n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 Scandalo VW: l’elettronica che sa mentire Il mondo si indigna per lo scandalo che ha investito Volkswagen in questi giorni: proprio loro, i rigorosi tedeschi, beccati nel “taroccare” le centraline elettroniche per far ottenere prestazioni eccellenti nei benchmark e nei controlli ad autovetture che evidentemente così eccellenti non sono. Al di là degli evidenti interessi in gioco nella specifica vicenda e della chiara volontà degli informatori americani nell’affossare il motore diesel, nel quale al di là dell’oceano non hanno né tradizione né eccellenze, quello che emerge è che il controllo digitale ed elettronico permette una “programmabilità” che, se usata dolosamente, è in grado di aggirare test e benchmark. Davvero niente di nuovo per chi vive il mercato dell’elettronica di consumo: da molti anni, anche da prima dell’avvento dell’elettronica digitale programmabile, i progettisti realizzano apparecchi pensati (anche) per ben figurare sotto test, a prescindere dalle reali prestazioni nell’uso di tutti i giorni. O addirittura si inventano condizioni particolarissime in cui fare i test per ottenere risultati, o più che altro numeri, che ben poco hanno a che spartire con la realtà. Fu il caso, diversi anni fa, della potenza degli amplificatori: contavano solo i watt e bastava sparare un numero grande a piacere per risultare commercialmente vincenti; anzi, chi non lo faceva, rischiava di essere scartato dal mercato, malgrado prodotti spesso eccellenti. Così sono nati e si sono diffusi i watt DIN e poi addirittura i watt PMPO o i watt musicali, valori non confrontabili tra loro e ovviamente in crescita esponenziale rispetto ai watt “veri”; e ancora misure fatte solo a 1 KHz e non su tutto lo spettro o con distorsioni ammesse anche del 10%. Sempre ammesso che le dichiarazioni delle aziende, poi, corrispondessero a vere e proprie misure e fossero fedeli ai numeri in esse ottenuti. Più avanti arrivarono le follie relative ai rapporti di contrasto dei TV e alle mille metodologie di misurazione inventate per ottenere numeri da favola su display che a occhio nudo apparivano irrimediabilmente sbiaditi. I circuiti “speciali” inseriti solo nel momento della misurazione, i comportamenti “dinamici” delle elettroniche, le metodologie on/off e così via: migliaia di stratagemmi per ottenere contrasti da 1.000.000:1 su TV che forse arrivavano a 1000:1, se aiutati. E questo non fatto dai marchi di serie B ma da tutti i principali produttori, compresi di irreprensibili giapponesi e i potenti coreani. Lo stesso dicasi per il comportamento dei TV con i principali segnali test: per anni i produttori di TV hanno richiesto alle redazioni tecniche - anche a noi - informazioni sulle metodologie di prova e sui segnali test utilizzati; guarda caso una o due generazioni dopo arrivavano TV magari non così belli ma che su quei segnali test fornivano prestazioni eccellenti: semplicemente era stato aggiunto un sistema di riconoscimento del segnale test con corrispondente modifica del comportamento dell’elettronica per ovviare temporaneamente al problema. Né più né meno di quanto ha fatto Volkswagen con le sue centraline. Negli ultimi anni abbiamo assistito poi, tra le altre cose, all’adattamento di alcuni smartphone Android ai principali benchmark: processori e software che “pompano” artatamente le prestazioni, noncuranti dei consumi di batteria, quando riconoscono l’esecuzione del benchmark per poi ritornare a performance ben meno entusiasmanti nella vita di tutti i giorni, nella quale la durata della batteria conta. torna al sommario MAGAZINE Enjoy: “Noi italiani SIAE raddoppia Renzi vuole colpire più creativi, anche la copia privata: i big del web: “Dal oltre120 milioni 02 2017 la Digital Tax” 04 nel car sharing” 05 32 LG OLED 55EG960 ÈIn prova il TVil primo delOLED futuro? di LG con pannello Ultra HD Vinilmania: ecco come nasce un disco 33 giri 23 Visita alla Phono Press di Settala L’unica azienda italiana che ancora stampa dischi “alla vecchia maniera” Roomba 980 il robot “smart” 26 E così via, fino alle auto-certificazioni relative alle classi energetiche degli elettrodomestici: gli apparecchi in classe “A+++ -50%” oramai si sprecano e viene davvero il sospetto che queste certificazioni vengano auto-erogate con troppa facilità e qualche trucco di troppo; addirittura con il rischio che il progetto del prodotto venga calibrato più per rispondere alla procedura formale di misura della classe energetica che per essere davvero efficiente ed efficace nella vita reale. Insomma, di “centraline taroccate” nel mondo dell’elettronica di consumo ce ne sono centinaia di milioni, forse miliardi, ben più degli 11 milioni di veicoli Volkswagen coinvolti dallo scandalo che scalda le pagine dei giornali di questi giorni. Il caso Volkswagen, con il suo clamore mediatico, dovrebbe mettere in guardia anche i colossi dell’elettronica: in certi mercati, quello USA soprattutto, la “falsa testimonianza” sui dati di targa, quando diventa conclamata e occupa le prime pagine dei giornali, è ritenuta dolo grave Il nuovo iRobot si connette alla rete Wi-Fi, mappa tutta la casa e si comanda (anche) con un’app e viene punita prima dalla borsa, che reagisce in pochi minuti, e poi, nei mesi a seguire, anche dai consumatori. Con il danno collaterale ma non trascurabile di far percepire all’opinione pubblica l’elettronica come strumento destinato principalmente a “taroccare” le prestazioni. Va detto chiaramente: il rischio dell’esplosione di una bolla “dati taroccati” nell’elettronica di consumo c’è ed è probabilmente più rilevante di quanto non si pensi: il necessario richiamo alla “moralità” ai produttori è doveroso, anche se probabilmente destinato a cadere nel vuoto. Da parte nostra, continueremo a fare le misure degli apparecchi, applicando i principali benchmark come supporto ai nostri test; ma non smetteremo di chiedere ai nostri lettori di fidarsi soprattutto della nostra esperienza e del nostro “fiuto” da utenti esperti: certi numeri, per mille motivi, non sono (più) buoni indicatori della realtà. Gianfranco GIARDINA IN PROVA 35 IOS 9: ecco perché conviene aggiornare 38 Huawei Mate S Salto di qualità n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE MERCATO Il rendiconto di gestione 2014 di SIAE evidenzia debiti verso gli aventi diritto stabilmente sopra i 900 milioni di euro SIAE deve quasi un miliardo agli aventi diritto La Copia Privata raddoppia: oltre i 120 milioni La chiusura del rendiconto SIAE è in leggero attivo solo grazie agli interessi maturati sul capitale non ancora distribuito di Gianfranco GIARDINA Stiamo andando verso un netto raddoppio dei compensi per copia privata raccolti dalla SIAE, anche ben oltre le previsioni della stessa SIAE. A poco più di un anno dall’introduzione delle nuove (e fortemente aumentate) tariffe del compenso per copia privata, e a pochi giorni dalla pubblicazione del rendiconto di gestione SIAE 2014, è ora di tracciare qualche bilancio. La questione può sembrare puramente tecnica e per addetti ai lavori: lo è, per quello che riguarda i grandi interessi ad essa collegati. Ma il fatto che a pagare siano, più o meno consapevolmente, i cittadini, ne fa una questione di forte interesse pubblico: milioni e milioni che escono dalle tasche degli utenti di tecnologia completamente a prescindere dal fatto che, con i loro apparecchi, facciano uso o meno di contenuti tutelati da diritto d’autore. Lo scorso anno abbiamo pubblicato una corposa inchiesta sulla copia privata e in particolare su quello che succede ai compensi, decine di milioni di euro, dopo la raccolta: criteri e tempi di ridistribuzione e dinamiche, anche finanziare connesse. I percorsi e le logiche di ridistribuzione sono occhio e croce gli stessi; quello che è cambiato pesantemente è l’ammontare dei compensi, istituti con il “decreto Franceschini” a luglio del 2014. Di seguito i compensi per copia privata (valori al netto di IVA) applicati dallo scorso anno su alcuni dei principali prodotti: Smartphone (32 GB o più) 5,20 € TV con funzione PVR 4,00 € PC fissi o portatili 5,20 € Hard disk 1 TB 20 € Qui la lista integrale di tutti i compensi Come previsto, la raccolta per “copia privata” raddoppia Le nuove tariffe, seppur con un mercato dell’elettronica pressoché fermo, stanno portando introiti doppi nelle casse della SIAE: già nel bilancio preventivo 2015 SIAE aveva previsto un netto incremento, con una raccolta stimata di 117,5 milioni di euro contro i 67,1 milioni del bilancio 2013, l’ultimo che non tenesse conto delle modifiche delle tariffe introdotte con il decreto Franceschini. In realtà, la situazione a consuntivo sarà ancora più rosea per gli aventi diritto: SIAE stessa stima di andare oltre il proprio preventivo raggiungendo e probabilmente superando i 120 milioni di euro. Questa previsione è decisamente realistica: infatti SIAE, secondo i dati che la Società stessa ci ha rivelato, ha già messo a segno incassi sul fronte copia privata per ben 80 milioni di euro nel periodo gennaio-luglio 2015, con una media, quindi, di quasi 11,5 milioni al mese. I cinque mesi mancanti dovrebbero portare quindi nelle casse SIAE più o meno altri 50 milioni di euro e più, con un raccolta lorda per copia privata che potrebbe torna al sommario Cosa sono i compensi per copia privata Per chi non lo sapesse, la copia privata è il diritto che un consumatore ha di copiare un contenuto legittimamente acquistato (e quindi tassativamente non pirata) su altri dispositivi di sua proprietà. I contenuti copiati non possono essere ceduti a terzi a nessun titolo, anche non oneroso. Per poter avere questo diritto (che però è sempre più difficile esercitare perché può essere svolto solo nel rispetto delle misure di protezione anticopia) il consumatore è tenuto al pagamento di un compenso che grava non sui contenuti stessi (almeno quelli copiabili) ma su supporti e apparecchi. Per semplicità di gestione, il compenso viene versato a SIAE da chi importa o produce i prodotti assoggettati, che poi carica quest’onere sulla filiera a valle (con incremento di IVA e margine del canale distributivo) fino ad arrivare a consumatore finale. SIAE si occupa, oltre che della raccolta, anche della ridistribuzione di questi compensi, sottratti i propri costi, seguendo alcune indicazioni di legge (per esempio sulle percentuali tra diverse categorie di aventi diritto) e stabilendo autonomamente altri parametri di ripartizione (come per esempio l’incidenza di quota audio e di quota video e così via). quindi attestarsi intorno ai 130 milioni. Proprio il doppio di quanto raccolto nell’ultimo anno di vecchie tariffe: non sbagliavamo, quindi, quando, più di un anno fa parlavamo di “prelievo doppio” in virtù delle tariffe fissate dal Ministro Franceschini. Il valore di raccolta per copia privata riportato nel rendiconto di gestione 2014 della SIAE, pari a 77,8 milioni, non risente interamente dell’aumento delle tariffe: queste sono entrate in vigore nel luglio scorso; le dichiarazioni dei produttori/importatori sono trimestrali; poi, con normali tempi amministrativi SIAE emette le fatture corrispondenti e queste, con normali tempi contabili, vengono saldate. Questo ha fatto sì che solo gli ultimissimi pagamenti dell’anno si riferissero alle nuove tariffe. L’andamento della raccolta per copia privata degli ultimi anni è indicato nel grafico qui riportato: Un andamento il cui trend è in fortecrescita, malgrado la raccolta 2015 sia probabilmente sottostimata: mai, neanche negli anni in cui gli utenti facevano realmente un po’ di copia per uso privato, la raccolta aveva superato gli 85 milioni di euro. Che lo faccia, sfondando e andando ben oltre quota 100 milioni, ora che farsi una copia privata (e legale) di un contenuto è quasi impossibile, oltre che inutile, è un fatto decisamente notevole e che evidenzia tutte le fragilità del decreto Franceschini. SIAE vive dei “propri interessi” Il rendiconto di gestione 2014, pubblicato da qualche giorno, dà una fotografia generale della SIAE pressoché analoga a quelle degli ultimi anni: la Società degli Autori ed Editori sarebbe in grave deficit se non avesse i proventi finanziari, ovverosia le rendite del capitale investito in banche, fondi, obbligazioni e titoli. Infatti il margine operativo di SIAE vede un rosso di quasi 27 milioni di euro, stabile rispetto allo scorso anno: la società perde quindi stabilmente diverse decine di milioni di euro nella sua gestione tipica, l’intermediazione di diritti. E aggiunge poi altre perdite per attività straordinarie. SIAE nel corso del 2014 ha ottenuto una remunerazione finanziaria dei fondi investiti pari al 3,27%, un tasso che molti italiani vorrebbero poter avere sui propri risparmi. Questo ha fruttato interessi segue a pagina 03 n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE MERCATO SIAE: rendiconto 2015 segue Da pagina 02 attivi per oltre 35 milioni di euro ai quali vanno sommati altri 5 generati da plusvalenze su vendite di titoli in portafoglio. Più di 40 milioni che raddrizzano ancora una volta il bilancio SIAE, che posta nel 2014 un utile prima delle tasse di circa 5 milioni (3,5 dopo le tasse). Senza proventi finanziari staremmo parlando di un passivo di 35 milioni capace di spingere SIAE verso l’ennesimo commissariamento. Il baco dei “debiti verso aventi diritto” Ma come fa SIAE a realizzare proventi finanziari così cospicui? Ovverosia, dove prende il capitale che investe e che ha fruttato 40 milioni nel 2014? Semplice, il capitale investito, in larga parte, non è di SIAE ma degli “aventi diritto” e si compone principalmente di diritti d’autore prelevati e in attesa di ridistribuzione. La cifra “monstre” dei debiti verso gli aventi diritto ha oramai stabilmente superato i 900 milioni di euro attestandosi nel 2014 a 912 milioni di euro; di questi 147 fanno capo alla gestione della copia privata: tenuto conto della raccolta media delle ultime gestioni, si tratta di una cifra in attesa di distribuzione pari a oltre due anni di raccolta. Di certo ci sono motivi “tecnici” per questi ritardi, oltre che molti accantonamenti legati a ricorsi vari e che sarà possibile sbloccare solo più avanti. E se nell’ultimo anno i debiti verso gli aventi diritto per i diritti d’autore “tradizionali” sono un po’ saliti, va riconosciuto a SIAE di aver leggermente ridotto quelli relativi alla copia privata, scesi di circa 4 milioni (il 2,6%); da circa quattro anni, in ogni caso, i debiti per copia privata si mantengono nell’intorno dei 140-150 milioni, come si può vedere nel grafico qui sotto: I debiti totali verso gli aventi diritto, che comprendono al proprio interno anche quelli per copia privata, hanno avuto un andamento pressoché piatto, come si vede in questo grafico che mostra sia quelli derivanti dalla gestione della copia privata che quelli della gestione dei diritti d’autore primari. torna al sommario Si tratta in pratica di un valore che sfiora il miliardo di euro e che si ritrova pressoché intatto nell’attivo di bilancio in investimenti in fondi, titoli e disponibilità liquide. Da SIAE ci fanno sapere che sono stati fatti pagamenti in capo alla copia privata per oltre 100 milioni nel corso dell’anno, ma evidentemente i proventi, aumentati più che proporzionalmente, hanno tenuto stabili i debiti verso terzi. Con il previsto raddoppio degli introiti da copia privata, è presumibile pensare che a regime, cioè in un paio d’anni, possano raddoppiare anche i circa 150 milioni debiti di SIAE verso gli aventi diritto, portando il livello di indebitamento verso gli aventi diritto di SIAE a sfondare il tetto del miliardo di euro. Questo vuol dire per SIAE poter contare su proventi ancora più alti in interessi attivi: nel corso del 2014, i 147 milioni di debiti verso aventi diritto per copia privata, hanno reso quasi 5 milioni di interessi, stando al rendimento medio ottenuto da SIAE; un valore, che – come dicevamo – non potrà che raddoppiare, a meno che SIAE non snellisca e acceleri le proprie procedure di contabilizzazione e ridistribuzione, che evidentemente – lo dicono i numeri – sono ancora molto lente. Sicuramente più lente delle procedure di incasso: i crediti riferibili alla copia privata a fine 2014 non arrivano al milione di euro, lo 0,65% dei corrispondenti debiti verso gli aventi diritto. Insomma, una SIAE che sembra veloce a incassare, con crediti pendenti inferiori all’1% della raccolta, ma molto più lenta nel ridistribuire, con debiti verso gli aventi diritto al 200% della raccolta. I costi di SIAE sulla copia privata Spese a piè di lista, ma costanti con l’aumento della raccolta Oltre a fare propri i chiari vantaggi finanziari derivanti dalla permanenza per un paio d’anni dei proventi per copia privata nelle proprie casse, la SIAE applica una trattenuta sulla raccolta che rimborso dei propri costi. La trattenuta viene fatta in via preventiva su base forfettaria, con un prelievo intorno al 6% per l’anno 2014 (circa 4 milioni e 600mila euro), ammontare che comunque viene poi conguagliato sulla base dei costi realmente sostenuti per la gestione della copia privata. Infatti in SIAE esiste – ci dicono dall’amministrazione - una precisa contabilità analitica relativa alla sola copia privata, che poi determina a piè di lista, quale sarà il costo che SIAE tratterrà sui proventi lordi. Da SIAE ci spiegano che le nuove tariffe introdotte dal decreto Franceschini portano a un raddoppio degli introiti pur senza incidere considerevolmente sui costi assoluti di raccolta, che restano sostanzialmente gli stessi. Per questo SIAE prevede che, una volta andati a regime i nuovi livelli di tariffazione, i costi di gestione di SIAE possano attestarsi su una media del 3% della raccolta lorda e non più del 6%, mantenendosi a livello assoluto sempre intorno ai 5 milioni di euro. Un atteggiamento corretto quello di SIAE nell’applicazione dei propri costi, che quindi non dovrebbero salire con il raddoppio del prelievo, seppur la logica del “piè di lista” a consuntivo non stimoli certo la società ad attivare comportamenti virtuosi e di maggior efficienza. Viene da chiedersi, piuttosto, perché la contabilità separata che SIAE ha già in casa relativa alla copia pri- vata non possa essere resa pubblica: da SIAE ci fanno sapere che non sussiste alcun obbligo, né di legge né statutario, legato alla pubblicazione della contabilità separata per i compensi da copia privata (c’è invece per altre fattispecie, come per esempio, la bollinatura dei supporti). Considerato che parte dei proventi per copia privata che SIAE intermedia sono destinati a entità terze e scollegate da SIAE stessa (come Univideo, Nuovo Imaie, Fimi e così via), la pubblicazione della contabilità separata della copia privata sarebbe un gesto di trasparenza sicuramente apprezzabile. Le restituzioni per gli usi professionali Non si sa a quanto ammontano Fino allo scorso anno SIAE ha sempre messo a bilancio come voce separata la consistenza di un fondo rischi per le restituzioni per usi professionali dei compensi per copia privata. Questo fondo, con l’analisi degli incrementi e dei decrementi, permetteva di stimare con buona approssimazione l’ammontare delle richieste di rimborso da parte di utilizzatori professionali che, a norma di legge, non devono essere assoggettati ai compensi per copia privata. La SIAE negli anni scorsi ha aumentato considerevolmente l’ammontare del fondo e di conseguenza anche dei proventi da copia privata trattenuti in attesa di eventuali richieste di rimborso, che ammontano a fine 2014 a oltre 25 milioni di euro. I corrispondenti rimborsi per usi professionali, secondo le nostre stime dello scorso anno, erano però decisamente contenuti, sotto il milione di euro all’anno. In quest’ottica le cifre accantonate da SIAE appaiono quantomeno sovradimensionate. Nel rendiconto di gestione 2014, SIAE ha modificato la classificazione di bilancio di questo aspetto, azzerando il fondo rischi per restituzioni usi professionali e annegandolo in un fondo rischi vari non meglio dettagliato, rendendo di fatto impossibile anche la stima da parte nostra delle effettive restituzioni per usi professionali sulla base dei dati di bilancio. L’amministrazione di SIAE, da noi interpellata, non è stata in grado per le vie brevi di comunicarci l’ammontare delle restituzioni per usi professionali, ma non è da escludere che il dato ci venga comunicato: nel caso ne daremo immediata notizia. Il dibattito sulla copia privata resti aperto e venga resa pubblica la contabilità separata L’anno prossimo i conti SIAE vivranno un momento di forte discontinuità perché andranno a regime le nuove tariffe dei compensi per copia privata: e proprio la copia privata, ipotizzando il resto della raccolta dei diritti d’autore sostanzialmente stabile, finirà per pesare per circa il 20% del totale dei diritti intermediati da SIAE. Una cifra importante, con una pletora di aventi diritto in cascata in uno o due passaggi successivi, che muove molti interessi e che meriterebbe – come abbiamo detto – la pubblicazione della contabilità separata. Qualche perplessità invece la desta l’industria dell’hardware: tanta comunicazione fatta nei periodi subito precedenti all’approvazione dei nuovi compensi segue a pagina 04 n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE MERCATO Le multinazionali che fanno utili in Italia dovranno pagare le tasse nel nostro Paese Renzi: “Dal 2017 in Italia la Digital Tax” Stangata in arrivo per i colossi del web L’Europa potrebbe però anticipare tutti con una soluzione già entro il prossimo anno L di Roberto PEZZALI e multinazionali devono pagare le tasse dove fanno gli utili. Una frase sentita tante volte in relazione al delicatissimo tema dell’elusione fiscale, e a quanto pare finalmente ci si avvia verso una soluzione. Soluzione che potrebbe essere europea, se l’Europa farà in fretta, oppure italiana. Il presidente del Consiglio Renzi ha infatti annunciato l’arrivo dal 1 gennaio 2017 di una nuova “Digital Tax” che andrà a colpire le multinazionali che, sfruttando l’attuale legislazione, spostano i guadagni all’interno di paradisi fiscali evitando di pagarle nei paesi dove la tassazione è più elevata. “I grandi player dell’economia digitale e mondiale, che per me sono dei miti, perché Apple è bellissima e Google è bellissima – ha dichiarato Renzi - hanno un sistema che gli permette di non pagare le tasse nei luoghi dove fanno business. Stiamo aspettando da due anni che ci sia una legge europea e attenderemo anche tutto il primo semestre del 2016, ma dal 2017 immaginiamo una Digital Tax che vada a far pagare le tasse nei luoghi dove fanno business. Non si arriverà a cifre straordinarie e non basteranno a risollevare l’economia, ma la Digital Tax è una questione di giustizia” Difficile capire quale soluzione vorrà adottare il Governo, anche perché Renzi parla di una soluzioone tutta nuova: viene in mente la proposta di legge presentata qualche mese fa alla Camera dai deputati di Scelta Civica Giuseppe Quintarelli e Giulio Cesare Sottanelli, che prevede una ritenuta alla fonte del 25% sulle transizioni digitali e il recupero di circa 2/3 miliardi sulla base di 11 miliardi di imponibile. L’Italia ha provato più volte a introdurre una sorta di regolamentazione fiscale per multinazionali come Amazon e Apple, ma tutte le volte le proposte sono state respinte in quanto il tema sarebbe da affrontare a livello europeo: il deputa- to del PD Francesco Boccia aveva ad esempio presentato un emendamento alla legge di Stabilità per la reintroduzione dell’obbligo di partita iva per chi vende servizi pubblicitari in Italia, emendamento poi respinto. Ora, Europa o non Europa, la Digital Tax si farà, anche se uno dei grossi bersagli europei ha pensato bene di adeguarsi prima di essere colpita. Amazon, più volte al centro di indagini per questioni legate proprio all’elusione fiscale, dal 1 maggio 2015 ha infatti aperto partita iva italiana e ha iniziato a pagare tutte le tasse sui beni venduti tramite i suoi store di e-commerce, emettendo regolare fattura italiana. Apple acquisisce Mapsense per mappare i big data Apple fa ancora parlare di sé per l’acquisizione di Mapsense, una startup di San Francisco che si occupa di fornire strumenti di sviluppo per elaborare big data geolocalizzati provenienti da varie fonti, aggregandoli e rendendoli visivamente fruibili su mappe. Secondo indiscrezioni, Apple avrebbe sborsato una cifra tra i 25 e i 30 milioni di dollari per portare nel proprio quartier generale il team di 12 esperti guidati dall’ingegnere Erez Cohen, fondatore di Mapsense. La piattaforma di sviluppo cloud based rilasciata da Mapsense lo scorso maggio aveva subito attratto l’interesse di clienti in vari ambiti tra cui quello finanziario, governativo e naturalmente pubblicitario, annoverando nella lista anche aziende della Fortune 500, la classifica stilata dalla nota rivista che include le 500 maggiori imprese statunitensi per fatturato. Siamo ormai abituati ad acquisizioni del genere da parte delle big company, che sfruttano le potenzialità della open innovation per far proprie idee e competenze esterne al fine di ottenere rapidamente un vantaggio competitivo. Ma nel caso di Apple, probabilmente, si sta cercando di colmare il ritardo accumulato sui servizi di geolocalizzazione rispetto alla concorrenza. MERCATO SIAE: rendiconto 2015 segue Da pagina 03 per copia privata si è trasformata, ancora una volta, in un assordante silenzio. Eppure le argomentazioni sollevate dall’industria per osteggiare un aumento dei compensi sono ancora valide e sostenibili; e, ora che i consumatori pagano (quasi sempre senza saperlo) i nuovi compensi, lo sdegno dei produttori sembra essere sparito. Allo stesso modo stupisce non vedere più attive le associazioni dei consumatori: sull’argomento non tornano più, anche se le storture del nuovo regime tariffario a confronto con la continua evoluzione dello scenario tecnologico verso lo streaming audio e video (ora arriva anche Netlix) sono sotto gli occhi di tutti. Il tavolo di lavoro congiunto tra SIAE e le associazioni dei consumatori (Federconsumatori prima e Adusbef dopo) tanto pomposamente annunciato quasi un anno fa come un’apertura verso la trasparenza della gestio- torna al sommario ne della copia privata, non sembrano aver prodotto alcunché, ammesso che siano mai stati convocati. Lo stesso dicasi per il tavolo comune tra SIAE e AIRES, l’associazione dei retailer, anch’esso oggetto di annunci e comunicati stampa: non si hanno tracce di alcun lavoro su questo fronte. Noi continueremo, anche se quasi da soli, con pacatezza e il consueto rigore, a informare sullo stato dei prelievi per copia privata: 120 milioni di euro, due euro a testa all’anno per ogni cittadino, neonati e anziani compresi, che gli italiani stanno pagando senza saperlo per avere un diritto che in larghissima parte non esercita- Un momento della firma dell’accordo tra Rosario Trefiletti no. E che, anche se volessero, quasi di Federconsumatori e Gino Paoli, allora Presidente di SIAE. sempre non potrebbero esercitare. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE MERCATO Faccia a faccia con Giuseppe Macchia, il manager ENI a capo di Enjoy, il servizio italiano di car sharing delle “500 rosse” Enjoy: “Italiani più creativi, anche nel car sharing” Un’attività a regime dopo meno di due anni dal lancio, che sta aumentando gli investimenti e progettando una crescita continua P di Gianfranco GIARDINA rosegue il viaggio di DDay.it nel mondo del car sharing, l’esempio più lampante e rivoluzionario di come si possano combinare, potenziandole, alcune tecnologie che – prese a se stanti – diamo oramai per scontate: la geolocalizzazione, il telecontrollo, l’accesso dati in mobilità, il tutto tenuto assieme e potenziato dagli smartphone e dalle app. Non a caso, a due anni dalla sua introduzione, il car sharing è entrato prepotentemente nelle abitudini degli abitanti delle città coperte ed è senza dubbio la fattispecie di “sharing economy” più popolare e di successo. Dopo aver incontrato Gianni Martino, amministratore delegato di Car2Go, il primo player ad aver lanciato il servizio, abbiamo intervistato Giuseppe Macchia, Vice President Smart Mobility di Eni, praticamente il “capo” di Enjoy. Con lui abbiamo trattato una serie di temi come la sostenibilità del servizio e le sue prospettive, senza evitare le questioni legate alle recenti polemiche sul “caso Milano”. DDay.it: Come sta andando? Possiamo trarre qualche bilancio dopo quasi due anni dal lancio? Giuseppe Macchia: “A me piace parlare utilizzando i numeri, perché sono dati inequivocabili e oggettivi, sui quali non si possono fare troppo voli pindarici. Da non più di mezz’ora (10 settembre 2015, momento dell’intervista, ndr), abbiamo superato i 200mila iscritti a Milano e stiamo per raggiungere i 350mila complessivi. Tutto questo in soli 20 mesi di attività su Milano, unica città già a regime; dopo aver aperto Roma a giugno 2014, che sta andando a regime; e poi con altre due città, Firenze a novembre 2014 e poi Torino ad aprile di quest’anno, che sono ancora in fase di lancio. Credo che si tratti di numeri letteralmente impressionanti e credo non possiamo che esserne molto contenti”. DDay.it: Di questi 350mila iscritti, quanti sono attivi, ovverosia hanno già fatto dei noleggi? Macchia: “Stiamo parlando di oltre il 75%, quindi un numero molto elevato. Se una persona si iscrive a un servizio lasciando dei dati molto importanti, che non sono solo quelli anagrafici ma sono quelli della patente e di una carta di credito o prepagata, evidentemente signi- fica che è interessata al servizio e che prima o poi lo utilizzerà. Il tasso di conversione, che non è al 100%, è legato solo al fatto che alcuni iscritti ancora non hanno avuto l’occasione di utilizzare il servizio per la prima volta; dopo che lo si prova, l’utilizzo generalmente diventa molto frequente”. DDay.it: in passato avevate espresso la previsione di raggiungere con Enjoy il break even nel 2016: è un obiettivo ancora attuale? Macchia: “Quello che possiamo dire è che stiamo continuando a fare sviluppo, e quindi nuovi investimenti: è evidente che il break even si sposta leggermente in avanti…” DDay.it: Milano, che gode di una situazione più stabile, lo raggiunge? Macchia: “Milano sta andando oltre ogni previsione e, se presa come entità a sé stante, possiamo dire che ha raggiunto il suo break even. È chiaro che comunque Milano va inserita in un business che vede anche le altre città e l’introduzione di nuove modalità operative con i relativi investimenti. Per esempio, rispetto ai nostri competitor, abbiamo introdotto lo scooter sharing, che è molto interessante per i clienti ma determina degli investimenti importanti che possono allungare i tempi di rientro. Però ci teniamo molto all’offerta combinata auto e scooter perché ci mette in condizione di pensare anche a città più piccole o a centri storici in cui sarebbe impensabile attivare il servizio tradizionale con le masse critiche necessarie”. DDay.it: A questo proposito, come sta andando l’esperienza dello scooter sharing, anche se per ora la flotta è di qualche decina di mezzi? Macchia: “Il numero dei noleggi al momento non lo rendiamo pubblico, ma lo divulgheremo presto. Quello che posso dire è che in questo momento a Milano è stata attivata metà della flotta prevista, flotta che completeremo arrivando a 150 scooter entro la fine di settembre. I numeri sono più che incoraggianti, siamo molto contenti”. DDay.it: Qualche utente ha sollevato alcune perplessità legate all’igiene: i caschi in dotazione passano di testa in testa… Macchia: “Questo è un punto sul quale abbiamo lavorato tantissimo. I caschi vengono igienizzati ogni volta che lo scooter viene pulito e manutenuto dai nostri incaricati; addirittura c’è una squadra specifica che si occupa degli scooter. E poi ci sono delle cuffiette mononuso da indossare prima del casco, per evitare il contatto diretto della testa con il rivestimento interno…” DDay.it: Qualche cliente ogni tanto segnala la mancanza delle cuffiette… Macchia: “Non ho mai avuto segnalazioni in tal senso. Volendo essere positivi, se le cuffiette sono finite è perché lo scooter è stato tanto noleggiato. Scherzi a parte, se i clienti che non trovano la cuffietta segnalano il problema al nostro call center ci mettono in condizione in intervenire al più presto con una nuova fornitura”. DDay.it: Anche nel caso degli scooter, si tratta di un noleggio a flusso libero, ovverosia nel quale si può lasciare il mezzo ovunque, purché all’interno dell’area operativa? Macchia: “Esattamente. Noi abbiamo replicato quello che avviene con le auto utilizzando gli scooter. In questo caso possiamo dire che i mezzi a due posti ce li abbiamo anche noi, oltre alle 500 che sono a 4 posti…” segue a pagina 06 torna al sommario n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE MERCATO Intervista a Giuseppe Macchia - Enjoy segue Da pagina 05 DDay.it: Anche a 5 posti nel caso della 500L. A questo proposito, la scelta della 500L da dove nasce? Non è più complicato gestire un parco disomogeneo? Macchia: “Quando siamo partiti a Milano, le 500L facevano già parte della flotta iniziale. Le abbiamo inserite quasi per fare un esperimento. Il test dal punto di vista del cliente è andato molto bene. Non escludiamo di ripeterlo nelle città dove potrebbe avere senso un mezzo più grande. Certamente c’è un tema anche di costi: passare dalla 500 alla 500L richiede investimenti aggiuntivi non banali; tra l’altro noi abbiamo deciso di non variare la tariffa… In ogni caso stiamo facendo delle valutazioni.” DDay.it: Veniamo ora alle novità sul fronte del car sharing dettate dalle modifiche tariffarie introdotte a Milano ad agosto da Car2Go e resisi necessarie – a dir loro – per riequilibrare la disposizione della flotta, troppo concentrata nella cintura periferica della città. La domanda più generale è questa: il modello di car sharing a flusso libero su Milano, con le regole del bando di Milano, sta in piedi o no e a quali condizioni? Macchia: “Noi pensiamo che il modello possa stare in piedi. Milano ha fatto una scelta diversa da quella delle altre città, vincolando l’area operativa. Ma Milano è anche la prima città nella quale abbiamo iniziato e in cui abbiamo il maggior numero di iscritti. Un dato inequivocabile è che più aumenta in numero di iscritti e più la distribuzione delle auto all’interno del territorio avviene in maniera omogenea. È evidente che c’è un tema di ‘ricentro’: quello che afferma Martino di Car2Go è corretto, non possiamo dire che non ci sia un effetto ‘centrifugo’. Però noi abbiamo l’idea di lavorare insieme al Comune per cercare di mitigare questo effetto, per esempio dotando il centro di una serie di stalli dedicati al car sharing, per i mezzi di tutti i gestori, dove poter far rilasciare con più semplicità e più agevolmente la vettura, determinando così una rotazione più alta…” DDay.it: Buona idea. L’avete proposta al Comune? E cosa dice? Macchia: “Certamente l’abbiamo proposta. E il Comune si è mostrato aperto. Abbiamo la grande possibilità di fare le cose insieme alla Pubblica Amministrazione per una volta in maniera positiva. Il problema c’è ed è un problema per tutti: anche per il Comune è un problema se ci sono poche auto in centro. Noi vogliamo sederci a un tavolo con tutti gli attori in campo per contribuire a definire nuove regole condivise che risolvano il problema senza creare discriminazioni. Le discriminazioni non fanno bene al mercato…” DDay.it: Secondo Car2Go finché non si tocca l’area operativa o quantomeno la si rende non più obbligatoria, non ci sono altre soluzioni… Macchia: “Per come la vediamo noi, l’area non era un problema insormontabile prima; lo è ancor meno adesso che abbiamo usufruito, come tutti gli altri gestori, della riduzione del 4% (legata all’estensione del servizio anche a qualche comune dell’hinterland, ndr), che ci ha permesso di tagliare delle zone che erano inutili e che non portavano valore aggiunto al servizio. torna al sommario Noi per esempio abbiamo fatto un’operazione molto importante per aumentare la disponibilità di auto, semplicemente modificando il sistema di prenotazione: il tempo di prenotazione gratuito del veicolo è recentemente passato da 30 a 15 minuti, portando un beneficio enorme in termini di aumento della disponibilità delle auto…” DDay.it: È arrivata anche qualche lamentela? Macchia: “Forse la prima settimana, ma una quantità davvero ridotta. Quando le persone hanno capito che avevamo fatto i conti in maniera tale da favorirli e non sfavorirli, le lamentele sono sparite. E, a parità di flotta, i noleggi sono aumentati. Adesso stiamo facendo l’esperimento sull’area metropolitana, con l’estensione ad alcuni comuni dell’immediato hinterland di Milano: non possiamo ancora dire come stia andando, serve un po’ di tempo per le valutazioni. Certo è che se non si è disposti a provarci, non si potranno mai avere dei dati su cui basare la strategia del futuro. Noi riteniamo che un cliente della periferia di Milano non sia diverso da un altro del centro di Milano, come neppure da uno dell’area metropolitana”. DDay.it: OK, ci sembra di capire che sentiate il problema molto meno di Car2Go… Macchia: “Beh, ma noi abbiamo fatto anche delle scelte strategiche che ci difendono un po’. Per esempio, parliamo del caso molto frequente di persone che dalla periferia prendono una macchina per passare la serata in centro: molto spesso, se noleggiano con Enjoy, decidono di mantenere la macchina in sosta e di non rilasciarla. In fondo le nostre macchine portano 4 persone, che possono dividersi la spesa, e abbiamo messo a punto delle tariffe per la sosta assolutamente convenienti (6 euro/ora, ndr): in questo modo i clienti non fanno viaggi a senso unico e mantengono il sistema in equilibrio. Per questo spesso la sera sulla mappa si vedono poche macchine in centro, ma in realtà le macchine ci sono, con i nostri clienti che ne mantengono in possesso per essere certi di rientrare verso casa quando vogliono”. DDay.it: Voi comunque fate delle operazioni di riposizionamento della flotta? Macchia: “Sì, le facciamo, anche se in quantità limitata, dati i costi correlati. Per esempio il riposizionamento accade quando facciamo il carburante alle macchine, di fatto cerchiamo di far coincidere le due operazioni, portando poi le vetture in punti strategici per la fascia oraria.” DDay.it: Certo, perché nel caso di Enjoy sono i vostri operatori a fare il rifornimento, non i clienti… Macchia: “Sì, per il momento lo facciamo noi… Anche perché l’occasione è buona non solo per riposizionare e fare il pieno, ma anche per fare la pulizia e la manutenzione necessaria. Sfruttiamo in tal senso le strutture che abbiamo sul territorio, come le EniStation”. DDay.it: L’aumento della flotta che avete annunciato di recente è finalizzato a mitigare l’imperfetta distribuzione delle vetture sul territorio o per sostenere l’area che si è estesa ad alcuni comuni dell’hinterland? Macchia: “C’è tutto dentro. È evidente che se ci muoviamo con i trend di crescita che stiamo sperimentando, dobbiamo anche supportarli, altrimenti finisce che i clienti si trovano davvero senza le macchine: questo è un tema. L’altro è quello legato all’estensione dell’area operativa. Ma va detto che quando termineremo l’aumento previsto della flotta, avremo aumentato la densità media di veicoli per chilometro quadrato, che è il vero elemento di differenziazione. Il cliente deve trovare le nostre macchine nel raggio massimo di 400500 metri: questo è quanto noi desideriamo”. DDay.it: L’esperienza dell’utente Enjoy, sin dall’inizio, è nettamente superiore a quella della concorrenza, dato che ci si iscrive interamente online, senza bisogno di andare in un punto fisico, e l’iscrizione è del tutto gratuita. Car2Go ha affermato a DDay.it che questa procedura non si potrebbe fare per motivi normativi: bisognerebbe riconoscere fisicamente il possessore della patente… Vi risulta? Macchia: “Quando l’ENI si muove, lo fa sempre in maniera molto ligia alle regole. Noi abbiamo fatto le nostre verifiche perché sapevamo di rompere una barriera dematerializzando il processo di iscrizione. L’abbiamo fatto a ragion veduta e si è rivelata una scelta vincente. Noi abbiamo un contratto standard firmato con la Motorizzazione Civile, che è l’ente preposto alsegue a pagina 07 n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE MERCATO Una fonte del ministero smentisce categoricamente la possibilità di una tassa per Netflix e soci: nessuno la vuole Tassa del Governo su Netflix? Falso: ecco cosa succederà “Vogliamo che investano in Italia”. Ecco quali sono i veri piani per il rilancio del cinema e delle produzioni italiane di Roberto PEZZALI essuna tassa di scopo per gli operatori video che vorranno investire in Italia, anzi, ci sarà pure agevolazione fiscale per le aziende che realizzeranno produzioni di respiro internazionale. Fonti del MiSE ci hanno infatti confermato che le notizie apparse su alcuni quotidiani sono totalmente prive di fondamento, frutto probabilmente della lettura di una sola parte del documento. La parola “Tassa di scopo”, presente effettivamente all’interno del documento intitolato “Rafforzamento del settore audiovisivo”, era riferita esclusivamente alle soluzioni scelte in Francia e in Germania. In Italia, ci assicurano, l’ipotesi è stata scartata da tutti coloro che hanno partecipato alla riunione ai margini del Festival del Cinema di Venezia, broadcaster inclusi: tutti, da Rai a Mediaset, non ritengono giusto tassare gli operatori stranieri che investono in Italia, sarebbe sufficiente che pagassero le tasse nel Paese dove operano. Il piano per rivitalizzare le produzioni italiane però c’è, ed è ambizioso e pure condivisibile: in Italia si produce tan- N to e si esporta poco, soprattutto perché le nostre produzioni non sono appetibili sul mercato internazionale. Il mercato è avido di serie TV, eppure sono poche le serie italiane che piacciono all’estero: per ogni stagione di Gomorra che viene prodotta, ci sono almeno 20 serie in stile “Carabinieri” e “Elisa di Rivombrosa” che un pubblico streaming-oriented difficilmente potrebbe guardare e apprezzare. “Produciamo tanto per massimizzare gli ascolti tra i sessantenni” – aggiunge la nostra fonte – “è ora di cambiare”. Ecco perché il Governo ha intenzione di agevolare fiscalmente le aziende e i produttori che realizzeranno opere pensate per un mercato globale, nella speranza che le case di produzione locale possano attrarre i investitori internazionali alla ricerca di contenuti esclusivi. “Netflix non va tassata, va accolta a braccia aperte perché se inizia a investire in Italia ne giova tutto il settore” – conclude. Tra le indicazioni dei Governo ci sono anche alcuni vincoli legati alle licenze e ai diritti: oggi vengono concesse troppe deroghe a chi dovrebbe destinare, secondo una delibera euro- pea, il 10% della propria programmazione a opere di natura europea e nazionale. Queste deroghe non ci saranno più: Disney, che non riesce ad arrivare al 10% e ha ricevuto una deroga da Agcom, dovrà investire per produrre contenuti da noi, in Europa. La vendita dei diritti deve prevedere inoltre una distribuzione globale: troppe opere vengono vendute per essere tenute nel cassetto o trasmesse solo su un canale, senza sfruttare i mezzi che la tecnologia oggi mette a disposizione. Tra le proposte del documento ci sarebbe quindi anche una sorta di “accordo” tra broadcaster e committente per spingere un’opera alla massima valorizzazione. A fare da esempio per la rinascita delle produzioni italiane ci sarà la Rai: ai nuovi vertici infatti il Governo ha imposto una internazionalizzazione delle produzioni, missione condivisa anche dal nuovo direttore della Rai Antonio Campo Dall’Orto. Basta fiction per vecchi, se vogliamo crescere serve un prodotto migliore. MERCATO Intervista a Giuseppe Macchia (Enjoy) segue Da pagina 06 l’emissione, alla verifica, al controllo e alla sospensione delle patenti e sicuramente i nostri controlli sono ferrei, perché li facciamo direttamente e in tempo reale sul database della Motorizzazione Civile. Quindi il fatto che non ci sia l’intervento di un operatore, che potrebbe anche sbagliarsi, è per noi garanzia di maggiore sicurezza. Ciò detto, il regolamento di Enjoy parla molto chiaro: chi lo vìola, per esempio guidando una macchina senza essere intestatario del noleggio, ne risponde civilmente e penalmente”. DDay.it: Ma quindi non esiste una normativa o una legge che impone il riconoscimento di persona di chi noleggia un veicolo? Macchia: “A noi non risulta alcuna normativa in merito. Quello che possiamo dire è che la nostra procedura rispetta tute le regole; anche perché siamo ENI e saremmo dei pazzi a operare fuori dalle regole. Ciò posto, se qualsiasi cittadino si impossessa della tessera di un competitor come Car2Go, sale in macchina e fa cose pazze, non è la stessa identica cosa? E questo anche se l’intestatario è stato riconosciuto di persona…”. DDay.it: Ci permetta di ragionare per assurdo: i vostri competitor, che appartengono anch’essi a gruppi importanti e in qualche caso hanno già lunga espe- torna al sommario rienza nel car sharing, come mai non hanno pensato a fare come voi, con il database della Motorizzazione e così via? Lo capisce anche un bambino che è molto meglio una procedura di iscrizione interamente online… Macchia: “A mio avviso la risposta è molto semplice. Il vantaggio di essere stati ‘follower’ è stato quello di poter analizzare quanto già fatto da altri sul mercato e cercare di fare anche una cosa migliore. I due fattori chiave di successo di Enjoy, al di là del prezzo più basso e della macchina migliore, sono la procedura di registrazione completamente online e la totale assenza di una card. In questo modo abbiamo creato una totale rottura con i modelli esistenti di car sharing…” DDay.it: Non a caso Car2Go ha attivato una procedura di inizio noleggio senza card… Macchia: “Certo, dopo di noi. Car2Go non fa quello che facciamo noi sulla registrazione probabilmente perché loro operano in oltre 30 città di tutto il mondo e dovrebbero modificare a livello centralizzato il loro sistema; inoltre, con nostra grande sorpresa, la Motorizzazione italiana mette a disposizione un servizio che in Europa non c’è, almeno, dalle nostre verifiche non l’abbiamo ritrovato, neanche in Germania…” DDay.it: Questa è una buona notizia per la nostra agenda digitale… Macchia: “Dirò di più: per questo servizio noi abbiamo fatto i complimenti alla Motorizzazione. All’epoca ci dissero che con questo servizio, che è erogato a molte società, come gli autonoleggi tradizionali, la Motorizzazione realizza dei ricavi che ne fanno l’unico o uno dei pochi enti pubblici in attivo”. DDay.it: Quindi, con un servizio digitale non solo si aumenta il servizio al cittadino, che può iscriversi al car sharing da casa sua, ma aumenta anche la sostenibilità della macchina pubblica… Macchia: “Assolutamente sì. Noi abbiamo anche chiesto di avere questo servizio a livello europeo, per controllare anche i dati delle patenti estere, in modo tale da estendere a questi clienti il nostro servizio. Gli italiani hanno dimostrato ancora una volta di essere più fantasiosi e flessibili; e di cercare delle soluzioni che andassero oltre il concetto del ‘si è sempre fatto così’”. DDay.it: E la questione dei neopatentati? È vero che un neopatentato può iscriversi a Enjoy, salvo poi, in teoria, guidare senza copertura assicurativa? Macchia: “Non mi risulta, dato che il collegamento con il database della Motorizzazione ci permette di avere il dato della prima emissione della patente. Stiamo comunque facendo delle verifiche. In ogni caso il fatto di richiedere la patente da almeno un anno aveva un tema iniziale di sicurezza, delle persone e delle macchine, oltre che una valenza sul fronte assicurativo. Stiamo lavorando anche su questo aspetto: credo che elimineremo a stretto giro anche questo vincolo”. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE MERCATO Intervista a Liu Tibin, presidente di Changhong, azienda cinese che vuole conquistare il mercato dei TV in Italia Changhong: “Tra 10 anni saremo come Samsung” Changhong è presente ora in Italia con un proprio ufficio che cura direttamente la distribuzione sul territorio nazionale D di Roberto PEZZALI opo Haier, Hisense e TCL arriva in Italia anche Changhong, azienda cinese di elettronica di consumo con sede a Mianyang. Changhong è una azienda storica, nasce nel 1958 e oggi genera un fatturato di $ 15,1 miliardi di dollari (2014), dispone di 12 centri di produzione, 5 centri di R & D, e 35 filiali in Cina, con prodotti e servizi che arrivano in oltre 100 paesi. Changhong è presente ora in Italia con un proprio ufficio che cura direttamente la distribuzione sul territorio nazionale, appoggiato per l’assistenza post-vendita da una serie di centri sparsi sul territorio. Quali sono le prospettive di crescita e la strategia l’abbiamo chiesto a Liu Tibin, Presidente e General Manager di Changhong e a Chaim Ning, Managing Director per l’Europa. DDay.it: Mercato italiano: che aspettative avete e obbiettivi avete? Dove volete arrivare? Chaim Ning: “Ci siamo posti un obbiettivo a lungo termine, l’espansione in Europa è parte della nostra strategia di espansione globale. Potrebbero volerci dieci anni per diventare come Samsung, ma ci arriveremo, l’obiettivo è quello.” DDay.it: Il vostro nome, Changhong, è forse quello che suona più orientale di tutti tra i vari brand di elettronica di consumo che arrivano dalla Cina, si pensi ad Haier, Hisense, TCL. Terrete il vostro nome o sceglierete un altro brand? Liu Tibin: “Per voi europei la pronuncia è difficile, lo sappiamo, ma a terremo questo nome perché riflette il nostro brand. (In Cina si chiama Sichuan Changhong Electric ndr). Anche Samsung suonava orientale ed era difficile da pronunciare 20 anni fa, quindi avevano lo stesso problema. Ora le cose son cambiate. Abbiamo anche un altro brand , Chiq, che useremo per alcune categorie di prodotti “smart”.” DDay.it: Prezzi bassi e supermercati o prodotti Premium in superfici specializzate che possono competere con Samsung, LG o Sony? Ning: “Changhong è uno dei marchi più grandi in Cina, se siete stati all’Ifa avete visto la nostra line up. L’obiettivo è competere sulla gamma medio alta, anche con prodotti Premium.” DDay.it: Abbiamo visto che avete anche l’OLED curvo Ultra HD... Ning: “Si, abbiamo l’OLED, abbiamo i TV curvi, abbiamo TV con le stesse funzioni di Samsung e LG e si vedono con la stessa qualità. Abbiamo anche funzioni speciali come “TV Anywhere”, che abbiamo sviluppato appositamente per l’Europa. Agli europei piace lo sport, e con TV Anywhere puoi guardare in cucina o a letto la TV con il tablet o lo smartphone sfruttando il Wi-fF.” DDay.it: Avete tanti centri di sviluppo, ma centri design? Non pensate sia utile averne uno in Italia? Ning: “Tutto il design viene fatto in Cina, gli uffici marketing locali danno indicazioni su quali sono tendenze e preferenze dei vari mercati.” DDay.it: Avete tre categorie di prodotti, TV, smartphone e elettrodomestici. Gli smartphone sono il Uno dei TV OLED Changhong recentemente esposto alle principali fiere di settore. torna al sommario Liu Tibin, Presidente e General Manager di Changhong. mercato più duro, la TV è medio difficile, gli elettrodomestici forse sono quelli più semplici. Su cosa punterete? Ning: “Il TV è il nostro prodotto di punta, abbiamo usato il TV per sviluppare canale e marchio in Europa. Adesso arriveranno anche tutti gli altri prodotti. Siamo davvero grandi, sapete? Siamo la più grande azienda di compressori per elettrodomestici in tutto il mondo, forniamo i compressori per frigoriferi a Bosch, Indesit e a tante altre aziende.” DDay.it: Tutti gli altri brand cinesi si sono alleati o hanno comprato brand occidentali noti, TPV ha Philips, Hisense ha Loewe, TCL ha Thomson. Ci sono sul mercato tanti brand liberi, avete obiettivi di acquisizione? Ning: “Lo abbiamo detto, terremo e vinceremo con Changhong. E in Europa puntiamo a vendere per il prossimo anno 1.5 milioni di pezzi, aiutati anche da una grande campagna pubblicitaria. Uno dei modelli LED lanciati negli ultimi anni. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Finita la “telenovela” di Rai4 che approda a una posizione interessante L’accordo non prevede corrispettivi da parte di Sky e ciò potrebbere sembrare “strano” Premium Online alla prova Champions di Gianfranco GIARDINA ufficiale: il numero 104 di Sky va a RAI 4. Così il quarto (e finora decisamente in secondo piano) canale dell’emittente pubblica accede a una posizione sul telecomando decisamente interessante, almeno in relazione ai quasi cinque milioni di famiglie abbonate al gestore satellitare. La conferma arriva dopo giorni di dibattito pubblico sull’opportunità o meno da parte del canale pubblico di aderire all’offerta di Sky a occupare uno degli spazi lasciati liberi da Mediaset che ha deciso di interrompere le trasmissioni in chiaro via satellite. Il problema starebbe nel fatto che la RAI, secondo quanto indicato dall’Agcom, dovrebbe richiedere un equo corrispettivo per la ritrasmissione dei propri canali da parte di Sky ma l’unico modo per raggiungere un accodo è stato con uno scambio “alla pari”: RAI dà Rai4 a Sky e Sky cede uno dei posti più ambiti sul telecomando dello SkyBox. RAI, in questo caso, sostiene che il corrispettivo starebbe proprio nella possibilità, con questa nuova esposizione, di aumentare sensibilmente la raccolta pubblicitaria. Mediaset, da parte sua, replica che la discesa dei propri canali dalla numerazione Sky non ha apportato alcuna erosione ai suoi ascolti (abbastanza vero salvo per qualche discesa nella fascia pomeridiana). Mediaset anzi conferma di aver messo a segno dei “più” rispetto ai periodi precedenti. Inoltre, il comunicato Mediaset fa notare come Sky Uno e Fox, canali che hanno preso il posto di Canale 5 e Italia 1, non abbiano avuto altro che ascolti “zerovirgola”, come li chiama l’emittente di Cologno Monzese: “Un tasto non fa un canale”, conclude Mediaset nella sua nota di cui riportiamo uno stralcio: “Gli ascolti ottenuti negli ultimi due giorni dai nuovi canali ai tasti 105 e 106 non sono minimamente paragonabili a quelli delle reti trasmesse in precedenza: ieri il canale al tasto 105 (presente anche alla posizione 108) ha registrato complessivamente lo 0,07% in prima serata e lo 0,12% nelle 24 ore, e la rete al tasto 106 ha ottenuto lo 0,18% in prima serata e lo 0,22% nelle 24 ore. Come è evidente dai risultati “zerovirgola”, un tasto non fa un canale.” Ora sta a RAI e al suo nuovo direttore generale Campo dall’Orto dimostrare che di Roberto PEZZALI Premium Online, l’offerta Mediaset Premium destinata al pubblico che vuole fruire dei contenuti tramite Internet senza decoder e antenna, è partita. Infinity è incluso in tutti i pacchetti, quindi anche in quello base Serie TV che parte da 9 euro. Il pacchetto Cinema costa 10 euro al mese e comprende Infinity, quindi tutti i contenuti più freschi in alta definizione. Il pacchetto all-inclusive che include Serie TV, Cinema e Calcio (la Champions) è venduto a 40 euro. E a proposito di Champions, il grande debutto di Mediaset non è andato male: la macchina tecnica ha funzionato alla perfezione, non solo come affidabilità ma anche come qualità. Abbiamo guardato la partita in streaming per vedere se ci fossero gli stessi problemi avuti da SkyOnline alla prima di campionato e effettivamente Premium non ha tradito le promesse di chi ha pagato il pacchetto completo, tradizionale o Online. Nessuna interruzione, un ritardo tutto sommato ridotto rispetto alla diretta (è streaming, non si può far nulla) e una qualità di visione buona anche su un grande schermo. L’adaptive streaming funziona bene, qualche calo in determinati istanti di picco ma per il resto tanta definizione, paragonabile per appagamento a quella del canale HD tradizionale. Meno brillanti gli ascolti: Mediaset parla di “record”, con 1.019.000 spettatori globali per le partite di Champions trasmesse su Premium e 800.800 spettatori per Manchester City - Juventus, eppure nel 2013, quando la Champions non era esclusiva Premium, Copenaghen - Juventus face registrare 837.590 spettatori, mentre lo scorso anno Sky con Juventus - Malmoe toccò i 1.013.584. È ufficiale: Rai4 sul canale 104 dello SkyBox È torna al sommario la scelta è stata vincente e che il palinsesto di Rai4 può essere migliorato. Se mancheranno interventi importanti sul palinsesto, gli auspicati ascolti non ci saranno e la conseguente extra-raccolta pubblicitaria neanche. Il temerario direttore generale RAI su questa scom- messa si gioca la poltrona: la Corte dei Conti, in mancanza di cospicui introiti pubblicitari, non potrà che interpretare questa mossa come un regalo pubblico a Sky; e a quel punto pioverebbero interrogazioni parlamentari e mozioni di sfiducia. ENTERTAINMENT Un modo per vedere tutto il calcio italiano Su SkyOnline c’è il ticket “Calcio” Vedi tutto a 19 €, anche SkySport24 I di Roberto PEZZALI l ticket Squadra del cuore, 99 euro all’anno per seguire le partite di Juventus, Milan, Inter, Roma, Napoli, Lazio, Fiorentina e Genoa, ha avuto successo, e Sky prova il raddoppio. Di fianco ai due ticket Cinema e Intrattenimento, disponibili a 9,99 euro al mese senza vincoli, arriva la nuova offerta Calcio a 19,99 euro. Il prezzo è ovviamente legato al costo più alto dei diritti, ma va detto che questa offerta permette di vedere, Champions esclusa, il resto del calcio italiano. Il ticket darà, infatti, accesso a tutte le partite della Serie A e della Serie B, che Sky ha in esclusiva, oltre a quelle di Europa League di Lazio, Napoli e Fiorentina. Chi acquista il pacchetto avrà accesso anche ai due canali SkyTG 24 e SkySport 24, opzione questa che dà valore a un’offerta che oggi è unica. È la prima volta infatti che un servizio OTT propone un ticket mensile senza vincoli legato allo sport: Sky aveva finora venduto i singoli eventi o il season pass. Ricordiamo che SkyOnline non è fruibile solo su tablet, console, PC e smartphone: usando lo SkyOnline TV Box infatti (clicca qui per leggere la prova) si possono guardare i canali come se fosse un normale TV, ovviamente in streaming e senza parabola o antenna. Purtroppo lo SkyOnline TV Box non è associato all’offerta Calcio: si può acquistare a 49 euro con dentro tre mesi di cinema o intrattenimento oppure a 99 euro insieme all’offerta “Squadra del Cuore”. L’offerta Premium Online parte da 9 € per le serie TV e si arriva ai 40 del pacchetto completo che include anche la Champions n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT La partita è stata trasmessa su MTV, il canale 8 del digitale terrestre Sky cripta Fiorentina-Basilea su tivùsat Una scelta motivata dalla volontà di spingere il nuovo pacchetto “Calcio” di Sky Online di Roberto PEZZALI ivùsat ha recentemente toccato i 2.5 milioni di tessere attive: satellite, HD, tanta qualità e anche molti canali, tra i quali MTV e Cielo. Cielo e MTV sono canali Sky, e la pay TV li usa per trasmettere in chiaro gli eventi sportivi per i quali detiene i diritti, come l’Europa League e la Moto GP. Sul canale 8 del digitale terrestre è stato possibile vedere Fiorentina Basilea senza essere abbonati a Sky: un bel regalo per i tifosi, anche se qualcuno di questi si è trovato un’amara sorpresa. Sky, infatti, ha oscurato la partita su tivùsat lasciandola “free” solo sul digitale terrestre, e la cosa potrebbe ripetersi anche con la gara di MotoGP: chi ha l’antenna tradizionale può seguire Valentino Rossi e soci, chi invece ha scelto tivùsat vedrà una schermata nera. Impossibile non collegare, almeno mentalmente, questa questione con la decisione di Mediaset di criptare sul satellite Canale 5, Italia 1 e Rete 4, anche se tivùsat non è una pay TV, è gratuita e soprattutto non è solo di Mediaset. Una scelta quella di Sky che si presta a svariate interpretazioni, ma pare, secondo le nostre fonti, si tratti di una scelta puramente commerciale. Sky ha infatti lanciato il suo ticket “Calcio” su Sky Online, 19 euro al mese per vedere tutto il calcio, Europa League inclusa, e vuole spingerlo il più possibile. Non dimentichiamoci però che molti dei 2.5 milioni di fruitori del servizio satellitare gratuito sono persone che vivono in zone dove la ricezione del normale digitale terrestre non è ottimale, e ci immaginiamo che anche la connettività in quelle zone non sia qualcosa su cui fare affidamento. Per loro Sky Online potrebbe non essere un’alternativa, così come tivùsat non è stata una scelta libera ma obbligata: senza non si vede la TV. Restando in tema di “criptaggi”, ZDF ci ha confermato che non ha alcuna intenzione di criptare la trasmissione delle partite di Champions League trasmesse fino ad oggi in chiaro sul satellite (facendo così infuriare Mediaset): Juventus-Borussia Mönchengladbach del prossimo 21 ottobre sarà quindi visibile anche per gli abbonati Sky. Mediaset intanto ha comunicato i T torna al sommario La NASA lancerà un canale TV in Ultra HD Sarà visibile anche via web L’agenzia spaziale statunitense ha annunciato la creazione di un nuovo canale TV in Ultra High Definition Le trasmissioni inizieranno ufficialmente il 1° novembre di Paolo CENTOFANTI dati di ascolto della seconda giornata di Champions League: la sfida all’Olimpico tra Roma e Barcellona del 16 settembre è stata vista in diretta da 826.000 persone (3,25%), che sommati a quelli del martedì arriva- no a 2.400.000 spettatori. Secondo Mediaset è “la migliore performance calcistica di Mediaset Premium sia della stagione in corso sia rispetto ai turni di Champions League trasmessi nelle precedenti edizioni.” ENTERTAINMENT Alta definizione per gli avvenimenti sportivi Rai Sport 1 è finalmente in HD Lo troviamo sul canale 557 I di Roberto FAGGIANO l giorno tanto atteso è arrivato, il canale RaiSport 1 in alta definizione è tra noi, sul numero 557 dei decoder che usano la numerazione “ufficiale” LCN. Ora finalmente anche l’utente italiano non abbonato alle pay tv potrà vedere con definizione adeguata i maggiori avvenimenti sportivi per i quali la Rai ha acquistato i diritti. Come suggerito dalla definizione di Rai Sport 1, i canali pubblici dedicati allo sport rimangono due e si spera che la ripartizione della programmazione tra Sport 1 e Sport 2 sia tale da non far finire sul canale in sola SD avvenimenti degni di nota. Inizialmente il piano della Rai prevedeva l’accorpamento dei contenuti sportivi in un solo canale, ma la redazione si è opposta per non penalizzare gli sport minori e gli avvenimenti locali. Con la partenza di RaiSport 1 HD c’è stata una serie di variazioni nel collocamento di altri canali Rai. In particolare Rai Sport 1 HD è inserita nel mux 4 accanto a Rai HD, Rai Scuola si è spostata sul mux 3, Rai Storia e Rai 5 passano al mux 2; sarà quindi necessario risintonizzare il televisore per ritrovare i canali di Rai Cultura nelle posizioni LCN abituali. Ora attendiamo con fiducia che vengano accesi in tutta Italia le frequenze del mux 5 dove sono trasmessi in modo sperimentale i canali Rai 2 HD e Rai 3 HD. Dopo aver pubblicato su YouTube alcuni video in 4K realizzati a bordo della stazione spaziale internazionale, la NASA ci ha preso gusto e ha deciso di aprire un canale televisivo apposito in Ultra HD. L’agenzia spaziale ha annunciato infatti di aver stretto un accordo con il provider Harmonic per la realizzazione di un canale televisivo completamente in 4K da distribuire tramite tutte le piattaforme televisive, Internet incluso. Harmonic, secondo il comunicato, sta stringendo accordi con operatori di TV via cavo e satellitare, ma il nuovo canale di NASA TV sarà comunque ricevibile in streaming, con una banda necessaria di 13 Mbit/s. Per quanto riguarda il discorso di quali saranno i contenuti, la NASA parla di filmati realizzati in 4K sulla stazione spaziale e in altre missioni dell’agenzia, ma ci saranno anche video rimasterizzati in Ultra HD presenti nell’archivio storico delle vecchie missioni. L’appuntamento è fissato per il 1 novembre, giorno in cui debutterà il nuovo canale, anche su web. Video sulla stazione spaziale Innovation for a Better Life *Rispetto a LG G3 **Modalità manuale See the Great Feel the Great Perfetto mix tra stile e tecnologia LG G4 gode di tutta la cura che hai sempre desiderato: rivestimento in vera pelle ottenuta da concia al vegetale ed esclusiva impunturatura che lo rende ancora più elegante e pregiato. E se vuoi cambiare look la cover posteriore Metallic Skin è già inclusa nella confezione. INCLUSA n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Il malcostume dell’errata formattazione video non è un problema solo della TV Immagini con le bande nere tutte attorno Ci cadono anche Inside Out e Alitalia Purtroppo ancora casi di immagini mal formattate e totalmente riquadrate da bande nere Lo scempio passa al cinema (con il corto che precede Inside Out) e sugli aerei Alitalia C di Gianfranco GIARDINA ontinua senza sosta il malcostume dell’errata formattazione video, e non solo in TV. Diverse volte nei mesi scorsi avevamo riportato, con appositi articoli o via Twitter e Facebook, di messa in onda da parte delle emittenti (qui un caso di RAI) in “windowbox” (o, termine da noi preferito, “blackbox”): praticamente si tratta di immagini dotate sia delle bande nere sopra e sotto, tipiche della formattazione “letterbox”, che delle bande nere ai lati tipiche del “pillarbox”. Insomma, due fastidi in una volta con immagini incorniciate di nero e una riduzione pesante dello schermo utile. L’ultima occasione di “godersi” una bella cornice nera intorno all’immagine è stata la proiezione di Inside Out in una sala UCI Cinemas. Il nuovo capolavoro Disney Pixar è in formato 1.85:1 (che quindi lascia fisiologica- schermo proiettate in nero). Non sappiamo al momento se il problema sia imputabile a Disney (master unico con i due contenuti e il corto formattato nel canvas del film) o alla catena UCI Cinemas (mancato automatismo di cambio formato al passaggio tra il corto e il film): stiamo attendendo alcune conferme in questo senso da Disney, anche se le informazioni che arrivano da diversi spettatori sembrano confermare il problema sul master predisposto dalla major, scagionando la singola sala cinematografica. La sostanza è che il pubblico si è dovuto sorbire al cinema una proiezione, almeno per quello che riguarda il corto, su una superficie di schermo ridotta di circa il 50% rispetto a quella toUn esempio di immagine trasmessa su uno scher- tale. Pagando però prezzo intero. mo di un volo Alitalia: come si può vedere l’imMa che questa pratica sia magine del film non riempie affatto lo schermo, diventata oramai qualgià di per sé non generoso. cosa che molti operatori mente spazio ai lati sul classico scher- ritengono accettabile è dimostrato mo cinematografico 2.35:1) ed è stato anche da quanto accade sugli aerei proiettato correttamente; ma Lava, il intercontinentali Alitalia, quelli con il corto che lo precede e che è invece in sistema di intrattenimento di bordo, Cinemascope, è stato appunto proiet- tanto per intenderci. Molti film sul sertato nello stesso “canvas” del film e ver di bordo (e per certo tutti quelli quindi con le bande nere sopra e sot- italiani) sono caricati con un formato to, oltre che con quelle di fianco, per su canvas 4:3, malgrado lo schermo un effetto finale francamente grotte- dei sistemi sia 16:9. Nel caso di Alitasco, come quello nella foto di apertura lia, poi, si aggiungono altri problemi (necessariamente sovraesposta per all’immagine, come il master chiarafar vedere chiaramente le porzioni di mente interlacciato (chissà perché?) e torna al sommario deinterlacciato a campi invertiti: così su tutti i movimenti si vedono i classici e molto fastidiosi “spettinamenti”. Per non parlare poi dei sottotitoli impressi “obbligatoriamente” sull’immagine malgrado il sistema di intrattenimento gestisca la sottotitolazione in grafica in sovraimpressione, attivabile nella lingua che si preferisce e solo quando serve. Ovviamente i sottotitoli non sono caricati nel sistema. Confusione anche nel catalogo, in cui film drammatici vengono catalogati come commedie e viceversa. Insomma, verrebbe voglia di gridare allo scandalo per il brutto trattamento al quale sono sottoposti gli spettatori, in questi casi anche “paganti”. Ma resta il forte sospetto che si tratti semplicemente di impreparazione tecnica e professionale di chi confeziona e gestisce i master. Di certo il fatto di far vedere su schermi widescreen contenuti widescreen riquadrati è una pratica odiosa che assolutamente deve finire: e se questo articolo può dare una mano in questo senso, ne siamo solo contenti. Un po’ di confusione nella catalogazione dei film sui server di bordo degli aerei Alitalia. Mediaset sorride: chiusi sei siti illegali e abbonamenti in crescita Mediaset ha ottenuto dall’Agcom l’oscuramento di sei siti che trasmettevano partite in streaming della Serie A. Intanto, secondo i primi dati, ci sarebbero già 200.000 abbonati in più da luglio di Roberto PEZZALI Mediaset sorride: AgCom ha accolto la sua richiesta e ha ordinato la disabilitazione dell’accesso, tramite DNS, a sei siti che diffondevano illecitamente in diretta le partite del Campionato di calcio di Serie A 2015-2016. I sei siti sono Freecalcio.eu, Calcion.in, Liveflash.tv, Liveflashplayer.net, Webtivi.info, Miplayer.net e Supermariohdsports.wix. Mediaset si dice “soddisfatta per le nuove, tempestive misure AgCom che confermano la necessità di tutela contro attività di pura pirateria che nulla hanno a che fare con la libera manifestazione del pensiero”, ma è bene ricordare che siamo di fronte a pesci molto piccoli e che comunque sarebbe opportuno guardare non solo ai siti ma anche a chi promuove siti e certe soluzioni per guardare illegalmente film e partite. Ci riferiamo, ad esempio, a riviste che, per vendere qualche copia, non si preoccupano troppo di spiegare, minuziosamente, come fanno i pirati a vedere una partita senza pagare. In ogni caso Mediaset può dirsi soddisfatta anche per gli andamenti degli abbonamenti: nonostante la piaga pirateria sembra che da luglio Premium abbia 200.000 abbonati in più, 40.000 dei quali arrivati recentemente per il debutto Champions. Il target era di 500.000 abbonati in tre anni, 2 milioni in totale a fine anno. Siamo a 100.000 abbonati dal traguardo, e a breve partirà anche l’offerta congiunta con Telecom per Premium Online. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Sky ha presentato il nuovo palinsesto che vede tanti graditi ritorni ma anche diverse serie TV inedite Si apre la stagione Sky, serie TV e show in esclusiva I programmi con cui Sky vuole conquistare la prima e la seconda serata della stagione televisiva autunno-inverno 2016 di Michele LEPORI i siamo: le vacanze sono finite, le giornate iniziano ad accorciarsi e all’uscita in centro con gli amici inizia a farsi spazio la serata relax davanti alla TV: Sky lo sa bene, e per la stagione autunnale ha messo insieme un esercito di nomi davvero importanti. I fronti sono tre: il primo è quello dei graditi ritorni per le serie TV di maggior successo che hanno ricevuto luce verde dalle major televisive americane per una nuova stagione; il secondo è rappresentato dalle grandi produzioni esclusive e il terzo sono le grandi star del mondo talent che negli anni si sono dimostrati l’arma in più per sbaragliare la concorrenza. C Sky Uno è la casa delle dirette Si punta su X Factor e Masterchef Il canale di intrattenimento Sky Uno continua la sua avventura fatta di produzioni originali e celebri format in onda no stop per 10 mesi: il primo nome è quello di X Factor, il talent show dei record negli anni scorsi e che anche in questo 2015 parte col botto mettendo a segno tre centri alla voce miglior esordio (1.525.000 spettatori medi), miglior permanenza (78%) e raddoppio del traffico sui social rispetto all’esordio 2014. Numeri generati dal format, chiaro, ma anche dall’impatto sul pubblico della nuova formazione in cabina di regia, rinnovata al 50% rispetto allo scorso anno: Mika, Elio, Fedez e Skin supporteranno la conduzione di Alessandro Cattelan nella ricerca della nuova popstar italiana, che quest’anno a sorpresa potrebbe appartenere alle neonata categoria delle band musicali. Alla prima serata si affiancherà la conduzione di una striscia giornaliera condotta da Aurora Ramazzotti, X Factor Daily, che da ottobre farà il punto della situazione sul procedere delle selezioni. Il talento davanti a un microfono si affiancherà, da dicembre, a quello davanti ai fornelli: il ritorno col botto è ovviamente quello di Masterchef, l’unico vero cooking show della TV che vedrà novità in giuria. Ad affiancare il trio Cracco-Barbieri-Bastianich arriva il due stelle Michelin Antonino Cannavacciuolo che offrirà la sua esperienza ai giurati e rappresenterà una sfida in più per i temerari avventurieri dell’impiattamento. Nuove sfide anche per i Junior Masterchef, che combatteranno in Darsena nella fase iniziale da 40 a 25 partecipanti salvo poi spostarsi in studio per le selezioni finali: a giudicarne l’operato, una nuova giuria composta da Bruno Barbieri, Alessandro Borghese e Gennaro Esposito. Spazio, infine, al talento inteso nel senso più largo possibile con il ritorno di Italia’s Got Talent e l’attesissima prima stagione italiana di Top Gear. Il format di Simone Cowell ritornerà in primavera con la giuria di stelle delle prima stagione rinnovata in blocco: Claudio Bisio, Frank Matano, Luciana Littizzetto e Nina Zilli torneranno a dirigere casting da tutta Italia supportata, in day time, dalla striscia condotto da Lucilla Agosti e Rocco Tanica. La vera attesa è però tutta per Top Gear Italia che vedrà impegnati il vicedirettore di Sky Sport nonché direttore della redazione motori Guido Meda e Joe torna al sommario Bastianich, che si dovrà dividere fra grembiule e tuta in pelle. Con loro un terzo conduttore, ancora segreto: il format creato dalla BBC ed esportato in 230 Paesi con quasi 350.000.000 di spettatori sta per avere finalmente un’edizione tricolore. Grandi serie, grandi storie, grandi star Tutto su Sky Atlantic Serie TV estere e produzioni Sky sono il cuore dell’offerta di entertainment “puro” di Sky: c’è spazio per grandi ritorni come le attesissime seconde stagioni di The Lefotvers e The Knick a marchio HBO con firme di David Lindelof e Steven Soderbergh, così come l’altrettanto attesissima seconda stagione di Fargo ma con un occhio di riguardo anche per tante nuove storie da tutto il mondo. La prima che ci sentiamo di segnalare è la bellissima (televisivamente parlando) Deutschland 83, serie TV tedesca trasmessa sul canale USA Sundance TV e che è stata la vera perla narrativa di un’estate televisiva più sottotono del solito. La storia è quella vera della crisi diplomatica dei missili americani “Pershing II”, nel tesissimo quadro politico della Germania Ovest dell’83, un evento che la grande Storia non conosce come dovrebbe ma che ha portato il mondo veramente a un passo dalla guerra atomica: presentata con successo all’ultimo Festival di Berlino, la spystory tedesca ha dalla sua anche una colonna sonora imperdibile per gli amanti dei mitici anni ’80. Non mancano le produzioni in partnership con le emittenti internazionali, ed è il caso di The Last Panthers e The Young Pope. La prima, in partenza il 13 novembre, è una collaborazione fra Sky Atlantic UK e Canal+ che narra le vicende della banda di ladri “Pink Panthers” che a inizio ‘900 non si facevano scrupoli ad orchestrare colpi degni del miglior Lupin in tutte le più importanti capitali europee, mentre la seconda arriverà sugli schermi nell’autunno del 2016 e vede coinvolta Home Box Office alla sceneggiatura di una storia sull’elezione di un Papa, l’immaginario Pio XIII al secolo Lenny Belardo interpretato da Jude Law. Sempre in cantiere ci sono le serie TV tratte dal nuovo romanzo di Saviano “Zero, Zero, Zero” e “Diabolik”, titolo che si esplica da solo come omaggio al personaggio creato dalle sorelle Giussani. Attese su Sky Atlantic anche la quarta stagione di House of Cards (che non andrà quindi su Netflix) e l’ultima stagione di Game of Thrones. Chiude il panorama sulle serie-evento in arrivo, Vinyl, il progetto a 4 mani scritto da Mick jagger e diretto da Martin Scorsese sul rock’n’roll anni ’70 e tutto il mondo di “sex&drugs” che vi girava intorno nella New York dell’epoca: imperdibile. È invece già arrivato il pilot di Texas Rising, progetto stellare di Sky Atlantic con Ray Liotta e Bill Paxton che riporta il grande western della tradizione cinematografica a stelle e strisce anche sul piccolo schermo, narrando le vicissitudini della guerra d’indipendenza del Texas. Sarà solo l’apripista per una stagione che vedrà tanti nomi nuovi ma anche i ritorni di serie TV ormai cult come The Fall, Mozart in the Jungle, Masters of Sex e Veep. 70 serie TV inedite e 1000 ore di prime visioni per il canale FOX I canali FOX hanno qualche grande ritorno e un paio di nomi nuovi da lanciare in prima e seconda serata. Primo in assoluto il sodalizio FOX- Kirkman, che oltre a riportare gli zombie di The Walking Dead in una nuova stagione che si spera possa riavvicinarsi ai fasti del fumetto, apre le porte all’altro progetto del visionario fumettista americano che porta la paura alla sua connotazione più ancestrale con Outcast. Spiriti, demoni, ed esorcismi che andranno a completare l’overdose di paura della seconda serata di FOX assieme a The Whispers, altro progetto sul tema del paranormale che Steven Spielberg ha portato sugli schermi di tutto il mondo. L’esercito dei sequel vede invece nomi davvero importanti quali Homeland e American Horror Story: Hotel già sulla bocca di tutti per il casting di Lady Gaga nel ruolo di una vampira bisex. Stanchi dell’overdose seriale? Non serve cambiare canale perché FOX è pronta a puntare sugli appassionati di documentari realizzati grazie alle partnership col National Geographic Channel: Breakthrough ci porterà avanti nel futuro con le invenzioni che stanno per arrivare, The Story of God sarà un viaggio in bilico fra fede e scienza sulla voce di Morgan Freeman e He Named Me Malala ci farà conoscere Malala Yousafzai, la giovane donna Nobel per la pace che i talebani provarono ad assassinare mentre tornava da scuola. Tutti i progetti sono prodotti da premi Oscar quali Ron Howard, Morgan Freeman e Davis Guggenheim. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE TV E VIDEO Negli Stati Uniti Amazon ha annunciato la nuova Fire TV, costa meno di 100 dollari Amazon risponde ad Apple con Fire TV 4K Basata su sistema operativo Fire OS 5, integrerà Alexa: l’assistente vocale di Amazon Echo di Paolo CENTOFANTI Sony Pictures Home Entertainment ha scelto il sistema Dolby Vision per offrire contenuti video in 4K e HDR I primi titoli verranno annunciati durante i prossimi mesi A mazon ha annunciato per gli Stati Uniti una nuova versione del set top box Fire TV, che sembra pensato apposta per rispondere alla nuova Apple TV, appena presentata. La novità più grande è che la nuova Fire TV supporta la riproduzione di contenuti in streaming in Ultra HD. Al lancio il set top box sarà in grado di riprodurre i contenuti disponibili in 4K sul servizio di streaming di Amazon, ma anche tramite l’app di Netflix. tanti i servizi disponibili per gli utenti statunitensi: Netflix, Amazon Video, HBO NOW, Hulu, WatchESPN, SHOWTIME ANYTIME, Sling TV, STARZ PLAY, ENCORE PLAY, NBC News, Prime Music, Spotify, Pandora, Vevo, Plex, A&E, YouTube.com. Come si può vedere, la stragrande maggioranza non sono disponibili in Europa, motivo per cui il prodotto non arriverà in Italia a breve (anche se ci piacerebbe venire TV E VIDEO Tivùsat 2,5 milioni di tessere attivate La piattaforma Tivùsat sta godendo di un aumento di richieste di attivazioni per la sua smartcard, domanda che in realtà è andata crescendo per tutto il 2015, complice la diffusione di sempre più TV con sintonizzatore satellitare integrato degli ultimi anni. E così, Tivùsat ha annunciato il raggiungimento di quota 2 milioni e mezzo di tessere attivate dal debutto del 2009. Tivùsat è nata come piattaforma satellitare per offrire l’offerta del digitale terrestre italiano, là dove il segnale broadcast non arriva. Negli anni, il bouquet satellitare si è allargato, offrendo in esclusiva i tre canali principali RAI in alta definizione, BBC World, Bloomberg, EuroNews, Arte HD, Supertennis HD e altri ancora. Ricordiamo che Tivùsat trasmette su satellite Eutelsat Hot Bird 13° e per ricevere i canali occorre l’apposito modulo CAM (con smartcard annessa) che ha un costo intorno ai 99 euro. torna al sommario Sony e Dolby insieme per portare l’HDR nelle case di Paolo CENTOFANTI smentiti al più presto). Novità però anche per i contenuti in alta definizione, con il passaggio alla codifica HEVC, più efficiente rispetto al più comune H.264, e che permetterà di ottenere una migliore qualità di immagine a parità di banda consumata. La nuova Fire TV, anch’essa basata su sistema operativo Fire OS 5, integrerà inoltre Alexa, l’assistente vocale che ha debuttato sull’Amazon Echo e che offrirà funzioni avanzate di ricerca di contenuti e di informazioni via web rispondendo alle richieste in linguaggio naturale. Il set top box è dotato di Wi-Fi 802.11ac integrato e di slot per schede microSD per espandere la memoria di 8 GB fino a 128 GB. E per finire il prezzo: la nuova Fire TV negli Stati Uniti costerà 99,99 dollari e sarà disponibile dal 5 ottobre. TV E VIDEO Disponibile in Giappone, prezzo 118.000 euro È di Sharp il primo TV 8K in vendita di Paolo CENTOFANTI harp mostrerà al CEATEC di Tokyo in ottobre il suo primo modello di TV con pannello 8K che sarà effettivamente possibile acquistare, facendone di fatto il primo TV 8K al mondo. Denominato LV-85001, il TV non è un prodotto consumer vero e proprio, quanto più una soluzione per applicazioni commerciali o business, anche perché a quanto pare sarà disponibile solo su ordinazione. Non è la prima volta che Sharp mostra uno schermo con risoluzione 8K, ma questo 85 pollici è quanto più vicino a un “normale” TV si sia visto fino ad ora. Il TV supporta l’HDR, lo spazio colore BT.2020 con segnali a 12 bit, con una risoluzione massima di 7680x4320 pixel a 120 Hz. Il pannello è di tipo LCD IGZO con retroilluminazione a LED e Sharp dichiara una copertura del 78% dello spazio colore BT.2020 e comunque superiore al DCI-P3. Per poter visualizzare segnali 8K occorrerà utilizzare tutti e quattro gli ingressi HDMI 2.0 contemporaneamente. Potrete ordinare il vostro LV-85001 a partire dal 30 ottobre, sempre che abbiate 16 milioni di yen da investire, pari a circa 118000 euro, e una parete in gradi di reggere gli oltre 100 kg di peso. S In attesa che la UHD Alliance finalizzi le specifiche e l’Ultra HD Blu-ray diventi effettivamente disponibile, cominciano ad arrivare notizie anche da parte di chi i contenuti poi dovrà concretamente produrli e distribuirli. Dopo Fox, che ha annunciato che tutte le nuove uscite saranno in Ultra HD e HDR, è arrivata la notizia che Sony Pictures Home Entertainment ha siglato un accordo con Dolby, per masterizzare le sue produzioni in Ultra HD in HDR in Dolby Vision. Il comunicato al momento non è molto ricco di dettagli: non ci sono annunci di titoli (che verranno rivelati nei prossimi mesi), né su quali piattaforme saranno disponibili i contenuti in Dolby Vision. Sony e Dolby parlano semplicemente di supporti fisici di prossima generazione e piattaforme di distribuzione digitale, per cui è lecito pensare che Dolby Vision sarà il formato di HDR scelto oltre che per i futuri dischi Ultra HD Blu-ray, anche per servizi come Netflix e Amazon, il che lascia supporre che Dolby Vision rientrerà alla fine anche nelle specifiche della UHD Alliance. Sicuramente ne sapremo di più al CES di Las Vegas. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE MOBILE Apple ha introdotto in iOS 9 un’estensione per Safari Mobile che può essere usata per bloccare contenuti, tra cui la pubblicità iOS 9 blocca le pubblicità? Non è così, però... Con “Content Blocker” non si riesce a fare un adBlocker, ma è comunque potente e può seriamente danneggiare Google N di Roberto PEZZALI ella nostra recensione di iOS 9 non abbiamo citato una delle funzionalità più discusse e più pubblicizzate di iOS 9, il “Content Blocker”, quello che molti inavvertitamente (e erroneamente) hanno chiamato AdBlock. Lo abbiamo fatto perché l’argomento è delicato, si presta a interpretazioni sbagliate e non è propriamente una funzionalità di iOS 9, ma solo una possibilità che Apple ha aggiunto in Safari per iOS 9 e non vale per gli altri browser che un utente installa. Quello che dev’essere subito chiaro è che Apple con iOS 9 non blocca le pubblicità, ma ha solamente integrato in Safari un filtro che, volendo, può essere utilizzato per bloccare le pubblicità. Non solo: “Content Blocker” è molto più potente, permette di oscurare siti interi, eliminare interi elementi da una pagina web e impedire che vengano eseguiti determinati script come quelli di tracciamento. Una mossa che ha due obiettivi: il primo è permettere la creazione di applicazioni che possano privilegiare la privacy, bloccare determinati siti e rendere più rapido il caricamento delle pagine web; il secondo, non dichiarato ma intuibile, è mettere qualche bastone tra le ruote a Google, azienda che fa utili sfruttando la enorme macchina della pubblicità che ha costruito attorno al web. La questione è ovviamente delicata e riguarda anche siti come DDay.it che vivono sulla pubblicità, tuttavia vedremo come questo “Content Blocker” sia probabilmente poco indicato per programmare un sistema che blocca le pubblicità in modo efficiente e universale, ma si presta più ad azioni mirate e localizzate. Facciamo subito una premessa: questo articolo di approfondimento è un po’ tecnico: potrebbe disorientare chi non ha una infarinatura informatica, ma purtroppo per spiegare certe logiche di funzionamento non si può semplificare troppo. Un ad-blocker come il noto AdBlock Plus è un enorme filtro con un insieme di regole: funziona analizzando la pagina web mentre viene caricata, eliminando tutti gli elementi contenuti nella sua “blocklist” e rimpiazzandoli con elementi “vuoti”, per non creare deformazioni nel layout della pagina web o enormi buchi vuoti. Un lavoro enorme: la backlist per essere efficace contiene infatti oltre 50000 regole, e oltre a queste viene anche caricato un foglio di stile che si occupa di correggere il layout privato degli elementi pubblicitari. Un adblocker come adBlock Plus, oltre a rallentare il caricamento di una pagina, la appesantisce e soprattutto consuma molte più risorse di sistema: chiunque può fare una prova e controllare quanta memoria richiede un browser con AdBlock inserito e AdBlock disinserito, verificando che il tool è un vero divora RAM. Situazione che è destinata anche a peggiorare: più i siti fanno modifiche per aggirare il blocco più regole dovrà aggiungere AdBlock, diventando sempre più pesante. Apple ha approcciato la cosa in modo differente: è possibile realizzare delle estensioni di app che permettono di stabilire una serie di regole che vengono compilate in un file e caricate prima che la pagina venga aperta. Le estensioni sono legate a una applicazione specifica e non sono già integrate nel browser: se si installa l’applicazione chiamata “Blocca Tutto”, all’interno delle impostazioni di Safari verrà aggiunto l’interruttore per attivare le regole definite dall’estensione inclusa nell’app. Attivandolo, l’utente da il permesso a Safari di aggiungere una serie di principi ai quali Safari si deve attenere ancora prima di caricare la pagina, senza impatti sulle performance e caricando quindi meno contenuto di quello che solitamente il browser carica. iIl team che sviluppa AdBlock ha subito chiarito che il sistema di Apple non si presta per essere utilizzato da loro: AdBlock ha troppe regole, alcune delle quali anche troppo complesse per quello che Apple ha integrato in Safari. Inoltre, cosa di non poco conto, la stessa Apple non permetterà applicazioni che abusano del sistema: l’obiettivo è migliorare l’esperienza di navigazione, non peggiorarla. Per capire meglio come funziona il sistema di Apple, e quindi per capire anche come mai questo sistema può andare a danneggiare soprattutto Google, abbiamo creato una estensione che permette di bloccare le foto su DDay.it. Apple ha realizzato il sistema di content blocking in modo decisamente semplice, permettendo a chiunque senza la minima conoscenza tecnica di realizzare il proprio filtro anche se poi per caricare un app con il filtro integrato serve comunque l’account “Developer”. Come abbiamo scritto prima il “blocker” non è una applicazione, ma una estensione che viaggia con una applicazione: ogni singolo blocker si trasfor- ma in un interruttore nelle impostazioni di Safari, interruttore che dev’essere l’utente ad attivare manualmente. Creare un Content Blocker in Xcode, l’ambiente di sviluppo di Apple per iOS e OSX, è relativamente semplice: basta creare una nuova app e aggiungere “Content Blocker Estension” come target per l’applicazione. Xcode crea autoDDay.it senza immagini. maticamente i file necessari, tra i quali anche un blockerList.json che è l’unico file realmente da modificare se si vuole fare un filtro semplice. Questo file contiene le istruzioni per Safari, e questo è il nostro esempio per togliere tutte le foto da DDay.it: [ { “action”: { “type”: “css-display-none”, “selector”: “img” }, “trigger”: { “url-filter”: “.dday.it” } } ] Siete di fronte ad un file .json, tipo di file molto usato in ambito informatico: senza entrare nel dettaglio, si può vedere che questo file definisce il nostro filtro utilizzando azioni e “trigger”. Il trigger è l’elemento che sca- segue a pagina 16 torna al sommario n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE APP WORLD Kempf, papà della popolare app di riproduzione video, annuncia che anche VLC scenderà nell’arena di tvOS Apple TV a tutto video: dopo Infuse e Plex, arriva VLC È solo l’ultimo nome noto ad aggiungersi, dopo quelli di Infuse Pro e Plex. L’ecosistema promette bene: smart TV a rischio? di Emanuele VILLA LC annuncia il supporto per tvOS, il nuovo sistema operativo che equipaggerà le versioni di Apple TV in arrivo ad ottobre. La famosa app è però solo l’ultima, in ordine cronologico, a salire sul carro di Apple TV poiché già durante il keynote e nelle ore immediatamente successive, Plex e Infuse Pro annunciavano la presenza sull’app store V televisivo. Per chi non lo sapesse, VLC è una delle più famose app per la riproduzione di video in quasi ogni formato, e supporta anche lo stream da e verso moltissimi dispositivi quali iPhone, smartphone Android, Fire TV ed Android TV: in un messaggio molto stringato il lead developer Jean-Baptiste Kempf scrive che l’app è ancora nei primissimi step di creazione ma “… finalmente abbiamo un codice per lavorare su VLCKit per tvOS!”. Interessante notare, al di là dell’annuncio in sé di VLC, che molti grandi nomi dell’intrattenimento smart per tablet e smartphone abbiano abbracciato praticamente subito e il nuovissimo tvOS lasciando indietro semmai le varie piattaforme Smart TV che “dall’altra parte dello schermo” sempre meno utenti tendono a MOBILE iOS 9 blocca le pubblicità? segue Da pagina 15 tena il filtro: in questo caso si attiva solo su DDay.it, se avessimo messo un “*” il nostro filtro sarebbe stato applicato ad ogni sito. Apple permette un controllo granulare sull’elemento che scatena un filtro: può essere un url ma anche uno script, una immagine o una font, sta al programmatore scegliere, e in questo caso abbiamo scelto di filtrare per “url” web. Quando Safari prova a carica una pagina, se l’indirizzo o un elemento sono tra quelli che attivano il “trigger”, allora viene eseguita una specifica azione. iOS al momento ne permette tre: block, block-cookies o css-display-none. Block non ha bisogno di molte spiegazioni: il sito o l’elemento che ha attivato il trigger non viene caricato, Safari ci dice “pagina inesistente”. [ { “action”: { “type”: “block” }, “trigger”: { “url-filter”: “*sex*” } } ] Questo filtro, ad esempio, blocca tutti i siti che hanno, all’interno del dominio, la parola “sex”. Se “block” blocca, “block-cookies” impedisce di scrivere cookies (elementi scritti nel browser che permettono di tracciare la nostra navigazione) e “css-displaynone” nasconde un elemento della pagina. Qui, per sapere cosa nascondere, bisogna indicare anche un “selettore” usando la sintassi CSS. E’ quello che ab- torna al sommario considerare come fattore determinante all’atto dell’acquisto di un TV. La nuova Apple TV, con tanto di store e di supporto da parte della maggioranza dell’indu- biamo fatto nel nostro esempio sopra, dove abbiamo indicato di nascondere tutti gli elementi di tipo “img”. Abbiamo provato anche a scrivere un filtro per nascondere tutti gli articoli scritti da Roberto Pezzali, ma purtroppo non è possibile scrivere un selettore così complesso. Questo dovrebbe chiarire per quale motivo Content Blocker non può essere usato per funzionare come un completo AdBlock: servirebbe riscrivere 50.000 regole, alcune delle quali troppo complesse per essere gestite con li pochi strumenti che Apple ha messo a disposizione. Content Block può essere usato però per bloccare pochi elementi mirati, ed è qui che viene subito in mente Google: il codice di invocazione presente in ogni sito che usa la pubblicità di Google Adsense è semplice e universale: <script async src=”http://pagead2.googlesyndication.com/pagead/js/adsbygoogle.js”> </script> <ins class=”adsbygoogle style=”display:inline-block ;width:300px;height:250pxdata-ad-client=”ca-pubxxxxxxxxxxxxxxxx” data-ad-slot=”6440411535”></ ins> <script> (adsbygoogle = window.adsbygoogle || []).push({}); </script> Un filtro come quello scritto qui sotto bloccherebbe tutta la pubblicità di Google su ogni sito che non sia DDay.it, uno scherzo non da poco. E allo stesso modo si possono togliere script di “analytics” per tracciare le visite: bastano poche righe di codice per tagliare il tubo della benzina alla macchina dei soldi di Google. Una mossa che potrebbe infastidire Mountain View: difficile che Apple voglia fare uno sgarro così grande una azienda che è allo stesso modo partner e competitor, quindi è probabile che si trovi una soluzione di stria, potrebbe restituire al TV la propria collocazione tradizionale, assumendo un ruolo accentratore per tutti i servizi e le funzionalità smart. Staremo a vedere... qualche tipo. Al momento la situazione è questa, quello che succederà e quanti lo useranno effettivamente si potrà capire solo nelle prossime settimane. [ { “trigger”: { “url-filter”: “googlesyndication.com\\.js” “unless-domain”: “.dday.it” }, “action”: { “type”: “block” } } ] Alla fine di questa lunga analisi crediamo si sia capito che quello di Apple in sostanza non è un AdBlocker, ma un filtro globale che può essere usato per bloccare siti e bloccare elementi di determinati siti, tra questi la pubblicità, ma potrebbe benissimo essere una icona o un link. Non va bene per fare sistemi universali, ma può essere usato per definire regole precise. Le varie app che sono già pronte per sfruttare questa opzione, come 1blocker o blockr, usano regole per le opzioni più comuni e permettono un buon grado di personalizzazione, ma non bloccano tutto. DDay.it, come sito che vive di pubblicità, è ovviamente contraria all’utilizzo di sistemi di questo tipo, ma siamo anche consapevoli che esistono siti dove popup sgradevoli sparano musica e video a tutto volume e spesso attivano servizi a pagamento su abbonamento. Una soluzione c’è: se proprio decidete di usate Safari con un content blocker, dopo aver caricato DDay. it basta tenere premuto qualche secondo il tasto di “ricarica” della pagina. Apparirà un menù dove, oltre a richiedere il sito desktop, si può anche dire a Safari di caricare quel sito senza Content Blocker, aggiungendo una eccezione al filtro stesso. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE MOBILE Tramite una versione non ufficiale di Xcode, un malware si fa strada sull’app store cinese Un malware nelle app cinesi di iOS e WeChat lo diffonde Tra le app colpite, anche WeChat: i dispositivi infetti potrebbero essere centinaia di milioni P di Paolo CENTOFANTI er la prima volta un malware riesce a superare le barriere dell’App Store per iOS. È successo sull’App Store cinese, colpendo quasi una cinquantina di applicazioni, tra cui però anche WeChat, il servizio di messaggistica molto utilizzato anche al di fuori dei confini cinesi. Ma come è potuto accadere in primo luogo che uno degli app store più controllati si sia ritrovato con un malware a piede libero? L’origine è tutta nel nome del malware stesso, XcodeGhost: in Cina si è diffusa infatti, a quanto pare con successo, una versione non ufficiale di Xcode, la suite di software di sviluppo necessaria per programmare applicazioni per l’ambiente iOS; secondo le ricostruzioni, i server ufficiali di Apple sarebbero troppo lenti in Cina, motivo per cui molti sviluppatori si sarebbero affidati a canali P2P per scaricare il software più velocemente, non sapendo di trovarsi tra le mani in realtà una versione modificata e contenete appunto il codice malevolo. Le app compilate tramite questa versione di Xcode, denominata Ghost appunto, hanno superato poi i controlli dell’App Store, finendo così per essere distribuite complete del malware. La vulnerabilità non è di poco conto: il codice consente infatti di sottrarre informazioni dallo smartphone di nascosto dall’utente, ma anche ai malintenzionati di effettuare attacchi di phishing aprendo finestre in popup che chiedono le credenziali, dirottare il sistema di link interno di iOS e di leggere e scrivere i contenuti della clipboard (la memoria utilizzata per il copia e incolla) A causa della popolarità di alcune app, gli infetti potrebbero essere centinaia di milioni di dispositivi. Apple è corsa ai ripari è tolto dall’App Store tutte le app compilate tramite le versioni sospette di Xcode. WeChat, dal canto suo, sostiene che la versione infetta della sua app era la numero 6.2.5, e che la build attualmente sull’App Store è già stata ripulita e quindi teoricamente sicura. Resta un po’ la brutta figura per Apple, che nonostante tutte le sue contromisure non si è accorta della presenza del malware tra le app approvate per la pubblicazione. Di seguito la posizione ufficiale di Apple: sulla vicenda: “Apple prende la sicurezza molto sul serio e iOS è progettato per essere affidabile e sicuro dal momento in cui accendi il tuo dispositivo. Offriamo agli sviluppatori gli strumenti più avanzati del settore per creare grandi applicazioni. Una falsa versione di uno di questi strumenti è stata rilasciata da fonti non sicure che potrebbe compromettere la sicurezza degli utenti attraverso applicazioni create con questo strumento contraffatto. Per proteggere i nostri clienti, abbiamo rimosso dall’ App Store le applicazioni che sappiamo essere state create con il software contraffatto e stiamo lavorando ora con gli sviluppatori per assicurarci che stiano utilizzando la versione corretta di Xcode per ricostruire le loro app.” MOBILE Nome in codice Project V, la lettera indicherebbe la sua funzionalità più appariscente Lo smartphone Samsung pieghevole arriva a gennaio Sarebbe in grado di piegarsi su se stesso fino a 180°, come un moderno cellulare “clamshell” di Emanuele VILLA er tornare sulla vetta di un mercato competitivo come quello degli smartphone bisogna innovare. Sempre e comunque. Lo sa bene Samsung, che dopo aver realizzato il primo smartphone con display Dual Edge, sarebbe prossima a un passo ancor più rivoluzionario: lo smartphone con display P Project V potrebbe essere questo. Non suggerisce un’idea di grande solidità ma è presto per giudicare. torna al sommario pieghevole. In realtà di un prodotto del genere si parla da mesi e pare che Samsung lo stia testando col nome in codice di Project Valley o Project V: probabilmente la lettera indica la principale funzionalità dell’apparecchio, ovvero la capacità di piegarsi su se stesso come fosse un cellulare “clamshell” del 2015. Tutto ciò sarebbe possibile grazie al display OLED pieghevole, che a differenza di quello LG (il P-OLED usato sui G Flex) potrebbe addirittura ruotare su se stesso di 180° per permettere allo smartphone di occupare meno spazio. Fantascienza? Difficile, visto che la fonte parla anche di gennaio 2016 come papabile data di presentazione (CES?) e di due configurazioni hardware in fase di test, una con snapdragon 620 e l’altra con Snapdragon 820, che dovrebbe appunto debuttare nei prossimi mesi. In entrambi i casi troveremo 3 GB di RAM, l’ultima versione di Android, uno slot microSD e una batteria non removibile. Chromecast 2 in arrivo insieme a Chromecast Audio Google si prepara a lanciare la seconda generazione di Chromecast: cambia la forma e soprattutto arriva anche la versione solo Audio per utilizzare Google Cast Audio con un set di speaker attivi o un impianto audio pre esistente di Roberto PEZZALI Sta arrivando una nuova versione di Chromecast: sarà più potente, più veloce e più completa. Google dovrebbe presentare questa nuova chiavetta nel corso dell’evento dedicato ai nuovi dispositivi Nexus, insieme ad una seconda dongle destinata ai sistemi audio. Se Chromecast infatti si collega ad un TV tramite HDMI, Chromecast Audio si collegherà ad amplificatori e diffusori tramite il classico jack analogico. Le novità riguardano soprattutto il wi-fi: Google, vista anche la particolare forma, potrebbe aver inserito un modulo wireless 802.11ac per migliorare la velocità di rete e il livello di connessione. Grazie poi alla funzione Fast Play, la chiavetta sarebbe decisamente più rapida ad agganciare e riprodurre lo streaming: ora servono circa 5 secondi, con Fast Play il “Cast” dovrebbe essere quasi immediato. Secondo la indiscrezioni Google ha anche cambiato la “home”: potrà essere usata per visualizzare foto e notizie dai social network. Il secondo modulo che Google ha pronto è invece dedicato all’audio: si chiamerà Chromecast Audio e sarà una piccolo disco con uscita analogica: sfruttando Google Cast Audio sarà possibile usare la chiavetta per riprodurre audio in streaming dalle app compatibili, e tra queste finalmente dovrebbe esserci Spotify. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE MOBILE Due tablet Amazon della famiglia Fire HD, colorati, resistenti e con display da 8’’ e 10.1’’ Grandi e pensati per il video: ecco i Fire HD Amazon La versione di FireOS, Bellini, è molto diversa dalla precedente, con modifiche e miglioramenti di Emanuele VILLA opo la circolazione di rumor sul possibile lancio di un tablet Amazon molto diverso dal solito e con un’interfaccia in stile Android “classico”, ecco giungere il comunicato ufficiale: non si trattava di un fantomatico nuovo tablet con sistema operativo Android standard ma del nuovo Fire HD, che per l’occasione è stato presentato in due tagli, da 8’’ e da 10,1’’, di fatto superando i D modelli più piccoli dello scorso anno, vincolati a schermi da 6’’ e 7’’. Molto colorati e con scocca plastica rinforzata, i nuovi Fire HD sono i tablet più grandi di Amazon e sono anche più sottili rispetto alle generazioni precedenti, con un 7,7 mm di spessore che non è niente male. In più, sono pensati per l’impiego multimediale: entrambi dispongono di display di risoluzione HD con aspect ratio di 16:10, pensata per favorire la visione di materiale cinematografico rispetto alle controparti 4:3. Ma quello che colpisce di più è la nuova versione di Fire OS, che Amazon ha chiamato Bellini, che gira su Lollipop e che - nonostante sia sempre incentrata sul contenuto più che sulla caratteristica tecnica - appare davvero rivoluzionata rispetto alle precedenti. Amazon parla di oltre 100 modifiche e miglioramenti, Bellini offre un’interfaccia totalmente diversa, con le app in bella mostra e pagine dedicate a seconda del tipo di contenuto; l’interfaccia è pensata per mostrare Il nuovo Fire è il tablet più economico di sempre. Ha schermo LCD IPS da 7 pollici processore quad core e costa 59,99 euro Disponibile dal 30 settembre di Paolo CENTOFANTI con semplicità i contenuti recenti e fornire consigli personalizzati a seconda dei servizi cui si è iscritti e alle preferenze d’uso del tablet. A livello hardware occorre segnalare il processore MediaTek quad-core da 1.5GHz e il doppio speaker con supporto Dolby Audio, ma è anche importante segnalare il supporto micro SD fino a 128 GB per i contenuti extra, la feature Word Runner per semplificare la lettura, Amazon Underground, Activity Center, e la doppia fotocamera. Al momento non abbiamo (ancora) notizie per il mercato italiano, ma negli USA i prezzi di listino sono rispettivamente di 149,99 dollari e 229,99 dollari. MOBILE L’azienda americana Sosche ha presentato una linea di nuovi accessori Il micro USB double face è realtà: serve un Type C? La particolarità è il connettore micro USB, che può essere inserito in entrambi i versi U di Emanuele VILLA n’azienda sconosciuta ai più (Scosche) ha avuto un’idea decisamente brillante: ha reso double face il connettore micro USB, semplificando la vita a tutti coloro che possiedono un dispositivo di questo tipo. Che poi sono la stragrande maggioranza degli smartphone e tablet Android e Windows, un mercato da milioni e milioni di pezzi. Tenendo un attimo fuori il mondo Apple, che com’è noto offre da tempo questa possibilità con Lightning - l’altro connettore che può essere inserito in entrambi i versi è USB Type C, l’ultimo nato della famiglia. Nonostante gli indubbi vantaggi in termini di performance, è peraltro vero che la sua diffusione non è ancora capillare (ce l’ha il One Plus 2), specie su dispositivi come gli smartphone che sono ancora dominati dalla cara e vec- torna al sommario chia micro USB. Visto che ognuno di noi ha tentato almeno una volta di inserire il cavo micro USB al contrario nello smartphone, l’idea di Scoschse è quanto meno utile. Si tratta di un connettore miniaturizzato di forma esagonale (che viene chiamato EZTIP) e con i contatti al centro e non sulla base del connettore, di modo tale da poter essere inserito in entrambi i versi. Insieme alla presentazione del nuovo connettore è stata introdotta un’intera nuova linea EZTIP dedicata proprio a sfruttarne i vantaggi: i cavetti USB/micro USB che possono essere Il tablet Fire di Amazon costa meno di 60 euro usati con i comuni smartphone, ma anche i battery pack, alimentatori da auto e altro ancora. Quello che non è certo è se questi prodotti arriveranno da noi, ma l’idea è brillante. Le indiscrezioni prevedevano il lancio di un tablet ultra economico da parte di Amazon per Natale, e invece il gigante dell’e-commerce ha deciso di lanciarlo subito. Il nuovo Fire di Amazon sarà infatti disponibile dal 30 settembre e avrà un costo di appena 59,99 euro, nella versione con contenuti promozionali in evidenza. Senza pubblicità il costo sarà di 74,99 euro. Ma cosa offrirà Amazon con questo prezzo? Il nuovo Fire è nel formato da 7 pollici, con display LCD IPS con risoluzione di 1024x600 pixel, e monta un processore quad core da 1,3 GHz, con 1 GB di RAM, 8 GB di memoria storage, Wi-Fi 802.11n, Bluetooth LE e slot per schedine microSD per spandere la memoria fino a 128 GB. Il sistema operativo è la versione 5.0 di Fire OS, nome in codice Bellini, sempre basato su Android, ma completamente personalizzato per integrare in modo nativo tutti i servizi di Amazon. Il tablet è anche dotato di fotocamera posteriore da 2 Megapixel e frontale con risoluzione VGA. Non stiamo parlando chiaramente di caratteristiche da top di gamma, ma per un tablet da 60 euro non possiamo nemmeno lamentarci troppo. Per 40 euro in più, rimane comunque in gamma il Fire HD 6, con schermo e processore migliori. Per quanto riguarda la batteria, Amazon parla di un’autonomia di 7 ore in lettura, navigazione web e ascolto di musica. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE GAMING Arrivano le prime indicazioni di prezzo per il visore per la realtà virtuale su PlayStation PlayStation VR costerà come una console Sapremo anche cosa aspettarci a livello di titoli per il lancio nel 2016. Il debutto si avvicina di Paolo CENTOFANTI I l visore di realtà virtuale per PlayStation, prima noto come Project Morpheus, costerà come “una nuova piattaforma di gioco” secondo Andrew House, il CEO di Sony Computer Entertainment, in un’intervista rilasciata a Bloomberg. Il dispositivo è atteso nella prima parte del 2016 e, anche se non si parla di numeri precisi, dalle parole utilizzate sembra chiaro che potremo aspettarci un prezzo pari a circa a quello della PS4 al lancio, intorno ai 400 euro. L’uscita di PlayStation VR sarà accompagnata da una line up di più di 10 titoli, suggerisce inoltre House, riferendosi alla decina di giochi già mostrati nella varie dimostrazioni del visore nelle ultime fiere e in particolare al recente Tokyo Game Show. Se il prezzo fosse confermato, la soluzione di Sony Corretto il bug WatchOS 2 è finalmente disponibile Apple ha corretto rapidamente il bug che ha ritardato il rilascio di WatchOS 2: il nuovo sistema operativo di Apple Watch è finalmente disponibile per il download Le app native sono la novità più importante rimarrebbe comunque competitiva considerando i requisiti di sistema del concorrente Oculus Rift, che parlano di un budget di circa 1500 dollari tra PC adeguatamente potente e visore virtuale; Il bundle PlayStation 4 e VR potrebbe invece posizionarsi abbondantemente sotto i 1000 dollari, specie alla luce del recentemente annunciato taglio di prezzo per la console in Giappone (e che ancora non si sa se verrà applicato anche nel resto del mondo). di Roberto PEZZALI APP WORLD Cambiamento grafico su tutte le piattaforme Una nuova interfaccia per Deezer MAGAZINE Estratto dal quotidiano online www.DDAY.it Registrazione Tribunale di Milano n. 416 del 28 settembre 2009 direttore responsabile Gianfranco Giardina editing Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago, Alessandra Lojacono, Simona Zucca Editore Scripta Manent Servizi Editoriali srl via Gallarate, 76 - 20151 Milano P.I. 11967100154 Per informazioni [email protected] Per la pubblicità [email protected] torna al sommario di Paolo CENTOFANTI l servizio di streaming Deezer ha annunciato il debutto della sua nuova interfaccia grafica, un cambiamento che interesserà tutte le piattaforme su cui è disponibile, e che gli utenti dell’app per iOS potranno provare da subito. Il nuovo design punta tutto sulla semplicità di utilizzo del servizio riducendo il più possibile i passaggi per arrivare alla musica che si vuole ascoltare e mette ancora più in evidenza i consigli della redazione e i mix tematici. L’app mobile rinuncia al menù, in favore di una navigazione a tab nella parte inferiore che offre un accesso più rapido alle funzioni principali di Deezer. Flow, la playlist dinamica compilata in funzione delle nostre abitudine di ascolto, continua a rimanere in posizione privilegiata in home, mentre nella tab “notifiche”, troveremo le attività dei curatori musicali a noi affini e degli utenti che seguiamo. Il nuovo design arriverà anche su web, oltre che su Android, anche se al momento non c’è ancora una data prevista per il lancio. I WatchOS 2 è stato finalmente rilasciato da Apple: dopo un piccolo ritardo dovuto ad un bug, i possessori di Watch potranno aggiornare lo smartwatch aggiungendo una delle funzionalità più attese, il supporto alle applicazioni native. Se fino ad oggi il legame tra smartphone e smartwatch era molto saldo, con la parte “logica” dell’applicazione eseguita dallo smartphone, ora con WatchOS 2 alcune app verranno gestite interamente dal processore del Watch. Questo garantirà non solo una maggiore velocità, ma anche la possibilità per sviluppatori di creare applicazioni diverse utilizzabili anche quando lo Watch non si trova nei paraggi di un iPhone. Oltre alle app native WatchOS 2 aggiunge anche nuovi quadranti, Time Travel, una modalità “Notte” e tante altre piccole migliorie. Nelle prossime settimane metteremo alla frusta Watch con il nuovo OS, che abbiamo prontamente installato sul Watch di redazione. Serie S78 / Ultra HD 50” / 58” Immergetevi in una nuova esperienza ! Avvicinatevi al vostro grande schermo UHD e tuffatevi in un’immagine di una ricchezza incredibile di dettagli. Un’immagine che non è mai stata cosi profonda grazie alla precisione dei contorni, anche nei dettagli più lontani. Un’immagine che non è mai stata cosi realistica grazie alla nitidezza dei colori. Ammirate la perfetta fluidita del movimento, resa possibile dalla tecnologia Clear Motion Index 800 Hz. ww.tcl.eu/it n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE AUTO La Casa automobilistica tedesca ora rischia tantissimo, anche una multa molto salata Ecco come Volkswagen “truccava” le auto Inserite nelle centraline dei motori diesel destinati agli States due curve di calibrazione Una a basse emissioni che si attiva durante test specifici e una “killer” da usare su strada di Roberto PEZZALI C osa ha combinato Volkswagen, crollata in borsa e costretta a richiamare negli Stati Uniti oltre 500.000 vetture? Semplice, ha imbrogliato inserendo sulle sue vetture un software in grado di ridurre le emissioni solo quando le auto venivano analizzate in laboratorio. E non siamo di fronte a un sospetto: Volkswagen ha ammesso di aver usato il trucco e ora rischia davvero grosso, anche una multa di svariati miliardi di dollari oltre all’obbligo di richiamo per 500.000 vetture da rimettere in regola il più presto possibile. Una storia, quella di Volkswagen, che ha inizio nel 2014, quando una attenta analisi condotta dall’Università della West Virginia scoprì che alcuni motori diesel, su strada, emettevano una quantità decisamente più elevata di ossido di azoto rispetto al valore registrato in fase di test e certificazione. Un risultato che è stato prontamente sottoposto alla California Air Resources Board, ente preposto al rilascio delle certificazioni anti-inquinamento, e che ha dato il via a una indagine preliminare con la collaborazione di Volkswagen, con l’obiettivo di capire per quale motivo i motori da 2 litri diesel della casa tedesca, in condizioni di guida su strada, facessero rilevare emissioni di ossido di azoto così elevate rispetto ai normali test di certificazione. Volkswagen, dopo un periodo di analisi iniziale, ha dichiarato alla CARB nel mese di dicembre dell’anno 2014 di aver trovato una motivazione tecnica alle elevate emissioni su strada, suggerendo come soluzione una nuova curva di calibrazione del motore da caricare nella centralina tramite update software per rientrare nei parametri. Una risposta accolta positivamente dall’ente americano, che ha dato il permesso di applicare la soluzione software il prima possibile. La Casa automobilistica, a fine 2014, ha così dato il via a un richiamo sul territorio americano di 500.000 auto, 50.000 delle quali in California, per apportare le modifiche al software del motore e ridurre così le emissioni su strada. Tra le auto richiamate figuravano le Jetta, le Beetle, le Golf, le Passat e le Audi A3 prodotte dal 2009 al 2015 (dal 2014 per le Passat). La California Air Resources Board aveva in ogni caso avvisato VW: dopo il richiamo avrebbero ricontrollato e verificato le emissioni di alcune auto prese a campione, e se durante i test si fossero riscontrate emissioni elevate Volkswagen avrebbe dovuto richiamare nuovamente le autovetture. I test sono iniziati il 6 maggio di quest’anno, e nonostante il richiamo le emissioni non si sono affatto ridotte: qualche parametro si è abbassato, ma le emissioni di NOx, ossido di azoto, sono rimaste decisamente sopra la media. Un dato continuava a stonare con quello rilevato in laboratorio, e che ha spinto la CARB a effettuare test specifici più precisi adottando su strada anche alcuni metodi usati per la certificazione strumentale. La curva di calibrazione modificata da Il pattern di misurazione; il motore si adeguava di conseguenza VW con il se- torna al sommario Batteria Bosch raddoppierà l’autonomia delle auto elettriche Batterie per le auto elettriche con più del doppio dell’attuale densità di carica e a costi inferiori Una nuova tecnologia di Bosch che potrebbe arrivare entro 5 anni di Paolo CENTOFANTI condo richiamo ha aumentato effettivamente il dosaggio di AdBlue rilasciato (un liquido usato nei sistemi catalizzatori che trasforma l’ossido di azoto in innocui azoto e vapore acqueo), ma non in modo sufficiente per rientrare nei parametri standard. Dopo aver inviato i risultati del test a Volkswagen, la stessa casa tedesca ha dovuto ammettere l’esistenza nelle centraline del motore due curve di calibrazione, una normale e una che viene caricata solo se viene rilevato uno specifico pattern, ovvero uno specifico comportamento del motore. E guarda caso il comportamento era quello dei test FTP, US06 e HWFET usati dalla Carb per rilasciare le certificazioni. Volkswagen ha fatto in pratica quello che ha fatto qualche produttore di smartphone con alcuni benchmark, ha modificato le prestazioni e ridotto le emissioni dei motori solo in laboratorio, lasciando invariato il comportamento su strada. Una cosa gravissima sia dal punto di vista etico sia sotto il profilo ambientale, tanto che ora la CARB ha messo il colosso dell’auto alle strette: deve richiamare tutte le auto in circolazione applicando la curva di calibrazione certificata, anche a discapito di consumi e prestazioni. La CARB ha inoltre avviato una indagine su tutte le altre auto prodotte dal 2009 al 2015 con motore diesel, e probabilmente una inchiesta simile sarà attivata ora anche in Europa e in altri Paesi. Utilizzare inoltre soluzioni fuorilegge per passare i controlli sulle emissioni è considerato negli Stati Uniti una grave minaccia alla salute pubblica, e Volkswagen rischia ora una multa a nove zeri. Il freno maggiore alla diffusione di veicoli elettrici è costituito dalle batterie, ancora troppo costose e dall’autonomia limitata rispetto alle tradizionali vetture a combustione. Bosch però sostiene di avere una soluzione: una nuova tecnologia di batterie agli ioni di litio che consentirà di realizzare celle con più del doppio di densità di carica, il tutto a costi industriali inferiori a quelli attuali. L’innovazione si basa in parte sul know how di Seeo Inc., azienda americana acquisita da Bosch lo scorso mese e specializzata nella produzione di batterie allo stato solido. La tecnologia, che Bosch sostiene potrebbe essere pronta entro i prossimi 5 anni, si basa sullo sviluppo di un nuovo tipo di batteria completamente allo stato solido, in cui l’anodo è composto da litio puro, il che consente di aumentare la capacità di immagazzinamento di carica di una cella rispetto alle soluzioni classiche. L’abbandono di soluzioni liquide in favore di una struttura solida eliminerebbe i rischi di infiammabilità delle batterie, migliorandone la sicurezza. Aumentando la capacità delle celle, i pacchi batterie diventerebbero più compatti e leggeri e, secondo Bosch, più economici. Bosch ha annunciato di avere già le prime celle basate sulla nuova tecnologia. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE AUTOMOTIVE Un bolide con un sofisticato sistema audio per deliziare conducente e passeggeri Diffusori B&W per BMW: ecco la serie 7 per audiofili Un sistema audio con 16 altoparlanti tra cui tre tweeter Diamond e una potenza di 1400 watt L di Roberto FAGGIANO a BMW serie 7 costa come minimo 88.000 euro ma se volete ascoltare come si deve non solo il motore ma anche la musica, è meglio aggiungere qualche altro migliaio di euro per farvi montare il nuovo sistema audio B&W. Finora il marchio inglese aveva realizzato sistemi audio solo per Maserati e Volvo, ma ora allarga i suoi orizzonti con le berline bavaresi. Il sistema è particolarmente sofisticato e studiato su misura per ottenere le massime prestazioni sonore per il conducente e i passeggeri. Il team di Bowers & Wilkins ha fat- Dainese Misano 1000 è il primo giubbotto con airbag completamente “stand alone” di Emanuele VILLA to le cose in grande piazzando addirittura 16 diversi altoparlanti nell’abitacolo, pilotati da dieci amplificatori digitali in classe D per un totale di 1.400 watt; inoltre, è possibile scegliere cinque diverse curve di equalizzazione per ottenere un risultato ancora più personale ed esclusivo. Tra i sedici altoparlanti montati ci sono tre tweeter del tipo Diamond, gli stessi usati nella serie casalinga 800 di B&W, piazzati frontalmente nelle posizioni sinistro, centrale e destro. Inoltre, troviamo quattro tweeter in alluminio, sette midrange in kevlar e due woofer da 217 mm. Per i tweeter ci sono anche raffinate griglie in alluminio coordinate con la finitura interna della vettura. Buon ascolto ai fortunati possessori di questo potente bolide musicale. AUTOMOTIVE Greyp G12S ha un solo limite, il prezzo non proprio per tutti: si parte da 8.000 € La bici elettrica da 70 km/h. Un po’ cara, però... Leggera, supersportiva, con display e scanner per le impronte digitali, si ricarica in 80 minuti di Emanuele VILLA reyp Bikes, azienda croata nota per aver realizzato una supercar (Rimac Concept One) elettrica da 1.088 cavalli, ha mostrato il suo nuovo gioiellino: Greyp G12S, la bicicletta elettrica ipertecnologica. Basta dargli un’occhiata per capire che non è una bici qualunque: il telaio da 19’’ è stato completamente rivisto per assicurare stabilità e leggerezza, quest’ultima garantita dai pannelli in fibra di carbonio che nascondono il motore. La batteria è un modulo unico ed è posizionata nella parte bassa del telaio per dare più stabilità. Si tratta di un modulo da 84 V con capacità di 1,5 kWh, si ricarica in circa 80 minuti e assicura 1.000 cicli di ricarica. Greyp G12S è inoltre dotata di frenata rigenerativa, che estende l’autonomia della batteria in modo anche significativo. Il motore produce una potenza di 12 kW in modalità Power (sono previste 3 modalità di G torna al sommario Il giubbotto Dainese con airbag può salvare la vita marcia) che si traduce in una velocità di punta - autolimitata - di 70 km/h, mentre la modalità Street è vincolata ai limiti previsti dalla normativa europea per le bici elettriche e raggiunge i 25 km/h. Greyp G12S è dotata di sospensioni Rockshox, ha anche un display frontale che riporta informazioni utili e dispone di uno scanner di impronte digitali: il riconoscimento dell’utente (è possibile registrare più dita per permettere l’uso della bici a persone diverse) è fondamentale ai fini della sicurezza, ma a dita diverse possono essere assegnati diverse modalità di marcia, dallo Street al Power. Il “problema” è il prezzo: si parte da 8,330 euro ma potrebbe salire in caso di particolari personalizzazioni richieste al momento dell’ordine. Dainese ha presentato un giubbotto con l’airbag incorporato, quello che la stessa azienda definisce “il primo airbag stand-alone Dainese per uso stradale”. Si chiama Misano 1000 e differisce dalle altre giacche della medesima categoria proprio per l’elettronica incorporata. Scopo del giubbotto è quello di rilevare un incidente e di attivare la protezione in una frazione di secondo per attutire il colpo, ma mentre gli altri si basano su kit di sensori da installare sul veicolo, Misano 1000 è “stand alone”, ovvero si basa sui propri sensori interni ed è quindi compatibile con tutte le situazioni e tutte le moto. Il segreto sembra risiedere negli accelerometri interni e nel GPS, che sono alloggiati nel paraschiena e che, sulla base delle proprie rilevazioni (si parla di 800 misurazioni al secondo tramite 6 sensori integrati) sono in grado di capire se c’è stato un incidente e/o si è stati disarcionati. Il grosso vantaggio è l’indipendenza dalla moto: se anche se ne cambiano 2 o 3 in un giorno, la protezione resta sempre attiva. Misano 1000, che presumibilmente ha bisogno di una fonte di alimentazione, si attiva con un pulsante sulla chiusura della giacca e dà un feedback visivo tramite un LED laterale. L’airbag è basato su una struttura a microfilamenti e - riportando la comunicazione ufficiale Dainese “permette un gonfiaggio uniforme di 5 cm su tutta la sua superfice garantendo massima protezione e massimo c o m f o r t ”. Sarà disponibile da novembre a 1.499 euro. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE HI-FI E HOME CINEMA Siamo andati a visitare la Phono Press di Settala, l’unica azienda italiana che ancora stampa dischi Viaggio nell’ultima fabbrica italiana di 33 giri Per la stampa dei dischi vengono utilizzate macchine che hanno quasi 40 anni, ormai divenute molto difficili da reperire N di Roberto PEZZALI responsabili - oggi siamo arrivati a 6000 dischi”. La domanda è esplosa, tanto che in alcuni paesi europei per un ordine la lista di attesa è lunghissima: in Repubblica Ceca chi ordina una stampa deve attendere fino a 6 mesi per ricevere i dischi. Phono Press produce per tutti, ha clienti italiani e clienti europei: “Tutte etichette indipendenti e qualche ordine di major - ci confermano - ma in media ogni ordine non passa i 500 / 1000 dischi”. Confrontarsi con macchine di una certa età, in ogni caso, non è un grossissimo problema: “Le macchine che stampano sono molto vecchie, ma trattandosi di sistemi meccanici costruiti alla vecchia maniera metterci mano non è difficile, e abbiamo anche una piccola officina per le riparazioni. Quella – ci indicano con orgoglio – è una vecchissima pressa per dischi manuale che stiamo rimettendo in sesto, è l’unica che permette di realizzare dischi con lavorazioni particolari, ed esempio l’effetto splash”. Alla Phono Press ci raccontano che qualche azienda che produce ancora presse per vinili esiste, ma il costo di ogni pressa, circa 300.000 euro, è un investimento che oggi non si riesce ad affrontare. Il problema vero, in realtà, non sono tanto le presse quanto gli altri elementi che compongono la catena La linea di stampa della Phono Press: su alcune presse un vecchio contatore mostra i segni dell’età: svariati milioni di dischi stampati Una vecchissima pressa manuale per dischi: solo con questa macchina si possono realizzare lavorazioni speciali essuno avrebbe mai pensato che, con il Compact Disc in declino e lo streaming ai suoi massimi livelli, il vecchio disco in vinile potesse ancora dire la sua. Eppure, e lo dicono i dati di mercato, il vinile sta riscoprendo un vero e proprio periodo d’oro con le vendite degli ultimi anni che hanno sorpassato, numeri e grafici alla mano, i picchi degli anni d’oro dell’alta fedeltà. Il vinile per molti appassionati è la storia, ma per le etichette indipendenti e molti giovani d’oggi è un modo per tornare alla musica genuina di un tempo, non viziata dalle logiche commerciali delle grandi major e guidata soprattutto dalla creatività degli artisti e dalle loro ispirazioni. Di fronte all’impalpabile musica liquida, la copertina quadrata di un disco in vinile, con i suoi disegni e il suo profumo, è ancora un prezioso oggetto da collezionare, spolverare e ascoltare nelle sue piccole imperfezioni e nel suo analogico rumore di fondo. Un boom quello del vinile inatteso, tanto che oggi la parte più complessa da affrontare è quella relativa alla produzione: nel mondo le aziende che ancora stampano dischi non sono più di venti, e tutte hanno in comune un problema non da poco, ovvero la necessità di usare macchine con più di quarant’anni di vita alle spalle, presse che hanno stampato milioni e milioni di dischi e che meriterebbero di andare in pensione se ci fossero degni sostituti. Ma all’alba del 2016, in piena era digitale, non c’è più nessuno che produce macchine per la creazione di dischi e trovarne di vecchie è difficilissimo: molte stamperie hanno mandato tutto a rottamare, distruggendo un patrimonio che oggi sarebbe ancora stato utilissimo. In Italia avevamo più di dieci aziende che stampavano dischi in vinile, ma oggi solo una di queste è ancora viva, la Phono Press di Settala, in provincia di Milano. Phono Press è sul mercato da oltre 30 anni, solo di recente ha cambiato sede per far fronte alle richieste di un mercato che è effettivamente esploso: “Se fino a qualche anno fa si stampavano dai 1000 ai 2000 dischi al giorno - ci dice uno dei torna al sommario di stampa: il nostro viaggio parte infatti dalla sala dove, tramite il processo di “trascrizione”, si trasforma il master inviato dalla casa cinematografica (un file oppure un CD) in quello che può essere definito il “disco numero 0”. La macchina visibile nella foto sopra è una sorta di giradischi inverso: al posto di una testina ha un cristallo di zaffiro che incide il solco su una lastra di alluminio ricoperta di una particolare lacca, vernice che ad oggi viene prodotta da una sola azienda al mondo. Macchine di questo tipo non se ne fanno praticamente più: la Neumann, azienda tedesca che ha creato quella realizzata in Phono Press, oggi produce solo ottimi microfoni ma ha abbandonato il settore degli apparecchi industriali. Il disco che viene realizzato tramite il processo di trascrizione è un vero disco che suona, una copia perfetta di quelli che saranno poi i dischi creati dalle presse. Alla Phono Press ci raccontano che la qualità di un disco è determinata al 90% dalla fase di incisione: la profondità delle piste, la distanza tra una pista e l’altra e tanti altri piccoli dettagli determinano poi la dinamica e la qualità dell’ascolto. Le fasi successive del processo di lavorazione sono molto semplici: c’è una prima fase “chimica” che prevede la creazione delle matrici di stampa e successivamente c’è la fase di stampa vera e propria dove segue a pagina 24 n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE HI-FI E HOME CINEMA Vinilmania: la produzione dei 33 giri segue Da pagina 23 intervengono le presse meccaniche. Per stampare servono però le matrici, dei dischi “negativi” realizzati rivestendo il master con uno strato di argento e nichel in bagno galvanico. In questa fase si pensa anche al futuro: viene creato anche un disco madre, una copia perfetta in nichel del disco “0” da tenere in archivio per eventuali ristampe. Le etichette attorno al “foro” non sono adesive, ma vengono pressate insieme al vinile caldo. La “magia” viene fatta da rumorose macchina dotate di una forza spaventosa: in Phono Press ci sono sei presse che lavorano a pieno ritmo per realizzare i dischi. Come materiale di partenza vengono usati piccoli grani di pvc, disponibili in diversi colori: questi grani vengono scaldati da una caldaia e trasformati in un “bicchierino” di pvc, un cilindretto che viene letteralmente schiacciato dalla pressa all’interno delle due matrici. Il risultato, come si può immaginare, è il disco stesso: all’interno della macchina in realtà il processo è leggermente più complesso, con una spruzzata di vapore a oltre 200 gradi per ammorbidire il vinile e un passaggio di acqua fresca per raffreddare il disco. In Phono Press ci svelano anche alcuni piccoli dettagli che stupiscono anche alcuni estimatori del vinile: le etichette dei dischi non sono incollate come si potrebbe pensare ma vengono pressate insieme al disco. La carta utilizzata per le etichette è una carta speciale, con un alto grado di porosità, che viene penetrata dal PVC caldo e diventa parte integrante del disco stesso. I grani di PVC che compongono un disco: li producono ancora diverse aziende nel mondo. torna al sommario Il piccolo cilindretto nero è il vinile morbido, pronto per essere schiacciato tra i due stampi. Il braccio che preleva i dischi tagliati dalla pressa e li deposita sul piatto: la fase successiva è l’inserimento nella busta. Un po’ di scarti pronti per essere riciclati: non tutti i dischi vengono perfetti,e ogni disco viene controllato. I dischi caldi vengono pressati con lastre di ferro per raffreddarli e mantenerli piatti. Un disco prima di essere rifinito dalla lama: prima del taglio viene raffreddato con un getto di acqua. I riccioli tagliati vengono completamente riciclati: una delle aziende che produce grani di pellet per vinile è italiana. Il disco è finito, pronto per essere imbustato (a mano) e inviato ai negozi. Il ritorno del vinile non è un fuoco di paglia, anzi: le aziende ci credono, i consumatori ci credono e anche ai negozi il vinile piace. Perché, come abbiamo scritto nello “Speciale” dedicato al vinile qualche mese fa, lo streaming è comodo, ma il 33 giri fa godere ancora. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE HI-FI E HOME CINEMA Sonos starebbe per proporre un sistema di calibrazione automatica Da Sonos il multiroom con setup su misura? Il sistema “Trueplay” utilizza il microfono di smartphone e tablet per il setup in ambiente S di Roberto FAGGIANO onos ha reso pubblica per gli sviluppatori una versione beta della sua nuova applicazione da cui sono emerse interessanti novità pratiche e di prodotto. La più interessante è il sistema di calibrazione automatica Trueplay per migliorare la risposta in frequenza dei diffusori in relazione all’ambiente dove sono collocati. Si tratta di una tecnologia largamente applicata negli amplificatori home theater, che prevede l’utilizzo di un microfono collegato all’apparecchio. Con il sistema studiato da Sonos invece basta uno smartphone o un tablet sul quale è installata l’applicazione: in pratica l’app sfrutta il microfono presente in tutti i dispositivi mobili per rilevare la risposta in frequenza dell’ambiente e regolare di conseguenza l’equalizzazione del diffusore. L’app in circa tre minuti emette una serie di frequenze audio, rileva la risposta e regola il diffusore; non è chiaro se Trueplay sarà disponibile anche per i modelli già in commercio o solo per quelli nuovi, ma di certo una funzione del genere sarebbe un bel vantaggio per Sonos rispetto ai concorrenti. Sony aggiorna la sua full frame ad alta sensibilità alla versione II: arriva la registrazione in 4K e tante funzionalità per i videomaker di Paolo CENTOFANTI Abbiamo parlato di nuovi modelli perché da altre parti dell’applicazione emerge un’altra novità importante, la presenza di comandi a sfioramento sul lato superiore che in effetti svela un modello al momento inedito. A quanto pare si tratterebbe di un Play:3 modificato, dato che può stare in orizzontale o in verticale, ma potrebbe anche essere un diffusore del tutto inedito. Probabilmente ci sarà solo una revisione dei modelli attualmente in commercio, una versione mkII con i nuovi comandi a sfioramento e altre piccole migliorie. Per sapere ogni dettaglio comunque non dovremo aspettare molto, dato che per il 30 settembre è già stata fissata la presentazione di novità Sonos. HI-FI E HOME CINEMA Bang & Olufsen presenta un diffusore Bluetooth dal design insolito B&O BeoPlay S3 è il diffusore Bluetooth che arreda Il nuovo diffusore ha dimensioni compatte e cover colorate intercambiabili. Prezzo 399 euro di Roberto FAGGIANO L a linea di prodotti BeoPlay di Bang & Olufesn si fa ogni giorno più ricca, questa volta il nuovo ingresso è il diffusore S3 (399 euro), un oggetto dalla forma irregolare che utilizza il Bluetooth per collegarsi a smartphone e tablet. Non fa parte del sistema multiroom BeoLink ma se ne possono collocare diversi in ogni stanza della casa, con possibilità di diffondere la stessa musica in tutti gli ambienti. Inoltre può essere configurato in stereofonia, con o senza fili, utilizzando due diffusori; c’è in ogni caso anche un DSP interno per ricreare maggiore profondità e ampiezza anche usando un solo diffusore. Il diffusore è disponibile in versione nera o bianca, ma si possono poi sostituire torna al sommario La nuova Sony α7S II riprende anche video 4K le cover con altre colorate. Il mobile è realizzato in materiale sintetico rigido e frontale in alluminio. Dal punto di vista tecnico il diffusore utilizza un sistema a due vie con larga banda da 10 cm e tweeter da 3/4 di pollice, la potenza disponibile è di 2 x 30 watt in classe D. Oltre al Bluetooth è disponibile un ingresso minijack e l’uscita verso un secondo diffusore oltre a una presa usb per pc. Le dimensioni sono di 18 x 18 cm con profondità di 12 cm e peso di 1,75 kg; l’alimentazione è solo con la rete elettrica. Sony ha annunciato l’evoluzione della fotocamera mirrorless full frame α7S, la nuova α7S II. La caratteristica più eclatante è il sensore da 12,2 Megapixel che permette di scattare immagini con una sensibilità massima di 409600 ISO. Ma le novità principali riguardano il video: Sony ha infatti aggiunto la possibilità di registrare video 4K con una risoluzione di 3840x2160 pixel a 100 Mbit/s. Sony afferma che in questa modalità l’immagine viene catturata sfruttando tutto il sensore full frame, senza salto di righe o pixel binning, il che garantirebbe grande definizione e assenza di moiré. La stessa modalità di lettura del sensore viene utilizzata anche per le riprese in Full HD, con il downscaling che viene effettuato in fase di elaborazione del segnale sfruttando una risoluzione di partenza 5 volte superiore, con possibilità di ripresa a 120 fps e funzione slow motion. I filmati in 4K vengono registrati in formato XAVC S ed è possibile selezionare in ripresa i profili S-Gamut3.Cine/S-Log3, S-Gamut3/ S-Log3 e S-Gamut/S-Log2. La α7S II è dotata del nuovo sistema di stabilizzazione di immagine su sensore a 5 assi, sono stati migliorati anche l’autofocus a 169 punti e l’angolo di visione del mirino elettronico con schermo OLED XGA. La fotocamera sarà disponibile in Europa a partire da novembre a un prezzo indicativo di 3400 euro. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE SMARTHOME Dovrebbe arrivare in Italia intorno a metà novembre. Prezzo ancora da comunicare, forse intorno ai mille euro È in arrivo il nuovo Roomba 980 di iRobot Robot aspiratore connesso e più “intelligente” Presentato a New York Roomba 980, l’ultima “creatura” di Colin Angle, il visionario fondatore e CEO di iRobot Un robot pulisci pavimento che si connette alla rete Wi-Fi ed è capace di mappare tutto l’ambiente domestico S di Gianfranco GIARDINA ono tre le parole chiave con cui Colin Angle, CEO e fondatore di iRobot (nella foto qui a destra), ha presentato il nuovo robot aspirapavimenti Roomba 980: Smart, Simple e Clean. Tre parole che racchiudono una serie di innovazioni finalizzate a rendere il servizio fornito dagli utili robottini sempre più evoluto, pur nel rispetto totale del primo credo della società: la semplicità di utilizzo. Il Roomba 980 prende ovviamente le mosse da tutti i modelli precedenti, realizzati nell’ultima dozzina di anni, da quando iRobot ha di fatto inventato questa nuova categoria di prodotto, che vale oramai più del 20% del mercato degli aspirapolvere. Da allora sono stati venduti nel mondo oltre 13 milioni di apparecchi iRobot e la società, anche se è stata affiancata nel settore da altri grandi nomi, come Samsung, LG, Dyson e così via, detiene una quota di mercato impressionante: oltre il 68% dei robot aspirapavimenti venduti nel mondo sono Roomba. In Italia le quote non sono molto diverse. Il nuovo Roomba 980 ha fatto il suo debutto in un evento a New York, a cui abbiamo partecipato, che è stata anche l’occasione per celebrare i 25 anni di attività della società. La novità principale – o almeno quella che salta immediatamente agli occhi – è che il robot è ora connesso via Wi-Fi alla rete domestica e soprattutto a Internet, da cui può essere comandato tramite un’app via smartphone o tablet. Ma ci sono altre innovazioni che, secondo Colin Angle, saranno in grado di rivoluzionare nel giro di qualche anno non solo il mondo dell’aspirazione robotizzata ma anche quello dell’intera casa automatica. Potenza di aspirazione doppia e autonomia aumentata La cosa più concreta, ai fini della pulizia, è la riprogettazione del motore (10 volte più potente) e della batteria, ora agli ioni di litio: Roomba 980 ha una capacità di aspirazione che è doppia rispetto a quella dei modelli precedenti e, malgrado ciò, ha un’autonomia aumentata fino a 2 ore continuative di lavoro, torna al sommario il che mette in condizione il robot di effettuare la pulizia completa di un appartamento “tutta di un fiato”; ovviamente resta il sistema automatico di “resume” in virtù del quale se Roomba inizia a scaricarsi e non ha ancora finito, torna automaticamente alla base, fa una “scorpacciata” di energia e poi riparte automaticamente alla volta della porzione di casa non ancora pulita. Ma in questo caso, come vedremo più avanti, il nuovo Roomba è molto più bravo e veloce a ritrovare la strada verso “casa”. Aspirazione modulata a seconda della superficie Uno dei limiti, fino a oggi, dei robot per la pulizia era il fatto di non discriminare il tipo di superficie in corso di aspirazione, comportandosi in pratica sempre allo stesso modo a prescindere dal pavimento battuto. Il Roomba 980 ha una serie di sensori (li vedremo più avanti nel dettaglio) che permettono al robot di capire su che tipo di superficie sta camminando: se si tratta di moquette o tappeti, il Roomba aumenta potentemente la forza aspirante, come richiesto su una superficie di questo tipo; quando torna su superfici più lisce, rimodula verso il basso l’aspirazione a livelli più che sufficienti per un pavimento che offre una “tenuta” all’aspirazione. In questo modo, modulando l’intensità su quattro livelli diversi, il Roomba 980 riesce a offrire nello stesso tempo la massima efficacia di pulizia e una gestione oculata dell’energia, permettendo così di raggiungere l’obiettivo dell’autonomia estesa. L’aumento e la diminuzione di potenza a seconda dei materiali è tutt’altro che un richiamo di puro marketing: si sente chiaramente la rumorosità dell’apparecchio aumentare e il motore salire di giri non appena approccia una superficie “pelosa”. L’asso nella manica Riuscire a mappare tutta la casa Fino a oggi Roomba procedeva nel suo lavoro secondo algoritmi sofisticati che gli permettevano di arrivare quasi dappertutto e di non trascurare porzioni di pavimento, ma di fatto il robot non riscostruiva una mappa completa della casa. Il Roomba 980, invece, disegna nella sua mente una mappa precisa dell’area coperta e questo grazie a due nuovi sensori: uno è posto nella sua parte inferiore ed è un sensore “luminoso”, simile a quello dei comuni mouse; con questo sensore Roomba riesce a calcolare con la massima precisione i suoi movimenti e quindi a mappare con esattezza tutta la strada che ha fatto e le aree che ha già visitato. Oltre questo c’è anche, nella parte superiore, una vera e propria videocamera: questa non serve, come anche noi avevamo creduto in un primo momento, a inviare le immagini di casa all’utente tramite smartphone, ma è finalizzata solo a mappare con ancora maggiore precisione la casa. Infatti, la videocamera cattura continuamente delle immagini a bassa risoluzione, quanto basta per riconoscere e interpretare alcuni “pattern” visivi e associarli allo spazio visitato. In questo modo Roomba riconosce ancora meglio il luogo in cui si trova. Il risultato - dicevamo - è che il robot ricostruisce nella segue a pagina 27 n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE SMARTHOME iRobot Roomba 980 segue Da pagina 26 il robot inizia a battere la stanza parallela a una parete e offre una copertura che, anche alla vista, appare più uniforme. Quando poi si dà l’ordine al robot di rientrare alla base, lui procede spedito facendo chiaramente la strada più diretta (a questo punto sa dov’è e ha in memoria la mappa completa) e non procedendo con qualche approssimazione, come faceva prima. Un vero passo avanti. Romba diventa connesso: Wi-Fi e app e lo comandi anche da fuori casa Nella foto si vede nella parte alta di destra una sorta di “oblò” nero: è il sensore che permette di mappare con precisione millimetrica la strada percorsa dal robot. Qui si vede la videocamera per la mappatura posta superiormente, sotto un vetro di protezione. sua memoria la planimetria della casa visitabile (ovviamente se una porta è chiusa, non entra): sulla base di queste informazioni, sa al volo dove si trova la sua base e dove deve ancora fare un passaggio “di fino”. Non si tratta di un’innovazione in senso assoluto: la stessa iRobot produce dei robot professionali in grado di mappare gli ambienti con una serie di emettitori e sensori laser, che però comportano costi proibitivi, nell’ordine delle decine di migliaia di dollari. Ora, con l’utilizzo di semplici (e quindi accessibili) sensori e con tanto tanto software, la mappatura è accessibile all’utenza domestica: “Finalmente – ci dice Colin Angle, che abbiamo avuto l’occasione di intervistare – abbiamo un sistema in casa che si occupa di mappare facilmente gli ambienti. In futuro queste informazioni saranno indispensabili per qualsiasi applicazione sensata di smarthome; anzi sono proprio queste informazioni che mancano oggi ai sistemi”. Infatti, lo stesso sistema potrà essere usato in futuro non solo per ricostruire la planimetria ma anche per ri- conoscere la destinazione d’uso delle diverse stanze, permettendo così attività automatiche ancora più “intelligenti”, in grado di andare ben oltre la semplice pulizia di casa ma riguardanti tutta l’home automation. Sorprendentemente il Roomba 980 una volta finito il lavoro, “dimentica” la mappa: noi avremmo pensato che l’esperienza di un primo “giro” potesse essere utilizzata con vantaggio nelle pulizie successive. I tecnici di iRobot ci spiegano che una cosa simile avrebbe mandato il robot in confusione: la casa, anche se per pochi dettagli, cambia continuamente; sarebbe bastata una porta chiusa o una sedia spostata per creare delle incongruenze. Ma non escludiamo che questa funzione possa essere introdotta in futuro, su questo o sui prossimi modelli. All’atto pratico, si vede subito che il Roomba 980 ha cambiato strategia di pulizia: le generazioni precedenti procedevano tendenzialmente in diagonale alla ricerca immediata dei limiti operativi della stanza, “rimbalzando” di lato in lato; ora il processo è molto più ordinato: L’innovazione più “attuale” è la possibilità di controllare il Roomba 980 anche via smartphone. Non si pensi a grandi “gadget”: iRobot è una società profondamente guidata dagli aspetti ingegneristici e poco incline alle seduzioni del martketing fine a se stesso. Quello che si può fare con la app è molto semplice, tanto quanto quello che si può fare operando direttamente sul robot; cioè quello che serve, senza strizzare l’occhiolino a facili sensazionalismi da tecno-gadget. Per questo, fondamentalmente, a parte alcune schermate secondarie, il tasto presente sulla app è solo uno: “clean”. In questo modo il robot, che è connesso via Wi-Fi, inizia la sua missione. A sistema in funzione (cerchio verde “acceso” attorno alla scritta Clean) una nuova pressione sul tasto ferma il lavoro. L’altra parte interessante dell’applicazione riguarda la possibilità di impostare facilmente una programmazione oraria: non si tratta di una novità per i Roomba, ma certo l’interfaccia grafica dello smartphone è ben altra cosa rispetto alle programmazioni fatte in maniera tradizionale operando sul robot. La programmazione è davvero fondamentale per questo tipo di apparecchio: infatti, avere un Roomba che gira per casa mentre gli abitanti di casa sono in circolazione può essere noioso, sia per l’ingombro del robot che per la sua rumorosità: segue a pagina 28 In un esempio reale che ci è stato mostrato, seppur accelerato, il Roomba 980 è stato messo alla prova con un grande appartamento di circa 140 metri quadrati: un totale di 6 stanze, perfettamente pulite in due “ondate” con un lavoro totale di 3 ore e 45 minuti, di cui 2 e 15 di pulizia vera e propria e il resto per una ricarica intermedia. Nella foto è chiaramente visibile la mappa che Roomba ha calcolato, con tutti i passaggi. torna al sommario n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE SMARTHOME Le aziende creano microreti locali incapaci di comunicare una con l’altra, non bastano neanche gli standard aperti Internet of Things? Meglio parlare di “Internet of Nothing” L’idea di un mondo di oggetti connessi tra loro è ancora lontana, nonostante si continui a parlare di “esplosione IoT” aziende americane: si stimano dai 30 ai 50 miliardi di oggetti connessi entro oveva essere la rivoluzione del il 2020, e secondo i dati attuali abbiasecolo, la nuova “Internet” degli mo già passato i 13 miliardi nel 2015. oggetti, ma la realtà è che ad oggi, Quello che però le cifre non raccontano nonostante migliaia di parole spese, fiumi è che questi dispositivi, seppur connessi, di concept, standard vari e idee futuristi- sono in gran parte smartphone, tablet, che, “Internet of Things” resta ancora un computer o server e, fatta eccezione per qualche auto e per un po’ di accessori (IP concetto difficile da raggiungere. Quello che dovrebbe essere davvero Camera, termostati e smartwatch). siamo “Internet of Things” è ben spiegato dal- comunque di fronte a prodotti che si prele due parole che compongono il nome stano ad essere connessi e di fatto son stesso del concetto, : “Internet” lo cono- nati per essere connessi. Negli ultimi anni sciamo bene, è la rete che usiamo tutti abbiamo assistito alla nascita di ogni tipo i giorni e che mette in comunicazione possibile di sensore, al tentativo di renmilioni di server e nodi presenti in tutto dere smart frigoriferi, ferri da stiro, forni il mondo che parlano tutti lo stesso lin- a microonde e pure tazzine del caffè, ma guaggio; “Things” si riferisce ai miliardi niente di tutto quello che si è visto può di oggetti connessi che dovrebbero par- rientrare davvero in un’ottica “Internet”, lare tra loro. I numeri del business sono anzi, la maggior parte sono oggetti inutili: “exciting”, come direbbero le grosse la definizione giusta, più che “Internet of Things”, sarebbe “Things on Internet”, oggetti connessi che usano la rete solo per poter essere gestiti da remoto, per scambiare dati con altri dispositivi La vera IoT connette tutti i dispositivi, non solo smartphone, appartenenti tablet e smartwatch. di Roberto PEZZALI D alla stessa persona in modalità wireless o per essere pilotati da uno smartphone, perché privi di schermo. All’IFA di Berlino Samsung ha annunciato che entro il 2020 tutti i suoi dispositivi saranno “Internet of Things enabled”, ma il fatto che siano “agganciabili” a una rete non significa necessariamente che diventino parte di una rete più grande e che siano in grado di dialogare con altri oggetti simili in modo indipendente. Con lei tutti i produttori di elettrodomestici: ogni forno, lavastoglie, frigorifero del futuro sarà connesso, ma non è certo la possibilità di accendere il forno mentre si torna a casa usando lo smartphone che rende quel forno un punto di una rete globale di oggetti connessi. Quello che le aziende stanno facendo, ognuna oltretutto con un proprio standard “aperto”, è creare piccole microreti locali isolate una dall’altra e incapaci di comunicare una con l’altra: fino a quando non si troverà il modo di far parlare insieme, in modo collaborativo, sensori, forni, auto, semafori, telecamere, termostati e tutti gli altri oggetti connessi, non si potrà parlare di Internet delle cose. Questa è la vera sfida, una sfida carica di complicazioni: ci sono problemi di sicurezza dei dati, analisi dei dati, linguaggi, interconnessioni, licenze e privacy, tutte cose che probabilmente verranno risolte ma che richiedono ancora tantissimo tempo, anni e anni di ricerca e sviluppo. Fino ad allora è meglio parlare di “Internet of Nothing”. SMARTHOME iRobot Roomba 980 segue Da pagina 27 infatti, l’incremento di potenza ha portato a un parallelo aumento della rumorosità, soprattutto durante le fasi di aspirazione di tappeti e moquette. Programmare la pulizia per quando si è fuori casa è quindi la strategia ideale. Per fare questo una programmazione settimanale “statica” non sarebbe sempre adatta; oggi, tramite lo smartphone, la programmazione può essere cambiata al volo senza impazzire con sequenze di tasti sull’apparecchio. Inoltre, la app dà alcune informazioni interessanti, per esempio sullo storico delle pulizie effettuate e sull’apparecchio, come per esempio la capienza residua del serbatoio per la polvere e lo stato delle parti di consumo. Inoltre è possibile impostare una serie di parametri, come la potenza di aspirazione o alcuni fattori legati alla strategia di pulizia. Infine è possibile anche “battezzare” il proprio robot impostando il nome e la data di nascita. Ovviamente l’app dà accesso al proprio Roomba an- torna al sommario che da remoto: basta essere collegati a Internet. In realtà l’app si collega a un servizio cloud di iRobot che “gira” la connessione al proprio Roomba, sulla base del numero seriale hardware. A questo proposito, stupisce in prima battuta, che i tecnici di iRobot non abbiano reso disponibile nella app anche la possibilità di vedere le immagini catturate dalla videocamera a bordo del robot, giusto per unire alla funzione di pulizia anche quella di videocamera di sorveglianza; la realtà è che ovviamente una cosa simile si poteva fare ma iRobot non ha deliberatamente voluto farla: “Il collegamento è super-sicuro – ci spiega un rappresentante di iRobot - ma non avremmo voluto in nessun modo che qualcuno pensasse che la presenza di Roomba in casa possa mettere a repentaglio la propria privacy: da casa e dal Roomba 980 non esce alcuna immagine”. Un atteggiamento saggio e – come dicevamo prima – poco incline alle “sirene” del martketing a tutti i costi. La app è disponibile gratuitamente sia per iOS che per Android ed è veramente facile da utilizzare, a prova di “massaia”. Roomba 980 a novembre anche in Italia. Prezzi alti Roomba 980 è atteso per il lancio in Italia attorno a metà novembre, in tempo per i regali natalizi. Un regalo che però rischia di pesare non poco sul bilancio familiare: non si conoscono ancora i prezzi in euro, ma ci si attendono livelli intorno ai mille euro, una bella cifra per una funzione che – a mano – alcuni ritengono di poter svolgere con poche decine di euro e un aspirapolvere qualsiasi. Ma – come abbiamo avuto modo di dire altre volte – un robot pulisci pavimenti permette un’igenizzazione e una pulizia che probabilmente nessuna mano umana riesce a fare, per metodo, costanza e tecnologia di pulizia. Il test è presto fatto: se si fa passare un Roomba in una casa appena pulita dai propri abitanti, il serbatoio alla fine del lavoro sarà pieno di polvere e sporco. E con questo Roomba 980, la pulizia è ancora migliore, con una semplicità di utilizzo aumentata e la comodità dell’attivazione a distanza. Non una rivoluzione, probabilmente; ma di certo un bel passo avanti. Clicca qui per un video di presentazione. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE SMARTHOME La fabbrica di Conair produce asciugacapelli BabyLiss e BabyLiss Pro, brand francese che fa parte del gruppo Visita alla fabbrica del phon con motore digitale Consuma poco, dura tanto ed è costruito in Italia Siamo andati a visitare la fabbrica della Conair di Bergamo, dove vengono prodotti oltre un milione di asciugacapelli Tra gli apparecchi, anche uno dei primi phon dotato di motore digitale. Promette lunga durata, risparmio ed efficienza C di Roberto PEZZALI osa ci fa un asciugacapelli su queste pagine? No, non si chiama iPhon e non è un errore: siamo davanti a uno dei primissimi phon al mondo dotati di motore digitale, e se leggiamo la parolina magica ci si illuminano gli occhi. Quando abbiamo scoperto che tutta la ricerca, lo sviluppo e la produzione di questo prodotto è stata fatta in Italia, abbiamo deciso di visitare la fabbrica in provincia di Bergamo che prova a rivoluzionare un settore ai nostri occhi piccolo, ma in realtà enorme. La fabbrica è di proprietà del gruppo americano Conair e produce asciugacapelli BabyLiss e BabyLiss Pro, brand francese che fa parte proprio di Conair. La scelta del gruppo franco-americano di far produrre tutto in Italia, cosa che a molti potrebbe apparire strana, è motivata dal fatto che in tutto il mondo l’asciugacapelli deve essere “Made in Italy”: “Nessuno prenderebbe mai in considerazione un prodotto fatto altrove – ci dicono in fabbrica - produciamo 1.400.000 pezzi all’anno destinati a ogni angolo del mondo”. E visto che negli ultimi anni qualcuno ha provato anche a fare il furbo prendendo componenti cinesi e limitandosi ad assemblare il prodotto in Italia, oggi prima di fare un ordine i prodotti vengono addirittura smontati dai grossi acquirenti internazionali e controllati pezzo per pezzo, per assicurarsi che tutto, ma in particolare il motore, arrivi dal nostro Paese. I phon prodotti qui a Bergamo hanno il 95% di componentistica italiana, tutti pezzi che arrivano da fornitori della zona. L’unico componente fatto all’estero è lo ionizzatore: non ci sono aziende italiane che lo producono. Scopriamo anche che, paradossalmente, gli unici che non si curano troppo della provenienza del prodotto sono i parrucchieri italiani, che utilizzano senza farsi troppi problemi prodotti realizzati altrove, spesso in Cina. Uno scorcio della catena di montaggio. torna al sommario L’Italia con le sue fabbriche di asciugacapelli rifornisce il 90% del mercato mondiale in campo professionale e produce davvero per tutti, dal Sud America al Giappone agli Emirati Arabi. Non un lavoro facile, perché ognuno vuole il suo “phon”: i parrucchieri giapponesi lo vogliono ultra silenzioso perché amano parlare con i clienti, nei Paesi nordici lo vogliono leggero e soprattutto con l’aria poco calda perché i capelli fini potrebbero rovinarsi, negli Emirati invece pretendono tanta potenza e aria caldissima visto che il costo dell’energia non è un parametro importante nel regno del petrolio. C’è chi lo vuole addirittura pesante: è il caso del Venezuela, dove più un asciugacapelli è pesante e più viene percepito come robusto. L’asciugacapelli è un prodotto relativamente semplice: un paio di interruttori per velocità e temperatura, un motore, una ventola e una resistenza che scalda l’aria, ma come per ogni prodotto c’è alle spalle una divisione R&D che lavora a pieno ritmo per migliorare prestazioni, durata e ridurre i consumi. Sono questi gli obiettivi del primo asciugacapelli con motore digitale prodotto in Italia (e uno dei primissimi nel mondo), il BabyLiss 6000E Pro Digital, venduto nei negozi a cir- ca 200 euro. Un prezzo importante per una tipologia di prodotto che vede a scaffale modelli a 10 euro, ma così come i TV da 200 euro sono diversi da quelli da 2000 euro, anche per gli asciugacapelli ci sono elementi che fanno la differenza. I motori digitali non sono certo una novità: comunemente denominati brushless, ovvero senza spazzole, questi motori vengono ormai utilizzati in tutti gli ambiti dove si richiede potenza, efficienza e soprattutto risparmio. Nel campo degli asciugacapelli tuttavia la scelta del digitale non era mai stata considerata fino ad oggi, e il motivo è semplice: non essendoci una etichetta energetica e soprattutto essendo parte del consumo legato alla resistenza che scalda l’aria piuttosto che al motore stesso, quest’ultimo è sempre stato un elemento secondario. Ad oggi i motori più diffusi, tutti di tipo tradizionale, sono quelli DC, a corrente continua, e AC, a corrente alternata. I primi vengono usati quasi esclusivamente su economici prodotti Made in China, gli altri rappresentano quasi la totalità del mercato consumer e segue a pagina 30 Qui sopra: nella foto a sinistra, un piccolo motore DC, costa poco, spinge poco e dura poco A destra, il motore AC confrontato con il piccolo motore digitale. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE SMARTHOME Phon con motore digitale segue Da pagina 29 professionale. Un motore AC tuttavia, nonostante la sua affidabilità e la sua potenza, è un motore di tipo tradizionale e funziona con le spazzole. La rotazione viene infatti generata dal campo magnetico che si crea alimentando alternativamente due bobine: per farlo una coppia di spazzole in carbone sfrega continuamente con le piste di rame del rotore causando quella che viene chiamata “commutazione meccanica”, ovvero una continua inversione del campo magnetico. Un motore poco efficiente, però: il contatto limita la velocità di rotazione, frena l’albero e soprattutto usura le spazzole, e quando la spazzola in carbone è finita il motore non gira più. Un phon con motore AC dura dalle 1500 alle 2500 ore (uno DC addirittura dalle 150 alle 300 ore), tante per una casa, poche per uno studio di parrucchieri dove è un indispensabile strumento di lavoro che si usa per svariate ore al giorno. In Conair hanno così pensato, nonostante il costo più elevato, di realizzare una soluzione digitale: un primo modello di motore è stato realizzato in collaborazione con Ferrari, ma il risultato seppur ottimo, era troppo grande e pesante. Per chi tiene un asciugacapelli in mano svariate ore al giorno, 100 grammi possono fare la differenza. Dopo mesi di ricerca il reparto R&D, con la collaborazione anche di una azienda giapponese, è riuscita a creare un secondo modello di motore, quello che viene oggi utilizzato sui modelli più avanzati della linea BabyLiss. Il primo motore fatto con Ferrari: veloce, rosso Ferrari ma anche troppo pesante. Il prodotto consumer costruito a Bergamo Si trova nei negozi a 199 euro. Il secondo modello di motore digitale creato, oggi usato sui modelli di phon BabyLiss più evoluti. Riesce a raggiungere 22000 rpm contro i 14000 rpm di un motore tradizionale con una coppia più elevata. Un motore digitale usa un microprocessore per gestire l’inversione del campo magnetico, con le bobine La ventola, l’albero e il motore vengono calibrati accuratamente per evitare anche la più piccola oscillazione. Una sorta di “galleria del vento” per calcolare la portata d’aria. Una piastra con un array di termocoppie per misurare l’uniformità del flusso di calore. Qui viene provata la resistenza del motori: i motori AC raggiungono le 2000 ore, quelli digitali arrivano anche a 10.000. torna al sommario d’induzione montate all’esterno e pilotate dal chip. Nessun contatto, nessuna spazzola: ecco perché è chiamato brushless. Questa seconda generazione di motore, oltre ad essere più leggera, garantisce una durata di 10.000 ore e una maggior efficienza, e grazie a un aumento della velocità dell’aria del 17% circa e a un aumento della pressione del 37% (rispetto alla media dei modelli AC) riesce ad asciugare i capelli in meno tempo. Questo è un dato certificato: per valutare le performance di asciugatura esiste un metodo standard internazionale che usa come unità di misura i grammi d’acqua evaporati ogni minuto, e in questo caso con il motore digitale si toccano i 5.68g/min, percentuale più alta del settore. Il risparmio sta proprio nella velocità di asciugatura: parte dell’assorbimento energetico di un asciugacapelli è dovuto, come abbiamo già detto, alla resistenza che converte la corrente in calore, tuttavia se un asciugacapelli dimezza il tempo di asciugatura (qui è ridotto del 32% rispetto alla media) anche il consumo sarà dimezzato. Visitando i laboratori R&D di Conair ci si rende conto di come ogni aspetto sia controllato al minimo dettaglio: i motori sono calibrati per una rotazione perfetta, la resistenza sagomata per offrire un riscaldamento uniforme per tutto il flusso (70° senza concentratore) e il motore provato in tutte le condizioni. Difficile dire quale sarà la prossima novità: il settore degli asciugacapelli non è certo veloce come quello di TV e smartphone, tanto che la forma del prodotto è praticamente la stessa da moltissimi anni. Il digitale, comunque, può davvero dare una grossa spinta permettendo anche la realizzazione di accessori che fino ad oggi non si sono potuti creare per ovvi limiti: il prodotto che abbiamo visto costruire, ad esempio, ha un concentratore (quello che molti chiamano “beccuccio”) con fessura di soli 4 mm: una fessura così stretta, su un phon tradizionale, non riuscirebbe a smaltire il calore generato dalla resistenza che si concentrerebbe tutto nella zona frontale, rischiando anche di colare la plastica. Grazie a un motore con più coppia e più efficienza i 4 mm riescono a fare qui la differenza: la temperatura sale a 134° e la velocità dell’aria tocca i 208 km/h, e valori fino ad oggi impensabili. Ed è tutta tecnologia italiana. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE TEST In prova il primo dei nuovi modelli di TV OLED LG con pannello Ultra HD, un 55 pollici che promette qualità video da urlo LG OLED 55EG960: il TV del futuro ora è Ultra HD Offre la nuova versione della piattaforma smart webOS e la compatibilità tramite aggiornamento con i futuri contenuti HDR F di Paolo CENTOFANTI ino allo scorso anno per molti appassionati il dilemma era: 4K o OLED? Con l’arrivo anche nei negozi italiani della nuova serie EG960 di TV OLED di LG, il dubbio non ha più ragione di essere. Anche l’OLED di LG passa ai pannelli Ultra HD, con risoluzione cioè di 3840x2160 pixel, ma il numero di pixel quattro volte superiore non è l’unica novità introdotta dal produttore coreano con questa nuova serie. Cambia leggermente il design, che però rimane ancora curvo, e si aggiorna la piattaforma smart TV basata su WebOS, che giunge alla versione 2.0. In più, tra qualche mese, arriverà anche un aggiornamento che preparerà il TV alla riproduzione di contenuti in HDR. Il modello che abbiamo provato è il primo 55 pollici con pannello 4K e affianca la serie EC970 che LG ha portato in Italia in primavera inoltrata nella versione da 65 pollici ma che è ancora basata sul “telaio” 2014. Non è molto intuitivo, ma il 960 indica una serie più nuova del 970, una distinzione che in negozio potrebbe non essere evidente. Dopo questa premessa, andiamo a scoprire nel dettaglio quello che è indubbiamente uno dei TV più attesi del 2015. Più bello e leggero La nuova gamma 2015 è stata ridisegnata in più punti, con una nuova estetica che risulta tutto sommato più leggera e piacevole. Si tratta più che altro di dettagli considerando lo spessore ridottissimo del pannello OLED in sé e della sottilissima cornice. Cambia dunque soprattutto la base, che abbandona le sperimentazioni dello scorso anno per un aspetto più sobrio e leggero: pedana in alluminio che segue la curvatura dello schermo e stand in plastica trasparente che sembra mantenere sollevato nel vuoto il leggero pannello OLED. Grossi cambiamenti invece sul retro del televisore. Il pannello posteriore è infatti ora tutto bianco e con un salto di qualità per quanto riguarda la cura dei particolari. Il coperchio del vano che nasconde l’aggancio della base, ad esempio, si fissa a incastro, ma ci sono anche delle strisce di velcro per far seguire al meglio la curvatura dello schermo. Le connessioni seguono quella che è ormai la clas- video lab LG 55EG960V 4.999,00 € L’OLED CRESCE, MA NON È ANCORA IL TV DEFINITIVO L’OLED di LG migliora di generazione in generazione e anche questo nuovo 55 pollici Ultra HD incanta per la profondità del nero e una qualità di immagine che complessivamente è inarrivabile per qualsiasi altra tecnologia. La definizione è finalmente al pari con quella degli LCD (il modello full HD, a causa della configurazione WRGB, aveva la griglia dei pixel piuttosto visibile) e anche la piattaforma webOS è stata migliorata là dove serviva. L’OLED non ha però ancora raggiunto la sua totale maturità. Persistono ancora dei limiti a livello di uniformità del pannello, visibili soprattutto nella forma di una leggera vignettatura ai bordi laterali dello schermo nelle scene più scure, mentre la longevità dell’OLED è ancora un’incognita, motivo per il quale, nonostante sia un TV che supporta HEVC e HDR, abbiamo dato un punto in meno. E poi c’è il fattore prezzo: quasi 5000 euro per un 55 pollici sono ancora tanti. 8.6 Qualità 9 Longevità 8 Straordinaria qualità di immagine COSA CI PIACE Neri perfetti Piattaforma smart più veloce Design 9 Semplicità 8 D-Factor 9 Prezzo 8 Uniformità del pannello da migliorare COSA NON CI PIACE Basse luci non sempre perfette Costo elevato sica disposizione e coprono adeguatamente tutte le possibili esigenze. Ci sono tre ingressi HDMI 2.0, tre porte USB di cui una 3.0, LAN, uscita digitale ottica, uscita per le cuffie, terminali di antenna terrestre e satellitare e slot per un modulo common interface. Visto anche il costo del TV forse avremmo preferito avere almeno un quarto ingresso HDMI, ma tre sono più che sufficienti per collegare un set top box, Blu-ray e una console di gioco contemporaneamente. Gli ingressi HDMI supportano segnali 4K a piena risoluzione cromatica (4:4:4) a 50 e 60 Hz a patto di abilitare la modalità HDMI Ultra HD Deep Colour nel menù delle impostazioni video. Il TV integra naturalmente la connettività Wi-Fi (802.11n), oltre che Bluetooth. Il TV supporta inoltre il codec HEVC sia per la riproduzione di file multimediali, che per la ricezione di programmi via tuner digitale. Sul versante audio, oltre al decoder Dolby Digital, c’è anche quello DTS. Anche il telecomando Magic Remote è stato leggermente rivisto. Un po’ più grande, più maneggevole e soprattutto con qualche comando in più. C’è il tastierino numerico per accedere più velocemente alla selezione dei canali, e qualche “scorciatoia” per funzioni che prima richiedevano necessariamente la navigazione dei menù. Il telecomando è dotato ricordiamo di giroscopio ma anche di microfono con funzione di riconoscimento vocale. Il nuovo magic remote sostituisce completamente da quest’anno il telecomando tradizionale, che non troviamo più in dotazione. segue a pagina 33 torna al sommario n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE TEST LG 55EG960V segue Da pagina 32 webOS 2.0: ancora più veloce Sulla gamma 2015 di TV LG arriva una nuova versione della piattaforma smart basata su webOS. LG la chiama webOS 2, ma a prima vista potrebbero sfuggire le differenze. In effetti a livello di interfaccia e funzionalità le novità sono davvero poche, visto che LG ha migliorato soprattutto le prestazioni in termini di velocità della piattaforma rispetto alla versione precedente. Sul modello EC930 avevamo lamentato la pesantezza della navigazione nei menù di impostazione, problema che è stato quasi del tutto risolto su questo nuovo televisore. A livello di interfaccia, la novità più grande è un nuovo menù di azione rapida che compare quando si preme il tasto delle impostazioni. Si tratta di una fila di icone sulla parte destra dello schermo che permettono di selezionare al volo parametri come il profilo delle impostazioni video e audio, il formato di schermo e così via. Per accedere al menù di impostazioni completo occorre premere sull’ultima icona in fondo. Questa schermata è praticamente identica a quella della versione precedente di webOS, con la differenza che è molto più reattiva e quindi veloce da esplorare. Anche le impostazioni sono rimaste praticamente le stesse e sul versante video è possibile regolare qualsiasi parametro. Per il bilanciamento del bianco è disponibile anche una regolazione avanzata a 20 punti della scala di grigio per una calibrazione più accurata. Torna la simpatica procedura di configurazione guidata animata che aveva debuttato con la prima versione di webOS, sempre semplice e intuitiva e che sicuramente verrà apprezzata da chi è meno pratico con la tecnologia. Non cambia neppure il menù principale di webOS: una barra colorata con le applicazioni di utilizzo più frequente (oltre quelle in posizione privilegiata per motivi promozionali) e un menù secondario con tutte le app installate sul televisore. La logica è che tutto è un’app in webOS: i canali TV, il lettore torna al sommario Sopra le misure con il profilo Cinema e le impostazioni default, sotto i grafici dopo la nostra calibrazione multimediale, la guida ai programmi e così via. Unica novità nell’interfaccia è un’icona speciale che funziona come cartella a cui possiamo aggiungere i nostri canali preferiti, anche misti tra digitale terrestre e tuner satellitare; molto comodo. Talmente nero che il contrasto non è misurabile Il TV LG è dotato di un profilo di immagine Cinema e di due banchi di impostazioni ISF per una calibrazione più precisa. Per un’analisi out of the box abbiamo misurato il profilo Cinema con le impostazioni di default, che offre una calibrazione solo in parte precisa. Il bilanciamento del bianco, ad esempio, è molto preciso fino a metà della scala di grigi, per poi introdurre un eccesso di blu nella parte superiore. Lo spazio colore è sufficientemente entro i parametri ma la colorimetria non è perfetta. I colori sono un po’ frenati a bassi livelli di saturazione e viceversa la loro luminosità non tiene al 100% del segnale, con una leggera flessione. Il livello di errore non va comunque pericolosamente oltre i livelli di guardia, ma il modello full HD presentava una colorimetria più corretta. Il nuovo pannello è molto luminoso e utilizzando dei pattern a finestra (con le schermate piene la luminosità massima viene automaticamente limitata) abbiamo registrato fino a 365 cd/mq. Con i controlli a disposizione si riesce a calibrare senza difficoltà il bilanciamento del bianco, mentre la regolazione 3D dello spazio colore non permette comunque di migliorare la situazione: è possibile ad esempio portare al riferimento primari e secondari al 75% della saturazione, ma la colorimetria si sbilancia altrove, come è possibile vedere dai grafici sottostanti. Alla fine è meglio lasciare le cose come stanno. Il gamma è di base molto vicino al riferimento. È possibile scegliere tra 2.2, 2.4 e BT.1886, ma i risultati migliori li abbiamo ottenuti impostando il gamma su 2.4 e alzando un po’ la luminosità per compensare la chiusura sulle ombre. Con le altre due impostazioni, infatti, abbiamo notato la comparsa di banding e di un eccessivo rumore sulle ombre. L’OLED visualizza il nero spegnendo completamente i pixel, con il risultato che lo strumento non misura alcuna luce proveniente dal pannello con sala oscurata: il rapporto di contrasto non è pertanto misurabile. Spazio colore in modalità Wide Gamut Anche se nelle specifiche non se ne fa menzione, abbiamo effettuato un test riguardo alla copertura dello spazio colore DCI P3 (qui sopra), visto che il TV LG è dotato di una modalità Wide Gamut. Nonostante il TV sia perfettamente in grado di andare oltre lo spazio colore Rec.709, manca ancora qualcosa sul verde e sul rosso per arrivare a una copertura completa dello spazio DCI. Naturalmente non ci sono ancora contenuti consumer che sfruttino questo spazio colore, ma le cose potrebbero cambiare con l’arrivo dell’Ultra HD Blu-ray o le specifiche della UHD Alliance per lo streaming in 4K. Immagini straordinarie Ma si può migliorare ancora Ed eccoci finalmente alla prova di visione dell’atteso OLED 4K. Con questo modello siamo effettivamente dinanzi più o meno alla quarta generazione di TV OLED di LG, la seconda in 4K (la prima, presentata a IFA 2014 e arrivata brevemente sul mercato in Italia con il modello EC970, l’abbiamo saltata). Per cui la prima domanda è quale siano i miglioramenti rispetto ai modelli fin qui visti. Prima di tutto questo 55 pollici ha risoluzione Ultra HD, per cui rispetto all’ultimo TV OLED che avevamo provato - che era full HD - la configurazione WRGB dei singoli pixel risulta praticamente invisibile, il che rende l’immagine compatta e priva di quell’effetto “griglia” che sul modello precedente era ancora visibile a causa della maggiore dimensiosegue a pagina 34 n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE TEST LG 55EG960V segue Da pagina 33 ne dei pixel. Naturalmente la prima cosa che colpisce appena si accende il nuovo TV LG è il nero assoluto che il pannello OLED è in grado di restituire; un effetto che da solo basta a far capire immediatamente perché gli appassionati aspettano questa tecnologia da così tanto tempo. Il TV LG offre un rapporto di contrasto semplicemente inarrivabile per qualsiasi altra tecnologia, sia durante la visione in ambiente oscurato, che con luce nella stanza. Il nero perfetto enfatizza i colori e spinge da solo il contrasto dell’immagine, ma questo nuovo OLED sa anche “pompare” la luminosità quando serve. Chiaramente il TV non è fatto per visualizzare una schermata totalmente bianca a 300 cd/mq, ma come abbiamo visto anche nell’analisi strumentale, il nuovo OLED è in realtà molto luminoso (più di qualsiasi plasma del passato ad esempio) e in nessuna occasione, durante la visione di contenuti reali, si avverte una mancanza di dinamica. Un punto questo che tra l’altro ci fa capire che non c’è alcun motivo per cui un TV di questo tipo non possa supportare contenuti HDR e di fatti LG ha annunciato la prossima disponibilità di un aggiornamento software ad hoc. Oltre al nero assoluto, quello che ci fa subito piacere questo TV è la morbidezza dell’immagine, con quei colori caldi e piacevoli che tanto apprezzavamo sui TV al plasma. Di fatto, potremmo descrivere la sensazione restituita dall’OLED LG come quella di un plasma migliorato sotto tutti i punti di vista: più contrastato, più brillante, più definito e meno rumoroso. La cosa interessante è che i colori, pur apparendo molto saturi e brillanti, non sono in realtà più “forti” di quanto lo siano su un ordinario LCD, come del resto abbiamo visto nelle nostre misure: è la profondità del nero che li rende così vibranti e piacevoli, oltre naturalmente all’emissione diretta. Sul fronte della risoluzione, lo scaler integrato fa quello che può con i contenuti in definizione standard, che appaiono inevitabilmente impastati e poco definiti, e lavora discretamente con invece sorgenti in HD. Il dettaglio non buca mai lo schermo, nel senso che il TV come abbiamo già detto un’impostazione piuttosto morbida, ma questo non vuol dire che la definizione manchi, tutt’altro. Lo si vede bene con i Sui livelli più bassi di grigio si può notare una spiccata mancanza di uniformità. Lo stesso effetto lo avevamo notato su un sample della serie EC970. Solo la vignettatura ai bordi può diventare effettivamente visibile con alcuni tipi di contenuti reali. contenuti Ultra HD che, come naturale, tirano fuori il meglio da questo televisore. Abbiamo riprodotto filmati dimostrativi da dischi esterni, ma anche dal canale demo via satellite in HEVC a 10 bit presente su Eutelsat e la resa è senza dubbio ottima. Buona la risoluzione in movimento, assolutamente in linea con quella espressa da altre tecnologie. Il circuito TruMotion elimina qualsiasi problema di motion blur ma introduce anche un effetto telenovela più o meno evidente a seconda dell’impostazione. La soluzione migliore è ricorrere alla modalità “utente” che permette di ridurre al minimo l’interpolazione dei fotogrammi e di conseguenza eventuali artefatti di movimento. Davvero notevole la resa con dischi in 3D con immagini molto definite e completamente prive di qualsiasi effetto di ghosting sui contorni. Quello espresso dal TV LG è forse il miglior 3D che abbiamo mai visto per luminosità delle immagini, resa cromatica, contrasto e precisione. Il più delle volte l’immagine riprodotta da questo 55 pollici è semplicemente sbalorditiva, 2D o 3D che sia. Neri così profondi come quelli espressi da questo OLED richiedono però un grande controllo sulle basse luci. Opportunamente regolata la luminosità in funzione dell’impostazione del gamma scelta, il TV non chiude eccessivamente sulle ombre e i dettagli rimangono ben percepibili, anche se abbiamo notato con molti dischi Blu-ray la tendenza a enfatizzare un po’ degli artefatti sui particolari più scuri. In generale la resa è più che ottima, ma in alcune situazioni abbiamo notato un’immagine più rumorosa sulle ombre. Un esempio di questo è la scena della sepoltura di Kill Bill vol.2, che viene riprodotta in modo impeccabile, ma le sfumature appena percepibili del viso della protagonista durante i momenti di buio totale - che sulla maggior parte dei TV manco si riescono a vedere, intendiamoci - appaiono più come dei quadrettoni. Il telecomando Magic Remote, un po’ più grande e maneggevole Si tratta di una situazione chiaramente torna al sommario estrema, ma che potrebbe rivelare, oltre ai limiti della codifica a 8 bit degli attuali dischi, anche un’insufficiente granularità nel controllo delle basse luci da parte del pilotaggio del pannello. Professionalmente siamo portati a cercare il proverbiale pelo nell’uovo, ma ci sembra un particolare interessante da riportare. Del resto la tecnologia OLED è ancora nuova e c’è ancora molto da imparare su questi pannelli. Altro aspetto che era critico sul modello full HD era quello dell’uniformità. A livello di colorimetria, una schermata grigia rivela significativi miglioramenti rispetto al precedente modello 55EC930: non è ancora perfetta (ma quale TV lo è?), ma sicuramente non ci troviamo dinanzi a variazioni così evidenti nel bilanciamento del bianco nelle varie aree dello schermo. Permane invece un problema di uniformità sulle basse luci, che risulta particolarmente evidente tra lo 0 e il 5% di segnale e via via va scomparendo fino al 15%. Premessa: si tratta di qualcosa che nel 90% dei contenuti reali non vedrete mai, ma il problema c’è. In pratica, visualizzando una schermata uniforme particolarmente scura si notano una vignettatura ai bordi e delle bande verticali nella parte centrale. Quest’ultime, durante la visione di film, non le abbiamo mai notate, ma la vignettatura con video particolarmente scuri può diventare visibile, tanto più con schermate di app o menù dei dischi. A meno di non conoscere alla perfezione certe scene è probabile che difficilmente ce se ne accorga, ma sicuramente si tratta di un aspetto su cui LG ha bisogno di lavorare ancora molto, prima di poter parlare di televisore definitivo dal punto di vista della qualità video. Prima di chiudere un’ultima nota sull’audio integrato che è davvero di ottima qualità. Pur non potendo offrire i bassi di un impianto stereo o multicanale separato, il TV di LG offre una risposta molto equilibrata sia con la musica che soprattutto con i dialoghi, con un’ottima timbrica, alte frequenze prive di asperità e un registro medio dettagliato e preciso. A nostro avviso comunque, un TV di questa classe va abbinato a un impianto home theater come si deve, punto. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE TEST È appena uscito iOS 9 per iPhone e iPad, ultima release del sistema operativo mobile Apple. Lo abbiamo testato per voi iOS 9 in prova: conviene aggiornare iPhone e iPad? Tante piccole novità, ma anche cose già viste altrove. Vediamo cosa c’è di nuovo e scopriamo perché conviene aggiornare I di Emanuele VILLA l gran giorno di iOS 9 è arrivato. iOS 9 non rappresenta un cambio epocale, ma un aggiornamento ricco di tante piccole novità che gli utenti iOS stavano aspettando da tempo. Una giusta premessa, perché molte delle cose che Apple ha aggiunto sul nuovo iOS 9 erano già da tempo disponibili per Android o Windows Phone, e scorrendo l’elenco delle novità o delle piccole migliorie ci si stupisce anche di come sia possibile che Apple alcune cose non le abbia mai fatte prima. La più banale, ma è solo un esempio, è il tasto “shift” per le maiuscole della tastiera: fino ad iOS 8 non si capiva mai se “shift“ fosse premuto o no, iOS 9 invece per farcelo capire cambia le lettere della tastiera da minuscole a maiuscole. Una sciocchezza, un dettaglio se si vuole, ma in iOS 9 di dettagli di questo tipo ce ne sono davvero tanti. Dopo aver giocato nel corso della beta con le varie release che Apple ha messo a disposizione, abbiamo finalmente installato su un iPhone 6 la versione finale di iOS 9 già distribuita agli sviluppatori, la stessa che sarà disponibile per tutti domani sera. iOS 9, viste anche le similarità con iOS 8, sarà installabile da tutti coloro che hanno già installato l’attuale versione: si parte da iPad 2 e iPhone 4S, anche se come sempre i possessori di un modello datato di melafonino dovrebbero attendere qualche report prima di premere “aggiorna”. In realtà iOS 9 è nato per essere un po’ più snello e per girare meglio su dispositivi più datati, grazie alla riscrittura in Swift della maggior parte del sistema operativo e all’uso di Metal per app e rendering grafico, ma solo il tempo dirà se Apple ha lavorato bene. Chi ha uno smartphone da 16 GB non dovrebbe avere grossi problemi con l’aggiornamento: l’update OTA dovrebbe richiedere solo 1.4 GB di spazio libero sul dispositivo (usiamo il condizionale perchè noi abbiamo usato il ripristino completo): se ancora non dovesse bastare Apple chiederà di cancellare alcune apps che verranno reinstallate automaticamente al termine dell’aggiornamento. video lab La prima novità visibile dopo aver aggiornato ad iOS 9 è la font: Apple ha sostituito il suo storico Helvetica con un nuovo font realizzato per il web e per valorizzare gli schermi Retina: si chiama San Francisco. Pochi noteranno subito la differenza, anche perché sono molto simili, in ogni caso basta guardare la G e le R maiuscole per accorgersi di come San Francisco sia più netto e meno arrotondato. La seconda novità la si nota in fase di setup: il codice di sicurezza da 4 cifre passa a 6 cifre, una piccola noia per gli utenti di iPhone 4S e 5 privi di Touch ID. I cambiamenti principali, piccoli ritocchi grafici a parte, vanno nella direzione richiesta da tutti: prestazioni, usabilità e batteria. Per quanto riguarda le prestazioni non abbiamo notato alcun rallentamento su un iPhone 6 Plus, segno che comunque il numero maggiore di operazioni in background non impatta sulle performance generali, mentre per la batteria finalmente arriva una modalità a basso consumo e una sezione che permette un controllo granulare delle app che consumano di più. Nel menu notifiche è comparso un nuovo widget con l’indicatore di carica per iPhone e eventuale Watch collegato, mentre nel menu impostazioni c’è un uti- torna al sommario lissimo menù che offre una panoramica dei consumi divisi per applicazioni. Grazie al nuovo menu batteria è facile identificare subito la causa di problemi di autonomia, come un gioco mal progettato o una applicazione che fa uso intensivo della rete in background. Abilitando la modalità risparmio energetico vengono disabilitate automaticamente alcune funzioni di iOS: le app in background non vengono aggiornate, gli effetti grafici disabilitati e la ricezione della mail da push, se attivata, diventa manuale. Ad occhio, ma non ci sarà mai un dato preciso, si guadagnano circa dai 30 ai 60 minuti di autonomia in più. iOS 9 rivoluziona anche Siri: l’assistente vocale impara un po’ da Google Now e un po’ da Cortana, diventando più proattivo: una nuova schermata, raggiungibile con un colpo di pollice verso destra dalla prima “home”, suggerisce le applicazioni più usate, i contatti più frequenti e le news del giorno. Questo in realtà è un po’ un work in progress: le notizie arrivano solo da Corriere, Repubblica e il Sole 24 Ore e non si aggiornano in base alle preferenze degli utenti, e pure i suggerimenti per le app necessitano di un po’ di “allenamento” per iniziare ad essere corretti. segue a pagina 36 n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 TEST iOS 9 in prova segue Da pagina 35 Migliora anche la ricerca con Spotlight: si può chiedere un risultato di calcio, il meteo o un numero di telefono direttamente nella barra di ricerca, anche se non sempre il risultato è perfetto. Siri, ad esempio, scambia la Juventus con il Torino, cosa che potrebbe renderla decisamente antipatica a una buona fetta di tifosi italiani. Spotlight ora cerca anche all’interno delle app, sempre che gli sviluppatori abbiano predisposto l’app per questa funzione. Tolti questi due elementi iOS 9 è un insieme di tantissime piccole novità, nessuna così eclatante ma tutte molto gradite. Tra queste l’app iCloud Drive: Apple ha realizzato una applicazione per navigare all’interno del proprio spazio iCloud, utile quasi esclusivamente per salvare gli allegati, modificarli e spedirli con una nuova mail. L’app di iCloud Drive non è però paragonabile a quelle di Dropbox, Drive o OneDrive, molto più complete e funzionali: non si può, ad esempio, creare una nuova cartella, va fatto da web, ma si possono eliminare o rinominare cartelle. Apple probabilmente non vuole dare sull’iPhone una esperienza tropo da “computer” limitando le operazioni possibili con i file. Oltre ad iCloud Drive, chi ha aggiornato si troverà altre tre cambiamenti in fatto di app: Wallet, Trova iPhone e Trova Amici. Wallet è Passbook che ha cambiato nome e icona, mentre le altre due sono app già esistenti che ora Apple pre-installa e impedisce di rimuovere. Una panoramica delle app e delle impostazioni ci permette di trovare altre feature più o meno visibili, come la possibilità finalmente di cercare nelle impostazioni, opzione preziosa vista la quantità di regolazione ormai permesse da Apple. Navigando i menu infatti si scopre poi che iOS 9 permette di cambiare la risoluzione di ripresa video e che ha un sistema chiamato Wi-fi Assist: il primo è utile con i nuovi iPhone 6S, in quanto permette di registrare in Full HD al posto del 4K mangiaspazio, il secondo invece per- MAGAZINE mette di passare automaticamente alla connessione 3G o LTE nel caso in cui il Wi-fi non sia stabile. Attenzione ad attivarlo con un piano dati da 2 GB: nel caso di streaming video e Wi-fi debole ci si potrebbe trovare davanti a brutte sorprese. Durante la registrazione dei video è ora possibile attivare il flash LED: prima non si poteva. I possessori di iPhone, iPad e Macbook saranno felici di trovare nel menu impostazioni una gestione del routing delle chiamate Handoff: se con iOS 8 all’arrivo di una chiamata suonava ogni dispositivo, con iOS 9 si può decidere di gestire l’inoltro solo su uno o più iDevice. Cambiano anche le notifiche: la visualizzazione di default è ora per data e non per applicazione, anche se si può tornare al raggruppamento per applicazione dal menu di configurazione. Passando alle app più usate Apple ha lavorato molto su Mail, Safari e Note. Mail, oltre alla possibilità di gestire allegati di ogni tipo, caricandoli da iCloud, integra ora anche gli strumenti Markup per aggiungere note e appunti ad una immagine allegata, novità questa ereditata dalla versione desktop presente su Yosemite. Inoltre sempre mail permette ora la gestione di gruppo delle email, e aggiunge un nuovo toggle “segna come non letto” sfruttabile anche con una gesture (la funzione c’era però anche in iOS 8). Safari, il browser web, guadagna una nuova modalità di lettura con possibilità di gestire font e dimensione del testo, il salvataggio delle pagine nelle Note e la creazione di PDF dalle pagine web. Inoltre è stata spostato il tasto di richiesta della modalità desktop, molto più accessibile. Utile in certi casi la possibilità di caricare un documento o un file in una pagina web: il documento dev’essere però disponibile su iCloud. Completamente riscritta l’app Note: può gestire elementi copiati da altre app (schermate web ad esempio) e integra strumenti di scrittura e disegno, con tanto di righello per tirare linee dritte. Un grande passo in avanti: se quello di prima era un semplice blocco appunti, il nuovo Note diventa una applicazione completa e funzionale sfruttabile soprattutto su un iPad. torna al sommario Una nota infine per le donne: l’impegno di Apple nel campo della salute prevede l’aggiunta nell’app Salute di una sezione dedicata alla Salute Riproduttiva: si può tenere traccia di attività sessuale e mestruazioni, dati da utilizzare poi congiuntamente ad altre app che ne fanno richiesta. Per quanto riguarda l’iPad le novità guardano soprattutto all’iPad Pro: Slide Over, Split View e Picture in Picture permettono la gestione finalmente di due applicazioni contemporaneamente. Slide Over permette di accedere ad un app secondaria senza chiudere quella principale, sfruttando una sorta di wid- get nella sidebar. SplitView è un verso split screen, due app attive nello stesso istante con lo schermo diviso in due. Picture in Picture, invece, permette di visualizzare un video in una piccola finestra mentre stiamo usando una applicazione in primo piano. Considerando le risorse richieste da tali operazioni, soprattutto il carico a livello grafico, Apple non le ha rese disponibili per tutti gli iPad: Picture in Picture e Slide Over sono disponibili su iPad Pro, iPad Air e iPad mini a partire dalla seconda generazione, mentre Split View è disponibile su iPad Pro, iPad Air 2 e iPad mini 4. PiP necessita di applicazioni pensate per quello: Infuse e altri player video, al momento in cui scriviamo, ancora non sono ancora ottimizzati per questa funzionalità. Una nota infine sull’usabilità: spesso una applicazione apre in una nuova finestra Safari, per dare una conferma o visualizzare una pagina web, passaggio questo che costringeva ad utilizzare il multitasking per tornare indietro. Ora, con iOS 9, è comparso nella barra delle applicazioni un piccolo link per tornare all’applicazione precedente. iOS 9 racchiude tante altre piccole migliorie d’interfaccia, scorciatoie e tweak per rendere più semplici operazioni che prima non si potevano fare e ora sono possibili, ma va anche detto che in Italia siamo anche penalizzati per l’assenza di alcune delle top features: l’app News ancora non c’è, Apple Pay neppure e nemmeno le nuove Mappe, con la navigazione pedonale, sono disponibili nelle città italiane. Concert for one Cuffia P3. Un mix di alta qualità sonora e comfort di lusso, frutto della fusione calcolata e calibrata tra materiali pregiati e tecnologie raffinate. Nata dalla penna di Morten Warren, lo stesso creatore dello Zeppelin Air iPod Speaker, la P3, disponibile in 4 colori, nero, bianco, rosso e blu, ne conserva la personalità, il talento sonoro e la frequentazione privilegiata, ovvero l’iPod e l’iPhone dai quali estrapola il meglio dei conte- nuti sonori, ne integra la funzionalità e la cosmetica. P3 è infatti dotata di un cavo con comando per iPod/iPhone con microfono e controllo volume/salto-traccia, utilissimo per tutti gli amanti dei player firmati dalla mela argentata. Ma –ovviamenteP3 è "anche" una cuffia Hi Fi tradizionale di elevatissimo livello, da poter collegare a qualsiasi sorgente standard, tramite il cavo a corredo intercambiabile con quello per player Apple. Zeppelin e Zeppelin Air sono marchi registrati di B&W Group Ltd. AirPlay, iPod, iPhone e iPad sono marchi di Apple Inc. registrati negli Stati Uniti e in altri paesi. www.audiogamma.it n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Abbiamo provato il nuovo dispositivo Huawei disponibile in due versioni, da 32 e 64 GB, presto in vendita a 649 euro Huawei Mate S alza un po’ l’asticella della qualità Uno smartphone bello, potente e costruito a regola d’arte. Basterà per spaventare la concorrenza nel panorama Android? di V.R. BARASSI nnunciato nel corso dell’IFA 2015 di Berlino, Huawei Mate S è lo smartphone con il quale il produttore cinese ha deciso di affrontare tutti i big del mercato giusto in tempo per l’ormai prossima sessione di vendite pre-natalizia. Il dispositivo viene proposto in due versioni, una da 32 GB di memoria fisica e una seconda con un quantitativo doppio (64 GB) mentre la variante da 128 GB con Force Feedback - tanto chiacchierata - pare destinata a non arrivare mai in Europa. Per questa prova Huawei ci ha inviato il dispositivo nella sua versione entry-level da 32 GB nella colorazione Titanium Silver (l’altro colore per l’Europa sarà quello dorato Mystic Champagne); il tutto sarà presto in commercio a 649 € (è già pre-ordinabile sullo store ufficiale di Huawei, con consegne tra un mese), prezzo di listino leggermente inferiore a quello di tutti i principali concorrenti del panorama Android. A Linea da capogiro qualità da primo della classe Che questo Mate S sia nato per stupire lo si capisce subito dalla elegantissima confezione di vendita scura, abbastanza grande, che una volta aperta mette subito in mostra il gioiello di famiglia e che “nel doppio fondo” nasconde sapientemente quattro alloggiamenti destinati rispettivamente alla bellissima flip case in pelle (con finestrella dalla quale è possibile fare ben poco se non rispondere/rifiutare le chiamate), agli ottimi auricolari standard a doppia uscita con finiture metalliche, al caricatore USB e al cavo di collegamento USB-microUSB. Se il buongiorno si vede dal mattino è chiaro ed evidente di come Huawei si sia messa in testa di fare le cose per bene e la sensazione si trasforma ancor più in certezza una volta estratto lo smartphone dal suo scompartimento poiché ci vuole un attimo a capire come ci si ritrovi tra le mani un dispositivo qualitativamente impeccabile. Mate S è uno smartphone dalle dimensioni generose (149.8 x 75.3 mm) ma il display occupa quasi il 75% della por- video Huawei Mate S HUAWEI FA SUL SERIO: LA STRADA IMBOCCATA È QUELLA GIUSTA 649,00 € ab l Mate S è uno smartphone dal design decisamente riuscito che non farà fatica ad attirare l’attenzione degli utenti. Oltre al fattore estetico, lo smartphone si contraddistingue per un ottimo mix tra hardware e software che collaborano molto bene a mantenere l’esperienza d’uso sempre ai massimi livelli, senza mai incappare in rallentamenti o situazioni poco piacevoli. La batteria difficilmente vi lascerà senza energia nel corso della giornata e se si vuole davvero trovare un difetto lo si deve ricercare nel comparto fotocamera, con il modulo principale da 13 Megapixel che risulta essere un po’ indietro se messo a diretto confronto con la concorrenza. Il prezzo di listino di 649 € è in linea generale elevato ma assolutamente commisurato alle specifiche tecniche e soprattutto inferiore a quello di molti competitor. Quello di Huawei è certamente un ottimo smartphone e siamo certi che, magari quando il prezzo risentirà del suo consueto calo fisiologico, potrà fare molto bene sui mercati. Huawei sta continuando a sfornare eccellenti dispositivi e la concorrenza ha di che preoccuparsi; in primis di questo Mate S. 8.5 Qualità 9 Longevità 8 Design e costruzione COSA CI PIACE di primissimo livello Schermo AMOLED eccellente Prestazioni generali Design Semplicità COSA NON CI PIACE 9 8 COSA NON CI PIACE zione frontale e questo, unito alle sottili cornici, fa sì che il complesso risulti molto più piccolo di quello che è realmente. Lo spessore di soli 7,2 millimetri è quello massimo e corrisponde alla porzione più “bombata” della curvatura posteriore poiché in prossimità dei bordi Mate S offre un profilo che supera di poco il mezzo centimetro, risultato senza dubbio eccellente che non lo fa affatto sfigurare (anzi) se messo in confronto con la più diretta concorrenza del panorama Android (e non solo). Tutto il dispositivo è stato integrato in una solida struttura metallica con bordi rifiniti in elegante alluminio satinato e una porzione posteriore liscia al tatto, anch’essa in alluminio. Il risultato finale è un prodotto che pesa solo 156 gr e che grazie alle dimensioni non troppo elevate e alle sapienti curvature si impugna decisamente bene; chi proviene da un device con scocca posteriore in plastica però è avvertito: attenti alla presa perché le prime volte potrebbe sfuggirvi di mano. Il retro è davvero molto D-Factor 8 Prezzo 8 Browser web insufficiente Niente video in 4K Impostazioni EMUI un po’ complicate liscio, ma ci si fa l’abitudine. Ovviamente non vi è alcun tipo di scricchiolio ma, se davvero si vuol cercare il pelo nell’uovo, abbiamo notato come la porzione posteriore (che tende inevitabilmente a soffrire di ditate e sporcizia) dia l’impressione di essere un po’ “vuota” in determinati punti; il 99% degli utenti non se ne accorgerà neppure, ma provando a pigiare in diversi punti si notano spessori differenti e provando a premere con decisione nel centro della copertura di alluminio posteriore si percepisce lontanamente una certa sensazione di vuoto. Sempre sul retro trovano spazio centralmente la fotocamera principale con doppio flash LED (dual-tone) e poco più in basso un sensore per il riconoscimento delle impronte digitali, precisissimo oltre che velocissimo nella sua funzione di rilevamento (siamo ai livelli di TouchID di Apple) e posizionato in maniera accurata in modo tale da poter essere “azionato” con il dito indice della mano. È possibile registrare fino a un massimo di 5 impronte digitali. Come su altri device analoghi non si è potuto fare a meno di inserire due “bande” orizzontali per favorire la ricezione dei vari segnali radio, elementi che però non disturbano affatto il design di un dispositivo sicuramente molto ben riuscito. Sul lato destro vi sono segue a pagina 39 torna al sommario n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Smartphone Huawei Mate S segue Da pagina 38 il bilanciere del volume e il tasto di blocco/sblocco del device, quest’ultimo caratterizzato da una finitura ruvida che ne permette il facile riconoscimento; sul lato sinistro vi è l’apposito carrellino per inserire nano SIM e scheda microSD fino a 128 GB; la porzione superiore presenta il jack da 3,5mm e uno dei tre microfoni (per il riconoscimento dei rumori di fondo delle chiamate), mentre in basso c’è spazio per l’ingresso microUSB, per due griglie simmetriche (ma solo una è per l’altoparlante) e per le uniche due viti visibili sulla scocca. Il Quad HD non serve Spazio a un ottimo AMOLED Full HD Incassato alla perfezione nella solida scocca metallica, frontalmente c’è un vetro Gorilla Glass 4 con effetto “2.5D” - quindi con bordi arrotondati ed effetto “quasi 3D” - che nasconde un fantastico display da 5,5 pollici basato sulla tecnologia AMOLED. Quello scelto da Huawei è un pannello di incredibile qualità che non ha nulla da invidiare agli analoghi componenti presenti sui modelli di punta degli agguerriti concorrenti. La risoluzione non è Quad HD come molti si sarebbero aspettati bensì Full HD che, con 1920x1080 pixel e su questa diagonale riesce comunque a strappare il risultato di 401 ppi, il che significa che i pixel non si vedono in nessun frangente. Come ogni AMOLED che si rispetti gli angoli di visione sono estremi, il nero è assoluto e il contrasto è elevatissimo; molto buona la riproduzione - sempre molto accesa - di tutte le principali tonalità e buona è anche la luminosità massima che garantisce la visione anche sotto la forte luce del sole. L’impostazione predefinita assicura il giusto compromesso ma tra le opzioni è anche possibile “tarare” il display a proprio piacimento, virando su tonalità più fredde oppure più calde. Inutile dire come nell’utilizzo quotidiano un display di questo genere invogli letteralmente all’utilizzo: che sia per guardare fotografie o per scorrere un po’ “a caso” tra i menù e le app, il pannello risulta sempre una gioia per gli occhi. La versione in colorazione Titanium Silver da noi testata presenta, inoltre, le cornici nere, elemento che aiuta non poco a far emergere la bontà del pannello e contribuisce tantissimo a rendere ancora più elegante Huawei Mate S, soprattutto se si sceglie di utilizzare un wallpaper il cui nero la fa da padrone. Se la risoluzione del pannello ci è sembrata assolutamente adeguata alla dimensione dello stesso, possiamo altresì affermare che i 5,5 pollici di diagonale sono “giusti” per questo dispositivo; il design ergonomico facilita l’utilizzo con una mano sola e ad aiutare ulteriormente l’utente c’è anche una funzionalità della EMUI (Emotion UI) che permette di ridurre le dimensioni dell’interfaccia così da poter gestire il tutto con il pollice. Basta fare uno swipe a destra o a sinistra sulla barra dei pulsanti virtuali (personalizzabile, sul frontale non vi sono tasti fisici) e il gioco è fatto. La porzione anteriore del dispositivo è completata dalla capsula auricolare, dalla fotocamera frontale e da un piccolo e alquanto elegante LED di notifica posto nella porzione sinistra con a fianco un discreto flash - sempre LED - pensato torna al sommario per gli autoscatti. Non mancano, ovviamente, sensore di prossimità e di luminosità, quest’ultimo molto veloce e preciso nella regolazione. Potenza da vendere Ma c’è chi va più forte Da ogni top di gamma degno di questo nome ci si aspetta - giustamente - il meglio del meglio sotto il profilo strettamente tecnico e Huawei ha deciso di equipaggiare il suo nuovo Mate S con un SoC HiSilicon Kirin 935 il quale porta in dote otto core, quattro dei quali con clock massimo a 2,2 GHz e altrettanti a 1,5 GHz, che lavorano sapientemente con i 3 GB di memoria RAM installati a bordo e la GPU Mali-T628 MP4 680M. Chi si aspettava il solito Snapdragon di Qualcomm resterà deluso ma chi avrà modo di scegliere Mate S non farà assolutamente caso a questo “dettaglio” poiché, nell’utilizzo quotidiano, la piattaforma Kirin 935 - abbinata ad Android 5.1.1 - fa straordinariamente bene il suo lavoro e non fa rimpiangere le più blasonate soluzioni Qualcomm. Nonostante i benchmark facciano segnare punteggi inferiori rispetto ai modelli di punta della concorrenza (e non di poco, con AnTuTu ci si ferma a circa 44.000 punti), Mate S si comporta egregiamente in ogni frangente, pagando qualcosa solamente nel gaming 3D, ambito in cui si sente la mancanza di un framerate più costante e di qualche dettaglio grafico in più. Tutte le operazioni si eseguono senza il benché minimo lag e anche provando ad esibirsi in sessioni di multitasking sfrenato Huawei Mate S non vi lascerà mai “a piedi”, segno di un’ottimizzazione davvero encomiabile; ottime anche le prestazioni nella riproduzione dei filmati (tutto bene fino a 1080p), seppur ci sia bisogno di player di terze parti per i formati audio più complessi. Come abbiamo anticipato all’inizio di questa recensione, sono 32 i GB installati a bordo della versione d’ingresso di questo Huawei Mate S, di cui circa 24 realmente disponibili per l’utente. Se il quantitativo non risulta sufficiente alle vostre esigenze potrete optare per la più costosa versione da 64 GB oppure po- trete scegliere di installare una scheda microSD con capacità fino a 128 GB. EMUI promossa Ma si può ancora migliorare Mettendo in secondo piano il design, indubbiamente l’aspetto più riuscito del dispositivo in oggetto, quel che più stupisce di Mate S è come questo riesca quasi sempre ad essere semplice e immediato. Il merito è della EMUI realizzata da Huawei, qui nella versione 3.1, la quale aiuta non poco l’utente a districarsi tra icone e menù vari; innanzitutto non vi è un vero e proprio app drawer a cui accedere tramite pulsante (cosa abbastanza usuale in ambiente Android), poiché una volta sbloccato il dispositivo l’utente sarà già dinanzi a tutte le icone delle applicazioni installate organizzate su più desktop. Non si fa fatica a scorgere più di una analogia tra questa impostazione e quella affermatasi in iOS ma, sinceramente, non vediamo alcun male in tutto ciò: Huawei ha la sua filosofia e non c’è motivo di sparare a zero su una cosa forse non proprio originale ma decisamente funzionale. Se poi proprio non piace si può tranquillamente andare sul Play Store e scaricare il proprio gestore preferito… Lo smartphone giunge all’utente con sei diversi temi pre-installati ma tramite l’apposita applicazione - chiamata “Temi” - è possibile accedere a un vasto database nel quale selezionare e scaricare quello più congeniale. Ce ne sono centinaia con diverse combinazioni di colori, sfondi e icone: impossibile trovarne uno che non piaccia sul serio. Il tema predefinito è forse un po’ “anonimo” ma Huawei ha probabilmente deciso così per non spaventare nessuno. La schermata di blocco è abbastanza essenziale e anche qui si notano bene le somiglianze con iOS: grande orologio centrale nella porzione superiore, pulsante fotocamera in basso a destra (si aspre facendo lo swipe verso l’alto) e barra dell’orologio/icone/notifiche ben in vista in alto (tra le opzioni si può decidere di nascondere la dicitura dell’operatore telefonico). A differenza di iOS non è possegue a pagina 40 n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Smartphone Huawei Mate S segue Da pagina 39 sibile aprire la tendina superiore a schermo bloccato (se sia un pregio o un difetto lo lasciamo al vostro giudizio), mentre effettuando lo swipe dal basso verso l’alto si apre un piccolo menù con quatto icone per aprire rispettivamente registratore vocale, calcolatrice, fotocamera e accendere il flash tipo torcia. C’è la possibilità di attivare il pannello con il doppio tap sul display e molto particolare è la funzionalità che permette di effettuare ritagli di schermate “disegnando” con due nocche sul display oppure lanciare determinate applicazioni “scrivendo”, sempre con due nocche, lettere a schermo; seppur non impeccabile a noi ha sempre funzionato piuttosto bene. Inoltre, facendo un doppio tocco netto (molto netto!) con una nocca è possibile salvare una schermata, mentre facendo un deciso doppio tap con due nocche si farà partire una registrazione video (in risoluzione HD o mini) di quello che si sta facendo con il telefono. Non c’è il Force Feedback ma per ora va bene così. Buone e immediate le applicazioni Galleria (segnaliamo la possibilità di muoversi tra le immagini effettuando gesture sul lettore di impronte digitali), Musica e Video, nella norma l’app dedicata alla posta elet- tronica (e c’è anche Gmail preinstallata), minimal quella dedicata alle note mentre manca una vero e proprio reminder. Apprezzabile è la scelta di Huawei di pre-installare l’app Gestione Telefono dalla quale, in modo estremamente semplice, è possibile liberare memoria, eliminare file non necessari, tenere sotto controllo le app che consumano più batteria e chiudere tutte le app rimaste aperte in background. Meno felice, invece, è stata la scelta del browser di sistema: il software è molto indietro se paragonato alle proposte della concorrenza e viste le sue prestazioni decisamente sottotono (sia in quanto a velocità che in qualità del rendering, alcune pagine vengono caricate proprio male) costringe all’utilizzo di un browser di terze parti. Meno male che lo smartphone ha già Chrome pre-installato a bordo il quale, nonostante non sia perfetto (ma lo si sa), funziona molto bene. Altro frangente in cui la EMUI può migliorare è quello relativo alle impostazioni: le opzioni sono tantissime (che è sinonimo di possibilità di personalizzazione estreme) ma non sono organizzate bene. Per trovare una determinata impostazione si fa prima ad utilizzare l’apposita funzione di ricerca ma anche così facendo un utente non proprio smaliziato torna al sommario potrebbe sovente rimanere perplesso. Da segnalare, infine, la presenza di un assistente vocale in grado di assecondare le più essenziali richieste dell’utente, ma che non è ancora in grado di riconoscere la lingua italiana (c’è solo l’inglese). Una volta attivato e configurato (bisogna impostare una parola chiave per “svegliare” il sistema) sarà in modalità always-on; ottima la capacità di comprensione della voce dei tre microfoni, capaci di sentire abbastanza bene anche a distanza di qualche metro. Se si domanda “Where are You?” (ovviamente dopo aver pronunciato le parole chiave) lo smartphone inizia a suonare, a vibrare, a far lampeggiare i LED e a dire “I’m Here!” fino a quando non si agirà direttamente sul device per stoppare il tutto. Decisamente originale e utile soprattutto per chi è solito lasciare il telefono qua e là per la casa. Niente filmati in 4K ma buone foto… di giorno Composto da un modulo principale da 13 Megapixel e da uno secondario frontale da 8 Megapixel, quello di Mate S è sulla carta un comparto foto/video di tutto rispetto. Sul campo, però, i numeri non contano poi così tanto e le prestazioni non sono sempre commisurate alle aspettative: Huawei ha fatto del suo meglio per offrire la massima qualità possibile (spingendo molto su questo tasto anche in sede di presentazione), ma il risultato finale, seppur oggettivamente molto buono, non ci ha pienamente soddisfatti e viste le premesse si sarebbe sicuramente potuto fare di meglio. Sia chiaro, il sensore da 13 Megapixel con lente grandangolare f/2.0 ha indubbie qualità in condizioni di luminosità ottimali (anzi, a volte stupisce per la bontà degli scatti) e l’applicazione Fotocamera a supporto è sempre molto rapida, ma appena la luce inizia a calare emerge più di un limite - forse non tutto da affibbiare all’hardware - in quello che possiamo considerare “solo” un buon modulo, che dà la sensazione di avvicinarsi molto ma non eguaglia né - ovviamente - sopravanza in prestazioni gli analoghi installati a bordo, tanto per citarne alcuni, LG G4, Samsung Galaxy S6 o iPhone 6 (in attesa del 6S). Si tratta certamente di un modulo degno di un top di gamma, ma forse si poteva fare un piccolo sforzo in più. Detto questo, sarà davvero difficile ottenere foto brutte, soprattutto in macro, certamente il frangente in cui questo Mate S si difende meglio; grazie all’ampia apertura dell’obiettivo e alla stabilizzazione ottica (alla quale è possibile aggiungere anche quella digitale, disabilitata di default) non si farà fatica a scattare senza flash anche di sera. Buono il bilanciamento del bianco e molto rapida e precisa è la messa a fuoco; segnaliamo un certo grado di distorsione dell’immagine dovuta al grandangolo che però non influisce più di tanto sulla qualità complessiva degli scatti. Presente una modalità “professionale” attraverso la quale selezionare in prima persona tutti i parametri di scatto. Carina la modalità a lunga esposizione Light Painting che permette di immortalare scie luminose durante la notte. Poche note di merito anche se si considerano le possibilità di registrazione video dove Mate S non va oltre una risoluzione massima di 1920x1080 pixel a soli 30 frame per secondo. Ovviamente non c’è la possibilità di registrare in slow motion o in timelapse, e qualche simpatica chicca sparsa qua e là non riescono a migliorare più di tanto il giudizio poco più che sufficiente su questo aspetto. I video sono buoni e la stabilizzazione aiuta, ma più che del 4K (l’hardware non permette la riproduzione di file Ultra HD) si sente la mancanza di una modalità di registrazione a 60fps. Decisamente più azzeccata, invece, è stata la scelta della fotocamera frontale da 8 Megapixel con sensore retroilluminato la quale è capace di garantire buonissime fotografie anche in condizioni di scarsa illuminazione; il merito non è solo del sensore ma è da attribuirsi anche al flash LED frontale posizionato al fianco del piccolo LED di notifica, soluzione che permetterà sempre selfie di buonissima qualità. Presente anche la modalità “Bellezza” la quale assicura la possibilità di modificare “al volo” gli scatti ottenuti con la camera frontale andando a modificare grandezza e illuminazione degli occhi oppure permettendo di snellire il volto e rendere più bianca e liscia la pelle. Non una funzione rivoluzionaria ma a qualcuno, soprattutto ai più giovani, piacerà. Autonomia nella media Connettività (quasi) completa La combinazione tra SoC Kirin e schermo AMOLED fa sì che Mate S, pur con una batteria da soli 2700mAh (ovviamente non rimovibile), riesca sempre ad arrivare al termine della classica giornata di lavoro. Certo, vi sono poche speranze di superare - eventualmente - la notte (che si porta via un buon 15% di carica) ma tutto sommato non ci si può lamentare poiché alla fin fine anche i diretti concorrenti non è che siano in grado di fare molto meglio. Presenti diversi profili per il risparmio energetico con il più aggressivo (denominato “Ultra”) che lascia attive solo le funzionalità essenziali di chiamata e messaggistica e che permette di strappare anche un paio di ore abbondanti in condizioni di estrema emergenza. Parlando di connettività, Huawei Mate S offre tutto quello che si può desiderare e non manca di Bluetooth 4.0 (A2DP) con NFC, GPS e GLONASS e modulo Wi-Fi 802.11 b/g/n. Assente la banda wireless a 5 GHz ma, sinceramente, se ne può anche fare a meno. Il comparto telefonico è solido e garantisce la ricezione di un buon segnale 4G/LTE anche in luoghi dove altri telefoni fanno fatica; per quanto riguarda le chiamate possiamo tranquillamente lodare il sistema di eliminazione dei rumori di fondo basato su tre microfoni (in determinate situazioni sembra addirittura non esservi nessuno dall’altra parte della cornetta!), il quale però ha il limite di partecipare all’elaborazione di un audio dal volume forse un po’ troppo basso, anche al massimo valore possibile. Buono l’altoparlante principale e valide anche le cuffie (non in-ear) a doppia uscita caratterizzate da finiture metalliche. n.118 / 15 23 SETTEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Abbiamo provato l’iPod Touch per tutta l’estate come strumento di gioco, player multimediale e come fotocamera Ha ancora senso un iPod Touch a 2015 inoltrato? A prescindere dalle prestazioni (molto buone), l’iPod è ancora indispensabile in un mondo dominato dagli smartphone... È di Emanuele VILLA l’icona della musica liquida e del nuovo modo di ascoltarla fuori casa, ma ha ancora senso in un mondo dominato dagli smartphone, iOS o Android che siano? Stiamo parlando dell’ormai leggendario iPod, che Apple mantiene in gamma nelle versioni Touch, Nano e Shuffle pur senza dedicargli la medesima considerazione degli anni di gloria. Il recentissimo rinnovamento della gamma Touch ci ha dato l’occasione per viverci un po’ insieme, portandolo in giro e usandolo come principale strumento multimediale e come foto/videocamera, ma soprattutto per affiancarlo al nostro solito smartphone (un iPhone 5s) per scoprire se – effettivamente – l’iPod abbia ancora un senso in un mondo ormai dominato dagli smartphone. Il dubbio riguarda proprio la versione Touch, perchè Nano e Shuffle hanno senza dubbio un ruolo interessante nella gamma Apple, ma il Touch, quello che sembra semplicemente un iPhone che non telefona? Partiamo dicendo che le sue dimensioni sono del tutto sovrapponibili (spessore escluso) a quelle di iPhone 5s: frontalmente è proprio uguale all’iPhone 5 (manca il Touch ID), mentre come spessore c’è un buon 20% in meno. Essendo estremamente colorato, cattura l’attenzione dei curiosi. È dunque un iPhone 5 di fuori, con la scocca in alluminio sottilissima che ricorda iPad Air 2 e con caratteristiche tecniche di alto profilo che si sovrappongono a quelle di iPhone 6. Ha Wi-Fi ac, il chip A8 di ultima generazione, la fotocamera iSight da 8 mpixel, iOS 8 nativo, iTunes e Apple Music, ma soprattutto ha una dotazione di storage che può raggiungere i 128 GB integrati, contro i 16 GB massimi del Nano e i 2 GB dello Shuffle. Tre settimane con iPhone e iPod Convivenza possibile? Scopo di questo servizio non è tanto testare le potenzialità di iPod Touch di ultima generazione, quando capire se effettivamente il capostipite dei dispositivi mobile Apple abbia ancora un suo mercato a 2015 inoltrato. Che sia un buon apparecchio è indubbio: come riproduttore musicale si avvale di Apple Music per ascoltare i brani sotto Wi-Fi o scaricarli nella memoria integrata (che può arrivare a 128 GB) per l’ascolto offline, per il gaming ha tutta la potenza che vuole grazie al SoC A8, è bello da vedere, leggero e versatile. Non telefona e non ha connettività cellulare, ma come dispositivo multimediale ha davvero tutto ciò che serve, compreso il display retina. Il costo di accesso non è male, nel senso che tra i 239 euro di iPod 16 GB e i 729 di iPhone 6 c’è un abisso e giustifica abbondantemente la minor versatilità. Quindi perché acquistare un iPod Touch nel 2015? La prima ipotesi è di indirizzarlo a un target molto giovane: pensiamo al caso di un genitore che vuole regalare un dispositivo iOS al figlio adolescente per il suo tempo libero ma senza l’impegno economico di un iPhone dalle caratteristiche analoghe, che effettivamente costa il triplo. C’è poi, ipotesi più fantasiosa, chi ha assolutamente bisogno di un’app o di un gioco esclusivo iOS e torna al sommario video anche chi lo affianca al suo smartphone, dandogli una posizione di supporto multimediale. Quest’ultimo – che riconosciamo non essere il più rilevante - è stato il nostro caso. Durante le vacanze ci siamo trovati in tasca sia un iPhone sia l’iPod Touch di ultima generazione e abbiamo cercato di sfruttarne le possibili sinergie: essendo all’estero, l’abbiamo usato come riproduttore musicale di brani preventivamente scaricati da Apple Music, come foto/videocamera principale e come dispositivo per il gaming. L’esperienza di utilizzo è stata positiva: l’unico limite dell’utilizzo multimediale è un po’ la luminosità del display che, nelle giornate assolate e in outdoor, rende difficoltosa la lettura e soprattutto può condizionare le riprese video. In casi specifici è un valido comprimario L’impressione derivante da 3 settimane di utilizzo è che iPod Touch sia ancora un ottimo prodotto ma che viva all’interno di un mercato molto ristretto, il che giustifica alla perfezione la minor enfasi data da Apple. Ipod Touch ha infatti senso in ipotesi specifiche: quelle considerate più sopra e come supporto multimediale per uno smartphone limitato in quanto a capacità di storage e autonomia e che - per svariati motivi - non si vuole cambiare. In tutti gli altri casi, lo smartphone è più che sufficiente a fare tutto e la sovrapposizione tra i due apparecchi non giustificherebbe i 249 euro della spesa. Il fatto che noi si fosse precisamente in quest’ultima situazione ci ha aiutato a schiarirci le idee: il nostro iPho- lab ne 5s da 16 GB stracolmo di app e di musica non può essere impiegato come strumento per le riprese video a meno di usare il cloud, ma quello pone il problema della connettività che in vacanza non è mai scontata. Inoltre, iniziare a registrare alle 9 del mattino in modo intenso rende necessario il classico battery pack all’ora di pranzo (se va bene), cosa che un iPod Touch in tasca non fa. È stata dunque un’esperienza interessante: se nella precedente vacanza dovevamo spesso collegare l’iPhone al battery pack e scaricare i video giorno per giorno, questa volta ha fatto tutto l’iPod. E non si può neanche dire che sia fastidioso portarsi in giro due dispositivi: lo smartphone lo si dimentica in tasca, lo si usa come telefono e come hotspot mobile per iPod, che a sua volta è sempre a portata di mano poiché serve per scattare foto, riprendere, ascoltare musica, navigare e giocare. E a sera ci arriva sempre, anche in caso di uso intenso. Unica accortezza è la custodia, perchè la scocca in alluminio tende a scivolare di mano con una certa facilità, e lì son dolori. Poi ci rendiamo conto che in tanti altri casi iPod Touch sia superfluo e non è assurda l’ipotesi che un giorno venga eliminato dalla gamma rientrando in tutto e per tutto negli iPhone. Oggi infatti con una cifra più o meno analoga si può acquistare l’iPhone di 2 anni fa o l’ultimo iPod Touch: il primo senza dubbio più versatile, il secondo molto più potente sotto il profilo multimediale. E non mettiamo in dubbio che per una fetta di pubblico sia più importante quest’ultimo: in tal caso, l’ultimo iPod Touch non vi deluderà. Le foto e le riprese diurne offrono un livello qualitativo apprezzabile, ma è innegabile una discreta perdita di definizione dopo il tramonto, laddove la rumorosità si fa invadente.