periere ruinae!” della polis magnogreca e romana - “prisca, superba, potens” nell’epitaffio di Gerolamo Piperi - avendo resistito ai frequenti sconvolgimenti tellurici, alle alluvioni, ai miasmi delle paludi malariche e alle esondazioni delle fiumare, ai molteplici interventi antropici, alle arature profonde del terreno, alle rapine dei tombaroli. Ancora nel 1960, U. Kahrstedt - “Die Wirtschaftliche Lage Grossgriechenlands” in “Der Kaiserzeit”, in Historia, n°4, Wiesbaden 1960 e sempre in Historia 1959, “Ager Pubblicus un Sebsterwaltung in Lucanien und Bruttium” - poteva autorevolmente concludere che la costiera tra Tacina e Soverato mostrava segni evidenti dell’intensa frequentazione umana in età greca e romana, sotto forma di villae, oppidula e centri di colonizzazione di rilievo come Castra Hannibalis, Carcinum, Scolacium, Uria, veri e propri agglomerati antichi a catena lungo la costa. Lo stesso studioso tedesco aveva l’opportunità di verificare la presenza di siti archeologici a Cantorato, terme, pavimenti a mosaico, colonne e stipiti sparsi nella chora. In località Guido di Uria di Sellia Marina, oltre 150 anni fa, Luigi Grimaldi (Annali Civili, 1846) ebbe modo di osservare un ricchissimo sepolcro greco con ornamenti d’oro ed un “mulino ad olive all’Ercolana”, in località Calabricata. Nell’estate del 1879, costruendosi la ferrovia del litorale jonico catanzarese, in prossimità dei tratti terminali dei fiumi Corace, Alli, Simeri, Uria (o Acone), Crocchio e Tacina, furono rinvenuti importanti e copiosi reperti archeologici italioti, d’età greca e romana e, sulla collina de La Petrizia (ora in agro di Sellia Marina), “4 torri d’antico laterizio”, riferibili all’acropoli di Castel Minerva o Castrum Minervae, una delle tre città confederate - “vicinìe” - di Trischines - Tres Tabernae della “chronica” di Ferrante Galas del 1428 e della “Chronica Trium Tabernarum”, del XII secolo, del canonico catanzarese Ruggero Carbonello. Dell’attendibilità di quelle “chroniche” ho scritto più volte, ma molto più autorevolmente ne hanno disputato F. Chalandom, E. Caspar, Riniero Zeno, confutando la tesi ritenevano quelle fonti inattendibili e frutto del desiderio dei cronisti Tavernesi di magnificare la loro terra natia. 42 Per certo, “a reliquiis Trischenis”, intorno al IX- secolo d.C, sorsero le città di Catanzaro, Taberna Montana, Simmari, Sellion, Barbaro (?), per volontà del procuratore dell’imperatore d’Oriente Niceforo Foca, il quale, dopo aver respinto sia l’attacco delle orde saracene che quello dei Longobardi, fece ricostruire le città distrutte, su siti collinari più sicuri, consentendo così alle “comitive” di trischenesi erranti, di far rivivere la loro patria primitiva, “sui monti di rimpetto”. Dalla “Cronaca araba di Hazi Alifà Mustafà”, dall’anonimo Annalista Salernitano, dalla “Cronaca di Arnolfo” del X secolo risulta che, nel 903, i Saraceni di Absdraele invasero per l’ennesima volta con una flotta poderosa ed espugnarono molti paesi greci, come Simari, Belcastro, Cropani, Taverna, Petilia, aggregandoli all’emirato di Scillezio. Risulta pure che molti servi del contado attendevano l’arrivo dei “Turchi alla marina” per imbarcarsi come schiavi, per sfuggire alla più pesante oppressione dei signori locali. Alcuni di quei “rinnegati” (abiuravano, infatti, la religione cattolica in favore dell’Islam) divennero famosi pirati al soldo dei califfi arabi: così Gianluigi Galeni alias Uluch Alì, Barbarossa e Sinam Pascià Cicala. Scavi di Uria: la sovrintendente Aisa illustra la necropoli romana (Foto A. Davoli) 43 Tornando alla storia dei ritrovamenti archeologici, è utile ricordare come sul “Brutium, anno XLIII,n°4”, Bruno Barillari scriveva: “ lungo il fiume Simeri, un secolo e vent’anni or sono, vennero alla luce antichi sepolcri e avanzi di costruzione: l’archeologo Castaldi individuò ben tre archi di acquedotto romano e, presso il mare, un vecchio laterizio simile in tutto alla famosa tomba di Cecilia Metella fuori le mura”. Nel 1906,F.Lupis-Crisafi, in “Da Reggio a Metaponto”, scriveva: “presso l’abitato di Simeri si vedono i ruderi di un antico acquedotto romano, che serviva a trasportare le acque dai monti verso la pianura, ove certamente doveva essere un luogo abitato”. Resti di archi di acquedotto romano sono stati occasionalmente individuati dallo scrivente, nell’estate del 2000, a ridosso e lungo il greto del torrente Uria, a circa 4-5 Km dalla foce, come comunicavo su questa stessa rivista. Greto del torrente Uria: resti di antico acquedotto romano (Foto D. Mazzei) Ancora in anni recenti, lungo la cimosa costiera delimitata dai fiumi Alli e Crocchio, particolarmente in prossimità dell’Uria, i contadini e i 44 curiosi hanno rinvenuto avanzi fittili e oggetti antichi: vasi di terracotta, korai, lastre con epigrafie, colonne, lapidi, lucerne, anforette, stanze sepolcrali, canali, gallerie, monete incuse anepigrafe a bordo perlinato o dentellato di varie poleis magnogreche e d’età romana, tubuli termali, ma anche resti di ville romane, sepolcri, monili, armature, a dimostrazione dell’intensa e molteplice frequentazione umana della zona, testimoniata anche dalla toponomastica antica, come Uria e Valle d’Annibale (Castra Hannibalis), cioè gli accampamenti d’Annibale nel Bruzio al tempo della II guerra punica (III secolo a.C). Giglio di Sellia Marina: visita agli scavi dei Sovrintendenti archeologici calabresi (Foto A. Davoli) “Et in ea portus qui vocatur Castra Hannibalis, nusquam ad angustiare Italiane: XL milia passim latitudo est”, ci ricorda Plinio, in Naturalis Historia. Insomma, i ritrovamenti archeologici confermano l’esistenza sulla costa, in periodo greco-romano, di una città di notevole espansione demografica, come si deduce dalla presenza di un gran numero di tombe e di insediamenti agricoli sparsi sul territorio; la varietà del costume funerario 45 - tombe a cassa con semplici arredi tombali e sepolture a camera a pareti intonacate e dipinte - testimonia la complessità della struttura societaria e la sovrapposizione di varie fasi storico-culturali: i Romani costruivano le loro tombe a tempietto per le urne cinerarie su quelle a inumazione delle epoche precedenti. I recenti scavi di Giglio di Sellia Marina presentano solo tombe del periodo romano, per cui il sito è da collegare all’Uria colonia latina. Varrone (Lib.III, Rer. Human), Virgilio (VI Egloga) e altre fonti latine ricordano Uria-Orra-Ouria o Castrum Minervae, “nome sovrapposto dai Latini e che vale il greco Athenaeon” (Orazio Lupis, in “La Magna Grecia”), ove, nell’anno di Roma 631, andò dedotta una colonia romana, dopo il consolato di Cassio, Longino e Sestio Calvino. Vellejo Patercolo (Lib.I, 15) ha scritto: “…post annum Scylacium, Minervium… Castrum Minervae… colonia deducta est”. Infatti, già nel 133 a.C, in applicazione della legge agraria dei Gracchi, e poi nel III secolo d.C, furono dedotte nella chora di Uria del Bruzio colonie latine: l’impatto violento dei nuovi arrivati con gli abitanti indigeni produsse verosimilmente profonde modificazioni socio-economiche e culturali in tutta l’area: si consolidò il latifondo con l’utilizzazione della manodopera servile, furono impiantati nuovi vigneti ed uliveti, iniziò lo sfruttamento sistematico della foresta demaniale della Syla, furono realizzati cantieri navali, sorsero le ville urbane, molto più ricche delle ville rustiche, perché realizzate sul modello della “domus con peristilio”(cortile colonnato). Gli estremi chilometri dei fiumi del versante jonico erano navigabili, secondo la testimonianza di Plinio, in Naturalis Historia (III,15,2): il Carcines, il Semyrus,il Targines, l’Uria consentivano la fluitazione e la navigazione con piccole imbarcazioni. Lo spoglio della montagna ed il conseguente disordine idraulico cominciarono a trasformare quei fiumi in fiumare a carattere torrentizio, tanto che i loro greti sono ora ridotti a vere e proprie piste carrabili estive. Le poleis furono ridotte ad municipi aerari, obbligati a pagare le tasse a Roma, mentre gran parte dei terreni andarono a costituire l’ager pubblicus, praedia populi romani. Al tempo delle deduzioni delle colonie romane e latine, i traffici commerciali nel Bruzio si svolgevano prevalentemente per mare, come nel periodo italiota, e solo secondariamente lungo i sentieri e i tratturi della 46 transumanza; le stesse strade costruite dai Romani avevano preminente carattere militare e di penetrazione amministrativa nell’area assoggettata. La più grande arteria stradale del Sud era la via Annia o Popilia, costruita nel 132 a.C. sotto il consolato di Pubblius Popilius Lenas: collegava Capua a Reggio per 237 miglia. L’elogio di Polla (contenuto in una lastra marmorea rinvenuta nel XVII secolo) era il miliarum ed il tabellarum di quella via, la quale, all’altezza di Vibona, presentava una diramazione per Scolacium e Castra Hannibalis, collegando così il Tirreno con lo Jonio. In buona sostanza, la strada della pianura jonica si sviluppava lungo il tracciato dell’attuale ss106, ora E90, come si rileva anche dalla Tabula Peutingeriana, l’itinerarium pictum del III secolo d.C, che indica terre, città, fiumi, monti, la summa miliaria dei siti “dipinti”. Inoltre la via Erculea raggiungeva Reggio da Heraclea, attraverso Scolacium: aveva preso il nome dell’imperatore Massimiano Erculeo, che l’aveva fatta costruire nel IV secolo d.C. Più a nord, in Puglia, la “via Calabra” congiungeva Rudiae a Brindisi ed a Orra-Ouria (Strabone,VI,3,5); a metà strada tra Taranto e l’attuale Oria gli itinerari segnalavano la “statio” di Mesochorum. Sembra di leggere la toponomastica dell’attuale Calabria (Uria, Mesoraca,..), nome che fino al VII secolo d.C. era assegnato alla Japigia: è noto, infatti, che i Calabri rappresentavano, con i Messapi e i Salentini, una delle 3 unità cantonali della Japigia. Strabone colloca Uria al centro dell’istmo Taranto-Brindisi, ma dice di non sapere se la Hyria fondata dai Cretesi sia quella di Ouria o un’altra non identificata. Per certo esistevano altre Uria nel Gargano e in Campania e parimenti Tito Livio narra di una Turio “urbem in Sallentinis”, espugnata da Cleomino nel 302 a.C. Uno specifico approfondimento sulla toponomastica calabro-salentina potrà far luce su tanti quesiti storici irrisolti. Intanto possiamo sicuramente convenire con Giuseppe Castaldi, il quale, in “Magna Grecia”, così concludeva nel 1842: “a me sembra che nel nostro reame vi siano state tre città con lo stesso nome di Uria, una nella Magna Grecia, l’altra nella Capitanata e la terza nei Salentini”. La precisazione dello studioso riguardava la controversia sulle monete di bronzo di Orra-Ouria, custodite nei musei di Nola, di Napoli e di Berlino, esaminate da famosi numismatici (Ignara, Magnam, Romanelli, Mommsen, Eckhel): sul diritto è riprodotta la testa di Atena elmata e sul 47 rovescio la scritta ORRA ai piedi di un’aquila con le ali aperte, ove “aquila significat dominium totius orbis”, mentre Atena era la dea protettrice della città, che,nelle “Chroniche” medievali, era detta appunto Athenapolis e che, assieme ad Uria-Palepolis e ad Herapolis, costituiva la polis fondata dalle 3 sorelle di re Priamo, dopo la fuga da Troia in fiamme. Sul rovescio di altre monete è riprodotto Mercurio alato che suona la lira o semplicemente un caduceo o un granchio e sempre la scritta ORRA. Nella “cronica” del Galas è scritto che le monete di Trischene presentavano sul D, in rilievo, il Minotauro con la legenda Uria o Trischinez e, sul R, 2-3 templi e l’indicazione del valore. Alcuni autori hanno attribuito quelle monete all’Uria di Locri Epizephyri (ORRA LOKRON) (3) o all’Uria dell’attuale Orìa di Brindisi; altri hanno dichiarato di non sapere a quale città magnogreca assegnare le monete; per certo Locri non coniò moneta prima del IV secolo a.C. Presso il Museo Provinciale di Catanzaro sono custodite oltre 5.000 monete antiche (bruzie, greche, romane e bizantine), descritte da Ambrosoli (“Catalogo della collezione numismatica - monete greche, 1908), da G.Bruni (“Monete lucane e bruzie del museo civico di Catanzaro, 1977) e ultimamente da E.A. Arslam, in “Sylloge Nummorum Graecorun Italiae”. Molte monete di bronzo sono databili intorno al III secolo a.C, verosimilmente al tempo della II guerra punica e alla presenza di Annibale nel tratto Scolacium-Kroton; altre, però, sono d’oro e d’argento e sappiamo che sia l’Uria pugliese che quella locrese battevano esclusivamente monete di bronzo. Nel catalogo della Sylloge di Arslam le monete che interessano la nostra ricerca sono quelle segnate con i numeri da 1202 a 1251 e i segni incusi rinviano al mondo mitologico del cosiddetto ciclo troiano. Anche la storia di Uria s’inserisce nell’epopea dei nostos (ritorni) dalla guerra di Troia ed è contenuta nelle due “Chroniche” medievali di cui si è discusso in precedenza. Dopo la distruzione di Troia, Antenore salpò dalla Frigia con alcune navi e approdò sulla costa del Golfo di Squillace, tra i fiumi Arocha (Crocchio) e Marvotrinchison (Simeri) con un gruppo di profughi comprendenti 3 sorelle di re Priamo (Astiochena, Attila e Medicastena). Su un terrazzo naturale fu costruito il thesaurus dedicato alla dea Pale e, 4 anni più tardi, sorse una città detta prima Palepolis e poi Uria, che in lingua fri48 gia significa “adorazione”, probabilmente perché il cenotafio di Astiochena simbolicamente completava il processo di eroizzazione della fondatrice, divenuta oggetto di culto post mortem. Successivamente furono eretti altri due templi, uno sul Crocchio, dedicato ad Hera, e l’altro dedicato ad Athena, sulla sponda destra del fiume Simeri, sull’altura de “La Petrizia” di Sellia Marina, esattamente dove 200 anni fa resistevano le 4 torri di Castrum Minervae. Attorno ai tre templi si svilupparono 3 “kome” o “vicinìe”, Uria o Palepolis, Athenapolis ed Herapolis, che, nel IV secolo dell’era cristiana, sotto il regno di Arcadio, assunsero il nome di TRISCHENE (Treis scénai o treis schéné), “tre luoghi”o “tre chiese”, perché il vescovo della polis soleva celebrare le feste principali alternativamente nelle chiese delle tre città confederate. Dopo la II guerra punica divenne dominio romano. La maggior parte dei reperti archeologici finora rinvenuti si riferiscono appunto a quel periodo, così gli scavi di Giglio come gli archi di acquedotto del periodo imperiale (simile a quello di Scolacium, costruito nel 143 d.C, al tempo dell’imperatore Antonino Pio). Torrente Uria, archi di acquedotto romano (Foto D. Mazzei) 49 Intorno all’VIII secolo dell’era cristiana, la città fu definitivamente distrutta dai Saraceni, per cui i suoi abitanti furono costretti ad “errare in comitive sui monti di rimpetto” o a convertirsi all’Islam, per potersi imbarcare sulle navi corsare. Dalla “Cronica” di Ferrante Galas del 1428 - scritta parte in greco e parte in latino, volta in volgare nel XVI secolo da G.A. de Putero di San Pietro (oggi di Magisano) e riscritta un secolo più tardi, “non scevra di mende” - risulta che Uria, distrutta definitivamente nell’VIII-IX secolo, venne riedificata nel 1117, per volontà dei Normanni, col nome di Santa Sofia di Castel Minerva. “A reliquiis Trischenis” sorsero le città di Catanzaro, Taberna Montana, Simeri, Sellion: sorse anche la controversia sulla priorità del vescovato delle Tre Taverne: solo nel 1532 l’imperatore Carlo V ordinò ai Tavernesi di non più richiedere la sede vescovile, che papa Callisto II aveva trasferito a Catanzaro, con bolla di consacrazione del 28 dicembre 1122. Da allora il nome di Trischene cadde nell’oblio, ma ora dai luoghi della memoria balzano alla luce preziosi frammenti, come lampi di una storia per troppo tempo negata e costretta al silenzio. NOTE (1) C. L.: anno 1988/n.1-2-3 “Trischene, tra storia e leggenda”; 1988/n. 4-5-6-“Una colonia di Sybaris?”; 1992/n. 7-8-9 “Palepoli-1”; 1993/n. 1-2-3 “Palepoli-2”; 2001/n. 1-2-3 “L’acquedotto romano di Uria”; 2001/n. 4-5-6 “Ancora una disputa sull’origine di Catanzaro”; 2003/n.7-8-9 “Alla ricerca di Castra Hannibalis”; 2004/n. 4-5-6“L’area archeologica di Roccani-Uria”. (2) Gabriel Barrius, “De antiquitate et situ Calabriae”, ripreso da G. Marafioti, da G. Fiore e da numerosi altri autori calabresi del ‘500 e del ‘600. (3) F. A. Pellicano, “Catalogo delle monete Locresi”, Napoli, Fibreno, 1834 (4) Il manoscritto di 171 pagine fu registrato nel 1846 dal Falcone in “Biblioteca storica topografica delle Calabrie”; una copia fu rinvenuta a Stilo da Hettore Capialbi e inserita in “Archivio storico della Calabria”- Novembre-Dicembre 1901. Un “Compendio della storia di Trischene” di Teopompo Crea, unitamente alla “Cronaca Pesacense”, era custodita dai monaci di Santa maria di Pesaca. 50 CAPITOLO SECONDO Casati e vicende del passato I MARCHESI DE RISO ED IL FEUDO DI BOTRICELLO (Da “La Storia dei Feudi e dei titoli Nobiliari della Calabria di Mario Pellicano Castagna”). Già feudo inabitato in Calabria Ultra, sito nel territorio della baronia di Belcastro. Cominciò a popolarsi alla fine del ‘700, e fu poi frazione del comune di Andali; da11957 comune autonomo in prov. di Catanzaro. Non si hanno notizie sicure anteriormente al sec. XVl. NICOLA AMBROGIO DE TOCCO, da Napoli, possedeva il feudo Botricello tra la fine del ‘400 ed i primi anni del sec. seguente. Non lasciò figli, ma una sorella, Sofia, maritata a Francesco Boccapianola di Napoli (cfr. De Lellis, 1,364). COSTANZA D’AVALOS, contessa di Belcastro (v.), per ìa morte senza figli di Nicola Ambrogio predetto, ritenne il feudo di Botricello devoluto alla sua Curia e lo incamerò, come risulta dalla investitura seguente. GIACOMO NOMICISIO, patrizio di Tropea, in data 19 aprile 1524 ebbe concesso il feudo dalla contessa di Belcastro predetta. Egli venne a transazione con Lucia de Tocco, vedova dì Francesco Boccapianola, come erede di suo fratello Nicola Ambrogio, e tale transazione venne approvata con R. Assenso del 7 giugno 1534. Di tutto riferisce il Val. 348 dei Rilevi Originali e Informazioni, al f. 562 e seg. LEONSO O ALONSO O LEONCiNO MAURELLI, UJD., patrizio di Cosenza, acquistò il feudo Botricello per vendita fattagli da Giacomo Nomicisio, con R. Assenso del 3 maggio 1535, secondo quanto viene riferito dal vol. predetto. ISABELLA MAURELLI il lO maggio 1565 ebbe Sign. di Rilev. per il feudo di Botricello, come erede e per la morte del fu Leonso predetto, suo padre, deceduto il 27 gennaio 1565 (Sp, Sìgn. I, f. 359, che riporta dal Reg. Sign. 15, al f. 47). Sposò in casa Piterà, nobile di Catanzaro. 53 ALFONSO PITERA il . gennaio 1616 ebbe Sign. di Rilev, per il feudo di Botricello, come erede e per la morte della fu baron. Isabella Maurelli predetta, sua madre (Reg. Sign. 4:;, al f. 227). ANTONIO PITERÀ in data 1l luglio 1617 ebbe Sign. di Rilev. per il feudo Botricello come erede e per la morte di Alonso predetto, suo padre (Reg. Sign. 44, f. 66). Sp. Ippolita Grimaldi, che acquistò il feudo Botricello, e si rirnaritò con Muzio Montalcinì da Cotrone. ANTONIA PITERA successe ad Antonio predetto, suo padre, deceduto nel 1622, ed alienò il feudo alla madre, come risulta da relazione allegata al CedoI. 81, f. 313t. Sp. Vitaliano de Riso, di cui appresso. IPPOLITA GRIMALDI predetta ebbe cessione del feudo Botricello da Fabrizio Montalcino, che aveva acquistato da Antonia Pìterà predetta,COn unico R. Assenso del 23 aprile 3.633, che fu registr.. nel Quintern. 89, al f. 155, secondo quanto è riferito in relazione allegata al Cedol. 81, f. 313t. VITALIANO DE RlSO, Nobile di Catanzaro, acquistò il feudo Botricello per vendita fattagli, per la somma di D. 5316, da Ippolita Grimaldi predetta, sua suocera, con R. Assenso dello dicembre 1662, registro nel Quintern. 117, al f. 97t. Sì intestò per tal causa il 5 maggio 1664 nel Cedo 81, al f. 313t. N. a Catanzaro il 18.2.1611 da Agostino (n. 1582) e da Caterina Mele; sp . .la detta Antonia Piterà; e morì ivi 23 maggio 1671. Due dei suoi figli, Alfonso c Girolamo, furono Cav. Gerosolornitani (1665), e il loro processo contiene le prove genealogicbe e nobiliari della famiglia a partire da Enrico. primo stipite, vivente 13 L5. ANGELO DE RISO il 20 febbraio 1673 ebbe Sign. di Rilev. per il fendo di Botricello come erede e per la. morte: del fu bar. Vitaliano predetto, suo padre (Reg. Sign. 73, f. 139). Non si intestò. N. 29.3.1638, sp. Caterina Carafa, erede di Gerolamo; morì in Catanzaro il 20 marzo 1678. 54 VITALIANO DE RISO il 20 febbraio 1680 ebbe Sign. di Rilev. per il feudo di Botricello, come erede e per la morte del fu bar. Angelo predetto, suo padre (Rcg. Sign. 78, f. 1). Non si intestò. N. il 20.10.1672, sp. M. Anna de Paredes y Benavides, figlia del Mastro di Campo Emanuele, castellano di Cotrone, la quale morì in Catanz. il 18.8.1710 (Dario Mojo, p. 6). ANGELO DE RISO ebbe refutato il feudo Botricello dal bar. Vitaliano suo padre, con R. Assenso 11 dicembre 1719, secondo quanto si ha dal Cedol. 83, f. 498, ove egli si intestò per la causa predetta il 10 giugno 1720. N. il 7.1.1701, mori improle in Catanz. 22 agosto 1720. EMANUELE DE RISO il 12 agosto 1721 si intestò del feudo Botricello come erede per la morte del fu Angelo predetto, suo fratello; e ciò nel Cedol. 83, al C 520. N. 7.10.1702, ricoprì in patria vane cariche pubbliche: tra cui quella di Sindaco dei Nobili (1742-43 e 1763-64); ospitò nel palazzo in Catanzaro il Re Carlo III di Borbone (6-9 febbraio l735). Sp, (1724) Prudenza Grimaldi. . VITALIANO DE RISO il 10 gennaio 1775 ebbe l’ultima intestazione del feudo Botricello col casale omonimo, come erede e per la morte del fu bar. Emanuele predetto, suo padre, deceduto in Catanzaro il 24 ottobre l 774; e ciò nel CedoI. 86, ai f. 136t. Fu il 10 Marchese di Botricello per privilegio di Re Ferdinando IV di Borbone del 24 giugno 1797 (conferm. 5.8.1797), come dal Cedol. suddetto. Sp. Ippolita Marincola, Il figlio ultrogenito Antonio, da cui discende un ramo tuttora fiorente e successibile a detto titolo, fu padre di Bernardo (n. 1827 + 1900), Vescovo di Catanzaro dal 1883. Le sue figlie Eleonora e Gaetana sposarono rispettivamente Francesco Lucifero march, di Aprigliano, e Luigi Sanseverino 13° Barone di Marcellinara (v.). GIROLAMO DE RISO, 2° Marchese di Botricello, successe come primogenito al padre nelle prerogative nobiliari della sua famiglia e nel possesso dei beniburgensatici dell’ex feudo di Botricello. N. 1755, mori 1836. Sp. (1772) Margherita del conte Gaetano Anguissola. 55 SAVERIO DE RISO fu il 3° March, di Botricello per successione paterna. Sp. Rosa Arcieri, figlia di Antonio Sav., bar. di Sant’Anastasia o Banclino VITALIANO DE RISO, 4° March. di Botricello, successe nel tit. al predetto rnarch, Saverio, suo padre. N. 1814; m, il 26 gennaio 1879. Sp. (1637) Maria della stessa fam. de Riso, da. cui ebbe anche I’ultrogeniro Riccardo, padre di Renato e questi padre di Riccardo e Domenico (in Eleco Ufficiale Nobiltà Italiana). GIROLAMO DE RISO, primogenito del precedente, gli successe come 5° Marcb. di Botricello (v. L’Araldo, 1893, p. 200). N. Catanz, 1839; sp. (Napoli 1867) Adele Berlingieri dei march, di Valleperrotta (+ 1898). VITALIANO DE RISO, 6° Marchese di Botricello, successe al predetto march. Girolamo, suo padre. N. Napoli 1871; sp. Francesca Mottola di Amate. Non si conosce la sua eventuale discendenza. 56 ALBERO GENEALOGICO DE RISO (v.). 57 Il Marchese Ubaldo Tancredi deRiso (deceduto nel 1966) La marchesina Caterina deRiso deceduta per malaria all’età di 15 anni Zona Ionica - Coltivazione De Riso - 1953 58 IL SENATORE TANCREDI DERISO (Da Internet) I Senatori dell’Italia Liberale Dal 01/04/1848 al 07/02/1861 de Riso Tancredi Data di nascita:13/12/1813 Luogo di nascita: Catanzaro Data del decesso:19/06/1890 a Catanzaro Patrizio di Catanzaro - Nobile dei marchesi di Botricello Vicepresidente dell’Accademia di scienze e lettere di Catanzaro Membro della Società siciliana per la storia patria Il marchese Tancredi de Riso, senatore fino dal 20 gennaio 1861, è morto iermattina. Il mesto annunzio, partecipatomi dal Prefetto di Catanzaro, ove il defunto nacque il 1813 e morì, io vi comunico, signori Senatori, col rammarico stesso col quale vado certo voi lo accoglierete. Imperocché il senatore de Riso, oltre alla nobiltà del nome, alla ricchezza del censo, ad egregie doti di mente e di animo ricordasse in quest’Assemblea una famiglia cara alla libertà, ai Calabresi carissima. (Bene). 59 Di essa il forte Eugenio che, deputato nel 1848, protestò il 15 maggio ed a rischio della vita sollevò in armi contro il re spergiuro la provincia natale; a cui, reduce dal bando, scherno di fortuna, mutò il lieto giorno del riscatto nel lugubre della morte. Di essa Ippolito che, giovanissimo, per la libertà, conobbe anch’egli l’esilio, e della gratitudine popolare ebbe segno nel mandato di rappresentante al Parlamento italiano. Ultimo vissuto dei tre fratelli il compianto collega dal Governo nazionale, rimuneratore delle patriottiche benemerenze, noverato fra i primi senatori del nuovo Regno italiano; e che generoso, caritatevole, religiosissimo lascia ricordo nel cuore dei suoi, nella memoria dei concittadini. (Approvazioni). CRISPI, presidente del Consiglio, ministro dell’interno. Domando la parola. PRESIDENTE.Ha facoltà di parlare l’onorevole presidente del Consiglio CRISPI, presidente del Consiglio, ministro dell’interno. Il Governo si associa alle lodi meritatamente tributate dal nostro onorevolissimo presidente alla memoria del senatore de Riso. Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 20 giugno 1890. 60 I D’AQUINO E LA VENDITA DI BOTRICELLO (da Brutium) In «Un episodio del 1848 a Belcastro» (Brutium, XXIX, 3-4) scrivevo che il foglio manoscritto che conteneva il racconto dell’episodio «al retro della parte superiore reca evidenti i segni dell’incollatura su una pergamena che non si sa dove sia andata a finire». Ora la ventura ha voluto che quella pergamena rivenisse alla luce in più copie (1). Parendomi di avere allora contratto un obbligo con chi leggeva, a quell’obbligo qui si assolve, dopo aver premesso: Il nome del Galzano è in altre copie scritto Galzerano, e il Landolfo d’Aquino, primo feudatario di Belcastro è colui che secondo alcuni scrittori«generò in detta Città. Tommaso d’Aquino l’a. 1224» (2). Ed ecco la trascrizione nella traduzione dal latino: «In nomine Domini, Amen. - L’anno della Natività 1220 addì 23 settembre nel Castello di Geniocastro, il giorno 9 dell’Indizione. Costituiti in nostra presenza Aldenfonso Galzano nobile di questa città di Geniocastro agente una parte, e l’Eccellentissimo Signore D. Fabio Caracciolo nobile napolitano, Auremonte Teodora moglie di Landolfo d’Aquino come Governatore e Procuratore di Landolfo, mandato fino a determinato tempo con ogni facoltà di agire temporalmente e reggere in tute le cose per parte del medesimo Landolfo conte di questo Stato di Geniocastro esigere ed amministrare i redditi e altre cose che di diritto spettano al detto Stato agente dall’altra parte. Adelfonso Galzerano alla nostra presenza e dei testimoni infrascritti asserì di avere, tenere e possedere un fondo chiamato Borricello che ebbe per successione da suo padre, sito nello Stato di Geniocastro limitante col feudo di Botro di pertinenza del detto Stato di Geniocastro della parte a monte con il lido del mare dall’altra parte, e dalla terza parte col feudo di Magliacane e un altro confine. E per alcune sue necessità stabilì e determinò di vendere il medesimo fondo e alienarlo se alcuno avesse voluto. E avuta contrattazione con de Caracciolo, quale agente e procuratore di Landolfo, liberamente si offrì di averlo e riceverlo per parte di Landolfo, e convennero e stabilirono tra di loro il prezzo e il 61 valore di detto feudo, per mille e undici (illeggibile) che il de Caracciolo dai redditi dello Stato di Geniocastro e da parte di Landolfo sborsò, diede, numerò e consegnò al detto de Galzano il prezzo del feudo Borricello, che da Galzarano alla nostra presenza notari e testimoni imborsò e gettò nella borsa con dichiarazione di niente pretendere di altro come prezzo della vendita fatta al detto de Caracciolo per parte di Landolfo, che da oggi entro nel feudo di Aquino e lo possiede da ora e per sempre come capo assoluto e nel suo integro stato come cosa propria. e per causa della presente vendita passa in pieno dominio al predetto Landolfo ai suoi eredi e successori ad avere possedere col detto diritto costituito, e lo costituì volendolo tenere per diritto e per legge. Per l’osservanza di tutte queste cose da ambo le parti, egli stesso come a ciascuna parte spetta ed appartiene e non altrimenti in altro modo. Per i testimoni Guglielmo Faragonio, Stefano Grandello, Cesare Guglielmino, Albello Pagano, Ottavio Auromonte, Bartolo de Flavio, Silvio Morelli ed io Filippo Silvano notari scrissi e sottoscrissi di mia propria mano perchè pregato e col mio solito sigillo ho segnato in calce. Filippo Silvano Notari di Geniocastro ho estratto la presente copia da un suo proprio originale che si trova presso di me, richiesta dall’Ill.mo Signore Tommaso d’Aquino conte di questa città, colla quale fatto confronto concorda salva sempre migliore revisione. Scrissi e sottoscrissi di mia mano ed ho segnato col mio sigillo. In fede. Dato a Bellicastro il 10 del mese Aprile 1401. Luigi di Castellana Notaio di Belcastro». (Gustavo Valente ) NOTE (l) Di altra mano, le pergamene recano: «Copia lstrumento di compra-vendita del feudo di Botricello 1220 tra Alfonso Ga1zerano e D. Fabio Caracciolo. Tale feudo fu venduto da Tommaso d’Aquino ai Sig de Riso di Catanzaro circa il 1400. Essa copia esistente presso di me can. Giuseppe Ferrari Poerio per avermela data il can. D. Michele Coco, nel 1848, qual cappellano di Botricello, pervenuta allo stesso dai detti Signori de Riso.Anch’esse furono rinvenute in casa del fu Alberto Carcea, cui pervennero dalla moglie, una Ferrari di Belcastro. All’amico Bebè Carcea rinnovo per iscritto altro particolare ringraziamento per avermene consentita gentilmente la consultazione. (2) Così scrive Domenico Martire: Calabria Sacra e Profana, parte ms. in Archivio di Stato di Cosenza voce Belcastro. Ma è molto nota la controversia in proposito. Mi è caro rinnovare i migliori ringraziamenti al Dott. Vincenzo Maria Egidi, Direttore dell’Archivio predetto, per le cortesie particolari che mi usa in occasione di ricerche. 62 UN EPISODIO DEL 1848 A BELCASTRO (Brutium - da Ivan Ciacci) Alcuni anni addietro, da un amico originario di Belcastro, ebbi fatto omaggio di un rarissimo opuscolo di documenti, pubblicati per provare che S. Tommaso d’Aquino aveva avuto i natali nella antica e nobile cittadina calabrese (1), e di un foglio manoscritto che al retro della parte superiore reca evidenti i segni dell’incollatura su una pergamena che non si sa dove sia andata a finire. Mi proponevo di utilizzarne il contenuto in uno scritto da dedicare alla storia di Belcastro, ma essendo ciò per ora impossibile, ne anticipo la pubblicazione nel testo integrale: «Con tutta brevità, è duopo (sic) far conoscere, come attrovasi in mio potere la sopra detta copia. In gennaio del 1848, Ferdinando II di f. m., diede la costituzione. Il popolo ignorante, specie quelli del volgo, si credè poter fare e disfare a suo talento, niente conoscendo il vero significato di essa. Il notaio Sig. Falese, uomo rivoluzionario quel Cancelliere Comunale, fece conoscere al popolo, vantare sui beni del Capitolo, e quelli Baronali, il quarto in proprietà da dividersi tra esso. Il 8 maggio detto anno, al far del giorno, si vidde nella piazza riunito il suddetto armato di scoppio, di bajonette, pistole, accette, bastoni e zappe con delle grida tumultuose dicendo, si vada a prender possesso, il galantomismo alla testa e preti. In fatti, si presentaro per primo dove il Giudice supplente D. Gennaro Gimigliano, da D. Pasqualino Dr. Cirillo - Da D. Raffaele Tallarico - da D. Giuseppe Gualtieri - dall’Arciprete D. Domenico Borelli - da D. Francesco tesoriere Nicoletti - e dove me ancora; sicchè alla testa di circa 200 persone,ci convenne seguirlo, onde evitare qualche male maggiore poteva avvenire. Partiti che fummo, pel primo incominciarono a zappare nei fondi del Capitolo, e quindi di mano in mano scendendo, si giunse al fondo di Botro e Botricello, e proseguendo ancora a quelli di Seminario. Rimpatriati che fummo stanchi ed avviliti per la campestre processione fatta, il giorno seguente 9 maggio, il Can. D.Michele Coco, antico Cappellano dacchè era semplice Sacerdote del Feudo Botricello e tutto della famiglia dei signori deRiso, fece al popolo un aspro rimprovero del 63 modo sconsigliato, niente sapendo che il feudo di Botricello fu acquistato da de Riso fin dal 1400 circa, venduto da un certo Tommaso d’Aquino, pervenuto a questo, giusta compra fatta dai suoi antenati da un certo Galzerano, come da una copia ch’è presso di me datami dai deRiso per semplicemente leggerla, e farla vedere al Sig. D.Gennaro Gimigliano, versatissimo su cose antiche, ed in carta pergamena. Saputo ciò, gliela chiesi per leggerla ed estrarne copia, ma come chè in quel tempo era neofito nel leggere carte antiche, la conservai con delle altre mie. Avvenuta dopo poco la morte del Coco, così rimase presso di me, ed ecco la ragione il come trovasi in mio potere. Belcastro 8 dicembre 1903. Can.co Giuseppe Ferrari Poerio. (Gustavo Valente) NOTE (I) Ringrazio ancora l’amico Alberto Garcea, che mi fece il doppio dono. li volumetto è dovuto al Can. D. Giuseppe Sollini: Suo luogo dove nacque S. Tommaso d’Aquino, Fermo, Tip. Enrico Mucci, 1902. Quanto al contenuto di tale umetto, si fanno delle fondate riserve. 64 UN EROICO EPISODIO DEL RISORGIMENTO Si trascrive fedelmente ciò che si legge da pagina 140 a pagina 142 di un vecchio libro. Omissis Il generale borbonico Lanza, truce e diffidente, procedendo oltre per raggiungere Busacca a Castrovillari, sgominava altri insorti, e faceva arrestare e fucilare i valorosi giovani Francesco Tocci, Domenico Chiodi e Vincenzo Mauro, per essersi rifiutati di gradare viva il Re. A Morano, passava anche per le armi tali Cirane, padre e figlio, sotto il barbaro pretesto di avere chiuso la loro bottega durante il passaggio dei borbonici. E ciò allo scopo di provenire ed evitare qualche saccheggio, che le truppe, con insolito vandalismo, andavano facendo. I volontari siciliani del Ribotti, si incontrarono a Cosenza; ma ritenendosi colà mal sicuri, deliberarono di portarsi in provincia di Catanzaro. Percorsero la strada consolare fino a Rogliano, dove seppero con sorpresa e dolore, la disfatta dell’Angitola e la capitolazione di tutti quei combattenti. Nonostante ciò procedettero oltre. Giunti a Tiriolo, presero posto sulle alture dominanti le strade che allora congiungevano Cosenza, Catanzaro e Reggio, vi si fortificarono e mandarono a Nicastro il maggiore Mileti, in compagnia dei volontari Castagnola e Mirando, per invitare il generale Stocco a riprendere l’offensiva.Ma costoro non raggiunsero lo scopo, perché il vicario vescovile, aveva già fatto firmare i patti della resa, in cui però,non erano stati compresi i Siciliani, i quali stremati di forze e di viveri, abbandonarono Tiriolo e si diressero a Catanzaro, posciacchè il capitano Le piane ed il loro capo Ribotti, giudicarono impossibile la resistenza di un solo pugno di eroi, contro le immense truppe regie, agguerrite e disciplinate. Respinti colà dai reazionari, cercarono rifugio nel mare, imbarcandosi su due navi mercantili. Ma vennero inseguiti, per ordine del Nunziante, da Vincenzo Salazar capitano della fregata Stromboli. Costui li raggiunse a Corfù, e per trarli in inganno, issò bandiera inglese; sicchè avvicinatosi impunemente ai due legni, li catturò e li trasse a rimorchio fino a Reggio. Colà vennero consegnati al commissario borbonico, e trat65 ti in dura prigionia; 30 dei più cospicui, vennero spediti a Napoli, per essere ivi giudicati. Malgrado le rimostranze dell’Inghilterra, per questa cattura che violava il diritto internazionale, essendo fatta in territorio neutro, compreso nel raggio dei suoi dominii, la causa di quegli sventurati fu trattata con massimo rigore, e portò la condanna dei giudicabili alla pena di morte, che venne poi commutata in tetra e squallida prigionia. Alcuni serrati nella rocca di Gaeta, ne uscirono quando Francesco II diede la costituzione, e presero la via dell’esilio. Il Comitato promotore, rimasto solo e senza appoggi, perseguitato dalle squadriglie regie, per via dei boschi, si ridusse, la sera dell’8 luglio 1848 a Botricello Ionico, vasta tenuta del marchese DeRiso, nelle persone di Ricciardi Mauro, Lupinacci, Federici, Nicotera, fratelli Mugolino, DeRiso, Miceli, Susanna, Vacatello, Sarda, Le piane, Mele, Caruso e Lamacchia. Nunziante, altero e burbanzoso, per la dispersione degli insorti, entrava a Catanzaro festeggiato dai partigiani del Borbone e con pubblico editto roboante di frasi altezzose e magniloquenti, assumesa il governo della Caloria. Poscia unitosi alle milizie del Busacca, che per la strada del litorale ionico, avevano avuto ordine di recarsi a Reggio, spronò il generale Filangieri di passare, con nuove truppe, alla conquista della Sicilia. In tal modo spegnevasi la rivoluzione del 1848, che nata sotto validi auspici, si riprometteva,in modo sicuro, il conseguimento della libertà; ma abbandonata dalle province che le avevano promesso valido aiuto, e dilaniata dalla discordia dei capi, s’infranse senza utili risultati. 66 I BARONI DE GRAZIA Nobile famiglia di origine calabrese, residenti anche a Napoli e a Roma; già investita il 27 giugno 1625 della baronia di Montespinello, in persona del capostipite Giovan Vincenzo, ebbe poi il titolo di barone con assenso regio il 27 marzo 1778. La famiglia deGrazia fu investita della baronia di Fangella, priv. 26 giugno 1778 e, nel 1795, fu aggregata alla nobiltà di Taverna. I deGrazia vivevano prima a Crucoli, poi a Strongoli. Agli inizi del settecento don Giovanni Filippo deGrazia si trasferì a Mesoraca e, prima di morire nel 1768, per disposizione testamentaria, chiamata Fidecommesso, lasciò tutta la proprietà al primogenito Marco e dispose che anche dopo la morte di Marco la proprietà della famiglia passasse al primogenito. Marco ebbe quattro figli, Filippo, Vincenzo (il filosofo, di cui diremo in seguito), Domenico e Carmine. Infatti alla morte di Marco avvenuta nel 1795, il primogenito Filippo divenne erede universale dell’ingente patrimonio, tra cui un imponente palazzo in piazza. In epoca imprecisata i deGrazia si trasferirono a Cropani e Botricello, conducendo direttamente le proprie aziende agricole. Attualmente i deGrazia sono rappresentati dalle famiglie del barone 67 Vincenzo, agricoltore e noto scultore, e del barone Giuseppe, geologo, che si dedica principalmente alla conduzione dell’azienda agricola. BARONE VINCENZO DEGRAZIA Alcuni anni fa, il Comune di Botricello intitolò una strada a Vincenzo deGrazia, uno degli uomini più ricordati a Mesoraca. Figlio di Marco e Laura Brondolillo era nato a Mesoraca il 19/2/1785. Uomo di lettere e studioso di filosofia, frequentò la scuola della Reale Accademia militare dedicandosi all’approfondimento degli studi di matematica ed acquisì anche la qualifica di ingegnere. Nel 1821 gli fu affidata la costruzione del ponte sul fiume Crati e, stabilitosi a Catanzaro, nel 1832 ebbe l’incarico di dirigere la costruzione del teatro cittadino. La sua principale attività, però, furono gli studi filosofici con la pubblicazione di diversi saggi. Nel 1848 venne eletto deputato del Parlamento Napolitano per la provincia di Catanzaro, con 5103 voti, terzo tra i nove deputati della circoscrizione. Il deGrazia però non era appassionato dalla politica, perchè attratto dai suoi studi. E’ da annoverarsi tra i critici originali ed attenti della filosofia kantiana mediata dalla interpretazione che ne aveva data il filosofo calabrese Pasquale Galluppi. Vincenzo deGrazia, prima di morire nel 1856, trascorreva molto del suo tempo a Napoli, dove il Galluppi teneva la cattedra di filosofia all’Università. 68 CAPITOLO TERZO Civiltà contadina anni 40/50 ECONOMIA BOTRICELLESE Fino agli anni 40/50 abitare a Botricello significava sentirsi in un’era quasi medioevale, per usi, costumi, folklore, credenze, modo di vivere, metodi lavorativi. A quell’epoca Botricello era un piccolo borgo con meno di 3.000 anime, frazione del Comune di Andali, paesino della presila catanzarese. I giovani (in maggioranza) camminavano scalzi. Per le previsioni metereologiche si guardava la luna e si studiavano le stelle. Erano tempi in cui non esisteva nè la rete fognante e nè quella idrica; ci si dissetava con l’acqua del fiume Crocchio, ove le donne si recavano per fare il bucato. Soltanto da pochi anni le case ed il centro abitato erano illuminati dall’energia elettrica. Le vie cittadine erano sterrate e d’inverno, per la pioggia, diventavano impraticabili; per poterle attraversare si ricorreva a passerelle improvvisate, formate da grossi sassi posti a distanza di 50/60 centimetri: un paesaggio da film western. Per come descritto nel capitolo “Piano orientamento ATA”, l’economia era a carattere prettamente agricolo. e gli abitanti, quasi nella totalità, erano dediti ai lavori dei campi. In agricoltura si utilizzavano ancora metodi tradizionale (la mietitrebbia era di là da venire); l’asino, ora quasi sconosciuto dai più giovani, era considerato una “vettura”. La Scuola Superiore rappresentava un privilegio di pochi e la Elementare era ancora quella descritta dal DeAmicis nel libro “Cuore”. Si viveva un’era in cui la vita non era frenetica, l’amicizia era più sincera ed il focolare rappresentava il luogo sacro della famiglia. I nati prima degli anni quaranta (la mia generazione), in un certo senso possiamo considerarci fortunati per avere vissuto due epoche: i tempi antichi e quelli moderni. 71 72 73 L’ABITAZIONE La casa, di pietra e calce e con il tetto di tegole, era spesso formata da un grande monolocale ed accoglieva l’intera famiglia il cui numero raramente era inferiore alle sei unità. Ai genitori si dava del “voi”. Il capo famiglia era indiscutibilmente il padre, da rispettare ed ascoltare; la madre, venerata da tutta la famiglia, rappresentava l’angelo della casa, della quale ne aveva il governo. Agli occhi dei figli, la mamma veniva vista come la figura mirabilmente descritta dalla meravigliosa poesia “Se fossi pittore” di E. DeAmicis: “Non sempre il tempo la beltà cancella o la sfioran le lacrime e gli affanni:mia madre ha sessant’anni e più la guardo e più mi sembra bella” . Spesso, se non dimoravano in una casa propria, convivevano anche i nonni, che erano trattati con il massimo rispetto, quasi dei numi tutelari, per un naturale sentimento di filiale devozione. A nessuno, nemmeno lontanamente sfiorava l’idea di “parcheggiarli” in qualche “ospizio”. Pochi erano i fabbricati con più vani o a due piani fuori terra e rare le abitazioni che davanti l’uscio disponevano di un cortile “u vagghiu”. Le pareti delle case, all’esterno erano lasciate rustiche, all’interno erano intonacate e, una volta all’anno, venivano imbiancate con calce viva, poichè il fumo del focolare le anneriva. Il soffitto “andito” o “chiancatu” era fatto di tavole inchiodate alle travi e costituiva un capace ripostiglio. Il pavimento generalmente veniva cementato o costruito con mattoni di creta “cotti”. Nelle case ad un solo ambiente, il letto matrimoniale era disposto in modo tale che le persone non dormissero stesi con i piedi in direzione della porta, perchè considerato di cattivo augurio; infatti i morti vengono portati via con i piedi in avanti. Sotto il materasso, di lana o di crino, c’era “u saccuna” (il saccone), ripieno di paglia, o di foglie di granturco “ ‘ndiano”. Intorno alle altre pareti venivano situati i letti dei figli più grandi, mentre, i piccoli dormivano con i genitori. Se lo spazio non era sufficiente per altri letti, si dormiva nello stesso giaciglio, testa e piedi. La culla per il neonato era “a naca”, formata da un sacco di tela; si trattava di un’amaca rudimentale appesa alle travi del soffitto. A destra ed a sinistra della testa del letto, stavano le “colonnette” 74 (comodini).Vi erano inoltre una grande cassa (casciuna) ed il comò. Altri mobili erano “a buffetta”, il tavolo con le sedie, “a cristallera”, la vetrina contenente servizi di tazze, di piatti, di bicchieri e altri oggetti. Alla parete venivano appese immagini sacre. La porta d’ingresso durante il giorno rimaneva sempre aperta, perché c’era un’anti porta di tavole, “a porteda” alta circa 130 cm. La maggior parte delle case fino agli anni quaranta erano sprovviste dei servizi igienici, per la mancanza dell’acqua corrente e della rete fognante. Per soddisfare i bisogni fisiologici si utilizzavano gli orinali (i rinali), di metallo oppure di creta. Essi, una volta riempiti, venivano vuotati, al buio, la sera tardi, nella vicina campagna, o molto spesso, “il contenuto” veniva letteralmente schizzato da sopra “a porteda” sulla strada, con spiacevole e sgradita sorpresa, per i malcapitati viandanti che, ritrovandosi casualmente nel posto sbagliato e nel momento sbagliato, subivano una maleodorante doccia fredda. In ogni casa, però, c’era sempre una sedia nuova e impagliata, che veniva riservata, esclusivamente, per gli ospiti di riguardo, quali: il prete, il medico, o la levatrice. Presente anche “u vacila”, che in occasione di visite mediche veniva preventivamente pulito accuratamente affinché “u dottora”, dopo la visita, si potesse lavare le mani. IL LAVABO (dal Museo del dialetto di Dasà) 75 Dietro l’uscio veniva riposta la scopa, la zappa ad altri attrezzi leggeri di lavoro. “U focularu” (caminetto), era immancabile perchè centro e cuore della famiglia, così come sempre presente era il braciere. Su di essi vi era sempre ‘na pignata (la pignatta), usata per cuocere i fagioli, altri legumi e per riscaldare l’acqua. In alto, c’era “a percia” formata da uno o due pali di legno, lunghi circa tre metri, per appendere la provvista del maiale: salsicce e soppressate; era collocata sempre in prossimità del caminetto, affinché i salumi fossero curati dal calore e dal fumo. Il maiale veniva cresciuto in un porcile,spesso adiacente all’abitazione. Il pane, preparato in casa e portato per la cottura al forno a legna, veniva conservato sulla “cannizza”, costruita con tavole e canne. Tra vicini e parenti si scambiava “u levatu” (lievito, pasta madre). Preparazione impasto per il pane 76 Il Forno a legna “Cannizza” e “percia”, al pari della naca, venivano appese al soffitto, sia per una migliore conservazione degli alimenti che per proteggerli dall’avidità dei topi. L’alimentazione era prevalentemente costituita da pasta fatta in casa, con patate o con legumi (ceci, fave, fagioli), formaggio, cipolle e prodotti derivati dall’uccisione del maiale. Soltanto in occasione delle feste importanti (Natale, pasqua,santo patrono) si acquistava la carne alla macelleria e come primo piatto si preparava l’immancabile “pasta chiina”. Il grasso, che serviva per il condimento dei cibi, veniva conservato in recipienti di creta “salaturi”, posti dentro stipi incavati nei muri oppure in qualche cascia,assieme ad altri generi alimentari. La provvista del maiale Il maiale, con lo “scifo” (truocolo) sempre pieno, veniva allevato con verdure, crusca, favino, brodaglia (grodata),fichi verdi e secchi, zucche, ecc. La sua uccisione, in passato, era preceduta da una lunga preparazione per il sale, le “lancede”, i coltelli da “ammolare”. L’evento costituiva una vera e propria cerimonia per la grande atmosfera familiare che si veniva a creare, per i bambini una festa e per gli adulti l’occasione di grandi 77 cenoni con parenti ed amici. Una festa che durava parecchi giorni: il primo giorno si mangiavano carni fritte e arrostite; il secondo si faceva il grasso, e nei dì seguenti, si mangiavano i “lumbuni”(gli ossi cotti) e i frittuli (pezzi di lardo, cotti, con la cotenna annessa). Tra i parenti o gli amici più intimi ci si scambiava “u dazzu” (un pezzo di lonza “logna”, di fegato col chippu, di pancetta e una frittola). La macellazione del maiale viene fatta, tuttora, secondo tecniche e modi che si tramandano da secoli. 78 NATALITÀ Le donne, fino agli anni 40, partorivano in casa propria con l’aiuto di una donna esperta, chiamata “mammana”; detta figura, successivamente, con il sopraggiungere dell’ostetrica, sparì. Molti erano i pronostici per indovinare il sesso del nascituro. La pratica più comune era quella di osservare la forma del ventre: maschio se prominente, femmina se arrotondata. Si poneva molto attenzione alla “gulia”, cioè ai desideri gastronomici della futura mamma. Si aveva la convinzione che se la donna incinta non veniva appagata, il figlio rischiava di nascere con delle macchie, dette “gulie”, sulla stessa parte del corpo che la madre si era toccata al momento del desiderio non soddisfatto. Gulia, perchè il feto è “corpus unum cum matre continuum” e perciò atto a subire le impressioni materne. Il colore delle gulie variava a seconda dei desideri della partoriente, ad esempio, roseo se voglia di fragole, nero se voglia di uva nera. Al primo nato si dava il nome del nonno paterno e al secondo quello del nonno materno. Se femmine, allo stesso modo, ricevevano il nome delle nonne. La prima prendeva il nome della nonna paterna; la seconda quello della materna. Ma se erano di sesso diverso, i primi due prendevano i nomi dei nonni paterni, e poi, se venivano alla luce altri figli, venivano nomati quelli materni. Quando i nomi dei nonni erano stati rinnovati, si passa ai nomi degli zii. Il neonato, un tempo, veniva avvolto per alcuni mesi nelle fasce con le braccia dentro, fino a quando le osssicine del neonato non erano “ngumate” (calcificate). Per i primi giorni il bimbo veniva nutrito “cu pupuna de zuccaru”, preparato con un pezzetto di garza o di tela fine, legato a mò di sacchetto e con dentro un pò di zucchero. U pupuna veniva inumidito e fatto succhiare per nutrire il neonato fino a quando il latte materno si era liberato de “la culostra”. Il giorno del battesimo, che veniva fatto nei primi quattro mesi di vita, il bimbo veniva portato in chiesa dalla madrina (a cummara), in quanto allora la mamma e il papà, secondo l’usanza, rimanevano, solitamente, a casa e non partecipavano alla cerimonia. Al battesimo venivano invitati parenti ed amici. Immancabile era la presenza della levatrice o della mammana. 79 GIOCHI DEI BIMBI Riporto, dopo averli adattati al dialetto botricellese, alcuni giochi dei bimbi che, nel libro “Tradizione in Calabria”, la professoressa Concetta Basile divide in giochi di puerizia, di fanciullezza e di giovinezza. GIOCHI DI PUERIZIA La madre, con il solo movimento delle mani e carezze amorevoli, entrava in simbiosi con il pargoletto sussurando dolcemente alcune strofette, quali: Misci misci ngnau a gatta si maritau ficia i zzippuledi a mmia non mi ndunau m isci misci ngnau. . . . Dicendo la strofetta, prendeva le mani del bimbo e con esse accarezzava una volta il suo viso, una volta quello del bimbo stesso. Jettala a mare ca su pigghia u piscicane u piscicana si nde jiu pigghialu pigghialu a Gori meu. Prendendo la punta di ogni ditino la mamma diceva la filastrocca che divertiva tanto il piccolo, il quale con gioia aspettava che lei arrivasse al mignolo per sentire il suo nome: Chissu cerca pane (pollice), Chissu dice ca no ndavimu (indice), Chissu jamu e nda pighiamu (medio), Chissu jamu e da rrobamu (anulare), E chissu ... Piripirillu, piripirillu (mignolo), jivi a la casa pemmu vaiu u nda pigliu a la via du casciuna, m’affruntau ‘na monacheda chi si chiamava Carmeleda. Quando pioveva i bimbi si divertivano dietro i vetri della finestra ripetendo così: 80 Chiova, chiova, chiova, e a gatta si frija l’ova chiova, chiova, chiova. Annunziando la campana il mezzogiorno, i bimbi uniti cantano: Menzi jornu menzi jornu tavula attornu passa la vecchia e dice bon jornu. Menzi jornu menzi jornu tavula attornu missa cantata, tavula armata Per liberarsi dal singhiozzo i bimbi ripetevano per tre volte: Singhiuzzu cundutu, va a lu core e papà, si mi vo bene su tena, si no’ mu vota. GLI SPAURACCHI Per impaurire i bambini quando facevano i capricci le mamme ricorrevano agli spauracchi. Lo spauracchio più noto era “u lupu pampinu”, che dovrebbe equivalere al lupo mannaro GIOCHI DI FANCIULLEZZA Il bambino dopo aver lasciato i giochi con la madre, giocava da solo o con i coetanei, a la ruga. I giochi principali: Il gioco del nascondiglio, (comunissimo in tutta Italia) U jocu da crapa Tingo e tingone si ssi bella e si ssi bona, si ssi bella e maritata, quantu corni tena a crapa? E ssi due dicivi megghiu saria e mmo ca no dicisti quantu su chissi? Questo gioco si eseguiva così: Si sedeva un ragazzo su un gradino della propria casa e faceva poggiare sulle sue ginocchia la testa di un altro ragazzo sulle cui spalle batteva col pugno chiuso dicendo la prima parte del gioco. Se il ragazzo che aveva la testa curva non indovinava il numero delle 81 dita, il primo dava botte più forti e pronunciava la seconda parte del gioco; la tiritera continuava finché non indovinava. A pizzi ndanguli I fanciulli mettevano il dorso delle mani sulle ginocchia di chi teneva il gioco; questi cominciava a dare pizzicotti sulle giunture principali delle dita successivamente dicendo la seguente cantilena: Pizzi pizzi ndanguli a la porta di sant’Angeli, sant’Angeli e’ ll’abitinu a la porta e’ Catarina, Catarina frije l’ova a la porta e don Nicola, don Nicola dice a missa e cu quattru piribbissi. jivi a la fera m’accattu buttuni e mi dezaru tri zappuni, tri zappuni e nna patata nesci tu ………………..(segue il nome del compagno di gioco) Il fanciullo sulla cui mano finiva la cantilena veniva mandato via e il gioco continuava con gli altri e con l’ultimo cominciava il chiasso. IL TEMPO Le previsioni del tempo si desumevano da alcuni fattori, quali ad esempio: l’improvviso levarsi del vento, la nuvolosità, il chiarore del cielo, l’apparire dell’arcobaleno, la densità delle stelle, l’alone della luna, il volo a bassa quota degli uccelli, specie delle rondini; il gatto che si lava la faccia, il canto del gallo fuori orario: “Quandu ‘a luna hava ‘a rota(alone) piccula, è signu ca chjova; quand ‘hava a rota randa, è signu ‘e ventu; quandu non ‘hava nenta, . è signu e bonutempu”. 82 Le nubi a pecorelle indicano pioggia: “celu a pecorella, pioggia a catinella” Oppure: “quandu u tempu è da marina, pigghia a pignata e vai e cucina; quandu u tempu è da muntagna pigghia a zappa e vai in campagna” ancora “Si chjova ‘u quattru aprilanti,’ Chiovirà pè iorni quaranta. (Se piove il quattro aprile, pioverà per quaranta giorni) “Quando chjova d’ ‘a levantina, o simana o quindicina”. La pioggia, sicuramente, sarà duratura se arriva da levante: Nella mezzanotte dell’Epifania, tra il 5 e il 6 gennaio, osservando la provenienza e la direzione dei venti, si traevano le previsioni sui raccolti del nuovo anno. “Se tira la tramontana, l’annata sarà copiosa. Se soffia il levante, più che discreta. Se spira il ponente, mediocre. Se spira lo scirocco,pessima”. Inoltre il 5 gennaio è: A SIRA E’ L’ABBUTTU A Cropani. a Sersale e a Botricello “l’abbuttu” era (ed è tutt’ora) la sera del 5 gennaio. Ecco qui l’elenco delle portate del catanzarese: Vermiceddi cu l’alici Vrocculi affumicati (broccoli in tegame) 83 Vrocculi caddiati cu limuna Baccalà cu l’olivi Baccalà frijutu Cavuli juri nzalata Cavuli juri frijuti Capituni in umidu Capituni frijuti Crispeddi e’ zzippuli (frittura di pasta fermentata con dentro alici) Cucuzza e’ virnu frijuta I frutti (finocchi, arance, mandarini, castagne, ecc.) Turruncini e turriuni. Come si vede ben tredici portate senza il minimo segno di carne! Una curiosa strofetta dialettale (furbizia contadina): Caru cumpara, si voi u t’imbitu (Caro compare, se vuoi che io t’inviti) porta a carna, ca eu mentu u spitu (porta la carne che io metto lo spiedo) porta u pana, ca u meu è mucatu (porta il pane che il mio è avariato) porta u vinu ca u meu è acitu (porta il vino che il mio è aceto) caru cumpara domana t’imbito (caro compare domani t’invito) 84 L’ATTIVITÀ AGRICOLA Tutti i componenti della famiglia, ragazzi compresi, venivano impegnati nel lavoro dei campi. Occorreva arare, zappare, seminare, eseguire il lavoro richiesto per il maggese, ripulire il seminato dalle erbacce, raccogliere le olive, mietere il grano, e trasportarlo sull’aia, fare la trebbiatura, e tante altre cose. Il maggese (majisa), è noto sin dal tempo dei Greci e dei Romani, come pratica colturale per ripristinare la fertilità del terreno. Consisteva nell’arare il terreno margiu (non dissodato) con una coppia di buoi aggiogati al juvu (giogo doppio di garrese) tramite la pajura (soggolo di cuoio): con le corde paricchiare l’aratore guidava gli animali e di tanto in tanto li sollecitava col pungolo (chioviddu). L’aratura profonda estiva è detta rottura ed è, anche se con macchinari più moderni, ancora effettuata col monovomere, segue la dubratura col polivomere e poi la ‘nterzatura superficiale o ripassu e l’erpicatura. La pratica si ripeteva pressoché invariata dal tempo di Virgilio (Bucoliche) e addirittura di Omero, che nell’Iliade, scriveva: - “maggese... tre volte dal vomere la piaga avea sentito” e successivamente confermava nell’Odissea: “E nel maggese, che il pesante aratro tre volte aperto avea”. La semina, invece, si effettuava dopo le piogge autunnali (grano duro, grano tenero, orzo, avena); fave, favette e ceci, si semineranno più tardi, per essere raccolti a giugno/luglio, sistemati a cavagghiuni (mucchio), prima d’essere ‘ncarrati alla piséra, per la battitura col forcone o col cavallo da pisa, e la vagliatura a ventilazione. Nel Piano degli Orientamento, redatto dai tecnici ATA Oliveti e Benincasa,viene descritto con dovizia di particolari, quale era la struttura del sistema agricolo locale. A Botricello, prima dell’avvento dell’Opera Valorizzazione Sila, tranne alcune eccezioni, non esisteva la proprietà terriera dei contadini. Gli operatori agricoli dell’epoca, un ordinamento quasi feudale, potrebbero classificarsi nelle seguenti categorie: a) Grandi proprietari o latifondisti (Zinzi, DeGrazia, DeRiso, Colucci, Bruni alias Ferrofino); b) Piccoli proprietari (associazione combattenti e alcuni privati cittadini): c) Grandi affittuari (tipo Gallucci); d) piccoli affittuari, che si subaffittavano da 85 quets’ultimi da una tomolata a 2 o 3 ettari di terreno. Inoltre c’erano: a) i pregugghiari, così chiamati perché, proprietari di buoi e di carro, lavoravano per conto terzi; si possono paragonare ai moderni padroncini. I “pregugghiari” coltivavano direttamente pochi ettari di terra, loro assegnata dai grandi proprietari; b) i caparrati, contadini che s’impegnavano a lavorare un intero anno alle dipendenze dei grandi proprietari o affittuari e per tale impegno avevano diritto ad una tomolata di terra (un terzo di ettaro), da coltivare per loro conto. Il “caparrato” di regola dormiva presso l’azienda del “padrone” e durante la trebbiatura, nell’aia. Il caposquadra dei “caparrati” e degli altri “zappatori avventizi” era chiamato “massaro”. Con l’avvento dell’Opera Sila, anche i botricellesi, con l’assegnazione delle terre, sono diventati proprietari e piccoli imprenditori agricoli. Fino agli anni ‘60, le colture più largamente praticate erano: frumento, granturco, sulla, fave, favino ceci, orzo e avena; per un certo periodo, anche linosa “a linusa”. Oltre agli animali domestici, il gatto ed il cane, tenevano galli e galline ed allevavano il maiale. La chioccia con un nugolo di pulcini variopinti al seguito, passeggiava nei pressi dell’abitazione, sulla strada sterrata, in tutta sicurezza data la quasi assoluta mancanza di auto o camion. Le mandrie di bovini “i vaccarizzi”, erano possedute soltanto dei grandi proprietari terrieri. I buoi o le vacche (un paio), che alcuni piccoli coltivatori diretti si potevano permettere venivano usati come mezzi di lavoro. Essi dovevano tirare l’aratro, il carro e gli altri attrezzi agricoli. Il contadino che coltivava la terra con la zappa era chiamato zzappatura (zappatore). All’alba, posto pane e companatico in un capace tovagliolo “sarviettu” e presa la vozza per l’acqua, partiva per il suo lavoro con la zappa in spalla, o a cavalcioni dell’asino, se posseduto. La figura dello zappatore oggi è scomparsa. Gli zappatori “venivano presi alla giornata” dai proprietari terrieri. 86 PRODUZIONE DEL GRANO (mietitura e trebbiatura) Nei mesi di giugno/luglio il paese accoglieva una miriade di braccianti agricoli “mietitori”, che per la loro abilità possiamo annoverare tra i moderni operai specializzati. Provenivano da diversi comuni, in prevalenza da Filadelfia, Vallefiorita e Stalettì, e dormivano presso la “casa del mietitore”, costruita durante il fascismo; successivamente, quando questa aveva smesso di essere utilizzata come tale, anche all’addiaccio, considerato il clima caldo della stagione estiva. Magliacane, Santamaria, Crima, Marina di Bruni, Macchione, erano le località più conosciute dai mietitori, per i terreni che all’epoca erano seminati a grano dai botricellesi. Per svolgere il loro lavoro i mietitori impugnavano la falce “u faggiunedu”, tenevano i polsi guarniti di puzzali (bracciali di cuoio) e proteggevano le dita, per prevenire gli infortuni, con cilindretti di canne chiamati cannedi. Portavano in testa la caratteristica “paglietta” (un cappello di paglia a larghe falde), e davanti al petto, “a ventrera” una pelle di pecora. 87 Appena falciato, il grano veniva composto in piccoli mazzi di spighe, chiamati jermiti, e ragruppati in gregni (covoni), dopo essere stati legati con un mazzetto di spighe (a ligara). I covoni composti in cuvedi “cavagghjuni”, venivano ‘ncarrati, caricati sui carri, trasportati sull’aia (all’aria), un grande spiazzo appositamente preparato, e ‘ntimognati, cioè ammucchiati per formare le biche. Spesso veniva consentito ai mietitori o alle loro donne di poter spigolare tra le stoppie. Recandosi al lavoro, le donne, accendevano con i loro canti il giorno. “... levati bella mia, ch’è fattu iornu Cà lu troppu dormira ti fa dannu…” Non tutti i contadini, naturalmente, ricorrevano alle prestazioni di mietitori avventizi. Il datore di lavoro forniva ai mietitori il vitto, pane, formaggio e “salato”, per “morzedare”; pasta corta (cannarozzi) con ceci o fagioli o patate e vino, per cenare la sera alla fine della giornata di lavoro. Guardare i mietitori all’opera sembrava di rivivere le scene splendidamente descritte nell’Iliade di Omero nella III zona dello scudo di Achille: Ivi, le destre d’acuta falce armati, i segatori mietean le spighe; e le recise manne altre in terra cadean tra solco e solco, altri con vinchi le venia stringendo tre legator da tergo. Carri trainati da buoi “podolici” 88 Trebbiatura: raccolta della “fusca” (pula) Terminata la mietitura e completata la costruzione delle biche, cominciava “a pisatura”, detta poi, con l’avvento della trebbiatrice, “trebbiatura”. La pisatura veniva fatta sull’aia e con i buoi, al cui giogo veniva legata una pietra che, strisciando sulle messi, spulacchiava il prodotto, calpestato anche dagli animali. Successivamente il raccolto veniva ventato, prima con i tridenti e poi con la pala, perchè fosse pulito dalle pagliuzze e dalla pula. Poi il grano, passato al gramoniu, vaglio col fondo bucherellato, fatto di pelle, o di landia (latta), veniva misurato con la menzalora (mezzo tomolo), insaccato e trasportato in paese, alla propria abitazione o direttamente dal commerciante. La pisatura con i buoi, prima dell’avvento della trebbiatrice, durava parecchi giorni. La trebbia faceva il giro delle aie; terminatane una, si recava presso l’altra. Il lavoro doveva scorrere veloce per cui una o più persone salivano sulle biche e buttavano giù i covoni su un carro, che veniva accostato alla trebbiatrice per essere su di essa collocati. Un altro lavoratore, con una falce, tagliava i ligari, e “u civatura” (un macchinista) prendeva, a manate, le spighe sciolte e le inseriva nella bocca della macchina. Questo tipo di trebbiatrice, successivamente, fu sostituito da un altro con l’elevatore, che portava, direttamente, i covoni, da terra, o dalle biche dimezzate, nella bocca della macchina, e così venne eliminato il carro. 89 Il grano prodotto veniva immesso in sacchi di lino “di casa” dalla capacità di 130/140 kg, caricato sui carri e venduto ai commercianti locali (Pasquale Camastra e Simone Puccio) o all’ammasso presso il Consorzio Agrario. La trebbiatura conservava i caratteri della festa collettiva: si mangiava tutti sull’aia, nella grossa limba di terracotta e si beveva qualche bicchiere di vino. Nell’occasione i rappresentanti del comitato della festa padronale si premuravano di raccogliere le donazioni di grano. Attualmente, con le tecniche moderne, ai mietitori, ai legatori e a tutto l’altro personale, si sono sostituite le mietitrici e mietitrebbiatrici, ragion per cui, oggi, quel mondo è soltanto un lontano ricordo. Trebbiatura oggi 90 LAVORAZIONE DEL LINO La coltivazione del lino fu praticata diffusamente su tutto il territorio del marchesato fin dai tempi antichi. All’inizio del Settecento, in territorio di Isola esisteva un luogo detto la “linata di Santa Barbara”, dove veniva portato il lino, dopo che era stato “scippato”. All’inizio dell’Ottocento il viaggiatore Craufurd Tait Ramage notava, guadando presso la foce del fiume Tacina, che nel fiume “scorreva una considerevole quantità di acqua”. Aggiungeva: “fui sorpreso di trovare un gruppo abbastanza numeroso di donne, e, non vedendo nessun paese nelle vicinanze, chiesi da dove venivano. Mi indicarono un paese su nelle colline distante circa otto chilometri. Stavano candeggiando del lino e sembravano allegrissime quando io giunsi in mezzo a loro” (dal sito Archivio storico Crotone). A Botricello, negli anni quaranta, la produzione del lino era caratteristica ed intensa. Poco prima della semina del grano, tra gli ultimi giorni di ottobre e i primi di novembre, si seminava ‘a linusa (la linosa). A maggio, quando assumeva un colore aureo e perdeva le foglie, il lino veniva sradicato e, se necessario, disteso per terra (ampratu), sciolto, per 2 o 3 giorni perchè si ammarezzasse “essiccasse”.Veniva quindi formato in manni, in mazzi, disposti con le cime in alto e a cerchio. Dieci manni formavano ‘na rota (una ruota): componevano cioè un cerchio. Cinquanta mànni formavano ‘nu fasciu (un fascio) . Quando era completamente essiccato, veniva ‘ntimognatu e, successivamente, (dopo la mietitura del grano), veniva scucuzzatu: battuto alla cima, su un telo, con una mazza di legno, per togliere i semi (linusa) che, raccolti e puliti, servivano per la semina successiva o inviati al torchio per spremere l’olio da usare come medicamento o per l’alimentazione. Fatto questo lavoro, a volte veniva portato nelle gambitte dei terreni, ma quasi sempre al fiume Crocchio o al Tacina, immerso nell’acqua e tenuto dentro per tre giorni e tre notti, sotto delle pietre, poste di sopra per evitare che la corrente lo portasse via; pietre che con frasche ben sistemate, formavano un argine; da ciò il posto in cui il lino veniva collocato prendeva il nome di “gurna”, di pozza. Da una poesia dell’avvocato e poeta Giuseppe Casalinuovo: 91 (La gora) Ed ora che tutto è falciato il campo ed il lino già indora, i grandi covoni affasciato lo tuffan nell’umida gora. Il freddo torrente, da lato fluendo, lo immolla e lo irrora, ed esso, nel fondo pozzato che pute, ogni dì discolora. Domani, dal bagno ritolto, più forte più dolce e più biondo, al sol tornerà ridisciolto. La mattina del quarto giorno veniva tirato fuori dall’acqua e fatto asciugare; il resto della lavorazione del lino era compito delle donne. Asciugato completamente, si componeva a mannelli; venti mannelli formavano una ligata; appiattito con una mazza di legno su una pietra piana veniva battuto paru paru, per tutta la sua lunghezza, lasciato riposare per alcuni giorni, indi caddijatu (seccato al sole). Il lino quando ‘ncastagnava, quando diventava duro, disseccato, era pronto per la manganatura, cioè per essere passato “a lu manganu” (alla gramola). Manganatura La manganatura richiedeva molta fatica e metodo in quanto bisognava far sì che gli steli del lino si aprissero e si amalgamassero insieme, formando una massa uniforme. Per questo motivo, in passato, questo lavoro veniva effettuato nel tardo pomeriggio dopo aver lasciato i fasci stesi al sole per tutta la giornata. A Botricello la manganatura, per evitare la calura estiva, si svolgeva di notte, maggiormente sul terreno Colucci (Rione Nuovo), allora aperta campagna, oppure alla località “Gabelluzzi” o al Fondaco. Mi ricorda Rocco Ieraci che presso la locanda di suo zio Renato Altilia, per tutto il periodo della manganatura alloggiavano, provenienti da Nicastro, i cosiddetti “linnazzari”, persone che dovevano acquistare i residuati della manganatura “a linazza”. Da una poesia dell’avvocato e poeta Giuseppe Casalinuovo: “I mangani pestan le bionde ancor troppo rude mannelle, che poi mano a mano più monde si fanno e più lisce e più snelle. La breve corteccia che squama sfarfalla e s’ammassa, ed il fuso può presto filare la trama”. 92 Manganatura Dalla conocchia al fuso Durante la manganatura, che veniva effettuata da mano d’opera femminile in un carosello di canzoni dialettali, si registravano diverse “fuiitine”, perché era l’unico periodo in cui i genitori rallentavano (spesso volutamente) “la sorveglianza” delle figlie. La mattina dopo si assisteva alla immancabile sceneggiata napoletana dei familiari; dopo apparenti ed accese liti verbali, intervenivano i “pacieri” che riuscivano a far raggiungere un accordo onorevole sulla dote e sul matrimonio riparatore. Dopo il mangano, il lino veniva pettinato al cardo (assi di legno dai quali spuntano parecchi chiodi) per eliminare gli eventuali scarti. Per la prima cardatura veniva usato un pettine con chiodi radi, per la seconda con chiodi fitti. Con questa operazione si separava la stoppa dal capecchio: ‘a stuppa da linizza, usata per accendere il fuoco, mentre la stoppa, passata al cardo più fitto, veniva selezionata in due parti. La prima, quella fine, serviva per fare tele pregiate: tele miste a cotone. La seconda, quella grezza, veniva invece adoperata per fare asali (sacchi, aprime, saladde,ecc.). 93 Dopo la cardatura c’era la filatura, fatta a mano, con fuso e conocchia, indi si passava all’aspo per fare la matassa. Questa veniva poi fatta bollire per ammorbidire, sbiancare e assottigliare il filo. Alla filatura seguiva la tessitura che si effettuava intrecciando i fili di ordito e quelli di trama su un telaio a pedali. Botricello non disponeva di telai o di donne tessitrici, pertanto, ci si rivolgeva a Cropani o a Sersale, ove tale attività era molto ben praticata. La lavorazione continuava anche dopo la tessitura. Dal lino, anche se ormai “un’arte” artigianalmente poco esercitata, si realizzano i tessuti (coperte, tovaglie, asali e tappeti), che in passato comprendevano anche tele per la confezione di lenzuola, camicie, mutande, sottovesti e “vancali”. Dai semi di lino si ricavano olio di lino, antiruggine di lino, il miele di lino ed altro. Parlando della lavorazione del lino, che era lunga e molto faticosa, le donne la definivano una vera e propria pena: la pena del lino: ‘a pena d’u linu Si ti cuntu ‘a pena du linu, canta ‘u gadu e si fa ‘u matinu. (Se ti racconto la pena del lino, canta il gallo e annuncia il mattino). Cardo TELAIO A MANO (dal museo del dialetto di Dasà) 94 DONNA CHE LAVORA CON ARCOLAIO (dal museo del dialetto di Dasà) Molto utile per descrivere il ciclo della produzione del grano e della lavorazione del lino mi è stato il libro su cultura e civiltà contadina di Giuseppe Greco. Le foto, di Peppi Giogà, sono state tratte da internet, dal blogs tradizioni e cultura “La lavorazione del lino al mangano e al cardo”. Il Linificio di Botricello (anni 50/60) 95 “A FILANDA” Mi informa il barone Giuseppe de Grazia che negli anni dell’immediato dopoguerra suo padre Mario Filippo, deceduto nel 1990, aveva promosso e sviluppato nel comprensorio (Botricello, Cropani, Sellia Marina, Belcastro), la coltivazione del lino; in seguito si dedicò alla stigliatura meccanica dello stesso (separazione della fibra dalla parte legnosa). Negli anni 50, per la filatura del lino e della canapa, aveva realizzato a Cropani Marina, località Rocca, uno stabilimento, “Linificio & Canapificio Meridionale (a Filanda)”, che oltre alla qualità del prodotto finito, aveva dato un prezioso impulso occupazionale. Era meta obbligata delle mamme di Botricello e dei comuni viciniori per l’acquisto di stoffe varie e pregiati tessuti, necessari per la preparazione del corredo alle figlie. Lo stabilimento produceva anche il famoso spago per le mietilegatrici, con l’esclusiva per la Federazione dei Consorzi Agrari. Con lo sviluppo delle varie fibre sintetiche (nylon ecc.), quelle vegetali subirono una pesante crisi, per cui lo stabilimento chiuse i battenti. (foto fornite dai baroni Giuseppe e Vincenzo deGrazia) 96 97 CAPITOLO QUARTO Piano Orientamenti A.T.A. STRALCIO DEL PIANO ORIENTAMENTI ATA (1964) La Dott.ssa Angiolina Oliveti ed il Pr. Ag. Giuseppe Benincasa, nel programmare un Piano Pluriennale del Nucleo di Assistenza Tecnica agli Agricoltori di Botricello, hanno redatto nel 1964 un meticoloso ed organico lavoro sull’ambiente fisico e socio-economico, clima, terreni e servizi esistenti, con dati puntuali, tabelle, descrizione dei problemi, obiettivi, soluzioni, interventi prioritari e tempi d’attuazione del programma. Le motivazioni sono racchiuse nel seguente periodo che ci sembra giusto riportare nella sua interezza. “Il sentire la necessità di vedere come ha avuto origine, come ha vissuto e come vive la Comunità in cui si opera, va guardato come lo stesso legittimo desiderio di chi, anche senza essere uno specialista, indaghi sulle vicende della propria famiglia, più o meno conscio di ricercarvi se stesso, più o meno consapevole di farlo per il desiderio di migliorarsi”. Il lavoro, racchiuso in un tomo dattiloscritto, per i suoi contenuti, per la sua rarità ed in considerazione del periodo in cui è stato redatto, assume valenza storica ed un significato particolare per Botricello e la sua comunità. 101 ORIGINI DI BOTRICELLO E ATTIVITÀ ECONOMICA DELLA ZONA FINO ALL’ULTIMA GUERRA MONDIALE Le difficoltà obiettive per fare un’indagine sulle origini della Comunità di Botricello non sono molte, perchè ci troviamo difronte ad una comunità molto giovane, al contrario che per le altre, nate in tempi spesso lontanissimi. Difatti, la storia di Botricello si può ancora fare in piazza, chiacchierando coi vecchi che stanno seduti a prendere il sole, che, se non l’hanno vissuta loro stessi, l’hanno certamente ascoltata dai padri. Se si osserva la delimitazione del territorio degli altri Comuni che c’interessano, come, del resto, di quasi tutti i nostri comuni, si vede che il loro territorio si estende dall’alto fino al mare e che i centri abitati sono posti nella parte più alta, lontani dal mare, che quasi sempre si scorge dall’abitato.Una siffatta delimitazione, la posizione dei centri abitati, il tipo d’insediamento trovano spiegazione nelle vicende storiche di questa regione; sono i motivi politici, economici, e, non per ultimo, igienici, comuni a molti nostri paesi. Determinate dalle stesse ragioni, condizioni analoghe si riscontravano nel comune di Andali, nel quale sorse, in prossimità del mare, il primo nucleo abitato di Botricello. Ingranditosi e acquistata importanza, la frazione è divenuta comune, staccandosi dal centro principale col territorio più verso il mare e con un’estensione pari al 45% della superficie totale del comune preesistente. Questo, che è avvenuto soltanto nel 1957, spiega perchè Botricello ha una diversa delimitazione territoriale, rispetto agli altri comuni della zona. Fino a questa data Botricello era, dunque, soltanto una frazione di Andali, posta a 18 Km. dal centro principale. Aveva una popolazione di 2935 abitanti su un totale di 4788, il 59% di tutta la popolazione. Già nel 1951 la frazione contava 2532 abitanti. Ma, se si risale ad appena trent’anni addietro, Botricello era una borgata di scarsa importanza, avendo subìto un incremento piuttosto rapido, durante e, soprattutto, dopo l’ultima guerra. Il primo nucleo di case sorse a Botricello Superiore, ad un dislivello di 40 m. dalla zona nella quale oggi si va maggiormente sviluppando l’abitato di Botricello. In quel punto si trovò qualche sorgente d’acqua da bere e, anche senza potersi allontanare molto dalla malaria, a soli 75 metri sul 102 mare fu forse possibile crearsene più che altro un’illusione, e tenersi più stretti, non più per difendersi dai Saraceni, ma, forse, pur sempre per difendersi da qualche disagio, come potrà essere stato quello della solitudine. Si è detto prima che vivono ancora dei testimoni, o i loro figli. Molti raccontano d’essere giunti, verso il 1880-1900 da Stalettì. Su questo paese, che si trova a 390 m. sul mare, a Sud Ovest di Catanzaro Lido, potrà forse interessare qualche notizia storica, che si riporta da una vecchia pubblicazione dell ‘Istituto Tipografico della Scuola Campana: “Stalettì, anticamente Stalattien, si vuole che sia stata fondata da una parte dei profughi della città Lissitania... in seguito alla invasione dei Saraceni. Nel 1500 fu costruita una abbazia basiliana, la quale fu nel 1600 trasformata in parrocchia, il 4 luglio 1821 si sollevò contro il governo borbonico proclamandolo decaduto. Stalettì fu una delle principali sedi della Carboneria...”. E’ gente, insomma che, anche in passato, ha saputo reagire difronte alle calamità e ha dimostrato di avere una libertà di spirito. I primi gruppi vennero per coltivare le terre: sono tutti d’accordo sul motivo che li spinse ad insediarsi nelle campagne di Andali, e, se anche nessuno dice esplicitamente il motivo che li spinse, invece, a lasciare il paese di origine, questo appare evidente. Stalettì offriva...quasi esclusivamente il lavoro richiesto dalla coltura dell’olivo, essendo pochi i terreni seminativi. In quel periodo - si diceva, verso la fine dell’800 - si verificò la crisi dell’olio, che si dovette ripercuotere, evidentemente, sui redditi di tutta la popolazione e, in maniera grave, della popolazione che viveva alla giornata. E’ probabile, dunque, che, proprio in conseguenza della crisi, che mortificò l’olivicoltura di tutto il Paese, alcuni gruppi di Stalettì si mossero in cerca di altre terre e di altro lavoro. A conforto di questa tesi, si riporta quanto si è trovato nell’«Olivicoltura» del Morettini, non importando, naturalmente, che non si riferisca a questa località, sulle vicende dell’olivicoltura in Italia. L’Autore scrive che, nonostante la mancanza di dati attendibili, è possibile «affermare che dal 1859 al ‘70 vi fu «un reale incremento dell’area e del numero degli alberi, favorito dai prezzi remunerativi e dalle scarse infestioni parassitarie. In seguito, specialmente nelle località nelle quali predominava la coltura specializzata, come ad esempio nelle Puglie, nella Calabria e nella Liguria, si determinò una crisi della cultura in conseguenza della contrazione dei prezzi. Difatti, tanto nelle 103 Calabrie, quanto nelle Puglie come nella Sicilia, tra il 1875 e il 1890, molti oliveti furono abbattuti per dare posto alla vite e ad altre colture arboree ed erbacee più redditizie». Continuando a citare il Morettini, si desidera aggiungere ciò che l’Autore dice sulle cause della crisi: “Il deprecato svilimento del prezzo era dovuto a varie cause, ma soprattutto: l ° alla concorrenza degli oli di semi e di altre materie grasse di origine vegetale e animale... 2° alla modificazione dei gusti con la tendenza ad introdurre ed intensificare il consumo del burro; 3° al maggior rendimento di altre colture arboree ed erbacee; 4° all’intensificarsi dei danni prodotti dalla mosca” ecc. Se, dunque, a Stalettì fu risentito - sarebbe improbabile il contrario l’effetto della crisi dell’olio, sembra che il motivo che spinse alcuni gruppi di Stalettì a cercare nuove terre per lavorare, non possa essere stato che questo. E le terre più vicine, che offrissero questa possibilità, erano le grandi proprietà del Marchesato, ad ordinamento cerealicolo-pastorale. Nei pressi di Botricello, si diceva infatti, e precisamente all’altezza di Botricello Superiore, scompaiono gli alberi, fatto che qui ancora oggi, sta ad indicare che ci si addentra nel Marchesato di Crotone, come notoriamente viene detto il territorio tra il fiume Nicà e il Tacina, il corso d’acqua che dista appena qualche chilometro da Botricello. Se si pensa che a quei tempi tutta la zona del Marchesato era la zona maggiormente afflitta dalla malaria, si deve dedurre che la spinta a stabilirvisi, dovette derivare da una necessità urgente, come quella della fame. Si trattò, forse, all’inizio, di un’immigrazione stagionale, come si verificava, fino a qualche anno fa, per la raccolta dei cereali, ed ancor oggi per i lavori di diradamento e di raccolta della barbabietola da zucchero. Attualmente si tratta di gruppi, di donne soprattutto, che vengono da centri ancora più lontani di Stalettì, come Sant’Andrea Jonio, Badolato e San Sostene, che vengono chiamate “Mandredde” (da mandrie?), probabilmente dal loro emigrare e lavorare in gruppo. Comunque sia avvenuto, alcuni si fermarono, abitando in baracche costruite attorno alle masserie, alle dipendenze dei grandi proprietari, a contatto dei fattori, o di grandi affittuario.Tra loro vi fu anche chi, meglio provveduto degli altri, tentò l’avventura del grande affitto, sostituendosi, anche difronte agli altri membri del gruppo, al proprietario, nelle funzioni di imprenditore. In seguito, quando la sua posizione 104 economica fu rafforzata, e, probabilmente, sminuita, non si saprebbe dire per quale ragione, quella del proprietario, egli stesso fu padrone di una vastità di terre, dove i meno provveduti continuarono a svolgere il normale lavoro del bracciante. Tanto per continuare il racconto che si ascolta dai vecchi, di questa vasta proprietà per successive divisioni, per vendite fatte allo scopo di investire capitali in altri settori, e, pare, per opera, come l’Einaudi direbbe, d’un «virgulto bizzarro» ai nipoti è rimasta soltanto una piccola parte. Contemporaneamente, e in seguito, altri si poterono dedicare al grande e medio affitto, alcuni riuscirono ad acquistare qualche «tomolata» di terra da coltivare in proprio, pur continuando l’attività di bracciante, che, come si è detto, costituiva, ed ha costituito fino a tempi relativamente molto recenti, la sola attività della massima parte della popolazione. A conferma di quest’ultima affermazione, valgono i dati del censimento del 1931 ed i dati del Catasto validi per lo stesso periodo: - Ad Andali, su 443 famiglie con capofamiglia addetto alla agricoltura, 305 famiglie avevano il capofamiglia con la qualifica di «giornaliero». A Belcastro, sul cui territorio di marina in grandissima parte si riservava l’attività della popolazione di Botricello, su 306 famiglie con capofamiglia addetto all’agricoltura, 220 avevano il capofamiglia giornaliero. Questa situazione trova un logico riscontro nella distribuzione della proprietà: ad Andali, su 2393 Ha. di proprietà, 1585 Ha. erano raggiunti da 5 proprietà soltanto. A Belcastro, su 4720 Ha. 3456 erano rappresentati da 10 proprietà e 2226 Ha. da sole tre proprietà. Da notare che i dati si riferiscono a tutto il territorio dei due Comuni, inclusa, quindi, la zona alta, lontana dalla attività della popolazione di Botricello, molto più frazionata della zona di «marina»: di conseguenza, nella zona che ci riguarda, l’incidenza della grande proprietà è maggiore di quanto possa apparire dai dati riportati sopra. Questa situazione si riscontra, talvolta con un’incidenza mol,to maggiore della grande proprietà, negli altri comuni del nucleo e, molto probabilmente, doveva essere assai più accentuata in passato. Si era già detto, del resto, di trovarci nella zona del Marchesato, che sostanzialmente, significa latifondo, volendo, con questo, richiamare tutta una molteplicità di condizioni, correlate tra loro, che determinavano la 105 fisionomia dell’agricoltura e, si può dire, di tutto il sistema economico della zona. L’agricoltura era dunque, fondata quasi esclusivamente sulla coltura dei cereali e sull’allevamento brado del bestiame podolico transumante in estate nei pascoli della Sila. Anche quando la coltura del grano ricevette il noto incoraggiamento, il bestiame non perse la sua importanza.Trovando largo posto il riposo pascolativo e la coltura della Sulla, coltivata nella maniera descritta dal marchese Grimaldi, sulle stoppie da incendiare, ed essendo rispettata la macchia vegetante sui terreni più impervi, si riusciva, tra l’altro, a mantenere al terreno un equilibrio di stabilità, difronte agli agenti del dissesto idro-geologico. L’agricoltura era esercitata prevalentemente da un tipo di imprenditore generalmente affittuario di grandi estensioni di terreno in marina e proprietario di terreni in montagna - detto «industriante», che si riforniva di mano d’opera giornaliera dai centri, distanti spesso molti chilometri, dai quali i braccianti viaggiavano ogni giorno o, non potendo, rimanevano alloggiati nella masseria o in baracche costruite nelle vicinanze.Altre volte l’imprenditore era lo stesso proprietario, coadiuvato da un fattore. Altro rapporto tra proprietà e impresa, riscontrabile anche oggi, era una sorta di affitto in natura, conosciuto col nome di «terraggera». S’intende bene che col tipo di economia, di cui si è cercato di dare i lineamenti essenziali, non era richiesto l’investimento di capitali cospicui. I fabbricati erano costituiti essenzialmente dal gruppo della masseria, scomparendo nelle grandi estensioni di terreno. Quelli destinati all’abitazione degli uomini erano relativamente in numero ancora minore degli altri: «In queste condizioni scrive Rossi Doria - che ci fa il contadino in campagna?». Accanto, erano i ricoveri per il bestiame, i cosiddetti «stalloni», tettoie, più spesso in muratura, chiuse ai tre lati, per gli animali bovini, e gli «stazzi» per gli ovini. La mano d’opera era in gran misura retribuita coi prodotti della terra, che rappresentavano la provvista per tutto 1’anno. In natura, come si è detto, era il canone di terraggera. La circolazione di danaro era generalmente scarsissima, realizzandosi soprattutto a fine annata agraria, ad agosto. La fiera di Mulerà, nei pressi i Roccabernarda, la fiera ancora oggi più importante della zona, è fissata, appunto, per i primi tre giorni di settembre. In quell’occasione, infatti, oltre a realizzarsi la vendita e l’acquisto del bestiame, si era provveduta, specie da parte dei salariati «allocati» e dei 106 piccoli proprietari, la maggio parte di danaro liquido che entrava nell’anno e che in quell’occasione occorreva per gli acquisti più vari, dalle casseruole di rame, alle collanine di vetro, agli oggetti di corredo per le figlie da maritare. Come, del resto, è avvenuto fino all’ultima guerra, anche molte attività commerciali, e professionali, avvenivano per scambio di prodotti: si scambiava, ad esempio, il grano con le «pignatte» che giungevano da S. Andrea, e con molti prodotti di altre zone, persino con la teda per accendere il fuoco; in natura si pagava il medico, come il fornitore di generi alimentari e il calzolaio: ad agosto, con grano o legumi, prevalentemente. In tal modo, bastava, dunque, che avesse il «cassone» pieno perchè una famiglia ritenesse d’aver una certa agiatezza. Questa era la situazione di tutti i paesi della zona e, con tutta probabilità, anche di Botricello. Parlare del grado di istruzione delle nostre popolazioni è come dire dell’analfabetismo, quasi totale e generale. Per il periodo immediatamente precedente il 1926, si riporta, dalla citata «Scuola in Calabria», per Botricello e per Andali: «La frazione (Botricello) suddivisa in tre contrade (Botricello Superiore e due contrade a Botricello Inferiore) ha un’unica scuola mista», la 1a-2a-3a classe formata da 35 ragazzi e 24 ragazze, iscritti, ma, molto probabilmente, non frequentanti, non fosse altro che per l’eccessivo numero di scolari per un solo maestro. Ad Andali le classi erano due, anch’esse miste: la 1a-2a con 22 alunni e 22 alunne e 3a-4a con 14 maschi e 9 femmine. Sebbene con una classe soltanto, che, in confronto alle due classi di Andali non certo poco, Botricello incominciava a concorrere col Capoluogo. 107 LO SVILUPPO DELLA FRAZIONE DI BOTRICELLO E DELL’ATTIVITÀ ECONOMICA DELLA ZONA Accennando all’incremento demografico di Botricello, si è già detto che, fino alla prima guerra mondiale, lo sviluppo di questa frazione, nonostante si arricchisse di nuove famiglie provenienti dai centri immediatamente più in alto, come Cropani, Sersale ed altri, non ebbe un grande impulso. Intorno a quel periodo, comunque, si formarono nuovi gruppi che, accanto ai primi, sono quelli da cui derivano i gruppi etnici in cui si può dividere la Comunità. Durante l’ultima guerra, poi, divenuto importante, specialmente per la borsa nera, come centro di rifornimento dei prodotti cerealicoli, Botricello attrasse ancora persone provenienti dalle località più svariate, che, per fame o per cupidigia, affrontavano la malaria, viaggiando o fermandosi, qualche volta per restarvi, nella borgata. La malaria, in sostanza, essendo scomparso l’antico pericolo delle invasioni dal mare, rappresentava l’ostacolo principale allo sviluppo di questo centro, come al sorgere di altri nella zona maggiormente servita da ferrovie e da strade. L’ultima generazione, si deve dire meno nata in epoca felice, tutti ricordano ancora molto bene i disagi dalla malaria; e chi venisse da altre zone, 108 specie in alcuni periodi, sapeva riconoscere senza fatica la gente di marina: erano caratteri distintivi il volto anemico e 1’andatura abulica del malarico, che per molte settimane all’anno, era costretto a letto dai brividi di febbre; l’abbandono dei bambini, la cui nudità mostrava l’addome sproporzionato per l’ingrossamento della milza. A Botricello, poi, la vita era resa più difficile dalla mancanza quasi assoluta di acqua potabile. Le condizioni economiche erano quelle che tutti sanno; la disoccupazione era dappertutto e, anche quando si lavorava, il salario non era sufficiente per soddisfare anche i bisogni materiali più impellenti. Alla fine della guerra, un complesso di acquisizioni nuove, nelle quali, naturalmente, sono in gran parte quelle conseguenti alla guerra stessa, determinò il movimento, meglio conosciuto per i morti di Melissa, ma verificatosi, come si sa, in tutta la zona e quindi anche a Botricello, per 1’occupazione delle terre. Il film di Castellani, «Il Brigante», tanto per citare un tentativo di proporsi artisticamente questo tema, è stato girato, per molte scene di massa, nello stesso Nucleo o al limite, e con la partecipazione di molte persone che avevano effettivamentè preso parte al movimento. Sorsero, come conseguenza, più o meno ovunque intorno al ‘45 molte cooperative per l’occupazione delle terre incolte. Alcune di esse esistono ancora oggi, anche se più di nome che di fatto. A Botricello ne sorserodue: la cooperativa “Libertà; Lavoro” e la cooperativa “Lavoro Patria Combattente” una delle quali conta ancora un certo numero di soci che, in quanto soci, non hanno che l’impegno di versare il canone di affitto a fine d’annata agraria. Gli avvenimenti sono troppo vicini e non troppo obiettivi sono i commenti sulla diversa natura degli ostacoli che si sono opposti a una buona efficienza di queste cooperative, perchè, dopo aver cercato d’indagare sulle sorti di alcune di esse, si possano indicare le cause del loro insuccesso. Fatto sta che, per quanto ci può interessare al fine di formare una coscienza associativa, nei membri delle comunità che c’interessano, le cooperative di cui si parla hanno rappresentato un fatto del tutto negativo. Lo sviluppo di Botricello è dovuto sostanzialmente all’evento che trasformò la vita di tutti i centri malarici: la possibilità d’impiegare il D.D.T. La conseguente scomparsa della malaria, è un fatto di un’importanza tale da non potersi paragonare a nessun altro. L’avvenimento coincise col moltiplicarsi dei mezzi di comunicazione - in 109 quel periodo, infatti, comparvero i primi autopullmann -; sicchè Botricello, che, come si diceva, era favorito dalla ferrovia dello Stato e dalla strada più importante della zona, ricevette una più forte spinta di attrazione specie per alcune attività commerciali. Dai centri pre-silani e da altri centri vicini, giunsero altre famiglie, probabilmente non trovando più una giustificazione valida l’isolamento in cui avevano vissuto fino ad allora, quando, specialmente, non avevano da difendere una posizione economica o sociale legata al luogo di residenza. Un altro motivo di richiamo fu la quotizzazione delle terre espropriate per effetto della Riforma, invitando molti assegnatari di paesi vicini a stabilirsi nell’abitato di Botricello, che si trovava più vicino alle loro quote, e dove, tra l’altro, per i preesistenti vincoli di parentela o di amicizia, meno che altrove, era sentito il distacco dal paese d’origine. Con la legge Sila (12 maggio 1950 n. 230) e con la legge Stralcio, venne, quindi, attuata la Riforma, con la conseguente scomparsa del “fondo lato” e la formazione della proprietà contadina, con la creazione di lavoro per la mano d’opera nella costruzione di strade e nelle opere volte alla conquista di nuove terre da coltivare. Mentre, da una parte, venivano ridotte le dimensioni delle proprietà e delle aziende, veniva cancellata la figura dell’«industriante» di tipo tradizionale, e modificato, quasi generalmente, l’ordinamento cerealicolo-pastorale in un ordinamento cerealicolo, a causa della mancata disponibilità del pascolo della Sila; dall’altra, con l’impiego della mano d’opera giornaliera nei cantieri di lavoro, si determinò una circolazione di danaro che, come si è detto, non v’era mai stata. Quest’ultimo fatto fu di un’importanza tanto rilevante quanto, si suppone, insospettata, sul piano psicologico, forse molto più che sul piano economico. Ricordando quanto fosse scarsa la disponibilità di danaro in passato, non sembra azzardato ritenere che la paga settimanale, o quindicinale, di cui il bracciante veniva improvvisamente a disporre, dovesse essere uno choc. Non si ha la possibilità di dimostrarlo con un’indagine documentata ma si può affermare che la busta paga costituì la molla psicologica che, in seguito, non appena le circostanze lo resero possibile, tenne pronti gli uomini a. lasciare il proprio paese in cerca di lavoro, ormai possibile soltanto nell’Italia Settentrionale o all’estero. Alle porte degli Uffici dell’Ente Sila, oltre ai «giornalieri», si notavano anche contadini che avevano sempre lavorato in proprio e avevano godu110 to di una certa agiatezza. Erano nati nuovi bisogni e, probabilmente in relazione alle condizioni di vita precedenti, quello soprattutto di dimostrare - non importa se acquistando il primo orologio da polso - di sentirsi diversi da prima. Quando nel ‘57 nacque il Comune di Botricello, il tenore di vita era sensibilmente cambiato dappertutto. Disponendo dei dati del ‘51 si può fare il confronto tra la popolazione di Botricello e quella di Andali dal che si rileva che la frazione, con oltre il 58% di abitanti, superava il capoluogo. Interessante appare lo stesso confronto coi dati dei censimenti ‘51 e ‘61, periodo entro il quale si è formato il nuovo comune di Botricello: quest’ultimo, infatti, ha un incremento del 36%, mentre Andali, non solo non aumenta, ma diminuisce del 4,4%. Anche se, per timore di essere troppo superficiali, si voglia supporre che vi siano stati degli errori nella attribuzione con residenza incerta a Botricello, anziché ad Andali, nel ‘61, e viceversa nel’51, non sembra che gli stessi errori potrebbero incidere in maniera così rilevante. Con tutta probabilità, lo spopolamento di Andali è dovuto all’isolamento morale e materiale in cui questo centro è venuto a trovarsi dopo essere stato sopraffatto, definitivamente, dalla frazione. Si confronti, ora, l’incremento di popolazione degli altri centri. Il minimo si osserva a Belcastro, col 5,02%, e Marcedusa, con 7%. Per il primo è ancora probabile l’influepza di Botricello, che, come si disse, si arricchì di famiglie provenienti, in questo periodo, particolarmente da Belcastro ed altri centri vicini. Un altro più importante, motivo, potrà essere stato quello dell’isolamento proprio di alcuni paesi interni, male o malissimo collegati, con meno risorse degli altri e che non offrono altra possibilità che quella dell’emigrazione definitiva. Lo stesso motivo sembra possa spiegare il minimo incremento di Marcedusa. Tenendo, ora, conto dell’incremento degli altri comuni, appare evidente che Botricello, aumentato di 915 unità (si diceva il 36%) è il centro che più di tutti si va affermando. 111 LA COMUNITÀ DI BOTRICELLO NEL 1964 Da quanto si è detto prima sull’origine e sullo sviluppo della Comunità di Botricello, risulta l’estrema eterogeneità dei gruppi che la compongono, per cui si pensa di trovarci difronte a razze ed a culture diverse. Secondo questo concetto, i gruppi più importanti si possono ravvisare in quello proveniente da Stalettì - a cui si avvicinano quelli del litorale jonico a sud dello stretto di çatanzaro - e quelli della pre-Sila e della Sila; vengono dopo, quelli che provengono da altri centri vicini, come Cutro, San Leonardo di Cutro e Isola Capo Rizzuto, ed altri di origine più diversa. I due gruppi più importanti, non essendovi ancora stata - come non poteva esservi - una vera e propria fusione, si possono anche oggi distinguere per i caratteri somatici. Gli originari di Stalettì - i molti Gregorio (o Gregorina), con cui si ripete il nome del patrono, indicano l’attaccamento alla madre patria - hanno generalmente capelli castani ed occhi grigi, carnato chiaro e statura spesso più alta degli altri. Può darsi che questo non abbia alcuna relazione col paese di provenienza, ma che sia dovuto ad una caratteristica propria d’una famiglia originaria: infatti, la grande prevalenza d’un cognome su tutti gli altri, sta a dimostrare i vincoli di parentela esistenti tra i membri di questo gruppo. Ciò nonostante, essendosi le diverse famiglie di derivazione differenziate per posizione economica e sociale, non sembra che le forze centripete che legano i membri, siano tali da farlo considerare un gruppo, nel senso della definizione del Gurvitch (1). In seno ad esso, non sembra, inoltre, di poter distinguere altri sottogruppi fino a quello della famigliaelementare. I caratteri somatici dei pre-silani, più ancora dei silani, sono quelli del tipo bruno, di statura generalmente un pò sotto la media. Vi si potrebbero forse distinguere tanti sotto gruppi quanti sono i paesi d’origine (Sersale, Cropani, Andali, Carlopoli) ma non conoscendo evidenti vincoli che uniscono le diverse famiglie tra loro, è forse preferibile considerarli nel loro complesso per l’affinità etnica e culturale che certamente hanno. Oltre alle differenze che si sono ora messe in rilievo, notevole è la diversità di linguaggio, sebbene quello degli stalettisani e di quelli che provengono da sud di Catanzaro vada soppiantando gli altri. Quella del linguaggio è, inoltre, una caratteristica che nota subito chi, provenendo dal Nord della 112 Calabria fino ai paesi più vicini a Botricello, sia riuscito a cogliere anche soltanto i caratteri essenziali del dialetto. Infatti, improvvisamente, anche subito dopo quindici chilometri di strada, s’incontra l’uso del passato remoto al posto del passato prossimo, la soppressione dell’infinito dopo i verbi di volontà e di desiderio («vorria ‘u vegnu» al posto di «vulerra - o vulissi - venire») riservando l’uso di questo modo soltanto col verbo potere. Nell’insieme, un dialetto più dolce di quello dei paesi immediatamente vicini, Che, secondo l’affermazione del Rorlfs, è proprio della Calabria Ultra e che, in effetti, s’incomincia a notare da Catanzaro in poi. Il primo gruppo di case sorse, com’è stato detto, a Botricello Superiore, sul fianco della collina che sale dalla breve pianura dopo il mare. Il maggior centro abitato si è poi spostato in basso, ai lati della strada nazionale e a fianco alla ferrovia. Tutto ciò che si è fatto negli ultimi tempi riguarda soltanto Botricello Inferiore, distinzione che, a pensare che i due centri sono quasi uniti tra loro, apparentemente non ha alcun significato. Trovando molto facile l’accesso dalla strada nazionale e maggiori possibilità di suolo edificabile, nella pianura è stata costruita la sede del Comune, l’Asilo di Infanzia, l’Edificio Scolastico, la sede della Banca. Una Chiesa moderna, dalla quale un altoparlante diffonde il suono di campane che richiamano la grandezza d’una metropoli, ha preso il posto della vecchia Chiesa di Botricello Superiore. Nel nuovo centro abitano, tra le altre, le persone più agiate e i pochi professionisti. Sul fianco della collina sono rimaste aggrappate, con le loro case, con la Chiesa Madre che ha il tetto cadente e col cimitero, 150 delle 745 famiglie che compongono la Comunità. Una strada d’accesso in pessime condizioni, non invita a salirvi, anche difronte alla promessa d’un magnifico panorama. Quando, com’è previsto, anche il cimitero verrà spostato in basso, oltre a quelli di Botricello Superiore, non vi sarà quasi nessvno che, anche nella mestizia, d’una processione funebre, constati il disagio degli ottocento metri di percorso dal centro principale a quello divenuto secondario. E’ forse naturale che questo sia avvenuto, com’è stato naturale scegliere, dove ce n’era abbastanza, il suolo per edificare. Fatto sta che le famiglie di Botricello Superiore risentono d’un disagio, morale ancora più che materiale, che ha determinato un atteggiamento ed un comportamento comuni, tali che, nella comunità, i gruppi che meglio sono caratterizzati 113 per più forti interrelazioni, sono quelli di Botricello Superiore e quello di Botricello Inferiore. Come si è già accennato, la situazione di Botricello Inferiore è, appunto, molto diversa. La posizione topografica, la distribuzione geometrica dei fabbricati estendentisi prevalentemente in un senso che si riscontra in tutti i centri sorti lungo la stretta fascia costiera, le strade sufficientemente larghe e diritte, sono la caratteristica che maggiormente distingue questo da tutti gli altri centri abitati che c’interessano. In questi ultimi, come si diceva, di origine antica o antichissima, non si è potuto, infatti, cambiare molto. Botricello Superiore ne ripete un poco le caratteristiche: tra l’altro, quella delle case che, addossate come sono, le une alle altre, spesso anche nel senso dell’altezza, favoriscono maggiori relazioni di gruppo, di quanto possa esservi a Botricello Inferiore, dove la trasmissione delle idee, sembra, appunto anche per questo, essere più difficile. Consorzi di Bonifica Raggruppati della Provincia di Catanzaro Nucleo Assistenza Tecnica Agricoltori - Botricello (su Stalettì, vedi apposito paragrafo) 114 Dott.ssa A. Oliveti Pr. Agr. Giuseppe Benincasa EVOLUZIONE DEMOGRAFICA DI BOTRICELLO 115 CAPITOLO QUINTO Anni ruggenti VENTI DI GUERRA Fino al 1943 il paese, anche se in misura non molto intensa e traumatica, subiva il periodo fascista e le paure della II guerra mondiale. Ad alimentare tale paura era soprattutto la presenza del campo d’aviazione militare, per l’incombente pericolo di subire bombardamenti e disastri bellici. Ricordo che, ad ogni rombare di aerei, la gente correva a rintanarsi in alcuni fossati naturali, molto simili a lunghe trincee, nella vicina campagna denominata “chiusa” a ridosso della SS 106, allora completamente inedificata. Periodo Fascista. Durante il ventennio fascista anche a Botricello, sebbene collettività contadina e, certamente, non avvezza alle abitudini militari e dittatoriali, si vivevano momenti di vita mussoliniana. C’era il Federale, Don Eduardo Iannone, che ogni sabato a Botricello Superiore chiamava a raccolta strati diversi di cittadini per le istruzioni premilitari. Umili contadini o pacifici cittadini dovevano indossare la divisa fascista per parate, marce o altro. Gli istruttori erano il sig. Francesco Altilia, padre del futuro primo sindaco di Botricello, ed il sig. Mancuso Domenico (detto Ninno), padre di Totò e Paolino. La S.S. 106, compreso il tratto che attraversa Botricello, è stata bitumata per la prima volta negli anni 1943/44 dall’Impresa Ciarda di Roma 119 I giovani erano divisi a seconda dell’età. I maschi: Figli della Lupa fino ad 8 anni, Balilla 8 - 14 anni, Avanguardisti 14 - 17 anni; le femmine: Figlie della Lupa fino ad 8 anni, Piccole Italiane 8 - 14 anni, Giovani Italiane 14 - 17 anni. La realtà del fascismo si evidenzia molto bene dai registri di classe della Scuola, a partire dall’anno scolastico 1927/28. Innanzitutto tra le materie, insieme alla storia, era prevista la cultura fascista. Detta materia, dai registri delle scuole rurali dell’Opera Balilla, risultava così suddivisa: nella prima classe, nella voce “nozioni varie, conversazione e recitazione”; nella seconda classe, nella voce “lettura espressiva e recitazione, conversazioni di igiene, nozioni varie”; dalla terza classe era abbinata alla storia. In questi registri, nella parte dedicata alle qualifiche degli alunni, per ogni discente erano riportate le generalità, tipo di scuola da cui proveniva, se era ripetente, se era vaccinato; doveva inoltre essere indicato se era balilla o avanguardista (per i maschi), piccola o giovane italiana (per le femmine) il numero della tessera con l’anno dell’era fascista e con quali mezzi era assistito dall’Opera Balilla. Mi racconta Pietro Traversa un episodio significativo del clima che si respirava in quel periodo: “un giorno doveva passare il Duce con il treno perchè diretto a Crotone. Sul piazzale antistante la stazione ferroviaria era stata organizzata una grande parata di cittadini e scolari, tutti vestiti a festa, molti in divisa, con bandierine da sventolare in mano, pronti a tributare onori e grida di giubi- 120 lo a Mussolini. Gli scolari più grandi erano della terza elementare, perchè a quell’epoca la quarta e la quinta classe non erano state istituite. Tutti avevano ricevuto l’ordine di gridare “W il Duce” ed un altro più perentorio di non gridare “acqua”. Infatti, considerato che l’annoso problema di Botricello era la mancanza assoluta di acqua potabile, i cittadini avevano in animo di approfittare della situazione per chiederla ad alta voce al capo del governo. Grido però che, visto il divieto assoluto e la paura di qualche inevitabile ritorsione, rimase in gola agli assetati Botricellesi. L’unica “soddisfazione” dei cittadini fu quella di aver intravisto il Duce su un treno che, pur rallentando la velocità, ha proseguito senza fermarsi verso Crotone. Campo d’aviazione militare Ricorso Rodolfo Bruni contro occupazione terra per campo militare. 121 In seguito al bombardamento e distruzione del campo d’aviazione di Isola Capo Rizzato, veniva allestito nel 1942 un omonimo campo a Botricello, località Marina di Bruni. Quello di Botricello era un campo militare importante; mi informa Pietro Traversa che un giorno ha contato a terra, pronti al decollo per l’azione bellica, oltre trecento Stuka, caccia bombardieri tedeschi. L’aeroporto militare era utilizzato dai tedeschi e dagli italiani, che di comune accordo si erano spartiti l’area di competenza, occupando due zone distinte: i tedeschi, dalla stazione FS verso Catanzaro e gli italiani la restante parte verso Crotone. Nella località “Macchione” i tedeschi detenevano il deposito dei carburanti e delle munizioni, un arsenale all’aperto. Si assisteva diuturnamente al rientro degli aerei che nelle ore notturne erano partiti per missioni di guerra; spesso ne tornava un numero inferiore; sovente con atterraggi di fortuna e a volte con esito tragico. L’8 settembre 1943 il nuovo Capo del Governo Pietro Badoglio leggeva alla radio il famoso proclama per annunciare l’armistizio: «Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La 122 richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza». Ne seguiva una confusione indescrivibile con conseguenze nefaste per la popolazione e per l’esercito italiano. Anche il campo d’aviazione di Botricello veniva smantellato e minato. Lo stoico Battista Subito dopo la guerra, sebbene il campo fosse stato già sminato, nessuno si cimentava a coltivarlo per paura che qualche pericoloso residuo bellico fosse ancora presente. In seguito all’offerta di danaro da parte del proprietario, a chi avesse avuto il coraggio di ararlo con un trattore, accettò la sfida Battista Gullì. In pieno giorno, in un silenzio irreale rotto dal solo rumore del trattore che girava solitario sul terreno, tutti gli abitanti, esterrefatti ed ammutoliti, assistevano dal muretto della stazione, parallelo al campo. Si temeva di vedere saltare in aria il trattore assieme allo stoico Battista, evento che per fortuna non si verificò. Il paese, tra l’altro, era rimasto sconvolto da una grande tragedia avvenuta poco tempo prima, nel settembre del 1943. I due fratellini Marasci, Leonardo e Rosario, rispettivamente di 12 e 7 anni, giocavano sul piccolo ponte all’epoca esistente, a pochi metri dal passaggio a livello F.S. (ora sottopasso). Durante i loro giochi avendo rinvenuto un oggetto, dalle forme simile ad una bottiglia, incominciarono a percuoterlo con un sasso per aprirlo. La mina, tale era purtroppo la strana bottiglia, scoppiò dilaniando i loro corpicini; vittime innocenti di una guerra ingiusta. Sarebbe interessante ricostruire anche il periodo delle due guerre. Personalmente della II guerra mondiale non ricordo niente, perchè in età della prima infanzia. Sono stati certamente momenti difficili sia per la presenza del campo di aviazione militare e sia perchè i generi alimentari venivano razionati. Con tutte le difficoltà esistenti, comunque, nel nostro paese non si soffriva la fame, perchè era considerato il granaio del Capoluogo. Venivano semplici cittadini anche da Reggio C. per acquistare dai nostri contadini grano o ceci, per il fabbisogno familiare. La vendita era vietata e moltissimi compaesani, donne comprese, in seguito ad una retata dei 123 carabinieri, furono addirittura arrestati e trattenuti per diversi giorni. Si ricorda ancora il Brigadiere Passarella, che usava spesso «u nervu»; il fatto fece scalpore perchè si trattava di un «contrabbando» di necessità, cioè di piccolissimi quantitativi ceduti per un atto umanitario e non per speculazione. Botricello, anche se piccolo centro, ha dato comunque il suo tributo di sangue alla Patria. Da una ricerca, effettuata in occasione dell’inaugurazione dei monumento ai caduti, risulta che: a) nella guerra del 15/18 sono morti: Froio Antonio, Gallo Alfredo, Grillone Gregorio, Guarneri Ferdinando, Iannone Gregorio, Iannone Raffaele, Lanzillotti Francesco, Mercurio Giuseppe, Minasi Gregorio, Romeo Francesco, Tallarico Vincenzo, Truglia Gregorio, Vaccaro Gregorio e Voci Antonio; b) nella II guerra mondiale i Caduti sono stati: Camastra Pasquale, Duran Pietro, Gigante Francesco, Grillone Gregorio, Iannone Antonio, Marrerano Luigi, Renda Giovanni e Zumpano Domenico. Festa IV Novembre 124 OCCUPAZIONE DELLE TERRE Arrivavano gli anni di forte tensione sociale, di lotta per la conquista della terra, che seguivano il Decreto Gullo sulla «concessione ai contadini riuniti in cooperative delle terre incolte o insufficientemente coltivate». La ridistribuzione della proprietà fondiaria interessò particolarmente le zone a latifondo classico. Si era tra il 1947 ed il 1950 quando numerosi scontri, tra forza pubblica e contadini, costellarono le campagne di Calabria. Periodo mirabilmente descritto da Augusto Placanica nella sua «Storia della Calabria». Vanno ricordati i morti di Melissa ed il fatto di sangue di Calabricata, contrada di Sellia Marina, con la morte di una dimostrante e numerosi feriti. Il 28 novembre del 1946 una contadina di Calabricata, Giuditta Levato, 31 anni, fu uccisa mentre, assieme ad altri contadini, occupava le terre che erano state loro assegnate dallo Stato (più precisamente dalla Commissione provinciale per le terre incolte). Avvisate del sopraggiungere di una mandria di buoi di proprietà dell’agrario Pietro Mazza sulle terre già seminate dalla cooperativa di Calabricata “le donne del paese accorsero sulle terre per scacciarvi i buoi e salvare le loro semine dalla distruzione”. Dopo gli eccidi di Sellia Marina e di Melissa, il 12 maggio del 1950 fu approvata la legge n°230 di riforma fondiaria in Calabria, che affidava all’Opera Valorizzazione della Sila il compito della trasformazione della proprietà terriera e della sua distribuzione in quote ai contadini poveri e ai reduci di guerra, in Sila e nella fascia jonica contermine. Occupazione delle terre 125 A Botricello, l’occupazione delle terre venne organizzata dalla cooperativa «Patria, Lavoro, Libertà», guidata dal prof. Giuseppe Catrambone e tanti altri nostri compaesani tra cui ricordo Antonio Froio, Luigi Ferro, i fratelli Giovanni e Raffaele Mercurio, Giuseppe Russo, Rocco Scumaci, tutti uomini di sinistra (socialisti e comunisti). Sarebbe interessante ricostruire i tanti episodi vissuti dai nostri concittadini, uomini e donne, che, sventolando bandiere rosse, all’inno dell’omonima canzone e dell’Internazionale socialista, si avviavano a scrivere una delle pagine più belle ed avventurose della nostra giovane Botricello. Giuditta Levato “L’assassinio di Giuditta Levato” del pittore Mike Arruzza Un giorno di tardo mattino Giuditta Levato, già incinta di sette mesi, si recò alle terre che lei e i suoi compaesani avevano coltivato. La Commissione provinciale per le terre incolte glielo aveva permesso. Il decreto dell’allora ministro dell’Agricoltura, Fausto Gullo, voleva abbattere una volta per tutte il latifondo e stabilire l’eguaglianza e il diritto alla terra a tutti i cittadini. Quella mattina, era il 28 novembre 1946, anche l’agrario Pietro Mazza volle esprimere la sua opinione in materia e deci126 se di dare una lezione a quelli che considerava i suoi “usurpatori”. Per mano di un suo servo partì un colpo. Giuditta Levato cadde a terra. Venne trasportata sanguinante fino a casa. E poi in ospedale. In punto di morte dichiarò: “Io sono morta per loro, sono morta per tutti. Ho dato tutto alla nostra causa, per i contadini, per la nostra idea; ho dato me stessa, la mia giovinezza; ho sacrificato la mia felicità di giovane sposa e di giovane mamma. Ai miei figli, essi sono piccoli e non capiscono ancora, dirai che io sono partita per un lungo viaggio ma ritornerò certamente, sicuramente. A mio padre, a mia madre, ai miei fratelli, alle mie sorelle, dirai che non voglio che mi piangano, voglio che combattano, combattano con me, più di me per vendicarmi”. Si rivolgeva al senatore Pasquale Poerio. Questi nei giorni successivi visitò Calabricata di Albi (questa località venne annessa al neo costituito Comune di Sellia Marina solo nel 1956) e pronunciò, in suo onore, un discorso memorabile (da un articolo di Emilio Grimaldi letto su internet). Giuditta Levato era nata il 18 agosto 1915. A 58 anni dalla sua morte l’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea legislativa regionale, nel dicembre 2004, decise di intitolarle l’ex sala consiliare dell’organo regionale. 127 ASSEGNAZIONE DELLE TERRE PER SORTEGGIO IN PROPRIETA’ AGLI AVENTI DIRITTO DA PARTE DELL’OPERA VALORIZZAZIONE SILA Nel maggio 1950, venne varata la legge di riforma che prevedeva l’esproprio e la ripartizione del latifondo, la cui gestione venne affidata all’OVS (Opera per la valorizzazione della Sila), poi diventata E.S.A.C. e successivamente ARSSA. Nel 1954 l’ex O.V.S. procedeva, in un primo tempo, all’assegnazione delle terre in proprietà agli aventi diritto, quali piccoli lavoratori manuali della terra e, successivamente, ai rogiti notarili di trasferimento della proprietà. Dall’elenco degli assegnatari per il Comune di Botricello, allora frazione di Andali, si evince che gli aventi diritto sono stati n. 107 per una superficie di circa Ha 661.30.10. L’elenco contiene nominativi, unità fondiaria, località del fondo e superficie assegnata. Si è trattato di un fatto storico che ha rivoluzionato la proprietà terriera, prima privilegio di pochi, e che ha cambiato la vita ai vecchi e nuovi contadini; tra gli assegnatari infatti figuravano anche artigiani o semplici operai, che tramite l’O.V.S, sono diventati piccoli proprietari. Il sorteggio delle quote, preventivamente determinate e numerate, agli aventi diritto elencati in ordine alfabetico, veniva effettuato per mano di un bambino, alla presenza di un notaio verbalizzante. Alcuni assegnatari si sono considerati poco fortunati dal sorteggio per l’ubicazione del terreno, perché lontano dal centro abitato o in zona collinare o addirittura confinante con l’arenile. Questi ultimi, in particolare, si rammaricavano della vicinanza del mare, in quanto lamentavano di dover coltivare sabbia «rina». (Si era lontani dal boom turistico). Il giorno dell’assegnazione, comunque, per l’importanza dell’avvenimento, è stato un tripudio di popolo, una festa grande per Botricello e per gli altri comuni interessati. Purtroppo, dopo alcuni anni, per varie cause, non ultima l’eccessiva polverizzazione della proprietà, la riforma si è dimostrata un fallimento, con l’abbandono delle terre e l’emigrazione in massa verso le città del Nord Italia ed all’Estero. 128 Documentazione ARSSA di Catanzaro. 129 130 131 132 GLI EROI DEL NOSTRO TEMPO L’emigrazione è stata per il Meridione una grande tragedia umana, una piaga difficile da rimarginare, anche se per l’economia italiana ha rappresentato una valvola di sfogo, un evento altamente positivo. Botricello ha vissuto intensamente tale problema, le forze migliori andate, intere famiglie sradicate; sull’argomento basterebbe leggere i temi dei bambini frequentanti le Elementari per capirne realmente la portata sociale. Moltissimi nostri concittadini hanno conosciuto l’amara via della ricerca di un’occupazione. Nel Nord Italia o all’estero hanno svolto i lavori più duri, più umili e spesso più umilianti, vivendo in ambienti angusti e malsani. Quante volte, nella loro mente, saranno rimbombati i versi del nostro poeta dialettale, Achille Curcio: Casa mia ducia, casa mia luntana duva la mamma e ‘u tata suspiraru e nzema dijunaru sirati ‘e vernu chini ‘e tramontana. Mi torni all’intrasatta nt’ o penzeri e sentu ca mi chiama la campana o casa mia luntana, mò chi caminu ammenzu foresteri. E propria mò chi tegnu chi mangiara vorria mu tornu ammenzu quatru mura, mu sentu ad ogni ura ‘u focu nt’o caminu scattijara. Vorria mu tornu ‘u sentu nt’ a nottata ‘U sgrusciu de nu carru o nu trainu, sonara ‘u matutinu chi rivigghiava ‘a gente addormentata Vorria mu tornu, e cuntu ogni simana chi mi cunzuma chiddhu pocu e bena chi ‘U cora tena penzandu sulu a tia, casa luntana. 133 (mia dolce casa, casetta mia lontana) (dove mia madre e mio padre sospirarono) (ed insieme digiunarono) (nelle serate d’inverno e di tramontana) (Improvvisamente mi ritorni in mente) (e sento che mi chiama il suono della campana) (o casa mia lontana) (ora che vivo fra gente forestiera) (E proprio ora che ho di che mangiare) (vorrei ritornare fra quattro mura) (per sentire ad ogni ora) (lo scoppiettio della legna del camino) (vorrei ritornare per riascoltare nella notte) (il rumore di un carro o di un carretto) (risentire il suono del mattutino) (che risvegliava la gente addormentata) (vorrei ritornare e conto i giorni) (che logorano quel poco di amore) (che il cuore riesce ancora a produrre) (pensando solo a te, casa lontana) Alcuni emigrati sono rientrati ancora giovani ed hanno intrapreso, con successo, delle attività per avere acquisito mentalità imprenditoriale. Molti sono rimasti lontani; altri, dopo 20 o 30 anni, sono rientrati per godersi il paese natio e la famiglia. Conoscono il tedesco, ma riprendono gusto a riparlare il loro dialetto. Purtroppo, non è la stessa cosa. E’ necessario un lungo periodo di riambientamento, perchè la loro mente è localizzata al tempo della partenza. Ritrovano infatti un habitat diverso, un paese cambiato, nuove generazioni a loro sconosciute, molti vecchi amici deceduti. I loro volti sono sereni, ma nei loro occhi si legge il dramma di una vita rubata, di affetti perduti, della famiglia non goduta. Si parla di entrare in Europa, ma la vera Europa, di fatto, l’hanno costruita, a loro spese, i nostri emigrati. Fa rabbia sentire gli sproloqui della Lega Padana, di Bossi, sul Meridione assistito, su un Nord sfruttato. Cosa sarebbe oggi l’Italia se non ci fosse stato il Sud, con il suo popolo, fiero ed orgoglioso, che vi ha sempre contribuito con sudore e sangue? Un 134 popolo che, nonostante tutto, vuole continuare a fare per intero la sua parte per mantenere un’Italia unita ed Europea. Oggi, purtroppo, il flusso migratorio è ripreso; non si tratta di semplici operai, ma soprattutto di diplomati e laureati. Si esporta mano d’opera e cultura. I nostri giovani non tengono più in mano una valigia di cartone, ma un libro; il dramma però è lo stesso, è quello degli emigrati. A loro dobbiamo rispetto e gratitudine, perchè sono loro i veri Eroi del nostro tempo. Evidenzio che lo “Scritto” risale al 1997, ma è attualissimo perché non è cambiato niente. 135 CAPITOLO SESTO Curiosando C’ERA UNA VOLTA ... A BOTRICELLO (fino alla fine degli anni 50) Riporto alcuni «modi di vivere», «fatterelli» e «avvenimenti di vita comune» raccontatimi, con un viaggio nella memoria, dai testimoni del tempo. Mi auguro di suscitare la curiosità e l’interesse dei giovanissimi, affinché li possano approfondire con i loro nonni, andare alla ricerca, e riscoprire così costumi e tradizioni locali. Cuzzupa, mangano, gregni, fedurazzo, iuvu, cannizza, percia, anditu, mitateda ecc. sono vocaboli dialettali che i giovani non conoscono, ma che costituiscono un patrimonio di autentica tradizione popolare e rappresentano la storia delle passate generazioni. D’altra parte tutto il nostro dialetto risente degli influssi delle varie dominazioni che nei secoli si sono succedute nel Meridione e, pertanto, è ricco di termini ereditati da greci, romani, arabi,francesi, spagnoli. Alcuni esempi: ‘nnaca (culla) dal greco “nàke”; geramida (tegola) dal greco “keràmidion”; timogna (cumulo di grano) dal greco “themonia”; tuminu (tomolo) dall’arabo “tumn” e dal latino “tumulus”; tavarca (sponda del letto) dall’arabo “trabak”; racina (uva) dal francese “raisin”; buatta (lattina) dal francese “boite”; servietti (tovagliolo) dal francese “serviettes”; ammolare (arrotare) dallo spagnolo “amular”; ‘ntroppicare (inciampare) dallo spagnolo “trompicar”; tamarru (uomo rozzo) dallo spagnolo “zamarru”; ciceri (ceci) dal latino “cicet”; cerasi (ciliegia) dal greco “kerasos” e dal latino “cerasum”. Termini quasi dimenticati, che si usavano molto fino agli anni cinquanta. 139 Tempi ormai lontani, che i più anziani ricordano ancora con nostalgia, perchè sembra loro di riviverIi, come se fosse «appena ieri». Scene di vita rurale, da «Sabato del villaggio» o della «Quiete dopo la tempesta», le bellissime poesie del Leopardi. Epoca in cui: - nelle sere d’inverno, «u focularu» costituiva la moderna televisione; l’intera famiglia vi si raccoglieva per ascoltare le peripezie vissute dai reduci della I e II guerra mondiale, o dagli emigrati tornati da terre lontane. L’emigrazione dei primi anni del secolo era diretta principalmente verso.le Americhe. Mio padre, infatti, (mi sia consentito citarlo ad esempio) giovanissimo ed in modo avventuroso, partì per gli Stati Uniti, conservando nel cuore: Botricello ed una ragazza, Caterina Grillone. Dopo circa un decennio di duro lavoro, rientrò per intraprendere un’attività commerciale, sposare mia madre e, insieme, inculcare ai figli: onestà ed umiltà. Degli occhi di mia madre, ricordo la dolcezza, nel sorriso di mio padre: la bontà. L’attività commerciale continua ancora con la titolarità di mio fratello Francesco. * I contadini, alle dipendenze delle varie aziende agricole (DeGrazia, DeRiso, Daniele, Bruni-Ferrofino, Traversa, Colucci, Gallucci ecc.) tornati dalla campagna dovevano passare dal «massaru» (fattore) per registrare la giornata: lavorativa sulla «taglia di fedurazzu». * I matrimoni spesso erano facilitati dalla “fuiitina”, dei giovani innamorati, che sovente si verificava durante il periodo della manganatura del lino. Il mangano 140 * La procedura dei matrimoni normali invece era più complessa. L’uomo prima provvedeva ad effettuare «a ‘mbasciata», tramite qualche amico o a «cummara», per conoscere se era gradito; poi faceva chiedere “la mano” dai propri genitori, che nell’occasione concordavano la dote: mio figlio porta questo e questo, e vostra figlia?. Dopo un prestabilito periodo di fidanzamento, (con certi rituali, comportamenti e «distanze» da rispettare), si celebrava il matrimonio, che era stato preceduto dalla promessa e dall’esposizione del corredo nuziale. Il pranzo nuziale si teneva in casa con cibi genuini, tanti panini, vino locale e liquori preparati artigianalmente. Festa grande, quindi, e tanta allegria al suono di valzer, mazurca e tarantella. Gli sposini infine si ritiravano nella loro nuova dimora. Verso la mezzanotte, amici comuni provvedevano alla «serenata», con fisarmonica e chitarra, ed i novelli sposi, con un sorriso “forzato” sulle labbra, aprivano la porta per offrire bevande varie. La sposa usava restare rintanata in casa per una settimana; soltanto la domenica successiva usciva per recarsi in chiesa con il marito, sotto lo sguardo e l’ammirazione di tutto il paese. * Intanto si costituiva la «Carovana» una cooperativa di lavoratori, inizialmente formata da: Carello Gregorio, Carello Antonio, Carello Salva Cardamone Michele, Scervo Domenico, Talarico Vincenzo, Stanizzi, Valea Giovanni, Valea Francesco, Puccio Domenico; successivamente anche da Scervo Pietro, Puccio Gregorio, Scavo Gregorio e tanti altri. Detti lavoratori riuscivano ad insaccare, pesare e caricare sugli autotreni più di mille quintali di grano al giorno. Un lavoro durissimo che richiedeva una grande forza fisica, ma veniva svolto con grande abilità e velocità di esecuzione. * Le donne si recavano a piedi al fiume Crocchio, in testa, sul cercine (curuna) portavano un barile (u varrila) per prendere l’acqua da bere, o la sporta di vimini colma di panni sporchi per il bucato. I panni venivano lavati al fiume con il sapone fatto in casa, battuti su grandi pietre “stricatura” poi accendevano il fuoco sotto la grande marmitta della liscivia («lissia» preventivamente preparata con acqua e cenere) e sistemavano i panni insaponati nella sporta, prima di versarvi “u vucaturu”. L’indomani mattina, all’alba, si faceva il risciacquo dei lisciviati. I panni venivano infine 141 142 stesi per asciugare. Al solo ricordo sembra di rivivere la scena del libro VI dell’Odissea, quando Ulisse, naufrago, incontra la bellissima Nausicaa, figlia di Alcinoo, che su suggerimento della dea Minerva (Atena) si era recata con le sue ancelle per lavare le vesti sulla riva del fiume. Anche l’area, su cui successivamente è sorto l’attuale Rione Nuovo, dopo la mietitura del grano, diventava uno sterminato bianco e candido pubblico “asciugatoio” perché, spesso, le donne usavano stendere sul “restuccio” le lenzuola lavate al Crocchio; ciò fino al 15 agosto, perché dopo tale data si dava fuoco alle stoppie, sia per eliminarle e sia perché le ceneri, secondo una teoria da molti non condivisa, concimavano il terreno. * Il barbiere, il fabbro, il sarto diventavano naturali “circoli ricreativi”. * Si raccontava della latitanza di Angelone da Sersale, e di come, alla notizia che era stato visto aggirarsi nei pressi del Crocchio, un gruppo di volontari, capitanati da Luigi Puccio, Ufficiale di Governo per diversi anni, imbracciati i fucili(scena film western), andarono, infruttuosamente, alla sua ricerca. (A tale proposito vedi il paragrafo “Il bandito Angelone e le sue storie truci” di Marcello Barberio) 143 * Prima degli anni 50, date le piccole dimensioni di Botricello, gli abitanti; (circa 2500) erano tutti legati da vincoli di parentela o da sana amicizia. Appariva naturale, pertanto, praticare scherzi singolari e pittoreschi; il più eclatante fu quello pubblicato, con una vignetta a colori, addirittura dalla Domenica del Corriere con il titolo: «In un paesino della Calabria i DIAVOLI entrano in chiesa». Si trattava di Gullì Gregorio (u giambarona) e Viscomi Raffaele (do rusciu), con la regia del fratello Viscomi Gregorio e di Salvatore Iannone (u vatasarru), allora giovanissimi e simpatici buontemponi. Travestiti da diavoli, con tanto di abito rosso, corna, tridente e catene, hanno fatto irruzione nella chiesa, affollata perchè notte di Carnevale, creando panico generale per il loro abbigliamento ed il grande fragore di catene. * Salvatore Carello invece, nel 1954, avendo ricevuto in assegnazione la quota OVS, si apprestò ad arare il terreno. Durante i lavori rinvenne un grande busto, una statua raffigurante un Santo. Con il busto sulle spalle si avviò verso il paese e, giunto nel centro abitato, sentì gridare al miracolo dalla gente che vedeva questo Santo camminare. Dopo l’iniziale sbigottimento, resisi conto che a camminare non era il Santo, i compaesani (e lo stesso Carello) ugualmente convinti dei poteri miracolosi del ritrovamento, deponevano sulla statua offerte in danaro. Il fatto venne pubblicato in prima pagina sulla Tribuna illustrata. (Il grande busto, pochi giorni dopo, sparì per opera di ignoti). * Altra singolare «avventura» fu quella vissuta da un vicino di casa paterna, Antonio Gatto, che era stato morso da un cane. La notizia venne riferita all’allora Ufficiale di Governo Gregorio Iannone “u pulitu” il quale, convinto si trattasse di un gatto e che il cane avesse la rabbia, pronunciò la fatidica frase: «Non c’è questione, bisogna uccidere il gatto». La suocera di Gatto «a ZI ‘Ntonia», venuta a conoscenza della «sentenza», fece immediatamente nascondere il genero sopra «1’andito» sotto una «coddara». * Erano ancora i tempi in cui alla morte di una persona si usava, a mezzanotte, lasciare la finestra socchiusa e porre sul davanzale del pane ed una bottiglia d’acqua, perchè si era convinti che il defunto dovesse ricevere la 144 visita dei parenti che lo avevano preceduto nell’aldilà. Si usava, altresì, u cùnsulu durante gli otto giorni di lutto stretto; portare cioè roba di generi alimentari (spesso zucchero e caffè). Addirittura, parenti o amici intimi, nei primissimi giorni, preparavano un pranzo completo per la famiglia colpita dal lutto (brodo di pollo, carne, vino e frutta). * Gli esercizi commerciali si contavano sulle dita di una mano e l’arrivo di nuovi prodotti si pubblicizzava facendo «buttare il bando» da ‘Ntoni e Coscimo (Antonio Madonna). Ero bambino, ma mi sembra di vedere ancora la patetica figura di Antonio, molto anziano e quasi cieco, che percorreva l’abitato, si fermava ad ogni incrocio, portava la tromba alla bocca e dopo due o tre squilli, gridava: «attenzione, attenzione, duva Camastra arrivau u ranu cappellu e simenta, e u vinda a semilaliri u quintala». Antonio era amato da tutti perché uomo onesto ed integerrimo, un vero galantuomo. Antonio Madonna Erano tempi difficili di duro lavoro in campagna, ma al rientro dei contadini, il silenzio del tramonto era rotto dal loro vociare e dalla festosa accoglienza dei ragazzi; le «rughe» (rioni) si rianimavano tanto da sembrare abitate da un’unica, grande ed affiatata famiglia. Ricordo i vicini di casa paterna in Via Mazzini: Iannone, Viscomi, Truglia, Puccio, Latassa, Gatto, Catrambone, Muccari, Mancuso, Traversa, Gullà, la sartoria di Gennarino e Brunetto Apicella; si condividevano gioie e dolori, per l’innato senso di solidarietà e sincera amicizia. 145 * Sulla stessa strada, nel 1953, apriva l’ambulatorio medico mio fratello Raffaele. Festa di laurea di Raffaele Camastra 146 Prima di lui, esercitava la professione il dott. Agazio Traversa, trasferitosi poi a Cropani quale medico condotto. * Si organizzavano feste patronali. 147 S. Francesco Madonna di Pompei In quegli anni Botricello era privo di acqua potabile e quando il fiume Crocchio scorreva torbido (turvulu) si raccoglieva e sterilizzava l’acqua piovana. A Soveria Simeri mi hanno raccontato che, in occasione della festa di S. Francesco a Botricello Sup., è stata invitata la loro Banda musicale. Alla richiesta di un bicchiere d’acqua un «musicante» si è sentito rispondere: «ci dispiace, acqua no, però vi possiamo offrire un bel bicchiere di vino». 148 * Pasqua e Natale erano feste attese e molto sentite, anche per i dolci tradizionali: cuzzupa, pittanchiusa, cazzuneddi, pignolata, murunedi, zeppole. Nell’occasione i ragazzi si costruivano, a Pasqua le «troccole», a Natale «a pipitedha», a coronamento della tradizionale «zampogna». La sera del ventiquattro dicembre si accendeva un grande fuoco. La legna veniva raccolta per diversi giorni ed ammassata sul piazzale della chiesa; in quei giorni tutto ciò che era di legno ed incustodito (anche carri), correva il serio pericolo di finire in cenere. Altra data molto attesa è il giorno di S.Giuseppe perché chi ha fatto voto al Santo prepara, per offrirli ad amici e parenti, i “cucchineddi” (panini uniti a coppia prima di essere infornati) e “u cumbitu” (pasta e ceci). * Nel tempo libero gli svaghi erano costituiti da una sana partita a carte «a lu ciucciu» per «na quarta e vino e na gazzosa ca pallina» oppure a bocce o a «la murra». Le «discoteche», riservate esclusivamente agli uomini, si improvvisavano all’aperto con «organetto e tarantella». * Senza cinema e TV, l’unico spettacolo che si poteva godere, una o due volte l’anno, era costituito dal teatrino. Veniva effettuato da una Compagnia, composta da quattro o cinque persone spesso dello stesso nucleo familiare, che raggiungeva il paese con un carrozzone; si fittava un locale (una semplice stanza al piano terra) ove si allestiva un piccolo palcoscenico con il relativo sipario (delle tende spesso di colore rosso). Si rappresentavano delle sceneggiate napoletane o fatti di cronaca calabresi, strappalacrime; il pubblico veniva intrattenuto e divertito anche con delle farse e gag comiche. Si pagava il biglietto d’ingresso in contanti, ma si accettava anche l’equivalente in natura: pane, grano, salame (molto gradita la soppressata). Le sedie o sgabelli generalmente si portavano da casa. Si aspettava con ansia l’apertura del sipario per assistere ad uno spettacolo, recitato in modo molto approssimativo da attori improvvisati. Soltanto dopo gli anni cinquanta fu aperta prima una sala cinematografica, nel rione Fondaco, dal geom. Ernesto Gallucci “cinema Jonio”; successivamente, un cinema all’aperto, in Via Nazionale, dal sig. Gregorio Camastra. *I giochi in voga dei giovanissimi erano: «a mucciatedha» - «i cavaduzzi» - «tutù spacca» - «batta muro o la signa, a bottoni» - «a la sbriglia» 149 «a lu strumbulu»; le bambine «a la campana»; i ragazzi andavano a caccia di passeri con la «tagliola» o con le frecce, che ci autocostruivamo con idoneo legnetto ed elastico. Da bambini ci si divertiva anche ad osservare il passaggio «da machina paccia»; era così chiamata la vecchia locomotiva a carbone che, sbuffando ed impregnando il cielo con il suo fumo scuro, correva velocemente sui binari senza vagoni al seguito. * L’abitato di Botricello Superiore era molto caratteristico con la sua «trempa»; da lontano, al tramonto, sembrava un «pueblo» spagnolo del New Mexico o dell’Arizona. Oltre che dalla strada, si raggiungeva anche da un viottolo, nella proprietà Iannone, che noi ragazzi imboccavamo dalla S.S. 106, all’altezza ove ora c’è il Municipio, che all’epoca non era stato ancora costruito. Ai piedi della «trempa» si ammirava «a carcara» ove si producevano mattoni e tegole «ceramidhi». Giunti a «Votricedhu Supranu» ci si dissetava da un’antica fontana, al centro dell’abitato, da cui sgorgava l’acqua incanalata dalla sorgente sulle colline sovrastanti; poi ci soffermavamo a contemplare il paesaggio dal sito denominato «a villa»; per la posizione panoramica, per la vegetazione selvaggia e la siepe esistenti, ci faceva ritornare in mente i bellissimi versi del Leopardi: «Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.» (L’Infinito). Botricello Superiore 150 In effetti, visto da lì, il comprensorio somiglia ad una Mesopotamia in miniatura, dal Crocchio al Tacina, ma lo sguardo spazia ben oltre: su un mare immenso ed una fertile e bellissima pianura che richiama l’idea del mitologico giardino delle Esperidi. * L’escursione proseguiva poi verso «a rinedha»; così è chiamata la collinetta più alta, ove è adagiato il vecchio cimitero, da cui i cari Estinti sembrano sorvegliare e proteggere il paese. La pace peculiare del luogo infondeva, a noi giovani studenti, un atteggiamento di religioso silenzio e ci evocava i versi dei Sepolcri di U. Foscolo: «All’ombra dei cipressi e dentro l’urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro ?» «Non vive ei forse anche sotterra, quando gli sarà mutata l’armonia del giorno, se può destarla con soavi cure nella mente dei suoi ?» «Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna» * Ridiscendendo ci piaceva sostare sui gradini della Chiesa, dove si formavano gruppi di persone per ascoltare estasiati, «La Gerusalemme Liberata» o le epiche avventure dei «Paladini di Francia», raccontati, al pari di un antico cantore, con linguaggio forbito ed erudito, da «Ntoni e Natale» mio nonno materno. Mi sembra ancora di vedere il suo vegliardo volto e di udirlo recitare, con voce solenne e tonalità avvincente: «Canto l’armi pietose e il capitano che il sepolcro liberò di Cristo» e ancora «Nata pochi dì innanzi era una gara tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo». 151 * Intanto era arrivato il periodo di un nuovo grande esodo (dal 1951) diretto ora in minima parte verso le Americhe e maggiormente in Belgio, Svizzera, Germania e verso il triangolo industriale Torino-MilanoGenova, alla Fiat, all’Alfa Romeo ed ai loro indotti. I paesi si spopolavano, le forze migliori andavano via con le valige di cartone, tante speranze, ma con la morte nel cuore. Gli emigrati, però, profondamente radicati al paese di origine, in attesa del rientro, investivano i loro risparmi nella costruzione della casa, oltre che nella scuola superiore per i figli. * L’abitato di Botricello incominciava ad espandersi a monte della S.S. 106 e nella zona Colucci (rione nuovo). Botricello Inferiore, all’epoca, era costituito dal Fondaco e dal vecchio centro abitato, che si estendeva dalla casa dei signori Gallucci (difronte la Chiesa) fino al passaggio a livello, l’attuale sottopasso. Dove ora c’è l’edificio della Scuola Elementare, era ubicata la baracca-falegnameria di «Maneli» Marturano. Botricello Superiore invece, per la natura geomorfologica del terreno, non poteva ampliarsi urbanisticamente, perchè interessato da un movimento franoso, causato da infiltrazioni acquifere sotterranee provenienti 152 da sorgive a monte. Dal 1964 al 1985 sono stati effettuati interventi di consolidamento con il ripristino del muro di sostegno esistente; i lavori dovevano essere completati dal Genio Civile con la piantumazione di alberi adatti a fungere da drenaggio e mantenere, per di più, inalterato il paesaggio con la sua tipica «trempa». * Botricello, prima frazione di Andali, ha ottenuto l’autonomia con decreto del 1956, Commissario Prefettizio fu nominato il rag. Gino Altilia. Documento da Archivio di Stato Catanzaro 153 Botricello nel 2007 ha festeggiato, con cerimonie semplici, ma significative, i suoi primi 50 anni di autonomia comunale. Per rappresentare tale evento riporto il bellissimo scritto del parroco, Don Tommaso Mazzei. 154 SUPERSTIZIONI - CREDENZE - USANZE (dal libro di Concetta Basile) L’AFFASCINU Sebbene molti pregiudizi dei tempi passati vadano perdendosi, molti permangono ed è quasi credenza comune in Calabria, che i fanciulli, in particolare, possano essere affascinati da individui adulti, dotati di occhi malvagi, tanto che quando i bimbi soffrono di indisposizioni fisiche le si ritengono originate dal fascinu. Le madri, per sfascinarli, ricorrono ancora a donne assai esperte in materia, le quali. facendo un piccolo segno di croce sulla fronte dell’affascinatu, così pregano: China t’affascinau ‘u cora s’abbundau ccu lu core e ccu la mente l’affascinu u’ n’è nenta. Dui t’affascinaru tri ti lu carmaru, u Patre, u Figghiu e u Spiritu santu. Poi recitano tre pater, ave e gloria. Se esse sbadigliano nel corso della preghiera del “Pater Noster” si crede che il bimbo è stato adocchiato da un uomo; se lo sbadiglio avviene durante la recita dell’Ave Maria, l’affascinu è dipeso da una donna. Altra preghiera per “sfascinare” (molto usata a Catanzaro) Due t’hannu offesu tri t’hannu difesu u’ Patre u’ Figghiolu e u’ Spiritu Santu. Santu Vincenzu, Vincenzu Santu, fa passare l’occhiu e lu scantu. Santa Lucia de’ Roma venia palma d’oliva a la manu portava oliva e palma la benidicia tristu malocchio vattinda via. Poi si recitano per tre volte un Pater, Ave e Gloria, si mette in una bacinella dell’acqua con dentro cinque granellini di sale e si fa lavare il viso all’affascinatu che deve buttare poi 1’acqua sulla strada per la quale non può passare prima che 1’affascinu non cessi. Se la donna è molto esperta, si crede che può calmare il fascino anche senza la presenza della persona colpita da “fascinu”, purchè le si porti un oggetto personale, tipo un fazzoletto o una collanina. Si crede che anche le bestie vanno soggetti al fascinu. 155 MAGARIE In ogni paese c’è sempre una donna che viene definita “magara”. Una donna temuta e “giocoforza” rispettata perché, nella convinzione popolare, capace di fare “fatture” e/o “magarie”, in grado cioè di esercitare e confezionare una specie di stregoneria che fa male alla persona cui è diretta. Si credeva anche che la “fattura” veniva commissionata da persona nemica. I SAN PAULARI I San Paulari erano delle persone che a scopo di lucro andavano spacciando presso la gente credulona rimedi misteriosi e sicuri per guarire le più ostinate malattie e per assicurare la prosperità dei raccolti. Camminavano muniti di una scatola con dentro delle vipere vive, alle quali toglievano anticipatamente i denti veleniferi; e per meglio ingannare la gente scherzavano con questi rettili, dai quali si dicevano rispettati per forza di magia. Essi così passavano in rivista i casolari ed esigevano dei contributi, che venivano concessi senza alcuna esitazione. U MONACHEDU I più anziani credono ancora in un genio benigno chiamato “monachedu”, che si presenta, secondo le credenze popolari, nella forma di un fraticello. A Cropani lo chiamano “u buonu da casa” e se lo immaginano vestito di marrone col cappuccetto rosso. E’ questi uno spirito folletto, uno degli angeli ribelli meno cattivi i quali rimasero sospesi nell’aria e scendono fra gli uomini come amici e a portare buon augurio. Si diverte a gettare pietruzze nella casa a disordinare le masserizie, a involare gli arnesi di bottega e riporli in altro luogo. A Cabala (vedi Botricello dagli anni 60) CREDENZE VARIE: I denti pizzuti: bisogna stare attenti a non far mangiare i dentini caduti ai bambini, alle galline, altrimenti i nuovi vengono fuori “pizzuti”. Sulla nascita e su altro In tutta la zona la zona ionica si dà ancora, anche se soltanto dai più anziani, grande importanza a determinati giorni della settimana e a determinati mesi, come d’altra parte la davano i greci, e più di questi i romani 156 ai loro giorni fasti e nefasti. Si crede ancora che chi nasce di venerdì sarà irascibile, disgraziato o pazzo. Inoltre e venneri e de marte, nè si spusa nè si parta e nè si dà principiu ad arte. Di venerdì non si tagliano i capelli nè si rade la barba; le unghie non si tagliano neppure negli altri giorni che hanno nel nome una “r”. Le donnicciole dicono che in questi giorni “nescianu i spiruni”. U FOCU CHI SCATTARIA Si crede ancora che se la fiamma del fuoco di casa “scattaria” (rumoreggia) indica che una persona lontana parla della famiglia; per sapere se parla bene o male la donna di casa, finchè il fuoco continua a scattariare, dice: bene o malu, malu o bene. Se finisce il rumore mentre la donna dice bene la persona lontana parla bene della sua famiglia, diversamente è segno di invidia oppure di calunnia. U LUPU MANNARU Si credeva che per guarire “u lupu mannaru”, cioè un uomo sofferente di tale male, doveva essere ferito dietro alle spalle, nel parossismo del male, ad un bivio di strada (crucivia) con una punta di coltello, in modo da fare uscire poco sangue; oppure doveva essere punto con uno spillo alla fronte e fare versare una goccia di sangue soltanto. ‘A SAlAMIDA (La lucertola) (La salamandra) La salamandra non si deve uccidere, perché è ritenuta di buon augurio e porta fortuna. Nei tempi passati,se qualche ragazzo lo faceva, le persone vicine al fatto ripetevano: Non jestimari a mmia, ca su’ figghia di Maria; jestima u diavulu, ch’ avi i corna comu tia. IL TEMPO Le previsioni del tempo si desumevano da alcuni fattori, quali ad esempio: l’improvviso levarsi del vento, dalla nuvolosità, il chiarore del cielo, l’apparire dell’arcobaleno, dalla densità delle stelle, l’alone della luna, dal volo a bassa quota degli uccelli, specie delle rondini; dal gatto che si lava la faccia, dal canto del gallo fuori orario. 157 ARTIGIANATO L’artigianato, calzolai (scarpari), sarti (custureri), barbieri (varveri), era quasi tutto “d’importazione”, proveniente da Squillace, Portigliola, Crotone. Il calzolaio Vi erano inoltre fabbri (forgiari) e falegnami (falignami) . Mastri e maistre avevano alle loro dipendenze discipuli e discipule, che osservavano i lavori dei loro maestri o delle loro maestre per imparare. Altro aspetto caratteristico di quei tempi era il fatto che la bottega del barbiere o del sarto si riempiva di ragazzi e bambini, e diventava così una specie di scuola materna. Ricordo, ad esempio, la sartoria di “Gennarino e Brunetto Apicella”. I fabbri, più esattamente maniscalchi “a forgia e mastru Gori e chida e mastru Turi”, effettuavano principalmente lavori legati all’agricoltura 158 (ruote di carri e carretti, ferratura di cavalli e di asini ecc.). Per i ragazzini era uno spettacolo all’aperto, assistere alla ferratura degli animali (buoi, cavalli asini ecc.). Per gli equini la ferratura è sempre necessaria e consta di 4 fasi: pulizia e asportazione del ferro, pareggio dello zoccolo (con le tenaglie, il coltellaccio, la raspa e la sgorbia d’incastro), presentazione del ferro caldo e infissione dei chiodi di stampa, con ripiegatura sul dorso dell’unghia col martello. I Romani chiamavano solea ferrea il sandalo dei buoi, ma lo mettevano solo quando gli animali camminavano sul selciato, per limitare il consumo dell’unghia”. I falegnami eseguivano lavori di ottimo artigianato: mobili, scale in legno ecc. Rinomate le falegnamerie di Maneli (Emanuele)Maturano e di “mastru Rosario” Mosca. 159 IL MARE Il mare è sempre stato l’unica vera ricchezza di Botricello, rimasta turisticamente inutilizzata fino agli anni 60. D’inverno, quando era molto mosso, ci si divertiva ad ammirare “i cavalloni”, mentre d’estate, ci si recava per fare il bagno, a piedi, percorrendo un viottolo ai bordi di un cunettone o tra le stoppia “restuccio”. Ciò perché l’intera zona, al disotto della Ferrovia dello Stato all’epoca era aperta campagna. Esistevano soltanto la fattoria dei signori Colucci, oggi un moderno agriturismo, e le “case rosse”, tre casolari agricoli ubicati a circa 50 metri dal mare, all’altezza dell’attuale seconda strada. Giunti vicino al mare, tra la terra ferma e l’arenile, vi era una striscia di circa 20 metri con della vegetazione selvaggia, “i virdi” che emanavano un odore caratteristico ed inconfondibile, ove tra l’altro le massaie raccoglievano “i ferri di mare” per fare gustosissima pasta di casa, “ ‘mparrettati”. Ferri di mare sopra il “timpagnu o tavuleri” (foto da Museo del dialetto di Dasà) 160 Preparazione ‘mparrettati Nei mesi estivi si usavano costruire, tra “i virdi” e l’arenile, quindi a pochi metri dalla battigia, baracche di tavole oppure capanne “pagghiari” fatti di canne, frasche e tavole. Le famiglie che sostavano poche ore, improvvisavano una tenda, con quattro pali ed un lenzuolo per riparasi dal sole cocente. Dietro le baracche, a qualche metro di distanza veniva allestita, sempre con tavole, una specie di cabina con una rudimentale fossa settica per i servizi igienici. Vicino la baracca, veniva scavato un pozzo, perchè a pochissimi metri di profondità si raggiungeva una falda di acqua fresca, gustosa al palato e potabile. La parola inquinamento era sconosciuta. Bottiglie di vino, la “vozza” con l’acqua e le angurie, venivano conservate, immerse nella sabbia sulla battigia; baciate e lambite dal flusso e riflusso delle onde, tale sistema rappresentava un efficiente frigorifero naturale. La maggior parte delle baracche o pagliari erano abitati da cittadini dei vicini paesi montani, Andali e Belcastro in prevalenza, i quali, al contrario dei botricellesi, vi trascorrevano quasi l’intera estate. Il costume da bagno, per gli uomini, era costituito da “mutandoni” 161 mentre il “bikini” femminile era una sottoveste, “a suttana” che nell’acqua si gonfiava a palla e costringeva le provette bagnanti ad una frenetica ginnastica, con le mani, per ricomporle onde evitare che si vedessero nudità. I ragazzini un pò monelli, alla Gianburrasca, si nascondevano nelle vicinanze, dietro collinette di sabbia, per non perdere l’attimo fuggente, causato dal movimento ondivago dell’acqua, che scopriva un pò di “coscia”, parola allora inpronunciabile e vietata per i piccoli, in quanto considerato un termine molto osè. La sera, sulla riva del mare rischiarato dall’argentea luna oppure nelle baracche, illuminate da lanterne a petrolio, vi si trascorrevano delle ore in grande allegria e serenità con parenti ed amici . Botricello non ha tradizioni marinare e non vi sono prescatori di professione. Era un avvenimento, pertanto, quando approdavano i marinai di Catanzaro Lido o di Gioiosa Jonica con la lampara, barcone così chiamato per la lampada molto grossa e potente, montata a poppa, che veniva usata dai pescatori di notte per illuminare la superficie dell’acqua, al fine di attrarre i pesci in superficie per poi intrappolarli nella rete. La gente si avvicinava per comprare il pesce, spesso sarde, alici o frattaglia, che venivano barattate con pane, grano o altri generi alimentari. 1952 La lampara di Domenico Lombardo da Catanzaro Lido. 162 I marinai di Gioiosa Jonica pescavano principalmente bianchino o bianchetto, alias neonata di pesce, che è una prelibatezza del mar Mediterraneo ed in particolare dello Ionio. E’ stata ribattezzata dal gergo catanzarese con il nome di “bianchetto” per il colore perla e per le dimensioni estremamente ridotte che la caratterizzano. Questa singolare specie ittica popola a branco i mari del sud per poi prendere le sembianze di alici e sarde in età adulta. 163 BOTRICELLO DAGLI ANNI 60 Il Sindaco, nell’immaginario del cittadino semplice ed onesto, rappresentava ancora «l’Autorità» indiscussa. Era considerato come il fratello maggiore e 1’amico fidato; veniva interpellato, assieme al medico di famiglia, quale consigliere, paciere, insomma per motivi vari e più disparati. Correvano ancora i tempi in cui la gente usava cenare o chiacchierare, d’inanzi l’uscio, sulle sedie, gomito a gomito con i vicini di casa. Nel marzo 1960, in una di queste tranquille serate, verso l’imbrunire, improvvisamente, si udì un rumore assordante provocato da una grande palla di fuoco che sorvolava la pacifica cittadina. Era un aereo militare americano, un C 119, con un motore in fiamme, che roteava sul paese per consentire ai soldati di lanciarsi con il paracadute, prima di atterrare fortunosamente sulla riva del mare. E’ comprensibile immaginare il terrore della gente per la presenza del gigantesco aereo in fiamme e nel vedere un nugolo di paracadutisti (19) che, piombando dal cielo, andavano a finire nei luoghi più 164 diversi: sugli alberi, sui fili della pubblica illuminazione, sui tetti. Si narra che un cittadino, ritenendo si trattasse dei «russi» arrivati con idee bellicose, si armò di fucile pronto a difendere patria e famiglia. I giovanissimi ed intimiditi soldati americani, salvi grazie alla maestria del pilota, vennero poi assistiti e rifocillati dal generoso popolo botricellese. Mi racconta il prof. Muccari, allora giovinetto, che dopo aver aiutato un paracadutista a districarsi dai rami di un albero si senti chiedere: «where is the church? (dov’è la chiesa?). Dopo le prime cure in farmacia, infatti, lo accompagnò in chiesa, ove lo spaurito militare ringraziò Dio dello scampato pericolo. Erano gli anni in cui non si organizzavano ancora festival di partito, ma feste patronali. La musica lirica venne sostituita da quella moderna, le Bande dai Complessi. Ricordo che Massimo Ranieri, proprio a Botricello, cantò per la prima volta «Rose rosse» dedicandola agli alunni del Professionale, di recente istituzione. La festa, oltre al valore religioso, rappresentava un momento d’incontro, specie con gli emigrati. Era infatti ancora l’epoca del grande esodo, che comunque si era riusciti a frenare; anzi negli anni 80 si registravano diversi rientri: merito anche degli strumenti urbanistici dell’Amministrazione comunale che avevano dato impulso all’edilizia pubblica, privata e ad attività artigianali e commerciali. A proposito di bande musicali, il mio amico Carmine LePera mi racconta che, in occasione di una festa patronale (negli anni 50), era stata invitata (a pagamento) la banda musicale di Cropani. All’epoca i “suonatori” venivano ospitati dalle famiglie del luogo. Un “musicante” dopo aver vanamente atteso di essere chiamato a pranzo dalla famiglia a cui era stato 165 assegnato, piegatosi sulle ginocchia e raccolto un pugno di terra, dopo averlo annusato e disperso al vento, con aria rassegnata ha esclamato: “questa non è terra di musica”. Molti anni dopo, invece, Botricello diventò “terra di musica” perchè furono formati una banda ed alcuni complessi musicali. Artefici principali della banda musicale sono stati il parroco Don Giovanni Campogrande e Lellè (Raffaele Leto). Questi, dotato di fervida ed artistica fantasia, in occasione del Carnevale «costruiva» pure i carri allegorici per la tradizionale sfilata. Era il periodo in cui le società sportive, di concerto con il Comune, organizzavano tornei di calcio in notturna. Spesso i promotori erano gli stessi emigrati (ricordo Pasquale Ranieri) che, nel periodo estivo, formavano diverse squadre trasformando i tornei in una vera e propria festa di popolo. Erano gli anni in cui le campagne elettorali si conducevano in modo molto vivace, ma civile e corretto. Si girava casa per casa per chiedere il voto, ci si controllava a vicenda tra avversari politici, quasi un gioco a nascondino, che a volte diventava un’ottima scusa per «degustare vino e soppressate». Esisteva un’accesa rivalità, ma molto rispetto reciproco; 166 167 forse perchè si era più sinceri, più amici, più uniti, certamente disinteressati e più convinti del proprio ideale politico . Nelle competizioni elettorali avevano un ruolo molto importante le donne, quali accese sostenitrici. Il giorno del voto diventava soltanto l’epilogo naturale di una campagna elettorale molto “accesa”, perchè altamente sentita e direttamente vissuta dall’intera popolazione. Ricordo che, addirittura, la signora Emanuela Voci, faceva la “cabala” per conoscere in anticipo la lista vincente. Si sa che la cabala è un’arte che pretende di arrivare alla conoscenza di fatti ignoti o futuri, attraverso calcoli e combinazioni di lettere e numeri. La signora Voci non possedeva certo grandi cognizioni letterarie o matematiche; era una donna semplice, una normale madre di famiglia di onesti lavoratori. Non si sa come “interrogasse” la sua “cabala”, se con preghiere o altro sistema. La stessa figlia Maria, appositamente interpellata, ne disconosce la procedura. La madre le aveva soltanto confidato che riusciva a prevedere futuri accadimanti dall’interpretazione di alcuni segnali particolari che diceva di avvertire durante l’esercizio della “cabala”: il passaggio del treno, l’abbaiare di un cane, il rumore dell’aprirsi di una porta ed altro. Il treno rappresentava un segnale positivo, il cane negativo. Una cosa è certa: la signora Voci ha sempre indovinato l’esito elettorale. 168 Il rapporto con i cittadini era diretto, spontaneo, continuo e spesso esulava da fatti prettamente amministrativi. E’ naturale, pertanto, che in un ventennio numerosi sono gli episodi vissuti che potrebbero costituire una vera e propria aneddotica. Mi piace riportarne alcuni. I Un ottuagenario mi domanda: «vorrei comprare anticipatamente due loculi cimiteriali, cosa mi consigliate? Lo chiedo a voi perchè Vi considero come un padre». (All’epoca il sottoscritto non veva ancora raggiunto in 30 anni) II Sig. sindaco, mia moglie è di statura molto piccola; se non vi affrettate ad asfaltare le strade, sono costretto a metterle al collo la campana delle vacche in modo che, quando camminiamo nel paese, se sprofonda nel fango (pilacchi), la sento e la tiro fuori. III Un vecchietto mi ferma per strada. «Sig. Sindaco, la quota OVS dove abito confina con quella di Tizio ed è separata da una siepe. Ebbene. dovete sapere che sulla siepe Tizio ha posto un paio di corna di bue. ma girati verso casa mia il significato offensivo è chiaro, quindi dovete farlo arrestare immediatamente». IV Pieno inverno, dopo la mezzanotte ricevo una telefonata: «Sig. Sindaco, sono tizia e caia, sta diluviando, manca l’energia elettrica ed io sto per partorire, cosa devo fare?» V Primi anni dell’uso del 740 per la denuncia dei redditi; presso il mio studio si redigevano gratis. Viene un vecchietto: «sig. sindaco, mio figlio risiede e lavora a Torino; mi ha spedito tutti i documenti e mi ha detto di venire da voi perchè ha girato tutto Torino e nessuno sa scrivere le carte delle tasse per come sapete fare voi». (a Torino nessuno le sapeva redigere «gratis»). VI Sig. Sindaco, mio figlio fa il servizio militare a Taranto. Dato che dobbiamo fare la provvista del maiale, dovete telefonare al comandante e dir169 gli di farlo venire per due giorni ad aiutarmi. Nell’occorrenza, passate pure voi che ci mangiamo le frittole. VII I tecnici Gallucci e Lupis, coadiuvati dal dipendente comunale Ciccia Romeo, prendono le misure per delimitare il terreno da espropriare per il campo sportivo. TI proprietario, don Ciccio Colucci, brontola nervosamente dicendomi che lui non ha mai creato problemi al Comune. Nel vedere però che il Romeo si trovava con la rullina ad oltre 100 metri, gettando il cappello per terra, gli grida: «fermati, fermati, fermati che non ti vedo più, tanto sei lontano. Insomma Sig. Sindaco, quanta terra ci vuole per fare tirare quattro calci ad una palla?» N.B.: Devo dare onestamente atto della signorilità di don Ciccio Colucci (ora deceduto) il quale era giustamente legato alla sua terra, ma non ha mai ostacolato il Comune di Botricello. VIII Campionati mondiali di calcio. Quindici minuti al termine di una decisiva partita dell’Italia. Suona il campanello di casa mia, mi sporgo dal balcone ed un cittadino chiede di colloquiare. Lo prego di attendere, ma alla fine della partita non c’era più. Dopo qualche giorno lo incontro casualmente e gli domando come mai non aveva atteso e quale era l’urgenza. Spiega in modo crucciato: si trattava di una cosa urgente, perchè due vicini di casa stavano litigando e, quando ho visto che avevano messo mano ai coltelli, ha pensato che soltanto il Sindaco era in grado di separarli; ma a voi interessava di più la partita». IX Sig. Sindaco, mio figlio è in possesso della V Elementare ed avrebbe trovato un posticino a Milano, ma gli hanno detto che ci vuole il diploma della Scuola vostra. Dato che siete anche il Direttore, me lo potreste rilasciare subito? Tanto non lo verrà a sapere nessuno. Rispondo: mi dispiace, ma per legge non è possibile perchè ... Alla fine delle mie brave, lunghe e (ritenevo) convincenti motivazioni, mi sento ribattere: «si, ma si voliti vui tutto si pò fara, pecchì si sa ca nu Sindacu, si vòla, fa chiovìra e scampàra!» 170 CAPITOLO SETTIMO Ventuno anni di Amministrazione comunale visti da vicino BOTRICELLO DAL 1964 AL 1985 Lo sviluppo del paese, dal 1964 al 1985, è stato considerevole. Il centro abitato si è letteralmente triplicato: merito soprattutto alla incomparabile laboriosità ed onestà dei cittadini, residenti ed emigrati, che hanno sapientemente investito i loro risparmi in costruzioni moderne o in attività commerciali ed artigianali. L’Amministrazione ne ha facilitato la crescita dotando il paese degli strumenti urbanistici e delle infrastrutture necessarie per una cittadina, più bella e più accogliente. Prima del 1964 erano stati realizzati i due plessi delle Scuole Elementari, il Municipio, la rete idrica e fognante nel centro storico, l’acquedotto, la prima parte del nuovo cimitero ed un tratto di pubblica illuminazione sulla S.S. 106. Intanto, per la vendita dei suoli da parte di Colucci e Iannone, si formavano altre contrade: a monte della 106 ed il Rione Nuovo. Sebbene la precedente Amministrazione avesse operato con impegno, la situazione complessiva del paese si presentava nel 1964, però, alquanto carente per il veloce sviluppo dell’abitato. 173 Prefettura Catanzaro - Giuramento Sindaco 1964 174 Il Comune aveva ottenuto l’autonomia da pochissimi anni con un territorio molto limitato, dall’Arango al Crocchio. Senza cespiti di proprietà. Botricello oltre a non godere di alcuna rendita patrimoniale, gestiva un bilancio molto modesto; la situazione veniva aggravata dal fatto che, non essendo né comune montano e né considerato in area particolarmente depressa, non poteva usufruire di particolari benefici o contributi Casmez. Bisognava ricorrere a mutui da contrarre con la Cassa Depositi e Prestiti e si rendeva necessario, pertanto, lavorare con ingegneristica fantasia per vivacizzare il bilancio e sopperire alle deficienze «organiche» e strutturali. L’acqua potabile era insufficiente. Le strade, tranne il corso DeRiso, non erano ancora asfaltate; era stato predisposto il sottofondo, «la massicciata» tramite cantieri di lavoro, con il contributo volontario di giornate lavorative da parte dei cittadini e trasporto gratuito di materiale con i «carri». Marina di Bruni era servita da una stradella interpoderale e Botricello Superiore si raggiungeva con difficoltà. I nuovi rioni erano in espansione, le attività commerciali aumentavano e nascevano le prime imprese edili locali (Ruffo Salvatore, poi Gidari, Garigliano, ecc.). Si poteva paragonare il paese ad un bambino in crescita, quindi era compito doveroso, arduo e difficile seguirne lo sviluppo con diligenza, affinché l’evoluzione fosse ordinata, sana, moderna, fedele espressione di una collettività in movimento. 175 Dopo il 1964, i primi anni vennero principalmente dedicati alle infrastrutture primarie: asfalto strade, rete idrica e fognante, pubblica illuminazione, nuovo acquedotto, ma contemporaneamente si operava in altri campi. Si attraversò un periodo in cui non era facile ottenere finanziamenti a causa della crisi economica ed energetica; era proibito persino illuminare l’albero di Natale in piazza, le auto non potevano circolare di domenica e, 176 negli altri giorni, era consentito farlo a targhe alterne (numeri pari o dispari). Nella prima metà degli anni ottanta vigeva il blocco delle assunzioni. Per sopperire a tali difficoltà non si poteva improvvisare, ma si rendeva necessario usare la programmazione come metodo di gestione, tenere comportamenti manageriali, utilizzare le sinergie esistenti nella giunta e nel consiglio, responsabilizzare il personale, onde raggiungere ottimali livelli di efficienza amministrativa e di economicità aziendale. Consapevoli del basso reddito pro-capite familiare dei cittadini, si adottava un’oculata politica tributaria e di bilancio per evitare di aumentare le entrate con aggravio di tasse, che venivano applicate in misura molto modesta; contestualmente si ricercavano fonti alternative, adottando strumenti urbanistici che consentivano di attingere ai fondi europei. L’Amministrazione cioè, in perfetta simbiosi e forte della fiducia dei cittadini, iniziò entusiasticamente ad agire a 360 gradi, non limitandosi alla sola politica delle opere pubbliche, ma intervenendo in tutti i settori: bilancio, personale, urbanistica, scuola, sanità, turismo, sport, ecc. Si perseguiva una programmazione organica per «attrezzare» il paese, arricchirlo di iniziative produttive, farlo conoscere e deputarlo a guida del comprensorio. Particolare attenzione veniva rivolta ai rapporti con i giovani e con le Associazioni sociali, sportive, culturali e religiose, a cui si chiedeva e da cui si otteneva collaborazione costruttiva. Si tenevano convegni di vario tipo e frequenti riunioni di sindaci; si pensava alla costituzione di appositi consorzi per i servizi sovraccomunali onde bandire così il campanilismo. (Botricello e Cropani Marina vanno considerati, di fatto, un unico centro abitato). 177 Considerati i risultati conseguiti, ritengo di poter affermare che l’Amministrazione, espressione della «Torre», che ha retto il Comune in quegli anni, ha contribuito notevolmente al progresso della cittadina, operando con sentimento, impegno, onestà e grande umiltà. Convegno con Cecchino Principe, Mario Casalinuovo, Giacomo Mancini, Rocco Trento e Bruno Dominjanni La TORRE era il simbolo di una lista civica di sinistra - socialisti e comunisti. Nel 1976 i consiglieri PCI si sono dissociati per motivi politici. In questi 21 anni di amministrazione molti sono stati gli uomini politici che ci sono stati vicini dimostrando grande sensibilità ai problemi di Botricello. Ricordo in particolare gli onorevoli: Giacomo Mancini, che fu Ministro della Sanità e dei Lavori Pubblici, nonchè Segretario Nazionale del PSI; Francesco Principe, detto Cecchino, già Sottosegretario di Stato alle partecipazioni Statali e Presidente della Giunta Regionale; Mario Casalinuovo, Presidente del Consiglio Regionale e Ministro ai Trasporti; Bruno Dominjanni, Presidente della Giunta Regionale; Rosario Olivo, vice Ministro e Presidente della Giunta Regionale, attualmente Sindaco di Catanzaro. 178 179 Ringrazio ancora, soprattutto, i consiglieri comunali il cui lavoro, prezioso e spontaneo, ha reso possibile il raggiungimento degli obiettivi prefissi. A tale proposito ho ritenuto doveroso nell’anno 2005 indire una apposita riunione per omaggiarli di una pergamena, personalizzata a seconda del singolo periodo in carica di consigliere, e di una foto ricordo,con la cornice di buona parte delle opere realizzate con il loro apporto. Con il Presidente Pertini Con il Presidente Saragat 180 OPERE REALIZZATE DAL 1964 AL 1985 SOMMARIO • Strade interne: vecchio centro abitato, rione nuovo, rione Botro, rione Scuola Media, rione nord fondaco e zona est, Botricello Superiore; zona 167; per Botricello Superiore; Marina di Bruni; strada e sistemazione vecchio cimitero; Piazza con giardinetti e Monumento ai caduti; Chiesa: ristrutturazione e mosaico; • Rete idrica e fognante: vecchio centra abitato, rione nuovo, rione Botro, rione Scuola Media, rione Nord fondaco e zona est, Botricello Superiore, zona 167; Marina di Bruni; Acquedotto Alli e nuovi serbatoi; Impianti depurazione Botricello Superiore e Inferiore; pozzi sollevamento rione Botro; - Nuovo depuratore; - Cunettoni a salvaguardia: abitato a monte Fondaco, vecchio centro, rione nuovo; • Copertura fossi: Chiesa, Scuola Professionale e zona a valle passaggio a livello; Muri sostegno e consolidamento Botricello Superiore; Completamento mattatoio; *Pubblica illuminazione: vecchio centro abitato, rione nuovo, Botricello Superiore, zona 167, prolungamento. S.S. 106 e per Botricello Superiore, - Marina di Bruni; • Case popolari: alloggi per lavoratori agricoli di fronte Professionale (14 + 14), Gescal; zona 167 (n. 2 edifici 18+24); a monte Asilo nido (n. 10); Scuola Media e palestra; - Asilo Nido (area 167); Materna (in zona DeGrazia /Vinci); Scuole Elementari - ammodernamento e arredamento; Locali refettorio e palestra scuole elementari; - Acquisto scuolabus; Istituto Professionale di Stato Commercio - istituzione e costruzione; Direzione Didattica: istituzione; Corsi Cracis per lavoratori - Attività para ed extra scolastiche; • Campo sportivo; Informatizzazione servizi comunali; Pianta organica; - Acquisto Automezzi N.U.; 181 Istituzione sportello ex SAUB; - Istituzione Guardia Medica; - Sede Provvisoria U.S.L.; Poliambulatorio con attivazione Specialistica; Inserimento Botricello nel Piano Metanizzazione; Industria Fruits Orobica: insediamento; Villaggi turistici: insediamento; OPERE PROGETTATE: Completamento infrastrutture PEEP 167 (già finanziate); Infrastrutture PIP; Erano state inoltre progettate, per la ricerca dei relativi finanziamenti: Soprapassaggio F.S. - in zona Est; Scuola Elementare a 5 aule più locali Direzione Didattica; Casa Riposo per Anziani; Zone sosta per itinerari turistici, con Ostello della Gioventù; OPERE APPALTATE NELL’ANNO 1985 (l° QUADRIMESTRE): Lungomare; Sistemazione rete idrica e fognante; Convenzione metanizzazione centro abitato; Costruzione muro sostegno e raccolta acque piovane Via M. Polo; Ampliamento e sistemazione cimitero nuovo; Rete idrica e fognante in località Chiusa e nelle Vie Pepe, Settembrini e Piave; Rete fognante Marina di Bruni; Completamento ed Ammodernamento impianto Pubblica illuminazione. L’elenco delle opere sarebbe molto più lungo se si dovessero considerare anche quelle che, per interessamento dell’Amministrazione, sono state realizzate da parte dei vari ENEL - SIP - ANAS - Consorzi Bonifica Genio Civile - (ad es. Centrale elettrica Enel e Linea a 20.000 V. - Centrale Sip, ecc.). Il paese era in continuo progresso, un costante e vitale cantiere di lavoro; era ormai riconosciuto come il centro più importante del comprensorio, pronto ad attuare la conurbazione con Catanzaro. 182 Inaugurazione Monumento ai Caduti 183 Vincitore competizione sportiva ragazzi della scuola media Consegna Medaglie ai Cavalieri di Vittorio Veneto (2/8/1969) Inaugurazione Campanile ed Orologio Chiesa 26/3/1972 184 1967 Inaugurazione Strade interne, Palestra, Mattatoio e Case ISES On. Giacomo Mancini - Ministro Lavori Pubblici 185 186 187 188 URBANISTICA Un’Amministrazione dinamica e moderna doveva curare principalmente l’urbanistica, le cui leggi, se sapientemente applicate, erano (e sono) capaci di fare uscire un paese dall’anonimato, perchè in grado di promuovere e favorire iniziative nel campo turistico, industriale, artigianale, commerciale e dei servizi. Per questo motivo l’Amministrazione Comunale si è molto impegnata nel settore, tanto che nel 1985 Botricello veniva considerata una cittadina del Nord trapiantata nel Sud. Pianificazione urbanistica intesa, quindi, come chiave di sviluppo, una vera e propria programmazione del territorio con chiari obiettivi estetico-ambientali ed economicosociali. Una programmazione capace di inserire il Comune nel contesto del comprensorio e fargli assumere un ruolo guida. Un’Amministrazione antesignana che già negli anni ‘70 guardava lontano, ragionava e pensava positivo, adottava strumenti urbanistici d’avanguardia che ancora si dimostrano validi ed attuali. Il Comune di Botricello è stato precursore, pioniere in Calabria, per avere deliberato: Programma di Fabbricazione - nel 1968; Variante al Programma di Fabbricazione - nel 1971; Piano Regolatore Generale - nel 1976; (L’Assessorato Regionale all’Urbanistica nel 1984 - dopo 8 anni - trasmetteva un verbale CUR del 2-7-84, con delle prescrizioni, invitando il Comune alla rielaborazione del PRG, ma il Consiglio con delibera n. 75 del 27-11-84 ne ribadiva I’operatività); Piano di Zona legge 167/865; - nel 1975; Piano Insediamenti Produttivi (PIP) - nel 1977; Lottizzazione convenzionata DeGrazia/Vinci; Lottizzazione convenzionata Villaggio Costa del Turchese; Lottizzazione convenzionata Villaggio Carioca. PROGRAMMA DI FABBRICAZIONE E PIANO REGOLATORE Il PdF ed il PRG hanno assolto una grande e positiva funzione perchè: - hanno disciplinato la crescita urbanistica del paese, che stava avvenendo in modo disordinato ed abulico; 189 - hanno frenato l’abusivismo e dato un notevole impulso all’edilizia locale, particolarmente a quella in economia. Basti pensare all’indice di 5 me/mq nella zona di completamento - unico Comune ad avere ottenuto il suddetto indice volumetrico; - hanno abituato i cittadini a costruire in modo più razionale ed a rispettare il distacco tra edifici; - hanno diviso il territorio in zone e definito aree per interventi economici nei vari campi produttivi; - hanno consentito la redazione di piani per lottizzazioni convenzionate, con grandi benefici al comune per l’obbligo della cessione gratuita al Comune del 60% del terreno per verde attrezzato, strade, scuole, ecc. (vedi Scuola Materna, Asilo Nido, Sala Convegni Carioca, parchi giochi e così via); - hanno disegnato un’ordinata zonizzazione Iannone; - dato respiro alla località Marina di Bruni con l’indice 0,4. Per la vicinanza dei villaggi e del campo sportivo, per le magnifiche strade ed illuminazione pubblica, Marina di Bruni si avviava a diventare un naturale villaggio, un tipico modello di agriturismo, meta dei villeggianti per l’acquisto dei genuini prodotti agricoli locali; - era prevista una tangenziale alla S.S. 106 con tre zone di servizio quali aree per la costruzione di complessi commerciali; - erano previste aree da destinare ad infrastrutture pubbliche (Scuole, Ospedale, Poliambulatori, Centro Sociale, ecc.). I Piani Particolareggiati, quali strumenti di attuazione, hanno completato gli obiettivi del Piano Regolatore. PIANO DI ZONA - Legge 167/865 Per operare validamente nel campo urbanistico occorreva ottenere l’uso pubblico del suolo. L’unico mezzo di cui gli Enti Locali potevano disporre per l’acquisizione di aree edificabili era costituito dalla legge n. 167/62, assorbita dalla legge n. 865/71. Considerata l’indisponibilità di suoli si rendeva necessario espropriare per reperirli. Nel 1975 il Comune, utilizzando la suddetta legge, ha redatto il relativo Piano di Zona che prevedeva due aree: - Zona Ovest - Ha 7 circa - località Gabelluzza; 190 - zona Est - Ha 4 circa - parallela alla strada per Botricello Superiore. L’Amministrazione ha iniziato ad operare nella zona Ovest. Le abitazioni erano previste in case a schiera ed in case multipiano. Le prime per i cittadini che desideravano un suolo per costruirsi la casa, le seconde per cooperative e case popolari. Le strade tracciate di circonvallazione, tangenziali all’area; i lotti raggiunti con strade di penetrazione, collegate tra di loro ed in modo che i bambini si potessero muovere in piena libertà senza il rischio di traffico caotico ed intenso. Nella zona sono state costruite case IACP, 1’Asilo nido (adibito prima a Scuola Materna, ora sede Avis e CRI), realizzate le infrastrutture primarie (strade, rete idrica e fognante, P.I.). Nella zona è sorta altresì la Casa Riposo Velonà, (Associazione ONLUS) Tra i lotti assegnati e gli alloggi popolari costruiti (n. 2 plessi nella 167, il complesso a monte Asilo nido e le case per i lavoratori agricoli, difronte Istituto Professionale) si è riusciti a risolvere il problema della casa a più di 150 famiglie. Foto 167, foto articolo su 167 191 L’Associazione (ora Fondazione) ONLUS “A.Velonà” svolge una grande funzione sociale. Detiene oggi un importante patrimonio immobiliare tra Botricello e Cropani, e gestisce le seguenti strutture: 1) Casa Protetta “Mons. Stanizzi” in Cropani Marina, per 40 posti per anziani e n. 20 per disabili mentali. 2) R.S.A “S. ANNA” in Botricello accreditata per n. 54 posti di cui n. 20 già convenzionati. 3) Casa Famiglia S.Francesco - in Cropani - n. 6 utenti; 4) Dopo di Noi - disabili abbandonati senza parenti n. 10 5) Gruppo appartamento A.Velonà - in Botricello per minori a rischio (da 3 a 7 posti). Tra medici, paramedici, OSS (operatori socio sanitari),terapisti, educatori, ausiliari, assistenti sociali, più gli specialisti in geriatria, fisiatria, neurologia, cardiologia, psicologia, l’UALSI occupa circa 100 unità lavorative, più un indotto abbastanza importante (fornitori, piccole imprese di manutenzione, lavanderie, imprese pulizia ecc. ). E’ una bella realtà socioassistenziale che si distingue per la sua alta funzione umanitaria. Assiste, infatti, le classi più deboli, meno abienti, persone sole, spesso non autosufficienti, che trovano così una “casa famiglia” che li ospita e li tutela con professionalità, amore e carità cristiana. L’Associazione, con atto notarile 192 del 1999, è stata trasformata in Fondazione; con l’art. 11 dell’atto costitutivo è stato sancito che “in caso di scioglimento e/o estinzione della fondazione per qualunque causa, i beni costituenti il patrimonio, secondo le indicazioni vincolanti delle Diocesi competenti, saranno devoluti ad altre Onlus secondo il territorio nel quale i beni sono ubicati. Foto UALSI Velonà ONLUS 193 P.I. P. PIANO PARTICOLAREGGIATO PER INSEDIAMENTI PRODUTTIVI Per richiamare, promuovere, facilitare ed incentivare iniziative artigianali ed industriali il Comune ha redatto il P.I.P., deliberato per la prima volta in data 23-4-77. Si sono ottenuti finanziamenti con la legge regionale n. 13/77 e fondi CEE per le spese di progettazione, 1’acquisto del suolo e la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria (strade, rete idrica e fognante, illuminazione, ecc.). Il PIP comprende le due zone PRG (Est ed Ovest) suddivise in previsione di un centro di servizi. Per la concessione del suolo andava rivolta apposita domanda al Comune corredata da un progetto di massima ed una relazione esplicativa del tipo di attività, investimento ed occupazionalità previste. Gli assegnatari dovevano stipulare regolare convenzione ed usufruire delle leggi vigenti in materia di contributi e mutui. Il Comune stesso poteva ottenere finanziamenti CEE per la costruzione diretta di capannoni industriali da cedere in fitto. Gazzetta 29/7/77 Piano per gli insediamenti industriali a Botricello E’ iniziato al Comune di Botricello la pubblicazione del piano per gli insediamenti industriali e artigianali che ..omissis .. 194 FRUITS OROBICA S.p.A. La Fruits Orobica, resa possibile dagli strumenti urbanistici del comune, si è insediata nella zona Est del PIP nell’anno 1980. Lo stabilimento industriale, costruito su un’area di 22.000 mq. e con una superficie coperta di 5.400 mq. era dotato di un complesso di celle frigorifere e modernissimi macchinari per la produzione di conserve, ortofrutticoli surgelati, macedonia di frutta inscatolata e pesche sciroppate sottovetro. La produzione era destinata per il 30% al mercato nazionale ed il 70% ai mercati esteri, con prevalenza Germania Federale ed Inghilterra. L’Orobica dava un notevole impulso all’agricoltura locale, specie nel campo dei pomodori, perché assicurava l’acquisto dei prodotti e forniva assistenza tecnicoeconomica, particolarmente per nuove e più remunerative produzioni. Importante l’indotto provocato, specie per gli autotrasportatori, ma l’Orobica costituiva principalmente una valvola di sfogo per l’occupazione di mano d’opera e per l’intera economia di Botricello. Dipendenti: Enzo Cerminara - Salvatore Condito Franco Falbo - Antonio Ferro Raffaele Filippelli - Bruno Giancotti Felice Gentile - Pasquale Laporta Enza Latassa - Aldo Lupis Enrico Siena - Mimmo Sestito Operai stagionali n. 150/200 in prevalenza donne. 195 CARlOCA E COSTA DEL TURCHESE Nel periodo estivo Botricello, già nel 1980/81 veniva frequentato da oltre 5.000 villeggianti, provenienti da tutte le Regioni d’Italia (Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Toscana, Lazio, Campania, ecc.). Si trattava di famiglie appartenenti al ceto medio, professionisti, impiegati, (molti dipendenti FIAT) proprietari o fittuari di un miniappartamento per trascorrervi le ferie. In quegli anni, passeggiare a Costa del Turchese ci si sentiva quasi «forestieri», tanto era la gente del Nord. Il nome Costa del Turchese era stato scelto dal proprietario del terreno su cui insiste il villaggio, il barone Mario Filippo DeGrazia. Ricordo le sue parole: “gradirei si chiamasse costa del turchese, perchè la sera, al tramonto, il mare si tinge di turchese”. Villaggio Turchese 196 E’ innegabile il notevole impulso economico-sociale provocato dai villaggi. Botricello ed il suo mare, pulito e trasparente, erano pubblicizzati in tutta Italia; i nostri giovani potevano (e possono) socializzare con nuovi amici, uno scambio prezioso tra culture, costumi e tradizioni diverse. E’ bello constatare che, alle tre del mattino, i bar più rinomati sono gremiti di turisti in attesa del cornetto caldo. Con i villaggi si sono create nuove e maggiori occasioni di lavoro per edilizia, commercio, servizi, con incremento di attività per lidi balneari, bar, pizzerie, idraulici, giardinieri, falegnami, vetrai, elettricisti, gommisti, stazioni di carburanti, meccanici, parrucchieri, ecc. Villaggio Carioca 197 CAMPO SPORTIVO La costruzione del campo sportivo ha rappresentato, per Botricello, una bella pagina di storia scritta nel nome dello sport. E’ stato inaugurato nel 1979 con la partita di calcio CatanzaroBotricello, a cui è seguito un magnifico convegno sullo sport, tenuto presso la Scuola Media. Il Catanzaro militava in serie A. Dotato di tappeto verde, piste di atletica, illuminazione notturna, tribuna e servizi, era lo stadio più bello della provincia. La sua realizzazione è stata possibile per il grande spirito di collaborazione degli sportivi locali. Negli anni precedenti il Comune aveva preso in fitto un terreno in Marina di Bruni (Trapasso) su cui era stato realizzato un campetto provvisorio, sistemato personalmente dagli stessi sportivi. Era commovente vedere lavorare appassionatamente giovani e meno giovani, di tutti i ceti sociali, per costruire recinzione, spogliatoi, porte, sistemazione terreno. Nei mesi invernali diventava inevitabilmente una piscina, ma l’amore per il cal- 198 cio sopperiva a tutto, anche perchè prima si era costretti a giocare su campi di fortuna, improvvisati dopo la trebbiatura del grano, tra «u restucciu». Facile, pertanto, immaginare 1’entusiasmo e la giusta soddisfazione per il nuovo e moderno campo, considerato un fiore all’occhiello di tutti gli sportivi locali. Ogni settimana, quando la Catanzarese giocava in casa, ospitava, per l’allenamento di venerdì e sabato mattina, le squadre di serie A . Una vera cuccagna per i giovanissimi in quanto potevano ammirare da vicino i loro idoli: da Conti a Rivera, da Baresi a Paolo Rossi. Botricello appariva su tutti i quotidiani, con grande orgoglio degli emigrati che, leggendone il nome, potevano vanagloriarsi con i milanesi o torinesi; non venivano più considerati provenienti da uno sconosciuto paesino del profondo Sud, ma da una cittadina ospitale, rinomata e moderna. Il nuovo campo aveva dato impulso alle associazioni sportive locali; per un certo periodo nella II categoria militavano addirittura due società calcistiche, antagoniste: U.S. e Polisportiva. Indimenticabile la folcloristica rivalità sportiva tra i due presidenti, Ciccio Aiello e Mario Puccio, rispettivamente zio e nipote. Le piste di atletica, all’epoca uniche esistenti, hanno consentito al Provveditorato agli Studi di far disputare a Botricello i Giochi della Gioventù: una festa della gioventù scolastica dell’intera provincia. Botricello, per il nuovo stadio, due campi di basket e le tre palestre, nel 1980 veniva additato ad esempio da imitare quale Comune moderno e sensibile ai problemi dello sport. Direttivi società di calcio - campionato di calcio 1981/82 - U.S. Botricello: Puccio Mario - Presidente Stanizzi Mario - Gullà Franco - Paula Francesco - Puccio Rocco Viscomi Raffaele - Russo Francesco - Maressa Giuseppe - Puccio Giovanni - Lopez Eugenio Allenatore: Romeo Francesco Polisportiva Botricello: Aiello Francesco - Presidente Altilia Francesco - Cisternino Filippo - Prefatto Rosario - Viscomi Gregorio - Pinto Carlo - Mercurio Pasquale - Mercurio Leonardo - Greco Raffaele - Viscomi Agostino - Gentile Domenico - Meliti Gregorio Laporta Tommaso - Trapasso Giovanni - De Luca Francesco Allenatore: Latassa Alberto 199 Inaugurazione campo sportivo 1979 Medaglia al Presidente Ceravolo 200 11 gennaio 1979 - Partita inaugurale campo sportivo: Catanzaro-Botricello 9-0 Formazioni: Catanzaro: Mattolini,(Casari), Saladini (Banelli), Ranieri (Raise), Manichini, Orazi, Rossi, Improta, Groppi, Zanini, Nicolini, (Braglia), Palanca, (Michesi). All. Mazzone. Botricello: Madonna (Scarpino), Gidari, Mercurio (Valea), Missiti II, Mssiti I, Gullà I. Gullà II, Apicella, Romeo, Gallo, Lia (Barrese). All. Romeo. Arbitro: Nisticò di Catanzaro. Spettatori tremila circa. 201 ISTITUTO PROFESSIONALE DI STATO PER IL COMMERCIO Insegnavo Ragioneria e Tecnica Commerciale presso l’I.P.C. di Catanzaro sin dal 1964. Nel 1966, proposi al Preside, prof. Ugo Libri, l’istituzione a Botricello di una sede coordinata. Ottenuto il parere favorevole dal Consiglio di Amministrazione dell’Istituto, il Comune ne deliberò la richiesta al Ministero della Pubblica Istruzione. Dietro interessamento dell’on. Giacomo Mancini, all’epoca Ministro dei Lavori Pubblici, il Ministero P.I. decretò l’istituzione a Botricello, per 1’anno scolastico 1967/68, della Sede Coordinata dell’I.P.S.C. di Catanzaro. Ricevuta la comunicazione ufficiale dal Sottosegretario di Stato alla P.I. on. Romita, il Comune assunse dei locali in fitto in Via Pitagora e acquistò gli arredi ed i sussidi didattici necessari al funzionamento di due classi. La pulizia veniva effettuata da un bidello di Catanzaro a scavalco e, successivamente, da Gregorio Russo, transitato dall’organico del Comune. I primi due anni furono particolarmente difficili perchè si rendeva necessario pubblicizzare l’Istituto ed andare alla ricerca di alunni, anche nei paesi limitrofi. Ricordo i viaggi a Marcedusa, Cropani, Andali, Belcastro accompagnato, con entusiasmo, dagli stessi allievi (Gregorio Mercurio, Alberto Latassa, Waldivio Prezio, Francesco Laporta, Carlo Pinto, ecc.), orgogliosi di contribuire alla crescita della loro Scuola. 202 Nel 1970, tramite l’ISES, fu costruito uno splendido Edificio in Via Nazionale che l’IPSC di Catanzaro dotò di moderni sussidi didattici ed attrezzature (aula calcolo, sala dattilografia, laboratorio linguistico, ecc.). La Scuola Superiore ormai era decollata e frequentata da residenti e da pendolari, per i quali venne istituita un’apposita linea di pullman. Ammirare la composita e bella gioventù all’ingresso e all’uscita delle lezioni, vedere la scolaresca passeggiare goliardicamente nel paese o sostare in attesa del torpedone per il rientro, riempiva il cuore di allegria. Inizialmente si frequentava soltanto il corso triennale per il conseguimento del diploma di qualifica per «Addetti alla Segreteria d’Azienda», Successivamente vennero istituite anche la IV e V classe per il conseguimento del diploma di «Maturità Professionale». I nostri ragazzi si sono sempre distinti; nelle gare di stenodattilografia, che annualmente si svolgevano a Montecatini Terme ove si sono spesso classificati ai primi posti. La presenza della Scuola Superiore ha fornito la possibilità a molti giovani di studiare ed emergere; senza, invece, molte ragazze sarebbero rimaste brave casalinghe per l’atavica gelosia (che esisteva) o il timore dei genitori di farle diuturnamente viaggiare da Catanzaro. Prima infatti il numero delle studentesse di Botricello, frequentanti altri Istituti, era molto limitato. 203 Ho avuto l’onore di aver svolto le funzioni di Direttore del Professionale per moltissimi anni e di insegnarvi «Ragioneria e Scienza dell’Amministrazione» fino all’anno scolastico 1993/94. Migliaia sono ormai i giovani che sono passati dai banchi del Professionale. Nella mia duplice veste di Direttore e Docente, è motivo di soddisfazione incontrarli, coniugati e con prole, e constatare che, quei giovanissimi ragazzi e ragazze, sono diventati imprenditori, insegnanti, avvocati, medici, commercialisti, dirigenti o impiegati presso Enti Pubblici e Privati (Comune - U.S.L.,ora ASP, - P.T. - F.S. - P.I., ecc.) o altre Istituzioni Pubbliche (Finanza - Polizia Carabinieri, ecc.). Un esempio significativo ne è il Comune di Botricello, i cui Uffici sono praticamente retti dai ex alunni: Gallo, Lodari, Mercurio, Romeo, Russo, Scarpino (Sgrizzi e Valea si sono trasferiti presso altro Ente a Catanzaro). Altro esempio gli uffici della Direzione Didattica, ora Istituto 204 Comprensivo (Talarico Rosaria, Dirigente Amministrativa e Delia Puccio). Vi sono stati anche Puccio Emanuela, Giusi Mazza e Latassa Erminia, ora trasferitesi in altra sede. E’ una gioia scoprire che alcuni ex allievi di Botricello sono ritornati al Professionale come Docenti (Angela Falsetta e Anna Maida) e diventa motivo di orgoglio ritrovarli, addirittura, stimatissimi Magistrati (Giuseppe Valea), oppure Sindaci (Giovanni Camastra del Comune di Botricello, Santo Bubbo di Petronà). La stessa Tipografia artigiana, che ha stampato la prima edizione del presente libro, è gestita dai fratelli Caliò, diplomatisi all’I.P.C. L’Istituto Professionale di Stato per il Commercio ha avuto un effetto dirompente per l’evoluzione sociale, civile e culturale della nostra cittadina ed ha segnato a caratteri indelebili la storia di Botricello degli ultimi quarant’anni. I lavori di Segreteria venivano espletati con l’ausilio prezioso dell’alunno Mercurio Gregorio, ora funzionario al Comune di Botricello. 205 ISTITUTO PROFESSIONALE DI STATO PER IL COMMERCIO ANNO SCOLASTICO 1967/68 Preside: Prof. Ugo Libri Direttore: Prof. Paolo Camastra Classe I° A Aiello Giovanna Altilia Nella Rita Camastra Pasquale Ferro Gregorio Filippelli Teresa Grande Antonio Greco Francesca Loprete Rosa Mercurio Gregorio Pappalardo Elisa Pugliese Paolo Rigillo Francesco Romeo Francesco Romeo Raffaelina Tigano Isabella Torchia Anna Viscomi Concetta Viscomi Teresa Classe 1° B Aiello Gregorio Botricello Bruno Fortunato “ Caliò Angelo “ Camastra Giovanni “ Guerriero Francesco Avellino Gullà Alfonso Botricello Gullà Francesco “ Guzzetti Angelo Andali Iannone Rosario Botricello Leto Aldo “ Maida Paolo “ Puccio Antonio “ Puccio Vincenzo “ Ragusa Antonio Catanzaro Romeo Tommaso Botricello Scumaci Vincenzo “ Stirparo Francesco “ Varano Antonio “ Viscomi Salvatore “ Viscomi Gregorio Walter Botricello “ “ “ “ Cropani Botricello “ Marcedusa “ “ Botricello “ S. Severina Botricello “ “ 206 ANNO SCOLASTICO 2009/20010 Dirigente Scolastico: Prof. Gesualdo Campese Direttore: Prof. Francesco Bruno Responsabile Corso serale: Prof.ssa Saverina Spadafora Alunni n. 330 Corsi frequentati: Qualifiche triennali: a) Operatore Imprese Turistiche b) Operatore Imprese Gestione Aziendale Maturità: a)Tecnico Imprese Turistiche b) Tecnico Imprese Gestione Aziendale Microspecializzazioni: Direttori di Albergo e Amministratori Condominio. Negli anni 50/60 pochi a Botricello erano in possesso del diploma di Scuola Media di II grado; i laureati, addirittura, si contavano sulle dita delle mani. Sia per la presenza della Scuola Superiore, sia per la maggiore facilità di raggiungere il Capoluogo e sia per la migliore posizione socio-economica delle famiglie, dagli anni sessanta in poi la situazione è cambiata in modo radicale. Oggi, infatti, i diplomati ed i laureati sono numerosissimi, molti dei quali, però, hanno dovuto lasciare il paese natio, per scelta o per necessità. Risiedono in altre città o all’estero, ove lavorano e si distinguono per intelligenza, professionalità ed impegno. 207 SCUOLA DELL’OBBLIGO La Scuola è una grande fucina di cultura; è l’anima ed il cuore di un paese. Botricello non ha origini antiche e la sua collettività è di eterogenea formazione; un pò come gli Stati Uniti. Nel 1964 era ancora in incremento demografico, non soltanto per le maggiori nascite rispetto ai decessi, ma anche per nuovi e continui arrivi di persone che, per lavoro o per matrimonio, vi si stabilivano. Una società, quindi, che assommava culture e tradizioni diverse, importate dai Comuni di provenienza. Si rendeva indispensabile un lavoro di amalgama. La Scuola dell’obbligo doveva assumersi questo difficile compito, perchè istituzionalmente deputata a svolgerlo. Doveva riuscire, facendo convivere le diverse culture, a recepire e valorizzare gli aspetti migliori e più civili, plasmarli e costruire così una nuova omogenea società: quella Botricellese. Una sfida appassionante, di altissimo contenuto sociale, da accettare e vincere. L’Amministrazione Comunale, perfettamente consapevole di ciò, ha sempre dimostrato estrema sensibilità verso i problemi della Scuola. Ha considerato prioritaria ed unitaria, non dicotomica, la politica di interventi da adottare per le Elementari e Medie, in quanto Scuola primaria e dell’obbligo. 208 Ha lavorato in perfetta simbiosi con i suoi dirigenti (presidi e direttori), ha coinvolto favorevolmente le famiglie, ha tenuto la massima considerazione verso gli insegnanti, ha portato grande rispetto al personale non docente, ausiliari compresi, per affrontare sinergicamente e superare insieme, nell’esclusivo interesse dei ragazzi, tutti gli ostacoli che si frapponevano. Assumevano, pertanto, un significato particolare e finalizzato tutte le manifestazioni che si organizzavano: convegni culturali, concerti, rappresentazioni teatrali, feste degli alberi, attività para ed extra scolastiche, corsi Cracis per lavoratori, partecipazioni alle TV private, gite, settimane bianche e così via. Il Comune interveniva inoltre per dotarla di arredi, attrezzature anche per attività socio-culturali e psicomotorie, sussidi didattici, strutture sportive scolastiche (palestre e campi di basket), scuolabus, refezione Scuola Elementare e Materna. Oltre ai lavori di ristrutturazione ed ammodernamento dei due plessi scolastici elementari esistenti, sono stati realizzati: costruzione dei locali Refettorio e Palestra, in Via Rinascimento, gli edifici della Scuola Materna, in località DeGrazia e dell’Asilo Nido, nella zona 167. Nel 1984 era stato progettato un nuovo plesso per la Scuola Elementare, con uffici Direzione, da ubicare in località Iannone (dietro il Municipio). La Direzione Didattica, voluta e richiesta dall’Amministrazione comunale, è stata istituita nell’anno 1978. Primo Direttore: la dott.ssa Parrino Luigia. 209 Scuola Media. Con l’anno scolastico 1963/64 c’è stato l’avvento della Scuola Media, inizialmente Scuola Media Unificata (che sostituiva l’ex Avviamento Commerciale). Primo Preside: prof. Giuseppe De Nobili (classi n. 3; alunni n. 60). Per molti anni preside della Scuola Media è stato il prof. Mario Muccari, già Assessore alla P.I. del Comune di Botricello. Notizie in breve. In seguito alla riforma scolastica: -non più Scuola Materna, Elementare e Media, ma Istituto Comprensivo con Scuola dell’Infanzia, Primaria e Secondaria di primo grado. -il Capo d’Istituto, si chiama Dirigente Scolastico. -all’Istituto Comprensivo di Botricello, che già comprendeva le Scuole di Marcedusa, sono state accorpate quelle di Belcastro (elementare e media). Anno scolastico 2009/2010 Dirigente Scolastico: Dott.ssa Isabella Marchio Scuola Materna 210 Asilo Nido (ora CRI) Palestra 211 UNITA’ SANITARIA LOCALE La Regione Calabria, in attuazione della Legge nazionale n. 833/78, con la Legge 18/80 ha istituito il Servizio Sanitario Regionale. Il Presidente della Giunta Regionale con decreto n. 2428/80 ha costituito le Unità Sanitarie Locali. In seguito a precise richieste dell’Amministrazione Comunale all’Assessore alla Sanità, Avv. Bruno Dominianni, la Regione ha fissato a Botricello la prima riunione dell’Assemblea Generale dell’U.S.L. n. 15 che si è tenuta il 20-11-80. Si sperava in tal modo di poterla tenere definitivamente, anche se Botricello non rappresentava il comune più grosso e né era sede di presidio ospedaliero. Tramite l’Assessore Regionale Dominianni, negli anni ‘70, si era riusciti ad istituire nel nostro paese: a) Sportello ex SAUB, per l’espletamento di pratiche amministrativesanitarie; (si evitava così ai cittadini di recarsi a Catanzaro). Ciò era stato possibile anche perché un funzionario della Regione, sig.ra Laura Barberio, si era dichiarata disponibile a dirigere l’Ufficio, prestando servizio a scavalco. b) Guardia Medica. - In quel periodo, gli unici comuni designati quale sede istitutiva dell’importante presidio sanitario sono stati Botricello, Sersale e Petilia P. La sede provvisoria dell’U.S.L. è rimasta nel nostro paese fino al marzo del 1984. L’Assemblea aveva deliberato il Comune di Mesoraca quale sede definitiva, ma, in seguito al riordino delle U.S.L. da parte della Regione, la US.L. n. 15 è stata soppressa ed accorpata con quelle di Catanzaro e di Crotone. Il Comune, onde agevolare l’attivazione di servizi amministrativi e sanitari, con delibera n. 25 del 26-10-83, (unitamente al progetto di ristrutturazione redatto dal geom. Carmelo Zaccanelli), ha ceduto in uso all’US.L. il fabbricato «Mercato coperto», da adibire a Poliambulatorio. Il sottoscritto è stato componente del Comitato di Gestione dal 1980 al gennaio 1987. 212 La US.L. n. 15 ha, comunque, in quegli anni recato considerevoli benefici alla nostra cittadina, sia in campo sanitario che in quello occupazionale: Settore Sanitario: - Poliambulatorio - Attivazione della Specialistica (ortopedia, cardiologia, oculistica, urologia, dermatologia, otorinolaringoiatria, ginecologia, pediatria, ecc.); - Servizio di medicina scolastica; - Acquisto e servizio Ambulanza; - Servizio prelievi per analisi: - Servizio assistenza domiciliare ai non deambulanti; - Servizio igiene mentale; - Uffici per disbrigo pratiche amministrative-sanitarie; - Palestra fisioterapica. Campo occupazionale (fino al 1986): a) Assunti dalla U.S.L. Capano Luigi - Ciurleo Michele - Grillone Francesco - Grillone Gregorio - Gualtieri Giuseppe - Prato Giuseppe - Viscomi Antonio - Latassa Alberto (transitato dal Comune) (Capano, Ciurleo, Grillone F. e Gualtieri successivamente hanno chiesto ed ottenuto il trasferimento a Catanzaro); b) per trasferimento da altra U.S.L., ove erano già in servizio: Altilia Salvatore - Caterina Pasquale - Peta Tommaso - Romeo Francesco. L’Amministrazione Comunale ha costantemente perseguito una sana politica igienico-sanitaria per miglioramento ambientale e sociale della cittadina. A prescindere dalle relative infrastrutture a cui dava corso, si è sempre avvalsa della collaborazione e dei consigli dell ‘Ufficiale Sanitario, dal dott.Guido Gimigliano al dott. Raffaele Camastra. Da un opuscolo, a cura del Comune, scritto nel 1975 trovo una «massima» del Dott. Gimigliano che, quale umile riconoscimento e ringraziamento a posteriori, ritengo doveroso riportare: 213 «La sporcizia è veicolo di malattie infettive e costituisce, pertanto, un pericolo latente ed insidioso per la salute pubblica. La sensibilità dei cittadini al problema igienico-sanitario è un atto di civica responsabilità per sè e per la collettività». L’Ufficiale Sanitario Dr. Gimigliano Guido 214 METANO Nell’anno 1982, in seguito alle reiterate richieste dell’Amministrazione comunale, Botricello veniva incluso nel Piano di Metanizzazione quale Comune «singolo» da metanizzare. Ne dava comunicazione l’on. Mario Casalinuovo, nella sua qualità di Sottosegretario di Stato ai Lavori Pubblici. L’importo assegnato in base alla griglia parametrica, su cui si poteva fare riferimento per la redazione del progetto esecutivo, era di circa due miliardi (di vecchie lire). Per realizzare l’opera c’era un iter burocratico-amministrativo da osservare obbligatoriamente per modalità e tempi di esecuzione. Il Comune doveva provvedere alla stipula di una Convenzione per l’affidamento della progettazione, direzione, costruzione e gestione del1’impianto del gas metano. In data 11-12-84 il Consiglio Comunale, esaminate le offerte presentate dalle ditte Italgas sud, O.Fin s.a.s. e Alvaro, deliberò di affidare l’incarico alla ditta Alvaro, perché la più conveniente per la maggiore entità di lavori assicurata. Il Sindaco pro-tempore, esperite le relativa pratiche, stipulò su delega del Consiglio, la relativa convenzione in data 30-05-85. Non si poteva fare di più perché, per ulteriori adempimenti, si doveva obbligatoriamente aspettare il17-12-85. Infatti la delibera CIPE 26-10-84 prescriveva: 215 «I comuni metanizzabili singolarmente dovranno richiedere al Ministero dell’Industria, A DECORRERE DAL “17 DICEMBRE 1985” la fissazione dei termini per la presentazione della formale domanda, con allegato il progetto e relativa documentazione». (Vedi circolare) - Intanto, le elezioni del giugno 1985 avevano provocato un cambio di Amministrazione. (CIRCOLARE MINISTERIALE) INTERVENTO STRAORDINARIO NEL MEZZOGIORNO COMMISSARIO DEL GOVERNO 8.8.85 Prot. S 101844 00144 ROMA Piazza John Kennedy, 20 (EUR) Tel. (06) 59911 - TELEX 63583 Indir. telegr.: ISMEZR - ROMA Ripartizione Sviluppo Industriale Div.4/RAL Oggetto: Legge 28.11.1980, n. 784, art. Il - Delibere CIPE 25.10.1984 e 10.7.1985 - Programma generale di metanizzazione. AL COMUNE DI BOTRICELLO Si porta a conoscenza di codesta Amministrazione che il CIPE, con delibera in data 25.1 0.1984 (pubblicata sulla G.u. del 17 .11.1984, n. 317), ha approvato il programma generale di metanizzazione del Mezzogiorno. Ai fini dell’ammissione ai benefici previsti dalla Legge in oggetto, con successiva delibera in data 10.7.1985 (in corso di pubblicazione) è stato definitivamente stabilito al 17-12-1985 il termine di cui al punto 3, ottavo comma, della delibera 25.10.1984. In merito si ritiene di dover fornire i seguenti chiarimenti e raccomandazioni, con riferimento agli adempimenti da espletare da parte delle Amministrazioni interessate, per consentire la più esatta definizione e l’avviamento operativo di detto programma generale. Comuni singoli I Comuni metanizzabili singolarmente (che non avranno optato per la partecipazione ad un bacino di utenza) dovranno richiedere al Ministero 216 dell’Industria, Commercio ed Artigianato, a decorrere dal 17.12.1985 ed entro sei mesi dalla definizione da parte del CIPE dei bacini di utenza, la fissazione dei termini per la presentazione della formale domanda di contributo (con allegato il progetto e la relativa documentazione economicoamministrativa) ai fini dell’inclusione nei vari programmi annuali, comunicando il numero degli abitanti residenti nel concentrico del Comune (come risultanti dal censimento del 25.10.1981). Valgono anche in questo caso le considerazioni di cui al punto precedente in ordine alla opportunità di non procedere immediatamente alla progettazione esecutiva e tanto meno alla esecuzione delle opere. Prima della presentazione della domanda di contributo, i Comuni dovranno aver scelto la forma della futura gestione e, nel caso si optasse per I ‘affidamento in «concessione» del servizio (anziché per la gestione in forma «diretta») aver provveduto al perfezionamento della relativa convenzione ai sensi del T.U. 15.10.1925, n. 2578. 217 CONSIGLI COMUNALI DAL 1964 AL 1985 1964-1970 Paolino Camastra Traversa Pietro Vitaliano Daniele Mario Muccari Laporta Tommaso Maida Rosario Puccio Domenico Barrese Giuseppe Camastra Gregorio Condito Francesco Condito Luig DeMare Tommaso Gatto Vincenzo Gullà Giovanni Puccio Gregorio Viscomi Agostino Altilia Gino Gallucci Pompeo Traversa Giovanni Viscomi Natale - Sindaco - Vice Sindaco - Assessore effettivo “ “ - Assessore supplente “ - Consigliere “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ 1970-1975 Camastra Paolino Traversa Pietro Maida Rosario Muccari Mario Laporta Tommaso Procopio Francesco Lia Paolo Camastra Gregorio Daniele Vitaliano Condito Francesco Gullà Giovanni - Sindaco - Vice Sindaco - Assessore effettivo “ “ - Assessore supplente “ - Consigliere “ “ “ 218 Puccio Gregorio Romeo Gregorio Viscomi Agostino Altilia Gino Galluccci Pompeo Ranieri Vincenzo Viscomi Natale “ “ “ “ “ “ “ 1975-1980 Paolino Camastra Traversa Pietro Laporta Tommaso Maida Rosario Puccio Gregorio Mercurio Rocco Mosca Giuseppe DeMare Tornrnaso Grillone Domenico Iannone Salvatore Lia Paolo Scumaci Luigi Viscomi Agostino Aiello Natale Garigliano Domenico Puccio Giuseppe Altilia Gino Altilia Francesco Fabiano Federico - Sindaco - Vice Sindaco - Assessore effettivo “ - Assessore eff. dal 1976 - Assessore suppplente “ - Consigliere “ “ “ “ “ “ “ - Consigliere (ass. fino al1976) “ “ “ 1980 - 1985 Camastra Paolino Traversa Pietro Gidari Francesco Ieraci Rocco Mercurio Rocco Scumaci Luigi - Sindaco (fino al 18/9/82) - Vice Sindaco - Assessore effettivo “ “ “ 219 Mosca Giuseppe Laporta Franco Iannone Rosario Curcio Rocco Capano Luigi Caterina Pasquale Iannone Salvatore Puccio Antonio Puccio Gregorio Viscomi Giovanni Altilia Gino Iannone Luigi Latassa Ernesto Mercurio Gregorio - Assessore fino al 1983 - Assessore dal 1983 - Assessore fino al 1983 - Assessore dal 1983 - Consigliere “ “ “ “ “ “ “ “ “ Nota: Sindaco di Botricello dal 1964, ho rassegnato le dimissioni in data 18-91982. Ho spiegato i motivi politici con una lunga e circostanziata «lettera aperta alla cittadinanza». Sono stati anni di splendida esperienza, di appassionato lavoro e di inconfutabile impegno, profuso per elevare il paese a rango di ridente e moderna cittadina. Sono stati anni di meraviglioso rapporto con i cittadini, che con grande calore umano mi hanno sempre incitato, incoraggiato, confortato e spronato a bene operare; l’affetto e la stima ricevuti mi hanno ampiamente ripagato e sostenuto negli inevitabili momenti difficili. A seguito delle mie dimissioni il Consiglio ha eletto Sindaco Pietro Traversa. L’impegno di vice-sindaco fu assunto da Franco Gidari. L’Amministrazione Comunale continuò ad operare con impegno ed ardore raggiungendo nuovi pregevoli traguardi. PERSONALE DEL COMUNE In servizio nell’anno 1964: Bumbaca Antonio - Caliò Franca - Callea Francesco - Pizzuti Salvatore - Ranieri Antonio Romeo Antonio; Medico Condotto: Dott. Guido Gimigliano; Ostetrica: Caliò Luigia; ex Dazio: Gigliotti Alberto. 220 Negli anni 1964 - 1985 UFFICI: Caliò Franca, Callea Francesco, Mercurio Gregorio, Mercurio Pasquale, Pizzuti Salvatore, Ranieri Antonio, Scarpino Francesco, Valea Francesco, Mercurio Giuseppe. Fontaniere Piterà Francesco - Custode Cimitero Romeo Luigi - Autista Scuolabus CORPO VIGILI URBANI: Bumbaca Antonio (Comandante), Pignanelli Gregorio, Zumpano Giuseppe SERVIZIO N.U: Falbo Saverio - Autista e responsabile Briatico Gregorio Ombrello Gregorio Romeo Francesco (poi add. manut.) Russo Gregorio (transitato al Prof.) Scavo Giuseppe Talarico Rosario Ufficio ex DAZIO: Gigliotti Alberto Duran Gaspare (transitato Inten. Finanza) Ufficio ex SAUB e Guardia Medica - Latassa Alberto (transit. all’US.L.) MEDICI CONDOTTI: Guido Gimigliano fino al 1976 - Raffaele Camastra dal 1976 BIDELLI: Gatto Antonio (da N.D.) - Loprete Concetta, Mosca Maria, Porciello Carmine, Procopio Gregorina, Ruggero Franca, Romeo Antonio, Russo Carmela, Serrao Antonio, Viscomi Antonio, Viscomi Concetta, Altilia Mariangela (Pr. Op.) Ostetriche: Caliò Luigia, Pugliese Clelia 221 SEGRETARI COMUNALI (Funzionari dello Stato) Schipani Ugo, Gaglioti Stefano, Pettinato Cosimo, Castagnaro Domenico UFFICIO COLLOCAMENTO: Dirigente: Filippelli Fioravante SINDACI DI BOTRICELLO Rag. Gino Altilia 1957 al 1960 (Commissario Prefettizio) 1960 - 1964 (sindaco) Dott. Paolino Camastra 1964 - 1982 (settembre) Sig. Pietro Traversa (da settembre) 1982 - 1985 Prof.Giuseppe Puccio 1985 - 1991 (mese di Aprile) Dott. Agostino Viscomi 1991 - 1995 Dott. Michelangelo Ciurleo 1995 - 2003 Commissione Straordinaria Prefettizia da maggio 2003 al 11/11/03 Dott. Michelangelo Ciurleo una settimana Commissario Prefettizio da novembre 2003 - 2004 Sig. Giovanni Puccio 2004 - 2008 Commissario Prefettizio 2008 - 2009 Dott. Giovanni Camastra giugno 2009 STAZIONE CARABINIERI DI BOTRICELLO COMANDANTI Brig. Filippo Morabito dal 22/8/1962 al 1966 Brig. Mario Grosso dal 1966 al 1983 Brig. Vincenzo Ragusa dal 1983 al 1989 Brig. Angelo Rotella dal 1989 al 1995 Mar. Mario Quero dal 1995 al 1998 Mar. Natale Malagrinò dal 1998 222 CAPITOLO OTTAVO Botricello e dintorni ASSOCIAZIONI LOCALI Botricello giovane sì, ma con tanta voglia di crescere, socialmente e culturalmente. Lo dimostra la nascita di numerose Associazioni. Associazione Artigiana del Teatro . Un gruppo di giovani costituisce ufficiosamente nel 1977 l’Associazione Artigiana del Teatro “A.T.A” che si sviluppa nella Parrocchia come gruppo Teatro-Parrocchia. Nell’aprile dello stesso anno il gruppo allestisce, con grande successo, una rappresentazione sacra “Il Gesù - Il Sinedrio - La Via Dolorosa - La Crocefissione e la Morte” tre atti tratti dal Vangelo. Inizia così una tradizione che si ripete negli anni. Nel 1988 l’ATA viene ufficializzata con atto notaio Liguori. Soci: Altilia Gregorio, Apicella Michele, Apicella Francesco, Caliò Angelo, DeMare Salvatore, Froio Rosario, Grillone Francesco,Gualtieri Antonio,Gullì Rosaria, Lacroce Rosario, Maida Paolo, Mancuso Salvatore, Mosca Caterina, Pignanelli Antonio, Puccio Emanuela, Renda Vincenzo, Sisca Francesco, Scarfone Fortunato, Scarpino Carmine, Stirparo Agostino, Voci Giovanni. Presidente viene nominato Ninì Mancuso. L’Associazione, 225 che non ha scopo di lucro, si propone di promuovere attività di carattere socio-culturale. Il Gruppo, visto il grande favore e calore di pubblico, non si limita alla rappresentazione sacra, ma allestisce mostre di pittura, apre una radio libera, organizza il carnevale e la festa dell’anziano. Nel 2001 cambia genere, dal tragico al comico, con la commedia “megghiu porci”. Seguono altre commedie dialettali ed un gradito ritorno al sacro. Associazione di Volontariato Protezione Ambiente “A.VO.PA:” Ha, tra gli altri scopi, quello di promuovere la cultura dello spazio inteso come spazio, fisico e digitale, e di favorire la diffusione di una consapevolezza ambientale finalizzata al miglioramento della qualità della vita e ad un uso sostenibile delle risorse naturali. Consiglio Direttivo: Gigante Gregorio Amedeo (Presidente), Curcio Rocco (Vice Presidente) e Natale Saverio. Croce Rossa Italiana (Le sua finalità sono note) Commissario: Papaleo Vitaliana AVIS (Le sue finalità sono note) Presidente: Gianfranco Tomaino Vice Presidente: Fittante Antonio Segretario e Tesoriere: Valea Giuseppe Direttore Sanitario: Giovanni Camastra Consiglieri: Marcione Paolino, Talarico Luciano, Tassone Luigi, Rocca Asilo Nido (ora sede CRI e AVIS) 226 Aquino,Viscomi Domenico, Gareri Domenico, Romeo Giuseppe, Virdiglione Antonio, Grande Francesco, Vuono Francesco. Circolo Anziani (Botricello Insieme) Presidente: Maida Gregorio Segretario: Russo Sebastiano Cassiere: Tomaino Gianfranco Consiglieri: LoPrete Giuseppe, Missiti Ferdinando,Vetrò Pasquale, Mercurio Giuseppe, Gatto Francesco Gazebo omaggio della Banca di Credito Cooperativo Centro Calabria di Cropani al Comune per il Circolo Anziani 227 ASSOCIAZIONE “ASSIOPEA” L’Associazione, senza scopo di lucro, oltre all’esame ed allo studio dei problemi delle categorie professionali, per statuto promuove ed organizza iniziative tese al miglioramento della qualità della vita e dell’immagine di Botricello; svolge inoltre attività associative, culturali, ricreative e sportive. Consiglio Direttivo: Presidente: Aiello Maria Teresa; Vice Presidente-Vinci Vittorio. Consiglieri: Altilia Francesco, Chianura Carlo, Condito Domenico, Greco Antonio, Grillone Antonella, Grillone Francesco, Levato Rosaria, Longo Luigi, Mascaro Antonella, Scumaci Luigina, Duran Pietro, Gidari Carmela, Missiti Maria, Brullino Lucia. ASSOCIAZIONE “VIVI LA VITA” (Centro di aggregazione polivalente) Costituita il 24/3/1992, l’Associazione, senza scopo di lucro, ispirandosi alla fede cristiana si propone di: Promuovere attività di carattere socioculturale al fine di sollecitare la partecipazione popolare, l’impegno civile e sociale di tutti i cittadini senza distinzione di classe. Primo Consiglio di Amministrazione: DON TOMMASO MAZZEI (PRESIDENTE), GRECO ANTONIO (VICE-PRESIDENTE), SITÀ AGAZIO (TESORIERE), MOSCA CATERINA (SEGRETARIA), SISCA FRANCESCO ANTONIO, PUCCIO LUIGI, LO PRETE CONCETTA. 228 L’Associazione, negli anni, ha organizzato diverse manifestazioni a scopo socio-umanitario, con raccolta di fondi per le classi più deboli; ha suscitato molto entusiasmo nella cittadina e si registra una grande collaborazione anche fra i non soci, fra i quali si distinguono: Francesco Cozza, Paolino Froio, Giulia Gidari, Ernesto Latassa, Enrico Pappalardo, Eleonora Scarpino e Roberto Tavano. LIONS CLUB Cropani Botricello Sellia Marina Il 27/6/2002 nasce il Lions club Cropani-Botricello-Sellia Marina. Presidenti: 2002/04 Avv. Pietro Funaro 2004/05 Prof. Mario Muccari 2005/06 Rag. Gaetano TreRe 2006/07 Prof. ssa Teresa Guercio 2007/08 Cav. Franco Colosimo 2008/09 Dott. Massimo Camastra 2009/10 Dott. Paolino Camastra 229 CORO POLIFONICO L’Associazione Coro Polifonico “Voces Jubilantes” ha incominciato la sua attività nel 1998 su iniziativa del M° Antonio Sisca, attualmente Presidente. Scopo primario è stato quello di diffondere la cultura della musica ed in particolare della polifonia vocale. Componenti: Luciana Maida, Gina Mercurio, Ivana Muraca, Caterina Procopio, Lucia Puccio, Marina Zappalà (Soprani); Antonella Loprete, Serafina Malarco, Franca Ruggero, Rossella Romano (Contralti); RosarioMercurio, F.Antonio Sisca, Francesco Vuono, Francesco Grande (Tenori); Pietro Grande, Gregorio Puccio, Saverio Puccio, Massimo Mazzei (Bassi). Il coro fa parte dell’Organizzazione Cori Calabria e partecipa a tutte le manifestazioni organizzate: raduni, concerti e rassegne sia Regionali che Nazionali; anima, inoltre, le messe solenni della parrocchia. Nel mese di Novembre 2003 con i cori dell’O.C.C.., nell’aula Paolo VI in Vaticano, ha animato l’incontro del Papa con il mondo della cultura e della comunicazione, in occasione del convegno nazionale “Parabole Mediatiche”. Il coro, a quattro voci miste, è composto da elementi provenienti da varie estrazione sociale, che accomunati dalla passione per la musica corale, con entusiasmo affrontano il forte impegno che la preparazione comporta; la loro espressione vocale è caratterizzata dallo “stile a cappella”. L’impegno e la costanza dei suoi componenti lo hanno man mano indotto a proporsi non solo come coro a cappella, ma anche come coro concertante. La preparazione tecnica è affidata al M° Antonio Sisca, mentre la Direzione è affidata al M° Raffaele Malena. 230 DUE MAGNIFICHE REALTÀ IMPRENDITORIALI In questa nostra terra di Calabria, difficile ed irta di ostacoli, anche la cultura d’impresa può trovare la sua giusta fecondazione, se praticata con passione, intelligenza, onestà,spirito di servizio, solidarietà, professionalità e capacità imprenditoriale. Tra le tante le imprese calabresi che si possono additare ad esempio di efficienza e di operatività, mi pernetto di citarne due che, nello svolgimento della mia professione di dottore commercialista, ho avuto l’onore di aver visto nascere e crescere. La Banca di Credito Cooperativo Centro Calabria e la A.Z. S.p.A. Due “ex cenerentole”, diventate ormai importanti realtà imprenditoriali, costituiscono una chiara dimostrazione che le aziende, se ben governate possono incidere positivamente nel tessuto socio-economico del territorio. Impresa cooperativa, la prima, un’azienda “familiare” la seconda. Due imprese in cui prevale l’elemento umano e che si somigliano nella modalità gestionale: essere profondamente radicate nel territorio, dal quale attingono le risorse e nel quale le reimpiegano; ricorrere a forze giovani e dinamiche ed aiutarle a crescere professionalmente; sapere inculcare nel personale dipendente, un grande spirito di collaborazione. La forza di un’azienda, infatti, oltre all’intraprendenza imprenditoriale, è lo spirito di gruppo, la volontà di stare insieme, senso e convinzione di appartenenza ad una grande famiglia economica in cui tutti,nell’interesse di tutti, danno il massimo apporto. BANCA DI CREDITO COOPERATIVO CENTRO CALABRIA - CROPANI Costituita nel 1991, ha compiuto 18 anni, pertanto, è diventata maggiorenne. La sua grande peculiarità è la vocazione localistica, che la porta a favorire i processi di crescita delle economie locali; la sua forza, la fiducia delle famiglie, delle imprese del no-profit che vedono nella Centro Calabria una banca con l’anima. Una dimostrazione della veridicità delle parole di Giovanni Paolo II che definì le BCC: Banche a misura d’uomo. Alcuni dati: 231 Anno 1991, soci n. 160; personale n. 4 unità. Capitale sociale £ 320 milioni (165 mila circa). Sede sociale, amministrativa ed operativa: Cropani; Anno 2009 soci 1.465 personale n. 44 unità. Direttore Generale: Dott. Pasquale Giustiniani. Patrimonio netto (in migliaia) a fine 2008 euro 20.037. Sede Sociale: Cropani; Sede Amministrativa: Lamezia. E’ stato già avviato il progetto di costruzione della nuova direzione generale a Germaneto, nei pressi dell’Università Magna Græcia. Filiali (in ordine di istituzione): Cropani, S.Vito (fusione per incorporazione), Sersale, Lamezia, Catanzaro Lido, Catanzaro Centro (fusione per incorporazione), Sambiase. La BCC si vanta di essere “differente” e di fare “non solo banca”. Infatti sono numerosi gli interventi a sostegno delle iniziative socio-culturali di Comuni, Associazioni, ed altri soggetti operanti nel territorio. Riporto un esempio molto significativo di “non solo banca” per stimolarue la lettura ed eventuali comportamenti consequenziali dei soggetti interessati, specie degli Enti pubblici. Eurispes: Botricello, Cropani e Sellia Marina Qualità della vita e sviluppo Economico Il Presidente della BCC, Dott. Giuseppe Spagnuolo, sostiene che “chi deve prendere decisioni deve disporre di informazioni sempre aggiornate ed affidabili. Se questa esigenza è vera per tutti i decision maker, lo è ancora di più per chi - fra essi - ha la responsabilità del governo di una collettività locale ed il compito, impegnativo, di programmarne la crescita, in un contesto caratterizzato ormai da una crescente volatilità ed incertezza”. In considerazione di tale esigenza la Centro Calabria ha ritenuto utile far ricercare e mettere a disposizione delle Amministrazioni di tre comuni dell’Alto Ionio catanzarese, contigui e sufficientemente omogenei, cioè Botricello, Cropani e Sellia Marina, una massa strutturata di informazioni socio-economiche sui territori di competenza, arricchita dall’opinione dei cittadini, direttamente interpellati, e dall’analisi dei punti di forza e di debolezza dell’area unitariamente considerata. Il compito è stato affidato all’Eurispes, prestigioso ente di consolidata esperienza in ricerche economiche, politiche e sociali, conoscitore della 232 la nuova costruenda filiale di Cropani realtà calabrese e curatore di studi frequentemente al centro del dibattito politico nazionale e locale. Il risultato del lavoro di ricerca e dell’indagine condotta su un campione di 1800 cittadini, durato alcuni mesi, è stato compendiato nel volume:Botricello, Cropani e Sellia Marina- Qualità della vita e sviluppo Economico; volume messo a disposizione dei tre Enti e di tutti gli altri attori del territorio: la Provincia, la Regione, le forze politiche, le associazioni, le imprese, le stesse famiglie. Il lavoro di ricerca ha inteso osservare le attuali programmazioni dei policy maker locali sul territorio e capire, dall’altra, gli orientamenti futuri delle popolazioni coinvolte nell’ipotesi di associazione ed eventualmente in uno scenario di fusione. Si è partiti, dunque, da un’analisi critica dei principali aspetti della realtà territoriale in esame, prima attraverso l’elaborazione e la lettura dei dati statistici di fonte secondaria, e poi tramite l’interpretazione dei dati primari di fonte Eurispes relativa all’indagine demoscopica sui cittadini, al fine di tracciare una mappa delle opportunità e delle minacce, dei punti di forza e di debolezza, suggerendo ai decisori istituzionali locali e regionali le principali linee strategiche d’intervento per la crescita del territorio. Sono emersi dati interessanti su popolazione e struttura locale, lavoro e formazione, agricoltura, settore extragricolo e turismo. Lo studio espone delle interessanti direttive di crescita ed il ruolo che devono assumere gli enti pubblici, le banche, le associazioni del territorio e gli stessi cittadini. 233 Il lavoro si conclude con una analisi di scenario da porre come base concreta all’avvio di un progetto per la costituzione di una nuova entità territoriale derivante dalla collaborazione dei tre comuni, Cropani, Botricello e Sellia Marina, per promuovere l’integrazione tra le aree in modo da garantire l’efficacia e l’efficienza nell’espletamento delle funzioni loro assegnate dalla legge e dai regolamenti. Assicura,inoltre, il miglioramento della qualità dei servizi erogati ai cittadini ed alle imprese dell’intero territorio comunque, nel rispetto dell’autonomia dei singoli enti aderenti. Si tratta in definitiva di uno strumento di lavoro, a disposizione dei comuni interessati, quale valida base per un’organica programmazione del loro territorio. Consiglio di Amministrazione e Collegio Sindacale Da sinistra: Dott. Giuseppe Spagnuolo, Presidente del C.d.A.; Dott. Ercole Palasciano, consigliere; Dott. Paolino Camastra, Presidente C.S.; Dott. Aldo Funaro, componente C.S.; Ing. Domenico Basile, consigliere; Dott. Massimiliano Tavella, componente C.S.; Dott. Paolino Altilia, consigliere; Sig. Domenico Bertuca, consigliere; Dott. Enrico Dandolo, consigliere; Sig.Salvatore Lupia, consigliere; Sig. Carmine LePera, vice presidente C.d.A. Non figura in foto il consigliere Dott. Eugenio Sgromo. 234 A.Z. SPA - CATANZARO 1979 Nasce il primo supermercato AZ a Catanzaro. Addetti numero 20 1991- Con l’adesione al gruppo VèGè, le insegne si uniformano al marchio SIDIS- Addetti n.196. E’ seguito uno sviluppo sempre crescente con la realizzazione del nuovo Centro Distributivo a Germaneto e di importanti Centri Commerciali (Le Vele a Montepaone, Le Spighe a Crotone, Le Vigne a Castrovillari, Le Fontane a Catanzaro Lido, I Portali a Corigliano, Porto degli Ulivi a Rizziconi. Dette strutture ospitano sei ipermercati che da questo anno 2009 porteranno il marchio Auchan. Completano la rete franchising 17 discount. I collaboratori diretti occupati sono circa 1.700, mentre quelli esterni sono circa 1400 (rete franchising, imprese di servizi, altro indotto). 235 BOTRICELLO: DUE REGALI DELLA NATURA Gennaio 2001 - Botricello sotto la neve (avvenimento raro) Agosto 2009 -Caretta caretta “sbarca” a Costa del Turchese per la deposizione delle uova. 236 I DINTORNI DI BOTRICELLO I dintorni di Botricello sono delle splendide e storiche cittadine che formano un comprensorio dalle potenzialità incredibili per agricoltura, turismo, artigianato, beni culturali, tradizioni, usi, costumi; potenzialità tutte da riscoprire, un comprensorio che se valorizzato ed “unitariamente” utilizzzato può avere un ruolo importante per lo sviluppo dell’intera provincia di Catanzaro. Botricello e dintorni hanno la fortuna di essere situati in un territorio meraviglioso ed ameno, con vaste pianure, dolci colline e superbe montagne; una flora da orto botanico ed un patrimonio faunistico rilevante, favoriti dal corso di tre fiumi importanti (Alli, Crocchio e Tacina) e da una miriade di torrenti che vi affluiscono. Un territorio che il Signore pare si sia divertito a disegnare così bene, tanto da essere paragonato al Giardino delle Esperidi. Il comprensorio si caratterizza per un combinato disposto di mare-monti che ha dell’incredibile, perché, oltre al panorama di incomparabile bellezza, ti consente, in trenta minuti di auto, di raggiungere da zero metri della battigia del mitico mare Jonio i 1500 metri della Sila Piccola, in cui spiccano Buturo, Tirivolo ed il monte Gariglione. Le cittadine, raggiungibili dalla SS 106 in pochi minuti, con strade provinciali e nazionali in via di ammodernamento, portano i prestigiosi nomi di Andali, Belcastro,Cropani, Marcedusa, Petronà, Sellia Marina, Sersale, Simeri Crichi, Soveria Simeri e Zagarise. Andali (ab. n. 870 m.s.l.m. 650) Caratteristico centro agricolo (cereali, castagne,olive) ripopolato (o fondato) da profughi albanesi sfuggiti all’invasione turca nella seconda metà del 400. Si stende sui rilievi sud-orientali della Sila Piccola degradanti sul golfo di Squillace. Belcastro (ab. 1400 m.s.l.m. 495) Arroccato su un’altura che domina l’alta Valle del Nasari, il paese è a prevalente economia agricola; dal IX secolo fu sede vescovile. Nel 1276, al primo censimento voluto dagli Aragonesi, Belcastro contava ben 7.000 abitanti ed era, per dimensioni, la quarta o quinta città del regno stesso. Verso il 1290 venne eretta a Contea 237 Andali Belcastro da Tommaso Duca D’Aquino (cugino di S.Tommaso); da questi prese il nome il magnifico castello, la cui costruzione iniziò nel XIII secolo . Successivamente passò ai Sanseverino (1373-1400), ai Ruffo, ai d’Avalos. Di notevola interesse la Chiesa di S.Michele, della Pietà, di S.Rocco, i ruderi della Chiesa dell’Annunziata ed i portali dei palazzi Poerio e Caracciolo. Cerva (ab. n. 1342 m . s.l.m 800) Piccolo centro agricolo(castagne,uva,cereali,patate) circondato da boschi di castagne,di querce e vigneti. Fondato all’inizio del XVIII secolo, all’inizio venne denominato Santa Croce, successivamente per le frequenti visite di una cerva, mutò il nome in Cerva. Interessanti la Chiesa Parrocchiale ed il palazzo Griffo, sede del museo delle castagne. Cropani (ab. 3286 m.s.l.m. 347) Si trova su di un ameno poggio della fascia collinare presilana in splendida posizione panoramica, una bellissima finestra sul golfo di Squillace. L’economia del paese è a base turistica ed agricola (olive, uva, agrumi, 238 Cerva Cropani cereali),floricoltura e allevamenti. Il paese è di remota origine, di età magno-greca o bizantina. E’ una perla d’arte per il suo bel centro storico e diversi insigni monumenti: il Duomo, dedicato all’Assunta, la Chiesa di S. Lucia del XIII secolo, la Chiesa di S.Caterina d’Alessandria del XVI sec.,la Chiesa di S. Giovanni Battista, con la facciata cinquecentesca, il Convento dei Cappuccini. Il Duomo è un vero gioiello di architettura, con un grandioso portale quattrocentesco, sormontato da una finestra circolare a raggiera e il campanile a base quadrata con cuspide poligonale, al cui interno vi è un pregevole soffitto ligneo, una pittura su tavole ed una statua marmorea. Nel Duomo si conserva anche come reliquia una rotula che la tradizione attribuisce a S.Marco. Si racconta che nel 831 d.c. una galea proveniente dall’Egitto e diretta a Venezia, con a bordo il corpo dell’evangelista S.Marco, fu costretta ad approdare sul litorale di Cropani durante una furiosa tempesta; i veneziani, grati per il soccorso e l’ospitalità dei cropanesi, lasciarono una rotula del ginocchio del Santo. Negli ultimi anni vi sono stati importanti rinvenimenti archeologici:un sito neolitico ed un santuario greco in località Acqua di Friso; ville romane ed una necropoli altomedievale bizantina in località Basilicata, altri siti medievali e romani in località Difesa. 239 Marcedusa Petronà Marcedusa (ab. 556 m.s.l.m. 288) Tranquillo borgo di antichissime origini (forse Bruzie), poi abbandonato, venne ricostruito nel sec.XV e ripopolato da profughi albanesi guidati dall’eroe nazionale shipetano G. Scanderberg. Marcedusa, posta sul versante ionico della Sila Piccola, nella bassa valle del Tacina, è arroccata su un colle circondato da calanchi, architettoniche formazioni di arenaria modellata dall’erosione meteorica. Il paese ad economia agricola (cereali, uva, olive) conserva del suo passato alcune tradizioni, tra cui la lingua degli antenati albanesi. Petronà (ab. 3010 m.s.l.m 889) Il paese, su di un altopiano in mezzo ad un bosco di castagni, è posto nel versante ionico della Sila Piccola, e si caratterizza per clima salubre ed acque freschissime. Da Petronà si gode un panorama suggestivo: alle spalle i monti Giove (m.1240) e\Malavista (m. 1275) e davanti sullo sfondo la linea dello Jonio. Sellia Marina (ab. 5764 m.s.l.m. 82) L’abitato, a pochi chilometri del mare ionio, è posto su di una altura alla 240 Sellia Marina Sersale sinistra del torrente Uria, in passato frazione di Sellia ed elevato a Comune autonomo nel 1957. Centro agricolo (agrumi,uva,olive,cereali) e turistico. Vi sono resti di due ville romane e sono di notevole interesse gli edifici storici di Villa Schipani, Palazzo DeNobili (purtoppo abbandonato e in completa rovina) ed il complesso DeSeta. Sersale (ab. 5166 m.s.l.m. 740) L’abitato è in posizione panoramica sulla falda del colle Angaro. Sorto intorno al 1620 ad iniziativa del barone Francecso Sersale, il paese è ad economia agricola (castagne,ulive, frutta) e abbondante è la raccolta dei funghi. Di notevole interesse la Chiesa Madre del Carmine (sec.XVII). In località Borda è stato rinvenuta una villa imperiale romana con resti di insediamento bruzio; in località Barbaro si conservano,invece, i ruderi di un borgo fortificato medievale. Tracce di monasteri bizantini si rinvengono nelle località Camusa e Monacaria. A pochi chilometri, situato in località Colle Buturo, il villaggio Buturo (m. 1539), immerso nei boschi e natura incontaminata, poi il Monte Gariglione. Simeri Crichi (ab.3836 m.s.l.m. 482) Comune con due centri abitati. Il primo conserva i resti del Convento 241 Simeri Crichi Soveria Simeri dei Cappuccini (1590), del Castello Bizantino (X sec) e della Chiesa Collegiata. Il secondo centro, meno antico, divenne famoso nel 1809 per un eccidio di civili ad opera di briganti sostenuti dagli inglesi nella lotta contro il dominio francese nell’Italia Meridionale. Nel territorio comunale, in località Pietropaolo un sito altomedievale databile tra il VI ed il VII secolo d.c. A Simeri, intorno al 1050, nacque S.Bartolomeo, seguace del monaco basiliano S.Nilo, uno degli artefici dell’opera di riellenizzazione dei territori facenti parte della Magna Grecia e della civiltà bizantina in Occidente. Nell’area del campo sportivo sono state individuate tombe che hanno restituito materiale archeologico dell’VIII-VII secolo a.c. Il paese ad economia agricola, ha ottenuto un notevole sviluppo con il nuovo abitato di Simeri Mare, ove sono sorti rinomati complessi turistici. Soveria Simeri (ab.1632 m.s.l.m 378) L’abitato è disposto su un costone al di sotto del Monte Temponaggi ed è pittorescamente allungato su di un crinale pianeggiante, sovrastante la fiumara Simeri. Sorto sul finire del XVI secolo come Casale di Simeri, quando quest’ultimo centro decadde a causa dell’insalubrità del sito, Soveria posta più in alto, in mezzo ad un bosco di suveri (da qui il nome), 242 Zagarise crebbe d’importanza e si rese autonoma nel 1812. Interessante la Cappella del Calvario e la Chiesa Matrice.L’economia è a base agricola; vi è anche artigianato di vetro soffiato. Vicino al campo sportivo si trovano tracce di insediamenti romani. Zagarise (ab. 1889 s.l.m. 581) Paese di origine medievali, alle falde della Sila, è noto soprattutto per la bellissima chiesa di S.Maria dell’Assunta (1425), rifatta dopo il sisma del 1783, ma non meno interessanti la Chiesa di S.Maria Maggiore, con affreschi del 500, il Museo di Arte Sacra, con opere pure del 500, la torre di Via Gorizia, probabilmente eretta dai Normanni.L’economia è a base agricola (castagne, olive, uva). Notizie assunte da un’Opuscolo della Provincia di Catanzaro e da “Guida Turistica Culturale” del GAL Valle del Crocchio, da cui sono state tratte anche le foto. Il Gruppo di Azione Locale “Valle del Crocchio” è una Società consortile r.l senza fini di lucro costituitasi nel 1996 con lo scopo di assumere un ruolo attivo nello sviluppo dell’area attraverso la gestione del progetto 243 comunitario Leader II. Il Presidente del C.d.A Franco Colosimo, encomiabile per i suoi molteplici impegni nel sociale, è un appassionato di archeologia, anche subacquea. Tra “i dintorni” di Botricello, vista la breve distanza, anche se in provincia di Crotone, bisogna annoverare pure le cittadine di S.Severina e Le Castella. S.Severina Le Castella 244 STALETTÌ (m. s.l.m. 382) L’abitato di Stalettì, posto sul versante orientale delle Serre, è su di un promontorio meraviglioso, che si specchia nell’azzurro mare (l’antico mons Moscius proteso sul navifragum Scylacium di virgiliana memoria), allungato nel golfo di Squillace. Di remota origine, il suo territorio è ricco di testimonianze storiche ed artistiche: dai reperti di età Preellenica della prima età del ferro a quelli d’età cassiodorea (VI sec. D.C). Sulla scogliera, ai piedi del promontorio, si ammira la chiesetta di S.Martino (VI secolo) che ad un lato dell’abside ingloba la c.d. tomba di Cassiodoro. Importante l’antica abbazia di San Gregorio taumaturgo, patrono del paese, le cui reliquie sono ivi conservate e venerate fin dal 1908, anno della sua fondazione avvenuta per volontà del conte Ruggiero. Nella località Copanello sono sorti importanti insediamenti residenziali e turistico-ricettivi. Il centro storico ebbe origine probabilmente in età medievale, per accogliere in luogo sicuro le popolazioni della costa minacciate dalle inncursioni saracene. Verso la fine del 1800, a causa della crisi dell’olio, alcuni gruppi di Stalettì si mossero in cerca di nuove terre per lavorare, che trovarono nelle 245 grandi proprietà del Marchesato, ad ordinamento cerealicolo-pastorale. I primi gruppi si fermarono nei pressi di Botricello, abitando in baracche costruite attorno alle masserie, alle dipendenze dei grandi proprietari, a contatto dei fattori o di grandi affittuari. Si può affermare, che Stalettì è “la madre patria”, il paese d’origine dei botricellesi, che da questa bellissima cittadina hanno ereditato tradizioni, nomi (basti pensare ai tantissimi Gregorio) ed usanze. Significativo il pellegrinaggio che sistematicamente ogni anno si ripete a Torre di Ruggiero. Infatti, in occasione della festa della Madonna delle Grazie(6-9 settembre), Botricello si spopola; un vero e proprio esodo, tutti a Torre di Ruggiero per onorare e venerare la Madonna. Si approfitta anche per trascorrere una giornata di svago, per visitare la fiera e per una salutare scampagnata con amici o parenti. Moltissimi fedeli vi si recano per adempiere al voto, onde mantenere la promessa fatta in contracambio di grazia o di altro bene desiderato. Per questi ultimi la giornata non è soltanto un momento di preghiere o una semplice gita religiosa, ma rappresenta un sacrificio fisico in quanto,spesso, il voto comprende anche la promessa solenne di raggiungere il santuario della Madonna delle Grazie, incamminandosi a piedi e scalzi da Stalettì, una maratona di diversi chilometri. Santuario Diocesano Santa Maria delle Grazie Torre di Ruggiero 246 LA CALABRIA DI LEONIDA REPACI “Quando fu il giorno della Calabria, Dio si trovò in pugno 15 mila Kmq. di argilla verde con riflessi viola. Pensò che con quella creta si potesse modellare un paese per due milioni di abitanti al massimo. Era teso in un vigore creativo, il Signore, e promise a se stesso di fare un capolavoro. Si mise all’opera, e la Calabria uscì dalle sue mani più bella della California e delle Hawaii, più bella della Costa Azzurra e degli arcipelaghi giapponesi. Diede alla Sila il pino, all’Aspromonte l’ulivo, a Reggio il bergamotto,…a Palmi il fico,…a Gioia l’olio,…a Rosarno l’arancio, a Scilla le sirene, a Bagnara i pergolati, alle montagne il canto del pastore errante da uno stazzo all’altro, alle spiagge la solitudine, allo scoglio il lichene, all’onda il riflesso del sole, alla roccia l’oleastro, a Gioia l’olio, a Cosenza l’Accademia, a Catanzaro il Damasco, a Reggio il bergamotto, allo Stretto il pescespada. Assegnò Pitagora a Crotone, Ibico a Reggio, Gioacchino da Fiore a Celico,... San Francesco a Paola, Cilea a Palmi, Alvaro a San Luca………Poi distribuì i mesi e le stagioni alla Calabria. Per l’inverno concesse il sole, per la primavera il sole, per l’estate il sole, per l’autunno il sole… A gennaio diede la cstagna, a febbraio la pignolata, a marzo la ricotta, ad aprile la focaccia, a maggio il pescespada, a giugno lo ciliegia, a luglio il fico melanzano, ad agosto lo zibibbo, a settembre il ficodindia, ad ottobre la mostarda, a novembre la noce, a dicembre l’arancia. Volle il mare sempre viola, la rosa sbocciante a dicembre, il cielo terso, le campagne fertili, le messi pingui, il clima mite, il profumo delle erbe inebrianti. Operate tutte queste cose nel presente e nel futuro il Signore fu preso da una dolce sonnolenza in cui entrava la compiacenza del Creatore verso il capolavoro raggiunto. Del breve sonno divino approfittò il Diavolo per assegnare alla Calabria le calamità, le dominazioni, il terremoto, la malaria, il latifondo, il feudalesimo, le fiumare, le alluvioni, la peronospera, la siccità, la mosca olearia, l’analfabetismo, il punto d’onore, la gelosia, l’Onorata Società, la vendetta, l’omertà, la falsa testimonianza, la miseria, l’emigrazione. 247 Dopo le calamità, le necessità: la casa, la scuola, la strada, l’acqua, la luce, l’ospedale, il cimitero. Ad esse aggiunse il bisogno della giustizia, il bisogno della libertà, il bisogno della grandezza, il bisogno del nuovo, il bisogno del meglio. A questo punto toccò al diavolo prendere sonno ed il Signore svegliandosi incominciò a riportare l’ordine. Purtroppo, i mali scatenati dovranno seguire la loro parabola, ma non potranno più impedire alla Calabria di essere come Dio l’ha voluta.” 248 CAPITOLO NONO Banditi e leggende IL BANDITO ANGELONE E LE SUE STORIE TRUCI La Calabria è stata da sempre attraversata dal fenomeno del brigantaggio, sin dal tempo delle rivolte contro Roma da parte degli schiavi e dei pastori bruzi, guidati da Spartaco, nel 73 a.C. Virulento e sporadico, il fenomeno divenne endemico nel periodo della dominazione spagnola (1503-1707) e poi durante i governi borbonici e francesi, soprattutto come rivolta antifeudale e contro le vessazioni fiscali, ma anche come forza d’urto contro i mutamenti di regime, al tempo delle orde sanfediste del cardinale Fabrizio Ruffo, nel 1799, e dopo il passaggio vittorioso di Garibaldi, nel 1860. Usi alla violenza e alla giustizia sommaria, i contadini e i pastori calabresi facevano esplodere il loro sordo rancore contro i tiranni e i grassatori, come pure contro i galantuomini usurpatori delle terre demaniali e degli usi civici, prima e dopo l’unità d’Italia. La regione divenne terra difficile da percorrere per i suoi stessi abitanti e per i visitatori occasionali, a causa delle numerose comitive di banditi, ritenuti insuperabili per coraggio e per ferocia, figli della fame contadina, che si nutriva di violenze, di rapine e di “rivolte per bande” contro le repressioni sanguinarie. Il brigante Giuseppe Musolino 251 Dal 1861 al 1865 furono uccisi 5.212 briganti e a Catanzaro la ghigliottina cessò di funzionare solo nel 1871, con la decapitazione di Rocco Casalinuovo di Stalettì. All’inizio del ‘900 il brigante calabrese più famoso fu sicuramente Giuseppe Musolino, mentre Serafino Castagna fu l’ultimo brigante enfatizzato dai cantastorie negli anni ‘50: dopo di lui il brigante lascerà il posto al semplice bandito, feroce criminale, non più avvolto nell’alone del mito. Il bandito per antonomasia, di cui tuttora si conserva la memoria nello hinterland catanzarese, fu Angelo Schipani, le cui gesta sono state ricostruite nel 2005 da Giusy Barberio e poi da Giovanni Le Pera Angelone fu condannato all’ergastolo nel 1950, per aver ucciso l’anno prima, in concorso con altri, Maria Carmela Scarpino, Vincenzo Falbo e sua figlia Franceschina e per aver violentato ragazze di Sorbo San Basile, di Taverna, di Zagarise, di Sellia. I giornali dell’epoca lo celebrarono come “il Giuliano della Calabria”, nonostante apparisse assolutamente improponibile l’accostamento col celebre bandito siciliano, autore della strage di Portella della Ginestra e collaboratore dei separatisti isolani e dei poteri forti italiani ed americani, sin dall’armistizio di Cassibile dell’8 settembre 1943. Catanzaro - Porta di Mare “L’Europeo” titolava: “Tradito per diecimila lire il mostro della Sila Nei delitti di Angelo Schipani c’è la mano del demonio”. Testimoni oculari e cronisti lo hanno sempre descritto come “un povero Cristo, incallito nel crimine”; senza l’alone d’invincibilità che avvolge252 va lo stereotipo del brigante, egli evocava al massimo la maschera del “Johala”, il credulone sciocco e bizzarro della tradizione popolare calabrese, ispiratore della “sentenziosità” contadina, oltre che del genere narrativo-faceto della letteratura dialettale. Qualche studioso ha preferito soffermarsi sulla cornice storica nella quale si svolsero i fatti e sul clima di rottura dell’ordine sociale provocato dai “frequenti perturbamenti dell’ordine pubblico” ad opera del movimento per l’occupazione delle terre, guidato dalla Federterra di Pasquale Poerio, Bruno Rocco e Paolo Apostoliti e dalle Acli-Terra di don Francesco Caporale. Nelle campagne calabresi vigevano ancora, di fatto, i contratti iugulatori e feudali, per i quali i baroni delle terre - Barracco, Berlingieri, Gallucci, Lucifero - si riservavano il diritto a prestazioni personali, prevedendo feroci multe per i coloni che “rubavano” i frutti degli alberi, in particolare arance e olive, e anche la possibilità di catturali direttamente e di sparare loro “a sale”. Ogni paese era “un teatro di impensate violenze, di incredibili arbitri, di palesi corruzioni”, di morti, come a Reggio, a Petilia Policastro e a Badolato; a Carfizzi l’agrario Rizzuti sparava impunemente sulla folla dei dimostranti e i carabinieri arrestavano 22 braccianti, uno dei quali, Giuseppe Giorno, veniva percosso e legato ad un mulo con uno sciartu. Il movimento si concluse con l’approvazione della legge Sila, dopo i decreti Gullo, l’uccisione, nel 1946, della contadina Giuditta Levato a Calabricata e l’eccidio dei tre braccianti di Melissa del 1949. Angelo Schipani era un forisa retribuito in “natura”, cioè con derrate alimentari, fu assolutamente estraneo al movimento contadino e mai ebbe l’ardire di emulare Salvatore Giuliano, di cui ignorava l’esistenza. Tuttavia, per qualche tempo, le contrade del Catanzarese furono segnate dalle sue gesta efferate, perché “più che bandito, era un carnefice infame”, alacremente ricercato dai carabinieri. Era temuto da tutti, fino al punto che i bambini troppo discoli venivano apostrofati dagli adulti con l’epiteto emblematico di “schipaneddi”. Il 25 agosto del 1949, Giuseppe Mustari, un bovaro di Zagarise soprannominato “Cìciaru”, riuscì a catturare il bandito in località “Acqua delle donne” e a consegnarlo, ferito e legato con uno sciartu, alle forze dell’ordine, le quali - secondo le voci concordanti di diversi testimoni oculari 253 “ritualizzarono la cattura”, per esigenze giornalistiche, ed esposero il reo al pubblico ludibrio, trascinandolo e deridendolo per le vie del paese, come si faceva con i furfanti e con i ladri, i quali, appunto, venivano fatti “sfilare” con le catene ai polsi e la vertula della refurtiva a tracolla. Il rito - oggi opportunamente relegato tra le anticaglie pseudo giuridiche - voleva essere un monito contro i possibili emuli, in un tempo in cui i delitti più diffusi erano il furto con scasso, l’abigeato, il pascolo abusivo, la rissa, l’ubriachezza molesta, l’omicidio a causa d’onore, il ratto a fine di libidine o di matrimonio. Qualche ora prima, però, Angelone aveva ricevuto la visita in caserma del parroco, don Peppino Cognetti, il quale, fuori da ogni malevola congettura, aveva inteso così esercitare il suo apostolato religioso e civile, memore dell’insegnamento dei Padri della Chiesa: “Se il prossimo tuo ti troverà duro, allora tu troverai duro Dio, se ti farai sordo al suo lamento, neppure tu sarai ascoltato!”. Al processo presero parte diversi principi del foro calabrese, nonostante le infime condizioni economiche degli imputati. Il numeroso pubblico di curiosi, i cronisti e gli inviati speciali delle maggiori riviste italiane ebbero modo di ascoltare raffinate disquisizioni giuridiche, intervallate da dilemmi filosofici, religiosi e antropologici sulla natura del dolore e della morte. Con studiata maestria, l’accusa gridò agli imputati: “Quale diritto vantate, voi uomini scurrili e primitivi, di togliere la vita ad una inerme fanciulla di 17 anni e di buttarla così nel baratro del nulla o sulla soglia dell’oltre?”. Poi giù con la reiterazione delle pesanti valutazioni morali sui due complici e con la sottolineatura della bruttezza fisica dello Schipani e della sua resa senza onore al disordine e al degrado. Grande scalpore sollevò l’interrogatorio della bella baronessa Maglione (Isabella Raito). Giunta in tribunale elegantemente vestita, a bordo di una carrozza scoperta, negò categoricamente di aver subito violenza carnale la notte del 21 giugno ’49, allorquando fu sequestrata in casa con la servitù e, secondo l’accusa, costretta a servire nuda a tavola il bandito, che in precedenza era stato porcaro alle dipendenze del barone. Con la messa in scena della crapula a ruoli invertiti, il redivivo e affamato re dei Saturnali sperava di attuare una sua privata, rozza e dissacrante rivincita e di sovvertire illusoriamente il disegno del destino. A dispetto del clima di contagiosa ebbrezza dell’ambiente cittadino, il 254 comportamento della donna non tradì alcun turbamento né lasciò trasparire la benché minima partecipazione emotiva all’evocazione dello “smacco” subito ad opera di un uomo greve e selvaggio, insolente e volgare, quanto infelice e malandato, il quale, più che muovere i sensi di lei, aveva messo a dura prova il suo stomaco. Tuttavia, giornali e riviste tentarono impietosamente di scorgere in quella triste vicenda la trama pruriginosa di un feuilleton, di una “storia del peccato, della perdizione e del delitto” dei romanzi d’appendice, sulla falsariga de “Il bacio di una morta” di Carolina Invernizio o di “Cuore infermo” di Matilde Serao. A proposito della cattura del bandito, ho avuto l’occasione di conoscere la figlia di Mustari, la quale ha consegnato a una rivista scolastica un suo articolo emblematico sin dal titolo: “Come Tatà prese Angelone” “Angelo Schipani, originario di Sersale […] abbandonato dalla madre all’età di 10 anni, si era guadagnato da vivere facendo il capraio anche se per arrotondare rubava galli e biancheria […] Prima della maggiore età aveva collezionato 15-20 condanne […] divenne il terrore della Sila macchiandosi di efferati delitti […] Le forze dell’ordine gli davano la caccia, ma Angelone sembrava invincibile [….] In questo clima di paura e per proteggere i suoi 5 figli e la moglie, mio padre maturò l’idea di catturare il bandito sanguinario nell’estate del 1949 […] vicino a Buturo. Una mattina, Tatà, mio fratello Francesco e mio zio Domenico si recarono in località Ariano per seminare il grano, quando intorno a mezzogiorno si presenta un uomo che cerca loro un pò di pane perché digiuno da giorni. La cosa si ripete nei giorni successivi: Angelone prende il pane, scambia qualche parola e si allontana nascondendosi in una baracca […]Un cognato di mio padre si premura di avvisare i carabinieri, i quali pensano ad una complicità di mio padre. Lo zio Domenico viene interrogato e picchiato a sangue: a mio padre non resta altro che scappare e catturare il bandito per dimostrare la sua innocenza. Si reca da Angelone, gli racconta l’episodio e per un pò di tempo condivide con lui la fuga fino al punto che il bandito si fida dell’amico. La famiglia ha bisogno, i viveri sono terminati. E’ dunque necessario mettere in atto un piano per catturarlo […] In località Acqua delle donne il bandito si addormenta. Mio padre, tormentato da mille pensieri, si rende conto che deve tradire la fiducia 255 d’Angelone,[…] gli sottrae il sacco contenente la pistola e lo colpisce a un ginocchio per immobilizzarlo. Per il dolore Angelone sviene e mio padre lo trascina verso la segheria dove c’erano gli operai. Ma durante il tragitto Angelone si aggrappa ad un pino e dà una spinta a mio padre, graffiandogli il viso,[…] nasce una colluttazione,[…]mio padre riesce a colpire il bandito con una pietra, facendogli perdere di nuovo i sensi. Cerca aiuto alla segheria, ma la gente per paura si allontana, solo un segantino gli offre una corda con cui legarlo, mentre un ragazzo va ad avvisare le guardie forestali di Buturo [.…] Trova il bandito che con un coltello sta tentando di tagliare la corda, fortunatamente arrivano le guardie forestali alle quali consegna armi e bandito. Alle 11 di quella mattina di luglio, scortato dai carabinieri in motocicletta, il sanguinario bandito viene condotto a Catanzaro, presso la Legione dell’Arma. Mio padre viene convocato in questura, tra il giubilo della gente, gli vengono tributati tutti gli onori del caso e viene medicato e rifocillato. Gli è offerto un lavoro di netturbino che rifiuta perché la sua vita è tra i boschi della Sila. In cambio accetta una ricompensa in denaro, di £ 300.000. Ed è così che mio padre, Giuseppe Mustari, libera la Sila da quell’alone di terrore che l’aveva avvolta per anni”. Per la figlia Giovannina, Mustari ricevette una ricompensa in denaro, per i giornali dell’epoca e per l’opinione pubblica, invece, intascò la “taglia” per il tradimento dell’amico. Infatti il bandito - come nella tradizione brigantesca - continuava a rappresentare l’ultima plebe, i subalterni, tra i quali persistevano valori culturali e ideologie come lo stereotipo del mito del fuorilegge, caricato dalle masse popolari di ruoli sociali e di aspettative straordinari. I cantastorie girovaghi continuavano a battere le nostre contrade, in compagnia del pappagallino della fortuna, raccontando storie truci, favole immorali e l’epos del banditismo rurale, sull’esempio dei Rinaldi napoletani e dei cantàri medievali. Contestualizzare le gesta di Angelone con l’epopea delle lotte contadine calabresi dell’ultimo dopoguerra rappresenta un errore metodologico grossolano, che tuttavia contiene una qualche traccia di verità, poiché il bandito era comunque figlio della marginalità e del disagio, esempio emblematico di devianza sociale. Sia nel racconto della figlia di Mustari che negli atti giudiziari del pro256 Catanzaro: sullo sfondo il vecchio tribunale cesso del 1950, come pure nelle versioni degli informatori orali, emerge la tendenza al racconto iperbolico, per cui s’impone un supplemento di cautela e l’obbligo di ulteriori verifiche, nella ricerca di una verità la più oggettiva possibile. Tale opportunità mi si è presentata casualmente nell’estate del 2005, con l’intervista a Pancrazio Agosto, un ultrasettantenne di Zagarise, emigrato a Milano. “Nel ’40, per tre anni e mezzo, io e Angelone eravamo garzuni accordati nell’azienda dei Caravita, dove guardavamo capre, maiali e buoi, a Serre di Zagarise, assieme ad altri due forisi più grandi, di Magisano, un certo “Fiore da’ manca di cani” e “Franciscu tri grani”. Nel 1941 Angelone rubò agli stessi Magisanisi ceci, fave e formaggio, cioè la roba da mangiare portata dal paese, e si fece 3-4 mesi di carcere. Io dovetti procedere al riconoscimento dell’impronta delle sue scarpe: ad una c’erano i tacci bullette di ferro e i tundini e l’altra era liscia. C’erano le impronte che dal pagliaio portavano fuori. Era stato lui e lo dissi a Caravita…Insomma lo presero alla “Turrricedda”, una casetta colonica. Uscito di prigione si fece paisanu e collega di “Nicola u Melissarotu”, cioè della località di Melissaro. Ad una turra rapirono Francesca Falbo, una ragazza che aveva rifiutato u Milissarotu: scoperchiarono il tetto della turra, uccisero il padre che si 257 faceva forte col dubotti e rapirono la figlia. Per 15 giorni la tennero in una stalla e la violentavano. La nascondevano in una gibbia, dove scorreva il vino nelle vasche, sotto il pavimento; con una cannuccia ci jettavanu nu pocu ‘e latta in bocca (12), perché lei voleva lasciarsi morire e rifiutava il cibo. Gente malvagia. Ad un certo punto Angelone decise di lasciarla andare a casa sua a Sersale, ma la nonna di Nicola gli disse: “Tu la lasci andare e lei ci accusa tutti e va a finire che andiamo tutti in galera, tutto per i comodi vostri”. Angelone allora raggiunse la ragazza a Cipi, a un chilometro da piazza San Pasquale di Sersale, e la uccise con due colpi di fucile. La ragazza non aveva potuto camminare veloce, perché zoppicava per le violenze subite. In quel luogo sorse una conicedda, dove la madre della ragazza andava tutti i giorni a piangere: si formava quasi una processione di gente, sia di Sersale che di Zagarise. Erano dolenti proprio! La vecchia campò poco e morì in carcere all’Isola. Anche Angelone morì in carcere a Catanzaro, perché fu preso a tradimento da Mustari in Sila, vicino Buturo. Lo ubriacò e durante la notte lo colpì alla testa col cozzo della gaccia, lo stordì e lo legò con uno sciartu.Poi lo consegnò alla legge.Al processo vennero i più grandi avvocati, pure di fuori. Poi, ti ho detto, morì in carcere. Nicola, il complice, fu condannato pure lui all’ergastolo.ma poi la pena gli fu ridotta a 33 anni di carcere, per buona condotta. Ho sentito dire che ora è libero e vive a Sersale. Mò dovrebbe essere anziano. Sono 45 anni che manco dal paese: partii nel ’60 e ora che sono pensionato torno solo l’estate e a Natale, ma non sempre. Sono stato accordatu per 8 anni: mi davano da cazare, dormire nel pagliaio o nella baracca, vestire e mangiare. Questa era la vita del forise. Partii soldato che non avevo una lira. Ai due forisi di Magisano, più grandi, Carovita dava 3\4 di grano al mese, senza altri viveri né soldi. Ad Angelone dava 1\4 di grano al mese, ma poteva mangiare alla mandria. Lui aveva un moschetto ad una canna e una pistola a tamburo.Il fucile da caccia per uccidere la ragazza glielo diede Nicola Scalise, u Melissarotu. Insomma, Angelone era uno che entrava e usciva dal carcere come da un albergo, ma sempre per cose di poco, per roba da mangiare, non per oro o denaro. In carcere aveva imparato a lavorare a maglia, all’uncinetto e ai ferri “di legno d’erga”, duro, usato per fare scupuli e che quando u rumpi spara. Li modellava col coltello, era molto abile, e faceva anche il gancetto alla bacchettina. In paese vendeva i pro258 dotti: calze di lana, borsette, maglie, che faceva mentre pascolava le bestie. Così sordiàva. Prima aveva una donna a Zagarise, una vedova, poi un’altra a Sellia, da cui ha avuto due figli, un maschio e una femmina: mi ricordo che l’amante se la curcava prena al pagliaio di Porticello delle Serre di Zagarise; io dovevo dormire all’aperto, fuori dal pagliaio. Durante la sua latitanza mi guardavo: dormivo all’aia sotto la paglia, per non essere scoperto durante la notte. Avevo testimoniato contro di lui, quando aveva rubato ai Magisanisi. Ma che potevo fare, ero un ragazzo. A Milano ho lavorato duro, ma ho trovato fortuna”. Catanzaro - Piazza San Giovanni Col suo racconto, il buon Pancrazio sembra essersi liberato di un peso antico, senza dimenticare d’essere stato un piccolo forise, in una terra di sconfitte e di marginalità, di abbrutimento e di fierezza, dove dominavano la misoginia e la mistificazione della virilità, l’enfatizzazione dell’onore e l’ideologia del coraggio. In quel lontano 1949, la disoccupazione in provincia di Catanzaro superava il 40% della popolazione attiva e il salario giornaliero degli avventizi agricoli era di 420 lire, contro le 1003 lire della provincia di Milano. Dopo le elezioni politiche del ’48 riprese vigore la reazione contadina in Calabria e furono intensificate le lotte, nonostante gli arresti indiscriminati (1705 nel solo Catanzarese); furono occupate nuove terre e attivati gli scioperi a rovescio, con le manifestazioni per l’imponibile di manodope259 ra. Molti paesi sembravano in stato d’assedio, presidiati da ingenti forze dell’ordine in assetto di combattimento. La penuria di beni di consumo e di servizi, l’aumento del costo della vita e il conseguente deprezzamento dei salari avevano fatto esplodere le tensioni sociali, soprattutto nelle campagne e nei comuni pedemontani. La Confederterra organizzava una capillare mobilitazione popolare, sollecitando in ogni paese la costituzione di leghe e cooperative, per la rivendica delle terre incolte o usurpate: 35.000 contadini, operai, artigiani, reduci di guerra e dalla prigionia, disoccupati, vedove di guerra di 96 comuni, dall’alto Crotonese alla zona jonica, al suono della tromba o delle campane, entravano con gli arnesi di lavoro sulle terre abbandonate, per ottenerne l’assegnazione da parte delle apposite Commissioni Provinciali. In un clima di generale rivolgimento, era fin troppo facile “criminalizzare” i protagonisti delle lotte contadine, come pure, per chi aveva dovuto sperimentare le brutture della guerra, era altrettanto forte la tentazione di utilizzare i disordini sociali a fini esclusivamente personali. Insomma, nei salotti buoni, il bandito e il capopopolo venivano spesso confusi e sovrapposti, perché così faceva comodo a quanti paventavano esiti nefasti dal movimento contadino e sollecitavano il ministro Scelba a ripristinare l’ordine, anche a costo di “reincarnare il borbonico Maniscalco”. Si spiegano così i numerosi rinvii a giudizio di contadini e operai, rei d’aver violato gli artt. 2 e 3 del D.L. 14.02.1948, per “aver indossato, in una pubblica manifestazione, il fazzoletto rosso che costituisce la divisa delle formazioni garibaldine”. Non sappiamo quante private vendette e quanti crimini furono consumati durante le grandi ondate di rivolta proletaria, contro le vecchie e le nuove povertà. Emblematico è il telegramma col quale i carabinieri di Sersale segnalavano nel 1950 la singolare manifestazione di un gruppo di ragazzini di 510 anni, i quali percorrevano le vie del paese, muniti di cartelloni con scritte “Vogliamo anche noi il torrone per le feste, non solo i figli dei ricchi devono mangiarselo”, “Vogliamo trascorrere un Natale felice”, “Date lavoro ai nostri genitori”, “I giovani di Sersale vogliono lavoro non armi per uccidere gli altri giovani”. Intervento Arma ragazzi disperdevansi. Sequestrati cartelloni. Si cercano promotori manifestazione indetta scopo protesta mancata distribuzione pacco natalizio ECA”. 260 Una specie di tabù o una forma di prudenza eccessiva hanno condizionato la ricerca storica di quegli eventi, forse per timore di sminuire il valore delle battaglie politiche e sindacali. Per certo Angelone non mostrò interesse per le ragioni delle lotte contadine: non risulta abbia mai partecipato alle manifestazioni per la corresponsione del caropane o per l’imponibile di manodopera e neanche alle occupazioni del latifondo dell’ex demanio feudale di Borda, di Raga, di Misorvo, di Carrozzino, di Cocuzzo, poiché mai intese aderire ad una delle tre cooperative agricole sersalesi né alle organizzazioni sindacali della zona. Tuttavia la vicenda di Schipani ha rappresentato un tentativo di reazione alla marginalità e alla precarietà della condizione di miseria diffusa, che abbrutisce giorno dopo giorno e nega anche la consapevolezza che il riscatto non può essere solo una questione privata. Guasti profondi attraversavano la coscienza popolare, con lo spettacolo del prevalere delle leggi della violenza, della sopraffazione e dell’esclusione, che inducevano ogni disperato a uniformarsi alla logica della sopravvivenza senza garanzie, senza regole e senza certezze. Tale coscienza, invece, si coglie nel buon Pancrazio: la sua nuova condizione sociale agisce come cassa di compensazione delle passate tensioni, ora che la società dei consumi e dell’informazione sembra relegare in ambito folklorico l’antica cultura dei “subalterni” calabresi. (Articolo di Marcello Barberio) 261 BRIGANTI A BOTRICELLO Nel diciannovesimo secolo il catanzarese ha vissuto in modo alquanto intenso e traumatico il fenomeno del brigantaggio. Un brigante (dal sito Calabria plus) Da bambino, dai racconti degli anziani, appuravo che pure Botricello era stata terra frequentata dai banditi, ma dalle ricerche effettuate presso l’Archivio di Stato di Catanzaro e di Lamezia Terme ho trovato soltanto un episodio avvenuto il 29 dicembre 1867. Dal relativo fascicolo, alquanto corposo perché comprende tutto l’iter processuale, riporto soltanto tre documenti che, per il tempo decorso, sono sbiaditi e di difficile lettura. Per facilitare il lettore, ne trascrivo fedelmente due, che compendiano la dinamica dell’avvenimento. 262 1) Verbale dei Carabinieri risalente al 31 dicembre 1867. Carabinieri Reali - Legione di Catanzaro - Compagnia di Catanzaro Stazione di Cropani Oggetto: Cinque individui sconosciuti dichiarati Briganti. All’Ill.mo sig. Pretore del Mandamento di Cropani. Cropani, 31 dicembre 1867 Ho l’onore rassegnare alla S.V. Illma che nella sera del 29 volgente mese verso le ore 9, nella mandria di proprietà di Iannone Francesco fu Vincenzo d’anni 41 da Botricello sito Magliacane, Cropani, si presentarono cinque individui sconosciuti, uno armato di fucile e quattro di scure i quali si dichiararono Briganti di passaggio, facendosi dare da mangiare dal pecoraio Bianco Raffaele fu Luigi d’anni 21 nato in Bianchi e dimorante in Bottotricello, quindi mandarono il pecoraio (segue parola incomprensibile) dal suddetto Iannone con un biglietto dichiarante dover mandare loro entro ore due la somma di seicento Ducati e pane per otto persone, minacciandolo, se altrimenti, di uccidergli tutti i suoi animali, e ciò come vedrà da copia conforme all’originale trasmesso a ll’ill.mo sig. Capitano Comandante la Compagnia dell’Arma in Catanzaro, la quale si rimette qui acclusa a codesta Autorità Giudiziaria firmata dal capo di comitiva Costantino Paonessa; ma il suddetto Iannone nulla mandò loro, ed essi dopo di avere mangiato a forza avuto dal suddetto pecoraio, se ne andarono senza lasciare nessuna traccia. Lo scrivente appena venuto a conoscenza del fatto con quattro suoi dipendenti si recò nel luogo ove si trattenne due notti onde sorprendere i malfattori, ma il tutto riuscì infruttuoso. Dalle interrogazioni fatte al Bianco se conosceva qualcuno dei malandrini, rispose che no; soggiuggendo poi aver pensato che nella parlata gli sembravano di Petronà, e vistiti pecoraio. Dal canto dello scrivente (segue altra parola incomprensibile) non siano briganti, ma (segue altra parola incomprensibile) ladri, perché dalla perlustrazione fatta in quei dintorni non se è potuto avere notizia nel riguardo. Si continuano le ricerche onde scoprire i malfattori. Il Comandante la Stazione - f.to Barberi 263 Verbale Carabinieri 264 Biglietto estorsivo Copia conforme all’Originale Caro Francesco Rimete per questo porgitore mandate Subito Seicento Ducati e un Vertola di pane e Compane per otto persone e Mandate Subito intermine di due ore e se non mandati Subito io vi uccido tutte le pecore e li bovi perché io sono di passaggio e mandati questo che Vio detto che appresso Sarete rispettato e quello che mi mandate me porti la risposta non altro vi Saluto e sono vostro amico capo comitiva Costantino paonessa (segue visto vice Pretore) Da un altro documento si legge: “I dichiarati briganti, dopo aver obbligato il pecoraio della mandria di uccidergli una capra e del pane si dispersero per quelle campagne avendo lasciato detto a certo Bianco Raffaele: Noi cene andiamo, ma domani farci portare il danaro del biglietto (nome incomprensibile) di Mazza territorio di Cerva”. Dopo le relative ed opportune indagini, i presunti briganti sono stati individuati, arrestati dai carabinieri e così identificati: Domenicantonio Muto fu Domenico di anni 32, contadino di Carlopoli domiciliato in Petronà; 265 Sebastiano Tarzia fu Antonio di anni 28, contadino da Cropani; Giuseppe Mazza Pastillo fu Serafino di anni 55 sarto da Carlopoli domiciliato in Petronà; Serafino Talarico Galeota fu Felice di anni 48 contadino da Petronà; Bruno DeBruni fu Luigi Antonio di anni 43 contadino da Colosimi domiciliato in Petronà. Mandato di cattura Il processo durò circa un anno e concluso in Corte d’Assisi di Catanzaro, con la condanna a cinque anni di reclusione per Serafino Talarico e quattro anni per gli altri malviventi (Mazza, Tarzia, Muto e DeBruni). Sentenza dell’8 ottobre 1868. 266 LA NINFA AROCHA Il Crocchio (Arocha, secondo lo storico Plinio), come narra in eleganti versi latini il letterario cropanese Francesco Grano, entra pure a buon titolo a far parte della mitologia classica. Il suddetto letterato descrive secondo la tradizione locale come “Aroca” fosse in origine «una bellissima Ninfa», la quale, disprezzando gli amori pastorali, si dedicò a quelli della caccia tanto cari ad Artemide. Avvenne dunque, che, mentre ella vagava per le campagne in cerca di fiere, un pastore, spinto da sfrenata passione verso questa leggiadra ninfa, la violentò. Il sole fu commosso dalla sventura capitata alla ninfa, che rimase da allora inconsolabile, e la trasformò nel limpidissimo fiume, il quale da allora ricevette il nome di “Ninfa Arocha”. Il pastore però non rimase senza castigo, perché le altre ninfe, avendo saputo dell’infelice sorte capitata alla compagna, convenute assieme, uccisero questi a colpi di pietre. Le pietre che colpirono il pastore furono tanto numerose, che il luogo dove avvenne la lapidazione fu chiamato “Petraia”: “Quod locus ostendit lapidodus, qui modo ab illo Vetrari aeternum servat per specula nomen”. Un’altra antica leggenda narra che due sorelle di Priamo, Attila e Medicastena, fuggite dall’incendio di Troia, edificarono nei pressi del Crocchio un tempio a Hera (Giunone). 267 LA LEGGENDA DU “MONACHICCHIU” Tratto dal documentario Botricello 50 - la parte bianca per la regia di Massimo Ivan Falsetta. Dai racconti dei botricellesi raccolti dal regista in fase di preparazione del documentario è emerso un fatto curioso e originale che tinteggia di mistero e superstizione il territorio della piccola cittadina sullo ionio. Si narra della leggenda di un fantasma che alberga nella frazione “fondaco” di Botricello. Nella chiesetta fatta costruire dagli avi del Marchese Francesco de Riso nelle terre dell’antico feudo, per le celebrazioni religiose a uso della sua famiglia, si narra che nelle sere d’autunno, al calare del sole, il fantasma di un monaco di piccola statura, per l’appunto soprannominato “u monachicchiu” o “monachedu”, attraversi a piedi le terre del marchese partendo dalla chiesetta detta “chiesetta del marchese” fino ai vicini binari della ferrovia. Addentrandosi nel mistero, alla ricerca di una possibile ma poco probabile logica spiegazione, l’autore del documentario, ha sentito le parti in causa: i botricellesi e i proprietari della chiesetta, due le versioni in merito all’uso fatto nel corso degli anni della chiesetta stessa. Fu costruita nel settecento e la famiglia De Riso, trascorsi i secoli abbandona la struttura fino a quando il marchese Francesco de Riso decide di restaurarla, proprio in quella occasione, risalente ai primi anni dello scorso secolo, muore all’interno della chiesetta un monaco per cause rimaste sconosciute, ufficialmente a seguito di un tragico incidente legato ai lavori in corso. In quegli stessi anni, proseguendo nei racconti delle persone locali, il marchese denuncia la scomparsa di una delle sue pistole, custodita gelosamente, così come era solito fare con tutte le sue armi del quale era grande appassionato.Solo una strana coincidenza? La chiesa di fatto da allora è rimasta chiusa per decenni, ufficialmente gli eredi del marchese, intervistati dal regista, hanno giustificato la chiusura tirando in ballo il loro trasferimento in città e la mancata necessità di restaurarla. Pertanto col trascorrere degli anni la struttura ormai in disuso non poteva ospitare i fedeli. Di opinione diversa i botricellesi che la ritenevano sconsacrata. Per volere e collaborazione anche della parrocchia locale, ma soprattut268 to per il ritrovato interesse della famiglia de Riso, riportando alla luce affreschi e oggetti storici d’epoca, la chiesa viene restaurata e aperta al culto dei fedeli. Non sappiamo pertanto dove finisca la cronaca e inizi il mito, resta comunque il fatto che numerosi cittadini continuano a raccontare di avvistamenti autunnali del fantasma du “monachicchiu” aggirarsi tra gli ulivi di quanto resta del vecchio e originario feudo. Massimo Ivan Falsetta, Direttore artistico del “Sila Film Festival”, è un giovane regista che ha partecipato al festival di Cannes 2008, Los Angeles, Venezia ed alla Festa del cinema di Roma, ricevendo diversi riconoscimenti. Chiesetta de Riso 269 CAPITOLO DECIMO Miscellanea PRESENTAZIONE DELLA PRIMA EDIZIONE La presentazione della prima edizione è stata scritta da mio fratello Gregorio, cardiologo. Ritengo doveroso riportare alcune delle sue frasi, perché ancora valide ed attuali. “Risiedo a Roma da tanti anni, ma il mio cuore è rimasto a Botricello, al «borgo», come affettuosamente lo definivamo da giovani studenti. La professione medica mi ha condotto spesso all’Estero; in Argentina, negli Stati Uniti, nel Nord Europa, ovunque ho incontrato concittadini, ho constatato identica nostalgia e lo stesso attaccamento verso il paese natio, perchè le radici non si dimenticano. …omissis…Le notizie sulle origini del paese sembrano un invito ai giovani, perchè le possano approfondire e rendere parte di loro stessi; la vita può essere capita solo guardando al passato, anche se va vissuta in avanti. omissis Per concludere le mie brevi riflessioni vorrei citare un brano di Giovanni Guareschi: «E se l’avvenire dell’albero e il suo progresso verso l’alto sono sopra la terra, le radici sono sotto la terra. E ciò significa che l’avvenire è alimentato dal passato. Guai a coloro che non coltivano il ricordo del passato: sono gente che seminano non sulla terra, ma sul cemento». Dott. Gregorio Camastra 273 274 275 276 S.E. DOMENICO GRAZIANI ARCIVESCOVO DI CROTONE E SANTA SEVERINA Il nostro Arcivescovo è nato a Calopezzati (23/05/1944), ma a tutti gli effetti lo reputiamo botricellese; lui stesso, memore del suo trascorso nella nostra cittadina, ove ha vissuto dal 1974 al 1999, si considera un figlio di Botricello. Dotato di fervida intelligenza, grande cultura, naturale umanità, profonda religiosità e di uno spontaneo senso di umiltà, è stato subito “adottato” dalla nostra collettività che lo ha accolto con stima e tanto affetto; i giovani, in particolare, hanno visto in lui un sicuro punto di riferimento, per le sue molteplici iniziative socio-culturali, oltre che religiose. Ha studiato presso il seminario minore di Santa Severina e presso il Pontificio seminario teologico regionale “S. Pio X” di Catanzaro. Nel 1967 si è iscritto alla Pontificia Università Gregoriana ove ha conseguito la licenza in Teologia Dogmatica e,in seguito, quella in Sacre Scritture presso il Pontificio Istituto Biblico. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale nella cattedrale di Crotone il 5 gennaio 1968, come membro del clero secolare dell’Arcidiocesi di Crotone-Santa Severina, ove ha svolto le funzioni di segretario della curia fino al 1974, e da tale anno al 1976 quella di segretario dell’Arcivescovo. Coadiutore nella parrocchia “SS. Immacolata e San Michele 277 Arcangelo” di Botricello dal 1976 al 1984 è stato nominato parroco della medesima comunità dal 1984 al 1999. Dal 1978 al 1999 è stato docente di Sacra Scrittura presso il Pontificio seminario teologico regionale “S.Pio X di Catanzaro, nonché direttore dell’Istituto teologico calabro “S. Pio X”, aggregato alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli. Ha insegnato religione nell’Istituto Agrario Statale di Catanzaro e ha pubblicato saggi di esegesi biblica. Eletto alla sede vescovile di Cassano sullo Ionio (CS) il 21 agosto 1999, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 10 ottobre di tale anno nella basilica cattedrale di Crotone. Il 21 novembre 2006 venne promosso alla sede arcivescovile di Crotone-Santa Severina, sua diocesi d’origine. Attualmente è membro della Commissione Episcopale per le migrazioni della Conferenza Episcopale Italiana e Presidente Nazionale del Comitato scientifico di Arcipelago Scec. 10 marzo 1910 10 novembre 1910 278 * Importanti documenti sulla chiesa di Botricello “destinata ad essere eretta a parrocchia”, gentilmente forniti da Mons. Giuseppe Misiti Bibliotecario e Archivista, nonché Direttore dell’Ufficio Diocesano Beni Culturali - Diocesi di Crotone e S.Severina. TERREMOTI (da Centro ARSSA) 1795. (...) Pagi huic Episcopatui subjecti sunt quatuor, vulgo dicti Cuturella, Andali, Cerva, Botricello. (...). (Archvio segreto vaticano, Rel. Lim. 1795; Rende G. ARSSA Villa Margherita). Numerosi sono stati i terremoti che nei secoli hanno colpito i paesi della Calabria. Un sisma violento si verificò nel 1638. Dalla descrizione che segue, vista la vicinanza del Tacina, si evince che anche il territorio di Botricello ne fu fortemente interessato. “Nel 1638, l’abitato di Mesoraca subì gravi danni a causa del terremoto, che devastò i paesi della vallata del Tacina. Così è descritto l’effetto da Utius de Urso: “Mesoraca di fuochi 700 nella parte detta la Grecia fu distrutta dalle fondamenta e la restante terra si è intraperta in modo tale che, senza evidente pericolo, e senza gagliarda riparazione, nessun palagio può essere abitato”43.” Un altro terremoto, più recente, si registrò l’otto settembre del 1905. Il Papa, a sostegno delle popolazioni colpite e delle chiese danneggiate, inviò un consistente aiuto in danaro. Alla Chiesa di Botricello, in un primo momento ingiustamente esclusa, fu destinato un sussidio di £ 100. “1911. Il 15 luglio 1911, riunitasi l’apposita commissione arcidiocesana quest’ultima, per venire incontro al desiderio di Sua Eccellenza l’Arcivescovo di correggere l’involontaria svista in danno della chiesa ricettizia di Mesoraca, e di assegnare L. 100 alla chiesa di Botricello, “alla quale, nella ripartizione generale non ebbe nulla, perché assente allora quell’economo”, riducendo il sussidio alla Chiesa di S.to Antonio fuori le mura di S.ta Severina, delibera: “Che ad evitare lo scandalo né laici notifichi meglio per mezzo del m.to reverendo padre Paolo Broccolo, guardiano del convento del SS. Heccehomo, all’arcip. don Domenico Valente e al parroco don Nicola Periti che questa Commisione essendo stata assicurata da persona degnissima di fede come fu malamente impiegato il primo sussidio, spedito al suddetto Parroco per mezzo del Sindaco (si spesero afferma il Periti ma, in realtà, non è così, lire 300 in calce che si lasciò 279 petrificare senz’adoperarla; e inoltre quanto siano di molto inferiori dè rivelati i danni subiti dalla Chiesa della Purificazione; e vista la perizia del capomastro Gaetano Spanò il quale riduce la cifra occorrente à restauri della Chiesa suddetta a lire ottocento e una, ha manifestato il desiderio che sul sussidio di Lire 1450 vengano assegnate in favore della Chiesa della Purificazione lire 800 da spendersi sotto l’immediata direzione ed esclusiva responsabilità di quell’Arciprete don Domenico Valente il quale è persona molto energica e che non si fa facilmente ingannare coadiuvato per altro, da quel Parroco e il resto del sussidio (lire seicentocinquanta ) venga destinato alla Chiesa ricettizia di Mesoraca, alla quale l’Arciprete ha speso di molto”. Si deliberava inoltre di detrarre L 100 dal sussidio spettante alla chiesa di S.to Antonio fuori le mura di S.ta Severina, destinandole alla chiesa di Botricello, di cui L 48 per l’acquisto di “un parato di fiori” (Archivio Arcivescovile S.ta Severina Vol. 034B). Patrimonio Ecclesiastico 1779. (...) nel 1779 gli allevatori che godevano del pascolo in porzioni di fondi della mensa erano: Bruno Scalise (in Botro), Benedetto Colosimo (in altra porzione di Magliacane), un tal Arcuri (in Botricello), un tal Mascaro (nelle gabelle di Raymondo), Costantino Bianco e Pietro Paolo Fragale (in Antonio Marra). (...). (Placanica A., Il Patrimonio Ecclesiastico Calabrese nell’Età Moderna Vol. I, 1972 p. 176-178). La cattedrale di Belcastro (da Archivio storico Crotone)] Secondo alcuni storici “Kallipoleos”, una delle primitive diocesi della metropolia di Santa Severina, altro non sarebbe che Belcastro. Da Genitocastro a Belcastro La città, così detta durante il periodo bizantino, avrebbe poi mutato in Genitocastro, come appare in numerosi documenti di età normannosveva, quando era feudo dei Falloch. Nella prima età angioina, poco prima della metà del Trecento, essa assunse l’attuale denominazione. Secondo alcune testimonianze la città nel Medioevo era abitata da tre popolazioni: ebrei, greci e latini. Nelle collette per la Santa Sede dell’inizio del Trecento oltre al vesco280 vo compaiono anche le quattro dignità, cioè il decano, l’arcidiacono, il cantore ed il tesoriere. Le ritroviamo ancora alla metà del Cinquecento quando la cura delle anime risiedeva nel capitolo 6. In seguito a causa della diminuzione della popolazione, essa fu assegnata al solo arciprete, che divenne il parroco di tutta la città, ed assieme al penitenziere portò a sei le dignità della chiesa di Belcastro, e tali erano ancora alla fine del Seicento. omissis Nel 1592, al tempo del vescovo Orazio Schipani (1591- 1596), annoverava oltre alle dignità otto canonici e 25 preti ma a causa di una pestilenza il vescovo Alessandro Papatodero nel 1597 vi troverà solo 6 canonici e 15 preti. La diocesi compresa tra i fiumi Crocchio e Tacina giungeva fino alla riva del mare e confinava con le diocesi di Catanzaro, Isola e Santa Severina. Essa nel Seicento comprendeva oltre alla città di Belcastro anche i due villaggi di Andali o Villa Aragona, abitato di Albanesi, e di Sant’Angelo o Cuturelle. omissis Alla fine del Settecento la diocesi di Belcastro si arricchisce del nuovo villaggio agricolo di Botricello. Il vescovo Vincenzo Greco di Crotone (1792 - 1807) descrive la cattedrale come un edificio abbastanza elegante e sufficientemente ampio e adatto per la popolazione. Egli nel 1794 fa rifondere due delle tre campane e restaura il campanile. Fornisce inoltre la chiesa di molte sacre suppellettili. Dopo la sua improvvisa morte, avvenuta in Crotone, si avvicendarono nell’amministrazione della diocesi Luigi Maiorana, Luigi Gimigliano, Giovan Francesco d’Alessandro e da ultimo il vicario apostolico Carmine de Grazia, il quale resse l’ufficio fino al 1818, quando la diocesi passò sotto l’amministrazione dell’arcivescovo di Santa Severina. Infatti dopo il Concordato del 16 febbraio 1818 tra Pio VII e Ferdinando IV, una bolla pontificia del 27 giugno di quello stesso anno stabiliva la nuova organizzazione ecclesiastica della Calabria. Il titolo vescovile della chiesa di Belcastro fu soppresso e la città e la diocesi furono aggiunte ed aggregate alla chiesa arcivescovile di Santa Severina. Soppresso il titolo di cattedrale, la chiesa di San Michele Arcangelo fu ridotta ad insigne collegiata. 281 AZIENDA CONDOLEO - SAF - (E.N.C.C.) Superficie di proprietà SAF-ENCC Superficie in gestione Ha 277.39.80 Ha 108.37.00 Ha 385.76.80 Attività produttive: Pioppeti - Eucalitteti - Conifere - Robinia Casuarina Frumento - Orzo - Medicai Zootecnia: circa 200 capi di bestiame. L’Azienda Condoleo del gruppo SAF, anche se in territorio di MesoracaBelcastro, è stata il «fiore all’occhiello» di Botricello, sia per la grande e qualificata produzione e sia per il consistente impiego di mano d’opera. Molti nostri concittadini sono diventati apprezzatissimi esperti, nella produzione SAF e nella meccanica agricola, per avere acquisito una grande professionalità. L’azienda ha vissuto anni di gloria. Era straordinario ammirarla dalla «piazzola», sulla sua collina, perchè appariva come un’oasi nel deserto, un panorama di incomparabile bellezza, una macchia di meraviglioso verde lussureggiante, che si staccava nettamente dall’arido paesaggio circostante. Era avvincente ed estremamente interessante visitare l’Azienda, sia per la varietà della produzione che per il numeroso personale che vi operava; un formicaio di lavoratori (oltre 100) instancabili ed ordinati, un armonico cuore pulsante di vitalità. Lo stesso Comune ha usufruito delle forniture gratuite che l’azienda 282 effettuava in occasione della festa degli alberi, specie per la Scuole. Presenti il Provveditore agli Studi ed il Direttore dell’Azienda, si tenevano semplici, ma significative cerimonie di piantumazione effettuate dagli stessi bambini, che si adottavano un albero. Tutto il verde della scuola media e delle scuole elementari proviene da Condoleo. Era uno spettacolo osservare il rientro degli operai dal lavoro: i primi anni in bici, poi in moto (lambrette o vespe) ed infine in auto. Rispecchia un pò la storia dell’evoluzione di Botricello. Il pomeriggio, al rientro dal lavoro, era piacevole guardare il gruppo in bicicletta, spesso in fila indiana, con il tovagliolo “u sarviettu” della colazione o la bisaccia “vertula” attaccata al manubrio; sembrava di assistere al Giro d’Italia. Costituivano una splendida comitiva di lavoratori, di amici e parenti che sfilavano, fischiettando o canzonandosi a vicenda, in attesa di godersi il meritato riposo in famiglia. Ringrazio Gregorio Puccio che, mnemonicamente, ha ricostruito l’elenco di una parte di ex dipendenti: - Aiello Natale - Aiello Antonio - Alcaro Leonardo - Carnovale Pietro - Casalinuovo Salvatore - Commisso Giuseppe - Condito Paolo - Duran Antonio - Gareri Giovanni - Grillone Domenico - Grillone Salvatore - Iannone Salvatore - Lia Gregorio - Loprete Gregorio - Loprete Saverio - Maida Giuseppe - Marchio Carmine - Minasi Domenico - Pignanelli Luigi - Puccio Gregorio 283 - Pullano Antonio - Ranieri Raffaele - Romeo Agostino fu Francesco - Romeo Raffaele - Romeo Raffaele fu Francesco - Romeo Salvatore - Scumaci Luigi - Scumaci Vincenzo - Viscomi Agostino - Viscomi Giovanni - Viscomi Natale - Voci Giuseppe - Vonelli Salvatore - Lia Paolo - Loprete Gregorio di Salvatore - Lupisella Gregorio - Maida Antonio - Mercurio Salvatore - Mosca Giuseppe - Procopio Gregorio - Puccio Luigi - Ranieri Giuseppe - Ranieri Salvatore - Romeo Agostino di Pasquale - Rorneo Raffaele di Pasquale - Romeo Raffaele fu Tommaso - Scurnaci Antonio - Scumaci Tommaso - Talarico Francesco - Viscorni Antonio - Viscorni Gregorio - Viscomi Salvatore - Vonelli Giovanni - Vuono Stefano 284 Articolo sulla Gazzetta del Sud 1994 • Camastra: due aziende da salvare Un intervento della Regione per difendere l’occupazione e la produttività delle aziende-agricole «Condoleo» di Botricello e «Acqua del Signore» di Soveria Mannelli, legate alla Società Agricola Forestale (Gruppo Cellulosa Italiana) e destinate alla liquidazione, è stato sollecitato dall’Assessore all’Agricoltura della Provincia, Dott. Paolo Camastra e dai rappresentanti sindacali nel corso di un incontro avuto con l’assessore regionale Pino Torchia. Nelle due aziende sono occupate, in tutto, circa cinquanta persone. L’Assessore Torchia ha assicurato “un’impegno sul governo centrale perché la situazione possa modificarsi con un apposito provvedimento legislativo”. Nota: Purtroppo la mitica Azienda Condoleo ha chiuso i battenti ed il suo prezioso patrimonio è passato alla Provincia di Catanzaro. 285 RICORDO DI RAFFAELE CAMASTRA Riporto le espressioni commemorative, sentite e sincere, del Prof. Mario Muccari, perchè fotografano fedelmente il personaggio. «Raffaele Camastra, botricellese, è nato nel 1927. Il 3 marzo del 1953, giovanissimo, ha conseguito brillantemente la Laurea in Medicina all’Università di Roma; poi le specializzazioni ed il perfezionamento (specialista delle malattie dell’apparato digerente e del ricambio, diploma in ostetricia e ginecologia), quindi il matrimonio, i figli, il lavoro, medico scolastico, medico condotto, Ufficiale sanitario; queste le tappe più significative della sua vita. Deceduto nel 1994, dopo 40 anni di professione esercitata nel suo paese con attaccamento e dedizione totale. Una vita per lo studio e per il lavoro che fu per lui come una preghiera. Egli è per tutti un esempio luminoso di operosità, di rettitudine, di attaccamento al dovere, di onestà. E’ comprensibile perciò il compianto generale suscitato dalla sua scomparsa che segna la fine di un cittadino onesto, di un professionista preparato e benefico, di un padre e marito amoroso e premuroso, di un figlio affezionato alla sua terra. Ed alla sua terra egli ha voluto legare la sua esistenza, tanto che la storia della sua vita non può essere separata dalla storia di questo paese; è la storia della vita di ciascuno di noi, abitante di Botricello, che ha incrociato prima o poi nel suo cammino la sua figura di professionista serio, di amico buono e sincero. Nell’esercizio della sua professione che ha svolto come una delicata missione, ha conosciuto il dramma delle umane miserie ed è riuscito ad insegnare a viverle con correttezza e con serena accettazione. E’ stato fedele sempre al suo codice morale e professionale, non è venuto mai meno al suo giuramento di medico, per quanto gli hanno consentito le sue forze e il suo pensiero». Alle belle espressioni del Preside Muccari mi permetto di aggiungere alcune considerazioni personali: Raffaele personificava il vero medico di famiglia; prescriveva il ricovero in Ospedale soltanto se strettamente necessario, spesso accompagnan286 do personalmente il paziente. Non aveva orari di lavoro. L’ammalato lo vedeva comparire nella sua abitazione ad ogni ora del giorno e della notte, con il bello e cattivo tempo; rimaneva caparbiamente al capezzale andando via quando riteneva il pericolo scongiurato, la malattia debellata. Assisteva anche alla nascita dei bambini ed eseguiva personalmente i parti più difficili. Poteva essere considerato medico del comprensorio, in quanto la sua professione lo conduceva continuamente nei paesi viciniori. Mio fratello era l’amico di famiglia, il confidente; non disdegnava di «passare il tempo» dinanzi al caminetto della gente per una tazza di caffè, o sedersi a tavola per un gustoso assaggio di «pipi e patate». Portava un amore smisurato per Botricello e per i botricellesi, i quali gli ricambiavano in eguale misura stima, affetto ed amicizia. Affetto e stima che ancora persistono. Raffaele era per tutti «u dottora Camastra», anzi per come affettuosamente lo chiamavano «u professora». La gente lo ricorda sempre con nostalgia ed inevitabilmente ancora parla di lui; la frase ricorrente è: «u professora pe’ nui è ancora vivu». Il Comune di Roma gli ha dedicato una piazza; il Comune di Botricello, una villa. 287 ARTICOLI DI STAMPA VARI 288 289 290 291 292 293 ALTRE FOTO CIVILTA’ CONTADINA DA ARCHIVIO STORICO A.R.S.S.A. MOSTRA PERMANENTE A VILLA MARGHERITA - CUTRO CENTRO PRODUZIONI SISTEMI DIVULGATIVI AVANZATI Il Centro ARSSA è localizzato presso la splendida dimora di Villa Margherita in agro del Comune di Cutro. E’ una villa di circa 2500 mq che si estende su una superficie di circa 20 Ha. La proprietà, inizialmente del barone de Nobili di Catanzaro e poi del barone Doria di Massanova, fu successivamente acquistata dalla famiglia Barracco verso la metà del 1800. Nel 1880 il barone Guglielmo Barracco fece trasformare la tenuta in un piccolo paradiso. Verso i primi del 1900, il palazzo Barracco ed il suo parco furono ristrutturati intorno al 1930 dal nuovo proprietario, il barone Luigi Barracco. La vecchia dimora, posta al centro della tenuta, venne ristrutturata con la creazione di una bellissima villa denominata “Villa Margherita”. Tale nome è da attribuire al fatto che al barone morì in tenera età una figlia che si chiamava Margherita. La villa e la sua tenuta erano anche oggetto delle frequenti visite della Regina Margherita moglie di Vittorio Emanuele III Re d’Italia, che frequentemente trascorreva le vacanze presso la splendida villa. Presso la struttura funzionano egregiamente il C.P.S.D.A., il Centro di divulgazione agricolo ed il Centro agrometereologico. 294 295 296 297 298 299 300 MOTTI E PROVERBI UTILI Chi non semina non raccoglie. Chi getta un seme lo deve coltivare se vuoi vederlo col tempo germogliare. Chi vuoI farsi amare, amabile deve diventare. L’amico non è conosciuto, finché non è perduto. L’amico falso ha il miele in bocca e il fiele nel cuore. Amore non si compra, né si vende, ma in cambio di amore, amor si rende. Molta apparenza, poca sostanza. Parla poco, ascolta assai, e giammai non fallirai. L’attenta cuciniera ha un occhio in atto di guardar la padella, e l’altro il gatto. Il frutto segue il fiore, e buona vita onore. La bugia è come la valanga: più rotola e più s’ingrossa. Chi semina spine, non vada senza scarpe. Discorso breve, discorso saggio. Il consiglio non va lodato, ma seguito. Usa la cortesia con chicchessia. Denari di gioco vanno come il fuoco. Adoperate ragioni forti, ma parole dolci. Chi semina virtù, fama raccoglie. Un padre mantiene sette figli, ma sette figli non mantengono un padre. I fanciulli hanno l’anima negli occhi. Sole di vetro e aria di fessura, mandano l’uomo in sepoltura. Il dotto molto pensa e poco parla, non pensa l’ignorante e sempre ciarla. Nutri la serpe in seno, ti renderà veleno. Una buona coscienza è un buon guanciale. Metti in uno scatolino la collera della sera per il mattino. La presunzione è figlia dell’ignoranza, e madre della mala creanza. Di tutto quello che vuoi fare e dire, rifletti prima su ciò che può seguire. Cinque sono le strade della saggezza: tacere, ascoltare, rammentare, studiare e fare. L’umiltà incontra onori e cortesie, la superbia solo disprezzo e villanie. Proverbi del mese: 301 Gennaio: Jennaru siccu, massaru riccu. Febbraio: A la Candilora, u vernu è fora. Marzo: I troni e marzu risbigghianu i scursuni. Aprile: Aprila chiovusu, maju ventusu. Maggio: Acqua e maju. Giugno: Simina quandu voi, ‘ca a giugnu meti. Luglio: Quandu canta a cicala addunati a la ficara. Agosto: Agustu capu ‘e vernu giustu. Settembre: A luna e settembra, sei luni cogghia sempra. Ottobre: Tardu vindigna cu vòla bonu u vinu. Novembre: A Santu Martinu s’apranu i gutti e si prova u vinu. Dicembre: Quandu senti i fischietti sonara, chissu è u signu chè venutu Notala. 302 RINGRAZIO: a) persone interrogate: Francesco Nigi Camastra; Mimma Camastra; Vincenzo deGrazia; Tommaso DeMare; Giovanna Grillone; Salvatore Iannone (e Bruno); Salvatore Iannone (vatasarro); Gregorio Maida; Giuseppe Mosca; Gregorio Puccio; Rosario Renda; Giuseppe Rondinella; Francesco Russo; Pietro Traversa. b) hanno fornito foto, notizie o documentazione utile: Archivio di Stato di Catanzaro; Prof.Marcello Barberio; Dott. Ivan Ciacci; barone Giuseppe deGrazia; marchesa Rosanna deRiso; Prof. Luigi Iannone; sig. Carmine Lepera; Sig. Salvatore Lombardo; sig. Ninì Mancuso; Museo del Dialetto di Dasà. Ringrazio inoltre: - Dott. Paolo La Greca e Dott. Giuseppe Rende (ARSSA - Villa Margherita) ed il dott. Agostino Parentela (ARSSA - Catanzaro), per le foto, la documentazione, le notizie e la squisita disponibilità dimostrata. - Avv. Umberto Ferrari, per avermi fornito la genealogia dei de Riso (suoi parenti). - Dott.ssa Maria Grazia Aisa - Ispettore di zona per l’Archeologia; - Gregorio Madonna, per il prezioso “aiuto” fotografico; - Francesco Vuono, per la collaborazione nella ricerca all’Archivio di Stato. 303 NOTE BIOGRAFICHE: Paolino Camastra, nato a Botricello (CZ), ha conseguito la laurea in Economia e Commercio presso l’Università degli Studi di Messina nel 1963. Abilitato all’insegnamento di Ragioneria e Tecnica ed all’esercizio della professione di Dottore Commercialista, è stato docente di Ragioneria e Scienza dell’Amministrazione presso l’Istituto Professionale di Stato per il Commercio di Botricello, ove ha svolto le funzioni di Direttore per 15 anni. Iscritto al PSI dal 1960, pur rimanendo di fede socialista, dall’anno 2000, non ha aderito ad alcuna formazione politica. E’ stato componente del Comitato di Gestione dell’U.S.L. n°15, del Consiglio di Amministrazione dell’EDIS Calabria, quale rappresentante della Regione, del Consiglio Comunale di Botricello dal 1960 al 1990 e del Consiglio Provinciale di Catanzaro dal 1990 al 1995. E’ stato Assessore Provinciale dal 1993 al 1995, Sindaco di Botricello dal 1964 al 18-9-1982 (data delle sue dimissioni), e Vice Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Catanzaro dal 1997 al 2006. Attualmente è Presidente del Collegio Sindacale della Banca di Credito Cooperativo Centro Calabria di Cropani; componente del Collegio Sindacale della Federazione Regionale Calabrese delle Banche di Credito Cooperativo, della AZ S.p.A., della Lamieredil S.p.A. e della COMET srl. E’ Presidente del Lions Club Cropani Botricello Sellia MarinaDistretto 108 YA; Esercita la professione di Dottore Commercialista e Revisore dei conti, con Studio in Botricello. 305 INDICE Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 7 Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Capitolo Primo (sulle origini di Botricello) Origini di Botricello - note . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Recenti scavi a Botricello - Relazione Arslan . . . . . . . . . . . . . . . Il fiume Crocchio (tra miti e leggende) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Torre di Crocchio o Torrazzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Trischene (URIA) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 23 32 35 39 Capitolo II (Casati e vicende del passato) I Marchesi DeRiso ed il feudo di Botricello . . . . . . . . . . . . . . . . Il senatore Tancredi DeRiso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I d’Aquino e la vendita di Botricello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Un episodio del 1848 a Belcastro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Un eroico episodio del Risorgimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I Baroni deGrazia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53 59 61 63 65 67 Capitolo III (Civiltà contadina anni 40/50) Economia botricellese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L’abitazione - provvista del maiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Natalità - Giochi dei bimbi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Attività agricola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Produzione del grano - mietitura e trebbiatura . . . . . . . . . . . . . . Lavorazione del lino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A Filanda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 74 79 85 87 91 96 Capitolo IV (Piano Orientamenti A.T.A.) Stralcio Piano ATA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Origini di Botricello e attività economica fino all’ultima guerra mondiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sviluppo della frazione di Botricello e dell’attività economica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La Comunità di Botricello al 1964 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 307 101 102 108 112 Capitolo V (Anni ruggenti) Venti di guerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Occupazione delle terre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Assegnazione delle terre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Eroi del nostro tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 125 128 133 Capitolo VI (Curiosando) C’era una volta a Botricello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Superstizioni, credenze, usanze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Artigianato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il mare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Botricello dagli anni 60 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 155 158 160 164 Capitolo VII (21 anni di Amministrazione comunale visti da vicino) Botricello dal 1964 al 1985 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Opere realizzate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Urbanistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . P.I.P. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fruits Orobica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Carioca e Costa Turchese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Campo sportivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Istituto Professionale Commercio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Scuola dell’obbligo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . U.S.L. n.15 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Metano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Consigli Comunali dal 1964 al 1985 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173 181 189 194 195 196 198 202 208 212 215 218 Capitolo VIII (Botricello e dintorni) Associazioni locali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Due magnifiche realtà imprenditoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Due regali della Natura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I dintorni di Botricello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stalettì . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La Calabria di L. Repaci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 225 231 236 237 245 247 308 Capitolo IX (Banditi e leggende) Il bandito Angelone e le sue storie truci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Briganti a Botricello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La Ninfa Arocha . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . U monachicchiu . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 251 262 267 268 Capitolo X (Miscellanea) Presentazione Prima Edizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il nostro Arcivescovo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Azienda Condoleo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Raffaele Camastra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Articoli di stampa vari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Altre foto civiltà contadina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Motti e proverbi utili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273 277 282 286 288 294 302 Ringraziamenti e Persone intervistate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 303 Note biografiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 305 309