n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
Scandalo VW:
l’elettronica
che sa mentire

Il mondo si indigna per lo scandalo che ha
investito Volkswagen in questi giorni: proprio
loro, i rigorosi tedeschi, beccati nel “taroccare”
le centraline elettroniche per far ottenere prestazioni eccellenti nei benchmark e nei controlli ad
autovetture che evidentemente così eccellenti
non sono. Al di là degli evidenti interessi in gioco
nella specifica vicenda e della chiara volontà
degli informatori americani nell’affossare il
motore diesel, nel quale al di là dell’oceano non
hanno né tradizione né eccellenze, quello che
emerge è che il controllo digitale ed elettronico
permette una “programmabilità” che, se usata
dolosamente, è in grado di aggirare test e
benchmark. Davvero niente di nuovo per chi vive
il mercato dell’elettronica di consumo: da molti
anni, anche da prima dell’avvento dell’elettronica digitale programmabile, i progettisti realizzano apparecchi pensati (anche) per ben figurare
sotto test, a prescindere dalle reali prestazioni
nell’uso di tutti i giorni. O addirittura si inventano
condizioni particolarissime in cui fare i test per
ottenere risultati, o più che altro numeri, che ben
poco hanno a che spartire con la realtà.
Fu il caso, diversi anni fa, della potenza degli
amplificatori: contavano solo i watt e bastava
sparare un numero grande a piacere per
risultare commercialmente vincenti; anzi, chi
non lo faceva, rischiava di essere scartato dal
mercato, malgrado prodotti spesso eccellenti.
Così sono nati e si sono diffusi i watt DIN e
poi addirittura i watt PMPO o i watt musicali,
valori non confrontabili tra loro e ovviamente in
crescita esponenziale rispetto ai watt “veri”; e
ancora misure fatte solo a 1 KHz e non su tutto
lo spettro o con distorsioni ammesse anche del
10%. Sempre ammesso che le dichiarazioni delle
aziende, poi, corrispondessero a vere e proprie
misure e fossero fedeli ai numeri in esse ottenuti.
Più avanti arrivarono le follie relative ai rapporti
di contrasto dei TV e alle mille metodologie di
misurazione inventate per ottenere numeri da
favola su display che a occhio nudo apparivano
irrimediabilmente sbiaditi. I circuiti “speciali”
inseriti solo nel momento della misurazione, i
comportamenti “dinamici” delle elettroniche,
le metodologie on/off e così via: migliaia
di stratagemmi per ottenere contrasti da
1.000.000:1 su TV che forse arrivavano a 1000:1,
se aiutati. E questo non fatto dai marchi di serie
B ma da tutti i principali produttori, compresi di
irreprensibili giapponesi e i potenti coreani. Lo
stesso dicasi per il comportamento dei TV con i
principali segnali test: per anni i produttori di TV
hanno richiesto alle redazioni tecniche - anche
a noi - informazioni sulle metodologie di prova
e sui segnali test utilizzati; guarda caso una o
due generazioni dopo arrivavano TV magari non
così belli ma che su quei segnali test fornivano
prestazioni eccellenti: semplicemente era stato
aggiunto un sistema di riconoscimento del
segnale test con corrispondente modifica del
comportamento dell’elettronica per ovviare
temporaneamente al problema. Né più né
meno di quanto ha fatto Volkswagen con le sue
centraline.
Negli ultimi anni abbiamo assistito poi, tra le
altre cose, all’adattamento di alcuni smartphone
Android ai principali benchmark: processori e
software che “pompano” artatamente le prestazioni, noncuranti dei consumi di batteria, quando
riconoscono l’esecuzione del benchmark per poi
ritornare a performance ben meno entusiasmanti nella vita di tutti i giorni, nella quale la durata
della batteria conta.
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MAGAZINE
Enjoy: “Noi italiani
SIAE raddoppia
Renzi vuole colpire
più creativi, anche
la copia privata:
i big del web: “Dal
oltre120 milioni 02 2017 la Digital Tax” 04 nel car sharing” 05
32
LG OLED 55EG960
ÈIn prova
il TVil primo
delOLED
futuro?
di LG
con pannello Ultra HD
Vinilmania: ecco come
nasce un disco 33 giri
23
Visita alla Phono Press di Settala
L’unica azienda italiana che ancora
stampa dischi “alla vecchia maniera”
Roomba 980
il robot “smart”
26
E così via, fino alle auto-certificazioni relative
alle classi energetiche degli elettrodomestici:
gli apparecchi in classe “A+++ -50%” oramai si
sprecano e viene davvero il sospetto che queste
certificazioni vengano auto-erogate con troppa
facilità e qualche trucco di troppo; addirittura con
il rischio che il progetto del prodotto venga calibrato più per rispondere alla procedura formale
di misura della classe energetica che per essere
davvero efficiente ed efficace nella vita reale.
Insomma, di “centraline taroccate” nel mondo
dell’elettronica di consumo ce ne sono centinaia
di milioni, forse miliardi, ben più degli 11 milioni di
veicoli Volkswagen coinvolti dallo scandalo che
scalda le pagine dei giornali di questi giorni. Il
caso Volkswagen, con il suo clamore mediatico,
dovrebbe mettere in guardia anche i colossi
dell’elettronica: in certi mercati, quello USA
soprattutto, la “falsa testimonianza” sui dati di
targa, quando diventa conclamata e occupa le
prime pagine dei giornali, è ritenuta dolo grave
Il nuovo iRobot si connette
alla rete Wi-Fi, mappa
tutta la casa e si comanda
(anche) con un’app
e viene punita prima dalla borsa, che reagisce
in pochi minuti, e poi, nei mesi a seguire, anche
dai consumatori. Con il danno collaterale ma
non trascurabile di far percepire all’opinione
pubblica l’elettronica come strumento destinato
principalmente a “taroccare” le prestazioni.
Va detto chiaramente: il rischio dell’esplosione
di una bolla “dati taroccati” nell’elettronica di
consumo c’è ed è probabilmente più rilevante di
quanto non si pensi: il necessario richiamo alla
“moralità” ai produttori è doveroso, anche se
probabilmente destinato a cadere nel vuoto. Da
parte nostra, continueremo a fare le misure degli
apparecchi, applicando i principali benchmark
come supporto ai nostri test; ma non smetteremo di chiedere ai nostri lettori di fidarsi soprattutto della nostra esperienza e del nostro “fiuto” da
utenti esperti: certi numeri, per mille motivi, non
sono (più) buoni indicatori della realtà.
Gianfranco GIARDINA
IN PROVA
35
IOS 9: ecco perché
conviene aggiornare
38
Huawei Mate S
Salto di qualità
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
MERCATO Il rendiconto di gestione 2014 di SIAE evidenzia debiti verso gli aventi diritto stabilmente sopra i 900 milioni di euro
SIAE deve quasi un miliardo agli aventi diritto
La Copia Privata raddoppia: oltre i 120 milioni
La chiusura del rendiconto SIAE è in leggero attivo solo grazie agli interessi maturati sul capitale non ancora distribuito
di Gianfranco GIARDINA
Stiamo andando verso un netto raddoppio dei compensi per copia privata raccolti dalla SIAE, anche ben
oltre le previsioni della stessa SIAE. A poco più di un
anno dall’introduzione delle nuove (e fortemente aumentate) tariffe del compenso per copia privata, e a
pochi giorni dalla pubblicazione del rendiconto di gestione SIAE 2014, è ora di tracciare qualche bilancio.
La questione può sembrare puramente tecnica e per
addetti ai lavori: lo è, per quello che riguarda i grandi
interessi ad essa collegati. Ma il fatto che a pagare
siano, più o meno consapevolmente, i cittadini, ne fa
una questione di forte interesse pubblico: milioni e
milioni che escono dalle tasche degli utenti di tecnologia completamente a prescindere dal fatto che, con
i loro apparecchi, facciano uso o meno di contenuti
tutelati da diritto d’autore. Lo scorso anno abbiamo
pubblicato una corposa inchiesta sulla copia privata
e in particolare su quello che succede ai compensi,
decine di milioni di euro, dopo la raccolta: criteri e
tempi di ridistribuzione e dinamiche, anche finanziare connesse. I percorsi e le logiche di ridistribuzione
sono occhio e croce gli stessi; quello che è cambiato
pesantemente è l’ammontare dei compensi, istituti
con il “decreto Franceschini” a luglio del 2014.
Di seguito i compensi per copia privata (valori al netto
di IVA) applicati dallo scorso anno su alcuni dei principali prodotti:
Smartphone (32 GB o più)
5,20 €
TV con funzione PVR
4,00 €
PC fissi o portatili
5,20 €
Hard disk 1 TB
20 €
Qui la lista integrale di tutti i compensi
Come previsto, la raccolta
per “copia privata” raddoppia

Le nuove tariffe, seppur con un mercato dell’elettronica
pressoché fermo, stanno portando introiti doppi nelle
casse della SIAE: già nel bilancio preventivo 2015 SIAE
aveva previsto un netto incremento, con una raccolta
stimata di 117,5 milioni di euro contro i 67,1 milioni del
bilancio 2013, l’ultimo che non tenesse conto delle
modifiche delle tariffe introdotte con il decreto Franceschini. In realtà, la situazione a consuntivo sarà ancora più rosea per gli aventi diritto: SIAE stessa stima
di andare oltre il proprio preventivo raggiungendo e
probabilmente superando i 120 milioni di euro. Questa previsione è decisamente realistica: infatti SIAE,
secondo i dati che la Società stessa ci ha rivelato, ha
già messo a segno incassi sul fronte copia privata per
ben 80 milioni di euro nel periodo gennaio-luglio 2015,
con una media, quindi, di quasi 11,5 milioni al mese. I
cinque mesi mancanti dovrebbero portare quindi nelle
casse SIAE più o meno altri 50 milioni di euro e più,
con un raccolta lorda per copia privata che potrebbe
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Cosa sono i compensi per copia privata
Per chi non lo sapesse, la copia privata è il diritto che un consumatore ha di copiare un contenuto legittimamente acquistato (e quindi tassativamente non pirata) su altri dispositivi di sua proprietà. I contenuti copiati
non possono essere ceduti a terzi a nessun titolo, anche non oneroso. Per poter avere questo diritto (che però è
sempre più difficile esercitare perché può essere svolto solo nel rispetto delle misure di protezione anticopia) il
consumatore è tenuto al pagamento di un compenso che grava non sui contenuti stessi (almeno quelli copiabili)
ma su supporti e apparecchi. Per semplicità di gestione, il compenso viene versato a SIAE da chi importa o
produce i prodotti assoggettati, che poi carica quest’onere sulla filiera a valle (con incremento di IVA e margine
del canale distributivo) fino ad arrivare a consumatore finale. SIAE si occupa, oltre che della raccolta, anche
della ridistribuzione di questi compensi, sottratti i propri costi, seguendo alcune indicazioni di legge (per
esempio sulle percentuali tra diverse categorie di aventi diritto) e stabilendo autonomamente altri parametri di
ripartizione (come per esempio l’incidenza di quota audio e di quota video e così via).
quindi attestarsi intorno ai 130 milioni. Proprio il doppio
di quanto raccolto nell’ultimo anno di vecchie tariffe:
non sbagliavamo, quindi, quando, più di un anno fa parlavamo di “prelievo doppio” in virtù delle tariffe fissate
dal Ministro Franceschini. Il valore di raccolta per copia
privata riportato nel rendiconto di gestione 2014 della
SIAE, pari a 77,8 milioni, non risente interamente dell’aumento delle tariffe: queste sono entrate in vigore
nel luglio scorso; le dichiarazioni dei produttori/importatori sono trimestrali; poi, con normali tempi amministrativi SIAE emette le fatture corrispondenti e queste,
con normali tempi contabili, vengono saldate. Questo
ha fatto sì che solo gli ultimissimi pagamenti dell’anno
si riferissero alle nuove tariffe.
L’andamento della raccolta per copia privata degli ultimi anni è indicato nel grafico qui riportato:
Un andamento il cui trend è in fortecrescita, malgrado
la raccolta 2015 sia probabilmente sottostimata: mai,
neanche negli anni in cui gli utenti facevano realmente un po’ di copia per uso privato, la raccolta aveva superato gli 85 milioni di euro. Che lo faccia, sfondando
e andando ben oltre quota 100 milioni, ora che farsi
una copia privata (e legale) di un contenuto è quasi
impossibile, oltre che inutile, è un fatto decisamente
notevole e che evidenzia tutte le fragilità del decreto
Franceschini.
SIAE vive dei “propri interessi”
Il rendiconto di gestione 2014, pubblicato da qualche
giorno, dà una fotografia generale della SIAE pressoché analoga a quelle degli ultimi anni: la Società degli
Autori ed Editori sarebbe in grave deficit se non avesse i proventi finanziari, ovverosia le rendite del capitale investito in banche, fondi, obbligazioni e titoli. Infatti
il margine operativo di SIAE vede un rosso di quasi
27 milioni di euro, stabile rispetto allo scorso anno:
la società perde quindi stabilmente diverse decine di
milioni di euro nella sua gestione tipica, l’intermediazione di diritti. E aggiunge poi altre perdite per attività straordinarie. SIAE nel corso del 2014 ha ottenuto
una remunerazione finanziaria dei fondi investiti pari
al 3,27%, un tasso che molti italiani vorrebbero poter
avere sui propri risparmi. Questo ha fruttato interessi
segue a pagina 03 
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23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
MERCATO
SIAE: rendiconto 2015
segue Da pagina 02 
attivi per oltre 35 milioni di euro ai quali vanno sommati altri 5 generati da plusvalenze su vendite di titoli in
portafoglio. Più di 40 milioni che raddrizzano ancora
una volta il bilancio SIAE, che posta nel 2014 un utile
prima delle tasse di circa 5 milioni (3,5 dopo le tasse). Senza proventi finanziari staremmo parlando di un
passivo di 35 milioni capace di spingere SIAE verso
l’ennesimo commissariamento.
Il baco dei “debiti verso aventi diritto”
Ma come fa SIAE a realizzare proventi finanziari così
cospicui? Ovverosia, dove prende il capitale che investe e che ha fruttato 40 milioni nel 2014? Semplice,
il capitale investito, in larga parte, non è di SIAE ma
degli “aventi diritto” e si compone principalmente di
diritti d’autore prelevati e in attesa di ridistribuzione.
La cifra “monstre” dei debiti verso gli aventi diritto ha
oramai stabilmente superato i 900 milioni di euro attestandosi nel 2014 a 912 milioni di euro; di questi 147
fanno capo alla gestione della copia privata: tenuto
conto della raccolta media delle ultime gestioni, si
tratta di una cifra in attesa di distribuzione pari a oltre
due anni di raccolta. Di certo ci sono motivi “tecnici”
per questi ritardi, oltre che molti accantonamenti legati a ricorsi vari e che sarà possibile sbloccare solo più
avanti. E se nell’ultimo anno i debiti verso gli aventi diritto per i diritti d’autore “tradizionali” sono un po’ saliti, va riconosciuto a SIAE di aver leggermente ridotto
quelli relativi alla copia privata, scesi di circa 4 milioni
(il 2,6%); da circa quattro anni, in ogni caso, i debiti per
copia privata si mantengono nell’intorno dei 140-150
milioni, come si può vedere nel grafico qui sotto:

I debiti totali verso gli aventi diritto, che comprendono
al proprio interno anche quelli per copia privata, hanno
avuto un andamento pressoché piatto, come si vede
in questo grafico che mostra sia quelli derivanti dalla
gestione della copia privata che quelli della gestione
dei diritti d’autore primari.
torna al sommario
Si tratta in pratica di un valore che sfiora il miliardo di
euro e che si ritrova pressoché intatto nell’attivo di
bilancio in investimenti in fondi, titoli e disponibilità
liquide. Da SIAE ci fanno sapere che sono stati fatti
pagamenti in capo alla copia privata per oltre 100 milioni nel corso dell’anno, ma evidentemente i proventi,
aumentati più che proporzionalmente, hanno tenuto
stabili i debiti verso terzi. Con il previsto raddoppio
degli introiti da copia privata, è presumibile pensare
che a regime, cioè in un paio d’anni, possano raddoppiare anche i circa 150 milioni debiti di SIAE verso gli
aventi diritto, portando il livello di indebitamento verso
gli aventi diritto di SIAE a sfondare il tetto del miliardo di euro. Questo vuol dire per SIAE poter contare
su proventi ancora più alti in interessi attivi: nel corso
del 2014, i 147 milioni di debiti verso aventi diritto per
copia privata, hanno reso quasi 5 milioni di interessi,
stando al rendimento medio ottenuto da SIAE; un valore, che – come dicevamo – non potrà che raddoppiare, a meno che SIAE non snellisca e acceleri le proprie
procedure di contabilizzazione e ridistribuzione, che
evidentemente – lo dicono i numeri – sono ancora
molto lente. Sicuramente più lente delle procedure di
incasso: i crediti riferibili alla copia privata a fine 2014
non arrivano al milione di euro, lo 0,65% dei corrispondenti debiti verso gli aventi diritto. Insomma, una SIAE
che sembra veloce a incassare, con crediti pendenti
inferiori all’1% della raccolta, ma molto più lenta nel ridistribuire, con debiti verso gli aventi diritto al 200%
della raccolta.
I costi di SIAE sulla copia privata
Spese a piè di lista, ma costanti
con l’aumento della raccolta
Oltre a fare propri i chiari vantaggi finanziari derivanti
dalla permanenza per un paio d’anni dei proventi per
copia privata nelle proprie casse, la SIAE applica una
trattenuta sulla raccolta che rimborso dei propri costi.
La trattenuta viene fatta in via preventiva su base forfettaria, con un prelievo intorno al 6% per l’anno 2014
(circa 4 milioni e 600mila euro), ammontare che comunque viene poi conguagliato sulla base dei costi
realmente sostenuti per la gestione della copia privata. Infatti in SIAE esiste – ci dicono dall’amministrazione - una precisa contabilità analitica relativa alla sola
copia privata, che poi determina a piè di lista, quale
sarà il costo che SIAE tratterrà sui proventi lordi. Da
SIAE ci spiegano che le nuove tariffe introdotte dal
decreto Franceschini portano a un raddoppio degli
introiti pur senza incidere considerevolmente sui costi
assoluti di raccolta, che restano sostanzialmente gli
stessi. Per questo SIAE prevede che, una volta andati
a regime i nuovi livelli di tariffazione, i costi di gestione
di SIAE possano attestarsi su una media del 3% della raccolta lorda e non più del 6%, mantenendosi a
livello assoluto sempre intorno ai 5 milioni di euro. Un
atteggiamento corretto quello di SIAE nell’applicazione dei propri costi, che quindi non dovrebbero salire
con il raddoppio del prelievo, seppur la logica del “piè
di lista” a consuntivo non stimoli certo la società ad
attivare comportamenti virtuosi e di maggior efficienza. Viene da chiedersi, piuttosto, perché la contabilità
separata che SIAE ha già in casa relativa alla copia pri-
vata non possa essere resa pubblica: da SIAE ci fanno
sapere che non sussiste alcun obbligo, né di legge né
statutario, legato alla pubblicazione della contabilità
separata per i compensi da copia privata (c’è invece
per altre fattispecie, come per esempio, la bollinatura
dei supporti). Considerato che parte dei proventi per
copia privata che SIAE intermedia sono destinati a entità terze e scollegate da SIAE stessa (come Univideo,
Nuovo Imaie, Fimi e così via), la pubblicazione della
contabilità separata della copia privata sarebbe un gesto di trasparenza sicuramente apprezzabile.
Le restituzioni per gli usi professionali
Non si sa a quanto ammontano
Fino allo scorso anno SIAE ha sempre messo a bilancio
come voce separata la consistenza di un fondo rischi
per le restituzioni per usi professionali dei compensi
per copia privata. Questo fondo, con l’analisi degli incrementi e dei decrementi, permetteva di stimare con
buona approssimazione l’ammontare delle richieste
di rimborso da parte di utilizzatori professionali che,
a norma di legge, non devono essere assoggettati ai
compensi per copia privata. La SIAE negli anni scorsi ha aumentato considerevolmente l’ammontare del
fondo e di conseguenza anche dei proventi da copia
privata trattenuti in attesa di eventuali richieste di rimborso, che ammontano a fine 2014 a oltre 25 milioni
di euro. I corrispondenti rimborsi per usi professionali,
secondo le nostre stime dello scorso anno, erano però
decisamente contenuti, sotto il milione di euro all’anno. In quest’ottica le cifre accantonate da SIAE appaiono quantomeno sovradimensionate.
Nel rendiconto di gestione 2014, SIAE ha modificato
la classificazione di bilancio di questo aspetto, azzerando il fondo rischi per restituzioni usi professionali e
annegandolo in un fondo rischi vari non meglio dettagliato, rendendo di fatto impossibile anche la stima da
parte nostra delle effettive restituzioni per usi professionali sulla base dei dati di bilancio. L’amministrazione
di SIAE, da noi interpellata, non è stata in grado per le
vie brevi di comunicarci l’ammontare delle restituzioni per usi professionali, ma non è da escludere che il
dato ci venga comunicato: nel caso ne daremo immediata notizia.
Il dibattito sulla copia privata
resti aperto e venga resa pubblica
la contabilità separata
L’anno prossimo i conti SIAE vivranno un momento di
forte discontinuità perché andranno a regime le nuove
tariffe dei compensi per copia privata: e proprio la copia privata, ipotizzando il resto della raccolta dei diritti
d’autore sostanzialmente stabile, finirà per pesare per
circa il 20% del totale dei diritti intermediati da SIAE.
Una cifra importante, con una pletora di aventi diritto in
cascata in uno o due passaggi successivi, che muove
molti interessi e che meriterebbe – come abbiamo detto – la pubblicazione della contabilità separata.
Qualche perplessità invece la desta l’industria dell’hardware: tanta comunicazione fatta nei periodi subito precedenti all’approvazione dei nuovi compensi
segue a pagina 04 
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
MERCATO Le multinazionali che fanno utili in Italia dovranno pagare le tasse nel nostro Paese
Renzi: “Dal 2017 in Italia la Digital Tax”
Stangata in arrivo per i colossi del web
L’Europa potrebbe però anticipare tutti con una soluzione già entro il prossimo anno
L
di Roberto PEZZALI
e multinazionali devono pagare
le tasse dove fanno gli utili. Una
frase sentita tante volte in relazione al delicatissimo tema dell’elusione
fiscale, e a quanto pare finalmente ci
si avvia verso una soluzione. Soluzione che potrebbe essere europea, se
l’Europa farà in fretta, oppure italiana. Il
presidente del Consiglio Renzi ha infatti
annunciato l’arrivo dal 1 gennaio 2017
di una nuova “Digital Tax” che andrà a
colpire le multinazionali che, sfruttando
l’attuale legislazione, spostano i guadagni all’interno di paradisi fiscali evitando
di pagarle nei paesi dove la tassazione
è più elevata.
“I grandi player dell’economia digitale e
mondiale, che per me sono dei miti, perché Apple è bellissima e Google è bellissima – ha dichiarato Renzi - hanno un
sistema che gli permette di non pagare
le tasse nei luoghi dove fanno business.
Stiamo aspettando da due anni che ci
sia una legge europea e attenderemo
anche tutto il primo semestre del 2016,
ma dal 2017 immaginiamo una Digital
Tax che vada a far pagare le tasse nei
luoghi dove fanno business. Non si arriverà a cifre straordinarie e non basteranno a risollevare l’economia, ma la
Digital Tax è una questione di giustizia”
Difficile capire quale soluzione vorrà adottare il Governo, anche perché
Renzi parla di una soluzioone tutta
nuova: viene in mente la proposta di
legge presentata qualche mese fa alla
Camera dai deputati di Scelta Civica
Giuseppe Quintarelli e Giulio Cesare
Sottanelli, che prevede una ritenuta alla
fonte del 25% sulle transizioni digitali
e il recupero di circa 2/3 miliardi sulla
base di 11 miliardi di imponibile. L’Italia
ha provato più volte a introdurre una
sorta di regolamentazione fiscale per
multinazionali come Amazon e Apple,
ma tutte le volte le proposte sono state
respinte in quanto il tema sarebbe da
affrontare a livello europeo: il deputa-
to del PD Francesco Boccia aveva ad
esempio presentato un emendamento
alla legge di Stabilità per la reintroduzione dell’obbligo di partita iva per chi
vende servizi pubblicitari in Italia, emendamento poi respinto.
Ora, Europa o non Europa, la Digital Tax
si farà, anche se uno dei grossi bersagli
europei ha pensato bene di adeguarsi
prima di essere colpita. Amazon, più
volte al centro di indagini per questioni
legate proprio all’elusione fiscale, dal
1 maggio 2015 ha infatti aperto partita
iva italiana e ha iniziato a pagare tutte le
tasse sui beni venduti tramite i suoi store di e-commerce, emettendo regolare
fattura italiana.
Apple acquisisce
Mapsense
per mappare
i big data
Apple fa ancora parlare di sé per
l’acquisizione di Mapsense, una
startup di San Francisco che si occupa
di fornire strumenti di sviluppo per
elaborare big data geolocalizzati
provenienti da varie fonti, aggregandoli e rendendoli visivamente fruibili
su mappe. Secondo indiscrezioni,
Apple avrebbe sborsato una cifra tra i
25 e i 30 milioni di dollari per portare
nel proprio quartier generale il team
di 12 esperti guidati dall’ingegnere
Erez Cohen, fondatore di Mapsense.
La piattaforma di sviluppo cloud
based rilasciata da Mapsense lo
scorso maggio aveva subito attratto
l’interesse di clienti in vari ambiti tra
cui quello finanziario, governativo
e naturalmente pubblicitario, annoverando nella lista anche aziende
della Fortune 500, la classifica stilata
dalla nota rivista che include le 500
maggiori imprese statunitensi per
fatturato. Siamo ormai abituati ad
acquisizioni del genere da parte delle
big company, che sfruttano le potenzialità della open innovation per far
proprie idee e competenze esterne
al fine di ottenere rapidamente un
vantaggio competitivo. Ma nel caso di
Apple, probabilmente, si sta cercando
di colmare il ritardo accumulato sui
servizi di geolocalizzazione rispetto
alla concorrenza.
MERCATO
SIAE: rendiconto 2015
segue Da pagina 03 

per copia privata si è trasformata, ancora una volta,
in un assordante silenzio. Eppure le argomentazioni
sollevate dall’industria per osteggiare un aumento dei
compensi sono ancora valide e sostenibili; e, ora che
i consumatori pagano (quasi sempre senza saperlo) i
nuovi compensi, lo sdegno dei produttori sembra essere sparito. Allo stesso modo stupisce non vedere più
attive le associazioni dei consumatori: sull’argomento
non tornano più, anche se le storture del nuovo regime
tariffario a confronto con la continua evoluzione dello
scenario tecnologico verso lo streaming audio e video
(ora arriva anche Netlix) sono sotto gli occhi di tutti. Il
tavolo di lavoro congiunto tra SIAE e le associazioni
dei consumatori (Federconsumatori prima e Adusbef
dopo) tanto pomposamente annunciato quasi un anno
fa come un’apertura verso la trasparenza della gestio-
torna al sommario
ne della copia privata, non sembrano
aver prodotto alcunché, ammesso
che siano mai stati convocati. Lo
stesso dicasi per il tavolo comune
tra SIAE e AIRES, l’associazione dei
retailer, anch’esso oggetto di annunci e comunicati stampa: non si hanno
tracce di alcun lavoro su questo fronte. Noi continueremo, anche se quasi
da soli, con pacatezza e il consueto
rigore, a informare sullo stato dei
prelievi per copia privata: 120 milioni
di euro, due euro a testa all’anno per
ogni cittadino, neonati e anziani compresi, che gli italiani stanno pagando
senza saperlo per avere un diritto
che in larghissima parte non esercita- Un momento della firma dell’accordo tra Rosario Trefiletti
no. E che, anche se volessero, quasi di Federconsumatori e Gino Paoli, allora Presidente di SIAE.
sempre non potrebbero esercitare.
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
MERCATO Faccia a faccia con Giuseppe Macchia, il manager ENI a capo di Enjoy, il servizio italiano di car sharing delle “500 rosse”
Enjoy: “Italiani più creativi, anche nel car sharing”
Un’attività a regime dopo meno di due anni dal lancio, che sta aumentando gli investimenti e progettando una crescita continua
P
di Gianfranco GIARDINA
rosegue il viaggio di DDay.it nel mondo del car
sharing, l’esempio più lampante e rivoluzionario
di come si possano combinare, potenziandole,
alcune tecnologie che – prese a se stanti – diamo oramai per scontate: la geolocalizzazione, il telecontrollo,
l’accesso dati in mobilità, il tutto tenuto assieme e potenziato dagli smartphone e dalle app. Non a caso, a
due anni dalla sua introduzione, il car sharing è entrato
prepotentemente nelle abitudini degli abitanti delle città coperte ed è senza dubbio la fattispecie di “sharing
economy” più popolare e di successo.
Dopo aver incontrato Gianni Martino, amministratore
delegato di Car2Go, il primo player ad aver lanciato il
servizio, abbiamo intervistato Giuseppe Macchia, Vice
President Smart Mobility di Eni, praticamente il “capo”
di Enjoy. Con lui abbiamo trattato una serie di temi
come la sostenibilità del servizio e le sue prospettive,
senza evitare le questioni legate alle recenti polemiche
sul “caso Milano”.
DDay.it: Come sta andando? Possiamo trarre qualche
bilancio dopo quasi due anni dal lancio?
Giuseppe Macchia: “A me piace parlare utilizzando
i numeri, perché sono dati inequivocabili e oggettivi,
sui quali non si possono fare troppo voli pindarici. Da
non più di mezz’ora (10 settembre 2015, momento dell’intervista, ndr), abbiamo superato i 200mila iscritti a
Milano e stiamo per raggiungere i 350mila complessivi. Tutto questo in soli 20 mesi di attività su Milano, unica città già a regime; dopo aver aperto Roma a giugno
2014, che sta andando a regime; e poi con altre due
città, Firenze a novembre 2014 e poi Torino ad aprile di
quest’anno, che sono ancora in fase di lancio. Credo
che si tratti di numeri letteralmente impressionanti e
credo non possiamo che esserne molto contenti”.
DDay.it: Di questi 350mila iscritti, quanti sono attivi,
ovverosia hanno già fatto dei noleggi?
Macchia: “Stiamo parlando di oltre il 75%, quindi un numero molto elevato. Se una persona si iscrive a un servizio lasciando dei dati molto importanti, che non sono
solo quelli anagrafici ma sono quelli della patente e di
una carta di credito o prepagata, evidentemente signi-
fica che è interessata al servizio e che prima o poi lo
utilizzerà. Il tasso di conversione, che non è al 100%, è
legato solo al fatto che alcuni iscritti ancora non hanno
avuto l’occasione di utilizzare il servizio per la prima
volta; dopo che lo si prova, l’utilizzo generalmente diventa molto frequente”.
DDay.it: in passato avevate espresso la previsione di
raggiungere con Enjoy il break even nel 2016: è un
obiettivo ancora attuale?
Macchia: “Quello che possiamo dire è che stiamo continuando a fare sviluppo, e quindi nuovi investimenti:
è evidente che il break even si sposta leggermente in
avanti…”
DDay.it: Milano, che gode di una situazione più stabile, lo raggiunge?
Macchia: “Milano sta andando oltre ogni previsione e,
se presa come entità a sé stante, possiamo dire che ha
raggiunto il suo break even. È chiaro che comunque
Milano va inserita in un business che vede anche le
altre città e l’introduzione di nuove modalità operative
con i relativi investimenti. Per esempio, rispetto ai nostri competitor, abbiamo introdotto lo scooter sharing,
che è molto interessante per i clienti ma determina
degli investimenti importanti che possono allungare i
tempi di rientro. Però ci teniamo molto all’offerta combinata auto e scooter perché ci mette in condizione di
pensare anche a città più piccole o a centri storici in
cui sarebbe impensabile attivare il servizio tradizionale con le masse critiche necessarie”.
DDay.it: A questo proposito, come sta andando
l’esperienza dello scooter sharing, anche se per ora
la flotta è di qualche decina di mezzi?
Macchia: “Il numero dei noleggi al momento non lo
rendiamo pubblico, ma lo divulgheremo presto. Quello che posso dire è che in questo momento a Milano
è stata attivata metà della flotta prevista, flotta che
completeremo arrivando a 150 scooter entro la fine di
settembre. I numeri sono più che incoraggianti, siamo
molto contenti”.
DDay.it: Qualche utente ha sollevato alcune perplessità legate all’igiene: i caschi in dotazione passano di
testa in testa…
Macchia: “Questo è un punto sul quale abbiamo lavorato tantissimo. I caschi vengono igienizzati ogni
volta che lo scooter viene pulito e manutenuto dai
nostri incaricati; addirittura c’è una squadra specifica
che si occupa degli scooter. E poi ci sono delle cuffiette mononuso da indossare prima del casco, per
evitare il contatto diretto della testa con il rivestimento interno…”
DDay.it: Qualche cliente ogni tanto segnala la mancanza delle cuffiette…
Macchia: “Non ho mai avuto segnalazioni in tal senso.
Volendo essere positivi, se le cuffiette sono finite è perché lo scooter è stato tanto noleggiato. Scherzi a parte, se i clienti che non trovano la cuffietta segnalano il
problema al nostro call center ci mettono in condizione
in intervenire al più presto con una nuova fornitura”.
DDay.it: Anche nel caso degli scooter, si tratta di un
noleggio a flusso libero, ovverosia nel quale si può lasciare il mezzo ovunque, purché all’interno dell’area
operativa?
Macchia: “Esattamente. Noi abbiamo replicato quello
che avviene con le auto utilizzando gli scooter. In questo caso possiamo dire che i mezzi a due posti ce li abbiamo anche noi, oltre alle 500 che sono a 4 posti…”

segue a pagina 06 
torna al sommario
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
MERCATO
Intervista a Giuseppe Macchia - Enjoy
segue Da pagina 05 
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DDay.it: Anche a 5 posti nel caso della 500L. A questo
proposito, la scelta della 500L da dove nasce? Non è
più complicato gestire un parco disomogeneo?
Macchia: “Quando siamo partiti a Milano, le 500L facevano già parte della flotta iniziale. Le abbiamo inserite quasi per fare un esperimento. Il test dal punto di
vista del cliente è andato molto bene. Non escludiamo
di ripeterlo nelle città dove potrebbe avere senso un
mezzo più grande. Certamente c’è un tema anche di
costi: passare dalla 500 alla 500L richiede investimenti aggiuntivi non banali; tra l’altro noi abbiamo deciso
di non variare la tariffa… In ogni caso stiamo facendo
delle valutazioni.”
DDay.it: Veniamo ora alle novità sul fronte del car
sharing dettate dalle modifiche tariffarie introdotte a
Milano ad agosto da Car2Go e resisi necessarie – a
dir loro – per riequilibrare la disposizione della flotta, troppo concentrata nella cintura periferica della
città. La domanda più generale è questa: il modello
di car sharing a flusso libero su Milano, con le regole
del bando di Milano, sta in piedi o no e a quali condizioni?
Macchia: “Noi pensiamo che il modello possa stare in
piedi. Milano ha fatto una scelta diversa da quella delle altre città, vincolando l’area operativa. Ma Milano
è anche la prima città nella quale abbiamo iniziato e
in cui abbiamo il maggior numero di iscritti. Un dato
inequivocabile è che più aumenta in numero di iscritti e più la distribuzione delle auto all’interno del territorio avviene in maniera omogenea. È evidente che
c’è un tema di ‘ricentro’: quello che afferma Martino
di Car2Go è corretto, non possiamo dire che non ci
sia un effetto ‘centrifugo’. Però noi abbiamo l’idea di
lavorare insieme al Comune per cercare di mitigare
questo effetto, per esempio dotando il centro di una
serie di stalli dedicati al car sharing, per i mezzi di tutti
i gestori, dove poter far rilasciare con più semplicità
e più agevolmente la vettura, determinando così una
rotazione più alta…”
DDay.it: Buona idea. L’avete proposta al Comune?
E cosa dice?
Macchia: “Certamente l’abbiamo proposta. E il Comune si è mostrato aperto. Abbiamo la grande possibilità
di fare le cose insieme alla Pubblica Amministrazione
per una volta in maniera positiva. Il problema c’è ed è
un problema per tutti: anche per il Comune è un problema se ci sono poche auto in centro. Noi vogliamo
sederci a un tavolo con tutti gli attori in campo per contribuire a definire nuove regole condivise che risolvano
il problema senza creare discriminazioni. Le discriminazioni non fanno bene al mercato…”
DDay.it: Secondo Car2Go finché non si tocca l’area
operativa o quantomeno la si rende non più obbligatoria, non ci sono altre soluzioni…
Macchia: “Per come la vediamo noi, l’area non era
un problema insormontabile prima; lo è ancor meno
adesso che abbiamo usufruito, come tutti gli altri gestori, della riduzione del 4% (legata all’estensione del
servizio anche a qualche comune dell’hinterland, ndr),
che ci ha permesso di tagliare delle zone che erano
inutili e che non portavano valore aggiunto al servizio.
torna al sommario
Noi per esempio abbiamo fatto un’operazione molto
importante per aumentare la disponibilità di auto, semplicemente modificando il sistema di prenotazione: il
tempo di prenotazione gratuito del veicolo è recentemente passato da 30 a 15 minuti, portando un beneficio enorme in termini di aumento della disponibilità
delle auto…”
DDay.it: È arrivata anche qualche lamentela?
Macchia: “Forse la prima settimana, ma una quantità
davvero ridotta. Quando le persone hanno capito che
avevamo fatto i conti in maniera tale da favorirli e non
sfavorirli, le lamentele sono sparite. E, a parità di flotta, i noleggi sono aumentati. Adesso stiamo facendo
l’esperimento sull’area metropolitana, con l’estensione
ad alcuni comuni dell’immediato hinterland di Milano:
non possiamo ancora dire come stia andando, serve
un po’ di tempo per le valutazioni. Certo è che se non
si è disposti a provarci, non si potranno mai avere dei
dati su cui basare la strategia del futuro. Noi riteniamo
che un cliente della periferia di Milano non sia diverso
da un altro del centro di Milano, come neppure da uno
dell’area metropolitana”.
DDay.it: OK, ci sembra di capire che sentiate il problema molto meno di Car2Go…
Macchia: “Beh, ma noi abbiamo fatto anche delle scelte strategiche che ci difendono un po’. Per esempio,
parliamo del caso molto frequente di persone che
dalla periferia prendono una macchina per passare
la serata in centro: molto spesso, se noleggiano con
Enjoy, decidono di mantenere la macchina in sosta e
di non rilasciarla. In fondo le nostre macchine portano
4 persone, che possono dividersi la spesa, e abbiamo
messo a punto delle tariffe per la sosta assolutamente
convenienti (6 euro/ora, ndr): in questo modo i clienti
non fanno viaggi a senso unico e mantengono il sistema in equilibrio. Per questo spesso la sera sulla mappa
si vedono poche macchine in centro, ma in realtà le
macchine ci sono, con i nostri clienti che ne mantengono in possesso per essere certi di rientrare verso casa
quando vogliono”.
DDay.it: Voi comunque fate delle operazioni di riposizionamento della flotta?
Macchia: “Sì, le facciamo, anche se in quantità limitata,
dati i costi correlati. Per esempio il riposizionamento
accade quando facciamo il carburante alle macchine,
di fatto cerchiamo di far coincidere le due operazioni,
portando poi le vetture in punti strategici per la fascia
oraria.”
DDay.it: Certo, perché nel caso di Enjoy sono i vostri
operatori a fare il rifornimento, non i clienti…
Macchia: “Sì, per il momento lo facciamo noi… Anche
perché l’occasione è buona non solo per riposizionare
e fare il pieno, ma anche per fare la pulizia e la manutenzione necessaria. Sfruttiamo in tal senso le strutture
che abbiamo sul territorio, come le EniStation”.
DDay.it: L’aumento della flotta che avete annunciato
di recente è finalizzato a mitigare l’imperfetta distribuzione delle vetture sul territorio o per sostenere
l’area che si è estesa ad alcuni comuni dell’hinterland?
Macchia: “C’è tutto dentro. È evidente che se ci muoviamo con i trend di crescita che stiamo sperimentando, dobbiamo anche supportarli, altrimenti finisce che
i clienti si trovano davvero senza le macchine: questo
è un tema. L’altro è quello legato all’estensione dell’area operativa. Ma va detto che quando termineremo
l’aumento previsto della flotta, avremo aumentato la
densità media di veicoli per chilometro quadrato, che
è il vero elemento di differenziazione. Il cliente deve
trovare le nostre macchine nel raggio massimo di 400500 metri: questo è quanto noi desideriamo”.
DDay.it: L’esperienza dell’utente Enjoy, sin dall’inizio,
è nettamente superiore a quella della concorrenza,
dato che ci si iscrive interamente online, senza bisogno di andare in un punto fisico, e l’iscrizione è del
tutto gratuita. Car2Go ha affermato a DDay.it che
questa procedura non si potrebbe fare per motivi
normativi: bisognerebbe riconoscere fisicamente il
possessore della patente… Vi risulta?
Macchia: “Quando l’ENI si muove, lo fa sempre in
maniera molto ligia alle regole. Noi abbiamo fatto le
nostre verifiche perché sapevamo di rompere una barriera dematerializzando il processo di iscrizione. L’abbiamo fatto a ragion veduta e si è rivelata una scelta
vincente. Noi abbiamo un contratto standard firmato
con la Motorizzazione Civile, che è l’ente preposto alsegue a pagina 07 
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
MERCATO Una fonte del ministero smentisce categoricamente la possibilità di una tassa per Netflix e soci: nessuno la vuole
Tassa
del
Governo
su
Netflix?
Falso:
ecco
cosa
succederà
“Vogliamo che investano in Italia”. Ecco quali sono i veri piani per il rilancio del cinema e delle produzioni italiane
di Roberto PEZZALI
essuna tassa di scopo per gli
operatori video che vorranno investire in Italia, anzi, ci sarà pure
agevolazione fiscale per le aziende che
realizzeranno produzioni di respiro internazionale. Fonti del MiSE ci hanno infatti
confermato che le notizie apparse su alcuni quotidiani sono totalmente prive di
fondamento, frutto probabilmente della
lettura di una sola parte del documento.
La parola “Tassa di scopo”, presente effettivamente all’interno del documento
intitolato “Rafforzamento del settore audiovisivo”, era riferita esclusivamente alle
soluzioni scelte in Francia e in Germania.
In Italia, ci assicurano, l’ipotesi è stata
scartata da tutti coloro che hanno partecipato alla riunione ai margini del Festival
del Cinema di Venezia, broadcaster inclusi: tutti, da Rai a Mediaset, non ritengono
giusto tassare gli operatori stranieri che
investono in Italia, sarebbe sufficiente
che pagassero le tasse nel Paese dove
operano. Il piano per rivitalizzare le produzioni italiane però c’è, ed è ambizioso e
pure condivisibile: in Italia si produce tan-
N
to e si esporta poco, soprattutto perché
le nostre produzioni non sono appetibili
sul mercato internazionale. Il mercato è
avido di serie TV, eppure sono poche le
serie italiane che piacciono all’estero: per
ogni stagione di Gomorra che viene prodotta, ci sono almeno 20 serie in stile “Carabinieri” e “Elisa di Rivombrosa” che un
pubblico streaming-oriented difficilmente
potrebbe guardare e apprezzare.
“Produciamo tanto per massimizzare gli
ascolti tra i sessantenni” – aggiunge la
nostra fonte – “è ora di cambiare”. Ecco
perché il Governo ha intenzione di agevolare fiscalmente le aziende e i produttori che realizzeranno opere pensate per
un mercato globale, nella speranza che le
case di produzione locale possano attrarre i investitori internazionali alla ricerca di
contenuti esclusivi. “Netflix non va tassata, va accolta a braccia aperte perché se
inizia a investire in Italia ne giova tutto il
settore” – conclude. Tra le indicazioni dei
Governo ci sono anche alcuni vincoli legati alle licenze e ai diritti: oggi vengono
concesse troppe deroghe a chi dovrebbe
destinare, secondo una delibera euro-
pea, il 10% della propria programmazione
a opere di natura europea e nazionale.
Queste deroghe non ci saranno più: Disney, che non riesce ad arrivare al 10% e
ha ricevuto una deroga da Agcom, dovrà
investire per produrre contenuti da noi,
in Europa. La vendita dei diritti deve prevedere inoltre una distribuzione globale:
troppe opere vengono vendute per essere tenute nel cassetto o trasmesse solo
su un canale, senza sfruttare i mezzi che
la tecnologia oggi mette a disposizione.
Tra le proposte del documento ci sarebbe
quindi anche una sorta di “accordo” tra
broadcaster e committente per spingere
un’opera alla massima valorizzazione.
A fare da esempio per la rinascita delle
produzioni italiane ci sarà la Rai: ai nuovi
vertici infatti il Governo ha imposto una
internazionalizzazione delle produzioni,
missione condivisa anche dal nuovo direttore della Rai Antonio Campo Dall’Orto. Basta fiction per vecchi, se vogliamo
crescere serve un prodotto migliore.
MERCATO
Intervista a Giuseppe Macchia (Enjoy)
segue Da pagina 06 

l’emissione, alla verifica, al controllo e alla sospensione delle patenti e sicuramente i nostri controlli sono
ferrei, perché li facciamo direttamente e in tempo
reale sul database della Motorizzazione Civile. Quindi il fatto che non ci sia l’intervento di un operatore,
che potrebbe anche sbagliarsi, è per noi garanzia di
maggiore sicurezza. Ciò detto, il regolamento di Enjoy
parla molto chiaro: chi lo vìola, per esempio guidando
una macchina senza essere intestatario del noleggio,
ne risponde civilmente e penalmente”.
DDay.it: Ma quindi non esiste una normativa o una
legge che impone il riconoscimento di persona di chi
noleggia un veicolo?
Macchia: “A noi non risulta alcuna normativa in merito. Quello che possiamo dire è che la nostra procedura rispetta tute le regole; anche perché siamo
ENI e saremmo dei pazzi a operare fuori dalle regole.
Ciò posto, se qualsiasi cittadino si impossessa della
tessera di un competitor come Car2Go, sale in macchina e fa cose pazze, non è la stessa identica cosa?
E questo anche se l’intestatario è stato riconosciuto
di persona…”.
DDay.it: Ci permetta di ragionare per assurdo: i vostri competitor, che appartengono anch’essi a gruppi
importanti e in qualche caso hanno già lunga espe-
torna al sommario
rienza nel car sharing, come mai non hanno pensato
a fare come voi, con il database della Motorizzazione
e così via? Lo capisce anche un bambino che è molto meglio una procedura di iscrizione interamente
online…
Macchia: “A mio avviso la risposta è molto semplice.
Il vantaggio di essere stati ‘follower’ è stato quello di
poter analizzare quanto già fatto da altri sul mercato
e cercare di fare anche una cosa migliore. I due fattori chiave di successo di Enjoy, al di là del prezzo più
basso e della macchina migliore, sono la procedura di
registrazione completamente online e la totale assenza di una card. In questo modo abbiamo creato una
totale rottura con i modelli esistenti di car sharing…”
DDay.it: Non a caso Car2Go ha attivato una procedura di inizio noleggio senza card…
Macchia: “Certo, dopo di noi. Car2Go non fa quello
che facciamo noi sulla registrazione probabilmente
perché loro operano in oltre 30 città di tutto il mondo
e dovrebbero modificare a livello centralizzato il loro
sistema; inoltre, con nostra grande sorpresa, la Motorizzazione italiana mette a disposizione un servizio
che in Europa non c’è, almeno, dalle nostre verifiche
non l’abbiamo ritrovato, neanche in Germania…”
DDay.it: Questa è una buona notizia per la nostra
agenda digitale…
Macchia: “Dirò di più: per questo servizio noi abbiamo fatto i complimenti alla Motorizzazione. All’epoca
ci dissero che con questo servizio, che è erogato a
molte società, come gli autonoleggi tradizionali, la
Motorizzazione realizza dei ricavi che ne fanno l’unico
o uno dei pochi enti pubblici in attivo”.
DDay.it: Quindi, con un servizio digitale non solo si
aumenta il servizio al cittadino, che può iscriversi al
car sharing da casa sua, ma aumenta anche la sostenibilità della macchina pubblica…
Macchia: “Assolutamente sì. Noi abbiamo anche chiesto di avere questo servizio a livello europeo, per
controllare anche i dati delle patenti estere, in modo
tale da estendere a questi clienti il nostro servizio. Gli
italiani hanno dimostrato ancora una volta di essere
più fantasiosi e flessibili; e di cercare delle soluzioni
che andassero oltre il concetto del ‘si è sempre fatto
così’”.
DDay.it: E la questione dei neopatentati? È vero che
un neopatentato può iscriversi a Enjoy, salvo poi, in
teoria, guidare senza copertura assicurativa?
Macchia: “Non mi risulta, dato che il collegamento con
il database della Motorizzazione ci permette di avere
il dato della prima emissione della patente. Stiamo
comunque facendo delle verifiche. In ogni caso il fatto
di richiedere la patente da almeno un anno aveva un
tema iniziale di sicurezza, delle persone e delle macchine, oltre che una valenza sul fronte assicurativo.
Stiamo lavorando anche su questo aspetto: credo che
elimineremo a stretto giro anche questo vincolo”.
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
MERCATO Intervista a Liu Tibin, presidente di Changhong, azienda cinese che vuole conquistare il mercato dei TV in Italia
Changhong: “Tra 10 anni saremo come Samsung”
Changhong è presente ora in Italia con un proprio ufficio che cura direttamente la distribuzione sul territorio nazionale
D
di Roberto PEZZALI
opo Haier, Hisense e TCL arriva in Italia anche
Changhong, azienda cinese di elettronica di
consumo con sede a Mianyang. Changhong è
una azienda storica, nasce nel 1958 e oggi genera un
fatturato di $ 15,1 miliardi di dollari (2014), dispone di
12 centri di produzione, 5 centri di R & D, e 35 filiali
in Cina, con prodotti e servizi che arrivano in oltre
100 paesi. Changhong è presente ora in Italia con un
proprio ufficio che cura direttamente la distribuzione
sul territorio nazionale, appoggiato per l’assistenza
post-vendita da una serie di centri sparsi sul territorio. Quali sono le prospettive di crescita e la strategia
l’abbiamo chiesto a Liu Tibin, Presidente e General
Manager di Changhong e a Chaim Ning, Managing
Director per l’Europa.
DDay.it: Mercato italiano: che aspettative avete e
obbiettivi avete? Dove volete arrivare?
Chaim Ning: “Ci siamo posti un obbiettivo a lungo
termine, l’espansione in Europa è parte della nostra
strategia di espansione globale. Potrebbero volerci
dieci anni per diventare come Samsung, ma ci arriveremo, l’obiettivo è quello.”
DDay.it: Il vostro nome, Changhong, è forse quello
che suona più orientale di tutti tra i vari brand di
elettronica di consumo che arrivano dalla Cina, si
pensi ad Haier, Hisense, TCL. Terrete il vostro nome
o sceglierete un altro brand?
Liu Tibin: “Per voi europei la pronuncia è difficile, lo
sappiamo, ma a terremo questo nome perché riflette
il nostro brand. (In Cina si chiama Sichuan Changhong
Electric ndr). Anche Samsung suonava orientale ed
era difficile da pronunciare 20 anni fa, quindi avevano lo stesso problema. Ora le cose son cambiate. Abbiamo anche un altro brand , Chiq, che useremo per
alcune categorie di prodotti “smart”.”
DDay.it: Prezzi bassi e supermercati o prodotti Premium in superfici specializzate che possono competere con Samsung, LG o Sony?
Ning: “Changhong è uno dei marchi più grandi in
Cina, se siete stati all’Ifa avete visto la nostra line up.
L’obiettivo è competere sulla gamma medio alta, anche con prodotti Premium.”
DDay.it: Abbiamo visto che avete anche l’OLED curvo Ultra HD...
Ning: “Si, abbiamo l’OLED, abbiamo i TV curvi, abbiamo TV con le stesse funzioni di Samsung e LG
e si vedono con la stessa qualità. Abbiamo anche
funzioni speciali come “TV Anywhere”, che abbiamo
sviluppato appositamente per l’Europa. Agli europei
piace lo sport, e con TV Anywhere puoi guardare in
cucina o a letto la TV con il tablet o lo smartphone
sfruttando il Wi-fF.”
DDay.it: Avete tanti centri di sviluppo, ma centri design? Non pensate sia utile averne uno in Italia?
Ning: “Tutto il design viene fatto in Cina, gli uffici
marketing locali danno indicazioni su quali sono tendenze e preferenze dei vari mercati.”
DDay.it: Avete tre categorie di prodotti, TV, smartphone e elettrodomestici. Gli smartphone sono il

Uno dei TV OLED Changhong recentemente esposto alle principali fiere di settore.
torna al sommario
Liu Tibin, Presidente
e General Manager
di Changhong.
mercato più duro,
la TV è medio difficile, gli elettrodomestici forse sono
quelli più semplici.
Su cosa punterete?
Ning: “Il TV è il nostro prodotto di punta, abbiamo
usato il TV per sviluppare canale e marchio in Europa. Adesso arriveranno anche tutti gli altri prodotti.
Siamo davvero grandi, sapete? Siamo la più grande
azienda di compressori per elettrodomestici in tutto il
mondo, forniamo i compressori per frigoriferi a Bosch,
Indesit e a tante altre aziende.”
DDay.it: Tutti gli altri brand cinesi si sono alleati o
hanno comprato brand occidentali noti, TPV ha Philips, Hisense ha Loewe, TCL ha Thomson. Ci sono
sul mercato tanti brand liberi, avete obiettivi di acquisizione?
Ning: “Lo abbiamo detto, terremo e vinceremo con
Changhong. E in Europa puntiamo a vendere per il
prossimo anno 1.5 milioni di pezzi, aiutati anche da
una grande campagna pubblicitaria.
Uno dei modelli LED lanciati negli ultimi anni.
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Finita la “telenovela” di Rai4 che approda a una posizione interessante
L’accordo non prevede corrispettivi da parte di Sky e ciò potrebbere sembrare “strano”
Premium Online
alla prova
Champions
di Gianfranco GIARDINA
ufficiale: il numero 104 di Sky va a
RAI 4. Così il quarto (e finora decisamente in secondo piano) canale
dell’emittente pubblica accede a una
posizione sul telecomando decisamente interessante, almeno in relazione ai
quasi cinque milioni di famiglie abbonate al gestore satellitare. La conferma
arriva dopo giorni di dibattito pubblico
sull’opportunità o meno da parte del
canale pubblico di aderire all’offerta di
Sky a occupare uno degli spazi lasciati liberi da Mediaset che ha deciso di
interrompere le trasmissioni in chiaro
via satellite. Il problema starebbe nel
fatto che la RAI, secondo quanto indicato dall’Agcom, dovrebbe richiedere
un equo corrispettivo per la ritrasmissione dei propri canali da parte di Sky
ma l’unico modo per raggiungere un
accodo è stato con uno scambio “alla
pari”: RAI dà Rai4 a Sky e Sky cede uno
dei posti più ambiti sul telecomando
dello SkyBox. RAI, in questo caso, sostiene che il corrispettivo starebbe proprio nella possibilità, con questa nuova
esposizione, di aumentare sensibilmente la raccolta pubblicitaria. Mediaset,
da parte sua, replica che la discesa dei
propri canali dalla numerazione Sky non
ha apportato alcuna erosione ai suoi
ascolti (abbastanza vero salvo per qualche discesa nella fascia pomeridiana).
Mediaset anzi conferma di aver messo
a segno dei “più” rispetto ai periodi precedenti. Inoltre, il comunicato Mediaset
fa notare come Sky Uno e Fox, canali
che hanno preso il posto di Canale 5
e Italia 1, non abbiano avuto altro che
ascolti “zerovirgola”, come li chiama
l’emittente di Cologno Monzese: “Un
tasto non fa un canale”, conclude Mediaset nella sua nota di cui riportiamo
uno stralcio: “Gli ascolti ottenuti negli
ultimi due giorni dai nuovi canali ai tasti
105 e 106 non sono minimamente paragonabili a quelli delle reti trasmesse in
precedenza: ieri il canale al tasto 105
(presente anche alla posizione 108) ha
registrato complessivamente lo 0,07%
in prima serata e lo 0,12% nelle 24 ore, e
la rete al tasto 106 ha ottenuto lo 0,18%
in prima serata e lo 0,22% nelle 24 ore.
Come è evidente dai risultati “zerovirgola”, un tasto non fa un canale.” Ora
sta a RAI e al suo nuovo direttore generale Campo dall’Orto dimostrare che
di Roberto PEZZALI
Premium Online, l’offerta Mediaset
Premium destinata al pubblico che
vuole fruire dei contenuti tramite
Internet senza decoder e antenna,
è partita. Infinity è incluso in tutti i
pacchetti, quindi anche in quello
base Serie TV che parte da 9 euro.
Il pacchetto Cinema costa 10 euro
al mese e comprende Infinity, quindi tutti i contenuti più freschi in alta
definizione. Il pacchetto all-inclusive che include Serie TV, Cinema e
Calcio (la Champions) è venduto
a 40 euro. E a proposito di Champions, il grande debutto di Mediaset non è andato male: la macchina
tecnica ha funzionato alla perfezione, non solo come affidabilità
ma anche come qualità. Abbiamo
guardato la partita in streaming per
vedere se ci fossero gli stessi problemi avuti da SkyOnline alla prima di campionato e effettivamente
Premium non ha tradito le promesse di chi ha pagato il pacchetto
completo, tradizionale o Online.
Nessuna interruzione, un ritardo
tutto sommato ridotto rispetto alla
diretta (è streaming, non si può
far nulla) e una qualità di visione
buona anche su un grande schermo. L’adaptive streaming funziona
bene, qualche calo in determinati
istanti di picco ma per il resto tanta definizione, paragonabile per
appagamento a quella del canale
HD tradizionale. Meno brillanti gli
ascolti: Mediaset parla di “record”,
con 1.019.000 spettatori globali per
le partite di Champions trasmesse
su Premium e 800.800 spettatori
per Manchester City - Juventus,
eppure nel 2013, quando la Champions non era esclusiva Premium,
Copenaghen - Juventus face registrare 837.590 spettatori, mentre
lo scorso anno Sky con Juventus
- Malmoe toccò i 1.013.584.
È ufficiale: Rai4 sul canale 104 dello SkyBox

È
torna al sommario
la scelta è stata vincente e che il palinsesto di Rai4 può essere migliorato.
Se mancheranno interventi importanti
sul palinsesto, gli auspicati ascolti non
ci saranno e la conseguente extra-raccolta pubblicitaria neanche. Il temerario
direttore generale RAI su questa scom-
messa si gioca la poltrona: la Corte dei
Conti, in mancanza di cospicui introiti
pubblicitari, non potrà che interpretare
questa mossa come un regalo pubblico
a Sky; e a quel punto pioverebbero interrogazioni parlamentari e mozioni di
sfiducia.
ENTERTAINMENT Un modo per vedere tutto il calcio italiano
Su SkyOnline c’è il ticket “Calcio”
Vedi tutto a 19 €, anche SkySport24
I
di Roberto PEZZALI
l ticket Squadra del cuore, 99 euro all’anno per seguire le partite di Juventus,
Milan, Inter, Roma, Napoli, Lazio, Fiorentina e Genoa, ha avuto successo, e Sky
prova il raddoppio. Di fianco ai due ticket Cinema e Intrattenimento, disponibili
a 9,99 euro al mese senza vincoli, arriva la nuova offerta Calcio a 19,99 euro. Il
prezzo è ovviamente legato al costo più alto dei diritti, ma va detto che questa
offerta permette di vedere, Champions esclusa, il resto del calcio italiano. Il ticket
darà, infatti, accesso a tutte le partite della Serie A e della Serie B, che Sky ha
in esclusiva, oltre a quelle di Europa League di Lazio, Napoli e Fiorentina. Chi
acquista il pacchetto avrà accesso anche ai due canali SkyTG 24 e SkySport 24,
opzione questa che dà valore a un’offerta che oggi è unica. È la prima volta infatti
che un servizio OTT propone un ticket mensile senza vincoli legato allo sport: Sky
aveva finora venduto i singoli eventi o il season pass. Ricordiamo che SkyOnline
non è fruibile solo su tablet, console, PC e smartphone: usando lo SkyOnline TV
Box infatti (clicca qui per leggere la prova) si possono guardare i canali come se
fosse un normale TV, ovviamente in streaming e senza parabola o antenna. Purtroppo lo SkyOnline
TV Box non è associato
all’offerta
Calcio: si può acquistare a 49 euro con
dentro tre mesi di
cinema o intrattenimento oppure a 99
euro insieme all’offerta “Squadra del
Cuore”.
L’offerta Premium
Online parte da 9 €
per le serie TV
e si arriva ai 40
del pacchetto completo
che include anche
la Champions
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT La partita è stata trasmessa su MTV, il canale 8 del digitale terrestre
Sky cripta Fiorentina-Basilea su tivùsat
Una scelta motivata dalla volontà di spingere il nuovo pacchetto “Calcio” di Sky Online
di Roberto PEZZALI
ivùsat ha recentemente toccato i
2.5 milioni di tessere attive: satellite, HD, tanta qualità e anche
molti canali, tra i quali MTV e Cielo.
Cielo e MTV sono canali Sky, e la pay
TV li usa per trasmettere in chiaro gli
eventi sportivi per i quali detiene i diritti, come l’Europa League e la Moto
GP. Sul canale 8 del digitale terrestre
è stato possibile vedere Fiorentina Basilea senza essere abbonati a Sky:
un bel regalo per i tifosi, anche se
qualcuno di questi si è trovato un’amara sorpresa. Sky, infatti, ha oscurato
la partita su tivùsat lasciandola “free”
solo sul digitale terrestre, e la cosa
potrebbe ripetersi anche con la gara
di MotoGP: chi ha l’antenna tradizionale può seguire Valentino Rossi e soci,
chi invece ha scelto tivùsat vedrà una
schermata nera.
Impossibile non collegare, almeno
mentalmente, questa questione con
la decisione di Mediaset di criptare
sul satellite Canale 5, Italia 1 e Rete
4, anche se tivùsat non è una pay TV,
è gratuita e soprattutto non è solo di
Mediaset. Una scelta quella di Sky che
si presta a svariate interpretazioni, ma
pare, secondo le nostre fonti, si tratti
di una scelta puramente commerciale.
Sky ha infatti lanciato il suo ticket
“Calcio” su Sky Online, 19 euro al
mese per vedere tutto il calcio, Europa
League inclusa, e vuole spingerlo il più
possibile. Non dimentichiamoci però
che molti dei 2.5 milioni di fruitori del
servizio satellitare gratuito sono persone che vivono in zone dove la ricezione del normale digitale terrestre non è
ottimale, e ci immaginiamo che anche
la connettività in quelle zone non sia
qualcosa su cui fare affidamento. Per
loro Sky Online potrebbe non essere
un’alternativa, così come tivùsat non
è stata una scelta libera ma obbligata:
senza non si vede la TV.
Restando in tema di “criptaggi”, ZDF
ci ha confermato che non ha alcuna
intenzione di criptare la trasmissione
delle partite di Champions League trasmesse fino ad oggi in chiaro sul satellite (facendo così infuriare Mediaset):
Juventus-Borussia Mönchengladbach
del prossimo 21 ottobre sarà quindi visibile anche per gli abbonati Sky.
Mediaset intanto ha comunicato i

T
torna al sommario
La NASA lancerà
un canale TV
in Ultra HD
Sarà visibile
anche via web
L’agenzia spaziale
statunitense ha
annunciato la creazione
di un nuovo canale TV
in Ultra High Definition
Le trasmissioni
inizieranno ufficialmente
il 1° novembre
di Paolo CENTOFANTI
dati di ascolto della seconda giornata di Champions League: la sfida all’Olimpico tra Roma e Barcellona del
16 settembre è stata vista in diretta
da 826.000 persone (3,25%), che
sommati a quelli del martedì arriva-
no a 2.400.000 spettatori. Secondo
Mediaset è “la migliore performance
calcistica di Mediaset Premium sia
della stagione in corso sia rispetto ai
turni di Champions League trasmessi
nelle precedenti edizioni.”
ENTERTAINMENT Alta definizione per gli avvenimenti sportivi
Rai Sport 1 è finalmente in HD
Lo troviamo sul canale 557
I
di Roberto FAGGIANO
l giorno tanto atteso è arrivato, il canale RaiSport 1 in alta definizione è tra noi,
sul numero 557 dei decoder che usano la numerazione “ufficiale” LCN. Ora finalmente anche l’utente italiano non abbonato alle pay tv potrà vedere con definizione adeguata i maggiori avvenimenti sportivi per i quali la Rai ha acquistato i
diritti. Come suggerito dalla definizione di Rai Sport 1, i canali pubblici dedicati allo
sport rimangono due e si spera che la ripartizione della programmazione tra Sport 1
e Sport 2 sia tale da non far finire sul canale in sola SD avvenimenti degni di nota.
Inizialmente il piano della Rai prevedeva l’accorpamento dei contenuti sportivi in un
solo canale, ma la redazione si è opposta per non penalizzare gli sport minori e gli
avvenimenti locali. Con la partenza di RaiSport 1 HD c’è stata una serie di variazioni
nel collocamento di altri canali Rai. In particolare Rai Sport 1 HD è inserita nel mux 4
accanto a Rai HD, Rai Scuola si è spostata sul mux 3, Rai Storia e Rai 5 passano al mux
2; sarà quindi necessario risintonizzare il televisore per ritrovare i canali di Rai Cultura nelle posizioni
LCN abituali. Ora
attendiamo
con
fiducia che vengano accesi in tutta
Italia le frequenze
del mux 5 dove
sono trasmessi in
modo sperimentale i canali Rai 2 HD
e Rai 3 HD.
Dopo aver pubblicato su
YouTube alcuni video in 4K realizzati a bordo della stazione
spaziale internazionale, la NASA
ci ha preso gusto e ha deciso
di aprire un canale televisivo
apposito in Ultra HD. L’agenzia
spaziale ha annunciato infatti
di aver stretto un accordo con il
provider Harmonic per la realizzazione di un canale televisivo
completamente in 4K da distribuire tramite tutte le piattaforme televisive, Internet incluso.
Harmonic, secondo il comunicato, sta stringendo accordi
con operatori di TV via cavo e
satellitare, ma il nuovo canale
di NASA TV sarà comunque ricevibile in streaming, con una
banda necessaria di 13 Mbit/s.
Per quanto riguarda il discorso
di quali saranno i contenuti, la
NASA parla di filmati realizzati
in 4K sulla stazione spaziale e
in altre missioni dell’agenzia,
ma ci saranno anche video rimasterizzati in Ultra HD presenti
nell’archivio storico delle vecchie missioni. L’appuntamento è
fissato per il 1 novembre, giorno
in cui debutterà il nuovo canale,
anche su web.
Video sulla stazione spaziale
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n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Il malcostume dell’errata formattazione video non è un problema solo della TV
Immagini con le bande nere tutte attorno
Ci cadono anche Inside Out e Alitalia
Purtroppo ancora casi di immagini mal formattate e totalmente riquadrate da bande nere
Lo scempio passa al cinema (con il corto che precede Inside Out) e sugli aerei Alitalia
C
di Gianfranco GIARDINA
ontinua senza sosta il malcostume dell’errata formattazione
video, e non solo in TV. Diverse
volte nei mesi scorsi avevamo riportato, con appositi articoli o via Twitter e
Facebook, di messa in onda da parte
delle emittenti (qui un caso di RAI)
in “windowbox” (o, termine da noi
preferito, “blackbox”): praticamente
si tratta di immagini dotate sia delle
bande nere sopra e sotto, tipiche della formattazione “letterbox”, che delle
bande nere ai lati tipiche del “pillarbox”. Insomma, due fastidi in una volta
con immagini incorniciate di nero e
una riduzione pesante dello schermo
utile. L’ultima occasione di “godersi”
una bella cornice nera intorno all’immagine è stata la proiezione di Inside
Out in una sala UCI Cinemas. Il nuovo
capolavoro Disney Pixar è in formato
1.85:1 (che quindi lascia fisiologica-

schermo proiettate in nero). Non sappiamo al momento se il problema sia
imputabile a Disney (master unico con
i due contenuti e il corto formattato nel
canvas del film) o alla catena UCI Cinemas (mancato automatismo di cambio
formato al passaggio tra il corto e il
film): stiamo attendendo alcune conferme in questo senso da Disney, anche se le informazioni che
arrivano da diversi spettatori sembrano confermare il problema sul master
predisposto dalla major,
scagionando la singola
sala cinematografica. La
sostanza è che il pubblico
si è dovuto sorbire al cinema una proiezione, almeno per quello che riguarda
il corto, su una superficie
di schermo ridotta di circa
il 50% rispetto a quella toUn esempio di immagine trasmessa su uno scher- tale. Pagando però prezzo
intero.
mo di un volo Alitalia: come si può vedere l’imMa che questa pratica sia
magine del film non riempie affatto lo schermo,
diventata oramai qualgià di per sé non generoso.
cosa che molti operatori
mente spazio ai lati sul classico scher- ritengono accettabile è dimostrato
mo cinematografico 2.35:1) ed è stato anche da quanto accade sugli aerei
proiettato correttamente; ma Lava, il intercontinentali Alitalia, quelli con il
corto che lo precede e che è invece in sistema di intrattenimento di bordo,
Cinemascope, è stato appunto proiet- tanto per intenderci. Molti film sul sertato nello stesso “canvas” del film e ver di bordo (e per certo tutti quelli
quindi con le bande nere sopra e sot- italiani) sono caricati con un formato
to, oltre che con quelle di fianco, per su canvas 4:3, malgrado lo schermo
un effetto finale francamente grotte- dei sistemi sia 16:9. Nel caso di Alitasco, come quello nella foto di apertura lia, poi, si aggiungono altri problemi
(necessariamente sovraesposta per all’immagine, come il master chiarafar vedere chiaramente le porzioni di mente interlacciato (chissà perché?) e
torna al sommario
deinterlacciato a campi invertiti: così
su tutti i movimenti si vedono i classici
e molto fastidiosi “spettinamenti”. Per
non parlare poi dei sottotitoli impressi “obbligatoriamente” sull’immagine
malgrado il sistema di intrattenimento
gestisca la sottotitolazione in grafica
in sovraimpressione, attivabile nella
lingua che si preferisce e solo quando serve. Ovviamente i sottotitoli non
sono caricati nel sistema. Confusione
anche nel catalogo, in cui film drammatici vengono catalogati come commedie e viceversa. Insomma, verrebbe
voglia di gridare allo scandalo per il
brutto trattamento al quale sono sottoposti gli spettatori, in questi casi anche
“paganti”. Ma resta il forte sospetto
che si tratti semplicemente di impreparazione tecnica e professionale di
chi confeziona e gestisce i master. Di
certo il fatto di far vedere su schermi
widescreen contenuti widescreen riquadrati è una pratica odiosa che assolutamente deve finire: e se questo
articolo può dare una mano in questo
senso, ne siamo solo contenti.
Un po’ di confusione nella catalogazione dei film sui server di bordo
degli aerei Alitalia.
Mediaset
sorride: chiusi
sei siti illegali
e abbonamenti
in crescita
Mediaset ha
ottenuto dall’Agcom
l’oscuramento di sei
siti che trasmettevano
partite in streaming
della Serie A. Intanto,
secondo i primi dati, ci
sarebbero già 200.000
abbonati in più da luglio
di Roberto PEZZALI
Mediaset sorride: AgCom ha accolto la sua richiesta e ha ordinato
la disabilitazione dell’accesso, tramite DNS, a sei siti che diffondevano illecitamente in diretta le partite
del Campionato di calcio di Serie
A 2015-2016. I sei siti sono Freecalcio.eu, Calcion.in, Liveflash.tv,
Liveflashplayer.net, Webtivi.info,
Miplayer.net e Supermariohdsports.wix. Mediaset si dice “soddisfatta per le nuove, tempestive
misure AgCom che confermano la
necessità di tutela contro attività
di pura pirateria che nulla hanno
a che fare con la libera manifestazione del pensiero”, ma è bene
ricordare che siamo di fronte a pesci molto piccoli e che comunque
sarebbe opportuno guardare non
solo ai siti ma anche a chi promuove siti e certe soluzioni per guardare illegalmente film e partite.
Ci riferiamo, ad esempio, a riviste
che, per vendere qualche copia,
non si preoccupano troppo di
spiegare, minuziosamente, come
fanno i pirati a vedere una partita
senza pagare. In ogni caso Mediaset può dirsi soddisfatta anche per
gli andamenti degli abbonamenti:
nonostante la piaga pirateria sembra che da luglio Premium abbia
200.000 abbonati in più, 40.000
dei quali arrivati recentemente per
il debutto Champions. Il target era
di 500.000 abbonati in tre anni, 2
milioni in totale a fine anno. Siamo
a 100.000 abbonati dal traguardo,
e a breve partirà anche l’offerta
congiunta con Telecom per Premium Online.
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Sky ha presentato il nuovo palinsesto che vede tanti graditi ritorni ma anche diverse serie TV inedite
Si apre la stagione Sky, serie TV e show in esclusiva
I programmi con cui Sky vuole conquistare la prima e la seconda serata della stagione televisiva autunno-inverno 2016
di Michele LEPORI
i siamo: le vacanze sono finite, le giornate iniziano
ad accorciarsi e all’uscita in centro con gli amici
inizia a farsi spazio la serata relax davanti alla TV:
Sky lo sa bene, e per la stagione autunnale ha messo
insieme un esercito di nomi davvero importanti. I fronti
sono tre: il primo è quello dei graditi ritorni per le serie
TV di maggior successo che hanno ricevuto luce verde
dalle major televisive americane per una nuova stagione; il secondo è rappresentato dalle grandi produzioni
esclusive e il terzo sono le grandi star del mondo talent
che negli anni si sono dimostrati l’arma in più per sbaragliare la concorrenza.
C
Sky Uno è la casa delle dirette
Si punta su X Factor e Masterchef

Il canale di intrattenimento Sky Uno continua la sua
avventura fatta di produzioni originali e celebri format
in onda no stop per 10 mesi: il primo nome è quello di
X Factor, il talent show dei record negli anni scorsi e
che anche in questo 2015 parte col botto mettendo a
segno tre centri alla voce miglior esordio (1.525.000
spettatori medi), miglior permanenza (78%) e raddoppio
del traffico sui social rispetto all’esordio 2014. Numeri
generati dal format, chiaro, ma anche dall’impatto sul
pubblico della nuova formazione in cabina di regia,
rinnovata al 50% rispetto allo scorso anno: Mika, Elio,
Fedez e Skin supporteranno la conduzione di Alessandro Cattelan nella ricerca della nuova popstar italiana,
che quest’anno a sorpresa potrebbe appartenere alle
neonata categoria delle band musicali. Alla prima serata si affiancherà la conduzione di una striscia giornaliera
condotta da Aurora Ramazzotti, X Factor Daily, che da
ottobre farà il punto della situazione sul procedere delle
selezioni. Il talento davanti a un microfono si affiancherà, da dicembre, a quello davanti ai fornelli: il ritorno col
botto è ovviamente quello di Masterchef, l’unico vero
cooking show della TV che vedrà novità in giuria. Ad
affiancare il trio Cracco-Barbieri-Bastianich arriva il due
stelle Michelin Antonino Cannavacciuolo che offrirà
la sua esperienza ai giurati e rappresenterà una sfida
in più per i temerari avventurieri dell’impiattamento.
Nuove sfide anche per i Junior Masterchef, che combatteranno in Darsena nella fase iniziale da 40 a 25
partecipanti salvo poi spostarsi in studio per le selezioni
finali: a giudicarne l’operato, una nuova giuria composta da Bruno Barbieri, Alessandro Borghese e Gennaro
Esposito. Spazio, infine, al talento inteso nel senso più
largo possibile con il ritorno di Italia’s Got Talent e l’attesissima prima stagione italiana di Top Gear. Il format
di Simone Cowell ritornerà in primavera con la giuria di
stelle delle prima stagione rinnovata in blocco: Claudio
Bisio, Frank Matano, Luciana Littizzetto e Nina Zilli torneranno a dirigere casting da tutta Italia supportata, in
day time, dalla striscia condotto da Lucilla Agosti e Rocco Tanica. La vera attesa è però tutta per Top Gear Italia
che vedrà impegnati il vicedirettore di Sky Sport nonché direttore della redazione motori Guido Meda e Joe
torna al sommario
Bastianich, che si dovrà dividere fra grembiule e tuta in
pelle. Con loro un terzo conduttore, ancora segreto: il
format creato dalla BBC ed esportato in 230 Paesi con
quasi 350.000.000 di spettatori sta per avere finalmente un’edizione tricolore.
Grandi serie, grandi storie, grandi star
Tutto su Sky Atlantic
Serie TV estere e produzioni Sky sono il cuore dell’offerta di entertainment “puro” di Sky: c’è spazio per
grandi ritorni come le attesissime seconde stagioni di
The Lefotvers e The Knick a marchio HBO con firme di
David Lindelof e Steven Soderbergh, così come l’altrettanto attesissima seconda stagione di Fargo ma con un
occhio di riguardo anche per tante nuove storie da tutto
il mondo. La prima che ci sentiamo di segnalare è la
bellissima (televisivamente parlando) Deutschland 83,
serie TV tedesca trasmessa sul canale USA Sundance
TV e che è stata la vera perla narrativa di un’estate televisiva più sottotono del solito. La storia è quella vera
della crisi diplomatica dei missili americani “Pershing
II”, nel tesissimo quadro politico della Germania Ovest
dell’83, un evento che la grande Storia non conosce
come dovrebbe ma che ha portato il mondo veramente
a un passo dalla guerra atomica: presentata con successo all’ultimo Festival di Berlino, la spystory tedesca
ha dalla sua anche una colonna sonora imperdibile per
gli amanti dei mitici anni ’80. Non mancano le produzioni in partnership con le emittenti internazionali, ed
è il caso di The Last Panthers e The Young Pope. La
prima, in partenza il 13 novembre, è una collaborazione
fra Sky Atlantic UK e Canal+ che narra le vicende della
banda di ladri “Pink Panthers” che a inizio ‘900 non si
facevano scrupoli ad orchestrare colpi degni del miglior
Lupin in tutte le più importanti capitali europee, mentre
la seconda arriverà sugli schermi nell’autunno del 2016
e vede coinvolta Home Box Office alla sceneggiatura
di una storia sull’elezione di un Papa, l’immaginario Pio
XIII al secolo Lenny Belardo interpretato da Jude Law.
Sempre in cantiere ci sono le serie TV tratte dal nuovo
romanzo di Saviano “Zero, Zero, Zero” e “Diabolik”, titolo che si esplica da solo come omaggio al personaggio creato dalle sorelle Giussani. Attese su Sky Atlantic
anche la quarta stagione di House of Cards (che non
andrà quindi su Netflix) e l’ultima stagione di Game of
Thrones. Chiude il panorama sulle serie-evento in arrivo, Vinyl, il progetto a 4 mani scritto da Mick jagger e
diretto da Martin Scorsese sul rock’n’roll anni ’70 e tutto
il mondo di “sex&drugs” che vi girava intorno nella New
York dell’epoca: imperdibile. È invece già arrivato il pilot
di Texas Rising, progetto stellare di Sky Atlantic con Ray
Liotta e Bill Paxton che riporta il grande western della
tradizione cinematografica a stelle e strisce anche sul
piccolo schermo, narrando le vicissitudini della guerra
d’indipendenza del Texas. Sarà solo l’apripista per una
stagione che vedrà tanti nomi nuovi ma anche i ritorni di
serie TV ormai cult come The Fall, Mozart in the Jungle,
Masters of Sex e Veep.
70 serie TV inedite e 1000 ore
di prime visioni per il canale FOX
I canali FOX hanno qualche grande ritorno e un paio di
nomi nuovi da lanciare in prima e seconda serata. Primo
in assoluto il sodalizio FOX- Kirkman, che oltre a riportare gli zombie di The Walking Dead in una nuova stagione che si spera possa riavvicinarsi ai fasti del fumetto,
apre le porte all’altro progetto del visionario fumettista
americano che porta la paura alla sua connotazione più
ancestrale con Outcast. Spiriti, demoni, ed esorcismi
che andranno a completare l’overdose di paura della
seconda serata di FOX assieme a The Whispers, altro
progetto sul tema del paranormale che Steven Spielberg ha portato sugli schermi di tutto il mondo. L’esercito dei sequel vede invece nomi davvero importanti quali Homeland e American Horror Story: Hotel già sulla
bocca di tutti per il casting di Lady Gaga nel ruolo di una
vampira bisex. Stanchi dell’overdose seriale? Non serve
cambiare canale perché FOX è pronta a puntare sugli
appassionati di documentari realizzati grazie alle partnership col National Geographic Channel: Breakthrough ci porterà avanti nel futuro con le invenzioni che
stanno per arrivare, The Story of God sarà un viaggio in
bilico fra fede e scienza sulla voce di Morgan Freeman
e He Named Me Malala ci farà conoscere Malala Yousafzai, la giovane donna Nobel per la pace che i talebani provarono ad assassinare mentre tornava da scuola.
Tutti i progetti sono prodotti da premi Oscar quali Ron
Howard, Morgan Freeman e Davis Guggenheim.
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
TV E VIDEO Negli Stati Uniti Amazon ha annunciato la nuova Fire TV, costa meno di 100 dollari
Amazon risponde ad Apple con Fire TV 4K
Basata su sistema operativo Fire OS 5, integrerà Alexa: l’assistente vocale di Amazon Echo
di Paolo CENTOFANTI
Sony Pictures Home
Entertainment ha scelto
il sistema Dolby Vision
per offrire contenuti
video in 4K e HDR
I primi titoli verranno
annunciati durante
i prossimi mesi
A
mazon ha annunciato per gli
Stati Uniti una nuova versione del
set top box Fire TV, che sembra
pensato apposta per rispondere alla
nuova Apple TV, appena presentata. La
novità più grande è che la nuova Fire
TV supporta la riproduzione di contenuti in streaming in Ultra HD. Al lancio il
set top box sarà in grado di riprodurre
i contenuti disponibili in 4K sul servizio
di streaming di Amazon, ma anche tramite l’app di Netflix. tanti i servizi disponibili per gli utenti statunitensi: Netflix,
Amazon Video, HBO NOW, Hulu, WatchESPN, SHOWTIME ANYTIME, Sling
TV, STARZ PLAY, ENCORE PLAY, NBC
News, Prime Music, Spotify, Pandora,
Vevo, Plex, A&E, YouTube.com. Come si
può vedere, la stragrande maggioranza
non sono disponibili in Europa, motivo
per cui il prodotto non arriverà in Italia
a breve (anche se ci piacerebbe venire
TV E VIDEO
Tivùsat
2,5 milioni
di tessere
attivate

La piattaforma Tivùsat sta godendo
di un aumento di richieste di attivazioni per la sua smartcard, domanda
che in realtà è andata crescendo per
tutto il 2015, complice la diffusione
di sempre più TV con sintonizzatore
satellitare integrato degli ultimi
anni. E così, Tivùsat ha annunciato
il raggiungimento di quota 2 milioni
e mezzo di tessere attivate dal
debutto del 2009. Tivùsat è nata
come piattaforma satellitare per
offrire l’offerta del digitale terrestre
italiano, là dove il segnale broadcast
non arriva. Negli anni, il bouquet
satellitare si è allargato, offrendo in
esclusiva i tre canali principali RAI in
alta definizione, BBC World, Bloomberg, EuroNews, Arte HD, Supertennis HD e altri ancora. Ricordiamo
che Tivùsat trasmette su satellite
Eutelsat Hot Bird 13° e per ricevere
i canali occorre l’apposito modulo
CAM (con smartcard annessa) che
ha un costo intorno ai 99 euro.
torna al sommario
Sony e Dolby
insieme per
portare l’HDR
nelle case
di Paolo CENTOFANTI
smentiti al più presto). Novità però anche per i contenuti in alta definizione,
con il passaggio alla codifica HEVC, più
efficiente rispetto al più comune H.264,
e che permetterà di ottenere una migliore qualità di immagine a parità di
banda consumata. La nuova Fire TV,
anch’essa basata su sistema operativo Fire OS 5, integrerà inoltre Alexa,
l’assistente vocale che ha debuttato
sull’Amazon Echo e che offrirà funzioni
avanzate di ricerca di contenuti e di informazioni via web rispondendo alle richieste in linguaggio naturale. Il set top
box è dotato di Wi-Fi 802.11ac integrato
e di slot per schede microSD per espandere la memoria di 8 GB fino a 128 GB.
E per finire il prezzo: la nuova Fire TV
negli Stati Uniti costerà 99,99 dollari e
sarà disponibile dal 5 ottobre.
TV E VIDEO Disponibile in Giappone, prezzo 118.000 euro
È di Sharp il primo TV 8K in vendita
di Paolo CENTOFANTI
harp mostrerà al CEATEC di Tokyo in ottobre il suo primo modello di TV con
pannello 8K che sarà effettivamente possibile acquistare, facendone di fatto il primo TV 8K al mondo. Denominato LV-85001, il TV non è un prodotto
consumer vero e proprio, quanto più una soluzione per applicazioni commerciali
o business, anche perché a quanto pare sarà disponibile solo su ordinazione. Non
è la prima volta che Sharp mostra uno schermo con risoluzione 8K, ma questo
85 pollici è quanto più vicino a un “normale” TV si sia visto fino ad ora. Il TV supporta l’HDR, lo spazio colore BT.2020 con segnali a 12 bit, con una risoluzione massima
di 7680x4320 pixel a 120 Hz. Il pannello è di tipo LCD IGZO con retroilluminazione
a LED e Sharp dichiara una copertura del 78% dello spazio colore BT.2020 e comunque superiore al DCI-P3. Per poter visualizzare segnali 8K occorrerà utilizzare
tutti e quattro gli ingressi HDMI 2.0 contemporaneamente. Potrete ordinare il vostro
LV-85001 a partire dal 30 ottobre, sempre che abbiate 16 milioni di yen da investire,
pari a circa 118000 euro, e una parete in gradi di reggere gli oltre 100 kg di peso.
S
In attesa che la UHD Alliance finalizzi le specifiche e l’Ultra HD
Blu-ray diventi effettivamente
disponibile, cominciano ad arrivare notizie anche da parte di
chi i contenuti poi dovrà concretamente produrli e distribuirli.
Dopo Fox, che ha annunciato
che tutte le nuove uscite saranno in Ultra HD e HDR, è arrivata la notizia che Sony Pictures
Home Entertainment ha siglato
un accordo con Dolby, per masterizzare le sue produzioni in
Ultra HD in HDR in Dolby Vision.
Il comunicato al momento non
è molto ricco di dettagli: non ci
sono annunci di titoli (che verranno rivelati nei prossimi mesi),
né su quali piattaforme saranno
disponibili i contenuti in Dolby
Vision. Sony e Dolby parlano
semplicemente di supporti fisici
di prossima generazione e piattaforme di distribuzione digitale,
per cui è lecito pensare che Dolby Vision sarà il formato di HDR
scelto oltre che per i futuri dischi
Ultra HD Blu-ray, anche per servizi come Netflix e Amazon, il che
lascia supporre che Dolby Vision
rientrerà alla fine anche nelle
specifiche della UHD Alliance.
Sicuramente ne sapremo di più
al CES di Las Vegas.
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
MOBILE Apple ha introdotto in iOS 9 un’estensione per Safari Mobile che può essere usata per bloccare contenuti, tra cui la pubblicità
iOS 9 blocca le pubblicità? Non è così, però...
Con “Content Blocker” non si riesce a fare un adBlocker, ma è comunque potente e può seriamente danneggiare Google
N
di Roberto PEZZALI
ella nostra recensione di iOS 9 non abbiamo
citato una delle funzionalità più discusse e più
pubblicizzate di iOS 9, il “Content Blocker”, quello che molti inavvertitamente (e erroneamente) hanno
chiamato AdBlock. Lo abbiamo fatto perché l’argomento è delicato, si presta a interpretazioni sbagliate e non
è propriamente una funzionalità di iOS 9, ma solo una
possibilità che Apple ha aggiunto in Safari per iOS 9 e
non vale per gli altri browser che un utente installa.
Quello che dev’essere subito chiaro è che Apple con
iOS 9 non blocca le pubblicità, ma ha solamente integrato in Safari un filtro che, volendo, può essere utilizzato per bloccare le pubblicità.
Non solo: “Content Blocker” è molto più potente, permette di oscurare siti interi, eliminare interi elementi da
una pagina web e impedire che vengano eseguiti determinati script come quelli di tracciamento. Una mossa
che ha due obiettivi: il primo è permettere la creazione
di applicazioni che possano privilegiare la privacy, bloccare determinati siti e rendere più rapido il caricamento
delle pagine web; il secondo, non dichiarato ma intuibile, è mettere qualche bastone tra le ruote a Google,
azienda che fa utili sfruttando la enorme macchina della
pubblicità che ha costruito attorno al web.
La questione è ovviamente delicata e riguarda anche
siti come DDay.it che vivono sulla pubblicità, tuttavia
vedremo come questo “Content Blocker” sia probabilmente poco indicato per programmare un sistema che
blocca le pubblicità in modo efficiente e universale, ma
si presta più ad azioni mirate e localizzate.
Facciamo subito una premessa: questo articolo di approfondimento è un po’ tecnico: potrebbe disorientare
chi non ha una infarinatura informatica, ma purtroppo
per spiegare certe logiche di funzionamento non si può
semplificare troppo. Un ad-blocker come il noto AdBlock Plus è un enorme filtro con un insieme di regole:
funziona analizzando la pagina web mentre viene caricata, eliminando tutti gli elementi contenuti nella sua
“blocklist” e rimpiazzandoli con elementi “vuoti”, per
non creare deformazioni
nel layout della pagina
web o enormi buchi vuoti. Un lavoro enorme: la
backlist per essere efficace contiene infatti oltre
50000 regole, e oltre a
queste viene anche caricato un foglio di stile che
si occupa di correggere il
layout privato degli elementi pubblicitari. Un adblocker come adBlock
Plus, oltre a rallentare il
caricamento di una pagina, la appesantisce e
soprattutto consuma molte più risorse di sistema: chiunque può fare una prova e controllare quanta memoria
richiede un browser con AdBlock inserito e AdBlock
disinserito, verificando che il tool è un vero divora RAM.
Situazione che è destinata anche a peggiorare: più i siti
fanno modifiche per aggirare il blocco più regole dovrà
aggiungere AdBlock, diventando sempre più pesante.
Apple ha approcciato la cosa in modo differente: è possibile realizzare delle estensioni di app che permettono
di stabilire una serie di regole che vengono compilate
in un file e caricate prima che la pagina venga aperta.
Le estensioni sono legate a una applicazione specifica e non sono già integrate nel browser: se si installa
l’applicazione chiamata “Blocca Tutto”, all’interno delle
impostazioni di Safari verrà aggiunto l’interruttore per
attivare le regole definite dall’estensione inclusa nell’app. Attivandolo, l’utente da il permesso a Safari di aggiungere una serie di principi ai quali Safari si deve attenere ancora prima di caricare la pagina, senza impatti
sulle performance e caricando quindi meno contenuto
di quello che solitamente il browser carica.
iIl team che sviluppa AdBlock ha subito chiarito che
il sistema di Apple non si presta per essere utilizzato
da loro: AdBlock ha troppe regole, alcune delle quali
anche troppo complesse per quello che Apple ha
integrato in Safari. Inoltre, cosa di non poco conto, la stessa Apple non permetterà applicazioni
che abusano del sistema: l’obiettivo è migliorare
l’esperienza di navigazione, non peggiorarla.
Per capire meglio come funziona il sistema di Apple, e quindi per capire anche come mai questo sistema può andare a danneggiare soprattutto Google, abbiamo creato una estensione che permette
di bloccare le foto su DDay.it. Apple ha realizzato il
sistema di content blocking in modo decisamente
semplice, permettendo a chiunque senza la minima conoscenza tecnica di realizzare il proprio filtro
anche se poi per caricare un app con il filtro integrato serve comunque l’account “Developer”.
Come abbiamo scritto prima il “blocker” non è una
applicazione, ma una estensione che viaggia con
una applicazione: ogni singolo blocker si trasfor-
ma in un interruttore
nelle impostazioni
di Safari, interruttore che dev’essere
l’utente ad attivare
manualmente.
Creare un Content
Blocker in Xcode,
l’ambiente di sviluppo di Apple per
iOS e OSX, è relativamente semplice:
basta creare una
nuova app e aggiungere “Content
Blocker Estension”
come target per
l’applicazione.
Xcode crea autoDDay.it senza immagini.
maticamente i file
necessari, tra i quali
anche un blockerList.json che è l’unico file realmente da modificare se
si vuole fare un filtro semplice. Questo file contiene le
istruzioni per Safari, e questo è il nostro esempio per
togliere tutte le foto da DDay.it:
[
{
“action”: {
“type”: “css-display-none”,
“selector”: “img”
},
“trigger”: {
“url-filter”: “.dday.it”
}
}
]
Siete di fronte ad un file .json, tipo di file molto usato in
ambito informatico: senza entrare nel dettaglio, si può
vedere che questo file definisce il nostro filtro utilizzando azioni e “trigger”. Il trigger è l’elemento che sca-

segue a pagina 16 
torna al sommario
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
APP WORLD Kempf, papà della popolare app di riproduzione video, annuncia che anche VLC scenderà nell’arena di tvOS
Apple TV a tutto video: dopo Infuse e Plex, arriva VLC
È solo l’ultimo nome noto ad aggiungersi, dopo quelli di Infuse Pro e Plex. L’ecosistema promette bene: smart TV a rischio?
di Emanuele VILLA
LC annuncia il supporto per tvOS,
il nuovo sistema operativo che
equipaggerà le versioni di Apple
TV in arrivo ad ottobre. La famosa app è
però solo l’ultima, in ordine cronologico,
a salire sul carro di Apple TV poiché già
durante il keynote e nelle ore immediatamente successive, Plex e Infuse Pro
annunciavano la presenza sull’app store
V
televisivo. Per chi non lo sapesse, VLC
è una delle più famose app per la riproduzione di video in quasi ogni formato, e
supporta anche lo stream da e verso moltissimi dispositivi quali iPhone, smartphone Android, Fire TV ed Android TV: in un
messaggio molto stringato il lead developer Jean-Baptiste Kempf scrive che l’app
è ancora nei primissimi step di creazione
ma “… finalmente abbiamo un codice per
lavorare su VLCKit per tvOS!”.
Interessante notare, al di là dell’annuncio in sé di VLC, che molti grandi nomi
dell’intrattenimento smart per tablet e
smartphone abbiano abbracciato praticamente subito e il nuovissimo tvOS
lasciando indietro semmai le varie piattaforme Smart TV che “dall’altra parte dello
schermo” sempre meno utenti tendono a
MOBILE
iOS 9 blocca le pubblicità?
segue Da pagina 15 

tena il filtro: in questo caso si attiva solo su DDay.it, se
avessimo messo un “*” il nostro filtro sarebbe stato applicato ad ogni sito. Apple permette un controllo granulare sull’elemento che scatena un filtro: può essere un
url ma anche uno script, una immagine o una font, sta
al programmatore scegliere, e in questo caso abbiamo
scelto di filtrare per “url” web. Quando Safari prova a
carica una pagina, se l’indirizzo o un elemento sono
tra quelli che attivano il “trigger”, allora viene eseguita
una specifica azione. iOS al momento ne permette tre:
block, block-cookies o css-display-none. Block non ha
bisogno di molte spiegazioni: il sito o l’elemento che
ha attivato il trigger non viene caricato, Safari ci dice
“pagina inesistente”.
[
{
“action”: {
“type”: “block”
},
“trigger”: {
“url-filter”: “*sex*”
}
}
]
Questo filtro, ad esempio, blocca tutti i siti che hanno,
all’interno del dominio, la parola “sex”.
Se “block” blocca, “block-cookies” impedisce di scrivere cookies (elementi scritti nel browser che permettono di tracciare la nostra navigazione) e “css-displaynone” nasconde un elemento della pagina. Qui, per
sapere cosa nascondere, bisogna indicare anche un
“selettore” usando la sintassi CSS. E’ quello che ab-
torna al sommario
considerare come fattore determinante
all’atto dell’acquisto di un TV. La nuova
Apple TV, con tanto di store e di supporto da parte della maggioranza dell’indu-
biamo fatto nel nostro esempio sopra, dove abbiamo
indicato di nascondere tutti gli elementi di tipo “img”.
Abbiamo provato anche a scrivere un filtro per nascondere tutti gli articoli scritti da Roberto Pezzali, ma
purtroppo non è possibile scrivere un selettore così
complesso.
Questo dovrebbe chiarire per quale motivo Content
Blocker non può essere usato per funzionare come
un completo AdBlock: servirebbe riscrivere 50.000 regole, alcune delle quali troppo complesse per essere
gestite con li pochi strumenti che Apple ha messo a
disposizione.
Content Block può essere usato però per bloccare pochi elementi mirati, ed è qui che viene subito in mente
Google: il codice di invocazione presente in ogni sito
che usa la pubblicità di Google Adsense è semplice
e universale:
<script async src=”http://pagead2.googlesyndication.com/pagead/js/adsbygoogle.js”>
</script>
<ins class=”adsbygoogle style=”display:inline-block
;width:300px;height:250pxdata-ad-client=”ca-pubxxxxxxxxxxxxxxxx” data-ad-slot=”6440411535”></
ins>
<script>
(adsbygoogle = window.adsbygoogle || []).push({});
</script>
Un filtro come quello scritto qui sotto bloccherebbe
tutta la pubblicità di Google su ogni sito che non sia
DDay.it, uno scherzo non da poco. E allo stesso modo
si possono togliere script di “analytics” per tracciare
le visite: bastano poche righe di codice per tagliare il
tubo della benzina alla macchina dei soldi di Google.
Una mossa che potrebbe infastidire Mountain View:
difficile che Apple voglia fare uno sgarro così grande
una azienda che è allo stesso modo partner e competitor, quindi è probabile che si trovi una soluzione di
stria, potrebbe restituire al TV la propria
collocazione tradizionale, assumendo un
ruolo accentratore per tutti i servizi e le
funzionalità smart. Staremo a vedere...
qualche tipo. Al momento la situazione è questa, quello che succederà e quanti lo useranno effettivamente
si potrà capire solo nelle prossime settimane.
[
{
“trigger”: {
“url-filter”: “googlesyndication.com\\.js”
“unless-domain”: “.dday.it”
},
“action”: {
“type”: “block”
}
}
]
Alla fine di questa lunga analisi crediamo si sia capito
che quello di Apple in sostanza non è un AdBlocker,
ma un filtro globale che può essere usato per bloccare
siti e bloccare elementi di determinati siti, tra questi la
pubblicità, ma potrebbe benissimo essere una icona
o un link. Non va bene per fare sistemi universali, ma
può essere usato per definire regole precise.
Le varie app che sono già pronte per sfruttare questa
opzione, come 1blocker o blockr, usano regole per le
opzioni più comuni e permettono un buon grado di
personalizzazione, ma non bloccano tutto.
DDay.it, come sito che vive di pubblicità, è ovviamente
contraria all’utilizzo di sistemi di questo tipo, ma siamo
anche consapevoli che esistono siti dove popup sgradevoli sparano musica e video a tutto volume e spesso attivano servizi a pagamento su abbonamento.
Una soluzione c’è: se proprio decidete di usate Safari con un content blocker, dopo aver caricato DDay.
it basta tenere premuto qualche secondo il tasto di
“ricarica” della pagina. Apparirà un menù dove, oltre a
richiedere il sito desktop, si può anche dire a Safari di
caricare quel sito senza Content Blocker, aggiungendo
una eccezione al filtro stesso.
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
MOBILE Tramite una versione non ufficiale di Xcode, un malware si fa strada sull’app store cinese
Un malware nelle app cinesi di iOS e WeChat lo diffonde
Tra le app colpite, anche WeChat: i dispositivi infetti potrebbero essere centinaia di milioni
P
di Paolo CENTOFANTI
er la prima volta un malware riesce
a superare le barriere dell’App Store
per iOS. È successo sull’App Store
cinese, colpendo quasi una cinquantina di
applicazioni, tra cui però anche WeChat,
il servizio di messaggistica molto utilizzato anche al di fuori dei confini cinesi. Ma
come è potuto accadere in primo luogo
che uno degli app store più controllati si
sia ritrovato con un malware a piede libero? L’origine è tutta nel nome del malware
stesso, XcodeGhost: in Cina si è diffusa
infatti, a quanto pare con successo, una
versione non ufficiale di Xcode, la suite
di software di sviluppo necessaria per
programmare applicazioni per l’ambiente iOS; secondo le ricostruzioni, i server
ufficiali di Apple sarebbero troppo lenti in
Cina, motivo per cui molti sviluppatori si
sarebbero affidati a canali P2P per scaricare il software più velocemente, non sapendo di trovarsi tra le mani in realtà una
versione modificata e contenete appunto
il codice malevolo. Le app compilate tramite questa versione di Xcode, denominata Ghost appunto, hanno superato poi
i controlli dell’App Store, finendo così per
essere distribuite complete
del malware.
La vulnerabilità non è di poco
conto: il codice consente infatti di sottrarre informazioni
dallo smartphone di nascosto
dall’utente, ma anche ai malintenzionati di effettuare attacchi
di phishing aprendo finestre in
popup che chiedono le credenziali, dirottare il sistema di link interno
di iOS e di leggere e scrivere i contenuti
della clipboard (la memoria utilizzata per
il copia e incolla) A causa della popolarità
di alcune app, gli infetti potrebbero essere
centinaia di milioni di dispositivi. Apple è
corsa ai ripari è tolto dall’App Store tutte le
app compilate tramite le versioni sospette
di Xcode. WeChat, dal canto suo, sostiene
che la versione infetta della sua app era la
numero 6.2.5, e che la build attualmente
sull’App Store è già stata ripulita e quindi
teoricamente sicura. Resta un po’ la brutta
figura per Apple, che nonostante tutte le
sue contromisure non si è accorta della
presenza del malware tra le app approvate per la pubblicazione. Di seguito la
posizione ufficiale di Apple: sulla vicenda:
“Apple prende la sicurezza molto sul serio e iOS è progettato per essere affidabile e sicuro dal momento in cui accendi
il tuo dispositivo. Offriamo agli sviluppatori gli strumenti più avanzati del settore
per creare grandi applicazioni. Una falsa
versione di uno di questi strumenti è stata rilasciata da fonti non sicure che potrebbe compromettere la sicurezza degli
utenti attraverso applicazioni create con
questo strumento contraffatto. Per proteggere i nostri clienti, abbiamo rimosso
dall’ App Store le applicazioni che sappiamo essere state create con il software
contraffatto e stiamo lavorando ora con
gli sviluppatori per assicurarci che stiano
utilizzando la versione corretta di Xcode
per ricostruire le loro app.”
MOBILE Nome in codice Project V, la lettera indicherebbe la sua funzionalità più appariscente
Lo smartphone Samsung pieghevole arriva a gennaio
Sarebbe in grado di piegarsi su se stesso fino a 180°, come un moderno cellulare “clamshell”
di Emanuele VILLA
er tornare sulla vetta di un mercato competitivo come quello degli
smartphone bisogna innovare.
Sempre e comunque. Lo sa bene Samsung, che dopo aver realizzato il primo
smartphone con display Dual Edge, sarebbe prossima a un passo ancor più
rivoluzionario: lo smartphone con display
P

Project V potrebbe essere questo. Non
suggerisce un’idea di grande solidità
ma è presto per giudicare.
torna al sommario
pieghevole. In realtà di un prodotto
del genere si parla da mesi e pare che
Samsung lo stia testando col nome in
codice di Project Valley o Project V: probabilmente la lettera indica la principale
funzionalità dell’apparecchio, ovvero la
capacità di piegarsi su se stesso come
fosse un cellulare “clamshell” del 2015.
Tutto ciò sarebbe possibile grazie al display OLED pieghevole, che a differenza
di quello LG (il P-OLED usato sui G Flex)
potrebbe addirittura ruotare su se stesso
di 180° per permettere allo smartphone
di occupare meno spazio. Fantascienza?
Difficile, visto che la fonte parla anche
di gennaio 2016 come papabile data di
presentazione (CES?) e di due configurazioni hardware in fase di test, una con
snapdragon 620 e l’altra con Snapdragon 820, che dovrebbe appunto debuttare nei prossimi mesi. In entrambi i casi
troveremo 3 GB di RAM, l’ultima versione
di Android, uno slot microSD e una batteria non removibile.
Chromecast 2
in arrivo insieme
a Chromecast
Audio
Google si prepara
a lanciare la seconda
generazione
di Chromecast: cambia
la forma e soprattutto
arriva anche
la versione solo Audio
per utilizzare Google
Cast Audio con un set
di speaker attivi
o un impianto audio
pre esistente
di Roberto PEZZALI
Sta arrivando una nuova versione
di Chromecast: sarà più potente,
più veloce e più completa. Google
dovrebbe presentare questa nuova chiavetta nel corso dell’evento dedicato ai nuovi dispositivi
Nexus, insieme ad una seconda
dongle destinata ai sistemi audio.
Se Chromecast infatti si collega ad
un TV tramite HDMI, Chromecast
Audio si collegherà ad amplificatori e diffusori tramite il classico
jack analogico. Le novità riguardano soprattutto il wi-fi: Google,
vista anche la particolare forma,
potrebbe aver inserito un modulo
wireless 802.11ac per migliorare la
velocità di rete e il livello di connessione. Grazie poi alla funzione
Fast Play, la chiavetta sarebbe decisamente più rapida ad agganciare e riprodurre lo streaming:
ora servono circa 5 secondi, con
Fast Play il “Cast” dovrebbe essere quasi immediato. Secondo
la indiscrezioni Google ha anche
cambiato la “home”: potrà essere
usata per visualizzare foto e notizie dai social network. Il secondo
modulo che Google ha pronto
è invece dedicato all’audio: si
chiamerà Chromecast Audio e
sarà una piccolo disco con uscita analogica: sfruttando Google
Cast Audio sarà possibile usare
la chiavetta per riprodurre audio
in streaming dalle app compatibili,
e tra queste finalmente dovrebbe
esserci Spotify.
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
MOBILE Due tablet Amazon della famiglia Fire HD, colorati, resistenti e con display da 8’’ e 10.1’’
Grandi e pensati per il video: ecco i Fire HD Amazon
La versione di FireOS, Bellini, è molto diversa dalla precedente, con modifiche e miglioramenti
di Emanuele VILLA
opo la circolazione di rumor sul
possibile lancio di un tablet Amazon molto diverso dal solito e con
un’interfaccia in stile Android “classico”,
ecco giungere il comunicato ufficiale:
non si trattava di un fantomatico nuovo
tablet con sistema operativo Android
standard ma del nuovo Fire HD, che per
l’occasione è stato presentato in due tagli, da 8’’ e da 10,1’’, di fatto superando i
D
modelli più piccoli dello
scorso anno, vincolati a
schermi da 6’’ e 7’’. Molto
colorati e con scocca plastica rinforzata, i nuovi Fire
HD sono i tablet più grandi di Amazon e sono anche più sottili rispetto alle
generazioni precedenti,
con un 7,7 mm di spessore che non è niente male.
In più, sono pensati per
l’impiego multimediale:
entrambi dispongono di display di risoluzione HD con aspect ratio di 16:10, pensata per favorire la visione di materiale
cinematografico rispetto alle controparti
4:3. Ma quello che colpisce di più è la
nuova versione di Fire OS, che Amazon
ha chiamato Bellini, che gira su Lollipop
e che - nonostante sia sempre incentrata
sul contenuto più che sulla caratteristica
tecnica - appare davvero rivoluzionata
rispetto alle precedenti. Amazon parla di
oltre 100 modifiche e miglioramenti, Bellini offre un’interfaccia totalmente diversa, con le app in bella mostra e pagine
dedicate a seconda del tipo di contenuto; l’interfaccia è pensata per mostrare
Il nuovo Fire è il tablet
più economico
di sempre. Ha schermo
LCD IPS da 7 pollici
processore quad core
e costa 59,99 euro
Disponibile
dal 30 settembre
di Paolo CENTOFANTI
con semplicità i contenuti recenti e fornire consigli personalizzati a seconda dei
servizi cui si è iscritti e alle preferenze
d’uso del tablet. A livello hardware occorre segnalare il processore MediaTek
quad-core da 1.5GHz e il doppio speaker
con supporto Dolby Audio, ma è anche
importante segnalare il supporto micro
SD fino a 128 GB per i contenuti extra,
la feature Word Runner per semplificare
la lettura, Amazon Underground, Activity
Center, e la doppia fotocamera. Al momento non abbiamo (ancora) notizie per
il mercato italiano, ma negli USA i prezzi
di listino sono rispettivamente di 149,99
dollari e 229,99 dollari.
MOBILE L’azienda americana Sosche ha presentato una linea di nuovi accessori
Il micro USB double face è realtà: serve un Type C?
La particolarità è il connettore micro USB, che può essere inserito in entrambi i versi
U
di Emanuele VILLA

n’azienda sconosciuta ai più (Scosche) ha avuto un’idea decisamente brillante: ha reso double face il
connettore micro USB, semplificando
la vita a tutti coloro che possiedono un
dispositivo di questo tipo. Che poi sono
la stragrande maggioranza degli smartphone e tablet Android e Windows, un
mercato da milioni e milioni di pezzi.
Tenendo un attimo fuori il mondo Apple,
che com’è noto offre da tempo questa
possibilità con Lightning - l’altro connettore che può essere inserito in entrambi
i versi è USB Type C, l’ultimo nato della
famiglia. Nonostante gli indubbi vantaggi in termini di performance, è peraltro
vero che la sua diffusione non è ancora
capillare (ce l’ha il One Plus 2), specie
su dispositivi come gli smartphone che
sono ancora dominati dalla cara e vec-
torna al sommario
chia micro USB. Visto
che ognuno di noi ha
tentato almeno una
volta di inserire il cavo
micro USB al contrario nello smartphone,
l’idea di Scoschse è
quanto meno utile. Si
tratta di un connettore
miniaturizzato
di forma esagonale
(che viene chiamato
EZTIP) e con i contatti
al centro e non sulla
base del connettore,
di modo tale da poter
essere inserito in entrambi i versi. Insieme alla presentazione del nuovo connettore è stata introdotta un’intera nuova linea EZTIP dedicata
proprio a sfruttarne i vantaggi: i cavetti
USB/micro USB che possono essere
Il tablet Fire
di Amazon costa
meno di 60 euro
usati con i comuni smartphone, ma anche i battery pack, alimentatori da auto
e altro ancora. Quello che non è certo è
se questi prodotti arriveranno da noi, ma
l’idea è brillante.
Le indiscrezioni prevedevano il lancio di un tablet ultra economico da
parte di Amazon per Natale, e invece il gigante dell’e-commerce ha
deciso di lanciarlo subito. Il nuovo
Fire di Amazon sarà infatti disponibile dal 30 settembre e avrà un
costo di appena 59,99 euro, nella
versione con contenuti promozionali in evidenza. Senza pubblicità il
costo sarà di 74,99 euro. Ma cosa
offrirà Amazon con questo prezzo? Il nuovo Fire è nel formato da
7 pollici, con display LCD IPS con
risoluzione di 1024x600 pixel, e
monta un processore quad core
da 1,3 GHz, con 1 GB di RAM, 8 GB
di memoria storage, Wi-Fi 802.11n,
Bluetooth LE e slot per schedine
microSD per spandere la memoria
fino a 128 GB. Il sistema operativo
è la versione 5.0 di Fire OS, nome
in codice Bellini, sempre basato su
Android, ma completamente personalizzato per integrare in modo
nativo tutti i servizi di Amazon. Il
tablet è anche dotato di fotocamera posteriore da 2 Megapixel e
frontale con risoluzione VGA. Non
stiamo parlando chiaramente di
caratteristiche da top di gamma,
ma per un tablet da 60 euro non
possiamo nemmeno lamentarci
troppo. Per 40 euro in più, rimane
comunque in gamma il Fire HD 6,
con schermo e processore migliori. Per quanto riguarda la batteria,
Amazon parla di un’autonomia di
7 ore in lettura, navigazione web e
ascolto di musica.
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
GAMING Arrivano le prime indicazioni di prezzo per il visore per la realtà virtuale su PlayStation
PlayStation VR costerà come una console
Sapremo anche cosa aspettarci a livello di titoli per il lancio nel 2016. Il debutto si avvicina
di Paolo CENTOFANTI
I
l visore di realtà virtuale per PlayStation, prima noto come Project Morpheus, costerà come “una nuova
piattaforma di gioco” secondo Andrew
House, il CEO di Sony Computer Entertainment, in un’intervista rilasciata a
Bloomberg. Il dispositivo è atteso nella
prima parte del 2016 e, anche se non
si parla di numeri precisi, dalle parole
utilizzate sembra chiaro che potremo
aspettarci un prezzo pari a circa a quello della PS4 al lancio, intorno ai 400
euro. L’uscita di PlayStation VR sarà accompagnata da una line up di più di 10
titoli, suggerisce inoltre House, riferendosi alla decina di giochi già mostrati
nella varie dimostrazioni del visore
nelle ultime fiere e in particolare al recente Tokyo Game Show. Se il prezzo
fosse confermato, la soluzione di Sony
Corretto il bug
WatchOS 2
è finalmente
disponibile
Apple ha corretto
rapidamente il bug che
ha ritardato il rilascio
di WatchOS 2: il nuovo
sistema operativo
di Apple Watch
è finalmente disponibile
per il download
Le app native sono
la novità più importante
rimarrebbe comunque competitiva
considerando i requisiti di sistema del
concorrente Oculus Rift, che parlano
di un budget di circa 1500 dollari tra
PC adeguatamente potente e visore
virtuale; Il bundle PlayStation 4 e VR
potrebbe invece posizionarsi abbondantemente sotto i 1000 dollari, specie
alla luce del recentemente annunciato
taglio di prezzo per la console in Giappone (e che ancora non si sa se verrà
applicato anche nel resto del mondo).
di Roberto PEZZALI
APP WORLD Cambiamento grafico su tutte le piattaforme
Una nuova interfaccia per Deezer
MAGAZINE
Estratto dal quotidiano online
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Registrazione Tribunale di Milano
n. 416 del 28 settembre 2009
direttore responsabile
Gianfranco Giardina
editing
Claudio Stellari,
Maria Chiara Candiago,
Alessandra Lojacono,
Simona Zucca
Editore
Scripta Manent Servizi Editoriali srl
via Gallarate, 76 - 20151 Milano
P.I. 11967100154
Per informazioni
[email protected]

Per la pubblicità
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torna al sommario
di Paolo CENTOFANTI
l servizio di streaming Deezer ha annunciato il debutto della sua nuova interfaccia grafica, un cambiamento che interesserà tutte le piattaforme su cui è disponibile, e che gli utenti dell’app per iOS potranno provare da subito. Il nuovo
design punta tutto sulla semplicità di utilizzo del servizio riducendo il più possibile
i passaggi per arrivare alla musica che si vuole ascoltare e mette ancora più in evidenza i consigli della redazione e i mix tematici.
L’app mobile rinuncia al menù, in favore di una navigazione a tab nella parte inferiore che offre un accesso più rapido alle funzioni principali di Deezer. Flow, la playlist
dinamica compilata in funzione delle nostre abitudine di ascolto, continua a rimanere in posizione privilegiata in home, mentre nella tab “notifiche”, troveremo le
attività dei curatori musicali a noi affini e degli utenti che seguiamo. Il nuovo design
arriverà anche su web, oltre che su Android, anche se al momento non c’è ancora
una data prevista per il lancio.
I
WatchOS 2 è stato finalmente
rilasciato da Apple: dopo un piccolo ritardo dovuto ad un bug, i
possessori di Watch potranno
aggiornare lo smartwatch aggiungendo una delle funzionalità
più attese, il supporto alle applicazioni native. Se fino ad oggi il
legame tra smartphone e smartwatch era molto saldo, con la
parte “logica” dell’applicazione
eseguita dallo smartphone, ora
con WatchOS 2 alcune app verranno gestite interamente dal
processore del Watch.
Questo garantirà non solo una
maggiore velocità, ma anche
la possibilità per sviluppatori di
creare applicazioni diverse utilizzabili anche quando lo Watch non
si trova nei paraggi di un iPhone.
Oltre alle app native WatchOS
2 aggiunge anche nuovi quadranti, Time Travel, una modalità
“Notte” e tante altre piccole migliorie. Nelle prossime settimane
metteremo alla frusta Watch con
il nuovo OS, che abbiamo prontamente installato sul Watch di
redazione.
Serie S78 / Ultra HD
50” / 58”
Immergetevi
in una nuova
esperienza !
Avvicinatevi al vostro grande schermo UHD e tuffatevi in un’immagine di una ricchezza incredibile di dettagli. Un’immagine che non è mai stata cosi profonda grazie alla precisione dei contorni, anche nei dettagli
più lontani. Un’immagine che non è mai stata cosi realistica grazie alla nitidezza dei colori. Ammirate la
perfetta fluidita del movimento, resa possibile dalla tecnologia Clear Motion Index 800 Hz.
ww.tcl.eu/it
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
AUTO La Casa automobilistica tedesca ora rischia tantissimo, anche una multa molto salata
Ecco come Volkswagen “truccava” le auto
Inserite nelle centraline dei motori diesel destinati agli States due curve di calibrazione
Una a basse emissioni che si attiva durante test specifici e una “killer” da usare su strada
di Roberto PEZZALI
C
osa ha combinato Volkswagen,
crollata in borsa e costretta a
richiamare negli Stati Uniti oltre
500.000 vetture? Semplice, ha imbrogliato inserendo sulle sue vetture un
software in grado di ridurre le emissioni
solo quando le auto venivano analizzate in laboratorio. E non siamo di fronte a
un sospetto: Volkswagen ha ammesso
di aver usato il trucco e ora rischia davvero grosso, anche una multa di svariati
miliardi di dollari oltre all’obbligo di richiamo per 500.000 vetture da rimettere in regola il più presto possibile.
Una storia, quella di Volkswagen, che
ha inizio nel 2014, quando una attenta
analisi condotta dall’Università della
West Virginia scoprì che alcuni motori
diesel, su strada, emettevano una quantità decisamente più elevata di ossido
di azoto rispetto al valore registrato in
fase di test e certificazione. Un risultato
che è stato prontamente sottoposto alla
California Air Resources Board, ente
preposto al rilascio delle certificazioni
anti-inquinamento, e che ha dato il via
a una indagine preliminare con la collaborazione di Volkswagen, con l’obiettivo di capire per quale motivo i motori
da 2 litri diesel della casa tedesca, in
condizioni di guida su strada, facessero rilevare emissioni di ossido di azoto
così elevate rispetto ai normali test di
certificazione.
Volkswagen, dopo un periodo di analisi iniziale, ha dichiarato alla CARB nel
mese di dicembre dell’anno 2014 di
aver trovato una motivazione tecnica
alle elevate emissioni su strada, suggerendo come soluzione una nuova curva
di calibrazione del motore da caricare
nella centralina tramite update software

per rientrare nei parametri. Una risposta
accolta positivamente dall’ente americano, che ha dato il permesso di applicare
la soluzione software il prima possibile.
La Casa automobilistica, a fine 2014, ha
così dato il via a un richiamo sul territorio americano di 500.000 auto, 50.000
delle quali in California, per apportare
le modifiche al software del motore e
ridurre così le emissioni su strada. Tra
le auto richiamate figuravano le Jetta, le
Beetle, le Golf, le Passat e le Audi A3
prodotte dal 2009 al 2015 (dal 2014 per
le Passat). La California Air Resources
Board aveva in ogni caso avvisato VW:
dopo il richiamo avrebbero ricontrollato
e verificato le emissioni di alcune auto
prese a campione, e se durante i test
si fossero riscontrate emissioni elevate
Volkswagen avrebbe dovuto richiamare
nuovamente le autovetture.
I test sono iniziati il 6 maggio di quest’anno, e nonostante il richiamo le emissioni
non si sono affatto ridotte: qualche parametro si è abbassato, ma le emissioni
di NOx, ossido di azoto, sono rimaste
decisamente sopra la media. Un dato
continuava a stonare con quello rilevato
in laboratorio, e che ha spinto la CARB
a effettuare
test specifici
più
precisi
adottando su
strada anche
alcuni metodi
usati per la
certificazione
strumentale.
La curva di
calibrazione
modificata da
Il pattern di misurazione; il motore si adeguava di conseguenza VW con il se-
torna al sommario
Batteria Bosch
raddoppierà
l’autonomia delle
auto elettriche
Batterie per le auto
elettriche con più
del doppio dell’attuale
densità di carica
e a costi inferiori
Una nuova tecnologia
di Bosch che potrebbe
arrivare entro 5 anni
di Paolo CENTOFANTI
condo richiamo ha aumentato effettivamente il dosaggio di AdBlue rilasciato
(un liquido usato nei sistemi catalizzatori che trasforma l’ossido di azoto in innocui azoto e vapore acqueo), ma non
in modo sufficiente per rientrare nei parametri standard.
Dopo aver inviato i risultati del test a
Volkswagen, la stessa casa tedesca
ha dovuto ammettere l’esistenza nelle
centraline del motore due curve di calibrazione, una normale e una che viene
caricata solo se viene rilevato uno specifico pattern, ovvero uno specifico comportamento del motore. E guarda caso il
comportamento era quello dei test FTP,
US06 e HWFET usati dalla Carb per
rilasciare le certificazioni. Volkswagen
ha fatto in pratica quello che ha fatto
qualche produttore di smartphone con
alcuni benchmark, ha modificato le prestazioni e ridotto le emissioni dei motori
solo in laboratorio, lasciando invariato il
comportamento su strada.
Una cosa gravissima sia dal punto di
vista etico sia sotto il profilo ambientale, tanto che ora la CARB ha messo
il colosso dell’auto alle strette: deve
richiamare tutte le auto in circolazione
applicando la curva di calibrazione certificata, anche a discapito di consumi e
prestazioni. La CARB ha inoltre avviato una indagine su tutte le altre auto
prodotte dal 2009 al 2015 con motore
diesel, e probabilmente una inchiesta
simile sarà attivata ora anche in Europa
e in altri Paesi. Utilizzare inoltre soluzioni fuorilegge per passare i controlli sulle
emissioni è considerato negli Stati Uniti
una grave minaccia alla salute pubblica,
e Volkswagen rischia ora una multa a
nove zeri.
Il freno maggiore alla diffusione
di veicoli elettrici è costituito dalle
batterie, ancora troppo costose
e dall’autonomia limitata rispetto
alle tradizionali vetture a combustione. Bosch però sostiene di
avere una soluzione: una nuova
tecnologia di batterie agli ioni
di litio che consentirà di realizzare celle con più del doppio di
densità di carica, il tutto a costi
industriali inferiori a quelli attuali.
L’innovazione si basa in parte sul
know how di Seeo Inc., azienda
americana acquisita da Bosch lo
scorso mese e specializzata nella
produzione di batterie allo stato
solido. La tecnologia, che Bosch
sostiene potrebbe essere pronta
entro i prossimi 5 anni, si basa
sullo sviluppo di un nuovo tipo di
batteria completamente allo stato
solido, in cui l’anodo è composto
da litio puro, il che consente di aumentare la capacità di immagazzinamento di carica di una cella
rispetto alle soluzioni classiche.
L’abbandono di soluzioni liquide
in favore di una struttura solida
eliminerebbe i rischi di infiammabilità delle batterie, migliorandone
la sicurezza. Aumentando la capacità delle celle, i pacchi batterie diventerebbero più compatti
e leggeri e, secondo Bosch, più
economici. Bosch ha annunciato
di avere già le prime celle basate
sulla nuova tecnologia.
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23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
AUTOMOTIVE Un bolide con un sofisticato sistema audio per deliziare conducente e passeggeri
Diffusori B&W per BMW: ecco la serie 7 per audiofili
Un sistema audio con 16 altoparlanti tra cui tre tweeter Diamond e una potenza di 1400 watt
L
di Roberto FAGGIANO
a BMW serie 7 costa come minimo
88.000 euro ma se volete ascoltare
come si deve non solo il motore ma
anche la musica, è meglio aggiungere
qualche altro migliaio di euro per farvi
montare il nuovo sistema audio B&W. Finora il marchio inglese aveva realizzato
sistemi audio solo per Maserati e Volvo,
ma ora allarga i suoi orizzonti con le berline bavaresi. Il sistema è particolarmente sofisticato e studiato
su misura per ottenere le
massime prestazioni sonore per il conducente
e i passeggeri. Il team di
Bowers & Wilkins ha fat-
Dainese Misano 1000
è il primo giubbotto con
airbag completamente
“stand alone”
di Emanuele VILLA
to le cose in grande
piazzando addirittura 16 diversi altoparlanti nell’abitacolo,
pilotati da dieci amplificatori digitali in
classe D per un totale di 1.400 watt; inoltre, è possibile scegliere cinque diverse
curve di equalizzazione per ottenere un
risultato ancora più personale ed esclusivo. Tra i sedici altoparlanti montati ci
sono tre tweeter del tipo Diamond, gli
stessi usati nella serie casalinga 800 di
B&W, piazzati frontalmente nelle posizioni sinistro, centrale e destro. Inoltre, troviamo quattro tweeter in alluminio, sette
midrange in kevlar e due woofer da 217
mm. Per i tweeter ci sono anche raffinate
griglie in alluminio coordinate con la finitura interna della vettura. Buon ascolto
ai fortunati possessori di questo potente
bolide musicale.
AUTOMOTIVE Greyp G12S ha un solo limite, il prezzo non proprio per tutti: si parte da 8.000 €
La bici elettrica da 70 km/h. Un po’ cara, però...
Leggera, supersportiva, con display e scanner per le impronte digitali, si ricarica in 80 minuti
di Emanuele VILLA
reyp Bikes, azienda croata nota
per aver realizzato una supercar
(Rimac Concept One) elettrica
da 1.088 cavalli, ha mostrato il suo nuovo gioiellino: Greyp G12S, la bicicletta
elettrica ipertecnologica. Basta dargli
un’occhiata per capire che non è una bici
qualunque: il telaio da 19’’ è stato completamente rivisto per assicurare stabilità
e leggerezza, quest’ultima garantita dai
pannelli in fibra di carbonio che nascondono il motore. La batteria è un modulo
unico ed è posizionata nella parte bassa
del telaio per dare più stabilità. Si tratta
di un modulo da 84 V con capacità di
1,5 kWh, si ricarica in circa 80 minuti e assicura 1.000 cicli di ricarica. Greyp G12S
è inoltre dotata di frenata rigenerativa,
che estende l’autonomia della batteria
in modo anche significativo. Il motore
produce una potenza di 12 kW in modalità Power (sono previste 3 modalità di

G
torna al sommario
Il giubbotto
Dainese con
airbag può
salvare la vita
marcia) che si traduce in una velocità di
punta - autolimitata - di 70 km/h, mentre
la modalità Street è vincolata ai limiti previsti dalla normativa europea per le bici
elettriche e raggiunge i 25 km/h. Greyp
G12S è dotata di sospensioni Rockshox,
ha anche un display frontale che riporta
informazioni utili e dispone di uno scanner di impronte digitali: il riconoscimento
dell’utente (è possibile registrare più dita
per permettere l’uso della bici a persone
diverse) è fondamentale ai fini della sicurezza, ma a dita diverse possono essere
assegnati diverse modalità di marcia, dallo Street al Power. Il “problema” è il prezzo: si parte da 8,330 euro ma potrebbe
salire in caso di particolari personalizzazioni richieste al momento dell’ordine.
Dainese ha presentato un giubbotto con l’airbag incorporato,
quello che la stessa azienda definisce “il primo airbag stand-alone
Dainese per uso stradale”. Si chiama Misano 1000 e differisce dalle
altre giacche della medesima categoria proprio per l’elettronica incorporata. Scopo del giubbotto è
quello di rilevare un incidente e di
attivare la protezione in una frazione di secondo per attutire il colpo,
ma mentre gli altri si basano su kit
di sensori da installare sul veicolo,
Misano 1000 è “stand alone”, ovvero si basa sui propri sensori interni ed è quindi compatibile con
tutte le situazioni e tutte le moto.
Il segreto sembra risiedere negli
accelerometri interni e nel GPS,
che sono alloggiati nel paraschiena e che, sulla base delle proprie
rilevazioni (si parla di 800 misurazioni al secondo tramite 6 sensori
integrati) sono in grado di capire
se c’è stato un incidente e/o si è
stati disarcionati. Il grosso vantaggio è l’indipendenza dalla moto:
se anche se ne cambiano 2 o 3
in un giorno, la protezione resta
sempre attiva. Misano 1000, che
presumibilmente ha bisogno di
una fonte di alimentazione, si attiva con un pulsante sulla chiusura della giacca e dà un feedback
visivo tramite un LED laterale.
L’airbag è basato su una struttura
a microfilamenti e - riportando la
comunicazione ufficiale Dainese “permette un gonfiaggio uniforme
di 5 cm su tutta la sua superfice
garantendo
massima
protezione
e massimo
c o m f o r t ”.
Sarà disponibile
da
novembre a
1.499 euro.
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23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
HI-FI E HOME CINEMA Siamo andati a visitare la Phono Press di Settala, l’unica azienda italiana che ancora stampa dischi
Viaggio nell’ultima fabbrica italiana di 33 giri
Per la stampa dei dischi vengono utilizzate macchine che hanno quasi 40 anni, ormai divenute molto difficili da reperire
N
di Roberto PEZZALI
responsabili - oggi siamo arrivati a 6000 dischi”. La
domanda è esplosa, tanto che in alcuni paesi europei per un ordine la lista di attesa è lunghissima: in
Repubblica Ceca chi ordina una stampa deve attendere fino a 6 mesi per ricevere i dischi. Phono Press
produce per tutti, ha clienti italiani e clienti europei:
“Tutte etichette indipendenti e qualche ordine di
major - ci confermano - ma in media ogni ordine non
passa i 500 / 1000 dischi”.
Confrontarsi con macchine di una certa età, in ogni
caso, non è un grossissimo problema: “Le macchine
che stampano sono molto vecchie, ma trattandosi di
sistemi meccanici costruiti alla vecchia maniera metterci mano non è difficile, e abbiamo anche una piccola officina per le riparazioni. Quella – ci indicano
con orgoglio – è una vecchissima pressa per dischi
manuale che stiamo rimettendo in sesto, è l’unica
che permette di realizzare dischi con lavorazioni
particolari, ed esempio l’effetto splash”.
Alla Phono Press ci raccontano che qualche azienda
che produce ancora presse per vinili esiste, ma il costo di ogni pressa, circa 300.000 euro, è un investimento che oggi non si riesce ad affrontare.
Il problema vero, in realtà, non sono tanto le presse
quanto gli altri elementi che compongono la catena
La linea di stampa della Phono Press: su alcune
presse un vecchio contatore mostra i segni dell’età: svariati milioni di dischi stampati
Una vecchissima pressa manuale per dischi:
solo con questa macchina si possono realizzare
lavorazioni speciali

essuno avrebbe mai pensato che, con il
Compact Disc in declino e lo streaming ai suoi
massimi livelli, il vecchio disco in vinile potesse
ancora dire la sua. Eppure, e lo dicono i dati di mercato, il vinile sta riscoprendo un vero e proprio periodo
d’oro con le vendite degli ultimi anni che hanno sorpassato, numeri e grafici alla mano, i picchi degli anni
d’oro dell’alta fedeltà. Il vinile per molti appassionati
è la storia, ma per le etichette indipendenti e molti giovani d’oggi è un modo per tornare alla musica
genuina di un tempo, non viziata dalle logiche commerciali delle grandi major e guidata soprattutto dalla
creatività degli artisti e dalle loro ispirazioni. Di fronte
all’impalpabile musica liquida, la copertina quadrata
di un disco in vinile, con i suoi disegni e il suo profumo, è ancora un prezioso oggetto da collezionare,
spolverare e ascoltare nelle sue piccole imperfezioni
e nel suo analogico rumore di fondo. Un boom quello
del vinile inatteso, tanto che oggi la parte più complessa da affrontare è quella relativa alla produzione:
nel mondo le aziende che ancora stampano dischi
non sono più di venti, e tutte hanno in comune un
problema non da poco, ovvero la necessità di usare
macchine con più di quarant’anni di vita alle spalle,
presse che hanno stampato milioni e milioni di dischi
e che meriterebbero di andare in pensione se ci fossero degni sostituti.
Ma all’alba del 2016, in piena era digitale, non c’è
più nessuno che produce macchine per la creazione
di dischi e trovarne di vecchie è difficilissimo: molte
stamperie hanno mandato tutto a rottamare, distruggendo un patrimonio che oggi sarebbe ancora stato
utilissimo. In Italia avevamo più di dieci aziende che
stampavano dischi in vinile, ma oggi solo una di queste è ancora viva, la Phono Press di Settala, in provincia di Milano. Phono Press è sul mercato da oltre 30
anni, solo di recente ha cambiato sede per far fronte alle richieste di un mercato che è effettivamente
esploso: “Se fino a qualche anno fa si stampavano
dai 1000 ai 2000 dischi al giorno - ci dice uno dei
torna al sommario
di stampa: il nostro viaggio parte infatti dalla sala
dove, tramite il processo di “trascrizione”, si trasforma il master inviato dalla casa cinematografica (un
file oppure un CD) in quello che può essere definito
il “disco numero 0”.
La macchina visibile nella foto sopra è una sorta di giradischi inverso: al posto di una testina ha un cristallo
di zaffiro che incide il solco su una lastra di alluminio ricoperta di una particolare lacca, vernice che ad
oggi viene prodotta da una sola azienda al mondo.
Macchine di questo tipo non se ne fanno praticamente più: la Neumann, azienda tedesca che ha creato
quella realizzata in Phono Press, oggi produce solo
ottimi microfoni ma ha abbandonato il settore degli
apparecchi industriali.
Il disco che viene realizzato tramite il processo di
trascrizione è un vero disco che suona, una copia
perfetta di quelli che saranno poi i dischi creati dalle
presse. Alla Phono Press ci raccontano che la qualità
di un disco è determinata al 90% dalla fase di incisione: la profondità delle piste, la distanza tra una pista
e l’altra e tanti altri piccoli dettagli determinano poi la
dinamica e la qualità dell’ascolto.
Le fasi successive del processo di lavorazione sono
molto semplici: c’è una prima fase “chimica” che prevede la creazione delle matrici di stampa e successivamente c’è la fase di stampa vera e propria dove
segue a pagina 24 
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
HI-FI E HOME CINEMA
Vinilmania: la produzione dei 33 giri
segue Da pagina 23 
intervengono le presse meccaniche. Per stampare
servono però le matrici, dei dischi “negativi” realizzati rivestendo il master con uno strato di argento
e nichel in bagno galvanico. In questa fase si pensa
anche al futuro: viene creato anche un disco madre,
una copia perfetta in nichel del disco “0” da tenere in
archivio per eventuali ristampe.
Le etichette attorno al “foro” non sono adesive, ma
vengono pressate insieme al vinile caldo.
La “magia” viene fatta da rumorose macchina dotate di una forza spaventosa: in Phono Press ci sono
sei presse che lavorano a pieno ritmo per realizzare
i dischi. Come materiale di partenza vengono usati
piccoli grani di pvc, disponibili in diversi colori: questi
grani vengono scaldati da una caldaia e trasformati in
un “bicchierino” di pvc, un cilindretto che viene letteralmente schiacciato dalla pressa all’interno delle due
matrici. Il risultato, come si può immaginare, è il disco
stesso: all’interno della macchina in realtà il processo è leggermente più complesso, con una spruzzata
di vapore a oltre 200 gradi per ammorbidire il vinile
e un passaggio di acqua fresca per raffreddare il disco. In Phono Press ci svelano anche alcuni piccoli
dettagli che stupiscono anche alcuni estimatori del
vinile: le etichette dei dischi non sono incollate come
si potrebbe pensare ma vengono pressate insieme al
disco. La carta utilizzata per le etichette è una carta
speciale, con un alto grado di porosità, che viene penetrata dal PVC caldo e diventa parte integrante del
disco stesso.

I grani di PVC che compongono un disco: li producono ancora diverse aziende nel mondo.
torna al sommario
Il piccolo cilindretto nero è il vinile morbido, pronto
per essere schiacciato tra i due stampi.
Il braccio che preleva i dischi tagliati dalla pressa e li
deposita sul piatto: la fase successiva è l’inserimento
nella busta.
Un po’ di scarti pronti per essere riciclati: non tutti i dischi vengono perfetti,e ogni disco viene controllato.
I dischi caldi vengono pressati con lastre di ferro per
raffreddarli e mantenerli piatti.
Un disco prima di essere rifinito dalla lama: prima del
taglio viene raffreddato con un getto di acqua.
I riccioli tagliati vengono completamente riciclati: una
delle aziende che produce grani di pellet per vinile
è italiana.
Il disco è finito, pronto per essere imbustato (a mano)
e inviato ai negozi.
Il ritorno del vinile non è un fuoco di paglia, anzi: le
aziende ci credono, i consumatori ci credono e anche
ai negozi il vinile piace. Perché, come abbiamo scritto
nello “Speciale” dedicato al vinile qualche mese fa, lo
streaming è comodo, ma il 33 giri fa godere ancora.
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23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
HI-FI E HOME CINEMA Sonos starebbe per proporre un sistema di calibrazione automatica
Da Sonos il multiroom con setup su misura?
Il sistema “Trueplay” utilizza il microfono di smartphone e tablet per il setup in ambiente
S
di Roberto FAGGIANO
onos ha reso pubblica per gli sviluppatori una versione beta della
sua nuova applicazione da cui
sono emerse interessanti novità pratiche e di prodotto. La più interessante
è il sistema di calibrazione automatica
Trueplay per migliorare la risposta in
frequenza dei diffusori in relazione all’ambiente dove sono collocati. Si tratta
di una tecnologia largamente applicata
negli amplificatori home theater, che
prevede l’utilizzo di un microfono collegato all’apparecchio. Con il sistema
studiato da Sonos invece basta uno
smartphone o un tablet sul quale è installata l’applicazione: in pratica l’app
sfrutta il microfono presente in tutti i
dispositivi mobili per rilevare la risposta
in frequenza dell’ambiente e regolare di
conseguenza l’equalizzazione del diffusore. L’app in circa tre minuti emette
una serie di frequenze audio, rileva la risposta e regola il diffusore; non è chiaro
se Trueplay sarà disponibile anche per
i modelli già in commercio o solo per
quelli nuovi, ma di certo una funzione
del genere sarebbe un bel vantaggio
per Sonos rispetto ai concorrenti.
Sony aggiorna
la sua full frame
ad alta sensibilità
alla versione II: arriva
la registrazione in 4K
e tante funzionalità
per i videomaker
di Paolo CENTOFANTI
Abbiamo parlato di nuovi modelli perché da altre parti dell’applicazione
emerge un’altra novità importante, la
presenza di comandi a sfioramento sul
lato superiore che in effetti svela un
modello al momento inedito. A quanto
pare si tratterebbe di un Play:3 modificato, dato che può stare in orizzontale
o in verticale, ma potrebbe anche essere un diffusore del tutto inedito. Probabilmente ci sarà solo una revisione
dei modelli attualmente in commercio,
una versione mkII con i nuovi comandi
a sfioramento e altre piccole migliorie.
Per sapere ogni dettaglio comunque
non dovremo aspettare molto, dato che
per il 30 settembre è già stata fissata la
presentazione di novità Sonos.
HI-FI E HOME CINEMA Bang & Olufsen presenta un diffusore Bluetooth dal design insolito
B&O BeoPlay S3 è il diffusore Bluetooth che arreda
Il nuovo diffusore ha dimensioni compatte e cover colorate intercambiabili. Prezzo 399 euro
di Roberto FAGGIANO
L

a linea di prodotti BeoPlay di
Bang & Olufesn si fa ogni giorno più
ricca, questa volta il nuovo ingresso è il diffusore S3 (399 euro), un oggetto dalla forma irregolare che utilizza
il Bluetooth per collegarsi a smartphone
e tablet. Non fa parte del sistema multiroom BeoLink ma se ne possono collocare diversi in ogni stanza della casa,
con possibilità di diffondere la stessa
musica in tutti gli ambienti. Inoltre può
essere configurato in stereofonia, con
o senza fili, utilizzando due diffusori; c’è
in ogni caso anche un DSP interno per
ricreare maggiore profondità e ampiezza
anche usando un solo diffusore.
Il diffusore è disponibile in versione nera
o bianca, ma si possono poi sostituire
torna al sommario
La nuova
Sony α7S II
riprende
anche video 4K
le cover con altre
colorate. Il mobile è realizzato in
materiale sintetico
rigido e frontale in
alluminio.
Dal punto di vista
tecnico il diffusore
utilizza un sistema
a due vie con larga banda da 10 cm
e tweeter da 3/4 di pollice, la potenza disponibile è di 2 x 30 watt in classe D. Oltre al Bluetooth è disponibile un ingresso
minijack e l’uscita verso un secondo diffusore oltre a una presa usb per pc.
Le dimensioni sono di 18 x 18 cm con
profondità di 12 cm e peso di 1,75 kg; l’alimentazione è solo con la rete elettrica.
Sony ha annunciato l’evoluzione
della fotocamera mirrorless full frame α7S, la nuova α7S II. La caratteristica più eclatante è il sensore
da 12,2 Megapixel che permette di
scattare immagini con una sensibilità massima di 409600 ISO. Ma le
novità principali riguardano il video:
Sony ha infatti aggiunto la possibilità di registrare video 4K con una risoluzione di 3840x2160 pixel a 100
Mbit/s. Sony afferma che in questa
modalità l’immagine viene catturata sfruttando tutto il sensore full
frame, senza salto di righe o pixel
binning, il che garantirebbe grande
definizione e assenza di moiré. La
stessa modalità di lettura del sensore viene utilizzata anche per le
riprese in Full HD, con il downscaling che viene effettuato in fase di
elaborazione del segnale sfruttando una risoluzione di partenza 5
volte superiore, con possibilità di
ripresa a 120 fps e funzione slow
motion. I filmati in 4K vengono registrati in formato XAVC S ed è possibile selezionare in ripresa i profili
S-Gamut3.Cine/S-Log3, S-Gamut3/
S-Log3 e S-Gamut/S-Log2. La α7S II
è dotata del nuovo sistema di stabilizzazione di immagine su sensore
a 5 assi, sono stati migliorati anche
l’autofocus a 169 punti e l’angolo di
visione del mirino elettronico con
schermo OLED XGA. La fotocamera sarà disponibile in Europa a
partire da novembre a un prezzo
indicativo di 3400 euro.
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
SMARTHOME Dovrebbe arrivare in Italia intorno a metà novembre. Prezzo ancora da comunicare, forse intorno ai mille euro
È in arrivo il nuovo Roomba 980 di iRobot
Robot aspiratore connesso e più “intelligente”
Presentato a New York Roomba 980, l’ultima “creatura” di Colin Angle, il visionario fondatore e CEO di iRobot
Un robot pulisci pavimento che si connette alla rete Wi-Fi ed è capace di mappare tutto l’ambiente domestico
S
di Gianfranco GIARDINA
ono tre le parole chiave con cui Colin Angle,
CEO e fondatore di iRobot (nella foto qui a destra), ha presentato il nuovo robot aspirapavimenti Roomba 980: Smart, Simple e Clean. Tre parole
che racchiudono una serie di innovazioni finalizzate a
rendere il servizio fornito dagli utili robottini sempre
più evoluto, pur nel rispetto totale del primo credo
della società: la semplicità di utilizzo. Il Roomba 980
prende ovviamente le mosse da tutti i modelli precedenti, realizzati nell’ultima dozzina di anni, da quando
iRobot ha di fatto inventato questa nuova categoria
di prodotto, che vale oramai più del 20% del mercato
degli aspirapolvere. Da allora sono stati venduti nel
mondo oltre 13 milioni di apparecchi iRobot e la società, anche se è stata affiancata nel settore da altri grandi nomi, come Samsung, LG, Dyson e così via, detiene
una quota di mercato impressionante: oltre il 68% dei
robot aspirapavimenti venduti nel mondo sono Roomba. In Italia le quote non sono molto diverse.
Il nuovo Roomba 980 ha fatto il suo debutto in un
evento a New York, a cui abbiamo partecipato, che
è stata anche l’occasione per celebrare i 25 anni di
attività della società. La novità principale – o almeno
quella che salta immediatamente agli occhi – è che il
robot è ora connesso via Wi-Fi alla rete domestica e
soprattutto a Internet, da cui può essere comandato
tramite un’app via smartphone o tablet. Ma ci sono
altre innovazioni che, secondo Colin Angle, saranno
in grado di rivoluzionare nel giro di qualche anno non
solo il mondo dell’aspirazione robotizzata ma anche
quello dell’intera casa automatica.
Potenza di aspirazione doppia
e autonomia aumentata

La cosa più concreta, ai fini della pulizia, è la riprogettazione del motore (10 volte più potente) e della
batteria, ora agli ioni di litio: Roomba 980 ha una capacità di aspirazione che è doppia rispetto a quella
dei modelli precedenti e, malgrado ciò, ha un’autonomia aumentata fino a 2 ore continuative di lavoro,
torna al sommario
il che mette in condizione il robot di effettuare la pulizia completa di un appartamento “tutta di un fiato”;
ovviamente resta il sistema automatico di “resume”
in virtù del quale se Roomba inizia a scaricarsi e non
ha ancora finito, torna automaticamente alla base, fa
una “scorpacciata” di energia e poi riparte automaticamente alla volta della porzione di casa non ancora
pulita. Ma in questo caso, come vedremo più avanti, il
nuovo Roomba è molto più bravo e veloce a ritrovare
la strada verso “casa”.
Aspirazione modulata
a seconda della superficie
Uno dei limiti, fino a oggi, dei robot per la pulizia era
il fatto di non discriminare il tipo di superficie in corso
di aspirazione, comportandosi in pratica sempre allo
stesso modo a prescindere dal pavimento battuto. Il
Roomba 980 ha una serie di sensori (li vedremo più
avanti nel dettaglio) che permettono al robot di capire
su che tipo di superficie sta camminando: se si tratta
di moquette o tappeti, il Roomba aumenta potentemente la forza aspirante, come richiesto su una superficie di questo tipo; quando torna
su superfici più lisce, rimodula verso
il basso l’aspirazione a livelli più che
sufficienti per un pavimento che offre
una “tenuta” all’aspirazione. In questo modo, modulando l’intensità su
quattro livelli diversi, il Roomba 980
riesce a offrire nello stesso tempo la
massima efficacia di pulizia e una gestione oculata dell’energia, permettendo così di raggiungere l’obiettivo
dell’autonomia estesa. L’aumento e
la diminuzione di potenza a seconda dei materiali è
tutt’altro che un richiamo di puro marketing: si sente
chiaramente la rumorosità dell’apparecchio aumentare e il motore salire di giri non appena approccia una
superficie “pelosa”.
L’asso nella manica
Riuscire a mappare tutta la casa
Fino a oggi Roomba procedeva nel suo lavoro secondo algoritmi sofisticati che gli permettevano di arrivare
quasi dappertutto e di non trascurare porzioni di pavimento, ma di fatto il robot non riscostruiva una mappa
completa della casa. Il Roomba 980, invece, disegna
nella sua mente una mappa precisa dell’area coperta
e questo grazie a due nuovi sensori: uno è posto nella
sua parte inferiore ed è un sensore “luminoso”, simile a
quello dei comuni mouse; con questo sensore Roomba
riesce a calcolare con la massima precisione i suoi movimenti e quindi a mappare con esattezza tutta la strada
che ha fatto e le aree che ha già visitato.
Oltre questo c’è anche, nella parte superiore, una vera
e propria videocamera: questa non serve, come anche
noi avevamo creduto in un primo momento, a inviare
le immagini di casa all’utente tramite smartphone, ma
è finalizzata solo a mappare con ancora maggiore precisione la casa. Infatti, la videocamera cattura continuamente delle immagini a bassa risoluzione, quanto basta
per riconoscere e interpretare alcuni “pattern” visivi e
associarli allo spazio visitato. In questo modo Roomba
riconosce ancora meglio il luogo in cui si trova.
Il risultato - dicevamo - è che il robot ricostruisce nella
segue a pagina 27 
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23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
SMARTHOME
iRobot Roomba 980
segue Da pagina 26 
il robot inizia a battere la stanza parallela a una parete
e offre una copertura che, anche alla vista, appare più
uniforme. Quando poi si dà l’ordine al robot di rientrare alla base, lui procede spedito facendo chiaramente
la strada più diretta (a questo punto sa dov’è e ha in
memoria la mappa completa) e non procedendo con
qualche approssimazione, come faceva prima. Un vero
passo avanti.
Romba diventa connesso: Wi-Fi e app
e lo comandi anche da fuori casa
Nella foto si vede nella parte alta di destra una
sorta di “oblò” nero: è il sensore che permette
di mappare con precisione millimetrica la strada
percorsa dal robot.
Qui si vede la videocamera per la mappatura posta
superiormente, sotto un vetro di protezione.
sua memoria la planimetria della casa visitabile (ovviamente se una porta è chiusa, non entra): sulla base di
queste informazioni, sa al volo dove si trova la sua base
e dove deve ancora fare un passaggio “di fino”. Non
si tratta di un’innovazione in senso assoluto: la stessa
iRobot produce dei robot professionali in grado di mappare gli ambienti con una serie di emettitori e sensori
laser, che però comportano costi proibitivi, nell’ordine
delle decine di migliaia di dollari. Ora, con l’utilizzo di
semplici (e quindi accessibili) sensori e con tanto tanto
software, la mappatura è accessibile all’utenza domestica: “Finalmente – ci dice Colin Angle, che abbiamo avuto l’occasione di intervistare – abbiamo un sistema in
casa che si occupa di mappare facilmente gli ambienti.
In futuro queste informazioni saranno indispensabili
per qualsiasi applicazione sensata di smarthome; anzi
sono proprio queste informazioni che mancano oggi ai
sistemi”.
Infatti, lo stesso sistema potrà essere usato in futuro
non solo per ricostruire la planimetria ma anche per ri-
conoscere la destinazione d’uso delle diverse stanze,
permettendo così attività automatiche ancora più “intelligenti”, in grado di andare ben oltre la semplice pulizia
di casa ma riguardanti tutta l’home automation.
Sorprendentemente il Roomba 980 una volta finito il
lavoro, “dimentica” la mappa: noi avremmo pensato
che l’esperienza di un primo “giro” potesse essere utilizzata con vantaggio nelle pulizie successive. I tecnici di iRobot ci spiegano che una cosa simile avrebbe
mandato il robot in confusione: la casa, anche se per
pochi dettagli, cambia continuamente; sarebbe bastata
una porta chiusa o una sedia spostata per creare delle
incongruenze. Ma non escludiamo che questa funzione
possa essere introdotta in futuro, su questo o sui prossimi modelli.
All’atto pratico, si vede subito che il Roomba 980 ha
cambiato strategia di pulizia: le generazioni precedenti
procedevano tendenzialmente in diagonale alla ricerca
immediata dei limiti operativi della stanza, “rimbalzando” di lato in lato; ora il processo è molto più ordinato:
L’innovazione più “attuale” è la possibilità di controllare
il Roomba 980 anche via smartphone. Non si pensi a
grandi “gadget”: iRobot è una società profondamente
guidata dagli aspetti ingegneristici e poco incline alle
seduzioni del martketing fine a se stesso. Quello che
si può fare con la app è molto semplice, tanto quanto
quello che si può fare operando direttamente sul robot;
cioè quello che serve, senza strizzare l’occhiolino a facili sensazionalismi da tecno-gadget.
Per questo, fondamentalmente, a parte alcune schermate secondarie, il tasto presente sulla app è solo
uno: “clean”. In questo modo il robot, che è connesso
via Wi-Fi, inizia la sua missione. A sistema in funzione
(cerchio verde “acceso” attorno alla scritta Clean) una
nuova pressione sul tasto ferma il lavoro.
L’altra parte interessante dell’applicazione riguarda la
possibilità di impostare facilmente una programmazione oraria: non si tratta di una novità per i Roomba,
ma certo l’interfaccia grafica dello smartphone è ben
altra cosa rispetto alle programmazioni fatte in maniera
tradizionale operando sul robot. La programmazione è
davvero fondamentale per questo tipo di apparecchio:
infatti, avere un Roomba che gira per casa mentre gli
abitanti di casa sono in circolazione può essere noioso,
sia per l’ingombro del robot che per la sua rumorosità:
segue a pagina 28 

In un esempio reale che ci è stato mostrato, seppur accelerato, il Roomba 980 è stato messo alla
prova con un grande appartamento di circa 140 metri quadrati: un totale di 6 stanze, perfettamente
pulite in due “ondate” con un lavoro totale di 3 ore e 45 minuti, di cui 2 e 15 di pulizia vera e propria
e il resto per una ricarica intermedia. Nella foto è chiaramente visibile la mappa che Roomba ha
calcolato, con tutti i passaggi.
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n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
SMARTHOME Le aziende creano microreti locali incapaci di comunicare una con l’altra, non bastano neanche gli standard aperti
Internet of Things? Meglio parlare di “Internet of Nothing”
L’idea di un mondo di oggetti connessi tra loro è ancora lontana, nonostante si continui a parlare di “esplosione IoT”
aziende americane: si stimano dai 30
ai 50 miliardi di oggetti connessi entro
oveva essere la rivoluzione del il 2020, e secondo i dati attuali abbiasecolo, la nuova “Internet” degli mo già passato i 13 miliardi nel 2015.
oggetti, ma la realtà è che ad oggi, Quello che però le cifre non raccontano
nonostante migliaia di parole spese, fiumi è che questi dispositivi, seppur connessi,
di concept, standard vari e idee futuristi- sono in gran parte smartphone, tablet,
che, “Internet of Things” resta ancora un computer o server e, fatta eccezione per
qualche auto e per un po’ di accessori (IP
concetto difficile da raggiungere.
Quello che dovrebbe essere davvero Camera, termostati e smartwatch). siamo
“Internet of Things” è ben spiegato dal- comunque di fronte a prodotti che si prele due parole che compongono il nome stano ad essere connessi e di fatto son
stesso del concetto, : “Internet” lo cono- nati per essere connessi. Negli ultimi anni
sciamo bene, è la rete che usiamo tutti abbiamo assistito alla nascita di ogni tipo
i giorni e che mette in comunicazione possibile di sensore, al tentativo di renmilioni di server e nodi presenti in tutto dere smart frigoriferi, ferri da stiro, forni
il mondo che parlano tutti lo stesso lin- a microonde e pure tazzine del caffè, ma
guaggio; “Things” si riferisce ai miliardi niente di tutto quello che si è visto può
di oggetti connessi che dovrebbero par- rientrare davvero in un’ottica “Internet”,
lare tra loro. I numeri del business sono anzi, la maggior parte sono oggetti inutili:
“exciting”, come direbbero le grosse la definizione giusta, più che “Internet of
Things”, sarebbe “Things on
Internet”, oggetti connessi
che usano la
rete solo per
poter essere
gestiti da remoto, per scambiare dati con
altri dispositivi
La vera IoT connette tutti i dispositivi, non solo smartphone,
appartenenti
tablet e smartwatch.
di Roberto PEZZALI
D
alla stessa persona in modalità wireless
o per essere pilotati da uno smartphone,
perché privi di schermo.
All’IFA di Berlino Samsung ha annunciato che entro il 2020 tutti i suoi dispositivi
saranno “Internet of Things enabled”,
ma il fatto che siano “agganciabili” a una
rete non significa necessariamente che
diventino parte di una rete più grande e
che siano in grado di dialogare con altri
oggetti simili in modo indipendente.
Con lei tutti i produttori di elettrodomestici: ogni forno, lavastoglie, frigorifero del
futuro sarà connesso, ma non è certo la
possibilità di accendere il forno mentre si
torna a casa usando lo smartphone che
rende quel forno un punto di una rete
globale di oggetti connessi.
Quello che le aziende stanno facendo,
ognuna oltretutto con un proprio standard “aperto”, è creare piccole microreti
locali isolate una dall’altra e incapaci di
comunicare una con l’altra: fino a quando
non si troverà il modo di far parlare insieme, in modo collaborativo, sensori, forni,
auto, semafori, telecamere, termostati e
tutti gli altri oggetti connessi, non si potrà
parlare di Internet delle cose. Questa è
la vera sfida, una sfida carica di complicazioni: ci sono problemi di sicurezza dei
dati, analisi dei dati, linguaggi, interconnessioni, licenze e privacy, tutte cose che
probabilmente verranno risolte ma che
richiedono ancora tantissimo tempo, anni
e anni di ricerca e sviluppo. Fino ad allora
è meglio parlare di “Internet of Nothing”.
SMARTHOME
iRobot Roomba 980
segue Da pagina 27 

infatti, l’incremento di potenza ha portato a un parallelo aumento della rumorosità, soprattutto durante le
fasi di aspirazione di tappeti e moquette. Programmare la pulizia per quando si è fuori casa è quindi la
strategia ideale. Per fare questo una programmazione settimanale “statica” non sarebbe sempre adatta;
oggi, tramite lo smartphone, la programmazione può
essere cambiata al volo senza impazzire con sequenze di tasti sull’apparecchio. Inoltre, la app dà alcune
informazioni interessanti, per esempio sullo storico
delle pulizie effettuate e sull’apparecchio, come per
esempio la capienza residua del serbatoio per la polvere e lo stato delle parti di consumo. Inoltre è possibile impostare una serie di parametri, come la potenza
di aspirazione o alcuni fattori legati alla strategia di
pulizia. Infine è possibile anche “battezzare” il proprio
robot impostando il nome e la data di nascita.
Ovviamente l’app dà accesso al proprio Roomba an-
torna al sommario
che da remoto: basta essere collegati a Internet. In
realtà l’app si collega a un servizio cloud di iRobot che
“gira” la connessione al proprio Roomba, sulla base
del numero seriale hardware. A questo proposito, stupisce in prima battuta, che i tecnici di iRobot non abbiano reso disponibile nella app anche la possibilità di
vedere le immagini catturate dalla videocamera a bordo del robot, giusto per unire alla funzione di pulizia
anche quella di videocamera di sorveglianza; la realtà
è che ovviamente una cosa simile si poteva fare ma
iRobot non ha deliberatamente voluto farla: “Il collegamento è super-sicuro – ci spiega un rappresentante
di iRobot - ma non avremmo voluto in nessun modo
che qualcuno pensasse che la presenza di Roomba in
casa possa mettere a repentaglio la propria privacy:
da casa e dal Roomba 980 non esce alcuna immagine”. Un atteggiamento saggio e – come dicevamo
prima – poco incline alle “sirene” del martketing a tutti
i costi. La app è disponibile gratuitamente sia per iOS
che per Android ed è veramente facile da utilizzare, a
prova di “massaia”.
Roomba 980 a novembre
anche in Italia. Prezzi alti
Roomba 980 è atteso per il lancio in Italia attorno a
metà novembre, in tempo per i regali natalizi. Un regalo
che però rischia di pesare non poco sul bilancio familiare: non si conoscono ancora i prezzi in euro, ma ci si
attendono livelli intorno ai mille euro, una bella cifra per
una funzione che – a mano – alcuni ritengono di poter
svolgere con poche decine di euro e un aspirapolvere
qualsiasi. Ma – come abbiamo avuto modo di dire altre
volte – un robot pulisci pavimenti permette un’igenizzazione e una pulizia che probabilmente nessuna mano
umana riesce a fare, per metodo, costanza e tecnologia di pulizia. Il test è presto fatto: se si fa passare un
Roomba in una casa appena pulita dai propri abitanti,
il serbatoio alla fine del lavoro sarà pieno di polvere e
sporco. E con questo Roomba 980, la pulizia è ancora
migliore, con una semplicità di utilizzo aumentata e la
comodità dell’attivazione a distanza. Non una rivoluzione, probabilmente; ma di certo un bel passo avanti.
Clicca qui per un video di presentazione.
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
SMARTHOME La fabbrica di Conair produce asciugacapelli BabyLiss e BabyLiss Pro, brand francese che fa parte del gruppo
Visita alla fabbrica del phon con motore digitale
Consuma poco, dura tanto ed è costruito in Italia
Siamo andati a visitare la fabbrica della Conair di Bergamo, dove vengono prodotti oltre un milione di asciugacapelli
Tra gli apparecchi, anche uno dei primi phon dotato di motore digitale. Promette lunga durata, risparmio ed efficienza
C
di Roberto PEZZALI
osa ci fa un asciugacapelli su queste pagine?
No, non si chiama iPhon e non è un errore:
siamo davanti a uno dei primissimi phon al
mondo dotati di motore digitale, e se leggiamo la
parolina magica ci si illuminano gli occhi. Quando abbiamo scoperto che tutta la ricerca, lo sviluppo e la
produzione di questo prodotto è stata fatta in Italia,
abbiamo deciso di visitare la fabbrica in provincia di
Bergamo che prova a rivoluzionare un settore ai nostri occhi piccolo, ma in realtà enorme. La fabbrica è
di proprietà del gruppo americano Conair e produce
asciugacapelli BabyLiss e BabyLiss Pro, brand francese che fa parte proprio di Conair.
La scelta del gruppo franco-americano di far produrre tutto in Italia, cosa che a molti potrebbe apparire strana, è motivata dal fatto che in tutto il mondo
l’asciugacapelli deve essere “Made in Italy”: “Nessuno prenderebbe mai in considerazione un prodotto
fatto altrove – ci dicono in fabbrica - produciamo
1.400.000 pezzi all’anno destinati a ogni angolo del
mondo”. E visto che negli ultimi anni qualcuno ha
provato anche a fare il furbo prendendo componenti
cinesi e limitandosi ad assemblare il prodotto in Italia,
oggi prima di fare un ordine i prodotti vengono addirittura smontati dai grossi acquirenti internazionali e
controllati pezzo per pezzo, per assicurarsi che tutto,
ma in particolare il motore, arrivi dal nostro Paese. I
phon prodotti qui a Bergamo hanno il 95% di componentistica italiana, tutti pezzi che arrivano da fornitori della zona. L’unico componente fatto all’estero
è lo ionizzatore: non ci sono aziende italiane che lo
producono. Scopriamo anche che, paradossalmente,
gli unici che non si curano troppo della provenienza
del prodotto sono i parrucchieri italiani, che utilizzano
senza farsi troppi problemi prodotti realizzati altrove,
spesso in Cina.

Uno scorcio della catena di montaggio.
torna al sommario
L’Italia con le sue fabbriche di asciugacapelli rifornisce
il 90% del mercato mondiale in campo professionale
e produce davvero per tutti, dal Sud America al Giappone agli Emirati Arabi. Non un lavoro facile, perché
ognuno vuole il suo “phon”: i parrucchieri giapponesi lo vogliono ultra silenzioso perché amano parlare
con i clienti, nei Paesi nordici lo vogliono leggero e
soprattutto con l’aria poco calda perché i capelli fini
potrebbero rovinarsi, negli Emirati invece pretendono tanta potenza e aria caldissima visto che il costo
dell’energia non è un parametro importante nel regno del petrolio. C’è chi lo vuole addirittura pesante:
è il caso del Venezuela, dove più un asciugacapelli è
pesante e più viene percepito come robusto.
L’asciugacapelli è un prodotto relativamente semplice: un paio di interruttori per velocità e temperatura,
un motore, una ventola e una resistenza che scalda
l’aria, ma come per ogni prodotto c’è alle spalle una
divisione R&D che lavora a pieno ritmo per migliorare
prestazioni, durata e ridurre i consumi. Sono questi gli
obiettivi del primo asciugacapelli con motore digitale
prodotto in Italia (e uno dei primissimi nel mondo), il
BabyLiss 6000E Pro Digital, venduto nei negozi a cir-
ca 200 euro. Un prezzo importante per una tipologia
di prodotto che vede a scaffale modelli a 10 euro, ma
così come i TV da 200 euro sono diversi da quelli
da 2000 euro, anche per gli asciugacapelli ci sono
elementi che fanno la differenza.
I motori digitali non sono certo una novità: comunemente denominati brushless, ovvero senza spazzole,
questi motori vengono ormai utilizzati in tutti gli ambiti dove si richiede potenza, efficienza e soprattutto
risparmio. Nel campo degli asciugacapelli tuttavia la
scelta del digitale non era mai stata considerata fino
ad oggi, e il motivo è semplice: non essendoci una
etichetta energetica e soprattutto essendo parte del
consumo legato alla resistenza che scalda l’aria piuttosto che al motore stesso, quest’ultimo è sempre
stato un elemento secondario.
Ad oggi i motori più diffusi, tutti di tipo tradizionale,
sono quelli DC, a corrente continua, e AC, a corrente
alternata. I primi vengono usati quasi esclusivamente su economici prodotti Made in China, gli altri rappresentano quasi la totalità del mercato consumer e
segue a pagina 30 
Qui sopra: nella foto a sinistra, un piccolo motore DC, costa poco, spinge poco e dura poco
A destra, il motore AC confrontato con il piccolo motore digitale.
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23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
SMARTHOME
Phon con motore digitale
segue Da pagina 29 
professionale. Un motore AC tuttavia, nonostante la
sua affidabilità e la sua potenza, è un motore di tipo
tradizionale e funziona con le spazzole. La rotazione viene infatti generata dal campo magnetico che
si crea alimentando alternativamente due bobine:
per farlo una coppia di spazzole in carbone sfrega
continuamente con le piste di rame del rotore causando quella che viene chiamata “commutazione
meccanica”, ovvero una continua inversione del
campo magnetico. Un motore poco efficiente, però:
il contatto limita la velocità di rotazione, frena l’albero e soprattutto usura le spazzole, e quando la
spazzola in carbone è finita il motore non gira più.
Un phon con motore AC dura dalle 1500 alle 2500
ore (uno DC addirittura dalle 150 alle 300 ore), tante
per una casa, poche per uno studio di parrucchieri
dove è un indispensabile strumento di lavoro che si
usa per svariate ore al giorno. In Conair hanno così
pensato, nonostante il costo più elevato, di realizzare
una soluzione digitale: un primo modello di motore
è stato realizzato in collaborazione con Ferrari, ma il
risultato seppur ottimo, era troppo grande e pesante.
Per chi tiene un asciugacapelli in mano svariate ore al
giorno, 100 grammi possono fare la differenza. Dopo
mesi di ricerca il reparto R&D, con la collaborazione
anche di una azienda giapponese, è riuscita a creare
un secondo modello di motore, quello che viene oggi
utilizzato sui modelli più avanzati della linea BabyLiss.
Il primo motore fatto con Ferrari: veloce, rosso
Ferrari ma anche troppo pesante.
Il prodotto consumer costruito a Bergamo
Si trova nei negozi a 199 euro.
Il secondo modello di motore digitale creato, oggi
usato sui modelli di phon BabyLiss più evoluti.
Riesce a raggiungere 22000 rpm contro i 14000 rpm
di un motore tradizionale con una coppia più elevata.
Un motore digitale usa un microprocessore per gestire l’inversione del campo magnetico, con le bobine
La ventola, l’albero e il motore vengono calibrati
accuratamente per evitare anche la più piccola
oscillazione.
Una sorta di “galleria del vento” per calcolare la
portata d’aria.
Una piastra con un array di termocoppie
per misurare l’uniformità del flusso di calore.

Qui viene provata la resistenza del motori: i motori
AC raggiungono le 2000 ore, quelli digitali arrivano anche a 10.000.
torna al sommario
d’induzione montate all’esterno e pilotate dal chip.
Nessun contatto, nessuna spazzola: ecco perché è
chiamato brushless.
Questa seconda generazione di motore, oltre ad essere più leggera, garantisce una durata di 10.000 ore
e una maggior efficienza, e grazie a un aumento della
velocità dell’aria del 17% circa e a un aumento della
pressione del 37% (rispetto alla media dei modelli AC)
riesce ad asciugare i capelli in meno tempo. Questo
è un dato certificato: per valutare le performance di
asciugatura esiste un metodo standard internazionale che usa come unità di misura i grammi d’acqua
evaporati ogni minuto, e in questo caso con il motore
digitale si toccano i 5.68g/min, percentuale più alta
del settore. Il risparmio sta proprio nella velocità di
asciugatura: parte dell’assorbimento energetico di
un asciugacapelli è dovuto, come abbiamo già detto, alla resistenza che converte la corrente in calore, tuttavia se un asciugacapelli dimezza il tempo di
asciugatura (qui è ridotto del 32% rispetto alla media)
anche il consumo sarà dimezzato.
Visitando i laboratori R&D di Conair ci si rende conto
di come ogni aspetto sia controllato al minimo dettaglio: i motori sono calibrati per una rotazione perfetta,
la resistenza sagomata per offrire un riscaldamento
uniforme per tutto il flusso (70° senza concentratore)
e il motore provato in tutte le condizioni.
Difficile dire quale sarà la prossima novità: il settore
degli asciugacapelli non è certo veloce come quello
di TV e smartphone, tanto che la forma del prodotto
è praticamente la stessa da moltissimi anni. Il digitale, comunque, può davvero dare una grossa spinta
permettendo anche la realizzazione di accessori che
fino ad oggi non si sono potuti creare per ovvi limiti: il prodotto che abbiamo visto costruire, ad esempio, ha un concentratore (quello che molti chiamano
“beccuccio”) con fessura di soli 4 mm: una fessura
così stretta, su un phon tradizionale, non riuscirebbe
a smaltire il calore generato dalla resistenza che si
concentrerebbe tutto nella zona frontale, rischiando
anche di colare la plastica. Grazie a un motore con
più coppia e più efficienza i 4 mm riescono a fare qui
la differenza: la temperatura sale a 134° e la velocità
dell’aria tocca i 208 km/h, e valori fino ad oggi impensabili. Ed è tutta tecnologia italiana.
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST In prova il primo dei nuovi modelli di TV OLED LG con pannello Ultra HD, un 55 pollici che promette qualità video da urlo
LG OLED 55EG960: il TV del futuro ora è Ultra HD
Offre la nuova versione della piattaforma smart webOS e la compatibilità tramite aggiornamento con i futuri contenuti HDR
F
di Paolo CENTOFANTI
ino allo scorso anno per molti appassionati il dilemma era: 4K o OLED? Con l’arrivo anche nei
negozi italiani della nuova serie EG960 di TV
OLED di LG, il dubbio non ha più ragione di essere.
Anche l’OLED di LG passa ai pannelli Ultra HD, con
risoluzione cioè di 3840x2160 pixel, ma il numero
di pixel quattro volte superiore non è l’unica novità
introdotta dal produttore coreano con questa nuova
serie. Cambia leggermente il design, che però rimane
ancora curvo, e si aggiorna la piattaforma smart TV
basata su WebOS, che giunge alla versione 2.0. In più,
tra qualche mese, arriverà anche un aggiornamento
che preparerà il TV alla riproduzione di contenuti in
HDR. Il modello che abbiamo provato è il primo 55
pollici con pannello 4K e affianca la serie EC970 che
LG ha portato in Italia in primavera inoltrata nella versione da 65 pollici ma che è ancora basata sul “telaio”
2014. Non è molto intuitivo, ma il 960 indica una serie
più nuova del 970, una distinzione che in negozio potrebbe non essere evidente. Dopo questa premessa,
andiamo a scoprire nel dettaglio quello che è indubbiamente uno dei TV più attesi del 2015.
Più bello e leggero
La nuova gamma 2015 è stata ridisegnata in più punti,
con una nuova estetica che risulta tutto sommato più
leggera e piacevole. Si tratta più che altro di dettagli
considerando lo spessore ridottissimo del pannello
OLED in sé e della sottilissima cornice. Cambia dunque soprattutto la base, che abbandona le sperimentazioni dello scorso anno per un aspetto più sobrio
e leggero: pedana in alluminio che segue la curvatura dello schermo e stand in plastica trasparente
che sembra mantenere sollevato nel vuoto il leggero
pannello OLED. Grossi cambiamenti invece sul retro
del televisore. Il pannello posteriore è infatti ora tutto
bianco e con un salto di qualità per quanto riguarda
la cura dei particolari. Il coperchio del vano che nasconde l’aggancio della base, ad esempio, si fissa
a incastro, ma ci sono anche delle strisce di velcro
per far seguire al meglio la curvatura dello schermo.
Le connessioni seguono quella che è ormai la clas-
video
lab
LG 55EG960V
4.999,00 €
L’OLED CRESCE, MA NON È ANCORA IL TV DEFINITIVO
L’OLED di LG migliora di generazione in generazione e anche questo nuovo 55 pollici Ultra HD incanta per la profondità del nero e una qualità
di immagine che complessivamente è inarrivabile per qualsiasi altra tecnologia. La definizione è finalmente al pari con quella degli LCD (il modello full HD, a causa della configurazione WRGB, aveva la griglia dei pixel piuttosto visibile) e anche la piattaforma webOS è stata migliorata
là dove serviva. L’OLED non ha però ancora raggiunto la sua totale maturità. Persistono ancora dei limiti a livello di uniformità del pannello,
visibili soprattutto nella forma di una leggera vignettatura ai bordi laterali dello schermo nelle scene più scure, mentre la longevità dell’OLED
è ancora un’incognita, motivo per il quale, nonostante sia un TV che supporta HEVC e HDR, abbiamo dato un punto in meno. E poi c’è il fattore
prezzo: quasi 5000 euro per un 55 pollici sono ancora tanti.
8.6
Qualità
9
Longevità
8
Straordinaria qualità di immagine
COSA CI PIACE Neri perfetti
Piattaforma smart più veloce
Design
9
Semplicità
8
D-Factor
9
Prezzo
8
Uniformità del pannello da migliorare
COSA NON CI PIACE Basse luci non sempre perfette
Costo elevato
sica disposizione e coprono adeguatamente tutte le
possibili esigenze. Ci sono tre ingressi HDMI 2.0, tre
porte USB di cui una 3.0, LAN, uscita digitale ottica,
uscita per le cuffie, terminali di antenna terrestre e satellitare e slot per un modulo common interface. Visto
anche il costo del TV forse avremmo preferito avere
almeno un quarto ingresso HDMI, ma tre sono più che
sufficienti per collegare un set top box, Blu-ray e una
console di gioco contemporaneamente.
Gli ingressi HDMI supportano segnali 4K a piena risoluzione cromatica (4:4:4) a 50 e 60 Hz a patto di abilitare la modalità HDMI Ultra HD Deep Colour nel menù
delle impostazioni video. Il TV integra naturalmente la
connettività Wi-Fi (802.11n), oltre che Bluetooth. Il TV
supporta inoltre il codec HEVC sia per la riproduzione
di file multimediali, che per la ricezione di programmi
via tuner digitale. Sul versante audio, oltre al decoder
Dolby Digital, c’è anche quello DTS.
Anche il telecomando Magic Remote è stato leggermente rivisto. Un po’ più grande, più maneggevole e
soprattutto con qualche comando in più. C’è il tastierino numerico per accedere più velocemente alla selezione dei canali, e qualche “scorciatoia” per funzioni
che prima richiedevano necessariamente la navigazione dei menù. Il telecomando è dotato ricordiamo
di giroscopio ma anche di microfono con funzione di
riconoscimento vocale. Il nuovo magic remote sostituisce completamente da quest’anno il telecomando
tradizionale, che non troviamo più in dotazione.

segue a pagina 33 
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n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST
LG 55EG960V
segue Da pagina 32 
webOS 2.0: ancora più veloce

Sulla gamma 2015 di TV LG arriva una nuova versione
della piattaforma smart basata su webOS. LG la chiama webOS 2, ma a prima vista potrebbero sfuggire le
differenze. In effetti a livello di interfaccia e funzionalità le novità sono davvero poche, visto che LG ha migliorato soprattutto le prestazioni in termini di velocità
della piattaforma rispetto alla versione precedente.
Sul modello EC930 avevamo lamentato la pesantezza
della navigazione nei menù di impostazione, problema che è stato quasi del tutto risolto su questo nuovo
televisore.
A livello di interfaccia, la novità più grande è un nuovo
menù di azione rapida che compare quando si preme
il tasto delle impostazioni. Si tratta di una fila di icone
sulla parte destra dello schermo che permettono di
selezionare al volo parametri come il profilo delle impostazioni video e audio, il formato di schermo e così
via. Per accedere al menù di impostazioni completo
occorre premere sull’ultima icona in fondo.
Questa schermata è praticamente identica a quella
della versione precedente di webOS, con la differenza che è molto più reattiva e quindi veloce da esplorare. Anche le impostazioni sono rimaste praticamente
le stesse e sul versante video è possibile regolare
qualsiasi parametro. Per il bilanciamento del bianco
è disponibile anche una regolazione avanzata a 20
punti della scala di grigio per una calibrazione più
accurata.
Torna la simpatica procedura di configurazione guidata animata che aveva debuttato con la prima versione
di webOS, sempre semplice e intuitiva e che sicuramente verrà apprezzata da chi è meno pratico con
la tecnologia. Non cambia neppure il menù principale
di webOS: una barra colorata con le applicazioni di
utilizzo più frequente (oltre quelle in posizione privilegiata per motivi promozionali) e un menù secondario con tutte le app installate sul televisore. La logica
è che tutto è un’app in webOS: i canali TV, il lettore
torna al sommario
Sopra le misure con il profilo Cinema e le impostazioni default, sotto i grafici dopo la nostra calibrazione
multimediale, la guida ai programmi e così via. Unica
novità nell’interfaccia è un’icona speciale che funziona come cartella a cui possiamo aggiungere i nostri
canali preferiti, anche misti tra digitale terrestre e tuner satellitare; molto comodo.
Talmente nero che il contrasto
non è misurabile
Il TV LG è dotato di un profilo di immagine Cinema e
di due banchi di impostazioni ISF per una calibrazione
più precisa. Per un’analisi out of the box abbiamo misurato il profilo Cinema con le impostazioni di default,
che offre una calibrazione solo in parte precisa.
Il bilanciamento del bianco, ad esempio, è molto preciso fino a metà della scala di grigi, per poi introdurre
un eccesso di blu nella parte superiore. Lo spazio colore è sufficientemente entro i parametri ma la colorimetria non è perfetta. I colori sono un po’ frenati a
bassi livelli di saturazione e viceversa la loro luminosità non tiene al 100% del segnale, con una leggera
flessione. Il livello di errore non va comunque pericolosamente oltre i livelli di guardia, ma il modello full
HD presentava una colorimetria più corretta. Il nuovo
pannello è molto luminoso e utilizzando dei pattern a
finestra (con le schermate piene la luminosità massima viene automaticamente limitata) abbiamo registrato fino a 365 cd/mq. Con i controlli a disposizione si
riesce a calibrare senza difficoltà il bilanciamento del
bianco, mentre la regolazione 3D dello spazio colore
non permette comunque di migliorare la situazione:
è possibile ad esempio portare al riferimento primari
e secondari al 75% della saturazione, ma la colorimetria si sbilancia altrove, come è possibile vedere dai
grafici sottostanti. Alla fine è meglio lasciare le cose
come stanno.
Il gamma è di base molto vicino al riferimento. È possibile scegliere tra 2.2, 2.4 e BT.1886, ma i risultati
migliori li abbiamo ottenuti impostando il gamma su
2.4 e alzando un po’ la luminosità per compensare la
chiusura sulle ombre. Con le altre due impostazioni,
infatti, abbiamo notato la comparsa di banding e di un
eccessivo rumore sulle ombre.
L’OLED visualizza il nero spegnendo completamente
i pixel, con il risultato che lo strumento non misura alcuna luce proveniente dal pannello con sala oscurata:
il rapporto di contrasto non è pertanto misurabile.
Spazio colore in modalità Wide Gamut
Anche se nelle specifiche non se ne fa menzione, abbiamo effettuato un test riguardo alla copertura dello
spazio colore DCI P3 (qui sopra), visto che il TV LG è
dotato di una modalità Wide Gamut. Nonostante il TV
sia perfettamente in grado di andare oltre lo spazio
colore Rec.709, manca ancora qualcosa sul verde e
sul rosso per arrivare a una copertura completa dello
spazio DCI. Naturalmente non ci sono ancora contenuti consumer che sfruttino questo spazio colore, ma
le cose potrebbero cambiare con l’arrivo dell’Ultra
HD Blu-ray o le specifiche della UHD Alliance per lo
streaming in 4K.
Immagini straordinarie
Ma si può migliorare ancora
Ed eccoci finalmente alla prova di visione dell’atteso
OLED 4K. Con questo modello siamo effettivamente
dinanzi più o meno alla quarta generazione di TV
OLED di LG, la seconda in 4K (la prima, presentata a
IFA 2014 e arrivata brevemente sul mercato in Italia
con il modello EC970, l’abbiamo saltata). Per cui la
prima domanda è quale siano i miglioramenti rispetto
ai modelli fin qui visti. Prima di tutto questo 55 pollici
ha risoluzione Ultra HD, per cui rispetto all’ultimo TV
OLED che avevamo provato - che era full HD - la configurazione WRGB dei singoli pixel risulta praticamente invisibile, il che rende l’immagine compatta e priva
di quell’effetto “griglia” che sul modello precedente
era ancora visibile a causa della maggiore dimensiosegue a pagina 34 
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23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST
LG 55EG960V
segue Da pagina 33 
ne dei pixel.
Naturalmente la prima cosa che colpisce appena si
accende il nuovo TV LG è il nero assoluto che il pannello OLED è in grado di restituire; un effetto che da
solo basta a far capire immediatamente perché gli appassionati aspettano questa tecnologia da così tanto
tempo. Il TV LG offre un rapporto di contrasto semplicemente inarrivabile per qualsiasi altra tecnologia, sia
durante la visione in ambiente oscurato, che con luce
nella stanza. Il nero perfetto enfatizza i colori e spinge
da solo il contrasto dell’immagine, ma questo nuovo
OLED sa anche “pompare” la luminosità quando serve. Chiaramente il TV non è fatto per visualizzare una
schermata totalmente bianca a 300 cd/mq, ma come
abbiamo visto anche nell’analisi strumentale, il nuovo
OLED è in realtà molto luminoso (più di qualsiasi plasma del passato ad esempio) e in nessuna occasione,
durante la visione di contenuti reali, si avverte una
mancanza di dinamica. Un punto questo che tra l’altro
ci fa capire che non c’è alcun motivo per cui un TV
di questo tipo non possa supportare contenuti HDR
e di fatti LG ha annunciato la prossima disponibilità
di un aggiornamento software ad hoc. Oltre al nero
assoluto, quello che ci fa subito piacere questo TV è
la morbidezza dell’immagine, con quei colori caldi e
piacevoli che tanto apprezzavamo sui TV al plasma.
Di fatto, potremmo descrivere la sensazione restituita dall’OLED LG come quella di un plasma migliorato
sotto tutti i punti di vista: più contrastato, più brillante,
più definito e meno rumoroso. La cosa interessante
è che i colori, pur apparendo molto saturi e brillanti,
non sono in realtà più “forti” di quanto lo siano su un
ordinario LCD, come del resto abbiamo visto nelle nostre misure: è la profondità del nero che li rende così
vibranti e piacevoli, oltre naturalmente all’emissione
diretta. Sul fronte della risoluzione, lo scaler integrato
fa quello che può con i contenuti in definizione standard, che appaiono inevitabilmente impastati e poco
definiti, e lavora discretamente con invece sorgenti in
HD. Il dettaglio non buca mai lo schermo, nel senso
che il TV come abbiamo già detto un’impostazione
piuttosto morbida, ma questo non vuol dire che la
definizione manchi, tutt’altro. Lo si vede bene con i
Sui livelli più bassi di grigio si può notare una spiccata mancanza di uniformità. Lo stesso effetto lo avevamo notato su un sample della serie EC970. Solo la vignettatura ai bordi può diventare effettivamente
visibile con alcuni tipi di contenuti reali.

contenuti Ultra HD che, come naturale, tirano fuori
il meglio da questo televisore. Abbiamo riprodotto
filmati dimostrativi da dischi esterni, ma anche dal
canale demo via satellite in HEVC a 10 bit presente
su Eutelsat e la resa è senza dubbio ottima. Buona
la risoluzione in movimento, assolutamente in linea
con quella espressa da altre tecnologie. Il circuito
TruMotion elimina qualsiasi problema di motion blur
ma introduce anche un effetto telenovela più o meno
evidente a seconda dell’impostazione. La soluzione
migliore è ricorrere alla modalità “utente” che permette di ridurre al minimo l’interpolazione dei fotogrammi
e di conseguenza eventuali artefatti di movimento.
Davvero notevole la resa con dischi in 3D con immagini molto definite e completamente prive di qualsiasi
effetto di ghosting sui contorni. Quello espresso dal
TV LG è forse il miglior 3D che abbiamo mai visto per
luminosità delle immagini, resa cromatica, contrasto e
precisione. Il più delle volte l’immagine riprodotta da
questo 55 pollici è semplicemente sbalorditiva, 2D o
3D che sia. Neri così profondi come quelli espressi da
questo OLED richiedono però un grande controllo sulle basse luci. Opportunamente regolata la luminosità
in funzione dell’impostazione del gamma scelta, il TV
non chiude eccessivamente sulle ombre
e i dettagli rimangono ben percepibili,
anche se abbiamo notato con molti dischi Blu-ray la tendenza a enfatizzare un
po’ degli artefatti sui particolari più scuri. In generale la resa è più che ottima,
ma in alcune situazioni abbiamo notato
un’immagine più rumorosa sulle ombre.
Un esempio di questo è la scena della
sepoltura di Kill Bill vol.2, che viene riprodotta in modo impeccabile, ma le sfumature appena percepibili del viso della
protagonista durante i momenti di buio
totale - che sulla maggior parte dei TV
manco si riescono a vedere, intendiamoci - appaiono più come dei quadrettoni.
Il telecomando Magic Remote, un po’ più grande e maneggevole Si tratta di una situazione chiaramente
torna al sommario
estrema, ma che potrebbe rivelare, oltre ai limiti della
codifica a 8 bit degli attuali dischi, anche un’insufficiente granularità nel controllo delle basse luci da
parte del pilotaggio del pannello. Professionalmente
siamo portati a cercare il proverbiale pelo nell’uovo,
ma ci sembra un particolare interessante da riportare.
Del resto la tecnologia OLED è ancora nuova e c’è
ancora molto da imparare su questi pannelli.
Altro aspetto che era critico sul modello full HD era
quello dell’uniformità. A livello di colorimetria, una
schermata grigia rivela significativi miglioramenti rispetto al precedente modello 55EC930: non è ancora
perfetta (ma quale TV lo è?), ma sicuramente non ci
troviamo dinanzi a variazioni così evidenti nel bilanciamento del bianco nelle varie aree dello schermo.
Permane invece un problema di uniformità sulle basse luci, che risulta particolarmente evidente tra lo 0
e il 5% di segnale e via via va scomparendo fino al
15%. Premessa: si tratta di qualcosa che nel 90% dei
contenuti reali non vedrete mai, ma il problema c’è. In
pratica, visualizzando una schermata uniforme particolarmente scura si notano una vignettatura ai bordi
e delle bande verticali nella parte centrale. Quest’ultime, durante la visione di film, non le abbiamo mai
notate, ma la vignettatura con video particolarmente
scuri può diventare visibile, tanto più con schermate
di app o menù dei dischi. A meno di non conoscere
alla perfezione certe scene è probabile che difficilmente ce se ne accorga, ma sicuramente si tratta di
un aspetto su cui LG ha bisogno di lavorare ancora
molto, prima di poter parlare di televisore definitivo
dal punto di vista della qualità video.
Prima di chiudere un’ultima nota sull’audio integrato
che è davvero di ottima qualità. Pur non potendo offrire i bassi di un impianto stereo o multicanale separato, il TV di LG offre una risposta molto equilibrata
sia con la musica che soprattutto con i dialoghi, con
un’ottima timbrica, alte frequenze prive di asperità e
un registro medio dettagliato e preciso. A nostro avviso comunque, un TV di questa classe va abbinato a
un impianto home theater come si deve, punto.
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST È appena uscito iOS 9 per iPhone e iPad, ultima release del sistema operativo mobile Apple. Lo abbiamo testato per voi
iOS 9 in prova: conviene aggiornare iPhone e iPad?
Tante piccole novità, ma anche cose già viste altrove. Vediamo cosa c’è di nuovo e scopriamo perché conviene aggiornare
I
di Emanuele VILLA
l gran giorno di iOS 9 è arrivato. iOS 9 non rappresenta un cambio epocale, ma un aggiornamento ricco di tante piccole novità che gli utenti iOS stavano
aspettando da tempo. Una giusta premessa, perché
molte delle cose che Apple ha aggiunto sul nuovo
iOS 9 erano già da tempo disponibili per Android o
Windows Phone, e scorrendo l’elenco delle novità o
delle piccole migliorie ci si stupisce anche di come
sia possibile che Apple alcune cose non le abbia mai
fatte prima. La più banale, ma è solo un esempio, è il
tasto “shift” per le maiuscole della tastiera: fino ad iOS
8 non si capiva mai se “shift“ fosse premuto o no, iOS
9 invece per farcelo capire cambia le lettere della tastiera da minuscole a maiuscole. Una sciocchezza, un
dettaglio se si vuole, ma in iOS 9 di dettagli di questo
tipo ce ne sono davvero tanti. Dopo aver giocato nel
corso della beta con le varie release che Apple ha
messo a disposizione, abbiamo finalmente installato
su un iPhone 6 la versione finale di iOS 9 già distribuita agli sviluppatori, la stessa che sarà disponibile per
tutti domani sera.
iOS 9, viste anche le similarità con iOS 8, sarà installabile da tutti coloro che hanno già installato l’attuale
versione: si parte da iPad 2 e iPhone 4S, anche se
come sempre i possessori di un modello datato di melafonino dovrebbero attendere qualche report prima
di premere “aggiorna”. In realtà iOS 9 è nato per essere un po’ più snello e per girare meglio su dispositivi
più datati, grazie alla riscrittura in Swift della maggior
parte del sistema operativo e all’uso di Metal per app
e rendering grafico, ma solo il tempo dirà se Apple
ha lavorato bene. Chi ha uno smartphone da 16 GB
non dovrebbe avere grossi problemi con l’aggiornamento: l’update OTA dovrebbe richiedere solo 1.4 GB
di spazio libero sul dispositivo (usiamo il condizionale
perchè noi abbiamo usato il ripristino completo): se
ancora non dovesse bastare Apple chiederà di cancellare alcune apps che verranno reinstallate automaticamente al termine dell’aggiornamento.
video
lab
La prima novità visibile dopo aver aggiornato ad iOS
9 è la font: Apple ha sostituito il suo storico Helvetica
con un nuovo font realizzato per il web e per valorizzare gli schermi Retina: si chiama San Francisco.
Pochi noteranno subito la differenza, anche perché
sono molto simili, in ogni caso basta guardare la G e
le R maiuscole per accorgersi di come San Francisco
sia più netto e meno arrotondato. La seconda novità
la si nota in fase di setup: il codice di sicurezza da 4
cifre passa a 6 cifre, una piccola noia per gli utenti di
iPhone 4S e 5 privi di Touch ID. I cambiamenti principali, piccoli ritocchi grafici a parte, vanno nella direzione richiesta da tutti: prestazioni, usabilità e batteria.
Per quanto riguarda le prestazioni non abbiamo notato alcun rallentamento su un iPhone 6 Plus, segno
che comunque il numero maggiore di operazioni in
background non impatta sulle performance generali,
mentre per la batteria finalmente arriva una modalità
a basso consumo e una sezione che permette un controllo granulare delle app che consumano di più.

Nel menu notifiche è comparso un nuovo widget con
l’indicatore di carica per iPhone e eventuale Watch
collegato, mentre nel menu impostazioni c’è un uti-
torna al sommario
lissimo menù che offre una panoramica dei consumi
divisi per applicazioni. Grazie al nuovo menu batteria
è facile identificare subito la causa di problemi di autonomia, come un gioco mal progettato o una applicazione che fa uso intensivo della rete in background.
Abilitando la modalità risparmio energetico vengono
disabilitate automaticamente alcune funzioni di iOS: le
app in background non vengono aggiornate, gli effetti
grafici disabilitati e la ricezione della mail da push, se
attivata, diventa manuale. Ad occhio, ma non ci sarà
mai un dato preciso, si guadagnano circa dai 30 ai 60
minuti di autonomia in più.
iOS 9 rivoluziona anche Siri: l’assistente vocale impara un po’ da Google Now e un po’ da Cortana,
diventando più proattivo: una nuova schermata, raggiungibile con un colpo di pollice verso destra dalla
prima “home”, suggerisce le applicazioni più usate, i
contatti più frequenti e le news del giorno. Questo in
realtà è un po’ un work in progress: le notizie arrivano
solo da Corriere, Repubblica e il Sole 24 Ore e non
si aggiornano in base alle preferenze degli utenti, e
pure i suggerimenti per le app necessitano di un po’
di “allenamento” per iniziare ad essere corretti.
segue a pagina 36 
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
TEST
iOS 9 in prova
segue Da pagina 35 
Migliora anche la ricerca con Spotlight: si può chiedere un risultato di calcio, il meteo o un numero di
telefono direttamente nella barra di ricerca, anche se
non sempre il risultato è perfetto. Siri, ad esempio,
scambia la Juventus con il Torino, cosa che potrebbe
renderla decisamente antipatica a una buona fetta di
tifosi italiani. Spotlight ora cerca anche all’interno delle app, sempre che gli sviluppatori abbiano predisposto l’app per questa funzione.
Tolti questi due elementi iOS 9 è un insieme di tantissime piccole novità, nessuna così eclatante ma tutte
molto gradite. Tra queste l’app iCloud Drive: Apple ha
realizzato una applicazione per navigare all’interno
del proprio spazio iCloud, utile quasi esclusivamente
per salvare gli allegati, modificarli e spedirli con una
nuova mail. L’app di iCloud Drive non è però paragonabile a quelle di Dropbox, Drive o OneDrive, molto
più complete e funzionali: non si può, ad esempio,
creare una nuova cartella, va fatto da web, ma si possono eliminare o rinominare cartelle. Apple probabilmente non vuole dare sull’iPhone una esperienza
tropo da “computer” limitando le operazioni possibili
con i file. Oltre ad iCloud Drive, chi ha aggiornato si
troverà altre tre cambiamenti in fatto di app: Wallet,
Trova iPhone e Trova Amici. Wallet è Passbook che
ha cambiato nome e icona, mentre le altre due sono
app già esistenti che ora Apple pre-installa e impedisce di rimuovere. Una panoramica delle app e delle
impostazioni ci permette di trovare altre feature più o
meno visibili, come la possibilità finalmente di cercare
nelle impostazioni, opzione preziosa vista la quantità
di regolazione ormai permesse da Apple. Navigando i
menu infatti si scopre poi che iOS 9 permette di cambiare la risoluzione di ripresa video e che ha un sistema chiamato Wi-fi Assist: il primo è utile con i nuovi
iPhone 6S, in quanto permette di registrare in Full HD
al posto del 4K mangiaspazio, il secondo invece per-
MAGAZINE
mette di passare automaticamente alla connessione
3G o LTE nel caso in cui il Wi-fi non sia stabile. Attenzione ad attivarlo con un piano dati da 2 GB: nel caso
di streaming video e Wi-fi debole ci si potrebbe trovare davanti a brutte sorprese. Durante la registrazione
dei video è ora possibile attivare il flash LED: prima
non si poteva.
I possessori di iPhone, iPad e Macbook saranno felici di trovare nel menu impostazioni una gestione del
routing delle chiamate Handoff: se con iOS 8 all’arrivo
di una chiamata suonava ogni dispositivo, con iOS 9
si può decidere di gestire l’inoltro solo su uno o più
iDevice.
Cambiano anche le notifiche: la visualizzazione di default è ora per data e non per applicazione, anche se
si può tornare al raggruppamento per applicazione
dal menu di configurazione.
Passando alle app più usate Apple ha lavorato molto
su Mail, Safari e Note. Mail, oltre alla possibilità di gestire allegati di ogni tipo, caricandoli da iCloud, integra
ora anche gli strumenti Markup per aggiungere note e
appunti ad una immagine allegata, novità questa ereditata dalla versione desktop presente su Yosemite.
Inoltre sempre mail permette ora la gestione di gruppo delle email, e aggiunge un nuovo toggle “segna
come non letto” sfruttabile anche con una gesture (la
funzione c’era però anche in iOS 8).
Safari, il browser web, guadagna una nuova modalità
di lettura con possibilità di gestire font e dimensione
del testo, il salvataggio delle pagine nelle Note e la
creazione di PDF dalle pagine web. Inoltre è stata
spostato il tasto di richiesta della modalità desktop,
molto più accessibile. Utile in certi casi la possibilità di
caricare un documento o un file in una pagina web: il

documento dev’essere però disponibile su iCloud.
Completamente riscritta l’app Note: può gestire elementi copiati da altre app (schermate web ad esempio) e integra strumenti di scrittura e disegno, con tanto di righello per tirare linee dritte. Un grande passo
in avanti: se quello di prima era un semplice blocco
appunti, il nuovo Note diventa una applicazione completa e funzionale sfruttabile soprattutto su un iPad.
torna al sommario
Una nota infine per le donne: l’impegno di Apple nel
campo della salute prevede l’aggiunta nell’app Salute di una sezione dedicata alla Salute Riproduttiva: si
può tenere traccia di attività sessuale e mestruazioni,
dati da utilizzare poi congiuntamente ad altre app che
ne fanno richiesta. Per quanto riguarda l’iPad le novità
guardano soprattutto all’iPad Pro: Slide Over, Split View
e Picture in Picture permettono la gestione finalmente
di due applicazioni contemporaneamente. Slide Over
permette di accedere ad un app secondaria senza
chiudere quella principale, sfruttando una sorta di wid-
get nella sidebar. SplitView è un verso split screen,
due app attive nello stesso istante con lo schermo
diviso in due. Picture in Picture, invece, permette di
visualizzare un video in una piccola finestra mentre
stiamo usando una applicazione in primo piano.
Considerando le risorse richieste da tali operazioni,
soprattutto il carico a livello grafico, Apple non le ha
rese disponibili per tutti gli iPad: Picture in Picture e
Slide Over sono disponibili su iPad Pro, iPad Air e iPad
mini a partire dalla seconda generazione, mentre Split
View è disponibile su iPad Pro, iPad Air 2 e iPad mini
4. PiP necessita di applicazioni pensate per quello: Infuse e altri player video, al momento in cui scriviamo,
ancora non sono ancora ottimizzati per questa funzionalità. Una nota infine sull’usabilità: spesso una applicazione apre in una nuova finestra Safari, per dare
una conferma o visualizzare una pagina web, passaggio questo che costringeva ad utilizzare il multitasking
per tornare indietro. Ora, con iOS 9, è comparso nella
barra delle applicazioni un piccolo link per tornare all’applicazione precedente.
iOS 9 racchiude tante altre piccole migliorie d’interfaccia, scorciatoie e tweak per rendere più semplici
operazioni che prima non si potevano fare e ora sono
possibili, ma va anche detto che in Italia siamo anche
penalizzati per l’assenza di alcune delle top features:
l’app News ancora non c’è, Apple Pay neppure e
nemmeno le nuove Mappe, con la navigazione pedonale, sono disponibili nelle città italiane.
Concert for one
Cuffia P3. Un mix di alta qualità sonora e comfort di lusso, frutto della fusione calcolata e calibrata tra materiali pregiati e tecnologie raffinate. Nata dalla penna di Morten Warren, lo stesso creatore dello Zeppelin Air iPod Speaker, la P3, disponibile in 4 colori, nero, bianco, rosso e blu, ne conserva la personalità, il talento sonoro e la frequentazione privilegiata, ovvero l’iPod e l’iPhone dai quali estrapola il meglio dei conte-
nuti sonori, ne integra la funzionalità e la cosmetica. P3 è infatti dotata di un cavo con comando per iPod/iPhone con microfono e controllo volume/salto-traccia, utilissimo per tutti gli
amanti dei player firmati dalla mela argentata. Ma –ovviamenteP3 è "anche" una cuffia Hi Fi tradizionale di elevatissimo livello,
da poter collegare a qualsiasi sorgente standard, tramite il
cavo a corredo intercambiabile con quello per player Apple.
Zeppelin e Zeppelin Air sono marchi registrati di B&W Group Ltd. AirPlay, iPod, iPhone e iPad sono marchi di Apple Inc. registrati negli Stati Uniti e in altri paesi.
www.audiogamma.it
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST Abbiamo provato il nuovo dispositivo Huawei disponibile in due versioni, da 32 e 64 GB, presto in vendita a 649 euro
Huawei Mate S alza un po’ l’asticella della qualità
Uno smartphone bello, potente e costruito a regola d’arte. Basterà per spaventare la concorrenza nel panorama Android?
di V.R. BARASSI
nnunciato nel corso dell’IFA 2015 di Berlino,
Huawei Mate S è lo smartphone con il quale il
produttore cinese ha deciso di affrontare tutti i
big del mercato giusto in tempo per l’ormai prossima
sessione di vendite pre-natalizia. Il dispositivo viene
proposto in due versioni, una da 32 GB di memoria
fisica e una seconda con un quantitativo doppio (64
GB) mentre la variante da 128 GB con Force Feedback
- tanto chiacchierata - pare destinata a non arrivare mai
in Europa. Per questa prova Huawei ci ha inviato il dispositivo nella sua versione entry-level da 32 GB nella
colorazione Titanium Silver (l’altro colore per l’Europa
sarà quello dorato Mystic Champagne); il tutto sarà
presto in commercio a 649 € (è già pre-ordinabile sullo
store ufficiale di Huawei, con consegne tra un mese),
prezzo di listino leggermente inferiore a quello di tutti i
principali concorrenti del panorama Android.
A
Linea da capogiro
qualità da primo della classe
Che questo Mate S sia nato per stupire lo si capisce
subito dalla elegantissima confezione di vendita scura, abbastanza grande, che una volta aperta mette
subito in mostra il gioiello di famiglia e che “nel doppio fondo” nasconde sapientemente quattro alloggiamenti destinati rispettivamente alla bellissima flip
case in pelle (con finestrella dalla quale è possibile
fare ben poco se non rispondere/rifiutare le chiamate), agli ottimi auricolari standard a doppia uscita con
finiture metalliche, al caricatore USB e al cavo di collegamento USB-microUSB. Se il buongiorno si vede dal
mattino è chiaro ed evidente di come Huawei si sia
messa in testa di fare le cose per bene e la sensazione si trasforma ancor più in certezza una volta estratto lo smartphone dal suo scompartimento poiché ci
vuole un attimo a capire come ci si ritrovi tra le mani
un dispositivo qualitativamente impeccabile. Mate S è
uno smartphone dalle dimensioni generose (149.8 x
75.3 mm) ma il display occupa quasi il 75% della por-
video
Huawei Mate S
HUAWEI FA SUL SERIO: LA STRADA IMBOCCATA È QUELLA GIUSTA
649,00 €
ab
l
Mate S è uno smartphone dal design decisamente riuscito che non farà fatica ad attirare l’attenzione degli utenti. Oltre al fattore estetico,
lo smartphone si contraddistingue per un ottimo mix tra hardware e software che collaborano molto bene a mantenere l’esperienza d’uso
sempre ai massimi livelli, senza mai incappare in rallentamenti o situazioni poco piacevoli. La batteria difficilmente vi lascerà senza energia
nel corso della giornata e se si vuole davvero trovare un difetto lo si deve ricercare nel comparto fotocamera, con il modulo principale da 13
Megapixel che risulta essere un po’ indietro se messo a diretto confronto con la concorrenza. Il prezzo di listino di 649 € è in linea generale
elevato ma assolutamente commisurato alle specifiche tecniche e soprattutto inferiore a quello di molti competitor. Quello di Huawei è
certamente un ottimo smartphone e siamo certi che, magari quando il prezzo risentirà del suo consueto calo fisiologico, potrà fare molto bene
sui mercati. Huawei sta continuando a sfornare eccellenti dispositivi e la concorrenza ha di che preoccuparsi; in primis di questo Mate S.
8.5
Qualità
9
Longevità
8
Design e costruzione
COSA CI PIACE di primissimo livello
Schermo AMOLED eccellente
Prestazioni generali
Design
Semplicità
COSA NON CI PIACE
9
8
COSA NON CI PIACE
zione frontale e questo, unito alle sottili cornici, fa sì
che il complesso risulti molto più piccolo di quello che
è realmente. Lo spessore di soli 7,2 millimetri è quello
massimo e corrisponde alla porzione più “bombata”
della curvatura posteriore poiché in prossimità dei
bordi Mate S offre un profilo che supera di poco il
mezzo centimetro, risultato senza dubbio eccellente
che non lo fa affatto sfigurare (anzi)
se messo in confronto con la più
diretta concorrenza del panorama
Android (e non solo). Tutto il dispositivo è stato integrato in una solida
struttura metallica con bordi rifiniti
in elegante alluminio satinato e una
porzione posteriore liscia al tatto,
anch’essa in alluminio. Il risultato
finale è un prodotto che pesa solo
156 gr e che grazie alle dimensioni
non troppo elevate e alle sapienti
curvature si impugna decisamente
bene; chi proviene da un device con
scocca posteriore in plastica però è
avvertito: attenti alla presa perché
le prime volte potrebbe sfuggirvi
di mano. Il retro è davvero molto
D-Factor
8
Prezzo
8
Browser web insufficiente
Niente video in 4K
Impostazioni EMUI
un po’ complicate
liscio, ma ci si fa l’abitudine. Ovviamente non vi è alcun tipo di scricchiolio ma, se davvero si vuol cercare
il pelo nell’uovo, abbiamo notato come la porzione
posteriore (che tende inevitabilmente a soffrire di
ditate e sporcizia) dia l’impressione di essere un po’
“vuota” in determinati punti; il 99% degli utenti non
se ne accorgerà neppure, ma provando a pigiare in
diversi punti si notano spessori differenti e provando
a premere con decisione nel centro della copertura di
alluminio posteriore si percepisce lontanamente una
certa sensazione di vuoto. Sempre sul retro trovano
spazio centralmente la fotocamera principale con
doppio flash LED (dual-tone) e poco più in basso un
sensore per il riconoscimento delle impronte digitali,
precisissimo oltre che velocissimo nella sua funzione
di rilevamento (siamo ai livelli di TouchID di Apple) e
posizionato in maniera accurata in modo tale da poter essere “azionato” con il dito indice della mano. È
possibile registrare fino a un massimo di 5 impronte
digitali. Come su altri device analoghi non si è potuto
fare a meno di inserire due “bande” orizzontali per favorire la ricezione dei vari segnali radio, elementi che
però non disturbano affatto il design di un dispositivo
sicuramente molto ben riuscito. Sul lato destro vi sono

segue a pagina 39 
torna al sommario
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST
Smartphone Huawei Mate S
segue Da pagina 38 
il bilanciere del volume e il tasto di blocco/sblocco del
device, quest’ultimo caratterizzato da una finitura ruvida che ne permette il facile riconoscimento; sul lato
sinistro vi è l’apposito carrellino per inserire nano SIM
e scheda microSD fino a 128 GB; la porzione superiore presenta il jack da 3,5mm e uno dei tre microfoni (per il riconoscimento dei rumori di fondo delle
chiamate), mentre in basso c’è spazio per l’ingresso
microUSB, per due griglie simmetriche (ma solo una è
per l’altoparlante) e per le uniche due viti visibili sulla
scocca.
Il Quad HD non serve
Spazio a un ottimo AMOLED Full HD

Incassato alla perfezione nella solida scocca metallica,
frontalmente c’è un vetro Gorilla Glass 4 con effetto
“2.5D” - quindi con bordi arrotondati ed effetto “quasi
3D” - che nasconde un fantastico display da 5,5 pollici basato sulla tecnologia AMOLED. Quello scelto da
Huawei è un pannello di incredibile qualità che non
ha nulla da invidiare agli analoghi componenti presenti sui modelli di punta degli agguerriti concorrenti.
La risoluzione non è Quad HD come molti si sarebbero aspettati bensì Full HD che, con 1920x1080 pixel
e su questa diagonale riesce comunque a strappare
il risultato di 401 ppi, il che significa che i pixel non
si vedono in nessun frangente. Come ogni AMOLED
che si rispetti gli angoli di visione sono estremi, il nero
è assoluto e il contrasto è elevatissimo; molto buona la riproduzione - sempre molto accesa - di tutte
le principali tonalità e buona è anche la luminosità
massima che garantisce la visione anche sotto la forte luce del sole. L’impostazione predefinita assicura il
giusto compromesso ma tra le opzioni è anche possibile “tarare” il display a proprio piacimento, virando su
tonalità più fredde oppure più calde. Inutile dire come
nell’utilizzo quotidiano un display di questo genere
invogli letteralmente all’utilizzo: che sia per guardare
fotografie o per scorrere un po’ “a caso” tra i menù e
le app, il pannello risulta sempre una gioia per gli occhi. La versione in colorazione Titanium Silver da noi
testata presenta, inoltre, le cornici nere, elemento che
aiuta non poco a far emergere la bontà del pannello e
contribuisce tantissimo a rendere ancora più elegante
Huawei Mate S, soprattutto se si sceglie di utilizzare
un wallpaper il cui nero la fa da padrone. Se la risoluzione del pannello ci è sembrata assolutamente adeguata alla dimensione dello stesso, possiamo altresì
affermare che i 5,5 pollici di diagonale sono “giusti”
per questo dispositivo; il design ergonomico facilita
l’utilizzo con una mano sola e ad aiutare ulteriormente
l’utente c’è anche una funzionalità della EMUI (Emotion UI) che permette di ridurre le dimensioni dell’interfaccia così da poter gestire il tutto con il pollice. Basta fare uno swipe a destra o a sinistra sulla barra dei
pulsanti virtuali (personalizzabile, sul frontale non vi
sono tasti fisici) e il gioco è fatto. La porzione anteriore
del dispositivo è completata dalla capsula auricolare,
dalla fotocamera frontale e da un piccolo e alquanto
elegante LED di notifica posto nella porzione sinistra
con a fianco un discreto flash - sempre LED - pensato
torna al sommario
per gli autoscatti. Non mancano, ovviamente, sensore
di prossimità e di luminosità, quest’ultimo molto veloce e preciso nella regolazione.
Potenza da vendere
Ma c’è chi va più forte
Da ogni top di gamma degno di questo nome ci si
aspetta - giustamente - il meglio del meglio sotto il
profilo strettamente tecnico e Huawei ha deciso
di equipaggiare il suo nuovo Mate S con un SoC
HiSilicon Kirin 935 il quale porta in dote otto core,
quattro dei quali con clock massimo a 2,2 GHz e
altrettanti a 1,5 GHz, che lavorano sapientemente
con i 3 GB di memoria RAM installati a bordo e la
GPU Mali-T628 MP4 680M. Chi si aspettava il solito
Snapdragon di Qualcomm resterà deluso ma chi avrà
modo di scegliere Mate S non farà assolutamente
caso a questo “dettaglio” poiché, nell’utilizzo quotidiano, la piattaforma Kirin 935 - abbinata ad Android
5.1.1 - fa straordinariamente bene il suo lavoro e non
fa rimpiangere le più blasonate soluzioni Qualcomm.
Nonostante i benchmark facciano segnare punteggi
inferiori rispetto ai modelli di punta della concorrenza
(e non di poco, con AnTuTu ci si ferma a circa 44.000
punti), Mate S si comporta egregiamente in ogni frangente, pagando qualcosa solamente nel gaming 3D,
ambito in cui si sente la mancanza di un framerate più
costante e di qualche dettaglio grafico in più. Tutte le
operazioni si eseguono senza il benché minimo lag e
anche provando ad esibirsi in sessioni di multitasking
sfrenato Huawei Mate S non vi lascerà mai “a piedi”,
segno di un’ottimizzazione davvero encomiabile; ottime anche le prestazioni nella riproduzione dei filmati (tutto bene fino a 1080p), seppur ci sia bisogno di
player di terze parti per i formati audio più complessi.
Come abbiamo anticipato all’inizio di questa recensione, sono 32 i GB installati a bordo della versione
d’ingresso di questo Huawei Mate S, di cui circa 24
realmente disponibili per l’utente. Se il quantitativo
non risulta sufficiente alle vostre esigenze potrete optare per la più costosa versione da 64 GB oppure po-
trete scegliere di installare una scheda microSD con
capacità fino a 128 GB.
EMUI promossa
Ma si può ancora migliorare
Mettendo in secondo piano il design, indubbiamente
l’aspetto più riuscito del dispositivo in oggetto, quel
che più stupisce di Mate S è come questo riesca quasi
sempre ad essere semplice e immediato. Il merito è
della EMUI realizzata da Huawei, qui nella versione
3.1, la quale aiuta non poco l’utente a districarsi tra
icone e menù vari; innanzitutto non vi è un vero e proprio app drawer a cui accedere tramite pulsante (cosa
abbastanza usuale in ambiente Android), poiché una
volta sbloccato il dispositivo l’utente sarà già dinanzi a
tutte le icone delle applicazioni installate organizzate
su più desktop. Non si fa fatica a scorgere più di una
analogia tra questa impostazione e quella affermatasi
in iOS ma, sinceramente, non vediamo alcun male in
tutto ciò: Huawei ha la sua filosofia e non c’è motivo
di sparare a zero su una cosa forse non proprio originale ma decisamente funzionale. Se poi proprio non
piace si può tranquillamente andare sul Play Store e
scaricare il proprio gestore preferito… Lo smartphone giunge all’utente con sei diversi temi pre-installati
ma tramite l’apposita applicazione - chiamata “Temi”
- è possibile accedere a un vasto database nel quale selezionare e scaricare quello più congeniale. Ce
ne sono centinaia con diverse combinazioni di colori,
sfondi e icone: impossibile trovarne uno che non piaccia sul serio. Il tema predefinito è forse un po’ “anonimo” ma Huawei ha probabilmente deciso così per
non spaventare nessuno. La schermata di blocco è
abbastanza essenziale e anche qui si notano bene le
somiglianze con iOS: grande orologio centrale nella
porzione superiore, pulsante fotocamera in basso a
destra (si aspre facendo lo swipe verso l’alto) e barra
dell’orologio/icone/notifiche ben in vista in alto (tra le
opzioni si può decidere di nascondere la dicitura dell’operatore telefonico). A differenza di iOS non è possegue a pagina 40 
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST
Smartphone Huawei Mate S
segue Da pagina 39 
sibile aprire la tendina superiore a schermo bloccato
(se sia un pregio o un difetto lo lasciamo al vostro giudizio), mentre effettuando lo swipe dal basso verso l’alto
si apre un piccolo menù con quatto icone per aprire rispettivamente registratore vocale, calcolatrice, fotocamera e accendere il flash tipo torcia. C’è la possibilità di
attivare il pannello con il doppio tap sul display e molto
particolare è la funzionalità che permette di effettuare
ritagli di schermate “disegnando” con due nocche sul
display oppure lanciare determinate applicazioni “scrivendo”, sempre con due nocche, lettere a schermo;
seppur non impeccabile a noi ha sempre funzionato
piuttosto bene. Inoltre, facendo un doppio tocco netto
(molto netto!) con una nocca è possibile salvare una
schermata, mentre facendo un deciso doppio tap con
due nocche si farà partire una registrazione video (in
risoluzione HD o mini) di quello che si sta facendo con
il telefono. Non c’è il Force Feedback ma per ora va
bene così. Buone e immediate le applicazioni Galleria
(segnaliamo la possibilità di muoversi tra le immagini
effettuando gesture sul lettore di impronte digitali), Musica e Video, nella norma l’app dedicata alla posta elet-

tronica (e c’è anche Gmail preinstallata), minimal quella
dedicata alle note mentre manca una vero e proprio
reminder. Apprezzabile è la scelta di Huawei di pre-installare l’app Gestione Telefono dalla quale, in modo
estremamente semplice, è possibile liberare memoria,
eliminare file non necessari, tenere sotto controllo le
app che consumano più batteria e chiudere tutte le
app rimaste aperte in background. Meno felice, invece,
è stata la scelta del browser di sistema: il software è
molto indietro se paragonato alle proposte della concorrenza e viste le sue prestazioni decisamente sottotono (sia in quanto a velocità che in qualità del rendering, alcune pagine vengono caricate proprio male)
costringe all’utilizzo di un browser di terze parti. Meno
male che lo smartphone ha già Chrome pre-installato
a bordo il quale, nonostante non sia perfetto (ma lo si
sa), funziona molto bene. Altro frangente in cui la EMUI
può migliorare è quello relativo alle impostazioni: le
opzioni sono tantissime (che è sinonimo di possibilità
di personalizzazione estreme) ma non sono organizzate bene. Per trovare una determinata impostazione si
fa prima ad utilizzare l’apposita funzione di ricerca ma
anche così facendo un utente non proprio smaliziato
torna al sommario
potrebbe sovente rimanere perplesso. Da segnalare,
infine, la presenza di un assistente vocale in grado di
assecondare le più essenziali richieste dell’utente, ma
che non è ancora in grado di riconoscere la lingua italiana (c’è solo l’inglese). Una volta attivato e configurato
(bisogna impostare una parola chiave per “svegliare” il
sistema) sarà in modalità always-on; ottima la capacità
di comprensione della voce dei tre microfoni, capaci di
sentire abbastanza bene anche a distanza di qualche
metro. Se si domanda “Where are You?” (ovviamente
dopo aver pronunciato le parole chiave) lo smartphone
inizia a suonare, a vibrare, a far lampeggiare i LED e a
dire “I’m Here!” fino a quando non si agirà direttamente
sul device per stoppare il tutto. Decisamente originale
e utile soprattutto per chi è solito lasciare il telefono
qua e là per la casa.
Niente filmati in 4K ma buone foto…
di giorno
Composto da un modulo principale da 13 Megapixel e
da uno secondario frontale da 8 Megapixel, quello di
Mate S è sulla carta un comparto foto/video di tutto rispetto. Sul campo, però, i numeri non contano poi così
tanto e le prestazioni non sono sempre commisurate
alle aspettative: Huawei ha fatto del suo meglio per
offrire la massima qualità possibile (spingendo molto
su questo tasto anche in sede di presentazione), ma
il risultato finale, seppur oggettivamente molto buono,
non ci ha pienamente soddisfatti e viste le premesse si
sarebbe sicuramente potuto fare di meglio. Sia chiaro,
il sensore da 13 Megapixel con lente grandangolare
f/2.0 ha indubbie qualità in condizioni di luminosità ottimali (anzi, a volte stupisce per la bontà degli scatti) e
l’applicazione Fotocamera a supporto è sempre molto
rapida, ma appena la luce inizia a calare emerge più di
un limite - forse non tutto da affibbiare all’hardware - in
quello che possiamo considerare “solo” un buon modulo, che dà la sensazione di avvicinarsi molto ma non
eguaglia né - ovviamente - sopravanza in prestazioni
gli analoghi installati a bordo, tanto per citarne alcuni,
LG G4, Samsung Galaxy S6 o iPhone 6 (in attesa del
6S). Si tratta certamente di un modulo degno di un top
di gamma, ma forse si poteva fare un piccolo sforzo in
più. Detto questo, sarà davvero difficile ottenere foto
brutte, soprattutto in macro, certamente il frangente in
cui questo Mate S si difende meglio; grazie all’ampia
apertura dell’obiettivo e alla stabilizzazione ottica (alla
quale è possibile aggiungere anche quella digitale, disabilitata di default) non si farà fatica a scattare senza
flash anche di sera. Buono il bilanciamento del bianco
e molto rapida e precisa è la messa a fuoco; segnaliamo un certo grado di distorsione dell’immagine dovuta
al grandangolo che però non influisce più di tanto sulla
qualità complessiva degli scatti. Presente una modalità “professionale” attraverso la quale selezionare in
prima persona tutti i parametri di scatto. Carina la modalità a lunga esposizione Light Painting che permette
di immortalare scie luminose durante la notte. Poche
note di merito anche se si considerano le possibilità di
registrazione video dove Mate S non va oltre una risoluzione massima di 1920x1080 pixel a soli 30 frame per
secondo. Ovviamente non c’è la possibilità di registrare in slow motion o in timelapse, e qualche simpatica
chicca sparsa qua e là non riescono a migliorare più
di tanto il giudizio poco più che sufficiente su questo
aspetto. I video sono buoni e la stabilizzazione aiuta,
ma più che del 4K (l’hardware non permette la riproduzione di file Ultra HD) si sente la mancanza di una modalità di registrazione a 60fps. Decisamente più azzeccata, invece, è stata la scelta della fotocamera frontale
da 8 Megapixel con sensore retroilluminato la quale
è capace di garantire buonissime fotografie anche in
condizioni di scarsa illuminazione; il merito non è solo
del sensore ma è da attribuirsi anche al flash LED frontale posizionato al fianco del piccolo LED di notifica,
soluzione che permetterà sempre selfie di buonissima
qualità. Presente anche la modalità “Bellezza” la quale
assicura la possibilità di modificare “al volo” gli scatti
ottenuti con la camera frontale andando a modificare
grandezza e illuminazione degli occhi oppure permettendo di snellire il volto e rendere più bianca e liscia la
pelle. Non una funzione rivoluzionaria ma a qualcuno,
soprattutto ai più giovani, piacerà.
Autonomia nella media
Connettività (quasi) completa
La combinazione tra SoC Kirin e schermo AMOLED fa sì
che Mate S, pur con una batteria da soli 2700mAh (ovviamente non rimovibile), riesca sempre ad arrivare al
termine della classica giornata di lavoro. Certo, vi sono
poche speranze di superare - eventualmente - la notte
(che si porta via un buon 15% di carica) ma tutto sommato non ci si può lamentare poiché alla fin fine anche i
diretti concorrenti non è che siano in grado di fare molto meglio. Presenti diversi profili per il risparmio energetico con il più aggressivo (denominato “Ultra”) che
lascia attive solo le funzionalità essenziali di chiamata
e messaggistica e che
permette di strappare
anche un paio di ore abbondanti in condizioni
di estrema emergenza.
Parlando di connettività, Huawei Mate S offre
tutto quello che si può
desiderare e non manca
di Bluetooth 4.0 (A2DP)
con NFC, GPS e GLONASS e modulo Wi-Fi
802.11 b/g/n. Assente la
banda wireless a 5 GHz
ma, sinceramente, se ne
può anche fare a meno.
Il comparto telefonico
è solido e garantisce la
ricezione di un buon segnale 4G/LTE anche in luoghi
dove altri telefoni fanno fatica; per quanto riguarda le
chiamate possiamo tranquillamente lodare il sistema
di eliminazione dei rumori di fondo basato su tre microfoni (in determinate situazioni sembra addirittura
non esservi nessuno dall’altra parte della cornetta!), il
quale però ha il limite di partecipare all’elaborazione
di un audio dal volume forse un po’ troppo basso, anche al massimo valore possibile. Buono l’altoparlante
principale e valide anche le cuffie (non in-ear) a doppia
uscita caratterizzate da finiture metalliche.
n.118 / 15
23 SETTEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST Abbiamo provato l’iPod Touch per tutta l’estate come strumento di gioco, player multimediale e come fotocamera
Ha ancora senso un iPod Touch a 2015 inoltrato?
A prescindere dalle prestazioni (molto buone), l’iPod è ancora indispensabile in un mondo dominato dagli smartphone...
È
di Emanuele VILLA
l’icona della musica liquida e del nuovo modo di
ascoltarla fuori casa, ma ha ancora senso in un
mondo dominato dagli smartphone, iOS o Android
che siano? Stiamo parlando dell’ormai leggendario
iPod, che Apple mantiene in gamma nelle versioni Touch, Nano e Shuffle pur senza dedicargli la medesima
considerazione degli anni di gloria. Il recentissimo rinnovamento della gamma Touch ci ha dato l’occasione
per viverci un po’ insieme, portandolo in giro e usandolo come principale strumento multimediale e come
foto/videocamera, ma soprattutto per affiancarlo al
nostro solito smartphone (un iPhone 5s) per scoprire
se – effettivamente – l’iPod abbia ancora un senso in
un mondo ormai dominato dagli smartphone. Il dubbio riguarda proprio la versione Touch, perchè Nano e
Shuffle hanno senza dubbio un ruolo interessante nella
gamma Apple, ma il Touch, quello che sembra semplicemente un iPhone che non telefona? Partiamo dicendo che le sue dimensioni sono del tutto sovrapponibili
(spessore escluso) a quelle di iPhone 5s: frontalmente
è proprio uguale all’iPhone 5 (manca il Touch ID), mentre come spessore c’è un buon 20% in meno. Essendo
estremamente colorato, cattura l’attenzione dei curiosi.
È dunque un iPhone 5 di fuori, con la scocca in alluminio
sottilissima che ricorda iPad Air 2 e con caratteristiche
tecniche di alto profilo che si sovrappongono a quelle di
iPhone 6. Ha Wi-Fi ac, il chip A8 di ultima generazione,
la fotocamera iSight da 8 mpixel, iOS 8 nativo, iTunes e
Apple Music, ma soprattutto ha una dotazione di storage che può raggiungere i 128 GB integrati, contro i 16
GB massimi del Nano e i 2 GB dello Shuffle.
Tre settimane
con iPhone e iPod Convivenza possibile?

Scopo di questo servizio non è tanto testare le potenzialità di iPod Touch di ultima generazione, quando capire se effettivamente il capostipite dei dispositivi mobile Apple abbia ancora un suo mercato a 2015 inoltrato.
Che sia un buon apparecchio è indubbio: come riproduttore musicale si avvale di Apple Music per ascoltare
i brani sotto Wi-Fi o scaricarli nella memoria integrata
(che può arrivare a 128 GB) per l’ascolto offline, per il
gaming ha tutta la potenza che vuole grazie al SoC A8,
è bello da vedere, leggero e versatile. Non telefona e
non ha connettività cellulare, ma come dispositivo multimediale ha davvero tutto ciò che serve, compreso il
display retina. Il costo di accesso non è male, nel senso
che tra i 239 euro di iPod 16 GB e i 729 di iPhone 6 c’è
un abisso e giustifica abbondantemente la minor versatilità. Quindi perché acquistare un iPod Touch nel 2015?
La prima ipotesi è di indirizzarlo a un target molto giovane: pensiamo al caso di un genitore che vuole regalare
un dispositivo iOS al figlio adolescente per il suo tempo libero ma senza l’impegno economico di un iPhone
dalle caratteristiche analoghe, che effettivamente costa
il triplo. C’è poi, ipotesi più fantasiosa, chi ha assolutamente bisogno di un’app o di un gioco esclusivo iOS e
torna al sommario
video
anche chi lo affianca al suo smartphone, dandogli una
posizione di supporto multimediale. Quest’ultimo – che
riconosciamo non essere il più rilevante - è stato il nostro caso. Durante le vacanze ci siamo trovati in tasca
sia un iPhone sia l’iPod Touch di ultima generazione e
abbiamo cercato di sfruttarne le possibili sinergie: essendo all’estero, l’abbiamo usato come riproduttore
musicale di brani preventivamente scaricati da Apple
Music, come foto/videocamera principale e come dispositivo per il gaming. L’esperienza di utilizzo è stata
positiva: l’unico limite dell’utilizzo multimediale è un po’
la luminosità del display che, nelle giornate assolate e
in outdoor, rende difficoltosa la lettura e soprattutto può
condizionare le riprese video.
In casi specifici è un valido comprimario
L’impressione derivante da 3 settimane di utilizzo è che
iPod Touch sia ancora un ottimo prodotto ma che viva
all’interno di un mercato molto ristretto, il che giustifica alla perfezione la minor enfasi data da Apple. Ipod
Touch ha infatti senso in ipotesi specifiche: quelle considerate più sopra e come supporto multimediale per
uno smartphone limitato in quanto a capacità di storage
e autonomia e che - per svariati motivi - non si vuole
cambiare. In tutti gli altri casi, lo smartphone è più che
sufficiente a fare tutto e la sovrapposizione tra i due apparecchi non giustificherebbe i 249 euro della spesa.
Il fatto che noi si fosse precisamente in quest’ultima situazione ci ha aiutato a schiarirci le idee: il nostro iPho-
lab
ne 5s da 16 GB stracolmo di app e di musica non può
essere impiegato come strumento per le riprese video
a meno di usare il cloud, ma quello pone il problema
della connettività che in vacanza non è mai scontata.
Inoltre, iniziare a registrare alle 9 del mattino in modo
intenso rende necessario il classico battery pack all’ora
di pranzo (se va bene), cosa che un iPod Touch in tasca
non fa. È stata dunque un’esperienza interessante: se
nella precedente vacanza dovevamo spesso collegare
l’iPhone al battery pack e scaricare i video giorno per
giorno, questa volta ha fatto tutto l’iPod. E non si può
neanche dire che sia fastidioso portarsi in giro due dispositivi: lo smartphone lo si dimentica in tasca, lo si usa
come telefono e come hotspot mobile per iPod, che a
sua volta è sempre a portata di mano poiché serve per
scattare foto, riprendere, ascoltare musica, navigare e
giocare. E a sera ci arriva sempre, anche in caso di uso
intenso. Unica accortezza è la custodia, perchè la scocca in alluminio tende a scivolare di mano con una certa
facilità, e lì son dolori. Poi ci rendiamo conto che in tanti
altri casi iPod Touch sia superfluo e non è assurda l’ipotesi che un giorno venga eliminato dalla gamma rientrando in tutto e per tutto negli iPhone. Oggi infatti con
una cifra più o meno analoga si può acquistare l’iPhone
di 2 anni fa o l’ultimo iPod Touch: il primo senza dubbio
più versatile, il secondo molto più potente sotto il profilo multimediale. E non mettiamo in dubbio che per una
fetta di pubblico sia più importante quest’ultimo: in tal
caso, l’ultimo iPod Touch non vi deluderà.
Le foto e le riprese diurne offrono un livello qualitativo apprezzabile, ma è innegabile una discreta perdita
di definizione dopo il tramonto, laddove la rumorosità si fa invadente.
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