n.122 / 15
16 NOVEMBRE 2015
Attentati di Parigi:
i servizi segreti
imbarazzati
incolpano
la PS4
Gli attentati di Parigi sono stati un brutale
attacco al cuore d’Europa. Un cuore, Parigi,
che aveva già pagato il suo pegno di sangue
con la strage di Charlie Hebdo dello scorso
gennaio. Un città che da allora ha vissuto
in stato d’allerta con misure di sicurezza
rinforzate. Che, alla luce dei fatti, non sono
servite a nulla.
Così’, insieme alle vittime, muore di fatto
anche l’intelligence occidentale. Il fatto che
si sia colpito Parigi, ancora una volta, ha
ovviamente una valenza simbolica importante per gli attentatori: le vostre precauzioni
- sembrano dire - non servono a nulla.
In queste ore il ministro dell’interno belga
(pare che la cellula che ha innescato la strage
venga da Bruxelles) ha indicato come possibili canali di comunicazione tra gli attentatori,
per l’opportuno coordinamento, l’utilizzo
della chat della PlayStation4. Molti organi di
stampa si sono affrettati a riportare questa
notizia, in maniera quantomeno avventata.
Innanzitutto verrebbe da chiedersi perché
PS4 e non PS3, per esempio, che si connette
anch’essa alla PlayStation Network. Per non
parlare del fatto che alcune testate hanno
iniziato, copiandosi l’un l’altra, a parlare
dell’utilizzo da parte degli attentatori di una
fantomatica PlayStation “4s”. Insomma,
parole in libertà.
Il ministro belga ha affermato anche che
intercettare le chat realizzate attraverso PlayStation 4 sarebbe molto più difficile che farlo
rispetto a quelle di WhatsApp, per esempio.
Certo è vero che le console offrono ambienti
di chat, sia vocale che testuale, anche all’interno dei giochi. Tenere traccia di tutti questi
canali paralleli e meno lineari delle normali
connessioni telefoniche è di certo un grande
problema. Ma Internet stessa, a prescindere
dalla PlayStation, può nascondere migliaia
di flussi di comunicazione difficilmente
tracciabili, criptati, sfuggenti anche agli 007
più dotati. Mettere la PlayStation sul banco
degli imputati ci sembra davvero ridicolo.
Soprattutto se a farlo è chi cerca così di
sfilarsi dallo stesso banco.
Parallelamente – ammesso che ce ne fosse
bisogno – il ministro degli interni belga ci
svela, indirettamente, che tutti gli altri sistemi
comunemente usati per comunicare sono
monitorati. Tutto quello che scriviamo su
WhatsApp, iMessage, chat di Facebook e
così via è sotto controllo. Non che la cosa ci
stupisca e anzi, alla luce dei recenti eventi
noi comuni cittadini che non abbiamo nulla
da nascondere, saremmo contenti di essere
controllati se questo servisse ad evitare stragi
come quelle di Parigi. Ma la sensazione è che
gli attentatori sappiano bene come sfuggire
alle intercettazioni, mentre i contenuti dei
controlli sulle nostre comunicazioni potrebbero facilmente cadere nelle mani sbagliate,
distruggendo la nostra privacy o quello che
ne resta. Va bene, dovremo abituarci ad
arretrare un po’ sul fronte della privacy in
nome della sicurezza collettiva. Ma almeno,
parallelamente, che vengano ammorbidite
anche le normative e i vincoli (alcuni assurdi)
relativi alla privacy nei quali si ingarbugliano
tutti i giorni semplici cittadini e lavoratori.

Gianfranco GIARDINA
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MAGAZINE
Niel, azionista Telecom Disponibile in Italia Tag Heuer presenta
contrario alla “falsa” il TV ULED 2.0
Carrera Connected
fibra, imbarazza TIM 05 di Hisense
10 smartwatch di lusso 12
Il TV OLED 4K Panasonic
costerà 9.999 euro
Il TX-65CZ950, il primo TV OLED 4K
di Panasonic, è progettato per essere
un riferimento. Ma la qualità costa cara
09
Stonex One, buona l’idea
ma il risultato è da rivedere
In prova Stonex One, lo smartphone nato
da un’idea italiana: costa la metà dei
top di gamma ma ha ancora troppi bug
31
IN PROVA IN QUESTO NUMERO
22
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Apple TV, molto più Lumia 950 e 950 XL Galaxy Tab S2
di un media player Windows 10 in tasca tablet Android al top
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iMac 4K, lo schermo Può un PC leggere Netgear X4S, nato
è spettacolare
le nostre emozioni? per lo streaming
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MAGAZINE
MERCATO Satya Nadella apre a Roma il #FutureDecoded, convention organizzata da Microsoft
Nadella, Microsoft:“Cambieremo il modo
di lavorare grazie a cloud e tecnologia”
Scopo della convention è presentare le nuove tecnologie e le opportunità per gli sviluppatori
U
di Roberto PEZZALI
na platea di oltre 5000 persone
ha accolto a Roma Satya Nadella:
il CEO di Microsoft ha voluto aprire
di persona i lavori del #FutureDecoded,
un forum promosso da Microsoft per far
conoscere a start up e sviluppatori italiani
le nuove tecnologie e gli strumenti che
Windows 10 mette loro a disposizione.
In un lungo intervento di oltre 40 minuti,
Nadella ha affrontato i tre temi che stanno più a cuore a Microsoft, con un focus
importante sul rapporto tra cloud e collaboration. “Il lavoro non sarà più il posto
dove andare tutte le mattine”, ha detto
Nadella dal palco, “ma semplicemente un obiettivo da raggiungere, senza
preoccuparsi di come lo si raggiunge e
da dove lo si raggiunge”. Microsoft punta
molto sul tema della collaborazione, della mobilità e ovviamente spinge al massimo sul cloud con Azure, la piattaforma
Microsoft che non deve essere vista
come qualcosa di cui preoccuparsi ma
come un’opportunità per ogni azienda e
sviluppatore che vuole dare una spinta
decisiva al suo business. “Ogni sviluppatore deve poter contare sulle opportunità
offerte dal cloud di Microsoft”, aggiunge
Nadella, “Vogliamo offrire gli strumenti
per dare più potere alle persone, che
grazie alla nostra infrastruttura non si
sentiranno più soli ma potranno organizzarsi abbattendo ogni barriera”. Nadella si illumina quando parla di start-up:
questa mattina a Roma ha avuto modo di
incontrare personalmente alcuni giovani
sviluppatori italiani che gli hanno illustrato
soluzioni geniali come Melixa, una piattaforma per gestire l’apicultura, HeartWatch, un wearable in grado di monitorare
l’aritmia e Baby Goldrake, un robot che
si controlla con il pensiero destinato ai
bambini che passano molto tempo rico-
verati in ospedale. Idee fantastiche, sviluppate interamente in Italia e che “non
sarebbero mai esistite senza l’intelligenza delle persone aiutata dall’intelligenza
artificiale dei server in cloud”, dice con
un pizzico d’orgoglio il CEO di Microsoft.
Ed è solo l’inizio: Nadella promette la fusione del mondo reale con quello digitale, traghettando l’uomo in un futuro dove
la tecnologia diventerà parte ancora più
integrante della vita umana: Hololens, il
visore di realtà aumentata che Microsoft
inizierà a distribuire agli sviluppatori all’inizio del prossimo anno, sarà la chiave
per aprire questa porta.
1.9 milioni di abbonati, ma Mediaset crolla in borsa
I broker ritengono troppo alti i costi e poco incoraggiante la raccolta pubblicitaria. Titolo a -8%
M

ediaset ha chiuso l’ultimo trimestre con risultati a incoraggianti,
eppure questo non è bastato.
Poco importa se il 2015 sarà in utile, se le
perdite (35,8 milioni) sono in calo rispetto
allo scorso anno (46,8 milioni) e se i ricavi si sono attestati a 2,414 miliardi, meglio
dei 2,387 miliardi dichiarati un anno fa,
la borsa punisce il titolo che fa registrare
un -8% in apertura che contrasta le ottime performance delle azioni da inizio
anno, un +38% che ha fatto sorridere chi
ha investito nelle azioni dell’azienda di
Cologno Monzese. Di chi è quindi la colpa? La raccolta pubblicitaria continua ad
essere un problema, e in questo scac-
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Portare la fibra
ottica in tutta Italia
approfittando
dell’infrastruttura
di rete elettrica Enel
Il progetto è possibile
Si partirà a breve
di Emanuele VILLA
MERCATO Mediaset annuncia i risultati finanziari del terzo trimestre2015: il trend è positivo
di Paolo CENTOFANTI
Enel porterà
la fibra ottica
in tutta Italia
chiere rientrano anche i costi di esercizio in crescita, costi nei quali rientrano
anche le quote da pagare alla Uefa per
i diritti TV della Champions League. Secondo Mediaset la strategia Premium sta
comunque pagando: Marco Giordano,
CFO di Mediaset Premium, ah dichiarato
che «I diritti esclusivi della Champions
League si sono confermati un “game
changer”. In un mercato pay tv che nei
principali paesi europei quali Gran Bretgana, Germania e Francia è sostanzialmente fermo o mostra crescite bassissime, Premium ha chiuso il terzo trimestre
– il primo che commercializzava la nuova
offerta – a 1.815.000 abbonati con una
crescita di 112.000 unità rispetto al 30
giugno 2015. Ad oggi sono in aumento
sia gli abbonati (circa 1.900.000) sia le
quote di mercato. In crescita costante
anche l’Arpu relativo ai nuovi clienti».
Mediaset è a quota 1.9 milioni di abbonati, e l’offerta da 19 euro che ha lanciato
nelle ultime settimane dovrebbe aiutare
a raggiungere il target di 2 milioni di abbonati entro la fine della stagione. L’aumento dei costi delle attività potrebbe
anche essere l’elemento che ha portato
l’azienda ad una riflessione sull’ambizioso piano di lancio della piattaforma
satellitare, una spesa importante sia dal
punto di vista strutturale che commerciale che potrebbe non raccogliere subito
dei risultati importanti.
Se ne parla da maggio e pare
possa diventare realtà piuttosto in fretta. Stiamo parlando
di Enel e del suo interesse ad
entrare nel mercato delle telecomunicazioni e della banda
larga. Il progetto consisterebbe
nel cablare tutta l’Italia con la
fibra ottica utilizzando i propri
cavidotti già esistenti.
All’epoca Francesco Starace,
AD di Enel, affermò che “Abbiamo 33 milioni di spezzoni di
cavi che usiamo solo per la corrente”, cavi che possono essere
invece impiegati per portare la
banda larga alle famiglie non
ancora raggiunte (e sono molte). La notizia è l’ok da parte
del Consiglio di Amministrazione Enel al progetto: il cda Enel
pensa sia opportuno l’impiego
dell’infrastruttura della rete elettrica per la realizzazione di una
rete in fibra che Enel non gestirà in modo diretto (cioè non nei
confronti dell’utente finale) ma
che fornirà agli operatori di tlc.
A tal fine, verrà inoltre costituita
un’apposita società per azioni
dedicata ad avviare le operazioni in questo settore. A giudicare dall’infrastruttura esistente
e dalla sostituzione dei vecchi
contatori con quelli “intelligenti”, potremo vedere qualche
risultato in tempi relativamente
brevi, 1 o 2 anni al massimo.
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
MERCATO Da gennaio 2016 sarà possibile pagare sui siti convenzionati con il circuito Bancomat
Al via i pagamenti online con il Bancomat
A beneficiarne saranno i correntisti delle banche che decideranno di aderire al servizio
L’
di Emanuele VILLA
inarrestabile ventata di tecnologia che sta travolgendo il mondo
bancario non risparmia nemmeno uno dei pilastri più consolidati dei
pagamenti elettronici: anche la tesserina di plastica con il logo PagoBancomat a breve sarà utilizzabile per i pagamenti sul web, così come già avviene
per le note carte di credito dei circuiti
internazionali Visa e Mastercard, per
citare solo i più diffusi.
Terminata positivamente la fase pilota,
il Bancomat 2.0 si prepara alla piena
operatività per inizio del 2016. Per dirla
con le parole di Sergio Moggia, Direttore Generale del Consorzio Bancomat:
“finalmente siamo riusciti a portare su
internet il circuito di pagamento più utilizzato dagli italiani. Ora ci aspettiamo
un’ampia adesione al servizio da parte
di banche ed esercenti, per consentire
a un numero sempre maggiore di titolari di carte PagoBancomat di usarle
anche online”.
La sicurezza delle operazioni online è
garantita. Così come avviene per molti
Gli AD di Vodafone
e Wind accolgono
la decisione di Enel
di creare
una new company
per la realizzazione
della in fibra in Italia
Collaborazione subito
di Emanuele VILLA
servizi basati su carta di credito (e.g.
PayPal) non è necessario inserire all’atto del pagamento il numero della carta
o altri dati “sensibili”. Dopo aver scelto
la merce e il metodo di pagamento, si
verrà quindi indirizzati alla pagina di
autenticazione del proprio servizio di
home banking, dove, dopo aver inserito le credenziali, si riceverà autorizzazione alla spesa in tempo reale.
In un panorama come quello dei pagamenti elettronici che da anni in Italia
lavora per conformarsi ai dettami euro-
pei della SEPA (Single Euro Payments
Area) la possibilità di utilizzare un prodotto domestico rimane un’alternativa
valida per chi non possiede una carta
di credito e vuole comunque fare acquisti sul web senza sostenere i costi
aggiuntivi di una carta di credito. Il successo di questo nuovo servizio sarà
comunque decretato non tanto dalla
volontà dei titolari quanto dall’effettivo
numero di banche, operatori e siti di
e-commerce che decideranno di convenzionarsi.
MERCATO Google integra le Guide Locali in Maps e dà a tutti la possibilità di contribuire
Se scrivi recensioni, Google ti ricompensa
Scrivendo recensioni su punti d’interesse si può ottenere anche 1 TB gratis su Google Drive
di Emanuele VILLA
oogle ha bisogno dei milioni
di persone che usano Google
Maps ogni giorno per migliorare
ed estendere il proprio servizio di Guide Locali, ovvero (in estrema sintesi)
le recensioni e le immagini di luoghi
d’interesse sparsi nel mondo, dai monumenti ai musei, dai punti di ristoro
alle discoteche. Un colpo abbastanza
pesante per i competitor, specie perchè Google ha deciso di ricompensare
chi decide di aderire all’iniziativa, attribuendo ad essi un livello crescente di
vantaggi. E se alcuni di essi sono tutto
sommato limitati, altri paiono davvero
interessanti: in particolare 1 TB gratis
su Google Drive al raggiungimento dei
200 punti.
Il meccanismo è semplice: più si condividono informazioni sui luoghi visitati,
maggiori sono i vantaggi. Citando diret-

G
torna al sommario
Vodafone e Wind
dicono subito sì
alla newco
per la fibra Enel
tamente la comunicazione
di Google, “Per guadagnare punti e ottenere nuovi
vantaggi potete scrivere
la recensione di un luogo,
caricare una foto, aggiornare informazioni obsolete e
rispondere a delle semplici
domande. Ogni contributo
vale un punto, potete quindi
guadagnare fino a cinque punti per ciascun luogo”. Non si possono superare i
5 punti per ogni luogo, ma nel complesso i punti accumulabili sono infiniti e i
vantaggi crescenti. In particolare:
Livello 1 (0 - 4 punti): partecipazione a
concorsi esclusivi in alcuni paesi
Livello 2 (5 - 49 punti): accesso in anteprima a nuovi prodotti e nuove funzionalità di Google
Livello 3 (50 - 199 punti): badge ufficiale di Guide Locali su Google Maps
Livello 4 (200 - 499 punti): 1 TB di spazio di archiviazione su Google Drive,
per poter conservare in un posto sicuro
tutte le foto e i video dei vostri viaggi.
Livello 5 (500+ punti): il livello massimo
in Guide Locali offre la possibilità di fare
richiesta per partecipare al summit inaugurale Google nel 2016, durante il quale potrete incontrare altri partecipanti
al programma Guide Locali, esplorare
il campus Google e scoprire le ultime
novità di Google Maps.
Aldo Bisio AD di Vodafone Italia,
accoglie molto positivamente
l’annuncio di Enel: “La decisione
assunta dal CdA di Enel per la costituzione di una società, aperta
e accessibile a tutti gli operatori
di telecomunicazioni, va nella direzione di realizzare un piano di
respiro nazionale per lo sviluppo
della banda ultralarga. Siamo
pronti a partecipare da subito a
questo progetto e a collaborare con Enel, convinti che sia una
occasione unica e irripetibile per
vincere la partita della digitalizzazione del Paese, valorizzare il contributo pubblico e privato, e realizzare una rete a prova di futuro”.
Poco dopo il comunicato di
Vodafone è arrivata anche la dichiarazione di Wind e del suo
AD Maximo Ibarra: “Wind giudica
molto positivamente la decisione
di Enel di costituire una società
per sviluppare una infrastruttura
di rete a banda ultra larga nel
Paese. È un’iniziativa che va nella direzione da sempre auspicata
dalla nostra azienda per superare
il digital divide e dotare l’Italia di
una rete in fibra, in linea con le
crescenti esigenze dei consumatori e con lo sviluppo dei servizi
digitali. Wind è pronta a collaborare da subito a questo progetto
che potrà garantire le giuste condizioni di parità di accesso per gli
operatori, indispensabili per una
sana concorrenza e per lo sviluppo di un mercato ancor piu’ competitivo”.
Resta ora da capire cosa decideranno di fare Metroweb, Fastweb
e Telecom Italia.
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
MERCATO Amazon ha attivato a Milano la consegna in un’ora per oltre 15.000 prodotti
Amazon Prime Now: consegne in un’ora
Il servizio è attivo su un ordine minimo di 19 euro, il costo della spedizione è pari a 6.90 euro
A
di Roberto PEZZALI
mazon ha lanciato Prime Now, il
nuovo servizio dedicato ai clienti Amazon Prime che assicura la
consegna in un’ora o in finestre di due
ore su oltre 15.000 prodotti, alcuni dei
quali, come i surgelati, disponibili solo
con questa modalità di consegna. Prime Now è pensato soprattutto per beni
di prima necessità e di uso quotidiano:
pasta, caffè, pannolini e prodotti per
l’infanzia, per la bellezza e la cura della persona, vini e alcolici rientrano in
questa categoria, anche se nei 15.000
prodotti si trovano ache videogiochi,
console e prodotti per lo sport.
“I clienti Amazon dell’area di Milano possono usare l’app Prime Now da oggi e
scoprire più di 15.000 prodotti che possono essere consegnati in un’ora” ha
dichiarato François Nuyts, Country Manager di Amazon.it e Amazon.es. “L’Italia
è il secondo Paese in Europa dove Prime Now è stato lanciato e siamo molto
orgogliosi di offrire ai nostri clienti Prime
una consegna ultra-veloce, oltre ai benefici di cui possono già godere grazie
al loro abbonamento Prime”.
La MPAA Motion Picture
Association of American
rivendica la chiusura
del noto servizio pirata
È frutto di azioni legali
congiunte in Canada
e in Nuova Zelanda
di Roberto PEZZALI
Prime Now è disponibile solo su Milano
e in alcuni comuni dell’hinterland milanese, come Cinisello Balsamo e
Paderno Dugnano: per usufruire del
servizio di dovrà fare un ordine minimo
di 19 euro, mentre il costo della spedizione è pari a 6.90 euro se si vuole ricevere la spedizione entro l’ora. Nel caso
in cui ci si accontenti di una finestra
di due ore, la spedizione è totalmente gratuita. Prime Now è attivo dalle 8
del mattino a mezzanotte, e soprattutto funziona 7 giorni alla settimana: per
alcuni prodotti diventa più immediato
Prime Now del supermercato.
Per usufruire del servizio Amazon ha
preparato una applicazione dedicata,
scaricabile dalla pagina internet dedicata al servizio, applicazione che permette anche di essere avvisati quando
il servizio Ptime Now coprirà anche
altre zone dell’hinterland e altre città.
Amazon infatti sta cercando di estendere Prime Now anche ad altre grosse
città italiane, anche se si dovrà attendere il 2016.
MERCATO I dati del mercato discografico FIMI mostrano una crescita complessiva delle vendite
Esplode lo streaming, crolla il download, tiene il CD
ll supporto fisico in Italia comanda ancora, ma lo streaming in abbonamento cresce del +99%
C
di Paolo CENTOFANTI

resce il digitale, +27%, ma tiene
testa il mercato del supporto
fisico, che sale del 23% e continua a valere il 54% dell’intera torta,
trainato da un’ottima performance
degli artisti italiani, che hanno visto
le vendite crescere del 79% rispetto
all’anno scorso contro l’1% del catalogo internazionale. Ma la vera notizia
che esce dai dati è l’esplosione del
fenomeno streaming e in particolare
degli abbonamenti a pagamento, che
crescono del 99% rispetto allo stesso
periodo del 2014 e ora valgono il 46%
dell’intero mercato digitale, con ricavi
per 19,8 milioni di euro. Nonostante
il download cresca anno su anno del
3%, grazie al buon andamento complessivo del mercato discografico, il
suo peso continua in realtà a scende-
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L’industria
cinematografica
esulta: “Abbiamo
ucciso Popcorn
Time”
re. Sul digitale il calo è dell’8%, con
una quota del 35% contro il 65% dello
streaming, ma che quest’ultimo tipo di
servizi si stia mangiando il download
è evidente guardando la percentuale
sul totale del mercato: il peso dello
streaming anno su anno sale complessivamente del 4%, mentre quello
del download scende del 3%.
Se si acquista un CD, invece, lo si
compra di un artista italiano a quanto pare, una tendenza che secondo
Claudio Ferrante di Artist First, in una
nota di commento alla ricerca, rispecchia il fatto che “l’acquisto di un CD
o di un vinile è ora la dimostrazione
del legame tra l’artista e chi ascolta
la sua musica e lo segue in tutti suoi
progetti”, un legame sicuramente più
facile da stringere con i musicisti di
casa nostra.
Qualche tempo fa abbiamo riportato la notizia della chiusura del fork più noto di Popcorn
Time, il “Netflix” pirata che stava facendo tremare l’intera industria cinematografica. Come
era possibile intuire i dissapori
e la fuga tra gli sviluppatori del
software non erano spontanei:
è stata una causa intentata
da alcuni membri della MPAA
in Canada contro il team di
PopcornTime.io a scatenare e
alimentare gli eventi che hanno poi causato lo scioglimentio
del team, la distruzione dei log
del server e lo spegnimento dei
server stessi. Mentre in Canada
l’MPAA tagliava il braccio, in
Nuova Zelanda una causa coordinata eliminava il cervello di
Popcorn Time, quel sito di torrent, YTS, che funzionava come
principale motore di ricerca
dell’intero servizio. Quella della
pirateria è una guerra molto difficile da vincere, ma questa per
l’MPAA era una delle battaglie
più importanti: Popcorn Time,
con la sua incredibile interfaccia utente, era riuscita a catturare non solo gli utenti esperti
ma un pubblico ampissimo, diventando il maggior competitor
di Netflix per lo streaming nei
paesi anglofoni.
Per dovere di cronaca va detto
che Popcorn Time non è morto
del tutto, ma è stato solo decapitato: l’altro fork molto utilizzato, che non citiamo, è tuttora
attivo e permette l’accesso al
servizio, seppur con un catalogo ridotto.
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
MERCATO Xavier Niel è proprietario del gestore francese Free e neoazionista di Telecom Italia
Niel è azionista Telecom, ma imbarazza TIM
Nel suo Paese, Niel lotta contro la “falsa” fibra e Telecom Italia non è certo un buon esempio
I
di Gianfranco GIARDINA
n Francia continuano le polemiche riguardo alle offerte di connessione in
fibra che poi tutte in fibra non sono
affatto. Infatti si è appreso che il gestore
Free ha citato in giudizio SFR-Numericable per concorrenza sleale: l’oggetto del
contendere è l’utilizzo nella pubblicità del
termine “fibra” anche per i collegamenti
offerti da SFR che in realtà sono in tecnologia FTTB - Docsis 3.0 (Fiber to the
Building). In questa configurazione la fibra
arriva fino al locale tecnico dello stabile,
dal quale poi si prosegue in rame fino all’abitazione dell’utente. L’FTTB – secondo Free - non ha le medesime prestazioni di una fibra diretta (FTTH, Fiber to the
Home), come quella offerta dall’azienda.
Peraltro la scorsa estate era entrata nel
dibattito anche l’ARCEP (praticamente
l’AGCOM francese), che ha dato disposizione che nei casi di fibra “incompleta”
la comunicazione pubblicitaria debba
riportare la dizione (anche in una nota)
che il “collegamento finale è realizzato
in rame”. Ma evidentemente –e diciamo
anche giustamente – a Free, che è impegnato sul fronte dell’FTTH, non basta
ancora. A portare la polemica al di qua
delle Alpi ci ha pensato Franco Bassanini,
già ministro e attualmente consigliere
speciale del Presidente del Consiglio.
Bassanini che non ha mai nascosto la
sua predilezione per i collegamenti in
fibra ottica “veri”, ha fatto notare con un
incisivo tweet che Free è controllata da
Xavier Niel, lo stesso Niel che nei giorni
scorsi ha dato notizia di aver inmano un
pacchetto di azioni di oltre l’11% di Telecom Italia. La crociata di Niel contro SFT
e il suo FTTB - si chiede retoricamente
Bassanini – vale anche per l’Italia?
Telecom Italia da tempo ha impostato una
comunicazione sulla sua offerta di collegamento veloce a internet (che non porta
la fibra fino in casa ma la ferma all’armadio di zona) ben più aggressiva di quella
di SFR-Numericable. Infatti l’offerta di Telecom Italia si chiama addirittura “TuttoFibra”. La configurazione con la fibra che
si ferma all’armadio di zona costa molto
meno al gestore, che non deve cablare
l’ultimo faticosissimo tratto; ma - non può
che essere chiaro a tutti - un collegamen-
to misto di questo tipo fa a cazzotti con la
dizione “TuttoFibra”. Quello che invece,
ovviamente, non è chiaro a tutti i clienti è il significato delle formule “Fiber To
The Cabinet” e “FIber To The Exchange”
che Telecom Italia usa nelle sue note (qui
sotto riportate): un consumatore medio
non può arguire che si tratti di qualcosa
di ben diverso da un collegamento tutto
in fibra. Tra l’altro, come ha fatto notare
Franco Bassanini con un altro tweet,
l’offerta FTTC di Telecom Italia è anche
qualitativamente peggiore di quella FTTB
di SFR che Xavier Niel attacca per pubblicità ingannevole. Telecom Italia non può
che uscirne “imbarazzata”: un suo nuovo
rilevante azionista .

Il punto è che in Italia, al momento, le autorità non sembrano affatto turbate dalle
promesse “tutto fibra” di Telecom Italia e
neppure si può contare sulle reazioni dei
concorrenti: anche Fastweb, dopo anni
passati a promuovere la fibra “completa”
FTTH, ora ha esteso la sua offerta anche
all’FFTS (Fiber To The Street) e quindi
non ha certo senso che si comporti come
Free in Francia, denunciando Telecom
Italia per pubblicità ingannevole.
Tanto che, con acrobazie dialettiche non
banali, Fastweb stessa riconosce da una
parte che meno rame c’è meglio è, ma assimila le due offerte FTTS e FTTH come
se fossero più o meno la stessa cosa. Il
che non è vero, malgrado il silenzio delle
nostre Authority e delle associazioni dei
consumatori.
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Wind regala
Sky Online
ma non ti paga
il traffico
A partire
dall’abbonamento
All Inlusive 2 GB
Wind regala 6 mesi
di Sky Online calcio
Un’offerta puramente
commerciale
Sky Online non c’è su
smartphone
Il traffico dati tethering
è a parte
di Roberto PEZZALI
Sky Online affila le unghie e si
allea con Wind per incrementare il parco clienti: il servizio di
streaming di Sky viene infatti
offerto gratuitamente per 6
mesi a tutti coloro che aderiscono a una delle quattro offerte compatibili, dove la più
interessante è senza dubbio All
Inclusive 2 Giga. Quest’ultima,
una ricaricabile, offre 2 GB di
internet, 500 minuti e 500 sms
a 14 euro con Sky Online incluso, offerta che però non si può
definire mensile in quanto si
rinnova ogni 4 settimane.
Chi la sceglie dovrà decidere
anche quale pacchetto di Sky
Online portare a casa: Intrattenimento, con le serie TV e lo
spettacolo, Cinema, con i film,
oppure il Calcio, con 6 mesi di
partite di campionato della propria squadra del cuore.
Si tratta in ogni caso di una iniziativa di carattere puramente
commerciale che non sfrutta
in alcun modo le sinergie che
potrebbero crearsi tra operatori e fornitori di servizi: Sky
Online infatti non è disponibile
per smartphone, e vederlo abbinato ad offerte smartphone fa
sorridere, e soprattutto il traffico generato non è incluso.
Se quindi si utilizza uno
smartphone come hotspot per
godersi un film ad esempio sul
tablet, il traffico sarà tariffato
extra.
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
MERCATO Scopo delle nuove divise migliorare la comunicazione tra personale di bordo, viaggiatori e tecnici e ingegneri
easyJet festeggia 20 anni con nuove divise smart
La compagnia a basso costo britannica ha festeggiato i suoi primi 20 anni con un evento nel quartier generale di Luton
Per l’occasione mostrate le nuove divise smart per equipaggio e tecnici che verranno sperimentate a partire dal 2016
di Paolo CENTOFANTI
l 10 novembre del 1995 spiccava letteralmente il
volo easyJet, compagnia aerea a basso costo fondata dall’imprenditore cipriota Stelios Haji-Ioannou. Il
ventennale è stato festeggiato nel quartiere generale di
easyJet a Luton, nell’Hangar 89 dell’aeroporto londinese, che ospita le principali attività della compagnia aerea. Oggi, easyJet è una delle più grandi compagnie aeree europee, trasporta 68 milioni di passeggeri all’anno
e collega 137 aeroporti in 31 Paesi e continua a rimanere
fedele alla “mission” con cui ha iniziato: voli low cost
che collegano le principali città europee, comunque utilizzando gli scali principali e con grande attenzione al
mantenimento di un buon rapporto qualità/prezzo nell’esperienza di viaggio complessiva; non è un caso che,
in media, oltre il 70% dei passeggeri che volano per
la prima volta con easyJet scelgono di nuovo la compagnia anche per ulteriori viaggi, un tasso superiore a
quello di tutti gli altri competitor low cost.
La cerimonia di festeggiamento ha visto alternarsi sul
palco il fondatore Stelios Haji-Ioannou, che detiene ancora il 30% delle azioni della compagnia, la CEO Carolyn McCall e alcuni dei protagonisti del primo storico
volo Luton/Glasgow, come il comandante di allora Fred
Rivett e la prima assistente di terra Lisa Burger, che effettuò il check-in del primo passeggero in assoluto. C’è
stato il racconto della crescita della compagnia tramite
le più celebri campagne promozionali e la sfilata con
l’evoluzione del look del personale di bordo e infine la
presentazione della nuova livrea degli aerei, realizzata
con un fotomosaico delle foto dei passeggeri, raccolte
con un’iniziativa social. L’evento è stato anche l’occa-

I
torna al sommario
sione per mostrare, proprio a bordo di uno dei nuovi
Airbus della compagnia, alcune delle innovazioni tecnologiche che arriveranno a breve e che aiuteranno a
mantenere efficienti le operazioni di easyJet.
Easyjet ha mostrato per la prima volta delle nuove divise
“smart” che verranno sperimentate dal prossimo anno e
realizzate in collaborazione con CuteCircuit. Il concept
alla base è quello di migliorare la comunicazione tra il
personale di bordo, i viaggiatori e tecnici e ingegneri,
sfruttando sistemi di segnalazione visiva “indossabili”,
ma anche integrando microfoni, videocamere e in alcuni casi persino sensori, direttamente nelle divise. Ecco
allora vestiti ricoperti di LED programmabili direttamente dallo smartphone che possono fornire ai viaggiatori
informazioni come i dati del volo, la destinazione, ma
anche segnalazioni in caso di emergenza, con strisce
luminose e animate sulle maniche e sulle gambe. Display LED sui baveri delle giacche possono essere utilizzati per ulteriori segnalazioni sia per i passeggeri che
per lo stesso personale. Allo stesso modo, per i tecnici
di pista, LED sulle maniche della divisa possono venire
utilizzati al posto dei normali strumenti di segnalazione,
mentre LED nel cappuccio forniscono l’illuminazione
necessaria per lavorare, mantenendo le mani dell’operatore sempre libere. Le tute per i tecnici includono an-
che barometro e sensori della qualità dell’aria, utili per
monitorare le condizioni di lavoro dei velivoli.
Le divise smart non sono l’unica innovazione tecnologica di easyJet. Già da quest’anno, la compagnia ha
cominciato a utilizzare droni e realtà virtuale per la manutenzione e l’ispezione automatica della sua flotta di
aeromobili. Con i droni, in particolare, i tecnici possono
ispezionare in modo più rapido e sicuro la carlinga e le
alette dei motori, riducendo i tempi di manutenzione e
quindi il rientro in operatività dei velivoli, che per una
compagnia che fa dell’efficienza delle proprie attività un
modello di business è chiaramente un aspetto cruciale.
Per quanto riguarda le attività nel nostro Paese, Frances
Ouseley, Country Director di easyJet in Italia, ci ha confermato il ruolo di primaria importanza che riveste per
la compagnia il Terminal 2 di Malpensa, secondo solo
allo scalo di Gatwick in Inghilterra. L’aeroporto di Londra
sarà la prima base di easyJet a venire completamente
ristrutturata secondo nuove linee guida, per rendere
l’esperienza dei viaggiatori più semplice e snella. Una
volta completati i lavori a Gatwick, lo stesso modello
verrà utilizzato per la ristrutturazione di Malpensa. Dopo
l’annuncio del ritiro da Roma Fiumicino come base operativa, easyJet sposterà a inizio dell’anno prossimo le
sue attività a Venezia, dove arriveranno 4 nuovi aeromobili per fornire collegamenti con le principali città
europee già dalle prime ore del giorno. La terza base
italiana rimarrà invece Napoli.
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Il CEO di Netflix rivela investimenti ingenti su contenuti e produzioni originali
Netflix spenderà 5 miliardi per i contenuti
L’intenzione è diversificare l’offerta, si pensa anche ad anime e serie in stile Bollywood
C
di Paolo CENTOFANTI
on i principali network statunitensi che cominciano a riflettere
se forse non hanno dato troppo
potere a servizi come Netflix e Amazon Prime Video, e pensano di ridurre
le finestre dei propri contenuti per lo
streaming di terze parti, la soluzione
di Reed Hastings, CEO di Netflix, resta
quella di spingere sempre più sui contenuti originali. Il che significa anche
confrontarsi con un pubblico sempre
più diversificato, mano a mano che il
servizio continua la sua espansione
in tutto il mondo. Parlando alla conferenza DealBook a New York, Hastings ha dato alcuni indizi sulla strategia
per i prossimi anni di Netflix, che sarà
quella di continuare a offrire contenuti
originali di qualità ma anche fuori dal
coro, con produzioni per certi versi
sperimentali per i canoni di Hollywood,
come la serie Narcos.
Nel futuro ci sarà spazio anche per
Il progetto di sbarcare
su satellite potrebbe
subire rallentamenti,
con i decoder Samsung,
già pronti, messi in
stand-by
Pier Silvio non avrebbe
ancora dato il via libera
alla fase operativa
di Roberto PEZZALI
contenuti dalla forte connotazione
“regionale”, come anime giapponese e
film e serie in stile Bollywood. Giusto
per avere un’idea degli investimenti in
gioco, Reed Hastings ha confermato
che nel 2016 Netflix spenderà qualcosa come 5 miliardi di dollari in conte-
nuti per i suoi abbonati. Nell’intervista
(disponibile integralmente in questo
video), il CEO di Netflix parla anche del
futuro dello streaming, della concorrenza con gli altri servizi e del problema del libero accesso a Internet per i
servizi over the top.
ENTERTAINMENT Sky Italia, con un questionario, valuta l’interesse verso l’iniziativa Box Sets
Sky pensa ai “Box Sets” anche per l’Italia
Già attivi in Inghilterra, i Box Sets offrono serie TV complete per l’acquisto OnDemand
S
di Roberto PEZZALI

ky si sta muovendo per aggiungere nuovi mattoni alla sua già
completissima offerta: negli ultimi tempi ad alcuni utenti, i più “fidelizzati”, è stato chiesto di completare un
sondaggio per chiedere una opinione
riguardo ad un nuovo tipo di offerta,
ovvero alla possibilità di avere disponibile, solo onDemand e a pagamento,
un box di serie TV complete, con tutti
gli episodi e tutte le stagioni.
Una soluzione simile come proposta
ai Box Sets di Sky UK, pacchetti di
serie TV disponibili onDemand per gli
abbonati a Sky con un determinato
pacchetto HD. Sky metterebbe quindi
sul piatto le sue migliori serie, dal catalogo HBO a Games of Thrones, per
confezionare un servizio aggiuntivo in
streaming che andrebbe a colmare i
buchi creati dalle licenze cinematografiche, che impongono oggi a Sky di te-
torna al sommario
Premium
su satellite
Mediaset
non è convinta
e prende tempo
nere visibili “OnDemand” solo l’ultima
stagione o solo determinati episodi.
Si tratta chiaramente di un sondaggio: “Box Sets”, se manterrà il nome,
potrebbe essere un servizio che verrà
lanciato a gennaio, ma Sky potrebbe
anche decidere di non lanciare mai il
servizio in Italia.
In Inghilterra i Box Sets hanno avuto
un discreto successo, e tutte le tecnologie e le idee della filiale inglese,
soprattutto ora che Sky è diventata
un’unica realtà europea, diventano
possibili “features” anche di Sky Italia,
come è stato per Sky Online e per lo
Sky Online TV Box Roku.
Mediaset ha intenzione di sbarcare su satellite, ma probabilmente
il lancio previsto a gennaio verrà
ritardato. Le indiscrezioni rafforzano un’ipotesi che qualche addetto
ai lavori ci aveva suggerito: Mediaset, dopo aver firmato un preaccordo con Eutelsat per bloccare
lo spazio sull’infrastruttura, aveva
tempo fino al 31 ottobre per dare
il via alla parte esecutiva del progetto ma il termine è scaduto senza che l’azienda abbia preso una
decisione. L’obiettivo “satellite”
esiste ed è concreto, come ha dichiarato Pier Silvio Berlusconi, ma
i decoder realizzati da Samsung
e costati oltre 5 milioni di euro al
momento restano chiusi in magazzino. Sembra infatti che manchi
il via libera proprio di Berlusconi,
che vorrebbe valutare meglio i costi e i benefici di una operazione
che, a stagione in corso, potrebbe
non essere così vantaggiosa. Il
satellite, infatti, dovrebbe portare
quest’anno circa 100.000 abbonati in più, non molti per un investimento che si preannuncia comunque importante. Forse è meglio
attendere la fine di questa stagione, proponendo l’offerta crossplatform dal prossimo settembre:
un prodotto fatto in corsa, veloce
e non troppo curato, potrebbe rivelarsi un vero boomerang.
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n.122 / 15
16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TV E VIDEO Arriverà a breve nei negozi il nuovo TV top di gamma di Panasonic, il TX-65CZ950
L’OLED 4K Panasonic costerà 9.999 euro
È certificato THX ed è progettato per essere il nuovo riferimento, ma il prezzo è elevato
I
di Paolo CENTOFANTI
l primo TV OLED di Panasonic è in
dirittura di arrivo nei negozi italiani
e finalmente abbiamo un prezzo di
listino ufficiale per quello che aspira
a essere il nuovo riferimento della
qualità di immagine. Il TX-65CZ950
sarà disponibile alla ragguardevole
cifra di 9.999 euro, posizionandosi
così ben al di sopra dell’offerta dell’unica altra azienda che al momento spinge su questa tecnologia, LG.
Come abbiamo visto durante il nostro
reportage dal salone di Berlino, Panasonic ha lavorato molto per ottenere
la certificazione THX e per calibrare
l’esclusivo televisore con i laboratori
di Hollywood e la collaborazione di
colourists impegnati nella produzione
cinematografica.
Nel futuro
di Netflix
c’è solo 4K

La risoluzione Ultra HD / 4K é già
disponibile in diversi contenuti del
popolare servizio di streaming, da
poco partito anche nel nostro paese.
Tuttavia i possessori di TV Ultra HD
non possono godere della maggiore risoluzione su tutte le produzioni, ma in
futuro la situazione cambierà. Netflix
ha fatto sapere, per bocca del responsabile per la produzione dei cosiddetti
originals, Steven Kang, che tutto ciò
che uscirà direttamente dalle loro
mani sarà girato e distribuito in 4K.
Quindi futuri successi come Daredevil
o Orange Is The New Black saranno
all’origine a risoluzione superiore,
per essere a prova di futuro. Discorso
diverso invece per HDR e WCG (Wide
Color Gamut), che non saranno automaticamente adottati dai diversi studi
di produzione. I team creativi saranno
liberi di decidere, anche se Netflix ne
“suggerirà” caldamente l’adozione.
torna al sommario
Nel 2017
torna in TV
Star Trek
La nuova serie
di Star Trek
debutterà sulla CBS
Le riprese saranno
curate da Kurtzman
produttore degli
ultimi due episodi
cinematografici
diretti da J.J. Abrams
di Paolo CENTOFANTI
Che il prezzo potesse essere piuttosto
elevato lo si era capito anche dal design del TV, che include persino finiture
in alcantara sul retro. Un prodotto “premium” dunque, che speriamo faccia presto da apripista a una più ampia gamma
di modelli accessibili anche per una più
fascia di consumatori più larga.
Intanto non perdetevi il nostro approfondimento tecnico sulle caratteristiche
del primo OLED 4K di Panasonic, che
potete trovare qui.
ENTERTAINMENT Tra i titoli previsti alcuni recenti blockbuster
I primi film Ultra HD Blu-ray
arriveranno all’inizio del 2016
C
di Emanuele VILLA
hi in America (e non solo) possiede un TV 4K sta aspettando con ansia i
primi titoli Blu-ray codificati in Ultra HD, titoli che secondo la Blu-ray Disc
Association sarebbero dovuti arrivare entro l’anno. Purtroppo gli appassionati
dovranno attendere ancora un po’ considerando che i primi titoli di Sony Pictures,
azienda che per prima ha sostenuto lo standard, saranno in vendita da inizio 2016.
La buona notizia è la conferma di molti titoli ipotizzati nei mesi scorsi, blockbuster
recenti come Fury, The Amazing Spider Man, Captain Philips e Hancock, ma a
questi si aggiungeranno anche titoli di catalogo rimasterizzati per l’occasione: tra
i titoli Sony in Ultra HD Blu-ray usciranno anche Ghostbusters e Il quinto elemento,
titoli datati che verranno proposti in 4K e anche in HDR. Da notare, infatti, che i
titoli Sony supporteranno anche l’altra feature molto interessante dello standard,
ovvero il video ad alta gamma dinamica. Appuntamento a inizio 2016.
Torna Star Trek in TV, con una nuova serie che vedrà la luce nel gennaio del 2017 sulla rete americana
CBS, a poco più di 50 anni dalla
messa in onda dal primo storico
telefilm della NBC. A prendere le
redini del progetto, sarà Alex Kurtzman, già co-sceneggiatore e coproduttore dei due Star Trek cinematografici diretti da J.J Abrams,
che ha lasciato il team in vista del
terzo film, Star Trek: Beyond, attualmente in lavorazione. La nuova
serie non seguirà le vicende degli
ultimi film, ma introdurrà invece
personaggi del tutto inediti. La
produzione è ancora agli inizi, ma
CBS ha già rivelato i piani per la
distribuzione della nuova serie TV.
Negli Stati Uniti sarà trasmessa in
esclusiva da CBS e sul nuovo servizio di streaming CBS All Access
che ha un costo di 5,99 dollari al
mese. A livello internazionale, invece, il nuovo Star Trek andrà in
onda in concomitanza con gli USA
su diverse televisioni e “molteplici
piattaforme” in tutto il mondo. Chissà chi è che si aggiudicherà l’esclusiva per l’Italia. L’originale Star Trek
di Gene Roddenberry durò nella
sua forma a episodi per tre stagioni
prima della cancellazione, per poi
sbarcare al cinema con diversi film
e infine tornare in televisione con
la serie The Next Generation (durata ben 7 stagioni) e gli spin-off Voyager ed Enterprise.
n.122 / 15
16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TV E VIDEO Il TV Ultra HD Hisense 65XT910 è in vendita nei negozi al prezzo di listino di 2999 euro
Disponibile in Italia l’ULED 2.0 di Hisense
Tra i punti di forza il pannello full LED local dimming, quantum dots e il supporto a HEVC
di Paolo CENTOFANTI
H
isense inaugura l’era dell’ULED
con il lancio in Italia del suo nuovo TV top di gamma 65XT910, già
mostrato in anteprima all’IFA di Berlino, e
modello con cui il produttore cinese vuole dimostrare di saper competere con i
marchi più conosciuti anche sulla fascia
alta di mercato. A livello di contenuti tecnologici, il nuovo 65XT910, infatti, è sicuramente un prodotto molto interessante.
Innanzitutto la sigla ULED, che non si riferisce a una nuova tecnologia, ma a un
LCD a LED spinto al massimo delle sue
possibilità. Ecco allora la scelta di adottare una retroilluminazione full LED (LED
disposti a matrice su tutta la superficie
dello schermo e non solo nella cornice)
con local dimming a 240 zone e backlight scanning a 12 step per migliorare la
risoluzione in movimento. Il pannello è
chiaramente Ultra HD e impiega la tec-
nologia Quantum Dots per offrire colori
più saturi e uno spazio colore allargato
rispetto all’alta definizione. C’è il supporto per i futuri contenuti HDR e un processore quad core per gestire la piattaforma
smart TV di Hisense che dà accesso ai
contenuti di Netflix, YouTube, Chili, Deezer e tanto altro ancora. Il TV è dotato
di sintonizzatore DVB-T2 e DVB-S2 e
integra il decoder HEVC per la ricezione delle trasmissioni 4K effettuate con
questo standard di codifica video. Come
altri produttori, anche Hisense per la fascia alta ha optato per un design curvo,
con la linea dello schermo che segue un
raggio di 4 metri. In dotazione gli utenti
troveranno un doppio telecomando, uno
tradizionale con i tasti dedicati Netflix e
YouTube e uno ottimizzato per l’utilizzo
delle app della piattaforma Smart TV. Il
TV è disponibile nei negozi ad un prezzo
di listino di 2999 euro, anche se si parla
già di un prezzo “su strada” intorno ai
2500 euro.
TV E VIDEO Samsung lancia una serie di promozioni riservate a chi acquista un nuovo TV
Pioggia di regali per chi compra un TV Samsung
Fino a 400 euro di rimborso rottamazione e un pacchetto di contenuti che include Netflix
P
di Roberto PEZZALI

ioggia di regali per chi acquista un
nuovo TV Samsung: all’incentivo
rottamazione si aggiunge anche un
“Dream Pack” con oltre 500 euro di contenuti, da Netflix ai giochi in streaming di
GameFly. “Cambia il tuo TV” è il classico
cash back: acquistando un TV Samsung
SUHD, Curvo UHD, o UHD delle serie
coinvolte si potrà ricevere un rimborso in
denaro fino a 400 euro rottamando il vecchio TV, che verrà ritirato direttamente a
casa del consumatore. 400 euro sono
relativi ovviamente ai modelli più cari,
quella della gamma SUHD: per i modelli
Ultra HD curvi si riceveranno 200 euro,
per quelli piatti 100 euro. Samsung però
non si ferma qui: Dream Pack è un pacchetto contenuti che sarà disponibile per
chi registra l’acquisto nel periodo dal 19
ottobre e fino al 10 gennaio 2016. Il pezzo forte di Dream Pack è l’abbonamento
a Netflix: acquistando un TV della serie
J6300 qualsiasi polliciaggio si riceverà
un abbonamento a Netflix HD della durata di 6 mesi, mentre chi acquisterà un
TV delle serie JU6500, JU6510, JU7500,
torna al sommario
JU6400, JU6410, JU6800 e JU7000 di
qualsiasi polliciaggio avrà 6 mesi di abbonamento Netflix UHD. Trattati di lusso
gli acquirenti di un Samsung SUHD: 12
mesi di abbonamento ultra HD, circa 150
euro di valore.
Offerta simile per il gaming, con il servizio di game streaming GameFly: chi acquista un TV delle serie J6300, JU6500,
JU6510, JU7500, JU6400, JU6410,
JU6800 e JU7000 di qualsiasi polliciaggio otterrà un abbonamento Gamefly
all-around della durata di 3 mesi e riceverà gratis un gamepad logitech F710.
Il vantaggio raddoppia sugli SUHD: 2
gamepad e 6 mesi di abbonamento.
Continua la partnership anche con
ChiliTV: oltre ai 5 film in UHD a disposizione in esclusiva, agli acquirenti di un
TV Samsung offre un buono da 100€
per i contenuti sul portale Chili, dove è
possibile trovare anche film con tecnologia Samsung Intelligent UHD. Questo
formato è una novità introdotta sui TV
di quest’anno: Chili insieme al film invia
un file contenente una serie di metadati
che agiscono sul TV stesso, regolando la
nitidezza in tempo reale a seconda della
scena. Secondo Samsung e Chili, un film
con questa tipologia di streaming, nonostante la risoluzione Full HD, su un TV
Ultra HD rende leggermente meglio.
Premium Play
disponibile
sui TV LG
LG e Mediaset
annunciano
una partnership
volta a portare
Premium Play su molti
TV del produttore
coreano. Tra i modelli
abilitati quelli del 2015
ma anche alcuni
del 2014 e del 2013
di Paolo CENTOFANTI
I contenuti smart presenti nei TV
LG delle ultime generazioni si arricchiscono di un nuovo innesto:
Premium Play. In questo modo,
i clienti Mediaset Premium
possono usufruire del servizio
over-the-top presente in tutti
gli abbonamenti (e offerte prepagate) senza dover ricorrere
a dispositivi esterni. Tantissimi i
TV che beneficiano di questa
partnership tra LG e Mediaset:
tutta la serie OLED già su mercato, ma anche i LED Ultra HD del
2015 (UF695V, UF776V, UF7767,
UF778V,
UF7787,
UF850V,
UF8507, UG870V, UG880V) e
quelli Full HD (LF5800, LF580V,
LF590V, LF630V, LF652V).
LG non dimentica ovviamente i
modelli degli scorsi anni e offre
una compatibilità estesa con i
dispositivi del 2014 e del 2013.
Tra i primi gli OLED EC970V,
EC930V, EA970V, i LED Ultra
HD UB800V, UB820V, UB830V,
UB850V, UB950V, UB980V,
UC970V e i LED FHD e HD Ready LB490U, LB5700, LB570B,
LB570V,
LB580V,
LB630V,
LB650V,
LB652V,
LB670V,
LB671V,
LB679V,
LB700V,
LB730V, LB731V, LB870V, ma
senza dimenticare i due plasma
PB660V, PB690V.
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
MOBILE Zuk, brand Lenovo destinato ai giovani, lancia Z1: sembra un Galaxy S6 ma costa la metà
Zuk Z1 arriva in Italia, costa solo 285 euro
È dotato di una batteria enorme da 4100 mAh, ha USB Type C e 64 GB di memoria storage
Z
di Roberto PEZZALI
uk arriva anche in Europa: il brand
di Lenovo rivolto ai giovani ha infatti
deciso di lanciare la versione internazionale del suo smartphone Z1 anche
in Germania, Francia, Spagna, Italia e
Regno Unito ad un prezzo decisamente
competitivo, 285 euro. Zuk per molti è
un nome che non vuol dire nulla, in realtà Zuk è per Lenovo quello che Honor
è Huawei, un marchio creato appositamente per realizzare prodotti destinati
ad un target specifico, in questo caso
caso i più giovani. Zuk Z1 non sembra
affatto un brutto telefono, anzi, sembra
quasi un piccolo clone del Samsung
Galaxy S6 Flat, con qualche elemento praticamente identico, soprattutto
nella zona bassa. Zuk Z1 ha comunque
dei tratti distintivi: è equipaggiato con
Cyanogen OS 12.1, ha una batteria da
4100 mAh e soprattutto viene venduto
con 64 GB di memoria storage all’interno, un quantitativo considerevole che
non può essere ulteriormente aumentato per l’assenza dello slot di espan-
Aquistando Nexus 5X
sullo store di Google
si avrà in omaggio
la chiavetta Chromecast
In parte ripaga il prezzo
più alto del prodotto
sul mercato europeo
sione microSD. Tra gli altri dettagli uno
schermo da 5.5” Full HD, un processore
non troppo recente ma sempre valido,
lo Snapdragon 801, 3GB di RAM e una
coppia di fotocamere da 13 Megapixel
e 8 Megapixel. Qualche altro dettaglio
che potrebbe però frenare l’acquisto
lo si evince dal sito ufficiale, un sito che
sembra clonato da apple.com (http://
www.zuk.hk/product/c/z1/overview): non
ha NFC e soprattutto gestisce poche
bande LTE (niente 800 Mhz), cosa che
potrebbe creare qualche problema con
di Emanuele VILLA
alcuni operatori italiani come Wind. La
nostra versione, a breve in vendita su
molti siti tra cui Amazon, non dovrebbe
essere dual sim.
MOBILE
LG Zero
Ha un bel look
e costa poco

LG ha presentato zero, uno smartphone di fascia media, che riprende
alcune soluzioni tecniche e di design
dal top di gamma G4, tra cui la scocca
metallica, che di solito i produttori
riservano a modelli da 500, 600
o più euro. LG Zero, invece, costa
299 euro di listino ed è disponibile
nelle versioni silver e gold. A livello
di caratteristiche tecniche troviamo
un qualcomm snapdragon 410 da
1.2 GHz, display da 5’’ HD IPS, 1,5 GB
di RAM LPDDR3 e 16 GB di storage. La
fotocamera principale è da 13 Mpixel,
quella per i selfie da 8 Mpixel F2.0,
la batteria integrata è da 2050 mAh,
non manca il supporto per le reti LTE
fino a 150 Mbps in download.
torna al sommario
Nexus 5X
disponibile
in Italia
con Chromecast
in regalo
MOBILE Con Cardboard e uno smartphone vedi i video a 360°
Youtube supporta la realtà virtuale
di Roberto PEZZALI
oogle
annuncia l’arrivo della
realtà
virtuale
nell’app Youtube di Android. Non serve un visore come l’OculusVR,
basta uno smartphone Android e Google
Cardboard, il visore low
cost di Google composto da un pezzo di cartone e un paio di lenti,
per provare il magico
mondo della realtà virtuale. La resa finale ovviamente è legata alla qualità del display dello smartphone stesso: maggiore è la risoluzione, migliora è la qualità, ma basta un buon Full
HD per capire cosa vuol dire VR. Provare è semplice: basta caricare uno dei video compatibili, selezionare l’icona cardboard e godersi lo spettacolo. Youtube
ha inserito nell’app anche una seconda modalità di visione: è possibile guardare
qualsiasi video di Youtube utilizzando Google Cardboard e sperimentare così
una sorta di cinema virtuale. Non c’è effetto VR, ma lo spettacolo è assicurato.
Tra i video imperdibili preparati per l’occasione segnaliamo quelli di Hunger
Games, Resonance, TOMS Virtual Giving Trip
G
Il Nexus 5X di Google è disponibile
in Italia: in attesa della distribuzione nei punti vendita, è possibile
comprare lo smartphone sul sito
di Google beneficiando di una
piccola offerta: fino all’8 dicembre
chi acquista un Nexus 5X o un
Nexus 6P e inserirà nel carrello
anche una chiavetta Chromecast
riceverà quest’ultima in omaggio.
Un regalo da 39 euro, che in parte
mitiga il costo un po’ più alto dello
smartphone di Google in Europa:
il Nexus 5X nella sua versione da
16 GB costa infatti 479 euro e 529
euro nella versione da 32 GB, tanti soprattutto se lo confrontiamo
con lo smartphone da cui ha tratto ispirazione, l’LG G4. Quest’ultimo ormai si acquista a circa 400
euro, ha lo stesso processore del
Nexus 5X ma può contare su 32
GB di memoria, 3 GB di RAM, ha
slot microSD, schermo QuadHD e
una fotocamera da 16 Mpx con autofocus laser, D’altra parte Nexus
5X può far valere la frequenza
degli aggiornamenti software (e
di sicurezza). Nelle prossime settimane dovrebbe essere disponibile
anche l’altro smartphone Google, il
Nexus 6P prodotto da Huawei: anche per lui l’offerta Chromecast mitiga un prezzo comunque elevato,
ma in questo caso siamo di fronte
ad un vero top di gamma.
n.122 / 15
16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
GADGET Tag Heuer ha presentato il primo smartwatch di lusso, Carrera Connected. Prezzo 1500 $
Tag Heuer presenta Carrera Connected
Android Wear incontra lusso e tradizione
Se non piace o diventa vecchio, dopo 24 mesi Tag Heuer lo cambia con un orologio classico
di Massimiliano ZOCCHI
T
ag Heuer ha presentato ufficialmente il suo primo smartwatch, Carrera
Connected. Come noto, l’orologio
è frutto della collaborazione tra il brand
svizzero e Intel con il supporto di Google.
Per ora è stato comunicato solo il prezzo
per gli Stati Uniti (gli store inizieranno le
vendite subito dopo l’evento) ed è leggermente più basso di quanto vociferato: 1.500 dollari. Nel vecchio continente
il prezzo molto probabilmente sarà di
1.350 euro.Ciò che lo differenzia dai molti
device Android Wear visti finora è sicuramente la dotazione tecnica di livello
superiore. Il cuore di tutto è un processore Intel dual core da 1.6 GHz con 1 GB
di RAM, e la batteria da 410 mAh che Tag
Heuer promette essere sufficiente per un
giorno intero di uso costante.
Ma un brand di questo calibro doveva
ovviamente distinguersi anche per la
qualità costruttiva, e l’ha fatto. La cassa è
in titanio, e il quadrante è protetto da un
vetro zaffiro. Inoltre l’orologio gode della
certificazione IP67, regalando la tranquillità che tutti i migliori timepiece offrono
da tradizione. Il diametro è di 46 mm. Tag
Heuer non voleva però limitarsi ad esse-
re uno dei tanti marchi a salire sul carro
degli smartwatch, e molte volte durante
la presentazione è stato sottolineato
quanto la storia dell’azienda abbia a che
fare con la tradizione e il passato. Carrera
Connected va quindi considerato come
un ponte che unisce due mondi diversi
ma non necessariamente lontani. E proprio in quest’ottica si inserisce un’idea
che va a differenziare la proposta di Tag
Heuer da tutta la concorrenza.
Quando Carrera Connected diventerà
obsoleto, dopo 24 mesi, i clienti potranno
recarsi in uno store Tag Heuer e scambiare il proprio smartwatch con un orologio meccanico classico, per preservare
“l’eternità” del prodotto, fiore all’occhiel-
TAG Heuer Connected
lo del marchio. Lo spessore è di 12.8 mm
con un peso di 52 grammi, il display è un
LCD da 1.5 pollici con 240 ppi di densità;
oltre alla RAM da 1 GB troviamo anche
4 GB di storage, connettività Bluetooth
BLE e Wi-Fi. La compatibilità è riservata
a terminali Android 4.3 o superiori e da
iOS 8.2 in avanti.
Chronos può rendere smart anche il tuo orologio
Permette la ricezione di notifiche e offre le funzionalità di un fitness tracker. Tutto a 99 dollari
I

l mercato degli smartwatch è in
crescita, ma la maggior parte delle
persone non se la sente di sostituire il suo orologio tradizionale con un
dispositivo di chiara matrice hi-tech.
Qualsiasi sia il motivo, il mercato degli
smartwatch ne risente. La soluzione potrebbe essere quella di avere un qualche dispositivo che permetta di tenere
al polso il proprio l’orologio e, al tempo
stesso, gli dia una serie di funzionalità
dell’era smart.
Pur non essendo il primo dispositivo di
questo tipo, Chronos ha una particolarità: è un dischetto metallico sottile
che all’apparenza sembra proprio una
torna al sommario
Xiaomi ha annunciato
il lancio di Mi Band 1S
l’evoluzione del fitness
tracker del marchio
cinese. Ha un rapporto
qualità/prezzo molto
aggressivo: 15 dollari
compreso sensore
cardiaco
di Emanuele VILLA
GADGET Un disco metallico da 3 mm di spessore trasforma ogni orologio in uno smartwatch
di Emanuele VILLA
Xiaomi rinnova
il fitness band
da 15 dollari
batteria per orologi ma che - una volta
attaccato sul retro della cassa - rende
l’orologio uno smartwatch. Con tutte le
limitazioni del caso, ovvio: un dispositivo del genere non ha display, quindi la
sua funzione primaria è quella di vibrare e di emettere una luce colorata per
avvisare l’utente di notifiche arrivate
sullo smartphone (Android o iOS, con
connessione Bluetooth), mentre quest’ultimo può impostare (via app) quali
notifiche attivino Chronos e quali no. È
possibile associare l’intensità di vibrazione e un colore specifico ad ogni app
che genera notifiche, di modo tale da
capire a colpo d’occhio che tipo di avviso ci possiamo aspettare sullo smartphone. Chronos è spesso 3mm e ha
anche funzionalità di fitness tracker, ovviamente controllate con l’app relativa.
Il costo del preorder è di 99 dollari, con
disponibilità dalla prossima primavera.
Xiaomi, uno dei brand più interessanti ed emergenti nel panorama mobile, ha annunciato il
lancio di un nuovo fitness tracker pensato per ottimizzare il
rapporto qualità/prezzo. Sì, perchè Mi Band 1S non ha funzionalità esclusive o particolari, ma
offre tutto quello cui si chiede
a un braccialetto smart per un
prezzo di listino bassissimo, addirittura 15 dollari per il mercato
americano. Ovviamente non c’è
il display, il che obbliga l’utente
ad affidarsi allo smartphone per
il controllo delle attività, ma è
comunque un prodotto curato
esteticamente, con certificazione IP67 e incorpora anche un
sensore ottico per il rilevamento
del battito cardiaco, cosa molto
particolare per questa fascia di
prezzo.
Sono peraltro disponibili tutte le
“solite” funzionalità di un fitness
tracker, che si appoggiano (in
larga parte) sul software per
iOS e Android: conta dei passi,
calorie, qualità del sonno e anche notifiche tramite vibrazione.
Mi Band 1S misura 37 mm x 13,6
mm x 9,9 mm e sarà disponibile
sul mercato americano a partire
dall’11 novembre: vi aggiorneremo quanto prima per il mercato
europeo.
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16 NOVEMBRE 2015
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HI-FI E HOME CINEMA Rilasciato l’aggiornamento che include la calibrazione acustica automatica
Sonos
Trueplay,
setup
calibrato
su
misura
Con il nuovo software e l’app è possibile usare lo smartphone per ottimizzare le prestazioni
D
di Paolo CENTOFANTI
opo qualche mese di beta, Sonos
ha finalmente rilasciato l’aggiornamento software della sua piattaforma che introduce un’importante e
gradita novità: Trueplay. Aggiornando i
propri componenti alla versione 6.0 e installando l’ultimo update dell’app su iOS,
infatti, i modelli Sonos PLAY:1, PLAY:3 e
PLAY:5 possono venire calibrati per ottimizzare le loro prestazioni in funzione
delle caratteristiche della stanza e della
posizione in cui sono installati.
Gli appassionati di Hi-Fi e home theater
lo sanno bene: l’ambiente di ascolto
è uno degli anelli più importanti della
catena audio. Non è un caso che da
diversi anni ormai, gli amplificatori multicanale sono dotati di un sistema di autocalibrazione che consente di analizzare
le caratteristiche acustiche della stanza
e quindi di equalizzare il suono in modo
tale da compensare rimbombi, buchi ed
enfatizzazioni nella
risposta in frequenza
complessiva.
Con Trueplay, Sonos
implementa un sistema del tutto simile
ma con un’interessante differenza. Non
c’è un microfono da
collegare ai diffusori
e sistemare nel punto di ascolto: l’analisi viene effettuata
tramite lo smartphone e l’app Sonos
stessa. Ciò dà la libertà di spostare il
microfono per tutta la stanza durante la
fase di analisi, costruendo un modello
acustico molto più completo. Tutto il
processo è guidato dall’app, con un
filmato introduttivo che spiega in modo
semplice come muovere lo smartphone
nella stanza, e durante l’analisi saremo
avvertiti quando ci muoviamo troppo
Big Ben Interactive
porta in Italia i diffusori
da pavimento ispirati
a Londra e a New York
Per chi avrà il coraggio
di portarli a casa
il rapporto qualità/prezzo
non è poi così male
lentamente o viceversa troppo velocemente. Attualmente Trueplay funziona
però unicamente con un dispositivo
iOS: iPhone, iPad o iPod Touch. Il motivo per il mancato supporto su Android è
per il momento da ricercare nella grande varietà di diversi microfoni montanti
sui vari dispositivi, che rende difficile
assicurare il corretto funzionamento di
calibrazione.
HI-FI E HOME CINEMA Senneheiser presenta la nuova versione della sua cuffia elettrostatica
Sennheiser Orpheus, cuffia da 50.000 euro
È la cuffia più costosa al mondo, il prezzo comprende il preamplificatore a valvole dedicato
di Roberto FAGGIANO
S

ennheiser ha da poco compiuto 70 anni e già all’Ifa di Berlino
aveva fatto intravedere una super
cuffia commemorativa della ricorrenza.
Ma nulla faceva presagire l’arrivo della
nuova cuffia Orpheus: un modello elettrostatico che ha lo strabiliante prezzo di
50.000 euro e che arriva in abbinamento
a un preamplificatore dedicato che funziona a valvole e comprende una sezione allo stato dell’arte di convertitore digitale/analogico, già pronto per i segnali
fino al DSD da 5,6 MHz.
In Germania la stavano sviluppando da
molti anni e ora è diventa realtà, realizzata interamente a mano sfruttando
componentistica altamente selezionata,
se non creata appositamente per questo
modello. Si parla di valvole realizzate su
specifiche, componenti elettronici in oro
e platino, marmo di Carrara per il mobile,
manopole forgiate dal pieno e finiture
impeccabili di ogni altro dettaglio. Dal
punto di vista tecnico viene utilizzato
torna al sommario
un
convertitore
digitale/analogico
ESS Sabre ES9018
mentre gli amplificatori sono montati
direttamente sulla
cuffia per minimizzare l’influenza del
cavo di collegamento. La risposta
in frequenza della
membrana elettrostatica è dichiarata da 8 a 100.00 Hz.
Sulla cuffia troviamo dettagli in pelle e
microfibra mentre per gli ingressi del
preamplificatore si può scegliere tra
sorgenti analogiche rca e XLR oppure
digitali ottiche e coassiali oppure segnali
da PC con presa USB: ci sono anche delle uscite di linea, anche bilanciate, per
collegare un eventuale finale di potenza
stereo per dei diffusori tradizionali.
La prima Orpheus risale al 1991, costava
l’equivalente degli odierni 15.000 euro
e ne vennero prodotti in tutto circa 300
esemplari, ora ricercatissimi dai colle-
Ecco i diffusori
Bluetooth
più kitsch
del mondo
zionisti. Il nuovo modello sarà invece
disponibile dalla primavera del prossimo
anno e ne verranno realizzati circa 250
esemplari l’anno. Cominciate a mettere
le monetine nel salvadanaio.
di Roberto FAGGIANO
Li avevamo visti all’ultima IFA ma
speravamo rimanessero all’estero, invece eccoli qui i diffusori
Bluetooth a torre della Big Ben
Interactive. Non passano inosservati perchè riproducono nientemeno che la classica cabina
telefonica di Londra, la bandiera
britannica e due variazioni sul
tema di New York. Si chiamano
molto pomposamente torri multimediali TW7 e costano 150 euro,
un prezzo più che abbordabile
dato che integrano un sistema di
altoparlanti a due vie con quattro
midwoofer e un tweeter, amplificazione da 40 watt,
connessione
Bluetooth,
radio FM, ingresso ausiliario minijack,
ingresso USB
per chiavette
di memoria,
presa usb per
la ricarica del
telefono e slot
per
schede
SD. In dotazione c’è pure il
telecomando.
Se poi qualcuno
ama il fai da te,
nulla vieta di
trasformali in
eleganti diffusori rivestiti
color legno,
nero o magari
il bianco che
fa tanto
elegante e moderno.
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FOTOGRAFIA Sony ha lanciato una nuova fotocamera con attacco A e specchio traslucido
Sony α68: costa poco e promette molto
Ha lo stesso corpo della α77, nuovo sistema di messa a fuoco e un prezzo super: 600 euro
E
di Roberto PEZZALI
ra un po’ di tempo che Sony non presentava fotocamere per attacco A: impegnata sul fronte mirrorless, l’azienda giapponese sembrava aver messo in
disparte il discorso “Translucent Mirror”
che è stata, negli ultimi anni, una delle
uniche idee un po’ nuove in un mercato, quello reflex, ormai povero di novità che vanno oltre il video e la crescita
di risoluzione. Anche se la tecnologia
Translucent Mirror non rende la macchina
propriamente una reflex, l’impostazione
delle α77 e delle altre appartenenti alla
famiglia, inclusa la full frame a99, è quella
delle reflex, obiettivi intercambiabili, ghiere per lo scatto manuale e tante funzioni
evolute. La nuova α68 non è
una fotocamera
che
arriverà
subito: ci vorrà
qualche mese
prima di vederla nei negozi, si
parla di aprile,
ma da quanto
si può vedere
leggendo voce
per voce le varie caratteristiche tecniche vale la pena
aspettare. Il punto di forza è il prezzo:
600 euro solo corpo per una macchina
che di fatto ricalca la bellissima α77 II e
da cui prende lo stesso identico corpo,
inteso come chassis esterno. La α68
ha quattro punti di forza: il sensore è
un APS-C da 24 megapixel di nuova
concezione, la stabilizzazione è direttamente sul sensore, il processore è
l’ultimo nato Bionz X e soprattutto c’è
lo stesso sistema AF del modello superiore, con 79 punti di messa a fuoco
a ricerca di fase con sensore dedicato
Sempre più insistenti
le voci secondo cui
Samsung sarebbe
in procinto di bloccare
la business unit
del Digital Imaging
riallocando la forza
lavoro alla divisone
smartphone e medical
che includono anche 15 punti a croce e
un punto centrale a croce F2.8. L’utilizzo
del processore Bionz e dell’autofocus
evoluto permette alla α68 di raggiungere prestazioni notevoli: 8 fps di raffica
con autofocus continuo e registrazione full HD video a 50 Mbps in formato XAVC sempre con messa a fuoco
continua. Tra le altre caratteristiche uno
schermo snodabile, un mirino OLED,
una seconda ghiera a portata di pollice
per le regolazioni manuali e una sensibilità che si spinge fino a 25600 ISO.
Niente male per 600 euro.
FOTOGRAFIA Una start-up milanese offre la stampa di foto su carte del Gruppo Cordenons
Johannes: stampa su carta pregiata da smartphone
Il servizio funziona da PC, tablet, smartphone, anche direttamente da Instagram e Facebook
S
di Paolo CENTOFANTI

i chiama Johannes Printing Memories ed è un nuovo servizio di
stampa fotografica online offerto da
una start-up di Milano, pensato per ridare
dignità alle tante foto che scattiamo ogni
giorno con lo smartphone (ma non solo) e
disperdiamo nel dominio digitale. Già dal
nome, che si rifà a Gutenberg, l’inventore
della stampa a caratteri mobili, Johannes
vuole far riscoprire la bellezza di una foto
che è possibile stringere tra le mani, incorniciare, appendere. Due le caratteristiche
che distinguono il servizio di Johannes:
la semplicità d’uso e le carte scelte per
la stampa, tutti prodotti di alta qualità del
Gruppo Cordenons, storica cartiera italiana specializzata in carte pregiate.
Johannes è disponibile nella forma di
una web app raggiungibile all’indirizzo
http://johannes.pics, compatibile anche
con smartphone e tablet e che consente
torna al sommario
di caricare con semplicità le foto da stampare direttamente anche da dispositivi
mobile, oppure selezionandole dai propri
profili Instagram o Facebook. La navigazione è studiata per rendere il più semplice possibile la selezione dei prodotti
ricercati e la creazione del proprio ordine.
Samsung
smantella
la divisione
fotocamere?
Proprio la selezione di carte disponibili è
il punto di forza del servizio, che offre soluzioni gommate, metallizzate con effetto
seta o goffrate, il tutto a prezzi comunque
interessanti e in diversi formati: quadrati
(da 7x7 a 30x30 cm), rettangolari (fino a
40x30 cm), poster, libri e strip.
di Emanuele VILLA
La divisione Imaging di Samsung
torna al centro delle voci riguardanti una possibile chiusura. Alcuni siti rilanciano l’ipotesi portando come prova il fatto che il sito
stesso dedicato alle fotocamere,
Samsungcamera.com, non venga
aggiornato da tempo e di come
Samsung, solitamente prolifica nel
lanciare nuovi prodotti, non abbia
presentato negli ultimi mesi neppure una piccola compatta di fascia bassa. Samsung ha più volte
smentito la notizia, ma sembra che
il colosso coreano abbia davvero
tirato i remi in barca riallocando il
personale nelle divisioni “medical”
e “smartphone”. Secondo alcuni
Samsung avrebbe deciso di chiudere definitivamente la business
unit, secondo altri invece l’avrebbe
semplicemente svuotata lasciandola in uno stato di “ibernazione”.
Samsung non è riuscita a trasformare le sue ottime mirrorless, le
Samsung NX, in prodotti capaci in
qualche modo di battere il predominio di Canon e Nikon nel mondo della fotografia, e si è pure fatta
sorpassare nel segmento “high”
da Sony, Panasonic e Fujifilm,
prodotti comunque eccellenti. Nei
prossimi mesi si capirà tutto: sarà
bandiera bianca o semplicemente
una ritirata strategica?
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16 NOVEMBRE 2015
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PC Il prezzo del monitor 27’’ Philips con Quantum Dots è tutto sommato contenuto: 329 euro
Quantum Dots e 5K nei monitor AOC e Philips
I due brand di monitor che fanno a capo a TP Vision presentano la loro gamma completa
Cresce il segmento sopra i 24’’ e nei monitor arrivano i Quantum Dots ma a prezzi contenuti
di Paolo CENTOFANTI
T
gaming e alla produttività che ad applicazioni come il fotoritocco, con una colorimetria “standard” che si ferma allo spazio
colore sRGB. Altra caratteristica è costituita dall’audio integrato da 7 watt, con
decoder DTS per la riproduzione di audio
dagli ingressi HDMI. Il BDM3490UC ha
un prezzo consigliato di 1149 euro.
Per finire, non si può non citare il Moda
con base Ambiglow Plus. Si tratta di un
27’’ con pannello IPS full HD che si distingue oltre per il bel design bianco, per la
particolare base Ambiglow che, come la
tecnologia Ambilight sui TV Philips, produce una luce colorata diffusa con diverse modalità di funzionamento. Come
l’Ambilight, anche Ambiglow può cambiare colore in base all’immagine visualizzata
a schermo, ma con tocco della superficie
touch della base è anche possibile scegliere la tonalità che si preferisce, oppure scegliere di cambiare continuamente
colore. Il monitor Moda (275C5QHGSW)
sarà nei negozi a partire da questo mese
a un prezzo di 389 euro.
AOC ha presentato il 32 pollici
U3277PQU, disponibile dal mese scorso, monitor Ultra HD (3840 x 2160 pixel)
con pannello AHVA, la tecnologia IPS
sviluppata da AUO. il monitor è dotato
di connessioni HDMI 2.0, USB 3.0 e DisplayPort, offre una copertura completa
dello spazio colore sRGB con visualizzazione di 1 miliardo di colori tramite il
ricorso alla tecnologia FRC su pannello a
8 bit. L’aspetto più interessante è forse il
prezzo, 999 euro.
Sul versante gaming, AOC presenta invece la serie di monitor con supporto per
la tecnologia di AMD FreeSync, che consente di sincronizzare frequenza verticale del display con il rendering dei frame
della GPU in applicazioni appunto come
i videogiochi. La gamma comprende modelli da 24 e 27 pollici, rispettivamente
G2460PF e G2770PF, entrambi contraddistinti da un tempo di risposta di 1 ms, e
un refresh rate massimo di 144 Hz. I due
modelli sono disponibili a un prezzo suggerito di 319 euro e 399 euro.
Presentata infine la versione da 27 pollici
del modello I2481FXH, di cui condivide
il design ultraslim e la particolarissima
base metallica asimmetrica. Si tratta di un
monitor con pannello LCD IPS, con risoluzione full HD, spesso meno di un centimetro e contraddistinto da una cornice
estremamente sottile ai bordi. la versione
da 27 pollici arriverà a dicembre e avrà
un prezzo consigliato di 249 euro.
Philips 275P4VYKEB
Philips 276E6ADSS
Philips 275C5QHGSW

ra i leader del segmento monitor in
Italia c’è AOC, azienda che fa a capo
a TP Vision, insieme al brand Philips,
utilizzato da MMD, divisione nata dall’ingresso in TP Vision dell’ex settore monitor di Philips. Con l’uscita di diversi nuovi
modelli di monitor sia marchio AOC che
Philips, le due aziende hanno approfittato
dell’occasione per presentare le principali novità dell’intera gamma.
Le novità più importanti a marchio Philips
sono soprattutto quattro. La più significativa è il primo monitor 5K da 27’’ che
arriverà a dicembre, il 275P4VYKEB. Il
display ha una risoluzione di 5120x2880
pixel, con pannello LCD PLS a 10 bit (la
versione di IPS sviluppata da Samsung)
e promette una copertura del 99% dello spazio colore Adobe RGB. Si tratta di
una proposta indirizzata a un’utenza di
tipo più professionale, ma non mancano
caratteristiche accattivanti per il pubblico
consumer come la webcam integrata. Il
prezzo consigliato sarà di 1599 euro.
Un’altra novità molto interessante è quello che Philips definisce il primo monitor
per PC con Quantum Dots, sempre un
27’’, il 276E6ADSS, con risoluzione full
HD 1920x1080 pixel, ma che grazie ai
Quantum Dots riesce ad arrivare al 99%
della copertura dello spazio colore Adobe RGB, mantenendo un prezzo di listino
tutto sommato contenuto, 329 euro, con
disponibilità tra dicembre e gennaio.
Disponibile in questi giorni, il 34’’ BDM3490UC ha due particolarità: è in
formato 21:9 e utilizza un pannello IPS
leggermente curvo (raggio di 3,8 metri).
Il display ha una risoluzione Quad HD
essenzialmente “allargata”, 3440x1440
pixel, e presenta una cornice molto sottile. Si tratta di un monitor più orientato al
torna al sommario
iPad Pro in Italia
Ma costa come
un MacBook Air
Arrivato anche
nel nostro Paese
l’iPad Pro
Prezzo da 919 euro
esclusa tastiera
e penna Apple Pencil
di Roberto PEZZALI
Il nuovo iPad Pro (clicca qui per
l’approfondimento) da 12,9’’ è
arrivato in oltre 40 Paesi, Italia inclusa, insieme alla Apple Pencil e
alla nuova Smart Keyboard. L’iPad
Pro, con display da 12.9” con 5.9
milioni di pixel, è la nuova proposta Apple per utenti evoluti che
necessitano di un tablet più ampio
votato alla produttività e vogliono
velocità, autonomia e precisione,
senza però rivolgersi a un sistema con a bordo OSX e restando
nell’ambito di un OS più leggero e
semplice come iOS. iPad Pro parte in Italia da €919 per il modello
32GB con Wi-Fi e arriva a €1249
per il modello Wi-Fi + Cellular da
128GB; il modello da 128 GB WiFi, costa 1099 euro. iPad Pro sarà
disponibile nelle tre finiture metallizzate, argento, oro e grigio siderale e avrà come accessori Apple
Pencil a €109 e la Smart Keyboard
a €179. Per chi desiderava la tastiera c’è una brutta notizia: sarà
disponibile pare solo con il layout
tasti inglese americano, almeno
da quanto ci ha comunicato Apple, segno che forse si dovranno
attendere tastiere di terze parti
per avere una tastiera con le accentate e i glifi italiani. A conti fatti
l’iPad Pro, tastiera esclusa, costa
quanto un MacBook Air, anche
se ovviamente non sono prodotti
paragonabili. Se arriveranno applicazioni ottimizzate per iPad Pro,
il nuovo tablet potrebbe diventare
un must nel mondo della produttività, del design, dell’illustrazione,
dell’ingegneria e della medicina.
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
SOCIAL MEDIA Il prezzo di questo “poliziotto digitale” è di 99 dollari. Non disponibile in Europa
Figli dipendenti da social e game online?
Ci pensa Circle a tagliare la connessione
Troppo tempo su Internet o ai videogiochi? Con Circle with Disney è possibile evitarlo
Circle controlla il tempo di connessione ai servizi web e, se necessario, stacca la linea
S
di Roberto PEZZALI
i chiama Circle With Disney ed è un
vero poliziotto digitale: il nome non
deve ingannare, Disney ha solo
dato supporto a un interessante progetto
che aveva già provato, senza successo,
la via dell’autofinanziamento tramite Kickstarter. Circle, nella sua semplicità, è un
prodotto che potrebbe cambiare il modo
di vivere di molte famiglie alle prese con
figli (e non) che passano le ore davanti a
Internet, streaming, videogiochi online e
social network. Circle è un controllore di
traffico (con diritti di blocco): ogni membro della famiglia ha un suo profilo e il
“gestore” può scegliere tramite una app
quante ore concedere di Facebook, di
Youtube, se concedere Internet sempre
o solo in una fascia oraria. Tutte cose che
possono oggi essere fatte installando
programmi sui PC o usando un parental
control evoluto, ma queste soluzioni richiedono interventi su
ogni dispositivo. Circle risolve
controllando sulla rete Wi-Fi
il traffico generato dai singoli
dispositivi connessi alla stessa
rete Wi-Fi di proprietà dei diversi utenti di casa. Il principio
di funzionamento è abbastanza semplice e si basa su una
tecnica di hacking abbastanza
diffusa, conosciuta come ARP
Poisoning: Circle si collega alla propria
rete Wi-Fi, capisce quale dispositivo è il
router (e quindi il gateway di rete) e inizia
a spacciarsi per lui ingannando smartphone, computer, TV, tablet che credono di
essere connessi ancora al modem Wi-Fi.
Tutti i dispositivi, in realtà, sono connessi
a Circle, che istante per istante controlla
il traffico e gli accessi dei singoli prodotti
facendo il vigile digitale. Circle non costa
tanto, 99$ grazie all’intervento di Disney,
ma al momento non è disponibile in Europa. Resta solo un limite: Circle presume
che ogni membro della famiglia abbia un
suo dispositivo, ma spesso TV e tablet
sono condivisi tra più persone. E se un
figlio prende in prestito il tablet di papà,
solo l’intervento umano può risolvere la
cosa. Clicca qui per il video.
GADGET Attualmente il progetto è su Kickstarter e dovrebbe essere disponibile da dicembre
La bici 2.0 ha Neo, il fanale a energia magnetica
I vantaggi della dinamo ma contactless: è il principio di Neo, fanale tecnologicamente evoluto
di Emanuele VILLA
N

on bisogna essere ciclisti appassionati per conoscere la dinamo e
comprendere l’importanza di una
forte illuminazione frontale e posteriore
ai fini della sicurezza e della visibilità
notturna. Il problema è solo uno: la dinamo è datata 1831 e l’alternativa, l’illuminazione tradizionale, richiede la classica
batteria (che come tale si scarica). Possibile che, a 2015 inoltrato, non ci sia la
possibilità di mescolare la potenza dei
fanali a LED che funzionano a batteria
con i vantaggi della dinamo? Sì, questa
possibilità c’è, arriva dalla Scandinavia
ed è al centro di una campagna di Kickstater che ha già superato l’obiettivo di
raccolta fondi che si era posto. Si tratta
di un piccolo dispositivo che si chiama
Neo, va montato in coppia (uno frontale
e uno posteriore), ha un potente faretto LED integrato e si compone di tre
elementi: generatore, luce e aggancio
torna al sommario
per la bici. Il bello di questo
sistema è che si basa su un
principio che ricorda la dinamo classica, quindi senza
bisogno di batterie, ma non
tocca fisicamente il cerchione - e di conseguenza non lo
consuma. Il principio è quello dello sfruttamento delle
correnti parassite generate
dal cerchione in alluminio e “catturate”
dal generatore dell’apparecchio, senza
nessun contatto tra i due elementi, che
semplicemente vanno posti a distanza
ravvicinata. I moduli sono due e diversi:
uno va usato come luce frontale e dispone di due LED da 1W, l’altro comprende
1 o 2 LED a bassa potenza e va usato
per la luce posteriore. È anche presente
un sistema ausiliario con un circuito di
backup che permette di mantenere i faretti accesi con una potenza luminosa ridotta quando si è fermi al semaforo e si
attende il momento del verde. E anche il
sistema di
montaggio è molto semplice per
potersi
adattare
a tutti (o
quasi) i modelli in commercio: chi fosse
interessato può consultare direttamente la pagina del progetto. Il pledge minimo per ottenere una coppia di Neo è da
18 dollari e la consegna è prevista per
dicembre.
Curare le carie
senza dolore,
otturazioni
e trapano si può
Non dovrete più
preoccuparvi di
anestesie e otturazioni
per curare piccole carie
Con il “supercharger”
dentale sarà possibile
sparare grandissime
quantità di minerali
nello smalto dentale
per ripararlo in breve
tempo senza dolore
di Massimiliano ZOCCHI
Grazie a Reminova, azienda con
base a Perth in Scozia, almeno
per le carie più piccole potremo
fare a meno di trapano, otturazione, anestesia, ma soprattutto
del dolore. Il team di Reminova
ha messo a punto uno strumento
che loro chiamano supercharger
dentale, grazie al quale è possibile riparare i danni allo smalto
senza interventi esterni e invasivi. Tramite una piccolissima
carica elettrica, impercettibile al
paziente, Reminova è in grado
di velocizzare il meccanismo naturale di remineralizzazione dello smalto dentale, tanto da farlo
durare il tempo di una normale
seduta dal vostro dentista di fiducia. In pratica minerali utili ai denti come calcio e fosforo vengono
letteralmente sparati all’interno
della lesione per ricostruire la
superficie del dente. Ovviamente
nei casi più gravi sarà comunque
necessario un intervento classico, ma sono molti gli interventi
che si potrebbero evitare con
questa innovativa scoperta, con
la possibilità inoltre di frenare sul
nascere future carie.
Serie S78 / Ultra HD
50” / 58”
Immergetevi
in una nuova
esperienza !
Avvicinatevi al vostro grande schermo UHD e tuffatevi in un’immagine di una ricchezza incredibile di dettagli. Un’immagine che non è mai stata cosi profonda grazie alla precisione dei contorni, anche nei dettagli
più lontani. Un’immagine che non è mai stata cosi realistica grazie alla nitidezza dei colori. Ammirate la
perfetta fluidita del movimento, resa possibile dalla tecnologia Clear Motion Index 800 Hz.
ww.tcl.eu/it
n.122 / 15
16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
APP Non esiste un’anagrafe nazionale e i database comunali con i dati delle sepolture consultabili via Web ancora scarseggiano
Trovare i defunti al cimitero, una fatica mortale
E così a Milano risultano “salme” anche i vivi
A Milano debutta un’app per trovare la tomba di un conoscente, ma il risultato è grottesco: anche i vivi sono dati per morti
di Gianfranco GIARDINA
passata da qualche settimana la ricorrenza dei
defunti: chi ha voluto in quei giorni “allargare”
il giro ai parenti meno stretti ha avuto i suoi
problemi nel trovare, soprattutto nei grandi cimiteri
metropolitani, il campo e la sepoltura cercata. L’Amministrazione Pubblica, che fatica a digitalizzare i fatti
dei vivi, si dimostra spesso incapace anche di gestire
un database dei più placidi morti. E quando lo fa, non
tutto va sempre liscio.
È
La app di Milano “seppellisce”
anche i vivi

La più recente notizia sul fronte dei sistemi di ricerca
dei defunti riguarda Milano: da qualche giorno il Comune ha lanciato una app dal nome non proprio felice, Not 2 4Get, disponibile per iOs e Android, che
consente di scoprire il luogo di “ultima residenza” di
un defunto tumulato in un cimitero milanese. Poco conta che nessuno capisca il gioco di parole (Not 2 4Get
è la versione in lettere e numeri della formula inglese “Not to Forget”, non dimenticare); ma la sostanza
è che, se lo si scopre (sul sito del Comune non ve n’è
traccia né menzione), si tratta di un servizio utile, che
inspiegabilmente non è erogato anche via Web. Ma
nella innovativa app del Comune di Milano c’è ancora
qualcosa a cavallo tra il grave e il grottesco da mettere a punto: nella lista dei sepolti nei cimiteri milanesi
compaiono infatti anche molti cittadini vivi e vegeti.
Come abbiamo potuto verificare, sono diverse le persone che compaiono nelle liste, con tanto di cimitero di
“residenza” e riferimenti della sepoltura, e che invece
sono ancora a “piede libero” in giro per la città. Si tratta presumibilmente – secondo la nostra ricostruzione
- dei concessionari delle tombe (tipicamente coniugi o
figli dei defunti), che non necessariamente ancora vi
risiedono, ma le cui schede anagrafiche sono finite per
un macabro errore nel calderone del grande database
cimiteriale. Un bello spavento per chi, cercando un parente, si ritrova in lista con la dizione “stato: salma”. O
comunque – volendo vedere il bicchiere mezzo pieno
torna al sommario
– un buon auspicio di lunga vita.
UPDATE: Il Comune di Milano è intervenuto sui
propri database, rendendo invisibili i concessionari
delle tombe e lasciando quindi nella lista sono gli
effettivi defunti.
Grandi città spesso non eccellenti
Milano a parte, le metropoli italiane non sembrano
voler semplificare la vita ai visitatori cimiteriali. La necessità di un database delle sepolture si fa più sentire
nei grandi centri urbani, in cui i cimiteri sono spesso
sconfinati. E se è lecito presumere che tutti i dati dei
defunti siano ormai digitalizzati sui server dei grandi
comuni, non è altrettanto vero che queste liste siano
liberamente accessibili ai cittadini in cerca di qualche
vecchio amico o di un lontano parente.
La Capitale, per esempio, non offre nessuna strada
“telematica” alla ricerca dei propri defunti: il sito del
Comune di Roma offre come possibilità per ottenere
informazioni sui defunti cercati solo la via telefonica
o l’email; o peggio ancora, invita a recarsi di persona
presso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico. Tra le gran-
di città, spicca Torino: il sito web del Comune offre
l’intero database facilmente consultabile, con tanto di
mappa dettagliata del cimitero interessato.
L’unico limite è che i database dei defunti inumati e di
quelli cremati è disgiunto: se non si conosce quale sia
stata la modalità scelta per il defunto ricercato, tocca
fare due ricerche. Il sito del Comune di Napoli, invece, addirittura invita ad “avanzare la richiesta all’ufficio
‘Archivi cimiteriali’” (la cui sede – forse non a caso - è in
via Santa Maria del Pianto). Il Comune di Palermo non
riporta alcuna indicazione su come trovare l’ubicazione
del proprio caro, né sotto forma di database né come
segue a pagina 19 
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
AUTOMOTIVE L’amministratore delegato di Tesla vuole mettere un freno ai rischi inutili
Autopilot, Tesla rimedia a eventuali rischi
Il sistema di guida assistita per Tesla Model S e X è già stato installato su molte vetture
Arrivano le immagini dei pericoli derivanti da fidarsi troppo dell’intelligenza artificiale
di Massimiliano ZOCCHI
l pilota automatico introdotto da poche settimane da Tesla Motors per
le sue Model S e Model X ha fatto
gridare al mezzo miracolo, considerando che è una tecnologia partita da zero
e sviluppata in tempi record. Ma forse
troppi driver della 100% elettrica californiana stanno abusando di questa guida
assistita per giocare ai moderni Michael
Knight. In rete iniziano a comparire i
primi video in cui la guida autonoma ha
risolto situazioni pericolose ed evitato
incidenti, ma insieme arrivano anche
numerosi filmati di chi abusa di questa
funzione, e in alcuni casi sono emersi
gravi errori da parte del computer di
bordo. Clicca qui per un video. In alcuni
casi, non è dato sapere per quale motivo, l’autopilota reagisce in modo errato,
quasi al contrario di ciò che dovrebbe
I
fare, con la possibilità di
generare incidenti anziché evitarli. Il CEO Elon
Musk è subito corso ai
ripari evidenziando come
Autopilot sia tuttora una
tecnologia considerata
in beta, e come Tesla non
l’abbia mai considerato
un sostitutivo alla guida, ma solo un aiuto in emergenza o
per maggiore sicurezza, e che non si
dovrebbero mai comunque staccare
le mani dal volante. Clicca qui per un
video.
A margine della conferenza sui risultati trimestrali, Musk ha quindi reso noto
che Tesla è intenzionata a porre rimedio a questi abusi, e sta studiando dei
blocchi e delle contromisure per evitare
i tentativi di guida totalmente autonomi.
Non è stato chiarito come intendano
farlo, forse inserendo un sistema di
auto disattivazione se il volante viene
lasciato per più di alcuni secondi, come
già avviene oggi su alcune vetture della concorrenza dotate di sistema automatico di mantenimento corsia. Tesla è
costretta a fare mezzo passo indietro a
causa dell’incoscienza (e anche un po’
di stupidità) umana, non certo per mancanza di intelligenza artificiale...
APP
Facebook
annuncia
Notify
Facebook ha annunciato Notify,
una nuova applicazione dedicata
al mondo delle notizie che punta a
offrire qualcosa di molto simile a
quello che offre Twitter principale
concorrente di Facebook. L’app invia
notifiche sulla schermata di blocco
di iOS, con notizie da alcune delle
principali testate online internazionali e permette di ricevere notifiche
personalizzate selezionando
delle “stazioni”. L’app fornirà una
selezione di stazioni che potrebbero
interessare all’utente sulla base del
suo profilo social. Il debutto di Notify
interessa per il momento la piattaforma iOS con disponibilità solo negli
Stati Uniti, con una selezione di una
settantina di fonti, che comprende
testate come CNN, Washington Post,
New York Times, Vice, Bloomberg,
BuzzFeed, Time, Huffington Post.
Clicca qui per il video.
APP
App Milano defunti
segue Da pagina 18 
riferimenti telefonici o email, e questo malgrado ci sia
un intero sottosito dedicato ai servizi cimiteriali.
La mancata digitalizzazione del database dei defunti (o
comunque la mancanza di un servizio di consultazione)
non è un fatto che riguarda solo il Centro-Sud: nel sito
del Comune di Genova si trovano tante informazioni
dettagliate sui servizi cimiteriali, ma nessuna indicazione per rintracciare l’ultima dimora dei propri conoscenti; a Bologna, almeno apparentemente, siamo ancora
fermi alla carta: l’unico riferimento che siamo stati in
condizione di trovare sul sito del Comune è a un fantomatico “registro in duplice copia vidimato dal Sindaco”.
Nulla di utile neppure a Firenze (non andiamo oltre le
mappe dei cimiteri, ma senza riferimenti precisi), Venezia, Bari e Catania. Per avere un buon servizio di ricerca online bisogna scendere fino a capoluoghi un po’
più piccoli: a Verona il sito web ha un buon strumento
di ricerca (bisogna sapere anche il nome preciso del
defunto o l’anno del decesso); database presente ma
condizioni ancora più stringenti a Padova: senza nome
e cognome esatti e la data di decesso precisa il sistema non mostra i risultati. Ottimi i sistemi di Messina e
di Ferrara (utilizzano il medesimo software). Altrettanto
validi quelli di Monza, Bergamo e Brescia.
Ma i morti hanno una privacy?

Il fatto che la lista dei defunti e il loro “indirizzo” sia
liberamente pubblicato su Internet ha fatto discutere
negli anni scorsi e ha anche coinvolto il Garante per
torna al sommario
la Privacy che, in passato, si è espresso contro questi
servizi al cittadino. Addirittura pare che a Roma il servizio di localizzazione dei defunti via Web fosse attivo
fino al 2010 e che poi fosse stato sospeso proprio per
i timori che potesse configurarsi un violazione della
privacy. Infatti, il Comune di Roma (a quel tempo con
Gianni Alemanno sindaco) aveva comunicato che
“onde evitare la violazione delle norme sulla riservatezza e sulla tutela dei dati personali, non è possibile
pubblicare, se non su esplicita e formale richiesta degli aventi diritto, il luogo di riposo del defunto, qualora
da questo possano essere desunte indicazioni relative a dati personali sensibili del defunto stesso, quali,
ad esempio, la confessione religiosa da questi professata”. E in effetti il garante della privacy avrebbe in
passato ingiunto ad alcuni comuni di chiudere i propri
servizi di “geolocalizzazione funebre”, come nel caso
del comune di Thiene (VI) sul cui sito compare ancora
la laconica scritta: “ATTENZIONE: Il servizio di ricerca
del defunto è momentaneamente sospeso”. E allora
come fanno i Comuni che pubblicano le liste a farlo
senza incorrere nelle ire del Garante? In molti riportano un breve disclaimer in cui richiamano la normativa
sulla privacy: “Ai fini della privacy si informa che i dati
personali consultabili attraverso il Ricerca Defunto
on line rientrano nella casistica dell’art. 24 del D.lgs.
196/2003 – Casi nei quali può essere effettuato il
trattamento senza consenso, lettera C “dati provenienti da pubblici registri, elenchi, atti o documenti
conoscibili da chiunque”. Questo sembrerebbe bastare per mettere i sindaci al riparo da infrazioni della
privacy, cosa che ci appare decisamente ragionevole.
Malgrado ciò non mancano alcune “contrindicazioni”:
il caso che ha fatto più scalpore riguarda il comune
di Torino, che ha uno dei servizi migliori. Una società terza (sulla quale il Garante della Privacy avrebbe
aperto un’istruttoria nel 2013) ha creato un sito dedicato al culto dei defunti e, secondo le ricostruzioni,
avrebbe scaricato con una serie massiva di query la
lista di tutti i defunti di Torino, creando una specie di
cimitero virtuale parallelo, chiedendo addirittura soldi
per l’accensione, sempre virtuale, di lumini e simili e
ricreando lapidi in computer grafica assolutamente
realistiche.
Forse si tratta di un consiglio per chi non riesce a trovare i propri cari nei cimiteri fisici per la mancanza
dei database consultabili: non resta che ripiegare sui
sepolcri virtuali?
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
AUTOMOTIVE Secondo un rapporto Istat, nel 2014 in Italia ci sono stati 177.031 incidenti stradali che hanno causato 3381 morti
Google Car potrebbe salvare migliaia di vite
Le auto a guida autonoma promettono grandi cose, tra cui la possibilità di ridurre drasticamente gli incidenti stradali
Si stima che solo in Italia potrebbero salvare 3000 vite all’anno, addirittura 29.000 negli Stati Uniti. Ma quanto manca?
di Emanuele VILLA
l recente rapporto Istat sugli incidenti stradali fotografa una situazione che, sia pur in miglioramento rispetto agli anni passati, resta inquietante: nel
2014 in italia si sono verificati 177.031 incidenti con
lesioni alle persone, incidenti che hanno provocato
3.381 morti.
Dati che ci fanno riflettere un po’ su tutto: dalla sicurezza delle nostre auto alla condotta dei guidatori,
dalla normativa in vigore alle tecnologie atte a prevenire gli incidenti e via dicendo. E conta davvero poco
sapere che il numero degli incidenti è sceso del 2,5%
e quello dei feriti del 2,7%, che le cinture di sicurezza,
gli airbag e la severa normativa sulla guida in stato di
ebbrezza sono state efficaci (in America, dal 1970 ad
oggi gli incidenti mortali sono dimezzati), perchè alla
fine il numero di morti resta troppo alto e gli incidenti
sono - in buona parte del mondo - la prima causa di
morte per le persone al di sotto di una certa età. Se
poi parliamo di stime mondiali, il numero fa davvero
paura: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sulle strade muoiono 1,2 milioni di persone ogni
anno.
Leggiamo il rapporto Istat e poi, tornando a temi a
noi più familiari, leggiamo che Google Car - l’icona
dell’auto a guida autonoma - non ha fatto incidenti in
migliaia di chilometri percorsi e ci viene voglia di approfondire l’argomento. Anche perchè, sarà merito di
Tesla o delle altre aziende del settore automotive, ma
di auto a guida autonoma si continua a parlare quoti-
I
dianamente senza avere ben chiari i confini e sapere
a che punto siamo arrivati.
Incidenti -90%
La promessa dell’auto autonoma
Secondo
una
ricerca
pubblicata
da
McKinsey&Company, entro il 2050 le auto a guida
autonoma diventeranno il principale mezzo di trasporto negli USA e nelle aree tecnologicamente più avanzate del pianeta (riteniamo di farne parte) e porteranno a una riduzione degli incidenti fino al 90%.
Questo andrà confermato lungo il percorso e non può
essere dato per certo fin d’ora, ma se è vero che la
maggior parte degli incidenti gravi è dovuta a distrazione del conducente (seguiti dall’eccessiva velocità),
allora le stime potrebbero avverarsi e portare, nei soli
Stati Uniti, a una riduzione dei costi sanitari di 190 miliardi di dollari ogni anno (attualmente la spesa è di
212 miliardi/anno).
Oltre all’effetto più importante: le auto a guida autonoma potrebbero salvare 3.000 vite all’anno in Italia e
più di 29.000 negli Stati Uniti. L’automobile potrebbe
ribaltare la propria posizione e diventare in un attimo
il mezzo di trasporto più sicuro tra quelli esistenti.
Quindi a che punto siamo?
L’industria automobilistica sa che l’auto a guida autonoma è la next big thing: perchè è l’evoluzione
di tecnologie esistenti, perché è un passo enorme
a livello di comodità e praticità e perché potrebbe
rendere l’automobile il mezzo più sicuro in assoluto.
Peccato che da qui al 2050 di acqua sotto i ponti ne
debba passare ancora parecchia: in questo momento
Google è in assoluto il player più avanti nella corsa
verso l’auto a guida autonoma, con un progetto che
porta avanti dal 2009 e che può essere monitorato
tramite la pubblicazione di rapporti mensili; in questo
momento, i mezzi di Google sono dislocati in due città
degli Stati Uniti, Mountain View e Austin in Texas, ma
molte altre si aggiungeranno nei prossimi mesi/anni,
autorizzazioni permettendo.
Seguono Tesla, che è stata la prima a introdurre l’Autopilot in modelli commerciali ma con la precisazione
che si tratta di un sistema di assistenza alla guida e
non - o non ancora - di un sistema di guida autonoma,

segue a pagina 21 
torna al sommario
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
AUTOMOTIVE
Google Car
segue Da pagina 20 
poi arriveranno tutte le altre, da Audi a BMW, da Volvo
a Uber. E poi c’è Apple: sì, perché nonostante in quel
di Cupertino le bocche siano cucite sul progetto, gli
indizi sono davvero tanti e si sospetta che per il 2020
anche l’auto - elettrica ed autonoma - della mela solcherà le strade americane. Pare che il primo modello
possa uscire anche prima, ma difficilmente sarà a guida autonoma: per questo si dovrà attendere di sicuro
il prossimo decennio.
Le sfide di Google Car
e gli “zero incidenti”

Progetti specifici a parte, cui dedicheremo degli approfondimenti, parliamo dell’unica auto a guida autonoma che percorre in lungo e in largo strade cittadine, la Google Car. Non ha volante, è elettrica, ha
una forma particolare, è il risultato di un progetto nato
nel 2009 e che dovrebbe portare, intorno al 2020, ai
primi esemplari di tipo commerciale. Ma attenzione, è
improbabile che Google, una volta perfezionata l’auto e le tecnologie on board, venda la propria auto ai
privati; è opinione di molti che l’azienda, raggiunto il
livello 1.0 del proprio progetto, lo usi come mezzo di
trasporto pubblico alternativo, una sorta di taxi iper
evoluto che le persone chiamano quando hanno bisogno e cui si affidano per i propri spostamenti quotidiani.
Per arrivare a quel punto c’è bisogno di tempo, e lo
conferma il fatto che al momento le Google Car, pur
guidando da sole, hanno sempre all’interno un tecnico dell’azienda che - in situazioni specifiche - attiva
la modalità manuale. Anche perchè prima di poter
gestire tutte le possibili situazioni, le auto a guida autonoma devono fare pratica a tempo indeterminato e
subire correzioni puntuali da parte di conducenti in
carne ed ossa.
Così come arriva la notizia che le Google Car hanno
perfettamente riconosciuto centinaia di bambini in
maschera per la festa di Halloween, al tempo stesso pare che un ciclista con bici a scatto fisso abbia
letteralmente fatto impazzire una macchina di Google
ferma a un semaforo. Per mantenere l’equilibrio su
una bici a scatto fisso, infatti, il ciclista deve eseguire
la mossa del trackstand, ovvero dare piccoli colpetti
avanti e indietro sui pedali: questo è stato interpretato da Google Car come qualcosa di anomalo, da cui
un comportamento imprevedibile dell’auto che ha iniziato ad avanzare “singhiozzando” e a richiedere l’intervento del conducente. Stesso discorso per quanto
concerne possibili hack al software o al Lidar, cosa
che qualcuno ha già provato, oltre al capitolo immenso della regolamentazione legislativa e - soprattutto
- dell’assunzione di responsabilità in caso di incidenti,
cosa che porterà via anni di studio e dibattito. Oggi è
chiaro che la responsabilità in caso di sinistro vada a
uno o entrambi i conducenti, ma se la macchina guida
da sola e urta un’altra auto, chi paga? Nei prossimi
anni questo tema sarà affrontato più e più volte.
Nonostante Google sia piuttosto restia a comunicare
le aziende coinvolte nel progetto, troviamo LG Che-
torna al sommario
mical per le batterie, Continental, Bosch, Frimo per
pneumatici, impianto frenante e motore, mentre il Lidar, ovvero l’occhio vigile che è installato sopra tutte
le Google Car, dovrebbe essere prodotto in casa con
la consulenza di Velodyne, un riferimento nel settore. Il Lidar, insieme agli infiniti sensori presenti nella
carrozzeria, è il responsabile della mappatura dell’ambiente circostante, operazione fondamentale affinchè
il software di navigazione riconosca strada, corsie,
cartelli e tutti gli ostacoli per evitare gli incidenti.
Il risultato sono - al momento - zero incidenti con colpa. Sembra incredibile, ma è quanto dichiara l’azienda
riguardo ai progressi di Google Car: le macchine, la
cui velocità massima è di 50 km/h, hanno guidato per
più di 3 milioni di chilometri e accumulato un’esperienza pari a 75 anni di guida; grazie a un approccio
estremamente prudente (per esempio, all’accensione
del verde le GCar attendono 1,5 secondi prima di partire), queste sono state coinvolte in 16 incidenti minori
ma in nessun caso sono state causa dell’incidente.
Google ha segnalato l’ultimo incidente nel rapporto
di agosto 2015, una fattispecie piuttosto comune ma
al momento dell’impatto l’auto era sotto il controllo
manuale.
Resta da capire una cosa: quante volte i conducenti
in carne ed ossa delle Google Car hanno impedito
incidenti? Saperlo è determinante perché non solo
in condizioni ideali il passeggero non sarà costretto
a guardare la strada, ma se verrà allertato dall’auto
impiegherà qualche secondo (una decina, pare) prima
di prendere il controllo del mezzo. In una decina di secondi può succedere di tutto, ed è quindi fondamentale che le auto, mantenendo un approccio estremamente prudente, riescano a cavarsela da sole nel 99%
dei casi. Google possiede questa informazione poichè la procedura di intervento dei tecnici è ingegnosa: ai guidatori viene richiesto di prendere il controllo
del mezzo quando si rileva una situazione di pericolo
(come quando il veicolo che precede frena bruscamente), ma in un secondo momento i dati vengono
ri-analizzati dal computer per capire se l’auto avrebbe
reagito in modo corretto e in tempi utili qualora non ci
fosse stato intervento umano.
Le premesse restano incoraggianti, e lo testimoniano
non solo i dati diffusi da Google ma anche l’impegno
dei competitor e le opinioni positive di chi ha avuto
modo di testare la tecnologia: l’unico dubbio è sui
tempi, visto che - a ben vedere - il 2020 non è così
lontano. Dal canto nostro, vi terremo aggiornati su tutte le evoluzioni: incrociamo le dita.
Google Car vede così. Identifica gli ostacoli e si mantiene sempre alla giusta distanza.
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST Ci sono voluti tre anni, ma alla fine la nuova Apple TV è arrivata e ora offre molto di più: le sue potenzialità sono notevoli
Apple TV è molto più di un semplice media player
Con Apple TV gettate le fondamenta di un nuovo percorso volto alla conquista di un posto di rilievo tra le mura domestiche
di Paolo CENTOFANTI
a precedente Apple TV debuttò sull’App Store
nel 2012, nella forma di un upgrade con supporto al video 1080p della versione di seconda
generazione introdotta un paio d’anni prima. Dal 2010
fino a quest’anno, Apple TV era sinonimo di un piccolo
set top box nero, che permetteva di riprodurre su TV
contenuti acquistati sull’iTunes Store e accedere ad alcuni servizi video in streaming selezionati da Apple. La
maggior parte di questi non era disponibile al di fuori
negli Stati Uniti e, soprattutto in Italia, l’utilizzo principale
di Apple TV era legato alla funzione AirPlay, che consente di riprodurre contenuti da Mac e dispositivi iOS
in modalità wireless sul TV. Tutto cambia con il nuovo
modello annunciato a settembre 2015: esteticamente
sembra solo una versione più spessa del piccolo box
che ormai conosciamo fin troppo bene, ma le novità
sono in realtà moltissime. L’hardware diventa molto più
potente, essendo basato sul processore a 64 bit A8 che
Apple ha progettato per l’iPhone 6, ma soprattutto c’è
una nuova piattaforma software, tvOS, sviluppato sulle
solide fondamenta di iOS 9 e ottimizzato per il grande
formato della TV. È soprattutto questo elemento che
differenzia la nuova incarnazione di Apple TV dagli altri
“media streamer” sul mercato ed è il motivo per cui sbaglia chi si sofferma solo sull’aspetto della riproduzione
video nell’approcciare questo nuovo prodotto Apple. È
sicuramente qualcosa di più e ci sono tutte le ragioni
per sospettare che Apple abbia in mente un ruolo centrale nell’evoluzione del suo ecosistema per quello che
Steve Jobs definì una volta un semplice hobby.
L
Più potente di un iPhone 6, ma niente 4K
Apparentemente la nuova Apple TV non sembra poi
così diversa dalla precedente; chiaro, è decisamente
più spessa, visto che passa da 23 a 35 mm, ma per
il resto cambia davvero poco: è sempre un quadrotto
10x10, nero, e con i pochi connettori sul retro: HDMI 1.4,
porta di rete ethernet, alimentazione e un connettore
USB-C (solo per il ripristino via iTunes del dispositivo).
Sparisce dunque l’uscita ottica per il collegamento a un
ampli esterno. Sul versante wireless troviamo invece
Bluetooth 4.0 e Wi-Fi 802.11ac con supporto MU-MIMO.
Sul frontale c’è invece giusto un piccolo LED a indicare
lo stato di accensione del dispositivo.
video
lab
Apple TV (2015)
179,00 €
UN PRIMO PASSO ALLA CONQUISTA DEL SOGGIORNO
Con questo dispositivo, Apple getta le fondamenta di un nuovo percorso verso la conquista di un posto di rilievo all’interno delle mura
domestiche. Se ancora non conosciamo i progetti per quanto riguarda lo streaming (ma gli indizi puntano tutti verso la volontà di scardinare
gli attuai equilibri della distribuzione dei contenuti, almeno negli Stati Uniti), di certo tvOS ci dice che Apple TV è oggi più che mai vicina come
potenzialità a quelle di un iPhone o un iPad. Le app che già possiamo vedere presentano lo stesso livello di pulizia e standard qualitativi a cui
l’App Store di iOS ci ha abituati da anni e solo il tempo ci potrà dire se gli sviluppatori salteranno con decisione su questa nuova piattaforma.
Lo spazio per fare qualcosa di nuovo c’è tutto. Allo stesso tempo Apple ha mantenuto per altri aspetti un atteggiamento conservativo. Chi
guarda a Apple TV soprattutto come un media streamer, rimarrà deluso dall’assenza di supporto per il 4K, che non dubitiamo Apple introdurrà
nei modelli successivi. Il prezzo è più alto del modello precedente, ma la nuova Apple TV offre e soprattutto offrirà molto di più.
8.4
Qualità
9
Longevità
8
Interfaccia bella e semplice
COSA CI PIACE Il telecomando ben pensato
tvOS ha un ottimo potenziale
Design
7
Semplicità
9
D-Factor
8
Prezzo
8
Design dell’hardware datato
COSA NON CI PIACE Niente uscita 4K, niente Netflix Ultra HD
Siri e ricerca vocale non disponibili in Italia
I cambiamenti più importanti sono all’interno. Se l’ultimo modello era ancora basato sul processore A5,
quello di iPad 2 e iPhone 4S, qui Apple ha montato
l’A8 che ha debuttato sull’iPhone 6 e che costituisce un
deciso salto in avanti in termini di prestazioni. Perché
Apple ha scelto l’A8 e non il più recente A9? Ci saranno
probabilmente dietro anche discorsi di costi e soprattutto approvvigionamento (per stare dietro alla domande per i nuovi iPhone 6S e 6S Plus, Apple ha dovuto
ricorrere a due diversi fornitori), ma la ragione ufficiale
è che l’A8 è all’altezza del compito, anche perché a differenza che su uno smartphone o un tablet, qui non ci
sono consumi della batteria o dissipazione del calore
da gestire, e il processore può venire spremuto maggiormente in termini di potenza. Per quanto riguarda
il mancato supporto per i TV 4K, la posizione ufficiale
di Apple è che i contenuti sono ancora pochi per un
prodotto “di massa” a cui aspira essere la nuova Apple
TV, un ragionamento che cozza un po’ con le capacità
di ripresa video dell’iPhone 6S, o la crescente offerta
di contenuti su Netflix e Amazon, ma tant’è. Aumenta
infine la memoria storage, con opzione per 32 o 64 GB
di spazio per le applicazioni.
Siri Remote è la vera novità hardware
L’altro grosso elemento di novità è naturalmente il
telecomando Siri Remote. C’è stata molta confusione inizialmente dettata dal fatto che Siri è disponibile
solo in alcuni paesi al lancio e Apple ha utilizzato un
nome differente nella sua comunicazione, ma in realtà

segue a pagina 23 
torna al sommario
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16 NOVEMBRE 2015
TEST
Apple TV
segue Da pagina 22 
il telecomando è al 100% lo stesso in tutto il mondo
e quando Apple abiliterà il riconoscimento vocale anche in altri paesi, anche le funzioni saranno identiche.
Il nuovo telecomando è innanzitutto dotato di un touchpad nella parte superiore, che permette di controllare tutta l’interfaccia agilmente con il proprio pollice. Ma
aumentano anche i pulsanti fisici: oltre al tasto Menù,
che funziona da tasto indietro, c’è anche un tasto
Home che permette di tornare subito alla schermata
principale (nonché di mettere in stand by il dispositivo).
C’è il tasto per invocare Siri (in modalità push to talk),
che in Italia avvia la funzione di ricerca, play/pausa e il
controllo del volume.
Apple TV è in grado di controllare via HDMI-CEC TV e
amplificatori collegati e se tramite HDMI riesce a carpire marca e modello dei dispositivi collegati, programma il sensore IR per offrire eventualmente questo metodo di controllo del volume. Il telecomando si collega
a Apple TV tramite Bluetooth però, per cui non deve
più essere puntato verso il dispositivo. Siri Remote integra inoltre accelerometro e giroscopio, sensori che lo
trasformano in un controller per i videogiochi “alla Wii”.
C’è pure un cordino opzionale che si collega al connettore Lightning sul retro come sicurezza, per evitare di
lasciarsi scappare il telecomando durante una partita
scagliandolo contro il TV. La porta lightning può essere
utilizzata unicamente per la ricarica di Siri Remote: secondo Apple una carica dovrebbe bastare per circa 6
mesi di utilizzo “normale” e un avviso a schermo indica
quando la batteria è scarica. Nella confezione non troviamo un cavo HDMI, ma quello USB/Lightning per la
ricarica del telecomando sì.
La grande novità è tvOS
Come iOS ma per la TV
La novità più grande non è tanto l’hardware quanto il
software. Con tvOS Apple lancia la sua quarta piattaforma dopo OS X, iOS e watchOS, ma il sospetto è che
presto tvOS possa scalzare quest’ultimo per importanza, o che comunque possa rivestire un ruolo molto più
centrale. tvOS è una versione di iOS 9 ottimizzata per
l’utilizzo su TV: spariscono quei componenti che servono per gestire uno smartphone o un tablet, ma le

La nuova home screen di tvOS.
torna al sommario
MAGAZINE
fondamenta sono quelle e questo significa soprattutto
che, complice l’utilizzo della stessa famiglia di processori, che gli sviluppatori iOS possono agevolmente
creare versioni per Apple TV delle proprie applicazioni
e naturalmente svilupparne di completamente nuove
con in mente un tipo di esperienza d’uso diversa rispetto all’ambito mobile.
Con la nuova Apple TV arrivano dunque le app di terze parti e un nuovo App Store dedicato e questa è
la prima enorme differenza rispetto ai modelli precedenti. Significa anche che su Apple TV arrivano non
solo servizi di streaming video, ma anche app di ogni
tipo, compresi i videogiochi. Si tratta di un aspetto che
nei commenti seguiti all’annuncio del prodotto è stato poco considerato e invece è quello che più di ogni
altro rende diversa la nuova Apple TV: se la crescita
dell’App Store di tvOS ripeterà anche in minima parte il
successo della versione per iOS, l’offerta di applicazioni potrebbe in breve tempo diventare ricchissima e di
spazio per inventarsi cose nuove sul grande schermo
ce n’è sicuramente tanto. Anche sul fronte videoludico, sarebbe meglio andarci piano con lo scetticismo.
Sbaglia chi cerca di paragonare Apple TV con console
come PlayStation e Xbox: iOS, come Android del resto,
ha trasformato praticamente tutti in casual gamer, ed
è proprio questo il target che potrebbe farsi sedurre
dalle capacità della Apple TV.
Quando avviamo Apple TV la prima volta la home
screen è praticamente vuota e troviamo solo le app di
base: Film di iTunes, Apple Music, Foto, App Store, ricerca, impostazioni e contenuti condivisi via iTunes dal
proprio PC (icona “computer”). L’interfaccia di Apple TV
è stata completamente rivista a livello grafico rispetto
alla versione precedente e nonostante ciò riesce a rimanere familiare. Le linee guida sono quelle introdotte
a partire da iOS 7, con un ampio utilizzo di effetti di trasparenza e schermate che cambiano colore in accordo
con i contenuti (vedi le pagine di descrizione dei film),
ma allo stesso tempo il tutto ha una tridimensionalità
molto più accentuata rispetto all’aspetto “flat” di iOS.
Questo anche per via del particolare effetto 3D associato alle icone e alle locandine dei contenuti, che sembrano prendere vita quando ci si sofferma con il dito
sopra (tramite il telecomando touch si intende). Come
nella versione precedente, la schermata principale è
divisa essenzialmente in tre blocchi: in alto l’anteprima
dell’app selezionata tra quelle della “dock” sottostante,
che rispetto al passato ora può accogliere una qual-
siasi delle nostre app più utilizzate, mentre più sotto
seguono tutte le altre app installate. Tenendo premuto
il “cursore” su un’icona si entra nella modalità di customizzazione che consente di spostare le app a piacere ed eventualmente di rimuoverle premendo il tasto
play/pausa. Al momento non c’è la possibilità di creare
le cartelle, ma è una funzionalità che potrebbe arrivare.
Premendo il tasto del telecomando con il microfono,
come è noto, in Italia non si accede a Siri, ma alla normale ricerca che, rispetto ai paesi in cui Siri è presente,
effettua unicamente le ricerche all’interno dell’iTunes
Store e non delle app. Se cerchiamo un film, per dire,
escono i risultati di iTunes ma non di Netflix, come succede invece negli Stati Uniti. In più non solo non c’è
Siri, ma neppure la dettatura vocale, per cui tutti i testi
vanno scritti a mano; anche se con il telecomando touch è molto veloce, è comunque una soluzione lontana
dall’ideale.
Entrando nell’App Store, nella sezione “i miei Acquisti”
troveremo tutte le nostre app di iOS che supportano
anche Apple TV. Gli sviluppatori hanno due scelte da
questo punto di vista: offrire un’app universale che include la versione per iPhone, iPad e Apple TV e per
la quale si paga eventualmente una volta sola, oppure
creare una versione del tutto nuova per Apple TV per
cui è necessario pertanto un nuovo acquisto. Per le app
con dimensione massima superiore ai 200 MB, Apple
ha optato per una nuova modalità di scaricamento per
tvOS: alla prima installazione vengono scaricati solo i
componenti essenziali dell’app, e il resto viene recuperato “on demand” quando necessario. Ufficialmente
ciò avviene per evitare di saturare la memoria storage integrata, ma lo stesso problema esiste anche su
iPhone e iPad e non è chiaro il motivo di questa scelta.
Infine, Apple ha scelto come Google per la sua Android
TV, di non dotare tvOS di un browser. L’unico modo per
navigare su web è collegare un iPhone o un iPad via
Airplay in modalità duplicazione schermo.
Una piattaforma promettente
La prima installazione di Apple TV è molto semplice e
lo è ancora di più se si possiede un iPhone o un iPad. In
questo caso, infatti, basta avvicinare il dispositivo iOS
con Bluetooth attivato affinché Apple TV importi automaticamente le impostazioni della rete Wi-Fi. Sempre
da iPhone o iPad potremo aggiungere la password dell’Apple ID da utilizzare (viene automaticamente selezio-
La pagina principale dell’App Store di tvOS.
segue a pagina 24 
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TV E VIDEO Triste annuncio: dalla prossima primavera non saranno più disponibili i nastri Betamax
Sony dà l’addio al Betamax. Ma era ancora vivo?
È la parola fine su uno dei migliori sistemi di registrazione video su nastro mai realizzati
di Roberto FAGGIANO
l sistema Betamax fu uno dei tre
concorrenti nello scorso secolo
nella battaglia per lo standard di
registrazione video, con l’altro giapponese VHS della JVC e l’europeo Video
I
2000. A detta di tutti gli esperti a vincere fu il sistema peggiore dei tre, come
sappiamo il VHS. Al sistema Sony venivano riconosciute migliori prestazioni
mentre il sistema Video 2000 di Philips
aveva il grande vantaggio di poter essere registrato
in entrambe le
direzioni, come
la Compact Cassette audio della
stessa Philips,
con conseguente durata doppia
del nastro. Ma
poi le logiche
commerciali
hanno avuto il predominio e il nastro
VHS è arrivato ai nostri giorni ed esistono ancora apparecchi con questo
standard. A differenza di Philips, Sony
per molti anni non ha mai abbondato
lo sviluppo del suo standard, concentrando gli sforzi sul settore professionale dove i registratori Betamax hanno
sempre riscosso un buon successo per
le loro caratteristiche qualitative, specie nella versione portatile. Ora però
anche Sony ha dovuto decretare la fine
del suo standard. Per gli appassionati
e i professionisti che ancora utilizzano
il Betamax c’è tempo fino al prossimo
mese di marzo per acquistare gli ultimi
nastri, poi sarà l’oblio e il rimpianto.
MAGAZINE
Estratto dal quotidiano online
www.DDAY.it
Registrazione Tribunale di Milano
n. 416 del 28 settembre 2009
direttore responsabile
Gianfranco Giardina
editing
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Alessandra Lojacono, Simona Zucca
Editore
Scripta Manent Servizi Editoriali srl
via Gallarate, 76 - 20151 Milano
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Per la pubblicità
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TEST
Apple TV
segue Da pagina 23 
nato quello attivo sul proprio dispositivo iOS) e dopo
aver dato conferma alle solite condizioni d’uso, Apple
TV è pronta ad essere utilizzata. Un popup ci avverte se vogliamo scaricare subito i bellissimi filmati che
fanno da salvaschermo, che però pesano circa 600
MB, e che quindi ci intaseranno la banda nelle prima
fase di utilizzo. Ci vogliono davvero pochi minuti per
familiarizzare con il nuovo telecomando, anche perché
il touch pad funziona davvero egregiamente con una
risposta praticamente istantanea a schermo. L’interfaccia è molto fluida, sia nell’home screen, che in generale
nelle app preinstallate da Apple. Con un doppio click
del tasto home si apre la gestione delle app aperte in
background, come su iOS, ed è l’unico frangente in cui
ci vuole un secondo di troppo prima che “accada qualcosa”, ma anche qui poi la grafica rimane fluidissima.
Delle app native di Apple, l’unica un po’ problematica
ci è parsa quella di Apple Music: abbiamo riscontrato
sia anomali problemi di buffering dello streaming (non
imputabili alle condizioni di carico della rete), sia di stabilità dell’applicazione stessa, che più di una volta si
è chiusa da sola, mentre l’interfaccia, per quanto bella
video
lab
Apple TV con tvOS

La nostra prova in video
torna al sommario
graficamente, confonde forse ancora
più di quella per iOS; la schermata di
riproduzione presuppone la conoscenza di gesture poco ovvie, mentre il
tasto menù/back sembra non fare mai
due volte la stessa cosa.Un po’ più tentennate la grafica con l’app di Netflix:
qui, sfogliando il catalogo, ogni tanto
abbiamo visto qualche microscatto,
crediamo dovuto allo scaricamento da
Internet delle locandine dei film, mentre davamo dei veloci colpetti di pollice
sul telecomando per scorrere la schermata. Per quanto riguarda la visione Anche Apple Music ha la sua app per Apple TV.
di film e contenuti in streaming c’è in
realtà poco da dire. Qui il funzionamento non è molto
che complementano in qualche modo l’app per smardiverso dal modello precedente. Certo, per Netflix ora
tphone, come Airbnb, ad esempio, che permette di sfoc’è l’app vera e propria, mentre l’iTunes Store per l’acgliare e salvare camere e appartamenti guardando le
immagini sul TV, ma senza tutta la parte di prenotazioquisto e noleggio di film è molto più bello graficamente
ne. Solo il tempo qui ci dirà quanto tvOS avrà successo
e una vera e propria girandola di colori, ma l’esperienza
tra gli sviluppatori, per cui vedremo.
di guardare un film non cambia rispetto al passato e la
qualità audio/video è del tutto dipendente dai contenuSorprendente per certi versi invece la qualità dei videoti del servizio che andiamo a utilizzare. Nel momento in
giochi su TV. In effetti, a pensarci bene, qui il tutto gira
cui scriviamo, sull’App Store di tvOS l’unico servizio di
su uno schermo 1080p, mentre su iPad la risoluzione
è decisamente superiore, 2048x1536 pixel, ma resta il
streaming con film e telefilm in italiano a disposizione è
fatto che molti dei giochi che abbiamo provato reggono
Netflix; i vari Infinity, Sky Online, Chili, Wuaki, RAI e via
il grande schermo del TV senza alcun problema. Alcuni
discorrendo sullo store non ci sono ancora, il che è per
giochi di successo su iOS, sembrano quasi fatti appocerti versi sorprendente: ci saremmo aspettati da parsta per qualche minuto di svago sul divano come Alto’s
te di Apple maggiore impegno per arrivare anche con
Adventure o Badland. Asphalt 8 è graficamente molto
una buona dose di app i provider italiani di contenuti.
Fortunatamente, per i possessori di un altro dispositivo
bello su TV, non da console di nuova generazione, ma
iOS, c’è sempre AirPlay, che da quello che abbiamo
sicuramente sopra le aspettative, e il telecomando con
potuto vedere funziona in modo impeccabile. Di app
giroscopio funziona egregiamente come controller.
ce ne sono già parecchie comunque sullo store. Oltre
Crossy Road, protagonista anche all’evento di lancio di
ai soliti YouTube, Vimeo, Dailymotion, Vevo, ci sono già
settembre, in multiplayer funziona perfettamente ed è
decine di giochi, ma anche applicazioni come Airbnb,
divertente. Sono forse solo “giochini” da casual gamer,
TripAdvisor, Flicker, app varie di ricette, fitness e chi più
ma proprio anche per questo sono uno dei punti di forne più ne metta. Molte sono semplicemente il porting
za dell’attuale offerta dell’app store di tvOS e crediamo
in formato TV delle versioni per iOS, altre sono versioni
che qui il potenziale sia davvero molto grande.
I T S TA R T S W I T H
NUOVO TV 4K ULED
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ASSOLUTA PROFONDITÀ E MASSIMA BRILLANTEZZA
PER UNA SORPRENDENTE QUALITÀ DELL’IMMAGINE.
Tecnologia ULED con controllo dinamico della retroilluminazione. Neri profondi,
ampliata gamma di colori e massima fluidità delle immagini in movimento.
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST Le nostre prime impressioni sono positive: Windows 10 spinge i due top di gamma Microsoft verso nuovi ambiziosi livelli
Lumia 950 e 950 XL, Windows 10 a tutta potenza
Hanno potenza da vendere, Continuum per usare schermi più grandi e sono più sicuri grazie allo scanner biometrico
di Roberto PEZZALI
I
nuovi Lumia 950 e 950XL saranno disponibili in
Italia dal 28 di novembre, ma abbiamo avuto modo
di provare i due modelli con qualche settimana di
anticipo nel corso della presentazione ufficiale. I dettagli dei nuovi Lumia sono ben noti: Microsoft ha sfornato
dei veri top di gamma in concomitanza con l’uscita di
Windows 10 versione smartphone, sistema operativo
che come vedremo rappresenta il valore aggiunto di
questi due nuovi modelli.
I Lumia 950 e 950XL beneficiano di tutte le novità
portate da Windows 10 su smartphone, da Cortana a
Windows Hello, ma crediamo di non fare un torto a
nessuno se diciamo che tra tutte le feature quella a
nostro avviso fondamentale è la possibilità di sfruttare
le Universal App per trasformare lo smartphone in una
sorta di computer, grazie anche alla docking esterna.
video
lab
I due top di gamma saranno inoltre disponibili solo
nel colore bianco e nero: è vero che sono quelli più
scelti, ma i Lumia sono sempre stati caratterizzati da
colori fluo e allegri e in questo caso, essendo la cover
comunque removibile, si poteva prevedere qualche
opzione in più.
Lumia 950 e 950XL sono molto simili nell’aspetto, con
la versione XL che può contare su uno schermo da 5.7”
contro i 5.2” del modello più piccolo: tenendoli in mano
ci hanno impressionato per l’incredibile leggerezza e
soprattutto per la definizione del display, un Amoled
che nel modello 950 può contare sulla “assurda” definizione di 564 ppi, che diventano 518 spalmati sui 5.7”
del Lumia XL. La risoluzione, come è possibile intuire,
è identica per i due schermi, 2560 x 1440 che sono
addirittura troppi su uno smartphone.
Tornando alla costruzione l’unico rammarico è l’assenza di un case VaporMG, realizzato quindi con le stesse
tecniche di fusione del magnesio dei tablet Surface: se
i Lumia 950 e 950XL hanno un cuore da veri top di
gamma, dal punto di vista costruttivo ricordano molto
alcuni modelli lumia di fascia mid, con il classico corpo
in policarbonato che Microsoft ha ereditato da Nokia.
Crediamo che questi due modelli saranno gli ultimi del
ramo “Nokia”, e dal prossimo anno, con la divisione
smartphone nelle stesse mani di chi ha dato vita a Surface e Surface Book, gli smartphone verranno profondamente rivisti anche nel design.
Inutile spendere parole sulle prestazioni: Microsoft ci
ha da sempre impressionato per prestazioni davvero
eccellenti anche con poche risorse a disposizione, e
questi nuovi modelli che hanno ben 3GB di RAM e processori veloci sicuramente non tradiscono.
segue a pagina 27 

Microsoft ha usato lo Snapdragon 810 sul modello XL
con un heatpipe per spostare il calore dal processore alla zona esterna, e nonostante il corpo in plastica
ci è parsa una soluzione abbastanza efficace. Con lo
torna al sommario
Snapdragon 810, in ogni caso, è sempre bene tenere
d’occhio il riscaldamento, anche se Microsoft dovrebbe aver usato l’ultima revisione del SoC; sul modello
950 da 5.2” la scelta è caduta sull’808, prodotto forse
meglio riuscito dell’810 per certi aspetti, nonostante
abbia solo 6 core al posto degli 8 dell’810. Una scelta,
quest’ultima, slegata probabilmente dalle prestazioni
che sono analoghe ma fatta per poter garantire sui due
prodotti la stessa identica autonomia.
La parte “foto” è simile: la fotocamera da 20 megapixel
con tecnologia PureView ha un triplo flash LED, è stabilizzata (ottico e elettronico), riprende in 4K e ha un
obiettivo F1.9 di apertura e 26mm di lunghezza focale:
nella location scelta ma Microsoft per l’evento siamo
riusciti solo a scattare una veloce foto in condizioni di
illuminazione non certo ottimali, ma siamo abbastanza
certi che i nuovi Lumia si candidano per essere i prodotti da battere in ambito fotografico.
Tra le altre novità non citate il riconoscimento dell’iride:
un sensore IR nella cornice superiore funziona come
sensore biometrico per lo sblocco, identifica volto e
occhi e riesce ad autenticare la persona in pochissimo
tempo. Il sistema dovrebbe essere più sicuro dell’impronta digitale, ma a nostro avviso è troppo lento: a
riconoscere ci mette comunque qualche secondo.
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
MOBILE Google annuncia che il navigatore di Google Maps ora funziona in assenza di rete dati
Google Maps: ecco la Navigazione offline
Una vera “manna” quando ci trova all’estero e nei casi in cui viene meno la connessione
L
di Emanuele VILLA
a notizia è di quelle notevoli: il navigatore di Google Maps, usato da
milioni di persone, diventa utilizzabile anche in assenza di connessione
internet cellulare. Google l’aveva promesso allo scorso I/O e oggi ha mantenuto la promessa. Questo significa
che da oggi Google Maps diventa tale
e quale i navigatori offline tradizionali
come quelli di Tom Tom o Navigon per
esempio, una manna per chi si trova
all’estero e non vuole “pesare” eccessivamente sul piano dati oppure in tutti
quei casi in cui la connessione dati è
un po’ traballante (cosa tutt’altro che
infrequente quando si viaggia).
Al momento l’opzione è percorribile
solo con la versione Android, ma la
promessa è quella di integrarne una
analoga anche su iOS nel prossimo
futuro. A ben vedere, una modalità offline di Google Maps esiste da parecchio (2012) ma finora è stata limitata al
salvataggio delle mappe nella memoria del telefono; la nuova modalità vi
aggiunge la ricerca attraverso luoghi
e punti d’interesse (non ci saranno
comunque foto, commenti ed elementi
multimediali “pesanti”) e tutte le funzio-
nalità di navigazione. Saranno ovviamente limitate le informazioni relative
al traffico, che si limiteranno a fornire
una stima sulla base della fascia oraria
anziché ricevere informazioni puntuali
in tempo reale.
MOBILE
Google pensa
a una CPU
per Android
Google starebbe pensando di
realizzare (o di far realizzare)
dei processori per smartphone
Android, in modo tale da ottenere
prodotti specifici in grado di
lavorare al meglio con il software sviluppato.Un’idea, secondo
quanto riportato da alcuni organi
di stampa, che sarebbe venuta a
Google in fase di progettazione del
suo tablet / laptop ibrido Pixel C.
L’arrivo di processori pensati per
Android sarebbe un grande colpo
per Google, tuttavia la missione è
tutt’altro che semplice. Per avere
successo, Google dovrebbe riuscire
a convincere il produttore più
grande, Qualcomm, a realizzare
con le sue specifiche, i suoi brevetti
e le sue tecnologie una prossima
versione della famiglia Snapdragon,
attualmente la scelta preferita per
realizzare smartphone di fascia alta.
Una missione che appare davvero
molto difficile da portare a termine.
TEST
Anteprima Lumia 950 e 950 XL
segue Da pagina 26 

Veniamo ora al pezzo forte, la docking esterna: collegando questo accessorio, che viene dato in omaggio
a chi acquista il modello XL, è possibile trasformare
lo smartphone in una sorta di computer sfruttando
Continuum. In realtà, e ora spieghiamo perché, non è
un vero computer, anche se quello che l’azienda ha fatto è ammirevole e pone le basi per un qualcosa di davvero nuovo. La prima cosa da dire è che la dock non è
indispensabile: è possibile accoppiare allo smartphone un mouse e una tastiera Bluetooth trasmettendo i
contenuti tramite Miracast, in modalità quindi wireless.
Serve in ogni caso un monitor Miracast.
La docking è obbligatoria solo per chi vuole una postazione cablata, forse più rapida e veloce. Attivando
Continuum Windows 10 crea un secondo display e lo
invia al monitor esterno, display sul quale apre le singole applicazioni. Non è un vero “Windows” perché non
ci sono finestre: il desktop che viene mostrato in realtà
è solo uno sfondo esteso sul quale vengono lanciate,
sempre a pieno schermo, le singole app. Per evitare di
impattare troppo sul sistema Continuum gestisce una
sola app attiva per volta, non c’è lo split screen e non si
possono neppure tenere attive due app sul desktop: è
in pratica un clone di Windows Phone spostato su uno
schermo più grande, con un menu, una barra notifiche
e il multitasking che serve solo a selezionare un’app tra
quelle che abbiamo lasciato in background.
torna al sommario
Per spostare ad esempio una tabella da Excel e inserirla in Word dobbiamo aprire Excel, copiare la tabella
negli appunti, aprire Word e incollarla. Operazioni, queste, che possono comunque essere fatte con mouse e
tastiera come se ci trovassimo di fronte ad un vero PC,
e seppur le funzionalità delle app siano limitate l’idea di
poter avere una piccola workstation in tasca non è affatto da sottovalutare. Purtroppo non tutte le app sono
già pronte per questa piccola rivoluzione che arriva da
Redmond: per poter gestire tutti i formati di schermo
e riadattarsi su uno schermo grande in formato 16:9
l’applicazione dev’essere sviluppata utilizzando la tec-
nologia Universal App, e solo le più recenti lo sono. Gli
sviluppatori non sono sempre stati pronti a reagire agli
input dati da Microsoft negli ultimi anni, e hanno preferito buttarsi su iOS e Android per la maggiore diffusione degli altri OS, ma l’arrivo di Windows 10 ha creato
per loro una enorme possibilità, che verrà ampliata a
breve anche dalle app su Xbox One.
Microsoft ha in ogni caso chiuso un cerchio: con
Windows 10, Surface, i nuovi Lumia e l’aggiornamento di Xbox Windows 10 è un valido e completo ecosistema, al quale manca forse solo componente, una
Microsoft TV.
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST Abbiamo avuto la possibilità di utilizzare per qualche giorno l’attuale tablet top di gamma Samsung e ci è piaciuto molto
Samsung Galaxy Tab S2, il miglior tablet Android
Eleganza, costruzione di qualità e scheda tecnica di primo livello fanno di Galaxy Tab S2 il dominatore del panorama Android
di Vittorio Romano BARASSI
nnunciato un po’ a sorpresa a luglio, ben in anticipo rispetto all’IFA 2015, Galaxy Tab S2 è un tablet
che ha tutte le qualità per far parlare di sé. Il dispositivo viene proposto in due versioni, uguali nel design
ma contraddistinte da un display da 8 pollici e da 9,7
pollici; la versione con pannello più grande è quella che
Samsung ha deciso di inviarci per la prova completa ed
è caratterizzata da un prezzo di listino di 589 euro, una
cifra importante ma allineata alla concorrenza soprattutto considerando che il device è accompagnato da un
modulo LTE per la connessione in mobilità. La versione
da 8 pollici costa 489 euro e, almeno in Italia, non sono
previste varianti Wi-Fi only.
A
È il tablet più sottile e un peso piuma
Essenziale. È così che potremmo definire la confezione
di Galaxy Tab S2, che nella scatola è accompagnato solo
dal caricatore, dal cavo USB-microUSB, da una graffetta
per l’apertura degli slot e da un conciso manuale d’uso
che probabilmente in pochi leggeranno. Essenziale è
anche il design del prodotto, ma in questo caso è giusto
affiancare un altro aggettivo: elegante. Galaxy Tab S2 è
un tablet ben realizzato e contraddistinto da una scocca
metallica che contribuisce non poco ad elevare la percezione di qualità generale. La cornice dona un senso di
solidità che pochi altri prodotti sono in grado di garantire
e lo spessore di soli 5,6 millimetri (la fotocamera leggermente sporgente è esclusa da questo conteggio) fanno
del tablet in oggetto, al momento della stesura di questa
prova, il modello più sottile in assoluto sul mercato. Le
dimensioni di 237,3 x 169 millimetri sono giuste per un
tablet con display dalla diagonale di poco inferiore ai 10
pollici ma quello che più stupisce è il peso: 392 grammi
sono davvero poca cosa e rendono perfetto l’utilizzo
con una mano sola anche a chi non è abituato ad usare
dispositivi di questo genere.
Poco male se il retro del tablet è in plastica e stona un
po’, sia stilisticamente che qualitativamente, con il resto
della costruzione: tra le mani si avrà sempre il più sottile
e leggero dei tablet in commercio, il che fa dimenticare
presto questa piccola velleità nella scelta del materiale da parte di Samsung. Bello il colore dell’esemplare
Gold in prova, anche se più che oro pare di ritrovarsi
dinanzi a una tonalità a metà strada tra il grigio e il rame
(è disponibile anche una variante nera). Pulsanti e slot
per microSD e nano SIM sono tutti sulla porzione destra
video
b
a
589,00l€
Samsung Galaxy Tab S2 10”
IL TABLET ANDROID DI RIFERIMENTO
Galaxy Tab S2, al momento, è quanto di meglio si possa desiderare se si cerca un tablet Android “top” capace di fare tutto senza problemi. Il
display SuperAMOLED è un gioiello, le prestazioni sono di prim’ordine e il design è fantastico; se a questo aggiungiamo un sistema snello, una
fotocamera dignitosa (per un tablet, ma posizionata male) e anche il modulo di connettività LTE installato di default otteniamo un prodotto
completo sotto ogni punto di vista. La batteria poco “capiente” non può rappresentare un grande limite perché non si sta parlando di uno
smartphone e quindi per non comprare questo tablet bisognerebbe cercare qualche altra scusa. Una scusa valida potrebbe essere quella di
preferire iPad Air 2: il tablet di Apple non è disponibile in configurazione da 32 GB e la prima versione con LTE a bordo (da 16 GB) costa 619
euro, 30 in più di Galaxy Tab S2 che ha il doppio dello spazio fisico. Difficile fare paragoni quando si prova a confrontare due prodotti con
sistemi operativi/piattaforme completamente differenti, ma non c’è dubbio che i due prodotti se la giochino alla pari. Scegliere non sarà facile
perché più che sulla qualità dei prodotti (elevatissima) bisognerà ancora una volta interrogarsi sull’ecosistema: se la scelta cade su Android,
Tab S2 va preso in seria considerazione.
8.7
Qualità
9
Longevità
8
Design
9
Display eccellente, in formato 4:3
COSA CI PIACE Molto sottile, leggero, ben costruito
Connettività LTE “di serie”
del dispositivo mentre in basso ci sono - simmetricamente - jack da 3,5 mm e ingresso micro USB con ai
lati i due altoparlanti di sistema, posizionati in maniera
stilisticamente perfetta ma poco funzionale. Nell’utilizzo
multimediale a due mani si finirà per coprire uno dei
due speaker, con conseguente produzione di un suono
ovattato. Poco razionale, come sottolineeremo più avanti, anche la scelta di posizionare la fotocamera principale
posteriore in posizione centrale e molto alta: scattando
a due mani si rischia sempre di mettere un dito davanti
all’obiettivo. Come da tradizione Samsung è presente
un unico pulsante fisico home sul frontale il quale funge
pure da sensore biometrico per il riconoscimento delle
impronte digitali. Il sistema funziona abbastanza bene
ma c’è da dire che molti produttori hanno soluzioni che
reagiscono in maniera più precisa e veloce. Ai lati del tasto home vi sono due pulsanti a sfioramento: a sinistra il
comando per il multitasking e a destra quello “indietro”.
Un display più vivo che mai
Ora in formato 4:3
La divisione mobile di Samsung ha sempre puntato su
display di eccellente qualità e Galaxy Tab S2 non fa ec-
Semplicità
8
COSA NON
CI PIACE
D-Factor
8
Prezzo
9
Autonomia solo sufficiente
Fotocamera posizionata male
Rallentamenti col browser stock
cezione. Il tablet
è equipaggiato
con un pannello
SuperAMOLED
da 9,7 pollici di
diagonale
che
da solo, come si
direbbe in altri
ambiti, varrebbe
il prezzo del biglietto; siamo dinanzi a un display
da 2048 x 1536
pixel che più che
per la risoluzione
QXGA - siamo a
264 pixel per pollice - colpisce per la capacità di resa
cromatica (Samsung parla di una copertura del 94%
dello spazio AdobeRGB), ovviamente uno dei punti forti
della tecnologia AMOLED alla base del pannello e che
finisce sempre per stupire, soprattutto se a giudicarlo è
un’utenza poco geek e più casual.

segue a pagina 29 
torna al sommario
n.122 / 15
16 NOVEMBRE 2015
TEST
Samsung Galaxy Tab S2
segue Da pagina 28 
Il display, insomma, piace a tutti e le diverse possibilità
di taratura dei valori cromatici (nelle impostazioni sono
disponibili cinque diversi preset) sono in grado di accontentare sia i gusti di un utente più a suo agio con tonalità
naturali sia quelli di chi preferisce la massima vividezza.
In ogni caso i neri sono sempre eccellenti (d’altronde è
un OLED) mentre i bianchi solo forse un po’ meno puri,
specie se ci si sposta dall’angolo di visione ottimale.
Ottimi ma non straordinari gli angoli di visuale: considerando la tecnologia in ballo qualcosa di meglio lo
abbiamo visto, ma qui si parla di piccolezze perlopiù
evidenziabili solo ad angolature estreme. Pigro e poco
preciso, infine, il sensore di luminosità ambientale targato LiteON: ci mette sempre almeno un paio di secondi
per adattarsi agli sbalzi di luce e ogni tanto sbaglia nella
selezione della giusta luminosità del display.
Il voto generale sullo schermo cresce ancora se si evidenzia il deciso cambio di rotta imposto da Samsung in
quanto alle proporzioni del display. Si è passati da un
formato wide 16:10 della precedente generazione (il
Tab S montava un 10,5” da 2560 x 1600 pixel) a uno
4:3, identico quindi a quello montato da Apple su iPad
Air 2 anche nella risoluzione.
Con questa scelta Samsung ha dunque volutamente
sacrificato qualcosa sul fronte della multimedialità (prima era più piacevole vedere filmati in 16:9 o giocare a
determinati videogames) ma ha guadagnato notevolmente in tutti gli altri ambiti: navigare sul web, sfogliare
una rivista elettronica, leggere un ebook o scrivere un
file in Word sono operazioni certamente più adatte al
formato 4:3. Promosso quindi con voti altissimi il display, componente senza dubbio eccezionale del prodotto in questione.
CPU e RAM sono OK
Ma non di ultima generazione
Nei 5,6 millimetri di spessore che contraddistinguono
il tablet in oggetto Samsung ha deciso di installare
un SoC Exynos 5433 dotato di processore ad 8 core
(quattro ARM Cortex-A57 da 2.1 GHz più altrettanti
MAGAZINE
ARM Cortex-A53 da 1.5 GHz) e grafica Mali-T760 affiancati a 3 GB di memoria RAM LPDDR3. Si tratta di
un pacchetto più che adeguato a garantire la massima
reattività di Galaxy Tab S2 in ogni situazione, anche se
l’Exynos scelto da Samsung non rappresenta quanto
di meglio ha da offrire l’azienda poiché si tratta di un
SoC di precedente generazione che abbiamo già visto
sui phablet Galaxy Note 4 e Galaxy Note Edge di fine
2014. L’Exynos 7 Octa 7420 dei più recenti Galaxy S6
(ma anche di Galaxy Note 5 e Meizu Pro 5) sarebbe stato più azzeccato per il top di gamma dei tablet di casa
Samsung ma non ci si può di certo lamentare: anche
se i benchmark fanno registrare punteggi non troppo
esaltanti, soprattutto se rapportati a quelli del diretto
concorrente iPad Air 2 (ma resta sempre difficile paragonare due piattaforme diverse), Galaxy Tab S2 se la
cava bene nell’utilizzo tranquillo e anche in quello più
intenso, facendo registrare sporadici (anche se imbarazzanti) rallentamenti solo con il browser di sistema,
evento raro ma comunque abbastanza fastidioso da far
preferire Chrome (già preinstallato) nelle operazioni di
navigazione quotidiane su web.
I 3 GB di RAM garantiscono apertura, chiusura e passaggio tra le varie applicazioni senza il benché minimo
problema; la CPU ci mette del suo nei momenti più
concitati e la GPU Mali fa sì che tutti i giochi di ultima
generazione siano sempre fluidi, seppur ogni tanto leggermente poveri nei dettagli. Possibile la riproduzione
dei filmati in Ultra HD a 30 frame al secondo, caratteristica senz’altro non essenziale ma che fa decisamente
comodo in caso di necessità.
C’è Microsoft Office e poco altro
La versione di Android installata a bordo è la 5.0.2 Lollipop; anche in questo caso non parliamo dell’ultimissima
release del sistema operativo di Google e nemmeno
della penultima, ma quello che ci si ritrova tra le mani è
un pacchetto solido che garantisce la massima affidabilità e stabilità. A questo punto del 2015 la 5.1.x sarebbe forse più logica, ma presto arriverà l’aggiornamento
ad Android 6.0 Marshmallow.
Sul fronte della personalizzazione dimentichiamoci poi
delle vecchie UI TouchWiz cui Samsung ci ha abituato
per anni; come per gli ultimi smartphone/phablet anche
su Galaxy Tab S2 è presente un’interfaccia snella che
dona al sistema quel
mix di leggerezza,
gioventù e, secondo
molti, anche di eleganza, il che ben si
sposa con il resto del
pacchetto. Alla prima
accensione non si fa
fatica a capire come
le applicazioni preinstallate siano ben poche: oltre alle Google
Apps c’è spazio solo
per le applicazioni
proprietarie MySamsung,
SydeSync,
Smart Manager (utile
per l’ottimizzazione
delle risorse di sistema) e per lo store
Galaxy Apps.
Unica velleità importante è la presenza della suite Microsoft Office, aggiunta che certamente risulta utile su
questa tipologia di prodotto. Il modello da noi testato
era equipaggiato con 32 GB di memoria fisica eMMC,
di cui quasi 7 occupati da file di sistema e circa 25 realmente a disposizione dell’utente; chi vuole più spazio
dovrà accontentarsi di acquistare una microSD (fino a
128 GB) poiché in Italia non è disponibile la versione da
64 GB in vendita su altri mercati.
Tra le funzioni particolari che contraddistinguono il
tablet in questione segnaliamo lo standby intelligente
che previene lo spegnimento del display quando lo
si sta guardando, la possibilità di silenziare suonerie/
sveglie semplicemente appoggiando una mano sullo
schermo e pure la gesture di scorrimento con il lato del
palmo della mano da una parte all’altra del pannello
per catturare la schermata, feature quest’ultima che sinceramente - funziona una volta sì e una no.
Decisamente comodo è poi il multi-window che permette di tenere sul display due diverse applicazioni;
peccato solo che non tutte le app siano compatibili
con questa funzionalità, soprattutto se tale mancanza
affligge software come Microsoft Word ed Excel (e gli
altri del pacchetto Office). Comoda pure la possibilità
di ridurre un’applicazione a finestra; nulla di nuovo ma
su un tablet è una caratteristica che non dovrebbe mai
mancare e Samsung lo sa bene. Riguardo all’esperienza d’uso non c’è molto altro da segnalare. Il sistema,
come abbiamo anticipato in precedenza, non dà mai
la sensazione di essere “col fiato corto” e anche nelle
situazioni più concitate l’unica cosa che si percepisce è
solo un leggero surriscaldamento della porzione superiore del dispositivo, per giunta per nulla fastidioso.
Batteria “piccola”
Ma è difficile fare meglio
Design fantastico, buona costruzione e ottime prestazioni fanno di Galaxy Tab S2 un prodotto apparentemente perfetto ma per ottenere questo risultato, ovviamente, qualcosa andava sacrificato. Nel caso del
prodotto in questione a pagare pegno è l’autonomia
generale, sicuramente buona se si considerano le dimensioni del dispositivo (lo ripetiamo, il tablet è spesso
solo 5,6 millimetri) ma in assoluto non esaltante, soprattutto se si considerano i risultati ottenuti da altri dispositivi analoghi offerti dalla concorrenza.
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segue a pagina 30 
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n.122 / 15
16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
MOBILE Apple Music fa il proprio debutto in casa Android. Un’app nativa che replica la maggioranza delle funzionalità per iOS
Apple Music è disponibile per Android. Molto simile ad iOS
È disponibile in tutti i mercati dove c’è il servizio Music ad eccezione della Cina. Al momento è da considerarsi in beta
di Emanuele VILLA
opo la promessa di qualche
mese fa, Apple Music entra ufficialmente nel mondo Android.
Music è dunque la seconda applicazione Apple a sbarcare nel Play Store di
Google (la prima è stata Move to iOS
per il passaggio da Android ad iPhone)
e promette - per quanto vada considerata ancora in beta - le medesime
funzionalità della versione “nativa” per
iOS. Chi lo volesse provare lo trova a
questo indirizzo.
Al di là di alcune piccole differenze di
tipo grafico necessarie per rientrare
nelle linee guida Android (modifiche
che comunque non snaturano il design
D
originale), Apple Music per Android replica di fatto le medesime funzionalità
dell’analoga versione iOS e tra l’altro è
disponibile in tutti i mercati dove è di-
TEST
Samsung Galaxy Tab S2
segue Da pagina 29 

Con Galaxy Tab S2 non siamo mai riusciti a superare i
quattro giorni di utilizzo, che per un tablet dovrebbero
rappresentare forse il giusto risultato. Con tutte le connessioni attive e luminosità del display impostata sul
valore massimo (ma in modalità automatica) tre giorni
di utilizzo abbastanza intenso li si riesce comunque
a fare: giochi e filmati pretendono parecchia energia mentre il consumo scende molto più lentamente
in modalità di browsing web oppure nella lettura di
eBook e/o documenti di varia natura. Molto lunghi i
tempi di ricarica: per portare al 100% la batteria da
5870 mAh (partendo circa dal 10%) ci si impiega quasi quattro ore, risultato raggiungibile con il caricatore
presente nella confezione di vendita che permette il
fast-charging del dispositivo. resenti a bordo GPS e
GLONASS, Wi-Fi 802.11 a/b/g/n/ac dual band (con Wi-
torna al sommario
sponibile il servizio Music ad eccezione
della Cina.I prezzi sono gli stessi della
versione iOS, c’è anche qui il periodo
di prova gratuita di 3 mesi e le funzio-
Fi Direct) e modulo Bluetooth 4.1 Low Energy. Come
abbiamo scritto in precedenza non manca neppure la
connettività LTE mentre, seppur non fondamentale in
questo ambito, è assente un chip NFC. Segnaliamo
infine che per trasferire i file da un computer al tablet
(o viceversa) via cavo c’è necessariamente bisogno di
SmartSwitch, software proprietario di Samsung disponibile per PC e Mac e scaricabile direttamente dal sito
del produttore.
Buone foto per un tablet
Dita permettendo
Chi compra un tablet non lo fa per scattare foto o fare
video, ma negli ultimi tempi si è riscontrata una certa
tendenza all’utilizzo delle fotocamere dei tablet, soprattutto nelle fasce di età più avanzate. Per questo
motivo, diverse aziende hanno iniziato a proporre moduli “dignitosi” anche in questo settore. Samsung non
ha voluto essere da meno e ha deciso di equipaggiare
questo Galaxy Tab S2 con un modulo principale composto da un sensore CMOS da 8 megapixel e da una
nalità sono sostanzialmente le stesse,
compresa la presenza della radio esclusiva Beats 1. Anche qui la grande suddivisione è tra Per te, Novità, Radio, Connect e Musica, con contenuti analoghi.
Chi ha altri dispositivi Apple Music con
musica in cloud può accedere ai medesimi contenuti, mentre non è ancora
possibile sottoscrivere un piano famiglia
tramite l’app: chi ce l’ha già, però, può
usarlo senza problemi. Mancano ancora
i video musicali, ma quelli arriveranno in
un secondo momento: d’altronde l’app è
considerata formalmente in beta proprio
perchè mancano ancora alcune funzionalità, pur essendo il “core” ormai completato. Buon ascolto.
buona lente con apertura f/1.9. Numeri a parte, alla
fine dei conti ci troviamo dinanzi ad una fotocamera
dalla resa più che sufficiente; in condizioni ottimali e
con un po’ di fortuna si può anche ottenere qualche
scatto interessante ma nel complesso le foto risultano
abbastanza povere nei dettagli e, una volta visualizzate su schermi esterni, pure un po’ spente nelle tonalità. Un po’ nervosa la messa a fuoco automatica mente
buona ci è sembrata la gestione del bianco. Quando
le condizioni di luce iniziano a farsi difficili la resa cala
di conseguenza: non c’è un flash che può aiutare e la
rumorosità aumenta in modo avvertibile.
Stesso discorso lo possiamo fare anche per quanto
concerne la parte video: i filmati sono assolutamente
nella media della categoria (forse qualche gradino
sopra) e se registrati in Full HD possono anche sfruttare la stabilizzazione digitale. Galaxy Tab S2 permette anche la registrazione di video in QHD (2560 x
1440 pixel a 30 fps) ma, sinceramente, non è una di
quelle cose che fanno gridare al miracolo e a parità di ripresa il risultato è indubbiamente migliore a
1080p con stabilizzazione attiva. Se dovessimo assegnare un voto al comparto fotocamera (a proposito,
il modulo frontale CMOS da 2,1 megapixel è più che
sufficiente per selfie e videochiamate) questo meriterebbe una sufficienza piena e andrebbe anche ben
oltre se considerassimo la qualità media messa sul
campo dalle soluzioni presenti su tablet concorrenti.
Sia chiaro, diversi smartphone di fascia media (anche
medio-bassa) sono in grado di fare di meglio ma in
ambito tablet non ci aspettiamo risultati migliori. uello
che proprio non siamo riusciti a digerire è il posizionamento del modulo principale sul retro: è troppo
in alto e quando si scatta in modalità “orizzontale”
spesso costringe ad impugnature non troppo naturali
al fine di evitare la comparsa delle dita nelle fotografie. Va bene il design, ma un centimetro più in basso
avrebbe sconvolto tutto?
n.122 / 15
16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST Abbiamo provato Stonex One, lo smartphone nato da una idea italiana e che ha raccolto diverse critiche negli ultimi mesi
Stonex One: idea buona, ma risultato da rivedere
L’idea di realizzare uno smartphone top di gamma a metà prezzo era buona, ma (ovviamente) non facile da realizzare
di Roberto PEZZALI
tonex One è sul mercato da diversi mesi, dopo
aver criticato più volte l’azienda brianzola per un
comportamento non troppo trasparente nei confronti dei clienti abbiamo atteso che a parlare fosse il
prodotto. Stonex One è da oltre un mese in redazione,
e abbiamo voluto attendere un po’ di tempo prima di rilasciare una prova completa per dare la possibilità alla
stessa Stonex di limare e sistemare i primi difetti di gioventù, cosa che sta cercando di fare con una serie di
aggiornamenti rilasciati con una certa costanza. Francesco Facchinetti, che di Stonex è il Direttore Creativo,
lo ha detto più volte: “Stonex One è un bambino che
deve crescere”, e di tutti gli annunci fatti dal carismatico personaggio questo è forse l’unico che sentiamo di
condividere a pieno, perché Stonex One non è affatto
un prodotto maturo e anche con l’ultimo aggiornamento permangono alcuni bug che portano lo Stonex One
ad essere uno smartphone un po’ troppo instabile per
chi vuole un prodotto da usare serenamente e senza
preoccupazioni. Sulla questione “software” torneremo comunque più avanti, per ora vogliamo spendere
qualche parola sulla qualità costruttiva e sull’hardware
dello Stonex One.
S
Una buona idea ha portato a scelte ardite
L’idea di Stonex con lo Stonex One, era quella di dare
un prodotto di fascia alta ad un prezzo più che onesto:
299 euro per uno smartphone con 3 GB di RAM, 32 GB
di memoria, una fotocamera Sony da 21 Megapixel e
uno schermo QuadHD sembrano infatti un prezzo più
che ragionevole e sulla carta lo Stonex ha i numeri per
essere considerato un top di gamma con un prezzo da
fascia media. Basta prendere in mano lo Stonex One
per rendersi conto che non siamo davanti ad un top di
gamma, almeno nella costruzione: l’impressione è quello di un prodotto decisamente economico con finiture
tutt’altro che di pregio. Dal punto di vista costruttivo infatti saltano subito all’occhio la pellicola sullo schermo
incollata con poca precisione (può essere rimossa con
un po’ di fatica), una porta micro USB per la ricarica
bordata da una sottile cornice plastica decisamente
fragile (romperla è facile se non si sta attenti a inserire
il micro USB) e una cornice verniciata che, senza custodia, difficilmente manterrà il suo colore dopo qualche
mese di uso intenso. Se il vetro frontale è totalmente
video
lab
Stonex One
ECONOMICO DI PREZZO E DI FATTO, CON QUALCHE BUG DI TROPPO
299,00 €
Per costruire uno smartphone e lanciarlo sul mercato servono risorse, tantissime risorse: sviluppatori, ingegneri, collaudatori e addetti
vendite e marketing, e attualmente sembra che in Stonex sia presente solo quest’ultima risorsa. Lo Stonex One non è un brutto telefono:
con quelle specifiche non si poteva chiedere di più a 299 euro, ma è un prodotto che rischia di restare incompiuto. Facchinetti dice il giusto
quando parla di bambino che deve crescere, ma l’impressione è che Stonex non sappia come farlo crescere per portarlo nel mondo dei grandi.
Con un software ottimizzato, privo di bug e cucito su misura ci saremmo trovati di fronte ad un altro smartphone: poco importa se la plastica
in corrispondenza dell’USB dopo qualche mese si crepava, la cosa fondamentale era trovarsi di fronte ad un prodotto stabile, con un’ottima
autonomia, veloce in tutte le situazioni e affidabile. Cose che invece ad oggi Stonex non garantisce ancora e che, dopo diversi aggiornamenti
di quello che viene chiamato CiaoOS, non sembra essere in grado di raggiungere neppure in futuro.
6.1
Qualità
6
Longevità
5
COSA CI PIACE Display di buona qualità
Design
6
Semplicità
7
D-Factor
6
Prezzo
7
Troppi bug e instabilità software
COSA NON CI PIACE Autonomia della batteria
Costruzione decisamente economica
privo di trattamento anti-impronta, e si sporca con facilità, il retro blu nella sua semplicità ha una finitura tutto
sommato piacevole. Stonex One è disponibile solo in
blu, finitura blu Klein: questo a nostro avviso è l’unico
contributo italico ad un progetto che è stato sviluppato
e portato avanti interamente da uno dei tanti assemblatori cinesi. Stonex assicura, come ha sempre fatto,
di aver progettato e disegnato lo smartphone in Italia,
tuttavia crediamo che l’unico contributo italiano, oltre
al colore, sia la lista delle caratteristiche che lo smar-
tphone doveva avere, quelle stesse caratteristiche che
hanno reso lo Stonex One uno smartphone decisamente sbilanciato. Facchinetti, che abbiamo incontrato, ha una profonda conoscenza del settore e ha tante
ottime idee per la testa, ma Stonex forse non è il partner giusto per vedere le sue idee realizzate nel modo
migliore. Per progettare uno smartphone, sistema
operativo a parte, servono almeno 200 persone, dieci
volte i dipendenti attuali di Stonex, che è più un ufficio
commerciale e marketing che una azienda in grado di
progettare software e hardware di uno smarphone.
Francesco Facchinetti ci ha confermato che, potendo
tornare indietro, non avrebbe osato tanto: lo schermo
QuadHD, ad esempio, è un qualcosa di troppo e un Full
HD sarebbe bastato e lo stesso modulo fotografico da
21 Megapixel è eccessivo. Stonex One ha voluto stupire puntando tutto sulla pura scheda tecnica, ma questo
si può fare con un budget adeguato: se occorre stare
dentro i 299 euro di listino, iva e tasse incluse, bisogna
per forza scendere a compromessi e il compromesso
qui è la qualità dei singoli componenti e dei materiali.

segue a pagina 32 
torna al sommario
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST
Stonex One
segue Da pagina 31 
La scocca è in plastica e non offre certo un senso di
sicurezza, lo schermo sotto la luce solare lascia intravedere le maglie dei sensori touch e non brilla per
luminosità, la memoria utilizzata non è velocissima e
neppure la fotocamera brilla. Il sensore è Sony, ma se
il sensore lo metti dentro un modulo con lenti di qualità
modesta il risultato non può essere eccelso. Modesto anche l’audio: se lo speaker posteriore si allinea
a quello degli altri smartphone offrendo il classico audio citofonico mono, l’uso di un solo microfono inserito
nella parte bassa è davvero limitante in confronto a
smartphone che usano array di tre microfoni per filtrare
i rumori ambientali. Considerando che siamo di fronte
ad un prodotto che deve prima di tutto chiamare, forse
si poteva fare di meglio. Stonex sta fregando tutti? No,
calcolando i costi vivi, l’iva e le spese a cui si va incontro per realizzare uno smartphone con certe caratteristiche, era davvero impossibile fare di meglio. Sarebbe
stato saggio tuttavia rinunciare ad alcuni elementi e offrire un prodotto meno accattivante ma più bilanciato.
Display di buona qualità
Ma la luminosità è bassa

Il display QuadHD da 5.5”, 2560 x 1440 pixel e 534 ppi,
è sicuramente il fiore all’occhiello dello smartphone:
oltre alla risoluzione elevata dobbiamo apprezzare
una buona copertura dello spazio colore, segno che
ci troviamo davanti ad uno schermo di buona qualità.
Purtroppo la calibrazione di base di Stonex One è troppo sbilanciata sul freddo: la temperatura colore dello
schermo si avvicina ai 9000° K, tuttavia è presente un
sistema completo di calibrazione che permette di correggere la cosa. Lo schermo, una volta sistemata saturazione, temperatura e un paio di parametri si dimostra comunque ottimo, con una buona copertura dello
spazio colore sRGB. Questa è una cosa che deve però
fare l’utente sfruttando l’app di Mediatek Miravision,
raggiungibile dalle impostazioni di sistema.
Nulla da dire sulle prestazioni: il processore Mediatek
utilizzato, l’octacore MT6795, è sicuramente la miglior
scelta rimanendo in una fascia di prezzo media. E’ un
processore veloce, con una GPU adeguata anche a
gestire giochi impegnativi e capace di ottime prestazioni, grazie anche ai 3 GB di RAM. L’unica nota stonata
è legata al riscaldamento: il SoC è montato nella zona
superiore del telefono rivolto dalla parte del display, e
torna al sommario
dopo un uso intensivo, la parte alta si riscalda parecchio. Non è un problema con i giochi, ma lo diventa
se il riscaldamento avviene anche durante le chiamate.
Tendenzialmente l’uso di un processore più potente
dovrebbe consentire allo Stonex One di svolgere le
operazioni di routine, come le chiamate, senza caricare troppo la CPU, mentre ci siamo accorti, anche grazie
alla camera termica, che in molti casi lo smartphone
scalda anche quando non dovrebbe. Nulla di preoccupante, ma non è bello rispondere e sentire quella zona
del display molto calda: un eccesso di calore sull’LCD
inoltre non è certo salutare per i cristalli liquidi dell’ottimo modulo usato da Stonex. Crediamo che questo
comportamento sia legato al consumo anomalo della
batteria: qualche processo gira quando non dovrebbe,
segno di un sistema operativo che ancora Stonex non
è riuscita a domare a pieno.
La fotocamera, seppur sulla carta il componente Sony
sia eccellente, è nella media: anche qui Stonex si è affidata al classico software Mediatek e il risultato non
può essere paragonabile a quello ottenuto da chi ha
invece utilizzato software dedicati e processori di imaging integrati direttamente nel SoC. La messa a fuoco è veloce ma non è sempre precisa, la valutazione
dell’esposizione non è sempre corretta e spesso ci
siamo ritrovati a compensare con piccoli tocchi nelle
zone d’ombra per alzare leggermente il livello. A volte
è difficilissimo catturare lo scatto corretto, anche con
l’HDR inserito. Il bianco dell’automobilina della foto qui
sotto riflette il sole, Stonex One espone pochissimo ta-
gliando tutti i dettagli sulle basse luci con una foto che
appare scura e non recuperabile in Photoshop. Con
un “tap” sulle zone scure non si risolve: lo smartphone
sovraespone bruciando completamente le alte luci. Le
fotocamere peggiori sono altre, sia chiaro, e comunque qualche foto dettagliata si riesce a fare (ma pesa 7
MB, è compressa pochissimo), tuttavia con un sensore
da 21 Megapixel questo Stonex non lascia certo il segno: lo stesso sensore usato da altri produttori, come
da Sony stessa, mostra ben altre potenzialità.
Non bastano due personalizzazioni
per creare un sistema operativo
CiaoOS non esiste
Stonex One doveva avere a bordo CiaoOS, un sistema operativo sviluppato sulla base di Android Lollipop: CiaoOS non esiste, Stonex ha solo applicato una
leggera personalizzazione del sistema operativo di
Google (nella versione per OEM Mediatek) che introduce solo alcune suonerie, un icon pack e un paio di
effetti, nulla di più. Come abbiamo già detto, nonostante l’ultimo update il sistema non è stabilissimo: l’autonomia, ad eempio, non è quella che ci si attendeva
da una batteria da 3000 mAh, anche se abbiamo visto
smartphone comportarsi peggio. Si arriva al tardo pomeriggio se non si esagera, la sera se si usano poco i
dati e non si usa lo smartphone per giocare, ma le 24
ore sono un miraggio. Bug ce ne sono, anche se molti
sono stati corretti: ogni tanto qualche app crasha, qualche volta il sensore di luminosità all’aperto fa le bizze
lasciandoci lo schermo privo di retroilluminazione, praticamente spento, e qualche volta anche l’audio non
funziona come dovrebbe quando si staccano gli auricolari per tornare all’audio del telefono. Tutte cose che
si spera Stonex sistemerà presto, anche se con gli ultimi aggiornamenti non sembra siano arrivate patch risolutive, segno che per alcune cose, come ad esempio
l’autonomia, non si sa bene da che parte guardare. Ci
stupisce la scelta di vendere lo smartphone con l’icon
pack modificato: possibile che nessuna azienda si sia
lamentata dei loghi modificati senza autorizzazione? Le
grafiche realizzate dal designer italiano, stile “pencil”,
sono belle e ben fatte, ma non sappiamo se Google sia
contenta che si venda un prodotto Android con i loghi
di Gmail e di Google stessa modificati.
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n.122 / 15
16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST Il nuovo iMac 4K con display da 21.5’’ ha un prezzo a partire da 1729 euro. In dotazione tastiera e un Magic Mouse 2
iMac 4K, basta lo schermo per dare spettacolo
Nel nuovo modello di iMac da 21.5” uno schermo incredibile con risoluzione 4K, capace di coprire lo spazio colore DCI-P3
Un prodotto per i professionisti dell’immagine, con prestazioni adeguate nonostante l’assenza di scheda video discreta
di Roberto PEZZALI
I
l piano “retina” di Apple non si ferma: dopo aver
portato lo schermo hi-res su iPhone e iPad, sulla gamma MacBook Pro e sui nuovi MacBook, a
Cupertino hanno deciso di chiudere il cerchio con
gli iMac. Lo scorso anno ha debuttato il meraviglioso
iMac 5K, poi rivisto in versione più economica nel
corso di questa stagione, quest’anno tocca alla versione da 21.5” subire lo speciale trattamento. L’iMac
4K da 21.5”, che abbiamo provato queste settimane,
è una sorta di primizia: Apple ha adottato lo speciale
schermo su un solo modello con la probabilità, concreta, di vedere lo stesso schermo sull’intera gamma
di iMac “piccoli” il prossimo anno. Come sempre il
bonus da pagare per avere il nuovo schermo non è
indifferente, ma come vedremo è proprio lo schermo, insieme ai nuovi dispositivi di input, la grossa novità della nuova line-up. L’iMac 4K parte da 1729 euro
(il modello equivalente Full HD costa 1529 euro), e
qualcuno potrebbe subito dire che il prezzo è decisamente alto se si pensa che la versione da 27”
costa poco di più: indubbiamente per chi ha spazio
la versione con schermo più ampio deve rappresentare la prima scelta, ma ci sono situazioni dove proprio le dimensioni ridotte fanno la differenza, quando
ad esempio serve un desktop da inserire in un travel case o da trasportare con una certa facilità. Lo
abbiamo chiamato “desktop”, ma forse il nome più
corretto per il nuovo iMac è “workstation”: dopo aver
lanciato El Capitan, un sistema operativo indirizzato
ad una utenza comunque evoluta, Apple con il nuovo iMac vuole mettere nelle mani del professionista
uno strumento di lavoro ancora più valido che solo
chi lavora ed ha una certa cultura nel mondo dell’immagine può apprezzare a pieno.
Design che vince non si cambia

Il design dell’iMac da 21.5” ricalca esattamente quello dello scorso anno: una cornice sottile 5 millimetri
unisce il corpo in alluminio al bellissimo schermo
frontale, con il classico kickstand di metallo all’interno del quale far passare i cavi. Sul retro non ci sono
grosse novità, o meglio, mancano le novità che qualcuno poteva attendersi: rispetto alla versione da 27”
infatti non c’è lo sportellino per l’upgrade della memoria RAM, segno che se si vuole un computer più
potente (di base sono 8 GB) bisogna pensarci subito
in fase di acquisto. La dotazione è quella classica:
due porte Thunderbolt 2, quattro USB, uno slot SD
Card, la porta di rete gigabit e la presa per le cuffie, il
minimo indispensabile per un computer che comunque nasce per lavorare collegato ad una rete o ad un
array di dischi esterni. Nella parte bassa, come per
i modelli precedenti, Apple ha inserito i due piccoli
altoparlanti interni: la qualità sonora, nel suo piccolo,
è comunque più che buona.
torna al sommario
video
lab
Apple iMac 21.5” Retina 4K
UNO STRUMENTO DI LAVORO PERFETTO. MA NON È PER TUTTI
1.729,00 €
L’iMac 4K non dev’essere visto come un iMac piccolo, ma semplicemente come una delle due alternative che Apple offre a chi vuole una
workstation potente e indirizzata anche al professionista che lavora con video e immagini. L’assenza della possibilità di acquistare l’iMac con
scheda grafica discreta non è poi così grave e la presenza di Metal in El Capitan aiuta sicuramente: abbiamo provato a fare editing anche in
4K, a elaborare un po’ di foto con Photoshop e a giocare con RAW anche abbastanza pesanti e l’Iris Pro 6200 non ha sofferto affatto. Con i
giochi (ma non è il suo target), After Effects e altri software di modellazione 3D probabilmente la GPU soffre un po’ non potendo accelerare il
rendering, ma per certi ambiti Apple suggerisce anche altri prodotti, come ad esempio il Mac Pro. L’unico punto incomprensibile è l’inserimento di un disco a basse prestazioni all’interno di un computer che è un piccolo gioiello: è vero che basta ordinare il modello SSD, ma all’Apple
Store e nei negozi si trova solo il modello base, quello “custom” dev’essere ordinato online. Serve davvero uno schermo simile a chi non
lavora con video e immagini? Per il colore probabilmente no, ma l’incremento di risoluzione è tangibile: dopo aver visto uno schermo simile
tornare indietro e accettare un modesto Full HD è davvero difficile.
8.5
Qualità
9
Longevità
9
Schermo di qualità incredibile
COSA CI PIACE Prestazioni sorprendenti
Sistema operativo e ecosistema
Design
9
Semplicità
9
COSA NON CI PIACE
È tutta questione di colore
Il vero punta di forza dell’iMac 4K è lo schermo, e
se si confronta la risoluzione di 4,096 x 2,304 del
modello attuale con lo schermo da 1920 x 1080 delle
versioni a risoluzione standard basta un breve calcolo per capire che Apple sta offrendo una risoluzione
quattro volte e mezzo superiore rispetto al modello
Full HD. Il risultato è identico a quello della versione
5K utilizzata sul modello da 27”: i due display condividono infatti la stessa definizione in punti per pollice, con immagini che per profondità e realismo sono
una vera gioia per gli occhi. Come per gli altri prodotti della famiglia Mac Apple gestisce questa risolu-
D-Factor
8
Prezzo
7
Disco da 5200 giri
Prezzo non indifferente, soprattutto
con un disco SSD
zione eccezionale tramite OS X, fornendo all’utente
diversi livelli di ingrandimento dell’interfaccia. La modalità nativa, quella che permette di sfruttare ogni
singolo pixel, non è però disponibile all’utente senza
l’utilizzo di un piccolo software di terze parti: è talmente risoluta che è utile solo per mostrare quanto è
piccolo ogni singolo pixel dello schermo, ma all’atto
pratico è totalmente inutile.
Lo schermo “retina” non è tuttavia la vera novità dell’iMac 4K: Apple da anni ha dimostrato di saper fare
segue a pagina 35 
n.122 / 15
16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST
iMac 21,5” 4K
segue Da pagina 34 
La misura del display: Apple copre praticamente lo spazio colore DCI-P3

schermi di qualità eccezionale, e dopo aver visto
lo schermo dell’iMac 5K la versione più piccola era
la naturale evoluzione. L’elemento in più, in questo
caso, è la qualità dello schermo stesso: Apple ha
infatti dotato i nuovi iMac Retina, sia la versione da
27” sia quella da 21.5”, di un nuovo pannello capace di coprire uno spazio colore più ampio di quello
sRGB, raggiungendo la copertura del spazio colore
DCI-P3 usato nel cinema digitale. Come abbiamo
detto sono in pochi quelli in grado di cogliere questa
novità: i rossi e i verdi sono leggermente più saturi,
ma in questo caso quello che conta davvero non è
la saturazione ma la capacità del display di fornire,
ai professionisti che lavorano con l’immagine, una
riproduzione più reale possibile del prodotto a cui
stanno lavorando.
Apple qui ha fatto una scelta importante: la scorsa
generazione copriva il 100% dello spazio colore
sRGB, più che sufficiente per un utilizzo consumer e
prosumer, la nuova evoluzione ha scelto una direzione che guarda alla produzione video professionale
piuttosto che alla stampa (AdobeRGB) offrendo un
monitor che può essere considerato un vero riferimento per il color grading e l’analisi della qualità. Per
raggiungere questo obiettivo Apple ha dichiarato di
aver sostituito i LED bianchi con una combinazione
di LED a fosfori rossi e verdi, una soluzione alternati-
torna al sommario
va all’adozione di un filtro Quantum Dots per controllare lo spettro di emissione della luce.
Il risultato, come abbiamo detto, è eccezionale, anche se serve una cerca cultura dell’immagine per
apprezzare la capacità del nuovo pannello di riprodurre uno spazio colore più ampio del 25% rispetto
alla versione precedente. Il consiglio migliore che
possiamo dare, per chi ha la possibilità, è di recarsi
ad un Apple Store e chiedere una demo dello schermo. Come per i modelli precedenti Apple calibra di
fabbrica ogni monitor degli iMac: con i nuovi iMac 4K
è stato creato un apposito profilo colore. Qui dobbiamo aprire una parentesi: il profilo colore che Apple
ha caricato, denominato iMac, restituisce secondo le
nostre misure uno spazio colore più stretto, vicino a
quello sRGB. Paradossalmente per ottenere rossi più
saturi, verdi più accesi e il risultato visibile dal gamut
qui sopra (DCI P3 coperto quasi al 100%) abbiamo
dovuto selezionare il profilo colore sRGB. Sembra
quasi, e stiamo attendendo conferme da Apple, che
ci siano problemi con i profili e che alcuni di questi,
dopo un update di El Capitan, si siano corrotti. Eseguendo ColorSync, l’utility Apple che verifica i profili,
il report indica che alcuni profili non sono corretti:
abbiamo verificato i profili anche su altri Mac, e in
tutti i casi ColorSync ci ha restituito una stringa rossa
di errore (segno che la cosa non è legata a questo
esemplare).Dovrebbe trattarsi di un bug software: lo
schermo, come si vede sopra, mantiene le promesse
fatte da Apple.
Un solo rammarico: non si può usare lo schermo con
una sorgente esterna, magari un MacBook o un Mac
Mini.
Maledetto hard disk
Sei nel posto sbagliato
Il refresh della gamma iMac ha colpito ovviamente
anche i processori adottati sui nuovi computer: se
sulla gamma iMac da 27” Apple ha potuto usare i
nuovi processori Skylake di Intel, quindi processori
di sesta generazione, per i modelli da 21.5” è stata
praticamente costretta ad adottare i processori della
generazione precedente, nome in codice Broadwell.
Una scelta saggia: Intel non aveva ancora disponibili
i processori Skylake con grafica integrata, e il Core
i5 con Iris Pro 6200 era la scelta migliore per pilotare
questo schermo comunque risoluto con prestazioni
più che adeguate. Le prestazioni del modello base,
che ha a bordo un Core i5 3.1 Ghz, sono ottime, il
livello di fluidità dell’interfaccia anche (il merito è di
Metal), ma resta il rammarico per la scelta di Apple di
segue a pagina 36 
n.122 / 15
16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST
iMac 21,5” 4K
segue Da pagina 35 
non permettere più, in fase di configurazione del modello da acquistare, la soluzione con scheda grafica
discreta. L’iMac 4K si può comprare solo con GPU
Intel integrata, e sebbene l’Iris Pro 6200 non sia comunque un brutto processore grafico uno schermo
di questo tipo meritava una GPU adeguata per spingerlo al meglio in ogni situazione, e talvolta qualche
incertezza la si avverte.
Quello che tuttavia infastidisce di più, ma qui fortunatamente si può intervenire, è l’utilizzo di un hard
disk da 1 Terabyte e 5200 giri su un computer di
questo livello. L’unità in prova, il modello base della
versione 4K, adotta un hard disk che non avrebbe
senso di esistere nemmeno sul un notebook nel cestone del supermercato: da anni abituati alle prestazioni incredibili dei dischi SSD Apple, un iMac con
un disco tradizionale è davvero incomprensibile. Per
un utente alle prime armi, abituato magari a macchinosi PC ingolfati, le prestazioni dell’iMac in questa
configurazione possono anche apparire buone, ma
vi assicuriamo che il cambio dell’hard disk è la prima
cosa da fare. Le opzioni più economiche qui sono
due: FusionDrive da 1 Terabyte, ma la nuova versione è realizzata unendo un SSD da 24 GB ad un disco
tradizionale da 1 Terabyte pare troppo limitata, oppure SSD da 256 GB. Consigliamo caldamente questa
ultima soluzione, con la possibilità di attaccare un
disco esterno o di usare il cloud per i file più grandi: in ambito aziendale o professionale il problema
non si pone, perché nessuno tiene i file di lavoro sul
computer stesso ma si appoggia ad un NAS o a soluzione più sicure, dotate anche di backup.
Resta il fatto che per diventare “decente”, quindi con
disco SSD da 256 GB, l’iMac 4K arriva quasi a 2000
euro, fermandosi a 1969 euro. La versione da 27” a
300 euro in più è sicuramente più conveniente, spazio permettendo.
Trackpad, mouse e tastiera
con batteria interna e lightning

Apple ha approfittato del refresh per rivedere anche
le periferiche di input: mouse, tastiera e trackpad ora
hanno una batteria integrata e utilizzano un cavo Lightning per la ricarica. In dotazione con l’iMac viene
data una tastiera e un Magic Mouse 2, ma l’utente
può scegliere se sostituire il mouse con il nuovo
trackpad a 69 euro oppure se aggiungere al mouse
torna al sommario
il trackpad pagando 149 euro. Le periferiche arrivano
già abbinate all’iMac, ma nel caso in cui il computer
non vedesse mouse o tastiera basta collegare un
secondo io cavo lightning per effettuare il pairing
bluetooth. Non abbiamo avuto modo di provare l’autonomia ma ci fidiamo di Apple: noi non abbiamo mai
dovuto ricaricare né tastiera né mouse, e se anche il
mouse dovesse scaricarsi basta agganciarlo per pochi minuti per guadagnare una giornata intera di lavoro. Se per tastiera e trackpad la porta di ricarica è
sul retro, decisamente comoda, per il mouse è stata
inserita nella zona inferiore, cosa che rende impossibile l’uso durante la ricarica. Non è tuttavia un problema: 2 minuti di carica danno un giorno di autonomia, basta bere un caffè per tornare a lavorare. Dare
una valutazione alla tastiera è abbastanza difficile:
Apple ha adottato i nuovi switch butterfly che garantiscono un miglior controllo della pressione anche se
non vengono premuti esattamente al centro, ma le
tastiere così sottili e con una escursione ridotta dei
tasti non ci hanno mai soddisfatto a pieno.
Un conto è un laptop, dove per forza di cose si è
costretti a cercare di ridurre al massimo lo spessore,
un conto è un desktop, dove una bella tastiera mec-
canica sulla scia della rimpianta IBM Model M resta,
a nostro avviso, una delle soluzioni migliori per scrivere. Sono in ogni caso gusti: chi è nato nel mondo
delle tastiere piatte l’apprezzerà di certo, perché è
una delle tastiere più comode e rilassanti che ci sia
mai capitato dei provare, e le dimensioni non devono affatto ingannare. Situazione simile per la scelta
mouse / trackpad: il nuovo trackpad, più ampio e con
rilevamento dei livelli di pressione, è una periferica
di controllo fantastica per chi è abituato ad un laptop
e sa come gestire al meglio l’interfaccia di OSX sfruttando gesture e multitouch, ma è innegabile che chi
è nato con il mouse in mano difficilmente rinuncerà a
questo strumento. Si possono come già scritto avere
entrambi, ma onestamente 149 euro per il trackpad
non sono pochi.
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16 NOVEMBRE 2015
MAGAZINE
TEST Microsoft ha aperto al pubblico il suo nuovo sistema di intelligenza artificiale in grado di leggere le emozioni dalle foto
Il computer può davvero leggere le emozioni?
Può un computer capire quello che spesso è incomprensibile anche per l’essere umano? Lo abbiamo messo alla prova
R
di Roberto PEZZALI
eti neurali, intelligenza artificiale e algoritmiche
che pensano come l’uomo sono le nuove frontiere della tecnologia: chi realizzerà il primo algoritmo in grado di prendere le giuste decisioni e in totale
autonomia avrà vinto una sfida che può cambiare le
nostre vite. Microsoft ci sta provando, e per dimostrare
la le potenzialità del suo sistema ha rilasciato pubblicamente un piccolo tassello di un motore di intelligenza
artificiale ben più ampio. Stiamo parlando di un nuovo
strumento dedicato agli sviluppatori in grado di analizzare una foto, trovare i volti e riconoscere le emozioni,
quasi in chiave “inside Out”. Microsoft mette a disposizione di tutti un potentissimo server che sfrutta le più
avanzate tecniche di machine learning e intelligenza
artificiale, una macchina nel cloud liberamente accessibile da chi vuole sfruttare le sue potenzialità e non
ha le competenze per realizzare un sistema simile,
ovviamente molto complesso. Project Oxford, questo
il nome del progetto che Microsoft ha avviato lo scorso anno fornendo alcuni strumenti in grado di stimare,
partendo da una foto, l’età di una persona, si evolve
ora con un motore di riconoscimento delle emozioni.
Da una sola foto, analizzando in tempo reale alcuni
tratti riconducibili ad espressioni di felicità, gioia, tristezza o rabbia, i server nel cloud Microsoft riescono
in pochi secondi a restituire una mappa abbastanza
precisa delle emozioni percepite. Se associare un
volto sorridente alla felicità può essere considerata
un’operazione banale senza rischio di errore, ed effettivamente il sistema di riconoscimento del sorriso da
anni è integrato nelle fotocamere digitali, non è affatto
facile identificare la percentuale di felicità, di rabbia, di
tristezza, di sorpresa o di disgusto. Capire le emozioni
provate da una persona semplicemente osservando lo
sguardo spesso è difficile anche per noi, figuriamoci
per un computer, addestrato a farlo osservando una
foto neppure perfetta.
A volte ci prende, a volte no
Abbiamo messo alla prova Project Oxford Emotion, ed
ecco quello che ne è uscito. Per esempio il Governatore della Campania De Luca, ripreso durante la conferenza stampa tenuta in seguito alla ricezione di un avviso di garanzia. Un momento difficile: traspare disgusto
e un po’ di rabbia, sentimenti coerenti con le parole di
De Luca. Risultato buono.
video
lab
Proviamo con un’immagine storica, Hitler al culmine
del suo potere: sguardo prevalentemente neutrale,
con un interessante 20% di tristezza. Ci piace pensare
che fosse vero.
Tristezza? Il pianto di commozione inganna la macchina: quando Fabio Grosso ha fatto vincere i mondiali
all’Italia sicuramente non era triste. Qui l’algoritmo, che
è ancora giovane, ci è “cascato”.
Valentino Rossi non era certo felice al termine del Gran
Premio di Valencia: quella che per un umano è
un’espressione di tristezza e rabbia modulata con un
sorriso sarcastico, per un computer è invece un’espressione di felicità. Mezzo sorriso c’è, ma il server Microsoft si lascia ingannare dalle apparenze: in effetti, se si
guarda bene, il sottofondo “rabbioso” di Valentino si
legge eccome.
La catalogazione automatica
delle immagini fa un passo in avanti

Chi c’è di più impassibile del protagonista di Breaking
Bad? E infatti l’algoritmo non sbaglia: volto inespressivo al 99%.
torna al sommario
La strada da fare è ancora lunga, ma almeno è stata
imboccata: se espressioni di gioia o di tristezza sono
facili da identificare, in molti casi è davvero difficile ricostruire correttamente la mappa delle emozioni partendo da una foto. Project Oxford Emotion ha però buone
potenzialità, il motore di intelligenza artificiale di Microsoft deve digerire probabilmente qualche milione di fotografie, con il giusto input, per iniziare a capire come
interpretare certe espressioni, con la consapevolezza
che pur essendo un computer anche lui può sbagliare.
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16 NOVEMBRE 2015
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TEST Abbiamo testato il super modem/router di Netgear, il primo 802.11ac wave 2 con supporto per la tecnologia MU-MIMO
Netgear Nighthawk X4S, nato per lo streaming
Nighthawk X4S è un prodotto proiettato verso il futuro e pensato per offrire una rete wireless molto veloce e affidabile
D
di Paolo CENTOFANTI
opo l’anteprima delle scorse settimane, Netgear ci ha fornito un campione del suo nuovo
modem/router top di gamma, il Nighthawk X4S,
un prodotto molto completo e che, diciamolo subito,
arriva con un prezzo di listino che a chi è abituato
a spendere non giù di 100 euro per un router, farà
fare un balzo sulla sedia: 430 euro. il motivo c’è: si
tratta di un prodotto all’avanguardia e uno dei primi
a implementare la tecnologia MU-MIMO (Multi User
MIMO) su 802.11ac, con una capacità wireless complessiva di 2,53 Gbit/s. Qualcuno potrebbe chiedersi
se siamo alle solite: dati di targa stratosferici a cui poi
corrispondono come al solito prestazioni decisamente più modeste. Ma attenzione, quando si parla di
banda complessiva, si intende la capacità massima a
disposizione per tutti i dispositivi connessi e non della
velocità massima raggiungibile dal singolo terminale.
E se contate bene quanti prodotti elettronici avete in
casa che si connettono in Wi-Fi a Internet, vedrete
che sono sempre di più; se una volta il router serviva
per dare connessione al PC principale e magari uno
o due portatili, è facile che oggi si parli anche di una
decisa di terminali.
Questione di antenne e di come le si usa
La novità più grande è appunto il MU-MIMO, tecnologia che consente di sfruttare il concetto di smart
antenna per comunicare contemporaneamente con
più dispositivi. Un access point Wi-Fi classico, infatti,
utilizza la tecnologia MIMO per incrementare la banda
complessiva, ma alla fine ogni client deve aspettare
il suo turno per “parlare”. Con il Multi User MIMO, la
diversità d’antenna viene utilizzata per permettere a
più dispositivi di occupare simultaneamente il canale
radio, migliorando le prestazioni generali della rete.
Questa tecnologia lavora principalmente sull’elaborazione del segnale radio, il che richiede una discreta
potenza di calcolo, motivo per il quale sta comincian-
video
lab
do solo ora ad affacciarsi sui prodotti consumer (da
quest’anno sono cominciati a comparire i primi smartphone a supportare il MU-MIMO ad esempio). Il Nighthawk 4XS ha bisogno di un processore ARM dual
core da 1,4 GHz, non solo per il MIMO, ma anche per
alcune funzionalità come la gestione dinamica della
priorità del traffico, su cui torneremo tra un attimo.
Il modem/router Netgear ha lo stesso design “aggressivo” degli altri prodotti della gamma Nighthawk ed
è dimensioni piuttosto generose, anche per via delle
sue grosse quattro antenne orientabili. Oltre al suo
curioso profilo (quasi militare), stupisce la quantità di
LED che costellano il frontale del dispositivo e che
indicano lo stato della connessione telefonica e l’attività sulle bande dei 2,4 GHz e 5 GHz, le due porte
Sul frontale un tasto consente di spegnere con
praticità il segnale wireless. Utile per chi non ama
mantenerlo attivo durante tutta la giornata.

Le connessioni posteriori sono quelle standard
per un dispositivo consumer, ma si può notare
la porta di rete dedicata per l’utilizzo come solo
router (che lascia così tutte le 4 porte dello switch
libere). Un tasto consente di tenere spenti i tanti
LED disposti sul frontale.
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USB 3.0, quella eSATA e lo switch a quattro porte gigabit ethernet. I due ultimi LED a destra sono in realtà
dei tasti, rispettivamente per accendere/spegnere
la rete wireless (sono tanti gli utenti che preferiscono spegnerla di notte) e per lo scambio veloce della
password via WPS. Il Nighthawk X4S supporta infine
non solo le connessioni ADSL2+ fino a 20 Mbit/s, ma
anche quelle VDSL2 degli abbonamenti in fibra all’armadio di strada, fino a 100 Mbit/s simmetrici.
Sfruttare al meglio la banda
Il Nighthawk X4S, per quanto riguarda la configurazione iniziale, non si differenzia molto da altri prodotti
Netgear o anche della concorrenza. La procedura è
sufficientemente semplice e per la parte ADSL ci sono
i profili pre-impostati per i principali operatori italiani.
Il dispositivo può anche funzionare in modalità solo
router, collegando un altro modem (o router) alla porta
di rete apposita, oppure può essere configurato per
funzionare come semplice access point, per cui non
funzioneranno né firewall né tutta la parte di gestione
del traffico. Se non colleghiamo il Nighthawk a una rete
telefonica, sarà la stessa procedura guidata iniziale a
chiederci quale modalità vogliamo utilizzare.
Nel menù di configurazione, a cui si accede come con-
suetudine via browser immettendo l’indirizzo IP del dispositivo (tipicamente 192.168.1.1), troviamo tutto quello
che possiamo aspettarci da un moderno modem/router. Tra le cose che vale davvero la pena segnalare c’è
la possibilità di stabilire gli orari in cui attivare o spegnere la rete Wi-Fi (con fasce indipendenti per le due
bande) e il traffic meter, che permette di impostare dei
limiti di tempo e/o quantità di traffico dati alla propria
connessione, nel caso di abbonamenti a consumo. Per
il resto troviamo le “solite” impostazioni avanzate, tra
cui VPN, route statiche, gestione di porte e servizi per
il firewall, DNS dinamici, e così via. Non manca davvero
segue a pagina 39 
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16 NOVEMBRE 2015
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SCIENZA E FUTURO Impazza su Kickstarter la campagna per Gest, un guanto pieno di sensori per sostituire mouse e tastiera
Mouse e tastiera addio: sta arrivando il guanto virtuale
Il guanto virtuale offrirà interazione con Photoshop, 3D modelling e quanto altro possa venire in mente agli sviluppatori
di Massimiliano ZOCCHI
I
computer e i device mobile migliorano di continuo, ma tastiera e mouse
non sono cambiati molto nel tempo.
i ragazzi di Gest hanno così pensato di
creare una sorta di guanto virtuale in grado di captare ogni più piccolo movimento
della nostra mano e trasmetterla a un software di elaborazione in tempo reale. La
raccolta fondi su Kickstarter sta andando
benissimo ed ha già ampiamente superato la goal line di 100.000 dollari, con ancora 24 giorni allo scadere. Per 149 dollari
potete prenotare il vostro guanto virtuale
che dovrebbe arrivare entro un anno, a
novembre 2016. Ma cosa può fare Gest?
Inizialmente l’idea era quella di sostituire
la tastiera, specialmente nei casi dove
usarla sarebbe stato particolarmente
scomodo. Ma proseguendo con il progetto, Michael Thomas Pfister e soci si
sono accorti che potenzialmente le applicazioni sono infinite. Gest è costituito da
una banda regolabile da fissare al palmo
della mano, con dei sensori cablati in
ogni dito escluso il pollice. In tutto sono
15 i sensori impiegati per mappatura,
posizione, rotazione e movimento delle
singole dita. Gest promette fin da subito l’integrazione con le funzionalità di
Photoshop, ma sarà possibile impostare
molte gesture in base alle proprie abitudini e associarle ad altrettante funzioni.
Mentre al prezzo speciale di 199 dollari
è possibile ordinare una coppia di Gest
e sbloccare la funzione di scrittura intuitiva. E’ importante notare che, sebbene
questa funzione fosse alla base del progetto, è considerata ancora in beta e gli
stessi progettisti stanno chiedendo aiuto
a chiunque voglia partecipare allo sviluppo. Requisiti necessari: saper scrivere
senza guardare la tastiera.
TEST
Netgear Nighthawk X4S
segue Da pagina 38 
nulla. L’aspetto più interessante è quello dedicato alla
gestione della priorità del traffico, che Netgear definisce Dynamic QoS (Quality of Service). L’idea è che il
collo di bottiglia è sempre la banda offerta dal nostro
provider, mentre abbiamo sempre più dispositivi che
vogliono fare streaming, scaricare file di grosse dimensioni, giocare online in multiplayer, il tutto chiaramente
simultaneamente. Netgear implementa un sistema in
grado di riconoscere automaticamente il tipo di traffico generato da ogni dispositivo e di regolare automaticamente l’allocazione di banda a ciascuno di essi di
conseguenza. Se il PC sta scaricando un file di grosse
dimensioni e allo stesso tempo vogliamo guardare un
film in streaming su Netflix sul TV, il Nighthawk è in
grado di ridurre automaticamente la velocità di scaricamento del PC, garantendo che la riproduzione sul TV
avvenga senza problemi e possibilmente alla massima
qualità possibile. Per far questo, il Nighthawk misura la
banda effettiva disponibile tramite Ookla SpeedTest e
un database online sempre aggiornato dei diversi tipi
di servizi (gaming, streaming video, e così via).

Il modem router è dotato di porte USB 3.0. Sull’altro lato c’è spazio anche per un ingresso e-SATA.
torna al sommario
Veloce e affidabile
Ma il MU-MIMO
è così determinante?
Abbiamo messo alla prova il
router di Netgear nella nostra
redazione, con decine di dispositivi collegati simultaneamente, un ambiente che è in grado
usualmente di rivelare i limiti dei
modelli consumer. Le impressioni d’uso del Nighthakw X4S
sono molto positive in termini di
affidabilità della rete wireless.
Durante tutto il periodo della
nostra prova (con router accesso 24 ore su 24) non abbiamo
evidenziato rallentamenti, problemi di stabilità o necessità di riavviare il dispositivo.
In questa fase non sono molti i dispositivi MU-MIMO, e
non sappiamo quantificare quale sia l’effettivo impatto
sulle prestazioni della rete. Quello che possiamo dire
è che con tanti dispositivi wireless, tra smartphone,
tablet e PC, attivi, e una connessione in fibra ottica a
100 Mbit/s da condividere, non abbiamo mai riscontrato problemi di lentezza o colli di bottiglia. La prova più
interessante è stata quella del sistema di QoS, che abbiamo testato lanciando simultaneamente diverse sessioni di riproduzione su Netflix e YouTube, scaricando
allo stesso tempo un grosso file via BitTorrent con un
download in grado di saturare la banda disponibile. In
queste condizioni abbiamo visto il router ridurre automaticamente la banda assegnata al traffico P2P, mano
a mano che lanciavamo più sessioni di streaming, che
sono proseguite ciascuna in 1080p senza interruzioni.
Con connessioni Internet meno performanti, il buon
funzionamento della gestione del traffico sarà sicuramente ancora più apprezzabile. Per quanto riguarda le
prestazioni in termini di velocità di connessione, con
dispositivi 802.11ac abbiamo toccato punte superiori ai
400 Mbit/s nel trasferimento di file sulla rete. Abbiamo
provato ad allestire un server Plex su una macchina
collegata al router via Wi-Fi (sempre 802.11ac), e quindi
a lanciare sessioni di streaming da vari dispositivi wireless, riproducendo senza problemi non solo filmati in
full HD, ma anche 4K. Insomma, sicuramente il router
Netgear è in grado di offrire una rete wireless ad alta
capacità e affidabile. Molto buona anche la reattività di
accesso a dischi e memorie USB esterne, grazie alla
combinazione di una CPU veloce e le porte USB 3.0.
Certo è che stiamo pur sempre parlando di un modem/
router da oltre 400 euro, un prezzo “premium” che si
paga per via del fatto che è uno dei primi dispositivi
802.11ac wave 2. Ma le nostre prove sono state condotte soprattutto con dispositivi della “prima ondata”,
con cui abbiamo ottenuto comunque prestazioni stabili
e affidabili per la maggior parte degli utilizzi. Per cui il
dubbio sugli effettivi benefici di investire già oggi sulla tecnologia MU-MIMO è lecito, soprattutto in questa
fase in cui i prezzi sono ancora molto elevati.
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il cavo ma il suono
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16 NOVEMBRE 2015
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TEST Anteprima Canon G5 X: abbiamo scattato qualche foto con la nuova compatta “premium”, in gamma si posiziona sopra la G7 X
Canon G5 X: sulla Powershot torna il mirino
È sostanzialmente simile alla G7 X, ma il mirino, il grip migliorato e la nuova ghiera frontale facilitano l’utilizzo in manuale
di Roberto PEZZALI
ome combattere lo strapotere degli smartphone in ambito fotografico, soprattutto quando si
parla di fotografia “urban”? Canon, e con le tutte le altre grandi aziende nel mondo della fotografia,
hanno iniziato a spingere molto negli ultimi anni nel
settore delle compatte “Premium”, fotocamere con
peso e ingombri ridotti che grazie ad un sensore più
grande delle altre compatte, ottiche di qualità luminose e funzionalità avanzate possono davvero sostituire
una ingombrante reflex per l’urban shooting, raggiungendo una qualità comunque notevole.
L’ultima nata in casa Canon è la G5 X, una fotocamera che abbiamo avuto di modo di provare per
qualche ora nell’ex area delle acciaierie Falck a
Sesto San Giovanni, periferia di Milano. La G5 X si
posiziona un gradino sopra la G7 X, perché ricordiamo che nella numerazione Canon i modelli crescono
con il decrescere della numerazione: è una macchina
compatta e abbastanza leggera, comunque facile da
tenere nella tasca di un giubbotto o in una borsa.
Rispetto alla G7 X la nuova nata ha una miglioria non
da poco, assente anche sulla G1 X Mark II: ha un mirino elettronico da 2.360.000, che non è indispensabile per molti fotografi alle prime armi ma è insostituibile
per chi è abituato a scattare con un occhio appoggiato alla macchina. Canon ora offre questa doppia scelta: G5 X per chi vuole il mirino, G7 X per chi invece
preferisce risparmiare affidandosi al display.
Dal punto di vista delle prestazioni le due macchine si
equivalgono: entrambe condividono lo stesso sensore da 1” e 20 Megapixel, il Digic 6 e l’obiettivo zoom
4.2x, f/1.8-2.8 equivalente ad un 24 – 100 mm, obiettivo attorno al quale Canon ha ricavato una ghiera per
la regolazione di alcuni parametri di scatto come ad
esempio l’apertura nella modalità priorità diaframmi. Nonostante le similitudini, toccando con mano
la G5 X sembra di trovarsi davanti ad una macchina
di un livello superiore, non solo per il mirino: Canon
ha infatti riorganizzato le ghiere in modo più efficace,
separando la ghiera dell’esposizione da quella delle
modalità di scatto e aggiungendo una ghiera ulteriore
sul frontale, a portata di indice. Quest’ultima è, insieme al mirino, la novità che abbiamo apprezzato di più:
C
video
lab
scattare in manuale utilizzando le due ghiere, quella
posteriore e quella frontale, non è affatto complesso
e macchinoso, anzi, il movimento sembra quasi naturale nonostante le dimensioni del corpo. Un po’ più
ostica da modificare, perché costringe al cambio di
impugnatura, la ghiera attorno all’obiettivo: sarà che
la G5 X provata da noi era nuova, ma ci è apparsa
troppo dura. Buona come sempre la precisione in
fase di messa a fuoco, anche se dobbiamo dire di
aver potuto saggiare il motore AF ibrido solo in condizioni di luminosità abbastanza semplici per un sistema di messa a fuoco, andrebbe provato con molta
meno luce. Apprezzabili per chi vuole spingersi un
po’ oltre anche la presenza del filtro ND integrato,
utile per poter sfruttare l’apertura F1.8 in condizioni
di forte luminosità, e il display orientabile completamente. Canon ha integrato nella parte alta della fotocamera, subito sopra il mirino, anche un piccolo flash
da estrarre manualmente: la sua portata è davvero
limitata, ma all’occorrenza può essere comodo. Chi
vuole giocare con la luce farebbe meglio a dotarsi
di un piccolo e più funzionale flash esterno della serie Speedlight, che la G5 X gestisce alla perfezione
grazie anche alla presenza del socket per accessori
esterni. Da segnalare infine, e non è cosa da poco,

I NOSTRI SCATTI DI PROVA clicca le immagini per l’ingrandimento
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la possibilità di ricaricare la fotocamera da USB tramite battery pack: sulla G1 X Mark II questa opzione
manca ed è forse uno dei più grossi rimpianti di chi la
possiede. Ecco alcuni scatti che abbiamo avuto modo
di realizzare nell’ex area Falck, ora al centro di un
progetto di riqualificazione diretto da Renzo Piano: gli
scatti con “effetto” sono stati realizzati sfruttando il sistema interno Canon, una modalità multishooting che
ha debuttato sulla Powershot N e che ora troviamo su
tutti i modelli della serie Premium.
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TEST È arrivato al terzo capitolo, Disney Infinity è finalmente un gioco vero, con una avventura varia e molto avvincente
Disney Infinity 3.0: la Forza è potente più che mai
Scatola giochi e play set aggiuntivi offrono molte possibilità di gioco, il tema Guerre Stellari si dimostra sempre vincente
di Roberto PEZZALI
D
isney Infinity è uno di quei giochi che ogni
genitore dovrebbe regalare al figlio. Infinity
è un concentrato di avventura, creatività con
la scatola dei giochi e tante statuine da collezionare
costruite con una cura e una precisione dei dettagli
rara da trovare altrove. Certo, chi vuole collezionarle tutte spenderà una fortuna, ma già con lo starter
pack si riesce a giocare e a condividere la stessa
avventura in due persone. Infinity è giunto alla sua
versione 3.0, e quest’anno Disney si è giocata la carta vincente: dopo Pixar e Marvel arriva finalmente il
mondo di Star Wars. Quando si sente la classica musichetta e si osservano sullo schermo spade laser,
droidi e caccia stellari è impossibile restare indifferenti: abbiamo agganciato la base di Infinity 3.0 ad
una Xbox One e abbiamo fatto il salto nell’iperspazio. Disney ha iniziato la sua avventura con Infinity
nel 2013, quando sul mercato spopolava Activision
con i suoi Skylander: bellissime statuine da toccare e
collezionare, dotate ognuna di un tag NFC per poter
sbloccare il rispettivo personaggio all’interno di un
mondo virtuale. Il mondo Disney è costruito attorno
ai personaggi e Disney ha saputo subito sfruttare la
stessa idea per lanciare quello che si è subito rivelato un enorme successo, Infinity 1.0. Non era difficile prevederlo: anche se il gioco non era al livello di
Skylander, a garantire il successo nei negozi ci hanno pensato i personaggi Pixar, da Cars a Toy Story
per arrivare a Monster e agli Incredibili. Lo scorso
anno è stata la volta di Marvel, con eroi del mondo di
Spiderman e degli Avengers: Avalanche Software, la
software house che ha realizzato Infinity, ha curato
in modo particolare la parte software allargando gli
orizzonti e le possibilità, con missioni più impegnate e una “Scatola dei giochi” ancora più completa.
Questo è l’anno di Star Wars e non è una coinciden-
video
lab
za: l’uscita del nuovo film di Star Wars ha
spinto l’hype verso la saga a livelli mai
visti negli ultimi anni, con i negozi di giochi e i Disney Store presi d’assalto per
mettere le mani su modellini e giocattoli
a tema. Il nuovo Infinity 3.0 è quindi uno
dei regali più belli da fare ad un bambino
per portarlo in un mondo che ha appassionato sicuramente i genitori: gli eroi
del passato e del futuro di Guerre Stellari sono ricostruiti con cura certosina, la
stessa cura meticolosa che è stata riposta da Disney nel creare il terzo capitolo del gioco che è finalmente un gioco
completo. Abbiamo giocato negli scorsi
anni agli altri due episodi e, se già con
la versione 2.0 di Infinity erano evidenti i progressi
fatti nello sviluppo del gioco, con Infinity 3.0 Disney
ha finalmente completato il suo percorso di sviluppo
offrendo un prodotto che può definirsi “infinito”.
Grafica eccellente e missioni variegate
Il principio di gioco è quello classico: acquistando il
pacchetto base l’utente si trova il portale da collegare tramite USB alla console (una Xbox One nel nostro
caso), la miniatura che dà accesso alla modalità avventura e due statuine (non più tre), Anakin Skywalker e
Ahsoka Tano, la Padawan assegnata ad Anakin nel
lungometraggio animato “Star Wars: The Clone Wars”.
Altre statuine, così come altri pacchetti “avventura”
possono essere acquistati a parte, una possibilità che
con dei figli diventerà presto una sorta di obbligo: si
può restare senza Darth Vader o Yoda? Difficile resistere al Lato Oscuro. L’acquisto del gioco consente le due
modalità ben distinte: la storia e la “scatola dei giochi”,
una sorta di editor che permette di costruire mondi e
avventure mescolando abilmente la completezza alla
facilità d’uso. Entrambe le modalità hanno subito un
corposo upgrade in Infinity 3.0, e non solo dal punto
di vista grafico, contraddistinto questa volta da una
grafica “cartoon” che ricalca molto fedelmente quella
della serie animata Star Wars Rebel. Gli sviluppatori di
Avalanche Software hanno finalmente trovato la ricetta
giusta per creare un gioco che non risultasse noioso

segue a pagina 43 
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16 NOVEMBRE 2015
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TEST
Disney Infinity 3.0
segue Da pagina 42 
e ripetitivo, aggiungendo le battaglie nelle orbite dei
pianeti, la possibilità di guidare ogni tipo di veicolo, avventure sport e diverse scene uniche con inseguimenti
e missioni da provare e riprovare più volte. La logica
del gioco è in ogni caso molto semplice e, alle missioni
principali ben studiate e piene di elementi di sicuro effetto, come la corsa dei pod su Tatooine, alterna molte
missioni semplici e anche banali che allungano un po’
la longevità del gioco e permettono di far crescere il
personaggio secondo il sistema di livelli già introdotto in Infinity 2.0, qui ulteriormente migliorato. Volendo
essere critici Infinity 3.0 è forse un po’ troppo facile e
troppo corto: un “gamer” ci mette poco più due ore a
portare a termine la missione principale senza perdersi
nelle missioni di contorno, ma un bambino può perdersi per ore a esplorare le lande desolate di Tatooine
divertendosi a sfoggiare le combo di combattimento
spesso generate anche da una pressione casuale dei
tasti del pad. La presenza di due giocatori dello stesso
Game Set permette di giocare subito alla prima avventura in co-op: qui sono state semplificate alcune
operazioni rispetto al capitolo precedente ma Disney
forse dovrebbe tenere in considerazione anche una
modalità co-op sbilanciata, dove un giocatore viene
gestito da un genitore che “guida” e trascina il secondo player gestito da un figlio piccolo che magari non
sa bene cosa fare ma vuole divertirsi a passare un po’
di tempo con il più abile papà.
Il PlaySet con Luke, Leila e Han Solo
è il miglior in assoluto
Abbiamo avuto modo di giocare a tutti e due i play
sets di Star Wars usciti in Italia, e dobbiamo dire che
il secondo mondo, “Insieme contro l’Impero”, è decisamente un passo avanti rispetto al mondo che viene dato in dotazione nella scatola del gioco. Per chi
ha guardato la Saga è un po’ difficile infatti collocare
temporalmente l’avventura compresa nel set d’avvio,
“Il Crepuscolo della Repubblica”: c’è Yoda, c’è Obi One
e c’è Anakin già cresciuto, ci sono i separatisti, i droidi e
un po’ tutti gli elementi dei primi tre episodi della saga
ma non tutti gli elementi sono collocati temporalmente
al loro posto. L’impressione è quindi quella di giocare
ad un qualcosa che non corrisponde a quanto visto nel
film, cosa che invece non avviene nel secondo play set
dove invece, seppur con una certa semplificazione, la
linea temporale è quasi corretta. Bellissime in questo
caso la battaglia sul pianeta Hoth, con possibilità di distruggere i camminatori AT-AT utilizzando gli arpioni, e
incredibili le battaglie nei cieli e sulla Morte Nera, da
giocare e rigiocare più volte. La possibilità di rigiocare
più volte le missioni è forse la miglioria dal punto di vista tecnico più apprezzata: era la più grossa mancanza
di Infinity 2.0, e finalmente è stata risolta.
La scatola dei giochi è un gioco a parte
L’altro grosso upgrade di Infinity 3.0 riguarda la
“Scatola dei Giochi”, un completissimo editor che
permette la creazione di mondi di ogni tipo che permettono di utilizzare ogni personaggio dei mondi Infinity: Yoda può giocare con Saetta McQueen, Hulk
può combattere con Olaf di Frozen. La scatola dei
giochi è forse l’aspetto più “adulto” di Infinity, ed è un
prodotto che da solo richiederebbe una recensione a
parte: Disney qui ha fatto un lavoro eccezionale perché è riuscita davvero con pochi strumenti e senza
mouse e tastiera a creare una interfaccia che permette di costruire, seppur con tempo e pazienza, mondi
incredibili e vasti. In questo capitolo, per introdurre la
scatola dei giochi a chi l’ha sempre considerata come
un prodotto troppo complesso, Avalanche Software
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Nella scatola dei giochi vale tutto, anche prendersela con il trattore di Cars
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ha creato un HUB che organizza le attività possibili
in diversi segmenti, ognuno con un proprio “tutor”:
ci sono i combattimenti, le costruzioni, le battaglie
e la guida, tutti piccoli tutorial giocabili che da soli
aumentano il tempo globale di gioco. I mondi creati
possono essere condivisi online, soluzione fantastica
per i più pigri non tanto per la creazione quanto per
la possibilità di scaricare mondi creati da altri. Infinity
3.0 ha raggiunto finalmente la sua maturazione completa dimostrandosi un prodotto vincente per tutti: la
parte avventura, seppur non troppo lunga, è perfetta
per i più piccoli perché è perfettamente bilanciata e
si esce quasi sempre vincitori e con il sorriso da ogni
scontro, mentre la Scatola dei Giochi è un must per i
più grandi che cercheranno sempre di creare mondi
più completi e divertenti, assemblando avventure ad
hoc per figli o fratelli.
Vince anche Disney: con 69 euro per lo starter pack,
15 euro per ogni statuina aggiuntiva e 35 euro per un
playset ha creato una macchina da soldi mostruosa,
e per i fan di Guerre Stellari è davvero difficile lasciare sullo scaffale alcune statuine meravigliose, come
quella di Darth Vader o di Chewbecca. Senza tenere
conto che la stessa Disney si è tenuta degli assi nella
manica: all’appello mancano le statuine di R2-D2, C3PO, Jabba The Hutt, Lando Calrissian, del Conte Duku
e dell’Imperatore Palpatine. Fortunatamente assente
anche quella di Jar Jar Binks.
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