n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 Attentati di Parigi: i servizi segreti imbarazzati incolpano la PS4 Gli attentati di Parigi sono stati un brutale attacco al cuore d’Europa. Un cuore, Parigi, che aveva già pagato il suo pegno di sangue con la strage di Charlie Hebdo dello scorso gennaio. Un città che da allora ha vissuto in stato d’allerta con misure di sicurezza rinforzate. Che, alla luce dei fatti, non sono servite a nulla. Così’, insieme alle vittime, muore di fatto anche l’intelligence occidentale. Il fatto che si sia colpito Parigi, ancora una volta, ha ovviamente una valenza simbolica importante per gli attentatori: le vostre precauzioni - sembrano dire - non servono a nulla. In queste ore il ministro dell’interno belga (pare che la cellula che ha innescato la strage venga da Bruxelles) ha indicato come possibili canali di comunicazione tra gli attentatori, per l’opportuno coordinamento, l’utilizzo della chat della PlayStation4. Molti organi di stampa si sono affrettati a riportare questa notizia, in maniera quantomeno avventata. Innanzitutto verrebbe da chiedersi perché PS4 e non PS3, per esempio, che si connette anch’essa alla PlayStation Network. Per non parlare del fatto che alcune testate hanno iniziato, copiandosi l’un l’altra, a parlare dell’utilizzo da parte degli attentatori di una fantomatica PlayStation “4s”. Insomma, parole in libertà. Il ministro belga ha affermato anche che intercettare le chat realizzate attraverso PlayStation 4 sarebbe molto più difficile che farlo rispetto a quelle di WhatsApp, per esempio. Certo è vero che le console offrono ambienti di chat, sia vocale che testuale, anche all’interno dei giochi. Tenere traccia di tutti questi canali paralleli e meno lineari delle normali connessioni telefoniche è di certo un grande problema. Ma Internet stessa, a prescindere dalla PlayStation, può nascondere migliaia di flussi di comunicazione difficilmente tracciabili, criptati, sfuggenti anche agli 007 più dotati. Mettere la PlayStation sul banco degli imputati ci sembra davvero ridicolo. Soprattutto se a farlo è chi cerca così di sfilarsi dallo stesso banco. Parallelamente – ammesso che ce ne fosse bisogno – il ministro degli interni belga ci svela, indirettamente, che tutti gli altri sistemi comunemente usati per comunicare sono monitorati. Tutto quello che scriviamo su WhatsApp, iMessage, chat di Facebook e così via è sotto controllo. Non che la cosa ci stupisca e anzi, alla luce dei recenti eventi noi comuni cittadini che non abbiamo nulla da nascondere, saremmo contenti di essere controllati se questo servisse ad evitare stragi come quelle di Parigi. Ma la sensazione è che gli attentatori sappiano bene come sfuggire alle intercettazioni, mentre i contenuti dei controlli sulle nostre comunicazioni potrebbero facilmente cadere nelle mani sbagliate, distruggendo la nostra privacy o quello che ne resta. Va bene, dovremo abituarci ad arretrare un po’ sul fronte della privacy in nome della sicurezza collettiva. Ma almeno, parallelamente, che vengano ammorbidite anche le normative e i vincoli (alcuni assurdi) relativi alla privacy nei quali si ingarbugliano tutti i giorni semplici cittadini e lavoratori. Gianfranco GIARDINA torna al sommario MAGAZINE Niel, azionista Telecom Disponibile in Italia Tag Heuer presenta contrario alla “falsa” il TV ULED 2.0 Carrera Connected fibra, imbarazza TIM 05 di Hisense 10 smartwatch di lusso 12 Il TV OLED 4K Panasonic costerà 9.999 euro Il TX-65CZ950, il primo TV OLED 4K di Panasonic, è progettato per essere un riferimento. Ma la qualità costa cara 09 Stonex One, buona l’idea ma il risultato è da rivedere In prova Stonex One, lo smartphone nato da un’idea italiana: costa la metà dei top di gamma ma ha ancora troppi bug 31 IN PROVA IN QUESTO NUMERO 22 26 28 Apple TV, molto più Lumia 950 e 950 XL Galaxy Tab S2 di un media player Windows 10 in tasca tablet Android al top 34 37 38 iMac 4K, lo schermo Può un PC leggere Netgear X4S, nato è spettacolare le nostre emozioni? per lo streaming n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE MERCATO Satya Nadella apre a Roma il #FutureDecoded, convention organizzata da Microsoft Nadella, Microsoft:“Cambieremo il modo di lavorare grazie a cloud e tecnologia” Scopo della convention è presentare le nuove tecnologie e le opportunità per gli sviluppatori U di Roberto PEZZALI na platea di oltre 5000 persone ha accolto a Roma Satya Nadella: il CEO di Microsoft ha voluto aprire di persona i lavori del #FutureDecoded, un forum promosso da Microsoft per far conoscere a start up e sviluppatori italiani le nuove tecnologie e gli strumenti che Windows 10 mette loro a disposizione. In un lungo intervento di oltre 40 minuti, Nadella ha affrontato i tre temi che stanno più a cuore a Microsoft, con un focus importante sul rapporto tra cloud e collaboration. “Il lavoro non sarà più il posto dove andare tutte le mattine”, ha detto Nadella dal palco, “ma semplicemente un obiettivo da raggiungere, senza preoccuparsi di come lo si raggiunge e da dove lo si raggiunge”. Microsoft punta molto sul tema della collaborazione, della mobilità e ovviamente spinge al massimo sul cloud con Azure, la piattaforma Microsoft che non deve essere vista come qualcosa di cui preoccuparsi ma come un’opportunità per ogni azienda e sviluppatore che vuole dare una spinta decisiva al suo business. “Ogni sviluppatore deve poter contare sulle opportunità offerte dal cloud di Microsoft”, aggiunge Nadella, “Vogliamo offrire gli strumenti per dare più potere alle persone, che grazie alla nostra infrastruttura non si sentiranno più soli ma potranno organizzarsi abbattendo ogni barriera”. Nadella si illumina quando parla di start-up: questa mattina a Roma ha avuto modo di incontrare personalmente alcuni giovani sviluppatori italiani che gli hanno illustrato soluzioni geniali come Melixa, una piattaforma per gestire l’apicultura, HeartWatch, un wearable in grado di monitorare l’aritmia e Baby Goldrake, un robot che si controlla con il pensiero destinato ai bambini che passano molto tempo rico- verati in ospedale. Idee fantastiche, sviluppate interamente in Italia e che “non sarebbero mai esistite senza l’intelligenza delle persone aiutata dall’intelligenza artificiale dei server in cloud”, dice con un pizzico d’orgoglio il CEO di Microsoft. Ed è solo l’inizio: Nadella promette la fusione del mondo reale con quello digitale, traghettando l’uomo in un futuro dove la tecnologia diventerà parte ancora più integrante della vita umana: Hololens, il visore di realtà aumentata che Microsoft inizierà a distribuire agli sviluppatori all’inizio del prossimo anno, sarà la chiave per aprire questa porta. 1.9 milioni di abbonati, ma Mediaset crolla in borsa I broker ritengono troppo alti i costi e poco incoraggiante la raccolta pubblicitaria. Titolo a -8% M ediaset ha chiuso l’ultimo trimestre con risultati a incoraggianti, eppure questo non è bastato. Poco importa se il 2015 sarà in utile, se le perdite (35,8 milioni) sono in calo rispetto allo scorso anno (46,8 milioni) e se i ricavi si sono attestati a 2,414 miliardi, meglio dei 2,387 miliardi dichiarati un anno fa, la borsa punisce il titolo che fa registrare un -8% in apertura che contrasta le ottime performance delle azioni da inizio anno, un +38% che ha fatto sorridere chi ha investito nelle azioni dell’azienda di Cologno Monzese. Di chi è quindi la colpa? La raccolta pubblicitaria continua ad essere un problema, e in questo scac- torna al sommario Portare la fibra ottica in tutta Italia approfittando dell’infrastruttura di rete elettrica Enel Il progetto è possibile Si partirà a breve di Emanuele VILLA MERCATO Mediaset annuncia i risultati finanziari del terzo trimestre2015: il trend è positivo di Paolo CENTOFANTI Enel porterà la fibra ottica in tutta Italia chiere rientrano anche i costi di esercizio in crescita, costi nei quali rientrano anche le quote da pagare alla Uefa per i diritti TV della Champions League. Secondo Mediaset la strategia Premium sta comunque pagando: Marco Giordano, CFO di Mediaset Premium, ah dichiarato che «I diritti esclusivi della Champions League si sono confermati un “game changer”. In un mercato pay tv che nei principali paesi europei quali Gran Bretgana, Germania e Francia è sostanzialmente fermo o mostra crescite bassissime, Premium ha chiuso il terzo trimestre – il primo che commercializzava la nuova offerta – a 1.815.000 abbonati con una crescita di 112.000 unità rispetto al 30 giugno 2015. Ad oggi sono in aumento sia gli abbonati (circa 1.900.000) sia le quote di mercato. In crescita costante anche l’Arpu relativo ai nuovi clienti». Mediaset è a quota 1.9 milioni di abbonati, e l’offerta da 19 euro che ha lanciato nelle ultime settimane dovrebbe aiutare a raggiungere il target di 2 milioni di abbonati entro la fine della stagione. L’aumento dei costi delle attività potrebbe anche essere l’elemento che ha portato l’azienda ad una riflessione sull’ambizioso piano di lancio della piattaforma satellitare, una spesa importante sia dal punto di vista strutturale che commerciale che potrebbe non raccogliere subito dei risultati importanti. Se ne parla da maggio e pare possa diventare realtà piuttosto in fretta. Stiamo parlando di Enel e del suo interesse ad entrare nel mercato delle telecomunicazioni e della banda larga. Il progetto consisterebbe nel cablare tutta l’Italia con la fibra ottica utilizzando i propri cavidotti già esistenti. All’epoca Francesco Starace, AD di Enel, affermò che “Abbiamo 33 milioni di spezzoni di cavi che usiamo solo per la corrente”, cavi che possono essere invece impiegati per portare la banda larga alle famiglie non ancora raggiunte (e sono molte). La notizia è l’ok da parte del Consiglio di Amministrazione Enel al progetto: il cda Enel pensa sia opportuno l’impiego dell’infrastruttura della rete elettrica per la realizzazione di una rete in fibra che Enel non gestirà in modo diretto (cioè non nei confronti dell’utente finale) ma che fornirà agli operatori di tlc. A tal fine, verrà inoltre costituita un’apposita società per azioni dedicata ad avviare le operazioni in questo settore. A giudicare dall’infrastruttura esistente e dalla sostituzione dei vecchi contatori con quelli “intelligenti”, potremo vedere qualche risultato in tempi relativamente brevi, 1 o 2 anni al massimo. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE MERCATO Da gennaio 2016 sarà possibile pagare sui siti convenzionati con il circuito Bancomat Al via i pagamenti online con il Bancomat A beneficiarne saranno i correntisti delle banche che decideranno di aderire al servizio L’ di Emanuele VILLA inarrestabile ventata di tecnologia che sta travolgendo il mondo bancario non risparmia nemmeno uno dei pilastri più consolidati dei pagamenti elettronici: anche la tesserina di plastica con il logo PagoBancomat a breve sarà utilizzabile per i pagamenti sul web, così come già avviene per le note carte di credito dei circuiti internazionali Visa e Mastercard, per citare solo i più diffusi. Terminata positivamente la fase pilota, il Bancomat 2.0 si prepara alla piena operatività per inizio del 2016. Per dirla con le parole di Sergio Moggia, Direttore Generale del Consorzio Bancomat: “finalmente siamo riusciti a portare su internet il circuito di pagamento più utilizzato dagli italiani. Ora ci aspettiamo un’ampia adesione al servizio da parte di banche ed esercenti, per consentire a un numero sempre maggiore di titolari di carte PagoBancomat di usarle anche online”. La sicurezza delle operazioni online è garantita. Così come avviene per molti Gli AD di Vodafone e Wind accolgono la decisione di Enel di creare una new company per la realizzazione della in fibra in Italia Collaborazione subito di Emanuele VILLA servizi basati su carta di credito (e.g. PayPal) non è necessario inserire all’atto del pagamento il numero della carta o altri dati “sensibili”. Dopo aver scelto la merce e il metodo di pagamento, si verrà quindi indirizzati alla pagina di autenticazione del proprio servizio di home banking, dove, dopo aver inserito le credenziali, si riceverà autorizzazione alla spesa in tempo reale. In un panorama come quello dei pagamenti elettronici che da anni in Italia lavora per conformarsi ai dettami euro- pei della SEPA (Single Euro Payments Area) la possibilità di utilizzare un prodotto domestico rimane un’alternativa valida per chi non possiede una carta di credito e vuole comunque fare acquisti sul web senza sostenere i costi aggiuntivi di una carta di credito. Il successo di questo nuovo servizio sarà comunque decretato non tanto dalla volontà dei titolari quanto dall’effettivo numero di banche, operatori e siti di e-commerce che decideranno di convenzionarsi. MERCATO Google integra le Guide Locali in Maps e dà a tutti la possibilità di contribuire Se scrivi recensioni, Google ti ricompensa Scrivendo recensioni su punti d’interesse si può ottenere anche 1 TB gratis su Google Drive di Emanuele VILLA oogle ha bisogno dei milioni di persone che usano Google Maps ogni giorno per migliorare ed estendere il proprio servizio di Guide Locali, ovvero (in estrema sintesi) le recensioni e le immagini di luoghi d’interesse sparsi nel mondo, dai monumenti ai musei, dai punti di ristoro alle discoteche. Un colpo abbastanza pesante per i competitor, specie perchè Google ha deciso di ricompensare chi decide di aderire all’iniziativa, attribuendo ad essi un livello crescente di vantaggi. E se alcuni di essi sono tutto sommato limitati, altri paiono davvero interessanti: in particolare 1 TB gratis su Google Drive al raggiungimento dei 200 punti. Il meccanismo è semplice: più si condividono informazioni sui luoghi visitati, maggiori sono i vantaggi. Citando diret- G torna al sommario Vodafone e Wind dicono subito sì alla newco per la fibra Enel tamente la comunicazione di Google, “Per guadagnare punti e ottenere nuovi vantaggi potete scrivere la recensione di un luogo, caricare una foto, aggiornare informazioni obsolete e rispondere a delle semplici domande. Ogni contributo vale un punto, potete quindi guadagnare fino a cinque punti per ciascun luogo”. Non si possono superare i 5 punti per ogni luogo, ma nel complesso i punti accumulabili sono infiniti e i vantaggi crescenti. In particolare: Livello 1 (0 - 4 punti): partecipazione a concorsi esclusivi in alcuni paesi Livello 2 (5 - 49 punti): accesso in anteprima a nuovi prodotti e nuove funzionalità di Google Livello 3 (50 - 199 punti): badge ufficiale di Guide Locali su Google Maps Livello 4 (200 - 499 punti): 1 TB di spazio di archiviazione su Google Drive, per poter conservare in un posto sicuro tutte le foto e i video dei vostri viaggi. Livello 5 (500+ punti): il livello massimo in Guide Locali offre la possibilità di fare richiesta per partecipare al summit inaugurale Google nel 2016, durante il quale potrete incontrare altri partecipanti al programma Guide Locali, esplorare il campus Google e scoprire le ultime novità di Google Maps. Aldo Bisio AD di Vodafone Italia, accoglie molto positivamente l’annuncio di Enel: “La decisione assunta dal CdA di Enel per la costituzione di una società, aperta e accessibile a tutti gli operatori di telecomunicazioni, va nella direzione di realizzare un piano di respiro nazionale per lo sviluppo della banda ultralarga. Siamo pronti a partecipare da subito a questo progetto e a collaborare con Enel, convinti che sia una occasione unica e irripetibile per vincere la partita della digitalizzazione del Paese, valorizzare il contributo pubblico e privato, e realizzare una rete a prova di futuro”. Poco dopo il comunicato di Vodafone è arrivata anche la dichiarazione di Wind e del suo AD Maximo Ibarra: “Wind giudica molto positivamente la decisione di Enel di costituire una società per sviluppare una infrastruttura di rete a banda ultra larga nel Paese. È un’iniziativa che va nella direzione da sempre auspicata dalla nostra azienda per superare il digital divide e dotare l’Italia di una rete in fibra, in linea con le crescenti esigenze dei consumatori e con lo sviluppo dei servizi digitali. Wind è pronta a collaborare da subito a questo progetto che potrà garantire le giuste condizioni di parità di accesso per gli operatori, indispensabili per una sana concorrenza e per lo sviluppo di un mercato ancor piu’ competitivo”. Resta ora da capire cosa decideranno di fare Metroweb, Fastweb e Telecom Italia. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE MERCATO Amazon ha attivato a Milano la consegna in un’ora per oltre 15.000 prodotti Amazon Prime Now: consegne in un’ora Il servizio è attivo su un ordine minimo di 19 euro, il costo della spedizione è pari a 6.90 euro A di Roberto PEZZALI mazon ha lanciato Prime Now, il nuovo servizio dedicato ai clienti Amazon Prime che assicura la consegna in un’ora o in finestre di due ore su oltre 15.000 prodotti, alcuni dei quali, come i surgelati, disponibili solo con questa modalità di consegna. Prime Now è pensato soprattutto per beni di prima necessità e di uso quotidiano: pasta, caffè, pannolini e prodotti per l’infanzia, per la bellezza e la cura della persona, vini e alcolici rientrano in questa categoria, anche se nei 15.000 prodotti si trovano ache videogiochi, console e prodotti per lo sport. “I clienti Amazon dell’area di Milano possono usare l’app Prime Now da oggi e scoprire più di 15.000 prodotti che possono essere consegnati in un’ora” ha dichiarato François Nuyts, Country Manager di Amazon.it e Amazon.es. “L’Italia è il secondo Paese in Europa dove Prime Now è stato lanciato e siamo molto orgogliosi di offrire ai nostri clienti Prime una consegna ultra-veloce, oltre ai benefici di cui possono già godere grazie al loro abbonamento Prime”. La MPAA Motion Picture Association of American rivendica la chiusura del noto servizio pirata È frutto di azioni legali congiunte in Canada e in Nuova Zelanda di Roberto PEZZALI Prime Now è disponibile solo su Milano e in alcuni comuni dell’hinterland milanese, come Cinisello Balsamo e Paderno Dugnano: per usufruire del servizio di dovrà fare un ordine minimo di 19 euro, mentre il costo della spedizione è pari a 6.90 euro se si vuole ricevere la spedizione entro l’ora. Nel caso in cui ci si accontenti di una finestra di due ore, la spedizione è totalmente gratuita. Prime Now è attivo dalle 8 del mattino a mezzanotte, e soprattutto funziona 7 giorni alla settimana: per alcuni prodotti diventa più immediato Prime Now del supermercato. Per usufruire del servizio Amazon ha preparato una applicazione dedicata, scaricabile dalla pagina internet dedicata al servizio, applicazione che permette anche di essere avvisati quando il servizio Ptime Now coprirà anche altre zone dell’hinterland e altre città. Amazon infatti sta cercando di estendere Prime Now anche ad altre grosse città italiane, anche se si dovrà attendere il 2016. MERCATO I dati del mercato discografico FIMI mostrano una crescita complessiva delle vendite Esplode lo streaming, crolla il download, tiene il CD ll supporto fisico in Italia comanda ancora, ma lo streaming in abbonamento cresce del +99% C di Paolo CENTOFANTI resce il digitale, +27%, ma tiene testa il mercato del supporto fisico, che sale del 23% e continua a valere il 54% dell’intera torta, trainato da un’ottima performance degli artisti italiani, che hanno visto le vendite crescere del 79% rispetto all’anno scorso contro l’1% del catalogo internazionale. Ma la vera notizia che esce dai dati è l’esplosione del fenomeno streaming e in particolare degli abbonamenti a pagamento, che crescono del 99% rispetto allo stesso periodo del 2014 e ora valgono il 46% dell’intero mercato digitale, con ricavi per 19,8 milioni di euro. Nonostante il download cresca anno su anno del 3%, grazie al buon andamento complessivo del mercato discografico, il suo peso continua in realtà a scende- torna al sommario L’industria cinematografica esulta: “Abbiamo ucciso Popcorn Time” re. Sul digitale il calo è dell’8%, con una quota del 35% contro il 65% dello streaming, ma che quest’ultimo tipo di servizi si stia mangiando il download è evidente guardando la percentuale sul totale del mercato: il peso dello streaming anno su anno sale complessivamente del 4%, mentre quello del download scende del 3%. Se si acquista un CD, invece, lo si compra di un artista italiano a quanto pare, una tendenza che secondo Claudio Ferrante di Artist First, in una nota di commento alla ricerca, rispecchia il fatto che “l’acquisto di un CD o di un vinile è ora la dimostrazione del legame tra l’artista e chi ascolta la sua musica e lo segue in tutti suoi progetti”, un legame sicuramente più facile da stringere con i musicisti di casa nostra. Qualche tempo fa abbiamo riportato la notizia della chiusura del fork più noto di Popcorn Time, il “Netflix” pirata che stava facendo tremare l’intera industria cinematografica. Come era possibile intuire i dissapori e la fuga tra gli sviluppatori del software non erano spontanei: è stata una causa intentata da alcuni membri della MPAA in Canada contro il team di PopcornTime.io a scatenare e alimentare gli eventi che hanno poi causato lo scioglimentio del team, la distruzione dei log del server e lo spegnimento dei server stessi. Mentre in Canada l’MPAA tagliava il braccio, in Nuova Zelanda una causa coordinata eliminava il cervello di Popcorn Time, quel sito di torrent, YTS, che funzionava come principale motore di ricerca dell’intero servizio. Quella della pirateria è una guerra molto difficile da vincere, ma questa per l’MPAA era una delle battaglie più importanti: Popcorn Time, con la sua incredibile interfaccia utente, era riuscita a catturare non solo gli utenti esperti ma un pubblico ampissimo, diventando il maggior competitor di Netflix per lo streaming nei paesi anglofoni. Per dovere di cronaca va detto che Popcorn Time non è morto del tutto, ma è stato solo decapitato: l’altro fork molto utilizzato, che non citiamo, è tuttora attivo e permette l’accesso al servizio, seppur con un catalogo ridotto. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE MERCATO Xavier Niel è proprietario del gestore francese Free e neoazionista di Telecom Italia Niel è azionista Telecom, ma imbarazza TIM Nel suo Paese, Niel lotta contro la “falsa” fibra e Telecom Italia non è certo un buon esempio I di Gianfranco GIARDINA n Francia continuano le polemiche riguardo alle offerte di connessione in fibra che poi tutte in fibra non sono affatto. Infatti si è appreso che il gestore Free ha citato in giudizio SFR-Numericable per concorrenza sleale: l’oggetto del contendere è l’utilizzo nella pubblicità del termine “fibra” anche per i collegamenti offerti da SFR che in realtà sono in tecnologia FTTB - Docsis 3.0 (Fiber to the Building). In questa configurazione la fibra arriva fino al locale tecnico dello stabile, dal quale poi si prosegue in rame fino all’abitazione dell’utente. L’FTTB – secondo Free - non ha le medesime prestazioni di una fibra diretta (FTTH, Fiber to the Home), come quella offerta dall’azienda. Peraltro la scorsa estate era entrata nel dibattito anche l’ARCEP (praticamente l’AGCOM francese), che ha dato disposizione che nei casi di fibra “incompleta” la comunicazione pubblicitaria debba riportare la dizione (anche in una nota) che il “collegamento finale è realizzato in rame”. Ma evidentemente –e diciamo anche giustamente – a Free, che è impegnato sul fronte dell’FTTH, non basta ancora. A portare la polemica al di qua delle Alpi ci ha pensato Franco Bassanini, già ministro e attualmente consigliere speciale del Presidente del Consiglio. Bassanini che non ha mai nascosto la sua predilezione per i collegamenti in fibra ottica “veri”, ha fatto notare con un incisivo tweet che Free è controllata da Xavier Niel, lo stesso Niel che nei giorni scorsi ha dato notizia di aver inmano un pacchetto di azioni di oltre l’11% di Telecom Italia. La crociata di Niel contro SFT e il suo FTTB - si chiede retoricamente Bassanini – vale anche per l’Italia? Telecom Italia da tempo ha impostato una comunicazione sulla sua offerta di collegamento veloce a internet (che non porta la fibra fino in casa ma la ferma all’armadio di zona) ben più aggressiva di quella di SFR-Numericable. Infatti l’offerta di Telecom Italia si chiama addirittura “TuttoFibra”. La configurazione con la fibra che si ferma all’armadio di zona costa molto meno al gestore, che non deve cablare l’ultimo faticosissimo tratto; ma - non può che essere chiaro a tutti - un collegamen- to misto di questo tipo fa a cazzotti con la dizione “TuttoFibra”. Quello che invece, ovviamente, non è chiaro a tutti i clienti è il significato delle formule “Fiber To The Cabinet” e “FIber To The Exchange” che Telecom Italia usa nelle sue note (qui sotto riportate): un consumatore medio non può arguire che si tratti di qualcosa di ben diverso da un collegamento tutto in fibra. Tra l’altro, come ha fatto notare Franco Bassanini con un altro tweet, l’offerta FTTC di Telecom Italia è anche qualitativamente peggiore di quella FTTB di SFR che Xavier Niel attacca per pubblicità ingannevole. Telecom Italia non può che uscirne “imbarazzata”: un suo nuovo rilevante azionista . Il punto è che in Italia, al momento, le autorità non sembrano affatto turbate dalle promesse “tutto fibra” di Telecom Italia e neppure si può contare sulle reazioni dei concorrenti: anche Fastweb, dopo anni passati a promuovere la fibra “completa” FTTH, ora ha esteso la sua offerta anche all’FFTS (Fiber To The Street) e quindi non ha certo senso che si comporti come Free in Francia, denunciando Telecom Italia per pubblicità ingannevole. Tanto che, con acrobazie dialettiche non banali, Fastweb stessa riconosce da una parte che meno rame c’è meglio è, ma assimila le due offerte FTTS e FTTH come se fossero più o meno la stessa cosa. Il che non è vero, malgrado il silenzio delle nostre Authority e delle associazioni dei consumatori. torna al sommario Wind regala Sky Online ma non ti paga il traffico A partire dall’abbonamento All Inlusive 2 GB Wind regala 6 mesi di Sky Online calcio Un’offerta puramente commerciale Sky Online non c’è su smartphone Il traffico dati tethering è a parte di Roberto PEZZALI Sky Online affila le unghie e si allea con Wind per incrementare il parco clienti: il servizio di streaming di Sky viene infatti offerto gratuitamente per 6 mesi a tutti coloro che aderiscono a una delle quattro offerte compatibili, dove la più interessante è senza dubbio All Inclusive 2 Giga. Quest’ultima, una ricaricabile, offre 2 GB di internet, 500 minuti e 500 sms a 14 euro con Sky Online incluso, offerta che però non si può definire mensile in quanto si rinnova ogni 4 settimane. Chi la sceglie dovrà decidere anche quale pacchetto di Sky Online portare a casa: Intrattenimento, con le serie TV e lo spettacolo, Cinema, con i film, oppure il Calcio, con 6 mesi di partite di campionato della propria squadra del cuore. Si tratta in ogni caso di una iniziativa di carattere puramente commerciale che non sfrutta in alcun modo le sinergie che potrebbero crearsi tra operatori e fornitori di servizi: Sky Online infatti non è disponibile per smartphone, e vederlo abbinato ad offerte smartphone fa sorridere, e soprattutto il traffico generato non è incluso. Se quindi si utilizza uno smartphone come hotspot per godersi un film ad esempio sul tablet, il traffico sarà tariffato extra. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE MERCATO Scopo delle nuove divise migliorare la comunicazione tra personale di bordo, viaggiatori e tecnici e ingegneri easyJet festeggia 20 anni con nuove divise smart La compagnia a basso costo britannica ha festeggiato i suoi primi 20 anni con un evento nel quartier generale di Luton Per l’occasione mostrate le nuove divise smart per equipaggio e tecnici che verranno sperimentate a partire dal 2016 di Paolo CENTOFANTI l 10 novembre del 1995 spiccava letteralmente il volo easyJet, compagnia aerea a basso costo fondata dall’imprenditore cipriota Stelios Haji-Ioannou. Il ventennale è stato festeggiato nel quartiere generale di easyJet a Luton, nell’Hangar 89 dell’aeroporto londinese, che ospita le principali attività della compagnia aerea. Oggi, easyJet è una delle più grandi compagnie aeree europee, trasporta 68 milioni di passeggeri all’anno e collega 137 aeroporti in 31 Paesi e continua a rimanere fedele alla “mission” con cui ha iniziato: voli low cost che collegano le principali città europee, comunque utilizzando gli scali principali e con grande attenzione al mantenimento di un buon rapporto qualità/prezzo nell’esperienza di viaggio complessiva; non è un caso che, in media, oltre il 70% dei passeggeri che volano per la prima volta con easyJet scelgono di nuovo la compagnia anche per ulteriori viaggi, un tasso superiore a quello di tutti gli altri competitor low cost. La cerimonia di festeggiamento ha visto alternarsi sul palco il fondatore Stelios Haji-Ioannou, che detiene ancora il 30% delle azioni della compagnia, la CEO Carolyn McCall e alcuni dei protagonisti del primo storico volo Luton/Glasgow, come il comandante di allora Fred Rivett e la prima assistente di terra Lisa Burger, che effettuò il check-in del primo passeggero in assoluto. C’è stato il racconto della crescita della compagnia tramite le più celebri campagne promozionali e la sfilata con l’evoluzione del look del personale di bordo e infine la presentazione della nuova livrea degli aerei, realizzata con un fotomosaico delle foto dei passeggeri, raccolte con un’iniziativa social. L’evento è stato anche l’occa- I torna al sommario sione per mostrare, proprio a bordo di uno dei nuovi Airbus della compagnia, alcune delle innovazioni tecnologiche che arriveranno a breve e che aiuteranno a mantenere efficienti le operazioni di easyJet. Easyjet ha mostrato per la prima volta delle nuove divise “smart” che verranno sperimentate dal prossimo anno e realizzate in collaborazione con CuteCircuit. Il concept alla base è quello di migliorare la comunicazione tra il personale di bordo, i viaggiatori e tecnici e ingegneri, sfruttando sistemi di segnalazione visiva “indossabili”, ma anche integrando microfoni, videocamere e in alcuni casi persino sensori, direttamente nelle divise. Ecco allora vestiti ricoperti di LED programmabili direttamente dallo smartphone che possono fornire ai viaggiatori informazioni come i dati del volo, la destinazione, ma anche segnalazioni in caso di emergenza, con strisce luminose e animate sulle maniche e sulle gambe. Display LED sui baveri delle giacche possono essere utilizzati per ulteriori segnalazioni sia per i passeggeri che per lo stesso personale. Allo stesso modo, per i tecnici di pista, LED sulle maniche della divisa possono venire utilizzati al posto dei normali strumenti di segnalazione, mentre LED nel cappuccio forniscono l’illuminazione necessaria per lavorare, mantenendo le mani dell’operatore sempre libere. Le tute per i tecnici includono an- che barometro e sensori della qualità dell’aria, utili per monitorare le condizioni di lavoro dei velivoli. Le divise smart non sono l’unica innovazione tecnologica di easyJet. Già da quest’anno, la compagnia ha cominciato a utilizzare droni e realtà virtuale per la manutenzione e l’ispezione automatica della sua flotta di aeromobili. Con i droni, in particolare, i tecnici possono ispezionare in modo più rapido e sicuro la carlinga e le alette dei motori, riducendo i tempi di manutenzione e quindi il rientro in operatività dei velivoli, che per una compagnia che fa dell’efficienza delle proprie attività un modello di business è chiaramente un aspetto cruciale. Per quanto riguarda le attività nel nostro Paese, Frances Ouseley, Country Director di easyJet in Italia, ci ha confermato il ruolo di primaria importanza che riveste per la compagnia il Terminal 2 di Malpensa, secondo solo allo scalo di Gatwick in Inghilterra. L’aeroporto di Londra sarà la prima base di easyJet a venire completamente ristrutturata secondo nuove linee guida, per rendere l’esperienza dei viaggiatori più semplice e snella. Una volta completati i lavori a Gatwick, lo stesso modello verrà utilizzato per la ristrutturazione di Malpensa. Dopo l’annuncio del ritiro da Roma Fiumicino come base operativa, easyJet sposterà a inizio dell’anno prossimo le sue attività a Venezia, dove arriveranno 4 nuovi aeromobili per fornire collegamenti con le principali città europee già dalle prime ore del giorno. La terza base italiana rimarrà invece Napoli. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE ENTERTAINMENT Il CEO di Netflix rivela investimenti ingenti su contenuti e produzioni originali Netflix spenderà 5 miliardi per i contenuti L’intenzione è diversificare l’offerta, si pensa anche ad anime e serie in stile Bollywood C di Paolo CENTOFANTI on i principali network statunitensi che cominciano a riflettere se forse non hanno dato troppo potere a servizi come Netflix e Amazon Prime Video, e pensano di ridurre le finestre dei propri contenuti per lo streaming di terze parti, la soluzione di Reed Hastings, CEO di Netflix, resta quella di spingere sempre più sui contenuti originali. Il che significa anche confrontarsi con un pubblico sempre più diversificato, mano a mano che il servizio continua la sua espansione in tutto il mondo. Parlando alla conferenza DealBook a New York, Hastings ha dato alcuni indizi sulla strategia per i prossimi anni di Netflix, che sarà quella di continuare a offrire contenuti originali di qualità ma anche fuori dal coro, con produzioni per certi versi sperimentali per i canoni di Hollywood, come la serie Narcos. Nel futuro ci sarà spazio anche per Il progetto di sbarcare su satellite potrebbe subire rallentamenti, con i decoder Samsung, già pronti, messi in stand-by Pier Silvio non avrebbe ancora dato il via libera alla fase operativa di Roberto PEZZALI contenuti dalla forte connotazione “regionale”, come anime giapponese e film e serie in stile Bollywood. Giusto per avere un’idea degli investimenti in gioco, Reed Hastings ha confermato che nel 2016 Netflix spenderà qualcosa come 5 miliardi di dollari in conte- nuti per i suoi abbonati. Nell’intervista (disponibile integralmente in questo video), il CEO di Netflix parla anche del futuro dello streaming, della concorrenza con gli altri servizi e del problema del libero accesso a Internet per i servizi over the top. ENTERTAINMENT Sky Italia, con un questionario, valuta l’interesse verso l’iniziativa Box Sets Sky pensa ai “Box Sets” anche per l’Italia Già attivi in Inghilterra, i Box Sets offrono serie TV complete per l’acquisto OnDemand S di Roberto PEZZALI ky si sta muovendo per aggiungere nuovi mattoni alla sua già completissima offerta: negli ultimi tempi ad alcuni utenti, i più “fidelizzati”, è stato chiesto di completare un sondaggio per chiedere una opinione riguardo ad un nuovo tipo di offerta, ovvero alla possibilità di avere disponibile, solo onDemand e a pagamento, un box di serie TV complete, con tutti gli episodi e tutte le stagioni. Una soluzione simile come proposta ai Box Sets di Sky UK, pacchetti di serie TV disponibili onDemand per gli abbonati a Sky con un determinato pacchetto HD. Sky metterebbe quindi sul piatto le sue migliori serie, dal catalogo HBO a Games of Thrones, per confezionare un servizio aggiuntivo in streaming che andrebbe a colmare i buchi creati dalle licenze cinematografiche, che impongono oggi a Sky di te- torna al sommario Premium su satellite Mediaset non è convinta e prende tempo nere visibili “OnDemand” solo l’ultima stagione o solo determinati episodi. Si tratta chiaramente di un sondaggio: “Box Sets”, se manterrà il nome, potrebbe essere un servizio che verrà lanciato a gennaio, ma Sky potrebbe anche decidere di non lanciare mai il servizio in Italia. In Inghilterra i Box Sets hanno avuto un discreto successo, e tutte le tecnologie e le idee della filiale inglese, soprattutto ora che Sky è diventata un’unica realtà europea, diventano possibili “features” anche di Sky Italia, come è stato per Sky Online e per lo Sky Online TV Box Roku. Mediaset ha intenzione di sbarcare su satellite, ma probabilmente il lancio previsto a gennaio verrà ritardato. Le indiscrezioni rafforzano un’ipotesi che qualche addetto ai lavori ci aveva suggerito: Mediaset, dopo aver firmato un preaccordo con Eutelsat per bloccare lo spazio sull’infrastruttura, aveva tempo fino al 31 ottobre per dare il via alla parte esecutiva del progetto ma il termine è scaduto senza che l’azienda abbia preso una decisione. L’obiettivo “satellite” esiste ed è concreto, come ha dichiarato Pier Silvio Berlusconi, ma i decoder realizzati da Samsung e costati oltre 5 milioni di euro al momento restano chiusi in magazzino. Sembra infatti che manchi il via libera proprio di Berlusconi, che vorrebbe valutare meglio i costi e i benefici di una operazione che, a stagione in corso, potrebbe non essere così vantaggiosa. Il satellite, infatti, dovrebbe portare quest’anno circa 100.000 abbonati in più, non molti per un investimento che si preannuncia comunque importante. Forse è meglio attendere la fine di questa stagione, proponendo l’offerta crossplatform dal prossimo settembre: un prodotto fatto in corsa, veloce e non troppo curato, potrebbe rivelarsi un vero boomerang. Television Philips Android TV™ Gli unici al mondo con Ambilight Android, Google Play e gli altri loghi sono marchi di fabbrica di Google Inc. Il robot Android è riprodotto o modificato dal lavoro creato e condiviso da Google ed è usato in base ai termini descritti in Creative Commons 3.0 Attribution License. Scopri tutti i vantaggi di Philips Android Tv™ Ultra Hd, gli unici Tv al mondo che abbinano alla magia di Ambilight il potere ed i molteplici contenuti di Google Play™. Immagini 4 volte più definite ed interazione smart al massimo: la televisione va al di là dell’ordinario. Experience at www.philips.it/tv - /PhilipsTVItalia n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TV E VIDEO Arriverà a breve nei negozi il nuovo TV top di gamma di Panasonic, il TX-65CZ950 L’OLED 4K Panasonic costerà 9.999 euro È certificato THX ed è progettato per essere il nuovo riferimento, ma il prezzo è elevato I di Paolo CENTOFANTI l primo TV OLED di Panasonic è in dirittura di arrivo nei negozi italiani e finalmente abbiamo un prezzo di listino ufficiale per quello che aspira a essere il nuovo riferimento della qualità di immagine. Il TX-65CZ950 sarà disponibile alla ragguardevole cifra di 9.999 euro, posizionandosi così ben al di sopra dell’offerta dell’unica altra azienda che al momento spinge su questa tecnologia, LG. Come abbiamo visto durante il nostro reportage dal salone di Berlino, Panasonic ha lavorato molto per ottenere la certificazione THX e per calibrare l’esclusivo televisore con i laboratori di Hollywood e la collaborazione di colourists impegnati nella produzione cinematografica. Nel futuro di Netflix c’è solo 4K La risoluzione Ultra HD / 4K é già disponibile in diversi contenuti del popolare servizio di streaming, da poco partito anche nel nostro paese. Tuttavia i possessori di TV Ultra HD non possono godere della maggiore risoluzione su tutte le produzioni, ma in futuro la situazione cambierà. Netflix ha fatto sapere, per bocca del responsabile per la produzione dei cosiddetti originals, Steven Kang, che tutto ciò che uscirà direttamente dalle loro mani sarà girato e distribuito in 4K. Quindi futuri successi come Daredevil o Orange Is The New Black saranno all’origine a risoluzione superiore, per essere a prova di futuro. Discorso diverso invece per HDR e WCG (Wide Color Gamut), che non saranno automaticamente adottati dai diversi studi di produzione. I team creativi saranno liberi di decidere, anche se Netflix ne “suggerirà” caldamente l’adozione. torna al sommario Nel 2017 torna in TV Star Trek La nuova serie di Star Trek debutterà sulla CBS Le riprese saranno curate da Kurtzman produttore degli ultimi due episodi cinematografici diretti da J.J. Abrams di Paolo CENTOFANTI Che il prezzo potesse essere piuttosto elevato lo si era capito anche dal design del TV, che include persino finiture in alcantara sul retro. Un prodotto “premium” dunque, che speriamo faccia presto da apripista a una più ampia gamma di modelli accessibili anche per una più fascia di consumatori più larga. Intanto non perdetevi il nostro approfondimento tecnico sulle caratteristiche del primo OLED 4K di Panasonic, che potete trovare qui. ENTERTAINMENT Tra i titoli previsti alcuni recenti blockbuster I primi film Ultra HD Blu-ray arriveranno all’inizio del 2016 C di Emanuele VILLA hi in America (e non solo) possiede un TV 4K sta aspettando con ansia i primi titoli Blu-ray codificati in Ultra HD, titoli che secondo la Blu-ray Disc Association sarebbero dovuti arrivare entro l’anno. Purtroppo gli appassionati dovranno attendere ancora un po’ considerando che i primi titoli di Sony Pictures, azienda che per prima ha sostenuto lo standard, saranno in vendita da inizio 2016. La buona notizia è la conferma di molti titoli ipotizzati nei mesi scorsi, blockbuster recenti come Fury, The Amazing Spider Man, Captain Philips e Hancock, ma a questi si aggiungeranno anche titoli di catalogo rimasterizzati per l’occasione: tra i titoli Sony in Ultra HD Blu-ray usciranno anche Ghostbusters e Il quinto elemento, titoli datati che verranno proposti in 4K e anche in HDR. Da notare, infatti, che i titoli Sony supporteranno anche l’altra feature molto interessante dello standard, ovvero il video ad alta gamma dinamica. Appuntamento a inizio 2016. Torna Star Trek in TV, con una nuova serie che vedrà la luce nel gennaio del 2017 sulla rete americana CBS, a poco più di 50 anni dalla messa in onda dal primo storico telefilm della NBC. A prendere le redini del progetto, sarà Alex Kurtzman, già co-sceneggiatore e coproduttore dei due Star Trek cinematografici diretti da J.J Abrams, che ha lasciato il team in vista del terzo film, Star Trek: Beyond, attualmente in lavorazione. La nuova serie non seguirà le vicende degli ultimi film, ma introdurrà invece personaggi del tutto inediti. La produzione è ancora agli inizi, ma CBS ha già rivelato i piani per la distribuzione della nuova serie TV. Negli Stati Uniti sarà trasmessa in esclusiva da CBS e sul nuovo servizio di streaming CBS All Access che ha un costo di 5,99 dollari al mese. A livello internazionale, invece, il nuovo Star Trek andrà in onda in concomitanza con gli USA su diverse televisioni e “molteplici piattaforme” in tutto il mondo. Chissà chi è che si aggiudicherà l’esclusiva per l’Italia. L’originale Star Trek di Gene Roddenberry durò nella sua forma a episodi per tre stagioni prima della cancellazione, per poi sbarcare al cinema con diversi film e infine tornare in televisione con la serie The Next Generation (durata ben 7 stagioni) e gli spin-off Voyager ed Enterprise. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TV E VIDEO Il TV Ultra HD Hisense 65XT910 è in vendita nei negozi al prezzo di listino di 2999 euro Disponibile in Italia l’ULED 2.0 di Hisense Tra i punti di forza il pannello full LED local dimming, quantum dots e il supporto a HEVC di Paolo CENTOFANTI H isense inaugura l’era dell’ULED con il lancio in Italia del suo nuovo TV top di gamma 65XT910, già mostrato in anteprima all’IFA di Berlino, e modello con cui il produttore cinese vuole dimostrare di saper competere con i marchi più conosciuti anche sulla fascia alta di mercato. A livello di contenuti tecnologici, il nuovo 65XT910, infatti, è sicuramente un prodotto molto interessante. Innanzitutto la sigla ULED, che non si riferisce a una nuova tecnologia, ma a un LCD a LED spinto al massimo delle sue possibilità. Ecco allora la scelta di adottare una retroilluminazione full LED (LED disposti a matrice su tutta la superficie dello schermo e non solo nella cornice) con local dimming a 240 zone e backlight scanning a 12 step per migliorare la risoluzione in movimento. Il pannello è chiaramente Ultra HD e impiega la tec- nologia Quantum Dots per offrire colori più saturi e uno spazio colore allargato rispetto all’alta definizione. C’è il supporto per i futuri contenuti HDR e un processore quad core per gestire la piattaforma smart TV di Hisense che dà accesso ai contenuti di Netflix, YouTube, Chili, Deezer e tanto altro ancora. Il TV è dotato di sintonizzatore DVB-T2 e DVB-S2 e integra il decoder HEVC per la ricezione delle trasmissioni 4K effettuate con questo standard di codifica video. Come altri produttori, anche Hisense per la fascia alta ha optato per un design curvo, con la linea dello schermo che segue un raggio di 4 metri. In dotazione gli utenti troveranno un doppio telecomando, uno tradizionale con i tasti dedicati Netflix e YouTube e uno ottimizzato per l’utilizzo delle app della piattaforma Smart TV. Il TV è disponibile nei negozi ad un prezzo di listino di 2999 euro, anche se si parla già di un prezzo “su strada” intorno ai 2500 euro. TV E VIDEO Samsung lancia una serie di promozioni riservate a chi acquista un nuovo TV Pioggia di regali per chi compra un TV Samsung Fino a 400 euro di rimborso rottamazione e un pacchetto di contenuti che include Netflix P di Roberto PEZZALI ioggia di regali per chi acquista un nuovo TV Samsung: all’incentivo rottamazione si aggiunge anche un “Dream Pack” con oltre 500 euro di contenuti, da Netflix ai giochi in streaming di GameFly. “Cambia il tuo TV” è il classico cash back: acquistando un TV Samsung SUHD, Curvo UHD, o UHD delle serie coinvolte si potrà ricevere un rimborso in denaro fino a 400 euro rottamando il vecchio TV, che verrà ritirato direttamente a casa del consumatore. 400 euro sono relativi ovviamente ai modelli più cari, quella della gamma SUHD: per i modelli Ultra HD curvi si riceveranno 200 euro, per quelli piatti 100 euro. Samsung però non si ferma qui: Dream Pack è un pacchetto contenuti che sarà disponibile per chi registra l’acquisto nel periodo dal 19 ottobre e fino al 10 gennaio 2016. Il pezzo forte di Dream Pack è l’abbonamento a Netflix: acquistando un TV della serie J6300 qualsiasi polliciaggio si riceverà un abbonamento a Netflix HD della durata di 6 mesi, mentre chi acquisterà un TV delle serie JU6500, JU6510, JU7500, torna al sommario JU6400, JU6410, JU6800 e JU7000 di qualsiasi polliciaggio avrà 6 mesi di abbonamento Netflix UHD. Trattati di lusso gli acquirenti di un Samsung SUHD: 12 mesi di abbonamento ultra HD, circa 150 euro di valore. Offerta simile per il gaming, con il servizio di game streaming GameFly: chi acquista un TV delle serie J6300, JU6500, JU6510, JU7500, JU6400, JU6410, JU6800 e JU7000 di qualsiasi polliciaggio otterrà un abbonamento Gamefly all-around della durata di 3 mesi e riceverà gratis un gamepad logitech F710. Il vantaggio raddoppia sugli SUHD: 2 gamepad e 6 mesi di abbonamento. Continua la partnership anche con ChiliTV: oltre ai 5 film in UHD a disposizione in esclusiva, agli acquirenti di un TV Samsung offre un buono da 100€ per i contenuti sul portale Chili, dove è possibile trovare anche film con tecnologia Samsung Intelligent UHD. Questo formato è una novità introdotta sui TV di quest’anno: Chili insieme al film invia un file contenente una serie di metadati che agiscono sul TV stesso, regolando la nitidezza in tempo reale a seconda della scena. Secondo Samsung e Chili, un film con questa tipologia di streaming, nonostante la risoluzione Full HD, su un TV Ultra HD rende leggermente meglio. Premium Play disponibile sui TV LG LG e Mediaset annunciano una partnership volta a portare Premium Play su molti TV del produttore coreano. Tra i modelli abilitati quelli del 2015 ma anche alcuni del 2014 e del 2013 di Paolo CENTOFANTI I contenuti smart presenti nei TV LG delle ultime generazioni si arricchiscono di un nuovo innesto: Premium Play. In questo modo, i clienti Mediaset Premium possono usufruire del servizio over-the-top presente in tutti gli abbonamenti (e offerte prepagate) senza dover ricorrere a dispositivi esterni. Tantissimi i TV che beneficiano di questa partnership tra LG e Mediaset: tutta la serie OLED già su mercato, ma anche i LED Ultra HD del 2015 (UF695V, UF776V, UF7767, UF778V, UF7787, UF850V, UF8507, UG870V, UG880V) e quelli Full HD (LF5800, LF580V, LF590V, LF630V, LF652V). LG non dimentica ovviamente i modelli degli scorsi anni e offre una compatibilità estesa con i dispositivi del 2014 e del 2013. Tra i primi gli OLED EC970V, EC930V, EA970V, i LED Ultra HD UB800V, UB820V, UB830V, UB850V, UB950V, UB980V, UC970V e i LED FHD e HD Ready LB490U, LB5700, LB570B, LB570V, LB580V, LB630V, LB650V, LB652V, LB670V, LB671V, LB679V, LB700V, LB730V, LB731V, LB870V, ma senza dimenticare i due plasma PB660V, PB690V. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE MOBILE Zuk, brand Lenovo destinato ai giovani, lancia Z1: sembra un Galaxy S6 ma costa la metà Zuk Z1 arriva in Italia, costa solo 285 euro È dotato di una batteria enorme da 4100 mAh, ha USB Type C e 64 GB di memoria storage Z di Roberto PEZZALI uk arriva anche in Europa: il brand di Lenovo rivolto ai giovani ha infatti deciso di lanciare la versione internazionale del suo smartphone Z1 anche in Germania, Francia, Spagna, Italia e Regno Unito ad un prezzo decisamente competitivo, 285 euro. Zuk per molti è un nome che non vuol dire nulla, in realtà Zuk è per Lenovo quello che Honor è Huawei, un marchio creato appositamente per realizzare prodotti destinati ad un target specifico, in questo caso caso i più giovani. Zuk Z1 non sembra affatto un brutto telefono, anzi, sembra quasi un piccolo clone del Samsung Galaxy S6 Flat, con qualche elemento praticamente identico, soprattutto nella zona bassa. Zuk Z1 ha comunque dei tratti distintivi: è equipaggiato con Cyanogen OS 12.1, ha una batteria da 4100 mAh e soprattutto viene venduto con 64 GB di memoria storage all’interno, un quantitativo considerevole che non può essere ulteriormente aumentato per l’assenza dello slot di espan- Aquistando Nexus 5X sullo store di Google si avrà in omaggio la chiavetta Chromecast In parte ripaga il prezzo più alto del prodotto sul mercato europeo sione microSD. Tra gli altri dettagli uno schermo da 5.5” Full HD, un processore non troppo recente ma sempre valido, lo Snapdragon 801, 3GB di RAM e una coppia di fotocamere da 13 Megapixel e 8 Megapixel. Qualche altro dettaglio che potrebbe però frenare l’acquisto lo si evince dal sito ufficiale, un sito che sembra clonato da apple.com (http:// www.zuk.hk/product/c/z1/overview): non ha NFC e soprattutto gestisce poche bande LTE (niente 800 Mhz), cosa che potrebbe creare qualche problema con di Emanuele VILLA alcuni operatori italiani come Wind. La nostra versione, a breve in vendita su molti siti tra cui Amazon, non dovrebbe essere dual sim. MOBILE LG Zero Ha un bel look e costa poco LG ha presentato zero, uno smartphone di fascia media, che riprende alcune soluzioni tecniche e di design dal top di gamma G4, tra cui la scocca metallica, che di solito i produttori riservano a modelli da 500, 600 o più euro. LG Zero, invece, costa 299 euro di listino ed è disponibile nelle versioni silver e gold. A livello di caratteristiche tecniche troviamo un qualcomm snapdragon 410 da 1.2 GHz, display da 5’’ HD IPS, 1,5 GB di RAM LPDDR3 e 16 GB di storage. La fotocamera principale è da 13 Mpixel, quella per i selfie da 8 Mpixel F2.0, la batteria integrata è da 2050 mAh, non manca il supporto per le reti LTE fino a 150 Mbps in download. torna al sommario Nexus 5X disponibile in Italia con Chromecast in regalo MOBILE Con Cardboard e uno smartphone vedi i video a 360° Youtube supporta la realtà virtuale di Roberto PEZZALI oogle annuncia l’arrivo della realtà virtuale nell’app Youtube di Android. Non serve un visore come l’OculusVR, basta uno smartphone Android e Google Cardboard, il visore low cost di Google composto da un pezzo di cartone e un paio di lenti, per provare il magico mondo della realtà virtuale. La resa finale ovviamente è legata alla qualità del display dello smartphone stesso: maggiore è la risoluzione, migliora è la qualità, ma basta un buon Full HD per capire cosa vuol dire VR. Provare è semplice: basta caricare uno dei video compatibili, selezionare l’icona cardboard e godersi lo spettacolo. Youtube ha inserito nell’app anche una seconda modalità di visione: è possibile guardare qualsiasi video di Youtube utilizzando Google Cardboard e sperimentare così una sorta di cinema virtuale. Non c’è effetto VR, ma lo spettacolo è assicurato. Tra i video imperdibili preparati per l’occasione segnaliamo quelli di Hunger Games, Resonance, TOMS Virtual Giving Trip G Il Nexus 5X di Google è disponibile in Italia: in attesa della distribuzione nei punti vendita, è possibile comprare lo smartphone sul sito di Google beneficiando di una piccola offerta: fino all’8 dicembre chi acquista un Nexus 5X o un Nexus 6P e inserirà nel carrello anche una chiavetta Chromecast riceverà quest’ultima in omaggio. Un regalo da 39 euro, che in parte mitiga il costo un po’ più alto dello smartphone di Google in Europa: il Nexus 5X nella sua versione da 16 GB costa infatti 479 euro e 529 euro nella versione da 32 GB, tanti soprattutto se lo confrontiamo con lo smartphone da cui ha tratto ispirazione, l’LG G4. Quest’ultimo ormai si acquista a circa 400 euro, ha lo stesso processore del Nexus 5X ma può contare su 32 GB di memoria, 3 GB di RAM, ha slot microSD, schermo QuadHD e una fotocamera da 16 Mpx con autofocus laser, D’altra parte Nexus 5X può far valere la frequenza degli aggiornamenti software (e di sicurezza). Nelle prossime settimane dovrebbe essere disponibile anche l’altro smartphone Google, il Nexus 6P prodotto da Huawei: anche per lui l’offerta Chromecast mitiga un prezzo comunque elevato, ma in questo caso siamo di fronte ad un vero top di gamma. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE GADGET Tag Heuer ha presentato il primo smartwatch di lusso, Carrera Connected. Prezzo 1500 $ Tag Heuer presenta Carrera Connected Android Wear incontra lusso e tradizione Se non piace o diventa vecchio, dopo 24 mesi Tag Heuer lo cambia con un orologio classico di Massimiliano ZOCCHI T ag Heuer ha presentato ufficialmente il suo primo smartwatch, Carrera Connected. Come noto, l’orologio è frutto della collaborazione tra il brand svizzero e Intel con il supporto di Google. Per ora è stato comunicato solo il prezzo per gli Stati Uniti (gli store inizieranno le vendite subito dopo l’evento) ed è leggermente più basso di quanto vociferato: 1.500 dollari. Nel vecchio continente il prezzo molto probabilmente sarà di 1.350 euro.Ciò che lo differenzia dai molti device Android Wear visti finora è sicuramente la dotazione tecnica di livello superiore. Il cuore di tutto è un processore Intel dual core da 1.6 GHz con 1 GB di RAM, e la batteria da 410 mAh che Tag Heuer promette essere sufficiente per un giorno intero di uso costante. Ma un brand di questo calibro doveva ovviamente distinguersi anche per la qualità costruttiva, e l’ha fatto. La cassa è in titanio, e il quadrante è protetto da un vetro zaffiro. Inoltre l’orologio gode della certificazione IP67, regalando la tranquillità che tutti i migliori timepiece offrono da tradizione. Il diametro è di 46 mm. Tag Heuer non voleva però limitarsi ad esse- re uno dei tanti marchi a salire sul carro degli smartwatch, e molte volte durante la presentazione è stato sottolineato quanto la storia dell’azienda abbia a che fare con la tradizione e il passato. Carrera Connected va quindi considerato come un ponte che unisce due mondi diversi ma non necessariamente lontani. E proprio in quest’ottica si inserisce un’idea che va a differenziare la proposta di Tag Heuer da tutta la concorrenza. Quando Carrera Connected diventerà obsoleto, dopo 24 mesi, i clienti potranno recarsi in uno store Tag Heuer e scambiare il proprio smartwatch con un orologio meccanico classico, per preservare “l’eternità” del prodotto, fiore all’occhiel- TAG Heuer Connected lo del marchio. Lo spessore è di 12.8 mm con un peso di 52 grammi, il display è un LCD da 1.5 pollici con 240 ppi di densità; oltre alla RAM da 1 GB troviamo anche 4 GB di storage, connettività Bluetooth BLE e Wi-Fi. La compatibilità è riservata a terminali Android 4.3 o superiori e da iOS 8.2 in avanti. Chronos può rendere smart anche il tuo orologio Permette la ricezione di notifiche e offre le funzionalità di un fitness tracker. Tutto a 99 dollari I l mercato degli smartwatch è in crescita, ma la maggior parte delle persone non se la sente di sostituire il suo orologio tradizionale con un dispositivo di chiara matrice hi-tech. Qualsiasi sia il motivo, il mercato degli smartwatch ne risente. La soluzione potrebbe essere quella di avere un qualche dispositivo che permetta di tenere al polso il proprio l’orologio e, al tempo stesso, gli dia una serie di funzionalità dell’era smart. Pur non essendo il primo dispositivo di questo tipo, Chronos ha una particolarità: è un dischetto metallico sottile che all’apparenza sembra proprio una torna al sommario Xiaomi ha annunciato il lancio di Mi Band 1S l’evoluzione del fitness tracker del marchio cinese. Ha un rapporto qualità/prezzo molto aggressivo: 15 dollari compreso sensore cardiaco di Emanuele VILLA GADGET Un disco metallico da 3 mm di spessore trasforma ogni orologio in uno smartwatch di Emanuele VILLA Xiaomi rinnova il fitness band da 15 dollari batteria per orologi ma che - una volta attaccato sul retro della cassa - rende l’orologio uno smartwatch. Con tutte le limitazioni del caso, ovvio: un dispositivo del genere non ha display, quindi la sua funzione primaria è quella di vibrare e di emettere una luce colorata per avvisare l’utente di notifiche arrivate sullo smartphone (Android o iOS, con connessione Bluetooth), mentre quest’ultimo può impostare (via app) quali notifiche attivino Chronos e quali no. È possibile associare l’intensità di vibrazione e un colore specifico ad ogni app che genera notifiche, di modo tale da capire a colpo d’occhio che tipo di avviso ci possiamo aspettare sullo smartphone. Chronos è spesso 3mm e ha anche funzionalità di fitness tracker, ovviamente controllate con l’app relativa. Il costo del preorder è di 99 dollari, con disponibilità dalla prossima primavera. Xiaomi, uno dei brand più interessanti ed emergenti nel panorama mobile, ha annunciato il lancio di un nuovo fitness tracker pensato per ottimizzare il rapporto qualità/prezzo. Sì, perchè Mi Band 1S non ha funzionalità esclusive o particolari, ma offre tutto quello cui si chiede a un braccialetto smart per un prezzo di listino bassissimo, addirittura 15 dollari per il mercato americano. Ovviamente non c’è il display, il che obbliga l’utente ad affidarsi allo smartphone per il controllo delle attività, ma è comunque un prodotto curato esteticamente, con certificazione IP67 e incorpora anche un sensore ottico per il rilevamento del battito cardiaco, cosa molto particolare per questa fascia di prezzo. Sono peraltro disponibili tutte le “solite” funzionalità di un fitness tracker, che si appoggiano (in larga parte) sul software per iOS e Android: conta dei passi, calorie, qualità del sonno e anche notifiche tramite vibrazione. Mi Band 1S misura 37 mm x 13,6 mm x 9,9 mm e sarà disponibile sul mercato americano a partire dall’11 novembre: vi aggiorneremo quanto prima per il mercato europeo. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE HI-FI E HOME CINEMA Rilasciato l’aggiornamento che include la calibrazione acustica automatica Sonos Trueplay, setup calibrato su misura Con il nuovo software e l’app è possibile usare lo smartphone per ottimizzare le prestazioni D di Paolo CENTOFANTI opo qualche mese di beta, Sonos ha finalmente rilasciato l’aggiornamento software della sua piattaforma che introduce un’importante e gradita novità: Trueplay. Aggiornando i propri componenti alla versione 6.0 e installando l’ultimo update dell’app su iOS, infatti, i modelli Sonos PLAY:1, PLAY:3 e PLAY:5 possono venire calibrati per ottimizzare le loro prestazioni in funzione delle caratteristiche della stanza e della posizione in cui sono installati. Gli appassionati di Hi-Fi e home theater lo sanno bene: l’ambiente di ascolto è uno degli anelli più importanti della catena audio. Non è un caso che da diversi anni ormai, gli amplificatori multicanale sono dotati di un sistema di autocalibrazione che consente di analizzare le caratteristiche acustiche della stanza e quindi di equalizzare il suono in modo tale da compensare rimbombi, buchi ed enfatizzazioni nella risposta in frequenza complessiva. Con Trueplay, Sonos implementa un sistema del tutto simile ma con un’interessante differenza. Non c’è un microfono da collegare ai diffusori e sistemare nel punto di ascolto: l’analisi viene effettuata tramite lo smartphone e l’app Sonos stessa. Ciò dà la libertà di spostare il microfono per tutta la stanza durante la fase di analisi, costruendo un modello acustico molto più completo. Tutto il processo è guidato dall’app, con un filmato introduttivo che spiega in modo semplice come muovere lo smartphone nella stanza, e durante l’analisi saremo avvertiti quando ci muoviamo troppo Big Ben Interactive porta in Italia i diffusori da pavimento ispirati a Londra e a New York Per chi avrà il coraggio di portarli a casa il rapporto qualità/prezzo non è poi così male lentamente o viceversa troppo velocemente. Attualmente Trueplay funziona però unicamente con un dispositivo iOS: iPhone, iPad o iPod Touch. Il motivo per il mancato supporto su Android è per il momento da ricercare nella grande varietà di diversi microfoni montanti sui vari dispositivi, che rende difficile assicurare il corretto funzionamento di calibrazione. HI-FI E HOME CINEMA Senneheiser presenta la nuova versione della sua cuffia elettrostatica Sennheiser Orpheus, cuffia da 50.000 euro È la cuffia più costosa al mondo, il prezzo comprende il preamplificatore a valvole dedicato di Roberto FAGGIANO S ennheiser ha da poco compiuto 70 anni e già all’Ifa di Berlino aveva fatto intravedere una super cuffia commemorativa della ricorrenza. Ma nulla faceva presagire l’arrivo della nuova cuffia Orpheus: un modello elettrostatico che ha lo strabiliante prezzo di 50.000 euro e che arriva in abbinamento a un preamplificatore dedicato che funziona a valvole e comprende una sezione allo stato dell’arte di convertitore digitale/analogico, già pronto per i segnali fino al DSD da 5,6 MHz. In Germania la stavano sviluppando da molti anni e ora è diventa realtà, realizzata interamente a mano sfruttando componentistica altamente selezionata, se non creata appositamente per questo modello. Si parla di valvole realizzate su specifiche, componenti elettronici in oro e platino, marmo di Carrara per il mobile, manopole forgiate dal pieno e finiture impeccabili di ogni altro dettaglio. Dal punto di vista tecnico viene utilizzato torna al sommario un convertitore digitale/analogico ESS Sabre ES9018 mentre gli amplificatori sono montati direttamente sulla cuffia per minimizzare l’influenza del cavo di collegamento. La risposta in frequenza della membrana elettrostatica è dichiarata da 8 a 100.00 Hz. Sulla cuffia troviamo dettagli in pelle e microfibra mentre per gli ingressi del preamplificatore si può scegliere tra sorgenti analogiche rca e XLR oppure digitali ottiche e coassiali oppure segnali da PC con presa USB: ci sono anche delle uscite di linea, anche bilanciate, per collegare un eventuale finale di potenza stereo per dei diffusori tradizionali. La prima Orpheus risale al 1991, costava l’equivalente degli odierni 15.000 euro e ne vennero prodotti in tutto circa 300 esemplari, ora ricercatissimi dai colle- Ecco i diffusori Bluetooth più kitsch del mondo zionisti. Il nuovo modello sarà invece disponibile dalla primavera del prossimo anno e ne verranno realizzati circa 250 esemplari l’anno. Cominciate a mettere le monetine nel salvadanaio. di Roberto FAGGIANO Li avevamo visti all’ultima IFA ma speravamo rimanessero all’estero, invece eccoli qui i diffusori Bluetooth a torre della Big Ben Interactive. Non passano inosservati perchè riproducono nientemeno che la classica cabina telefonica di Londra, la bandiera britannica e due variazioni sul tema di New York. Si chiamano molto pomposamente torri multimediali TW7 e costano 150 euro, un prezzo più che abbordabile dato che integrano un sistema di altoparlanti a due vie con quattro midwoofer e un tweeter, amplificazione da 40 watt, connessione Bluetooth, radio FM, ingresso ausiliario minijack, ingresso USB per chiavette di memoria, presa usb per la ricarica del telefono e slot per schede SD. In dotazione c’è pure il telecomando. Se poi qualcuno ama il fai da te, nulla vieta di trasformali in eleganti diffusori rivestiti color legno, nero o magari il bianco che fa tanto elegante e moderno. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE FOTOGRAFIA Sony ha lanciato una nuova fotocamera con attacco A e specchio traslucido Sony α68: costa poco e promette molto Ha lo stesso corpo della α77, nuovo sistema di messa a fuoco e un prezzo super: 600 euro E di Roberto PEZZALI ra un po’ di tempo che Sony non presentava fotocamere per attacco A: impegnata sul fronte mirrorless, l’azienda giapponese sembrava aver messo in disparte il discorso “Translucent Mirror” che è stata, negli ultimi anni, una delle uniche idee un po’ nuove in un mercato, quello reflex, ormai povero di novità che vanno oltre il video e la crescita di risoluzione. Anche se la tecnologia Translucent Mirror non rende la macchina propriamente una reflex, l’impostazione delle α77 e delle altre appartenenti alla famiglia, inclusa la full frame a99, è quella delle reflex, obiettivi intercambiabili, ghiere per lo scatto manuale e tante funzioni evolute. La nuova α68 non è una fotocamera che arriverà subito: ci vorrà qualche mese prima di vederla nei negozi, si parla di aprile, ma da quanto si può vedere leggendo voce per voce le varie caratteristiche tecniche vale la pena aspettare. Il punto di forza è il prezzo: 600 euro solo corpo per una macchina che di fatto ricalca la bellissima α77 II e da cui prende lo stesso identico corpo, inteso come chassis esterno. La α68 ha quattro punti di forza: il sensore è un APS-C da 24 megapixel di nuova concezione, la stabilizzazione è direttamente sul sensore, il processore è l’ultimo nato Bionz X e soprattutto c’è lo stesso sistema AF del modello superiore, con 79 punti di messa a fuoco a ricerca di fase con sensore dedicato Sempre più insistenti le voci secondo cui Samsung sarebbe in procinto di bloccare la business unit del Digital Imaging riallocando la forza lavoro alla divisone smartphone e medical che includono anche 15 punti a croce e un punto centrale a croce F2.8. L’utilizzo del processore Bionz e dell’autofocus evoluto permette alla α68 di raggiungere prestazioni notevoli: 8 fps di raffica con autofocus continuo e registrazione full HD video a 50 Mbps in formato XAVC sempre con messa a fuoco continua. Tra le altre caratteristiche uno schermo snodabile, un mirino OLED, una seconda ghiera a portata di pollice per le regolazioni manuali e una sensibilità che si spinge fino a 25600 ISO. Niente male per 600 euro. FOTOGRAFIA Una start-up milanese offre la stampa di foto su carte del Gruppo Cordenons Johannes: stampa su carta pregiata da smartphone Il servizio funziona da PC, tablet, smartphone, anche direttamente da Instagram e Facebook S di Paolo CENTOFANTI i chiama Johannes Printing Memories ed è un nuovo servizio di stampa fotografica online offerto da una start-up di Milano, pensato per ridare dignità alle tante foto che scattiamo ogni giorno con lo smartphone (ma non solo) e disperdiamo nel dominio digitale. Già dal nome, che si rifà a Gutenberg, l’inventore della stampa a caratteri mobili, Johannes vuole far riscoprire la bellezza di una foto che è possibile stringere tra le mani, incorniciare, appendere. Due le caratteristiche che distinguono il servizio di Johannes: la semplicità d’uso e le carte scelte per la stampa, tutti prodotti di alta qualità del Gruppo Cordenons, storica cartiera italiana specializzata in carte pregiate. Johannes è disponibile nella forma di una web app raggiungibile all’indirizzo http://johannes.pics, compatibile anche con smartphone e tablet e che consente torna al sommario di caricare con semplicità le foto da stampare direttamente anche da dispositivi mobile, oppure selezionandole dai propri profili Instagram o Facebook. La navigazione è studiata per rendere il più semplice possibile la selezione dei prodotti ricercati e la creazione del proprio ordine. Samsung smantella la divisione fotocamere? Proprio la selezione di carte disponibili è il punto di forza del servizio, che offre soluzioni gommate, metallizzate con effetto seta o goffrate, il tutto a prezzi comunque interessanti e in diversi formati: quadrati (da 7x7 a 30x30 cm), rettangolari (fino a 40x30 cm), poster, libri e strip. di Emanuele VILLA La divisione Imaging di Samsung torna al centro delle voci riguardanti una possibile chiusura. Alcuni siti rilanciano l’ipotesi portando come prova il fatto che il sito stesso dedicato alle fotocamere, Samsungcamera.com, non venga aggiornato da tempo e di come Samsung, solitamente prolifica nel lanciare nuovi prodotti, non abbia presentato negli ultimi mesi neppure una piccola compatta di fascia bassa. Samsung ha più volte smentito la notizia, ma sembra che il colosso coreano abbia davvero tirato i remi in barca riallocando il personale nelle divisioni “medical” e “smartphone”. Secondo alcuni Samsung avrebbe deciso di chiudere definitivamente la business unit, secondo altri invece l’avrebbe semplicemente svuotata lasciandola in uno stato di “ibernazione”. Samsung non è riuscita a trasformare le sue ottime mirrorless, le Samsung NX, in prodotti capaci in qualche modo di battere il predominio di Canon e Nikon nel mondo della fotografia, e si è pure fatta sorpassare nel segmento “high” da Sony, Panasonic e Fujifilm, prodotti comunque eccellenti. Nei prossimi mesi si capirà tutto: sarà bandiera bianca o semplicemente una ritirata strategica? n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE PC Il prezzo del monitor 27’’ Philips con Quantum Dots è tutto sommato contenuto: 329 euro Quantum Dots e 5K nei monitor AOC e Philips I due brand di monitor che fanno a capo a TP Vision presentano la loro gamma completa Cresce il segmento sopra i 24’’ e nei monitor arrivano i Quantum Dots ma a prezzi contenuti di Paolo CENTOFANTI T gaming e alla produttività che ad applicazioni come il fotoritocco, con una colorimetria “standard” che si ferma allo spazio colore sRGB. Altra caratteristica è costituita dall’audio integrato da 7 watt, con decoder DTS per la riproduzione di audio dagli ingressi HDMI. Il BDM3490UC ha un prezzo consigliato di 1149 euro. Per finire, non si può non citare il Moda con base Ambiglow Plus. Si tratta di un 27’’ con pannello IPS full HD che si distingue oltre per il bel design bianco, per la particolare base Ambiglow che, come la tecnologia Ambilight sui TV Philips, produce una luce colorata diffusa con diverse modalità di funzionamento. Come l’Ambilight, anche Ambiglow può cambiare colore in base all’immagine visualizzata a schermo, ma con tocco della superficie touch della base è anche possibile scegliere la tonalità che si preferisce, oppure scegliere di cambiare continuamente colore. Il monitor Moda (275C5QHGSW) sarà nei negozi a partire da questo mese a un prezzo di 389 euro. AOC ha presentato il 32 pollici U3277PQU, disponibile dal mese scorso, monitor Ultra HD (3840 x 2160 pixel) con pannello AHVA, la tecnologia IPS sviluppata da AUO. il monitor è dotato di connessioni HDMI 2.0, USB 3.0 e DisplayPort, offre una copertura completa dello spazio colore sRGB con visualizzazione di 1 miliardo di colori tramite il ricorso alla tecnologia FRC su pannello a 8 bit. L’aspetto più interessante è forse il prezzo, 999 euro. Sul versante gaming, AOC presenta invece la serie di monitor con supporto per la tecnologia di AMD FreeSync, che consente di sincronizzare frequenza verticale del display con il rendering dei frame della GPU in applicazioni appunto come i videogiochi. La gamma comprende modelli da 24 e 27 pollici, rispettivamente G2460PF e G2770PF, entrambi contraddistinti da un tempo di risposta di 1 ms, e un refresh rate massimo di 144 Hz. I due modelli sono disponibili a un prezzo suggerito di 319 euro e 399 euro. Presentata infine la versione da 27 pollici del modello I2481FXH, di cui condivide il design ultraslim e la particolarissima base metallica asimmetrica. Si tratta di un monitor con pannello LCD IPS, con risoluzione full HD, spesso meno di un centimetro e contraddistinto da una cornice estremamente sottile ai bordi. la versione da 27 pollici arriverà a dicembre e avrà un prezzo consigliato di 249 euro. Philips 275P4VYKEB Philips 276E6ADSS Philips 275C5QHGSW ra i leader del segmento monitor in Italia c’è AOC, azienda che fa a capo a TP Vision, insieme al brand Philips, utilizzato da MMD, divisione nata dall’ingresso in TP Vision dell’ex settore monitor di Philips. Con l’uscita di diversi nuovi modelli di monitor sia marchio AOC che Philips, le due aziende hanno approfittato dell’occasione per presentare le principali novità dell’intera gamma. Le novità più importanti a marchio Philips sono soprattutto quattro. La più significativa è il primo monitor 5K da 27’’ che arriverà a dicembre, il 275P4VYKEB. Il display ha una risoluzione di 5120x2880 pixel, con pannello LCD PLS a 10 bit (la versione di IPS sviluppata da Samsung) e promette una copertura del 99% dello spazio colore Adobe RGB. Si tratta di una proposta indirizzata a un’utenza di tipo più professionale, ma non mancano caratteristiche accattivanti per il pubblico consumer come la webcam integrata. Il prezzo consigliato sarà di 1599 euro. Un’altra novità molto interessante è quello che Philips definisce il primo monitor per PC con Quantum Dots, sempre un 27’’, il 276E6ADSS, con risoluzione full HD 1920x1080 pixel, ma che grazie ai Quantum Dots riesce ad arrivare al 99% della copertura dello spazio colore Adobe RGB, mantenendo un prezzo di listino tutto sommato contenuto, 329 euro, con disponibilità tra dicembre e gennaio. Disponibile in questi giorni, il 34’’ BDM3490UC ha due particolarità: è in formato 21:9 e utilizza un pannello IPS leggermente curvo (raggio di 3,8 metri). Il display ha una risoluzione Quad HD essenzialmente “allargata”, 3440x1440 pixel, e presenta una cornice molto sottile. Si tratta di un monitor più orientato al torna al sommario iPad Pro in Italia Ma costa come un MacBook Air Arrivato anche nel nostro Paese l’iPad Pro Prezzo da 919 euro esclusa tastiera e penna Apple Pencil di Roberto PEZZALI Il nuovo iPad Pro (clicca qui per l’approfondimento) da 12,9’’ è arrivato in oltre 40 Paesi, Italia inclusa, insieme alla Apple Pencil e alla nuova Smart Keyboard. L’iPad Pro, con display da 12.9” con 5.9 milioni di pixel, è la nuova proposta Apple per utenti evoluti che necessitano di un tablet più ampio votato alla produttività e vogliono velocità, autonomia e precisione, senza però rivolgersi a un sistema con a bordo OSX e restando nell’ambito di un OS più leggero e semplice come iOS. iPad Pro parte in Italia da €919 per il modello 32GB con Wi-Fi e arriva a €1249 per il modello Wi-Fi + Cellular da 128GB; il modello da 128 GB WiFi, costa 1099 euro. iPad Pro sarà disponibile nelle tre finiture metallizzate, argento, oro e grigio siderale e avrà come accessori Apple Pencil a €109 e la Smart Keyboard a €179. Per chi desiderava la tastiera c’è una brutta notizia: sarà disponibile pare solo con il layout tasti inglese americano, almeno da quanto ci ha comunicato Apple, segno che forse si dovranno attendere tastiere di terze parti per avere una tastiera con le accentate e i glifi italiani. A conti fatti l’iPad Pro, tastiera esclusa, costa quanto un MacBook Air, anche se ovviamente non sono prodotti paragonabili. Se arriveranno applicazioni ottimizzate per iPad Pro, il nuovo tablet potrebbe diventare un must nel mondo della produttività, del design, dell’illustrazione, dell’ingegneria e della medicina. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE SOCIAL MEDIA Il prezzo di questo “poliziotto digitale” è di 99 dollari. Non disponibile in Europa Figli dipendenti da social e game online? Ci pensa Circle a tagliare la connessione Troppo tempo su Internet o ai videogiochi? Con Circle with Disney è possibile evitarlo Circle controlla il tempo di connessione ai servizi web e, se necessario, stacca la linea S di Roberto PEZZALI i chiama Circle With Disney ed è un vero poliziotto digitale: il nome non deve ingannare, Disney ha solo dato supporto a un interessante progetto che aveva già provato, senza successo, la via dell’autofinanziamento tramite Kickstarter. Circle, nella sua semplicità, è un prodotto che potrebbe cambiare il modo di vivere di molte famiglie alle prese con figli (e non) che passano le ore davanti a Internet, streaming, videogiochi online e social network. Circle è un controllore di traffico (con diritti di blocco): ogni membro della famiglia ha un suo profilo e il “gestore” può scegliere tramite una app quante ore concedere di Facebook, di Youtube, se concedere Internet sempre o solo in una fascia oraria. Tutte cose che possono oggi essere fatte installando programmi sui PC o usando un parental control evoluto, ma queste soluzioni richiedono interventi su ogni dispositivo. Circle risolve controllando sulla rete Wi-Fi il traffico generato dai singoli dispositivi connessi alla stessa rete Wi-Fi di proprietà dei diversi utenti di casa. Il principio di funzionamento è abbastanza semplice e si basa su una tecnica di hacking abbastanza diffusa, conosciuta come ARP Poisoning: Circle si collega alla propria rete Wi-Fi, capisce quale dispositivo è il router (e quindi il gateway di rete) e inizia a spacciarsi per lui ingannando smartphone, computer, TV, tablet che credono di essere connessi ancora al modem Wi-Fi. Tutti i dispositivi, in realtà, sono connessi a Circle, che istante per istante controlla il traffico e gli accessi dei singoli prodotti facendo il vigile digitale. Circle non costa tanto, 99$ grazie all’intervento di Disney, ma al momento non è disponibile in Europa. Resta solo un limite: Circle presume che ogni membro della famiglia abbia un suo dispositivo, ma spesso TV e tablet sono condivisi tra più persone. E se un figlio prende in prestito il tablet di papà, solo l’intervento umano può risolvere la cosa. Clicca qui per il video. GADGET Attualmente il progetto è su Kickstarter e dovrebbe essere disponibile da dicembre La bici 2.0 ha Neo, il fanale a energia magnetica I vantaggi della dinamo ma contactless: è il principio di Neo, fanale tecnologicamente evoluto di Emanuele VILLA N on bisogna essere ciclisti appassionati per conoscere la dinamo e comprendere l’importanza di una forte illuminazione frontale e posteriore ai fini della sicurezza e della visibilità notturna. Il problema è solo uno: la dinamo è datata 1831 e l’alternativa, l’illuminazione tradizionale, richiede la classica batteria (che come tale si scarica). Possibile che, a 2015 inoltrato, non ci sia la possibilità di mescolare la potenza dei fanali a LED che funzionano a batteria con i vantaggi della dinamo? Sì, questa possibilità c’è, arriva dalla Scandinavia ed è al centro di una campagna di Kickstater che ha già superato l’obiettivo di raccolta fondi che si era posto. Si tratta di un piccolo dispositivo che si chiama Neo, va montato in coppia (uno frontale e uno posteriore), ha un potente faretto LED integrato e si compone di tre elementi: generatore, luce e aggancio torna al sommario per la bici. Il bello di questo sistema è che si basa su un principio che ricorda la dinamo classica, quindi senza bisogno di batterie, ma non tocca fisicamente il cerchione - e di conseguenza non lo consuma. Il principio è quello dello sfruttamento delle correnti parassite generate dal cerchione in alluminio e “catturate” dal generatore dell’apparecchio, senza nessun contatto tra i due elementi, che semplicemente vanno posti a distanza ravvicinata. I moduli sono due e diversi: uno va usato come luce frontale e dispone di due LED da 1W, l’altro comprende 1 o 2 LED a bassa potenza e va usato per la luce posteriore. È anche presente un sistema ausiliario con un circuito di backup che permette di mantenere i faretti accesi con una potenza luminosa ridotta quando si è fermi al semaforo e si attende il momento del verde. E anche il sistema di montaggio è molto semplice per potersi adattare a tutti (o quasi) i modelli in commercio: chi fosse interessato può consultare direttamente la pagina del progetto. Il pledge minimo per ottenere una coppia di Neo è da 18 dollari e la consegna è prevista per dicembre. Curare le carie senza dolore, otturazioni e trapano si può Non dovrete più preoccuparvi di anestesie e otturazioni per curare piccole carie Con il “supercharger” dentale sarà possibile sparare grandissime quantità di minerali nello smalto dentale per ripararlo in breve tempo senza dolore di Massimiliano ZOCCHI Grazie a Reminova, azienda con base a Perth in Scozia, almeno per le carie più piccole potremo fare a meno di trapano, otturazione, anestesia, ma soprattutto del dolore. Il team di Reminova ha messo a punto uno strumento che loro chiamano supercharger dentale, grazie al quale è possibile riparare i danni allo smalto senza interventi esterni e invasivi. Tramite una piccolissima carica elettrica, impercettibile al paziente, Reminova è in grado di velocizzare il meccanismo naturale di remineralizzazione dello smalto dentale, tanto da farlo durare il tempo di una normale seduta dal vostro dentista di fiducia. In pratica minerali utili ai denti come calcio e fosforo vengono letteralmente sparati all’interno della lesione per ricostruire la superficie del dente. Ovviamente nei casi più gravi sarà comunque necessario un intervento classico, ma sono molti gli interventi che si potrebbero evitare con questa innovativa scoperta, con la possibilità inoltre di frenare sul nascere future carie. Serie S78 / Ultra HD 50” / 58” Immergetevi in una nuova esperienza ! Avvicinatevi al vostro grande schermo UHD e tuffatevi in un’immagine di una ricchezza incredibile di dettagli. Un’immagine che non è mai stata cosi profonda grazie alla precisione dei contorni, anche nei dettagli più lontani. Un’immagine che non è mai stata cosi realistica grazie alla nitidezza dei colori. Ammirate la perfetta fluidita del movimento, resa possibile dalla tecnologia Clear Motion Index 800 Hz. ww.tcl.eu/it n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE APP Non esiste un’anagrafe nazionale e i database comunali con i dati delle sepolture consultabili via Web ancora scarseggiano Trovare i defunti al cimitero, una fatica mortale E così a Milano risultano “salme” anche i vivi A Milano debutta un’app per trovare la tomba di un conoscente, ma il risultato è grottesco: anche i vivi sono dati per morti di Gianfranco GIARDINA passata da qualche settimana la ricorrenza dei defunti: chi ha voluto in quei giorni “allargare” il giro ai parenti meno stretti ha avuto i suoi problemi nel trovare, soprattutto nei grandi cimiteri metropolitani, il campo e la sepoltura cercata. L’Amministrazione Pubblica, che fatica a digitalizzare i fatti dei vivi, si dimostra spesso incapace anche di gestire un database dei più placidi morti. E quando lo fa, non tutto va sempre liscio. È La app di Milano “seppellisce” anche i vivi La più recente notizia sul fronte dei sistemi di ricerca dei defunti riguarda Milano: da qualche giorno il Comune ha lanciato una app dal nome non proprio felice, Not 2 4Get, disponibile per iOs e Android, che consente di scoprire il luogo di “ultima residenza” di un defunto tumulato in un cimitero milanese. Poco conta che nessuno capisca il gioco di parole (Not 2 4Get è la versione in lettere e numeri della formula inglese “Not to Forget”, non dimenticare); ma la sostanza è che, se lo si scopre (sul sito del Comune non ve n’è traccia né menzione), si tratta di un servizio utile, che inspiegabilmente non è erogato anche via Web. Ma nella innovativa app del Comune di Milano c’è ancora qualcosa a cavallo tra il grave e il grottesco da mettere a punto: nella lista dei sepolti nei cimiteri milanesi compaiono infatti anche molti cittadini vivi e vegeti. Come abbiamo potuto verificare, sono diverse le persone che compaiono nelle liste, con tanto di cimitero di “residenza” e riferimenti della sepoltura, e che invece sono ancora a “piede libero” in giro per la città. Si tratta presumibilmente – secondo la nostra ricostruzione - dei concessionari delle tombe (tipicamente coniugi o figli dei defunti), che non necessariamente ancora vi risiedono, ma le cui schede anagrafiche sono finite per un macabro errore nel calderone del grande database cimiteriale. Un bello spavento per chi, cercando un parente, si ritrova in lista con la dizione “stato: salma”. O comunque – volendo vedere il bicchiere mezzo pieno torna al sommario – un buon auspicio di lunga vita. UPDATE: Il Comune di Milano è intervenuto sui propri database, rendendo invisibili i concessionari delle tombe e lasciando quindi nella lista sono gli effettivi defunti. Grandi città spesso non eccellenti Milano a parte, le metropoli italiane non sembrano voler semplificare la vita ai visitatori cimiteriali. La necessità di un database delle sepolture si fa più sentire nei grandi centri urbani, in cui i cimiteri sono spesso sconfinati. E se è lecito presumere che tutti i dati dei defunti siano ormai digitalizzati sui server dei grandi comuni, non è altrettanto vero che queste liste siano liberamente accessibili ai cittadini in cerca di qualche vecchio amico o di un lontano parente. La Capitale, per esempio, non offre nessuna strada “telematica” alla ricerca dei propri defunti: il sito del Comune di Roma offre come possibilità per ottenere informazioni sui defunti cercati solo la via telefonica o l’email; o peggio ancora, invita a recarsi di persona presso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico. Tra le gran- di città, spicca Torino: il sito web del Comune offre l’intero database facilmente consultabile, con tanto di mappa dettagliata del cimitero interessato. L’unico limite è che i database dei defunti inumati e di quelli cremati è disgiunto: se non si conosce quale sia stata la modalità scelta per il defunto ricercato, tocca fare due ricerche. Il sito del Comune di Napoli, invece, addirittura invita ad “avanzare la richiesta all’ufficio ‘Archivi cimiteriali’” (la cui sede – forse non a caso - è in via Santa Maria del Pianto). Il Comune di Palermo non riporta alcuna indicazione su come trovare l’ubicazione del proprio caro, né sotto forma di database né come segue a pagina 19 n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE AUTOMOTIVE L’amministratore delegato di Tesla vuole mettere un freno ai rischi inutili Autopilot, Tesla rimedia a eventuali rischi Il sistema di guida assistita per Tesla Model S e X è già stato installato su molte vetture Arrivano le immagini dei pericoli derivanti da fidarsi troppo dell’intelligenza artificiale di Massimiliano ZOCCHI l pilota automatico introdotto da poche settimane da Tesla Motors per le sue Model S e Model X ha fatto gridare al mezzo miracolo, considerando che è una tecnologia partita da zero e sviluppata in tempi record. Ma forse troppi driver della 100% elettrica californiana stanno abusando di questa guida assistita per giocare ai moderni Michael Knight. In rete iniziano a comparire i primi video in cui la guida autonoma ha risolto situazioni pericolose ed evitato incidenti, ma insieme arrivano anche numerosi filmati di chi abusa di questa funzione, e in alcuni casi sono emersi gravi errori da parte del computer di bordo. Clicca qui per un video. In alcuni casi, non è dato sapere per quale motivo, l’autopilota reagisce in modo errato, quasi al contrario di ciò che dovrebbe I fare, con la possibilità di generare incidenti anziché evitarli. Il CEO Elon Musk è subito corso ai ripari evidenziando come Autopilot sia tuttora una tecnologia considerata in beta, e come Tesla non l’abbia mai considerato un sostitutivo alla guida, ma solo un aiuto in emergenza o per maggiore sicurezza, e che non si dovrebbero mai comunque staccare le mani dal volante. Clicca qui per un video. A margine della conferenza sui risultati trimestrali, Musk ha quindi reso noto che Tesla è intenzionata a porre rimedio a questi abusi, e sta studiando dei blocchi e delle contromisure per evitare i tentativi di guida totalmente autonomi. Non è stato chiarito come intendano farlo, forse inserendo un sistema di auto disattivazione se il volante viene lasciato per più di alcuni secondi, come già avviene oggi su alcune vetture della concorrenza dotate di sistema automatico di mantenimento corsia. Tesla è costretta a fare mezzo passo indietro a causa dell’incoscienza (e anche un po’ di stupidità) umana, non certo per mancanza di intelligenza artificiale... APP Facebook annuncia Notify Facebook ha annunciato Notify, una nuova applicazione dedicata al mondo delle notizie che punta a offrire qualcosa di molto simile a quello che offre Twitter principale concorrente di Facebook. L’app invia notifiche sulla schermata di blocco di iOS, con notizie da alcune delle principali testate online internazionali e permette di ricevere notifiche personalizzate selezionando delle “stazioni”. L’app fornirà una selezione di stazioni che potrebbero interessare all’utente sulla base del suo profilo social. Il debutto di Notify interessa per il momento la piattaforma iOS con disponibilità solo negli Stati Uniti, con una selezione di una settantina di fonti, che comprende testate come CNN, Washington Post, New York Times, Vice, Bloomberg, BuzzFeed, Time, Huffington Post. Clicca qui per il video. APP App Milano defunti segue Da pagina 18 riferimenti telefonici o email, e questo malgrado ci sia un intero sottosito dedicato ai servizi cimiteriali. La mancata digitalizzazione del database dei defunti (o comunque la mancanza di un servizio di consultazione) non è un fatto che riguarda solo il Centro-Sud: nel sito del Comune di Genova si trovano tante informazioni dettagliate sui servizi cimiteriali, ma nessuna indicazione per rintracciare l’ultima dimora dei propri conoscenti; a Bologna, almeno apparentemente, siamo ancora fermi alla carta: l’unico riferimento che siamo stati in condizione di trovare sul sito del Comune è a un fantomatico “registro in duplice copia vidimato dal Sindaco”. Nulla di utile neppure a Firenze (non andiamo oltre le mappe dei cimiteri, ma senza riferimenti precisi), Venezia, Bari e Catania. Per avere un buon servizio di ricerca online bisogna scendere fino a capoluoghi un po’ più piccoli: a Verona il sito web ha un buon strumento di ricerca (bisogna sapere anche il nome preciso del defunto o l’anno del decesso); database presente ma condizioni ancora più stringenti a Padova: senza nome e cognome esatti e la data di decesso precisa il sistema non mostra i risultati. Ottimi i sistemi di Messina e di Ferrara (utilizzano il medesimo software). Altrettanto validi quelli di Monza, Bergamo e Brescia. Ma i morti hanno una privacy? Il fatto che la lista dei defunti e il loro “indirizzo” sia liberamente pubblicato su Internet ha fatto discutere negli anni scorsi e ha anche coinvolto il Garante per torna al sommario la Privacy che, in passato, si è espresso contro questi servizi al cittadino. Addirittura pare che a Roma il servizio di localizzazione dei defunti via Web fosse attivo fino al 2010 e che poi fosse stato sospeso proprio per i timori che potesse configurarsi un violazione della privacy. Infatti, il Comune di Roma (a quel tempo con Gianni Alemanno sindaco) aveva comunicato che “onde evitare la violazione delle norme sulla riservatezza e sulla tutela dei dati personali, non è possibile pubblicare, se non su esplicita e formale richiesta degli aventi diritto, il luogo di riposo del defunto, qualora da questo possano essere desunte indicazioni relative a dati personali sensibili del defunto stesso, quali, ad esempio, la confessione religiosa da questi professata”. E in effetti il garante della privacy avrebbe in passato ingiunto ad alcuni comuni di chiudere i propri servizi di “geolocalizzazione funebre”, come nel caso del comune di Thiene (VI) sul cui sito compare ancora la laconica scritta: “ATTENZIONE: Il servizio di ricerca del defunto è momentaneamente sospeso”. E allora come fanno i Comuni che pubblicano le liste a farlo senza incorrere nelle ire del Garante? In molti riportano un breve disclaimer in cui richiamano la normativa sulla privacy: “Ai fini della privacy si informa che i dati personali consultabili attraverso il Ricerca Defunto on line rientrano nella casistica dell’art. 24 del D.lgs. 196/2003 – Casi nei quali può essere effettuato il trattamento senza consenso, lettera C “dati provenienti da pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque”. Questo sembrerebbe bastare per mettere i sindaci al riparo da infrazioni della privacy, cosa che ci appare decisamente ragionevole. Malgrado ciò non mancano alcune “contrindicazioni”: il caso che ha fatto più scalpore riguarda il comune di Torino, che ha uno dei servizi migliori. Una società terza (sulla quale il Garante della Privacy avrebbe aperto un’istruttoria nel 2013) ha creato un sito dedicato al culto dei defunti e, secondo le ricostruzioni, avrebbe scaricato con una serie massiva di query la lista di tutti i defunti di Torino, creando una specie di cimitero virtuale parallelo, chiedendo addirittura soldi per l’accensione, sempre virtuale, di lumini e simili e ricreando lapidi in computer grafica assolutamente realistiche. Forse si tratta di un consiglio per chi non riesce a trovare i propri cari nei cimiteri fisici per la mancanza dei database consultabili: non resta che ripiegare sui sepolcri virtuali? n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE AUTOMOTIVE Secondo un rapporto Istat, nel 2014 in Italia ci sono stati 177.031 incidenti stradali che hanno causato 3381 morti Google Car potrebbe salvare migliaia di vite Le auto a guida autonoma promettono grandi cose, tra cui la possibilità di ridurre drasticamente gli incidenti stradali Si stima che solo in Italia potrebbero salvare 3000 vite all’anno, addirittura 29.000 negli Stati Uniti. Ma quanto manca? di Emanuele VILLA l recente rapporto Istat sugli incidenti stradali fotografa una situazione che, sia pur in miglioramento rispetto agli anni passati, resta inquietante: nel 2014 in italia si sono verificati 177.031 incidenti con lesioni alle persone, incidenti che hanno provocato 3.381 morti. Dati che ci fanno riflettere un po’ su tutto: dalla sicurezza delle nostre auto alla condotta dei guidatori, dalla normativa in vigore alle tecnologie atte a prevenire gli incidenti e via dicendo. E conta davvero poco sapere che il numero degli incidenti è sceso del 2,5% e quello dei feriti del 2,7%, che le cinture di sicurezza, gli airbag e la severa normativa sulla guida in stato di ebbrezza sono state efficaci (in America, dal 1970 ad oggi gli incidenti mortali sono dimezzati), perchè alla fine il numero di morti resta troppo alto e gli incidenti sono - in buona parte del mondo - la prima causa di morte per le persone al di sotto di una certa età. Se poi parliamo di stime mondiali, il numero fa davvero paura: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sulle strade muoiono 1,2 milioni di persone ogni anno. Leggiamo il rapporto Istat e poi, tornando a temi a noi più familiari, leggiamo che Google Car - l’icona dell’auto a guida autonoma - non ha fatto incidenti in migliaia di chilometri percorsi e ci viene voglia di approfondire l’argomento. Anche perchè, sarà merito di Tesla o delle altre aziende del settore automotive, ma di auto a guida autonoma si continua a parlare quoti- I dianamente senza avere ben chiari i confini e sapere a che punto siamo arrivati. Incidenti -90% La promessa dell’auto autonoma Secondo una ricerca pubblicata da McKinsey&Company, entro il 2050 le auto a guida autonoma diventeranno il principale mezzo di trasporto negli USA e nelle aree tecnologicamente più avanzate del pianeta (riteniamo di farne parte) e porteranno a una riduzione degli incidenti fino al 90%. Questo andrà confermato lungo il percorso e non può essere dato per certo fin d’ora, ma se è vero che la maggior parte degli incidenti gravi è dovuta a distrazione del conducente (seguiti dall’eccessiva velocità), allora le stime potrebbero avverarsi e portare, nei soli Stati Uniti, a una riduzione dei costi sanitari di 190 miliardi di dollari ogni anno (attualmente la spesa è di 212 miliardi/anno). Oltre all’effetto più importante: le auto a guida autonoma potrebbero salvare 3.000 vite all’anno in Italia e più di 29.000 negli Stati Uniti. L’automobile potrebbe ribaltare la propria posizione e diventare in un attimo il mezzo di trasporto più sicuro tra quelli esistenti. Quindi a che punto siamo? L’industria automobilistica sa che l’auto a guida autonoma è la next big thing: perchè è l’evoluzione di tecnologie esistenti, perché è un passo enorme a livello di comodità e praticità e perché potrebbe rendere l’automobile il mezzo più sicuro in assoluto. Peccato che da qui al 2050 di acqua sotto i ponti ne debba passare ancora parecchia: in questo momento Google è in assoluto il player più avanti nella corsa verso l’auto a guida autonoma, con un progetto che porta avanti dal 2009 e che può essere monitorato tramite la pubblicazione di rapporti mensili; in questo momento, i mezzi di Google sono dislocati in due città degli Stati Uniti, Mountain View e Austin in Texas, ma molte altre si aggiungeranno nei prossimi mesi/anni, autorizzazioni permettendo. Seguono Tesla, che è stata la prima a introdurre l’Autopilot in modelli commerciali ma con la precisazione che si tratta di un sistema di assistenza alla guida e non - o non ancora - di un sistema di guida autonoma, segue a pagina 21 torna al sommario n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE AUTOMOTIVE Google Car segue Da pagina 20 poi arriveranno tutte le altre, da Audi a BMW, da Volvo a Uber. E poi c’è Apple: sì, perché nonostante in quel di Cupertino le bocche siano cucite sul progetto, gli indizi sono davvero tanti e si sospetta che per il 2020 anche l’auto - elettrica ed autonoma - della mela solcherà le strade americane. Pare che il primo modello possa uscire anche prima, ma difficilmente sarà a guida autonoma: per questo si dovrà attendere di sicuro il prossimo decennio. Le sfide di Google Car e gli “zero incidenti” Progetti specifici a parte, cui dedicheremo degli approfondimenti, parliamo dell’unica auto a guida autonoma che percorre in lungo e in largo strade cittadine, la Google Car. Non ha volante, è elettrica, ha una forma particolare, è il risultato di un progetto nato nel 2009 e che dovrebbe portare, intorno al 2020, ai primi esemplari di tipo commerciale. Ma attenzione, è improbabile che Google, una volta perfezionata l’auto e le tecnologie on board, venda la propria auto ai privati; è opinione di molti che l’azienda, raggiunto il livello 1.0 del proprio progetto, lo usi come mezzo di trasporto pubblico alternativo, una sorta di taxi iper evoluto che le persone chiamano quando hanno bisogno e cui si affidano per i propri spostamenti quotidiani. Per arrivare a quel punto c’è bisogno di tempo, e lo conferma il fatto che al momento le Google Car, pur guidando da sole, hanno sempre all’interno un tecnico dell’azienda che - in situazioni specifiche - attiva la modalità manuale. Anche perchè prima di poter gestire tutte le possibili situazioni, le auto a guida autonoma devono fare pratica a tempo indeterminato e subire correzioni puntuali da parte di conducenti in carne ed ossa. Così come arriva la notizia che le Google Car hanno perfettamente riconosciuto centinaia di bambini in maschera per la festa di Halloween, al tempo stesso pare che un ciclista con bici a scatto fisso abbia letteralmente fatto impazzire una macchina di Google ferma a un semaforo. Per mantenere l’equilibrio su una bici a scatto fisso, infatti, il ciclista deve eseguire la mossa del trackstand, ovvero dare piccoli colpetti avanti e indietro sui pedali: questo è stato interpretato da Google Car come qualcosa di anomalo, da cui un comportamento imprevedibile dell’auto che ha iniziato ad avanzare “singhiozzando” e a richiedere l’intervento del conducente. Stesso discorso per quanto concerne possibili hack al software o al Lidar, cosa che qualcuno ha già provato, oltre al capitolo immenso della regolamentazione legislativa e - soprattutto - dell’assunzione di responsabilità in caso di incidenti, cosa che porterà via anni di studio e dibattito. Oggi è chiaro che la responsabilità in caso di sinistro vada a uno o entrambi i conducenti, ma se la macchina guida da sola e urta un’altra auto, chi paga? Nei prossimi anni questo tema sarà affrontato più e più volte. Nonostante Google sia piuttosto restia a comunicare le aziende coinvolte nel progetto, troviamo LG Che- torna al sommario mical per le batterie, Continental, Bosch, Frimo per pneumatici, impianto frenante e motore, mentre il Lidar, ovvero l’occhio vigile che è installato sopra tutte le Google Car, dovrebbe essere prodotto in casa con la consulenza di Velodyne, un riferimento nel settore. Il Lidar, insieme agli infiniti sensori presenti nella carrozzeria, è il responsabile della mappatura dell’ambiente circostante, operazione fondamentale affinchè il software di navigazione riconosca strada, corsie, cartelli e tutti gli ostacoli per evitare gli incidenti. Il risultato sono - al momento - zero incidenti con colpa. Sembra incredibile, ma è quanto dichiara l’azienda riguardo ai progressi di Google Car: le macchine, la cui velocità massima è di 50 km/h, hanno guidato per più di 3 milioni di chilometri e accumulato un’esperienza pari a 75 anni di guida; grazie a un approccio estremamente prudente (per esempio, all’accensione del verde le GCar attendono 1,5 secondi prima di partire), queste sono state coinvolte in 16 incidenti minori ma in nessun caso sono state causa dell’incidente. Google ha segnalato l’ultimo incidente nel rapporto di agosto 2015, una fattispecie piuttosto comune ma al momento dell’impatto l’auto era sotto il controllo manuale. Resta da capire una cosa: quante volte i conducenti in carne ed ossa delle Google Car hanno impedito incidenti? Saperlo è determinante perché non solo in condizioni ideali il passeggero non sarà costretto a guardare la strada, ma se verrà allertato dall’auto impiegherà qualche secondo (una decina, pare) prima di prendere il controllo del mezzo. In una decina di secondi può succedere di tutto, ed è quindi fondamentale che le auto, mantenendo un approccio estremamente prudente, riescano a cavarsela da sole nel 99% dei casi. Google possiede questa informazione poichè la procedura di intervento dei tecnici è ingegnosa: ai guidatori viene richiesto di prendere il controllo del mezzo quando si rileva una situazione di pericolo (come quando il veicolo che precede frena bruscamente), ma in un secondo momento i dati vengono ri-analizzati dal computer per capire se l’auto avrebbe reagito in modo corretto e in tempi utili qualora non ci fosse stato intervento umano. Le premesse restano incoraggianti, e lo testimoniano non solo i dati diffusi da Google ma anche l’impegno dei competitor e le opinioni positive di chi ha avuto modo di testare la tecnologia: l’unico dubbio è sui tempi, visto che - a ben vedere - il 2020 non è così lontano. Dal canto nostro, vi terremo aggiornati su tutte le evoluzioni: incrociamo le dita. Google Car vede così. Identifica gli ostacoli e si mantiene sempre alla giusta distanza. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Ci sono voluti tre anni, ma alla fine la nuova Apple TV è arrivata e ora offre molto di più: le sue potenzialità sono notevoli Apple TV è molto più di un semplice media player Con Apple TV gettate le fondamenta di un nuovo percorso volto alla conquista di un posto di rilievo tra le mura domestiche di Paolo CENTOFANTI a precedente Apple TV debuttò sull’App Store nel 2012, nella forma di un upgrade con supporto al video 1080p della versione di seconda generazione introdotta un paio d’anni prima. Dal 2010 fino a quest’anno, Apple TV era sinonimo di un piccolo set top box nero, che permetteva di riprodurre su TV contenuti acquistati sull’iTunes Store e accedere ad alcuni servizi video in streaming selezionati da Apple. La maggior parte di questi non era disponibile al di fuori negli Stati Uniti e, soprattutto in Italia, l’utilizzo principale di Apple TV era legato alla funzione AirPlay, che consente di riprodurre contenuti da Mac e dispositivi iOS in modalità wireless sul TV. Tutto cambia con il nuovo modello annunciato a settembre 2015: esteticamente sembra solo una versione più spessa del piccolo box che ormai conosciamo fin troppo bene, ma le novità sono in realtà moltissime. L’hardware diventa molto più potente, essendo basato sul processore a 64 bit A8 che Apple ha progettato per l’iPhone 6, ma soprattutto c’è una nuova piattaforma software, tvOS, sviluppato sulle solide fondamenta di iOS 9 e ottimizzato per il grande formato della TV. È soprattutto questo elemento che differenzia la nuova incarnazione di Apple TV dagli altri “media streamer” sul mercato ed è il motivo per cui sbaglia chi si sofferma solo sull’aspetto della riproduzione video nell’approcciare questo nuovo prodotto Apple. È sicuramente qualcosa di più e ci sono tutte le ragioni per sospettare che Apple abbia in mente un ruolo centrale nell’evoluzione del suo ecosistema per quello che Steve Jobs definì una volta un semplice hobby. L Più potente di un iPhone 6, ma niente 4K Apparentemente la nuova Apple TV non sembra poi così diversa dalla precedente; chiaro, è decisamente più spessa, visto che passa da 23 a 35 mm, ma per il resto cambia davvero poco: è sempre un quadrotto 10x10, nero, e con i pochi connettori sul retro: HDMI 1.4, porta di rete ethernet, alimentazione e un connettore USB-C (solo per il ripristino via iTunes del dispositivo). Sparisce dunque l’uscita ottica per il collegamento a un ampli esterno. Sul versante wireless troviamo invece Bluetooth 4.0 e Wi-Fi 802.11ac con supporto MU-MIMO. Sul frontale c’è invece giusto un piccolo LED a indicare lo stato di accensione del dispositivo. video lab Apple TV (2015) 179,00 € UN PRIMO PASSO ALLA CONQUISTA DEL SOGGIORNO Con questo dispositivo, Apple getta le fondamenta di un nuovo percorso verso la conquista di un posto di rilievo all’interno delle mura domestiche. Se ancora non conosciamo i progetti per quanto riguarda lo streaming (ma gli indizi puntano tutti verso la volontà di scardinare gli attuai equilibri della distribuzione dei contenuti, almeno negli Stati Uniti), di certo tvOS ci dice che Apple TV è oggi più che mai vicina come potenzialità a quelle di un iPhone o un iPad. Le app che già possiamo vedere presentano lo stesso livello di pulizia e standard qualitativi a cui l’App Store di iOS ci ha abituati da anni e solo il tempo ci potrà dire se gli sviluppatori salteranno con decisione su questa nuova piattaforma. Lo spazio per fare qualcosa di nuovo c’è tutto. Allo stesso tempo Apple ha mantenuto per altri aspetti un atteggiamento conservativo. Chi guarda a Apple TV soprattutto come un media streamer, rimarrà deluso dall’assenza di supporto per il 4K, che non dubitiamo Apple introdurrà nei modelli successivi. Il prezzo è più alto del modello precedente, ma la nuova Apple TV offre e soprattutto offrirà molto di più. 8.4 Qualità 9 Longevità 8 Interfaccia bella e semplice COSA CI PIACE Il telecomando ben pensato tvOS ha un ottimo potenziale Design 7 Semplicità 9 D-Factor 8 Prezzo 8 Design dell’hardware datato COSA NON CI PIACE Niente uscita 4K, niente Netflix Ultra HD Siri e ricerca vocale non disponibili in Italia I cambiamenti più importanti sono all’interno. Se l’ultimo modello era ancora basato sul processore A5, quello di iPad 2 e iPhone 4S, qui Apple ha montato l’A8 che ha debuttato sull’iPhone 6 e che costituisce un deciso salto in avanti in termini di prestazioni. Perché Apple ha scelto l’A8 e non il più recente A9? Ci saranno probabilmente dietro anche discorsi di costi e soprattutto approvvigionamento (per stare dietro alla domande per i nuovi iPhone 6S e 6S Plus, Apple ha dovuto ricorrere a due diversi fornitori), ma la ragione ufficiale è che l’A8 è all’altezza del compito, anche perché a differenza che su uno smartphone o un tablet, qui non ci sono consumi della batteria o dissipazione del calore da gestire, e il processore può venire spremuto maggiormente in termini di potenza. Per quanto riguarda il mancato supporto per i TV 4K, la posizione ufficiale di Apple è che i contenuti sono ancora pochi per un prodotto “di massa” a cui aspira essere la nuova Apple TV, un ragionamento che cozza un po’ con le capacità di ripresa video dell’iPhone 6S, o la crescente offerta di contenuti su Netflix e Amazon, ma tant’è. Aumenta infine la memoria storage, con opzione per 32 o 64 GB di spazio per le applicazioni. Siri Remote è la vera novità hardware L’altro grosso elemento di novità è naturalmente il telecomando Siri Remote. C’è stata molta confusione inizialmente dettata dal fatto che Siri è disponibile solo in alcuni paesi al lancio e Apple ha utilizzato un nome differente nella sua comunicazione, ma in realtà segue a pagina 23 torna al sommario n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 TEST Apple TV segue Da pagina 22 il telecomando è al 100% lo stesso in tutto il mondo e quando Apple abiliterà il riconoscimento vocale anche in altri paesi, anche le funzioni saranno identiche. Il nuovo telecomando è innanzitutto dotato di un touchpad nella parte superiore, che permette di controllare tutta l’interfaccia agilmente con il proprio pollice. Ma aumentano anche i pulsanti fisici: oltre al tasto Menù, che funziona da tasto indietro, c’è anche un tasto Home che permette di tornare subito alla schermata principale (nonché di mettere in stand by il dispositivo). C’è il tasto per invocare Siri (in modalità push to talk), che in Italia avvia la funzione di ricerca, play/pausa e il controllo del volume. Apple TV è in grado di controllare via HDMI-CEC TV e amplificatori collegati e se tramite HDMI riesce a carpire marca e modello dei dispositivi collegati, programma il sensore IR per offrire eventualmente questo metodo di controllo del volume. Il telecomando si collega a Apple TV tramite Bluetooth però, per cui non deve più essere puntato verso il dispositivo. Siri Remote integra inoltre accelerometro e giroscopio, sensori che lo trasformano in un controller per i videogiochi “alla Wii”. C’è pure un cordino opzionale che si collega al connettore Lightning sul retro come sicurezza, per evitare di lasciarsi scappare il telecomando durante una partita scagliandolo contro il TV. La porta lightning può essere utilizzata unicamente per la ricarica di Siri Remote: secondo Apple una carica dovrebbe bastare per circa 6 mesi di utilizzo “normale” e un avviso a schermo indica quando la batteria è scarica. Nella confezione non troviamo un cavo HDMI, ma quello USB/Lightning per la ricarica del telecomando sì. La grande novità è tvOS Come iOS ma per la TV La novità più grande non è tanto l’hardware quanto il software. Con tvOS Apple lancia la sua quarta piattaforma dopo OS X, iOS e watchOS, ma il sospetto è che presto tvOS possa scalzare quest’ultimo per importanza, o che comunque possa rivestire un ruolo molto più centrale. tvOS è una versione di iOS 9 ottimizzata per l’utilizzo su TV: spariscono quei componenti che servono per gestire uno smartphone o un tablet, ma le La nuova home screen di tvOS. torna al sommario MAGAZINE fondamenta sono quelle e questo significa soprattutto che, complice l’utilizzo della stessa famiglia di processori, che gli sviluppatori iOS possono agevolmente creare versioni per Apple TV delle proprie applicazioni e naturalmente svilupparne di completamente nuove con in mente un tipo di esperienza d’uso diversa rispetto all’ambito mobile. Con la nuova Apple TV arrivano dunque le app di terze parti e un nuovo App Store dedicato e questa è la prima enorme differenza rispetto ai modelli precedenti. Significa anche che su Apple TV arrivano non solo servizi di streaming video, ma anche app di ogni tipo, compresi i videogiochi. Si tratta di un aspetto che nei commenti seguiti all’annuncio del prodotto è stato poco considerato e invece è quello che più di ogni altro rende diversa la nuova Apple TV: se la crescita dell’App Store di tvOS ripeterà anche in minima parte il successo della versione per iOS, l’offerta di applicazioni potrebbe in breve tempo diventare ricchissima e di spazio per inventarsi cose nuove sul grande schermo ce n’è sicuramente tanto. Anche sul fronte videoludico, sarebbe meglio andarci piano con lo scetticismo. Sbaglia chi cerca di paragonare Apple TV con console come PlayStation e Xbox: iOS, come Android del resto, ha trasformato praticamente tutti in casual gamer, ed è proprio questo il target che potrebbe farsi sedurre dalle capacità della Apple TV. Quando avviamo Apple TV la prima volta la home screen è praticamente vuota e troviamo solo le app di base: Film di iTunes, Apple Music, Foto, App Store, ricerca, impostazioni e contenuti condivisi via iTunes dal proprio PC (icona “computer”). L’interfaccia di Apple TV è stata completamente rivista a livello grafico rispetto alla versione precedente e nonostante ciò riesce a rimanere familiare. Le linee guida sono quelle introdotte a partire da iOS 7, con un ampio utilizzo di effetti di trasparenza e schermate che cambiano colore in accordo con i contenuti (vedi le pagine di descrizione dei film), ma allo stesso tempo il tutto ha una tridimensionalità molto più accentuata rispetto all’aspetto “flat” di iOS. Questo anche per via del particolare effetto 3D associato alle icone e alle locandine dei contenuti, che sembrano prendere vita quando ci si sofferma con il dito sopra (tramite il telecomando touch si intende). Come nella versione precedente, la schermata principale è divisa essenzialmente in tre blocchi: in alto l’anteprima dell’app selezionata tra quelle della “dock” sottostante, che rispetto al passato ora può accogliere una qual- siasi delle nostre app più utilizzate, mentre più sotto seguono tutte le altre app installate. Tenendo premuto il “cursore” su un’icona si entra nella modalità di customizzazione che consente di spostare le app a piacere ed eventualmente di rimuoverle premendo il tasto play/pausa. Al momento non c’è la possibilità di creare le cartelle, ma è una funzionalità che potrebbe arrivare. Premendo il tasto del telecomando con il microfono, come è noto, in Italia non si accede a Siri, ma alla normale ricerca che, rispetto ai paesi in cui Siri è presente, effettua unicamente le ricerche all’interno dell’iTunes Store e non delle app. Se cerchiamo un film, per dire, escono i risultati di iTunes ma non di Netflix, come succede invece negli Stati Uniti. In più non solo non c’è Siri, ma neppure la dettatura vocale, per cui tutti i testi vanno scritti a mano; anche se con il telecomando touch è molto veloce, è comunque una soluzione lontana dall’ideale. Entrando nell’App Store, nella sezione “i miei Acquisti” troveremo tutte le nostre app di iOS che supportano anche Apple TV. Gli sviluppatori hanno due scelte da questo punto di vista: offrire un’app universale che include la versione per iPhone, iPad e Apple TV e per la quale si paga eventualmente una volta sola, oppure creare una versione del tutto nuova per Apple TV per cui è necessario pertanto un nuovo acquisto. Per le app con dimensione massima superiore ai 200 MB, Apple ha optato per una nuova modalità di scaricamento per tvOS: alla prima installazione vengono scaricati solo i componenti essenziali dell’app, e il resto viene recuperato “on demand” quando necessario. Ufficialmente ciò avviene per evitare di saturare la memoria storage integrata, ma lo stesso problema esiste anche su iPhone e iPad e non è chiaro il motivo di questa scelta. Infine, Apple ha scelto come Google per la sua Android TV, di non dotare tvOS di un browser. L’unico modo per navigare su web è collegare un iPhone o un iPad via Airplay in modalità duplicazione schermo. Una piattaforma promettente La prima installazione di Apple TV è molto semplice e lo è ancora di più se si possiede un iPhone o un iPad. In questo caso, infatti, basta avvicinare il dispositivo iOS con Bluetooth attivato affinché Apple TV importi automaticamente le impostazioni della rete Wi-Fi. Sempre da iPhone o iPad potremo aggiungere la password dell’Apple ID da utilizzare (viene automaticamente selezio- La pagina principale dell’App Store di tvOS. segue a pagina 24 n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TV E VIDEO Triste annuncio: dalla prossima primavera non saranno più disponibili i nastri Betamax Sony dà l’addio al Betamax. Ma era ancora vivo? È la parola fine su uno dei migliori sistemi di registrazione video su nastro mai realizzati di Roberto FAGGIANO l sistema Betamax fu uno dei tre concorrenti nello scorso secolo nella battaglia per lo standard di registrazione video, con l’altro giapponese VHS della JVC e l’europeo Video I 2000. A detta di tutti gli esperti a vincere fu il sistema peggiore dei tre, come sappiamo il VHS. Al sistema Sony venivano riconosciute migliori prestazioni mentre il sistema Video 2000 di Philips aveva il grande vantaggio di poter essere registrato in entrambe le direzioni, come la Compact Cassette audio della stessa Philips, con conseguente durata doppia del nastro. Ma poi le logiche commerciali hanno avuto il predominio e il nastro VHS è arrivato ai nostri giorni ed esistono ancora apparecchi con questo standard. A differenza di Philips, Sony per molti anni non ha mai abbondato lo sviluppo del suo standard, concentrando gli sforzi sul settore professionale dove i registratori Betamax hanno sempre riscosso un buon successo per le loro caratteristiche qualitative, specie nella versione portatile. Ora però anche Sony ha dovuto decretare la fine del suo standard. Per gli appassionati e i professionisti che ancora utilizzano il Betamax c’è tempo fino al prossimo mese di marzo per acquistare gli ultimi nastri, poi sarà l’oblio e il rimpianto. MAGAZINE Estratto dal quotidiano online www.DDAY.it Registrazione Tribunale di Milano n. 416 del 28 settembre 2009 direttore responsabile Gianfranco Giardina editing Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago, Alessandra Lojacono, Simona Zucca Editore Scripta Manent Servizi Editoriali srl via Gallarate, 76 - 20151 Milano P.I. 11967100154 Per informazioni [email protected] Per la pubblicità [email protected] TEST Apple TV segue Da pagina 23 nato quello attivo sul proprio dispositivo iOS) e dopo aver dato conferma alle solite condizioni d’uso, Apple TV è pronta ad essere utilizzata. Un popup ci avverte se vogliamo scaricare subito i bellissimi filmati che fanno da salvaschermo, che però pesano circa 600 MB, e che quindi ci intaseranno la banda nelle prima fase di utilizzo. Ci vogliono davvero pochi minuti per familiarizzare con il nuovo telecomando, anche perché il touch pad funziona davvero egregiamente con una risposta praticamente istantanea a schermo. L’interfaccia è molto fluida, sia nell’home screen, che in generale nelle app preinstallate da Apple. Con un doppio click del tasto home si apre la gestione delle app aperte in background, come su iOS, ed è l’unico frangente in cui ci vuole un secondo di troppo prima che “accada qualcosa”, ma anche qui poi la grafica rimane fluidissima. Delle app native di Apple, l’unica un po’ problematica ci è parsa quella di Apple Music: abbiamo riscontrato sia anomali problemi di buffering dello streaming (non imputabili alle condizioni di carico della rete), sia di stabilità dell’applicazione stessa, che più di una volta si è chiusa da sola, mentre l’interfaccia, per quanto bella video lab Apple TV con tvOS La nostra prova in video torna al sommario graficamente, confonde forse ancora più di quella per iOS; la schermata di riproduzione presuppone la conoscenza di gesture poco ovvie, mentre il tasto menù/back sembra non fare mai due volte la stessa cosa.Un po’ più tentennate la grafica con l’app di Netflix: qui, sfogliando il catalogo, ogni tanto abbiamo visto qualche microscatto, crediamo dovuto allo scaricamento da Internet delle locandine dei film, mentre davamo dei veloci colpetti di pollice sul telecomando per scorrere la schermata. Per quanto riguarda la visione Anche Apple Music ha la sua app per Apple TV. di film e contenuti in streaming c’è in realtà poco da dire. Qui il funzionamento non è molto che complementano in qualche modo l’app per smardiverso dal modello precedente. Certo, per Netflix ora tphone, come Airbnb, ad esempio, che permette di sfoc’è l’app vera e propria, mentre l’iTunes Store per l’acgliare e salvare camere e appartamenti guardando le immagini sul TV, ma senza tutta la parte di prenotazioquisto e noleggio di film è molto più bello graficamente ne. Solo il tempo qui ci dirà quanto tvOS avrà successo e una vera e propria girandola di colori, ma l’esperienza tra gli sviluppatori, per cui vedremo. di guardare un film non cambia rispetto al passato e la qualità audio/video è del tutto dipendente dai contenuSorprendente per certi versi invece la qualità dei videoti del servizio che andiamo a utilizzare. Nel momento in giochi su TV. In effetti, a pensarci bene, qui il tutto gira cui scriviamo, sull’App Store di tvOS l’unico servizio di su uno schermo 1080p, mentre su iPad la risoluzione è decisamente superiore, 2048x1536 pixel, ma resta il streaming con film e telefilm in italiano a disposizione è fatto che molti dei giochi che abbiamo provato reggono Netflix; i vari Infinity, Sky Online, Chili, Wuaki, RAI e via il grande schermo del TV senza alcun problema. Alcuni discorrendo sullo store non ci sono ancora, il che è per giochi di successo su iOS, sembrano quasi fatti appocerti versi sorprendente: ci saremmo aspettati da parsta per qualche minuto di svago sul divano come Alto’s te di Apple maggiore impegno per arrivare anche con Adventure o Badland. Asphalt 8 è graficamente molto una buona dose di app i provider italiani di contenuti. Fortunatamente, per i possessori di un altro dispositivo bello su TV, non da console di nuova generazione, ma iOS, c’è sempre AirPlay, che da quello che abbiamo sicuramente sopra le aspettative, e il telecomando con potuto vedere funziona in modo impeccabile. Di app giroscopio funziona egregiamente come controller. ce ne sono già parecchie comunque sullo store. Oltre Crossy Road, protagonista anche all’evento di lancio di ai soliti YouTube, Vimeo, Dailymotion, Vevo, ci sono già settembre, in multiplayer funziona perfettamente ed è decine di giochi, ma anche applicazioni come Airbnb, divertente. Sono forse solo “giochini” da casual gamer, TripAdvisor, Flicker, app varie di ricette, fitness e chi più ma proprio anche per questo sono uno dei punti di forne più ne metta. Molte sono semplicemente il porting za dell’attuale offerta dell’app store di tvOS e crediamo in formato TV delle versioni per iOS, altre sono versioni che qui il potenziale sia davvero molto grande. I T S TA R T S W I T H NUOVO TV 4K ULED 65XT910 ASSOLUTA PROFONDITÀ E MASSIMA BRILLANTEZZA PER UNA SORPRENDENTE QUALITÀ DELL’IMMAGINE. Tecnologia ULED con controllo dinamico della retroilluminazione. Neri profondi, ampliata gamma di colori e massima fluidità delle immagini in movimento. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Le nostre prime impressioni sono positive: Windows 10 spinge i due top di gamma Microsoft verso nuovi ambiziosi livelli Lumia 950 e 950 XL, Windows 10 a tutta potenza Hanno potenza da vendere, Continuum per usare schermi più grandi e sono più sicuri grazie allo scanner biometrico di Roberto PEZZALI I nuovi Lumia 950 e 950XL saranno disponibili in Italia dal 28 di novembre, ma abbiamo avuto modo di provare i due modelli con qualche settimana di anticipo nel corso della presentazione ufficiale. I dettagli dei nuovi Lumia sono ben noti: Microsoft ha sfornato dei veri top di gamma in concomitanza con l’uscita di Windows 10 versione smartphone, sistema operativo che come vedremo rappresenta il valore aggiunto di questi due nuovi modelli. I Lumia 950 e 950XL beneficiano di tutte le novità portate da Windows 10 su smartphone, da Cortana a Windows Hello, ma crediamo di non fare un torto a nessuno se diciamo che tra tutte le feature quella a nostro avviso fondamentale è la possibilità di sfruttare le Universal App per trasformare lo smartphone in una sorta di computer, grazie anche alla docking esterna. video lab I due top di gamma saranno inoltre disponibili solo nel colore bianco e nero: è vero che sono quelli più scelti, ma i Lumia sono sempre stati caratterizzati da colori fluo e allegri e in questo caso, essendo la cover comunque removibile, si poteva prevedere qualche opzione in più. Lumia 950 e 950XL sono molto simili nell’aspetto, con la versione XL che può contare su uno schermo da 5.7” contro i 5.2” del modello più piccolo: tenendoli in mano ci hanno impressionato per l’incredibile leggerezza e soprattutto per la definizione del display, un Amoled che nel modello 950 può contare sulla “assurda” definizione di 564 ppi, che diventano 518 spalmati sui 5.7” del Lumia XL. La risoluzione, come è possibile intuire, è identica per i due schermi, 2560 x 1440 che sono addirittura troppi su uno smartphone. Tornando alla costruzione l’unico rammarico è l’assenza di un case VaporMG, realizzato quindi con le stesse tecniche di fusione del magnesio dei tablet Surface: se i Lumia 950 e 950XL hanno un cuore da veri top di gamma, dal punto di vista costruttivo ricordano molto alcuni modelli lumia di fascia mid, con il classico corpo in policarbonato che Microsoft ha ereditato da Nokia. Crediamo che questi due modelli saranno gli ultimi del ramo “Nokia”, e dal prossimo anno, con la divisione smartphone nelle stesse mani di chi ha dato vita a Surface e Surface Book, gli smartphone verranno profondamente rivisti anche nel design. Inutile spendere parole sulle prestazioni: Microsoft ci ha da sempre impressionato per prestazioni davvero eccellenti anche con poche risorse a disposizione, e questi nuovi modelli che hanno ben 3GB di RAM e processori veloci sicuramente non tradiscono. segue a pagina 27 Microsoft ha usato lo Snapdragon 810 sul modello XL con un heatpipe per spostare il calore dal processore alla zona esterna, e nonostante il corpo in plastica ci è parsa una soluzione abbastanza efficace. Con lo torna al sommario Snapdragon 810, in ogni caso, è sempre bene tenere d’occhio il riscaldamento, anche se Microsoft dovrebbe aver usato l’ultima revisione del SoC; sul modello 950 da 5.2” la scelta è caduta sull’808, prodotto forse meglio riuscito dell’810 per certi aspetti, nonostante abbia solo 6 core al posto degli 8 dell’810. Una scelta, quest’ultima, slegata probabilmente dalle prestazioni che sono analoghe ma fatta per poter garantire sui due prodotti la stessa identica autonomia. La parte “foto” è simile: la fotocamera da 20 megapixel con tecnologia PureView ha un triplo flash LED, è stabilizzata (ottico e elettronico), riprende in 4K e ha un obiettivo F1.9 di apertura e 26mm di lunghezza focale: nella location scelta ma Microsoft per l’evento siamo riusciti solo a scattare una veloce foto in condizioni di illuminazione non certo ottimali, ma siamo abbastanza certi che i nuovi Lumia si candidano per essere i prodotti da battere in ambito fotografico. Tra le altre novità non citate il riconoscimento dell’iride: un sensore IR nella cornice superiore funziona come sensore biometrico per lo sblocco, identifica volto e occhi e riesce ad autenticare la persona in pochissimo tempo. Il sistema dovrebbe essere più sicuro dell’impronta digitale, ma a nostro avviso è troppo lento: a riconoscere ci mette comunque qualche secondo. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE MOBILE Google annuncia che il navigatore di Google Maps ora funziona in assenza di rete dati Google Maps: ecco la Navigazione offline Una vera “manna” quando ci trova all’estero e nei casi in cui viene meno la connessione L di Emanuele VILLA a notizia è di quelle notevoli: il navigatore di Google Maps, usato da milioni di persone, diventa utilizzabile anche in assenza di connessione internet cellulare. Google l’aveva promesso allo scorso I/O e oggi ha mantenuto la promessa. Questo significa che da oggi Google Maps diventa tale e quale i navigatori offline tradizionali come quelli di Tom Tom o Navigon per esempio, una manna per chi si trova all’estero e non vuole “pesare” eccessivamente sul piano dati oppure in tutti quei casi in cui la connessione dati è un po’ traballante (cosa tutt’altro che infrequente quando si viaggia). Al momento l’opzione è percorribile solo con la versione Android, ma la promessa è quella di integrarne una analoga anche su iOS nel prossimo futuro. A ben vedere, una modalità offline di Google Maps esiste da parecchio (2012) ma finora è stata limitata al salvataggio delle mappe nella memoria del telefono; la nuova modalità vi aggiunge la ricerca attraverso luoghi e punti d’interesse (non ci saranno comunque foto, commenti ed elementi multimediali “pesanti”) e tutte le funzio- nalità di navigazione. Saranno ovviamente limitate le informazioni relative al traffico, che si limiteranno a fornire una stima sulla base della fascia oraria anziché ricevere informazioni puntuali in tempo reale. MOBILE Google pensa a una CPU per Android Google starebbe pensando di realizzare (o di far realizzare) dei processori per smartphone Android, in modo tale da ottenere prodotti specifici in grado di lavorare al meglio con il software sviluppato.Un’idea, secondo quanto riportato da alcuni organi di stampa, che sarebbe venuta a Google in fase di progettazione del suo tablet / laptop ibrido Pixel C. L’arrivo di processori pensati per Android sarebbe un grande colpo per Google, tuttavia la missione è tutt’altro che semplice. Per avere successo, Google dovrebbe riuscire a convincere il produttore più grande, Qualcomm, a realizzare con le sue specifiche, i suoi brevetti e le sue tecnologie una prossima versione della famiglia Snapdragon, attualmente la scelta preferita per realizzare smartphone di fascia alta. Una missione che appare davvero molto difficile da portare a termine. TEST Anteprima Lumia 950 e 950 XL segue Da pagina 26 Veniamo ora al pezzo forte, la docking esterna: collegando questo accessorio, che viene dato in omaggio a chi acquista il modello XL, è possibile trasformare lo smartphone in una sorta di computer sfruttando Continuum. In realtà, e ora spieghiamo perché, non è un vero computer, anche se quello che l’azienda ha fatto è ammirevole e pone le basi per un qualcosa di davvero nuovo. La prima cosa da dire è che la dock non è indispensabile: è possibile accoppiare allo smartphone un mouse e una tastiera Bluetooth trasmettendo i contenuti tramite Miracast, in modalità quindi wireless. Serve in ogni caso un monitor Miracast. La docking è obbligatoria solo per chi vuole una postazione cablata, forse più rapida e veloce. Attivando Continuum Windows 10 crea un secondo display e lo invia al monitor esterno, display sul quale apre le singole applicazioni. Non è un vero “Windows” perché non ci sono finestre: il desktop che viene mostrato in realtà è solo uno sfondo esteso sul quale vengono lanciate, sempre a pieno schermo, le singole app. Per evitare di impattare troppo sul sistema Continuum gestisce una sola app attiva per volta, non c’è lo split screen e non si possono neppure tenere attive due app sul desktop: è in pratica un clone di Windows Phone spostato su uno schermo più grande, con un menu, una barra notifiche e il multitasking che serve solo a selezionare un’app tra quelle che abbiamo lasciato in background. torna al sommario Per spostare ad esempio una tabella da Excel e inserirla in Word dobbiamo aprire Excel, copiare la tabella negli appunti, aprire Word e incollarla. Operazioni, queste, che possono comunque essere fatte con mouse e tastiera come se ci trovassimo di fronte ad un vero PC, e seppur le funzionalità delle app siano limitate l’idea di poter avere una piccola workstation in tasca non è affatto da sottovalutare. Purtroppo non tutte le app sono già pronte per questa piccola rivoluzione che arriva da Redmond: per poter gestire tutti i formati di schermo e riadattarsi su uno schermo grande in formato 16:9 l’applicazione dev’essere sviluppata utilizzando la tec- nologia Universal App, e solo le più recenti lo sono. Gli sviluppatori non sono sempre stati pronti a reagire agli input dati da Microsoft negli ultimi anni, e hanno preferito buttarsi su iOS e Android per la maggiore diffusione degli altri OS, ma l’arrivo di Windows 10 ha creato per loro una enorme possibilità, che verrà ampliata a breve anche dalle app su Xbox One. Microsoft ha in ogni caso chiuso un cerchio: con Windows 10, Surface, i nuovi Lumia e l’aggiornamento di Xbox Windows 10 è un valido e completo ecosistema, al quale manca forse solo componente, una Microsoft TV. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Abbiamo avuto la possibilità di utilizzare per qualche giorno l’attuale tablet top di gamma Samsung e ci è piaciuto molto Samsung Galaxy Tab S2, il miglior tablet Android Eleganza, costruzione di qualità e scheda tecnica di primo livello fanno di Galaxy Tab S2 il dominatore del panorama Android di Vittorio Romano BARASSI nnunciato un po’ a sorpresa a luglio, ben in anticipo rispetto all’IFA 2015, Galaxy Tab S2 è un tablet che ha tutte le qualità per far parlare di sé. Il dispositivo viene proposto in due versioni, uguali nel design ma contraddistinte da un display da 8 pollici e da 9,7 pollici; la versione con pannello più grande è quella che Samsung ha deciso di inviarci per la prova completa ed è caratterizzata da un prezzo di listino di 589 euro, una cifra importante ma allineata alla concorrenza soprattutto considerando che il device è accompagnato da un modulo LTE per la connessione in mobilità. La versione da 8 pollici costa 489 euro e, almeno in Italia, non sono previste varianti Wi-Fi only. A È il tablet più sottile e un peso piuma Essenziale. È così che potremmo definire la confezione di Galaxy Tab S2, che nella scatola è accompagnato solo dal caricatore, dal cavo USB-microUSB, da una graffetta per l’apertura degli slot e da un conciso manuale d’uso che probabilmente in pochi leggeranno. Essenziale è anche il design del prodotto, ma in questo caso è giusto affiancare un altro aggettivo: elegante. Galaxy Tab S2 è un tablet ben realizzato e contraddistinto da una scocca metallica che contribuisce non poco ad elevare la percezione di qualità generale. La cornice dona un senso di solidità che pochi altri prodotti sono in grado di garantire e lo spessore di soli 5,6 millimetri (la fotocamera leggermente sporgente è esclusa da questo conteggio) fanno del tablet in oggetto, al momento della stesura di questa prova, il modello più sottile in assoluto sul mercato. Le dimensioni di 237,3 x 169 millimetri sono giuste per un tablet con display dalla diagonale di poco inferiore ai 10 pollici ma quello che più stupisce è il peso: 392 grammi sono davvero poca cosa e rendono perfetto l’utilizzo con una mano sola anche a chi non è abituato ad usare dispositivi di questo genere. Poco male se il retro del tablet è in plastica e stona un po’, sia stilisticamente che qualitativamente, con il resto della costruzione: tra le mani si avrà sempre il più sottile e leggero dei tablet in commercio, il che fa dimenticare presto questa piccola velleità nella scelta del materiale da parte di Samsung. Bello il colore dell’esemplare Gold in prova, anche se più che oro pare di ritrovarsi dinanzi a una tonalità a metà strada tra il grigio e il rame (è disponibile anche una variante nera). Pulsanti e slot per microSD e nano SIM sono tutti sulla porzione destra video b a 589,00l€ Samsung Galaxy Tab S2 10” IL TABLET ANDROID DI RIFERIMENTO Galaxy Tab S2, al momento, è quanto di meglio si possa desiderare se si cerca un tablet Android “top” capace di fare tutto senza problemi. Il display SuperAMOLED è un gioiello, le prestazioni sono di prim’ordine e il design è fantastico; se a questo aggiungiamo un sistema snello, una fotocamera dignitosa (per un tablet, ma posizionata male) e anche il modulo di connettività LTE installato di default otteniamo un prodotto completo sotto ogni punto di vista. La batteria poco “capiente” non può rappresentare un grande limite perché non si sta parlando di uno smartphone e quindi per non comprare questo tablet bisognerebbe cercare qualche altra scusa. Una scusa valida potrebbe essere quella di preferire iPad Air 2: il tablet di Apple non è disponibile in configurazione da 32 GB e la prima versione con LTE a bordo (da 16 GB) costa 619 euro, 30 in più di Galaxy Tab S2 che ha il doppio dello spazio fisico. Difficile fare paragoni quando si prova a confrontare due prodotti con sistemi operativi/piattaforme completamente differenti, ma non c’è dubbio che i due prodotti se la giochino alla pari. Scegliere non sarà facile perché più che sulla qualità dei prodotti (elevatissima) bisognerà ancora una volta interrogarsi sull’ecosistema: se la scelta cade su Android, Tab S2 va preso in seria considerazione. 8.7 Qualità 9 Longevità 8 Design 9 Display eccellente, in formato 4:3 COSA CI PIACE Molto sottile, leggero, ben costruito Connettività LTE “di serie” del dispositivo mentre in basso ci sono - simmetricamente - jack da 3,5 mm e ingresso micro USB con ai lati i due altoparlanti di sistema, posizionati in maniera stilisticamente perfetta ma poco funzionale. Nell’utilizzo multimediale a due mani si finirà per coprire uno dei due speaker, con conseguente produzione di un suono ovattato. Poco razionale, come sottolineeremo più avanti, anche la scelta di posizionare la fotocamera principale posteriore in posizione centrale e molto alta: scattando a due mani si rischia sempre di mettere un dito davanti all’obiettivo. Come da tradizione Samsung è presente un unico pulsante fisico home sul frontale il quale funge pure da sensore biometrico per il riconoscimento delle impronte digitali. Il sistema funziona abbastanza bene ma c’è da dire che molti produttori hanno soluzioni che reagiscono in maniera più precisa e veloce. Ai lati del tasto home vi sono due pulsanti a sfioramento: a sinistra il comando per il multitasking e a destra quello “indietro”. Un display più vivo che mai Ora in formato 4:3 La divisione mobile di Samsung ha sempre puntato su display di eccellente qualità e Galaxy Tab S2 non fa ec- Semplicità 8 COSA NON CI PIACE D-Factor 8 Prezzo 9 Autonomia solo sufficiente Fotocamera posizionata male Rallentamenti col browser stock cezione. Il tablet è equipaggiato con un pannello SuperAMOLED da 9,7 pollici di diagonale che da solo, come si direbbe in altri ambiti, varrebbe il prezzo del biglietto; siamo dinanzi a un display da 2048 x 1536 pixel che più che per la risoluzione QXGA - siamo a 264 pixel per pollice - colpisce per la capacità di resa cromatica (Samsung parla di una copertura del 94% dello spazio AdobeRGB), ovviamente uno dei punti forti della tecnologia AMOLED alla base del pannello e che finisce sempre per stupire, soprattutto se a giudicarlo è un’utenza poco geek e più casual. segue a pagina 29 torna al sommario n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 TEST Samsung Galaxy Tab S2 segue Da pagina 28 Il display, insomma, piace a tutti e le diverse possibilità di taratura dei valori cromatici (nelle impostazioni sono disponibili cinque diversi preset) sono in grado di accontentare sia i gusti di un utente più a suo agio con tonalità naturali sia quelli di chi preferisce la massima vividezza. In ogni caso i neri sono sempre eccellenti (d’altronde è un OLED) mentre i bianchi solo forse un po’ meno puri, specie se ci si sposta dall’angolo di visione ottimale. Ottimi ma non straordinari gli angoli di visuale: considerando la tecnologia in ballo qualcosa di meglio lo abbiamo visto, ma qui si parla di piccolezze perlopiù evidenziabili solo ad angolature estreme. Pigro e poco preciso, infine, il sensore di luminosità ambientale targato LiteON: ci mette sempre almeno un paio di secondi per adattarsi agli sbalzi di luce e ogni tanto sbaglia nella selezione della giusta luminosità del display. Il voto generale sullo schermo cresce ancora se si evidenzia il deciso cambio di rotta imposto da Samsung in quanto alle proporzioni del display. Si è passati da un formato wide 16:10 della precedente generazione (il Tab S montava un 10,5” da 2560 x 1600 pixel) a uno 4:3, identico quindi a quello montato da Apple su iPad Air 2 anche nella risoluzione. Con questa scelta Samsung ha dunque volutamente sacrificato qualcosa sul fronte della multimedialità (prima era più piacevole vedere filmati in 16:9 o giocare a determinati videogames) ma ha guadagnato notevolmente in tutti gli altri ambiti: navigare sul web, sfogliare una rivista elettronica, leggere un ebook o scrivere un file in Word sono operazioni certamente più adatte al formato 4:3. Promosso quindi con voti altissimi il display, componente senza dubbio eccezionale del prodotto in questione. CPU e RAM sono OK Ma non di ultima generazione Nei 5,6 millimetri di spessore che contraddistinguono il tablet in oggetto Samsung ha deciso di installare un SoC Exynos 5433 dotato di processore ad 8 core (quattro ARM Cortex-A57 da 2.1 GHz più altrettanti MAGAZINE ARM Cortex-A53 da 1.5 GHz) e grafica Mali-T760 affiancati a 3 GB di memoria RAM LPDDR3. Si tratta di un pacchetto più che adeguato a garantire la massima reattività di Galaxy Tab S2 in ogni situazione, anche se l’Exynos scelto da Samsung non rappresenta quanto di meglio ha da offrire l’azienda poiché si tratta di un SoC di precedente generazione che abbiamo già visto sui phablet Galaxy Note 4 e Galaxy Note Edge di fine 2014. L’Exynos 7 Octa 7420 dei più recenti Galaxy S6 (ma anche di Galaxy Note 5 e Meizu Pro 5) sarebbe stato più azzeccato per il top di gamma dei tablet di casa Samsung ma non ci si può di certo lamentare: anche se i benchmark fanno registrare punteggi non troppo esaltanti, soprattutto se rapportati a quelli del diretto concorrente iPad Air 2 (ma resta sempre difficile paragonare due piattaforme diverse), Galaxy Tab S2 se la cava bene nell’utilizzo tranquillo e anche in quello più intenso, facendo registrare sporadici (anche se imbarazzanti) rallentamenti solo con il browser di sistema, evento raro ma comunque abbastanza fastidioso da far preferire Chrome (già preinstallato) nelle operazioni di navigazione quotidiane su web. I 3 GB di RAM garantiscono apertura, chiusura e passaggio tra le varie applicazioni senza il benché minimo problema; la CPU ci mette del suo nei momenti più concitati e la GPU Mali fa sì che tutti i giochi di ultima generazione siano sempre fluidi, seppur ogni tanto leggermente poveri nei dettagli. Possibile la riproduzione dei filmati in Ultra HD a 30 frame al secondo, caratteristica senz’altro non essenziale ma che fa decisamente comodo in caso di necessità. C’è Microsoft Office e poco altro La versione di Android installata a bordo è la 5.0.2 Lollipop; anche in questo caso non parliamo dell’ultimissima release del sistema operativo di Google e nemmeno della penultima, ma quello che ci si ritrova tra le mani è un pacchetto solido che garantisce la massima affidabilità e stabilità. A questo punto del 2015 la 5.1.x sarebbe forse più logica, ma presto arriverà l’aggiornamento ad Android 6.0 Marshmallow. Sul fronte della personalizzazione dimentichiamoci poi delle vecchie UI TouchWiz cui Samsung ci ha abituato per anni; come per gli ultimi smartphone/phablet anche su Galaxy Tab S2 è presente un’interfaccia snella che dona al sistema quel mix di leggerezza, gioventù e, secondo molti, anche di eleganza, il che ben si sposa con il resto del pacchetto. Alla prima accensione non si fa fatica a capire come le applicazioni preinstallate siano ben poche: oltre alle Google Apps c’è spazio solo per le applicazioni proprietarie MySamsung, SydeSync, Smart Manager (utile per l’ottimizzazione delle risorse di sistema) e per lo store Galaxy Apps. Unica velleità importante è la presenza della suite Microsoft Office, aggiunta che certamente risulta utile su questa tipologia di prodotto. Il modello da noi testato era equipaggiato con 32 GB di memoria fisica eMMC, di cui quasi 7 occupati da file di sistema e circa 25 realmente a disposizione dell’utente; chi vuole più spazio dovrà accontentarsi di acquistare una microSD (fino a 128 GB) poiché in Italia non è disponibile la versione da 64 GB in vendita su altri mercati. Tra le funzioni particolari che contraddistinguono il tablet in questione segnaliamo lo standby intelligente che previene lo spegnimento del display quando lo si sta guardando, la possibilità di silenziare suonerie/ sveglie semplicemente appoggiando una mano sullo schermo e pure la gesture di scorrimento con il lato del palmo della mano da una parte all’altra del pannello per catturare la schermata, feature quest’ultima che sinceramente - funziona una volta sì e una no. Decisamente comodo è poi il multi-window che permette di tenere sul display due diverse applicazioni; peccato solo che non tutte le app siano compatibili con questa funzionalità, soprattutto se tale mancanza affligge software come Microsoft Word ed Excel (e gli altri del pacchetto Office). Comoda pure la possibilità di ridurre un’applicazione a finestra; nulla di nuovo ma su un tablet è una caratteristica che non dovrebbe mai mancare e Samsung lo sa bene. Riguardo all’esperienza d’uso non c’è molto altro da segnalare. Il sistema, come abbiamo anticipato in precedenza, non dà mai la sensazione di essere “col fiato corto” e anche nelle situazioni più concitate l’unica cosa che si percepisce è solo un leggero surriscaldamento della porzione superiore del dispositivo, per giunta per nulla fastidioso. Batteria “piccola” Ma è difficile fare meglio Design fantastico, buona costruzione e ottime prestazioni fanno di Galaxy Tab S2 un prodotto apparentemente perfetto ma per ottenere questo risultato, ovviamente, qualcosa andava sacrificato. Nel caso del prodotto in questione a pagare pegno è l’autonomia generale, sicuramente buona se si considerano le dimensioni del dispositivo (lo ripetiamo, il tablet è spesso solo 5,6 millimetri) ma in assoluto non esaltante, soprattutto se si considerano i risultati ottenuti da altri dispositivi analoghi offerti dalla concorrenza. segue a pagina 30 torna al sommario n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE MOBILE Apple Music fa il proprio debutto in casa Android. Un’app nativa che replica la maggioranza delle funzionalità per iOS Apple Music è disponibile per Android. Molto simile ad iOS È disponibile in tutti i mercati dove c’è il servizio Music ad eccezione della Cina. Al momento è da considerarsi in beta di Emanuele VILLA opo la promessa di qualche mese fa, Apple Music entra ufficialmente nel mondo Android. Music è dunque la seconda applicazione Apple a sbarcare nel Play Store di Google (la prima è stata Move to iOS per il passaggio da Android ad iPhone) e promette - per quanto vada considerata ancora in beta - le medesime funzionalità della versione “nativa” per iOS. Chi lo volesse provare lo trova a questo indirizzo. Al di là di alcune piccole differenze di tipo grafico necessarie per rientrare nelle linee guida Android (modifiche che comunque non snaturano il design D originale), Apple Music per Android replica di fatto le medesime funzionalità dell’analoga versione iOS e tra l’altro è disponibile in tutti i mercati dove è di- TEST Samsung Galaxy Tab S2 segue Da pagina 29 Con Galaxy Tab S2 non siamo mai riusciti a superare i quattro giorni di utilizzo, che per un tablet dovrebbero rappresentare forse il giusto risultato. Con tutte le connessioni attive e luminosità del display impostata sul valore massimo (ma in modalità automatica) tre giorni di utilizzo abbastanza intenso li si riesce comunque a fare: giochi e filmati pretendono parecchia energia mentre il consumo scende molto più lentamente in modalità di browsing web oppure nella lettura di eBook e/o documenti di varia natura. Molto lunghi i tempi di ricarica: per portare al 100% la batteria da 5870 mAh (partendo circa dal 10%) ci si impiega quasi quattro ore, risultato raggiungibile con il caricatore presente nella confezione di vendita che permette il fast-charging del dispositivo. resenti a bordo GPS e GLONASS, Wi-Fi 802.11 a/b/g/n/ac dual band (con Wi- torna al sommario sponibile il servizio Music ad eccezione della Cina.I prezzi sono gli stessi della versione iOS, c’è anche qui il periodo di prova gratuita di 3 mesi e le funzio- Fi Direct) e modulo Bluetooth 4.1 Low Energy. Come abbiamo scritto in precedenza non manca neppure la connettività LTE mentre, seppur non fondamentale in questo ambito, è assente un chip NFC. Segnaliamo infine che per trasferire i file da un computer al tablet (o viceversa) via cavo c’è necessariamente bisogno di SmartSwitch, software proprietario di Samsung disponibile per PC e Mac e scaricabile direttamente dal sito del produttore. Buone foto per un tablet Dita permettendo Chi compra un tablet non lo fa per scattare foto o fare video, ma negli ultimi tempi si è riscontrata una certa tendenza all’utilizzo delle fotocamere dei tablet, soprattutto nelle fasce di età più avanzate. Per questo motivo, diverse aziende hanno iniziato a proporre moduli “dignitosi” anche in questo settore. Samsung non ha voluto essere da meno e ha deciso di equipaggiare questo Galaxy Tab S2 con un modulo principale composto da un sensore CMOS da 8 megapixel e da una nalità sono sostanzialmente le stesse, compresa la presenza della radio esclusiva Beats 1. Anche qui la grande suddivisione è tra Per te, Novità, Radio, Connect e Musica, con contenuti analoghi. Chi ha altri dispositivi Apple Music con musica in cloud può accedere ai medesimi contenuti, mentre non è ancora possibile sottoscrivere un piano famiglia tramite l’app: chi ce l’ha già, però, può usarlo senza problemi. Mancano ancora i video musicali, ma quelli arriveranno in un secondo momento: d’altronde l’app è considerata formalmente in beta proprio perchè mancano ancora alcune funzionalità, pur essendo il “core” ormai completato. Buon ascolto. buona lente con apertura f/1.9. Numeri a parte, alla fine dei conti ci troviamo dinanzi ad una fotocamera dalla resa più che sufficiente; in condizioni ottimali e con un po’ di fortuna si può anche ottenere qualche scatto interessante ma nel complesso le foto risultano abbastanza povere nei dettagli e, una volta visualizzate su schermi esterni, pure un po’ spente nelle tonalità. Un po’ nervosa la messa a fuoco automatica mente buona ci è sembrata la gestione del bianco. Quando le condizioni di luce iniziano a farsi difficili la resa cala di conseguenza: non c’è un flash che può aiutare e la rumorosità aumenta in modo avvertibile. Stesso discorso lo possiamo fare anche per quanto concerne la parte video: i filmati sono assolutamente nella media della categoria (forse qualche gradino sopra) e se registrati in Full HD possono anche sfruttare la stabilizzazione digitale. Galaxy Tab S2 permette anche la registrazione di video in QHD (2560 x 1440 pixel a 30 fps) ma, sinceramente, non è una di quelle cose che fanno gridare al miracolo e a parità di ripresa il risultato è indubbiamente migliore a 1080p con stabilizzazione attiva. Se dovessimo assegnare un voto al comparto fotocamera (a proposito, il modulo frontale CMOS da 2,1 megapixel è più che sufficiente per selfie e videochiamate) questo meriterebbe una sufficienza piena e andrebbe anche ben oltre se considerassimo la qualità media messa sul campo dalle soluzioni presenti su tablet concorrenti. Sia chiaro, diversi smartphone di fascia media (anche medio-bassa) sono in grado di fare di meglio ma in ambito tablet non ci aspettiamo risultati migliori. uello che proprio non siamo riusciti a digerire è il posizionamento del modulo principale sul retro: è troppo in alto e quando si scatta in modalità “orizzontale” spesso costringe ad impugnature non troppo naturali al fine di evitare la comparsa delle dita nelle fotografie. Va bene il design, ma un centimetro più in basso avrebbe sconvolto tutto? n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Abbiamo provato Stonex One, lo smartphone nato da una idea italiana e che ha raccolto diverse critiche negli ultimi mesi Stonex One: idea buona, ma risultato da rivedere L’idea di realizzare uno smartphone top di gamma a metà prezzo era buona, ma (ovviamente) non facile da realizzare di Roberto PEZZALI tonex One è sul mercato da diversi mesi, dopo aver criticato più volte l’azienda brianzola per un comportamento non troppo trasparente nei confronti dei clienti abbiamo atteso che a parlare fosse il prodotto. Stonex One è da oltre un mese in redazione, e abbiamo voluto attendere un po’ di tempo prima di rilasciare una prova completa per dare la possibilità alla stessa Stonex di limare e sistemare i primi difetti di gioventù, cosa che sta cercando di fare con una serie di aggiornamenti rilasciati con una certa costanza. Francesco Facchinetti, che di Stonex è il Direttore Creativo, lo ha detto più volte: “Stonex One è un bambino che deve crescere”, e di tutti gli annunci fatti dal carismatico personaggio questo è forse l’unico che sentiamo di condividere a pieno, perché Stonex One non è affatto un prodotto maturo e anche con l’ultimo aggiornamento permangono alcuni bug che portano lo Stonex One ad essere uno smartphone un po’ troppo instabile per chi vuole un prodotto da usare serenamente e senza preoccupazioni. Sulla questione “software” torneremo comunque più avanti, per ora vogliamo spendere qualche parola sulla qualità costruttiva e sull’hardware dello Stonex One. S Una buona idea ha portato a scelte ardite L’idea di Stonex con lo Stonex One, era quella di dare un prodotto di fascia alta ad un prezzo più che onesto: 299 euro per uno smartphone con 3 GB di RAM, 32 GB di memoria, una fotocamera Sony da 21 Megapixel e uno schermo QuadHD sembrano infatti un prezzo più che ragionevole e sulla carta lo Stonex ha i numeri per essere considerato un top di gamma con un prezzo da fascia media. Basta prendere in mano lo Stonex One per rendersi conto che non siamo davanti ad un top di gamma, almeno nella costruzione: l’impressione è quello di un prodotto decisamente economico con finiture tutt’altro che di pregio. Dal punto di vista costruttivo infatti saltano subito all’occhio la pellicola sullo schermo incollata con poca precisione (può essere rimossa con un po’ di fatica), una porta micro USB per la ricarica bordata da una sottile cornice plastica decisamente fragile (romperla è facile se non si sta attenti a inserire il micro USB) e una cornice verniciata che, senza custodia, difficilmente manterrà il suo colore dopo qualche mese di uso intenso. Se il vetro frontale è totalmente video lab Stonex One ECONOMICO DI PREZZO E DI FATTO, CON QUALCHE BUG DI TROPPO 299,00 € Per costruire uno smartphone e lanciarlo sul mercato servono risorse, tantissime risorse: sviluppatori, ingegneri, collaudatori e addetti vendite e marketing, e attualmente sembra che in Stonex sia presente solo quest’ultima risorsa. Lo Stonex One non è un brutto telefono: con quelle specifiche non si poteva chiedere di più a 299 euro, ma è un prodotto che rischia di restare incompiuto. Facchinetti dice il giusto quando parla di bambino che deve crescere, ma l’impressione è che Stonex non sappia come farlo crescere per portarlo nel mondo dei grandi. Con un software ottimizzato, privo di bug e cucito su misura ci saremmo trovati di fronte ad un altro smartphone: poco importa se la plastica in corrispondenza dell’USB dopo qualche mese si crepava, la cosa fondamentale era trovarsi di fronte ad un prodotto stabile, con un’ottima autonomia, veloce in tutte le situazioni e affidabile. Cose che invece ad oggi Stonex non garantisce ancora e che, dopo diversi aggiornamenti di quello che viene chiamato CiaoOS, non sembra essere in grado di raggiungere neppure in futuro. 6.1 Qualità 6 Longevità 5 COSA CI PIACE Display di buona qualità Design 6 Semplicità 7 D-Factor 6 Prezzo 7 Troppi bug e instabilità software COSA NON CI PIACE Autonomia della batteria Costruzione decisamente economica privo di trattamento anti-impronta, e si sporca con facilità, il retro blu nella sua semplicità ha una finitura tutto sommato piacevole. Stonex One è disponibile solo in blu, finitura blu Klein: questo a nostro avviso è l’unico contributo italico ad un progetto che è stato sviluppato e portato avanti interamente da uno dei tanti assemblatori cinesi. Stonex assicura, come ha sempre fatto, di aver progettato e disegnato lo smartphone in Italia, tuttavia crediamo che l’unico contributo italiano, oltre al colore, sia la lista delle caratteristiche che lo smar- tphone doveva avere, quelle stesse caratteristiche che hanno reso lo Stonex One uno smartphone decisamente sbilanciato. Facchinetti, che abbiamo incontrato, ha una profonda conoscenza del settore e ha tante ottime idee per la testa, ma Stonex forse non è il partner giusto per vedere le sue idee realizzate nel modo migliore. Per progettare uno smartphone, sistema operativo a parte, servono almeno 200 persone, dieci volte i dipendenti attuali di Stonex, che è più un ufficio commerciale e marketing che una azienda in grado di progettare software e hardware di uno smarphone. Francesco Facchinetti ci ha confermato che, potendo tornare indietro, non avrebbe osato tanto: lo schermo QuadHD, ad esempio, è un qualcosa di troppo e un Full HD sarebbe bastato e lo stesso modulo fotografico da 21 Megapixel è eccessivo. Stonex One ha voluto stupire puntando tutto sulla pura scheda tecnica, ma questo si può fare con un budget adeguato: se occorre stare dentro i 299 euro di listino, iva e tasse incluse, bisogna per forza scendere a compromessi e il compromesso qui è la qualità dei singoli componenti e dei materiali. segue a pagina 32 torna al sommario n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Stonex One segue Da pagina 31 La scocca è in plastica e non offre certo un senso di sicurezza, lo schermo sotto la luce solare lascia intravedere le maglie dei sensori touch e non brilla per luminosità, la memoria utilizzata non è velocissima e neppure la fotocamera brilla. Il sensore è Sony, ma se il sensore lo metti dentro un modulo con lenti di qualità modesta il risultato non può essere eccelso. Modesto anche l’audio: se lo speaker posteriore si allinea a quello degli altri smartphone offrendo il classico audio citofonico mono, l’uso di un solo microfono inserito nella parte bassa è davvero limitante in confronto a smartphone che usano array di tre microfoni per filtrare i rumori ambientali. Considerando che siamo di fronte ad un prodotto che deve prima di tutto chiamare, forse si poteva fare di meglio. Stonex sta fregando tutti? No, calcolando i costi vivi, l’iva e le spese a cui si va incontro per realizzare uno smartphone con certe caratteristiche, era davvero impossibile fare di meglio. Sarebbe stato saggio tuttavia rinunciare ad alcuni elementi e offrire un prodotto meno accattivante ma più bilanciato. Display di buona qualità Ma la luminosità è bassa Il display QuadHD da 5.5”, 2560 x 1440 pixel e 534 ppi, è sicuramente il fiore all’occhiello dello smartphone: oltre alla risoluzione elevata dobbiamo apprezzare una buona copertura dello spazio colore, segno che ci troviamo davanti ad uno schermo di buona qualità. Purtroppo la calibrazione di base di Stonex One è troppo sbilanciata sul freddo: la temperatura colore dello schermo si avvicina ai 9000° K, tuttavia è presente un sistema completo di calibrazione che permette di correggere la cosa. Lo schermo, una volta sistemata saturazione, temperatura e un paio di parametri si dimostra comunque ottimo, con una buona copertura dello spazio colore sRGB. Questa è una cosa che deve però fare l’utente sfruttando l’app di Mediatek Miravision, raggiungibile dalle impostazioni di sistema. Nulla da dire sulle prestazioni: il processore Mediatek utilizzato, l’octacore MT6795, è sicuramente la miglior scelta rimanendo in una fascia di prezzo media. E’ un processore veloce, con una GPU adeguata anche a gestire giochi impegnativi e capace di ottime prestazioni, grazie anche ai 3 GB di RAM. L’unica nota stonata è legata al riscaldamento: il SoC è montato nella zona superiore del telefono rivolto dalla parte del display, e torna al sommario dopo un uso intensivo, la parte alta si riscalda parecchio. Non è un problema con i giochi, ma lo diventa se il riscaldamento avviene anche durante le chiamate. Tendenzialmente l’uso di un processore più potente dovrebbe consentire allo Stonex One di svolgere le operazioni di routine, come le chiamate, senza caricare troppo la CPU, mentre ci siamo accorti, anche grazie alla camera termica, che in molti casi lo smartphone scalda anche quando non dovrebbe. Nulla di preoccupante, ma non è bello rispondere e sentire quella zona del display molto calda: un eccesso di calore sull’LCD inoltre non è certo salutare per i cristalli liquidi dell’ottimo modulo usato da Stonex. Crediamo che questo comportamento sia legato al consumo anomalo della batteria: qualche processo gira quando non dovrebbe, segno di un sistema operativo che ancora Stonex non è riuscita a domare a pieno. La fotocamera, seppur sulla carta il componente Sony sia eccellente, è nella media: anche qui Stonex si è affidata al classico software Mediatek e il risultato non può essere paragonabile a quello ottenuto da chi ha invece utilizzato software dedicati e processori di imaging integrati direttamente nel SoC. La messa a fuoco è veloce ma non è sempre precisa, la valutazione dell’esposizione non è sempre corretta e spesso ci siamo ritrovati a compensare con piccoli tocchi nelle zone d’ombra per alzare leggermente il livello. A volte è difficilissimo catturare lo scatto corretto, anche con l’HDR inserito. Il bianco dell’automobilina della foto qui sotto riflette il sole, Stonex One espone pochissimo ta- gliando tutti i dettagli sulle basse luci con una foto che appare scura e non recuperabile in Photoshop. Con un “tap” sulle zone scure non si risolve: lo smartphone sovraespone bruciando completamente le alte luci. Le fotocamere peggiori sono altre, sia chiaro, e comunque qualche foto dettagliata si riesce a fare (ma pesa 7 MB, è compressa pochissimo), tuttavia con un sensore da 21 Megapixel questo Stonex non lascia certo il segno: lo stesso sensore usato da altri produttori, come da Sony stessa, mostra ben altre potenzialità. Non bastano due personalizzazioni per creare un sistema operativo CiaoOS non esiste Stonex One doveva avere a bordo CiaoOS, un sistema operativo sviluppato sulla base di Android Lollipop: CiaoOS non esiste, Stonex ha solo applicato una leggera personalizzazione del sistema operativo di Google (nella versione per OEM Mediatek) che introduce solo alcune suonerie, un icon pack e un paio di effetti, nulla di più. Come abbiamo già detto, nonostante l’ultimo update il sistema non è stabilissimo: l’autonomia, ad eempio, non è quella che ci si attendeva da una batteria da 3000 mAh, anche se abbiamo visto smartphone comportarsi peggio. Si arriva al tardo pomeriggio se non si esagera, la sera se si usano poco i dati e non si usa lo smartphone per giocare, ma le 24 ore sono un miraggio. Bug ce ne sono, anche se molti sono stati corretti: ogni tanto qualche app crasha, qualche volta il sensore di luminosità all’aperto fa le bizze lasciandoci lo schermo privo di retroilluminazione, praticamente spento, e qualche volta anche l’audio non funziona come dovrebbe quando si staccano gli auricolari per tornare all’audio del telefono. Tutte cose che si spera Stonex sistemerà presto, anche se con gli ultimi aggiornamenti non sembra siano arrivate patch risolutive, segno che per alcune cose, come ad esempio l’autonomia, non si sa bene da che parte guardare. Ci stupisce la scelta di vendere lo smartphone con l’icon pack modificato: possibile che nessuna azienda si sia lamentata dei loghi modificati senza autorizzazione? Le grafiche realizzate dal designer italiano, stile “pencil”, sono belle e ben fatte, ma non sappiamo se Google sia contenta che si venda un prodotto Android con i loghi di Gmail e di Google stessa modificati. NESSUN CONFRONTO È POSSIBILE NERO PERFETTO, COLORI PERFETTI LG lancia la nuova tecnologia OLED superando ogni limite qualitativo. OLED TV è l’unico tv in cui i pixel hanno la capacità di illuminarsi e spegnersi uno ad uno regalandoti il contrasto infinito e colori veri come in natura , per immagini che non temono nessun confronto. www.lg.com/it n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Il nuovo iMac 4K con display da 21.5’’ ha un prezzo a partire da 1729 euro. In dotazione tastiera e un Magic Mouse 2 iMac 4K, basta lo schermo per dare spettacolo Nel nuovo modello di iMac da 21.5” uno schermo incredibile con risoluzione 4K, capace di coprire lo spazio colore DCI-P3 Un prodotto per i professionisti dell’immagine, con prestazioni adeguate nonostante l’assenza di scheda video discreta di Roberto PEZZALI I l piano “retina” di Apple non si ferma: dopo aver portato lo schermo hi-res su iPhone e iPad, sulla gamma MacBook Pro e sui nuovi MacBook, a Cupertino hanno deciso di chiudere il cerchio con gli iMac. Lo scorso anno ha debuttato il meraviglioso iMac 5K, poi rivisto in versione più economica nel corso di questa stagione, quest’anno tocca alla versione da 21.5” subire lo speciale trattamento. L’iMac 4K da 21.5”, che abbiamo provato queste settimane, è una sorta di primizia: Apple ha adottato lo speciale schermo su un solo modello con la probabilità, concreta, di vedere lo stesso schermo sull’intera gamma di iMac “piccoli” il prossimo anno. Come sempre il bonus da pagare per avere il nuovo schermo non è indifferente, ma come vedremo è proprio lo schermo, insieme ai nuovi dispositivi di input, la grossa novità della nuova line-up. L’iMac 4K parte da 1729 euro (il modello equivalente Full HD costa 1529 euro), e qualcuno potrebbe subito dire che il prezzo è decisamente alto se si pensa che la versione da 27” costa poco di più: indubbiamente per chi ha spazio la versione con schermo più ampio deve rappresentare la prima scelta, ma ci sono situazioni dove proprio le dimensioni ridotte fanno la differenza, quando ad esempio serve un desktop da inserire in un travel case o da trasportare con una certa facilità. Lo abbiamo chiamato “desktop”, ma forse il nome più corretto per il nuovo iMac è “workstation”: dopo aver lanciato El Capitan, un sistema operativo indirizzato ad una utenza comunque evoluta, Apple con il nuovo iMac vuole mettere nelle mani del professionista uno strumento di lavoro ancora più valido che solo chi lavora ed ha una certa cultura nel mondo dell’immagine può apprezzare a pieno. Design che vince non si cambia Il design dell’iMac da 21.5” ricalca esattamente quello dello scorso anno: una cornice sottile 5 millimetri unisce il corpo in alluminio al bellissimo schermo frontale, con il classico kickstand di metallo all’interno del quale far passare i cavi. Sul retro non ci sono grosse novità, o meglio, mancano le novità che qualcuno poteva attendersi: rispetto alla versione da 27” infatti non c’è lo sportellino per l’upgrade della memoria RAM, segno che se si vuole un computer più potente (di base sono 8 GB) bisogna pensarci subito in fase di acquisto. La dotazione è quella classica: due porte Thunderbolt 2, quattro USB, uno slot SD Card, la porta di rete gigabit e la presa per le cuffie, il minimo indispensabile per un computer che comunque nasce per lavorare collegato ad una rete o ad un array di dischi esterni. Nella parte bassa, come per i modelli precedenti, Apple ha inserito i due piccoli altoparlanti interni: la qualità sonora, nel suo piccolo, è comunque più che buona. torna al sommario video lab Apple iMac 21.5” Retina 4K UNO STRUMENTO DI LAVORO PERFETTO. MA NON È PER TUTTI 1.729,00 € L’iMac 4K non dev’essere visto come un iMac piccolo, ma semplicemente come una delle due alternative che Apple offre a chi vuole una workstation potente e indirizzata anche al professionista che lavora con video e immagini. L’assenza della possibilità di acquistare l’iMac con scheda grafica discreta non è poi così grave e la presenza di Metal in El Capitan aiuta sicuramente: abbiamo provato a fare editing anche in 4K, a elaborare un po’ di foto con Photoshop e a giocare con RAW anche abbastanza pesanti e l’Iris Pro 6200 non ha sofferto affatto. Con i giochi (ma non è il suo target), After Effects e altri software di modellazione 3D probabilmente la GPU soffre un po’ non potendo accelerare il rendering, ma per certi ambiti Apple suggerisce anche altri prodotti, come ad esempio il Mac Pro. L’unico punto incomprensibile è l’inserimento di un disco a basse prestazioni all’interno di un computer che è un piccolo gioiello: è vero che basta ordinare il modello SSD, ma all’Apple Store e nei negozi si trova solo il modello base, quello “custom” dev’essere ordinato online. Serve davvero uno schermo simile a chi non lavora con video e immagini? Per il colore probabilmente no, ma l’incremento di risoluzione è tangibile: dopo aver visto uno schermo simile tornare indietro e accettare un modesto Full HD è davvero difficile. 8.5 Qualità 9 Longevità 9 Schermo di qualità incredibile COSA CI PIACE Prestazioni sorprendenti Sistema operativo e ecosistema Design 9 Semplicità 9 COSA NON CI PIACE È tutta questione di colore Il vero punta di forza dell’iMac 4K è lo schermo, e se si confronta la risoluzione di 4,096 x 2,304 del modello attuale con lo schermo da 1920 x 1080 delle versioni a risoluzione standard basta un breve calcolo per capire che Apple sta offrendo una risoluzione quattro volte e mezzo superiore rispetto al modello Full HD. Il risultato è identico a quello della versione 5K utilizzata sul modello da 27”: i due display condividono infatti la stessa definizione in punti per pollice, con immagini che per profondità e realismo sono una vera gioia per gli occhi. Come per gli altri prodotti della famiglia Mac Apple gestisce questa risolu- D-Factor 8 Prezzo 7 Disco da 5200 giri Prezzo non indifferente, soprattutto con un disco SSD zione eccezionale tramite OS X, fornendo all’utente diversi livelli di ingrandimento dell’interfaccia. La modalità nativa, quella che permette di sfruttare ogni singolo pixel, non è però disponibile all’utente senza l’utilizzo di un piccolo software di terze parti: è talmente risoluta che è utile solo per mostrare quanto è piccolo ogni singolo pixel dello schermo, ma all’atto pratico è totalmente inutile. Lo schermo “retina” non è tuttavia la vera novità dell’iMac 4K: Apple da anni ha dimostrato di saper fare segue a pagina 35 n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST iMac 21,5” 4K segue Da pagina 34 La misura del display: Apple copre praticamente lo spazio colore DCI-P3 schermi di qualità eccezionale, e dopo aver visto lo schermo dell’iMac 5K la versione più piccola era la naturale evoluzione. L’elemento in più, in questo caso, è la qualità dello schermo stesso: Apple ha infatti dotato i nuovi iMac Retina, sia la versione da 27” sia quella da 21.5”, di un nuovo pannello capace di coprire uno spazio colore più ampio di quello sRGB, raggiungendo la copertura del spazio colore DCI-P3 usato nel cinema digitale. Come abbiamo detto sono in pochi quelli in grado di cogliere questa novità: i rossi e i verdi sono leggermente più saturi, ma in questo caso quello che conta davvero non è la saturazione ma la capacità del display di fornire, ai professionisti che lavorano con l’immagine, una riproduzione più reale possibile del prodotto a cui stanno lavorando. Apple qui ha fatto una scelta importante: la scorsa generazione copriva il 100% dello spazio colore sRGB, più che sufficiente per un utilizzo consumer e prosumer, la nuova evoluzione ha scelto una direzione che guarda alla produzione video professionale piuttosto che alla stampa (AdobeRGB) offrendo un monitor che può essere considerato un vero riferimento per il color grading e l’analisi della qualità. Per raggiungere questo obiettivo Apple ha dichiarato di aver sostituito i LED bianchi con una combinazione di LED a fosfori rossi e verdi, una soluzione alternati- torna al sommario va all’adozione di un filtro Quantum Dots per controllare lo spettro di emissione della luce. Il risultato, come abbiamo detto, è eccezionale, anche se serve una cerca cultura dell’immagine per apprezzare la capacità del nuovo pannello di riprodurre uno spazio colore più ampio del 25% rispetto alla versione precedente. Il consiglio migliore che possiamo dare, per chi ha la possibilità, è di recarsi ad un Apple Store e chiedere una demo dello schermo. Come per i modelli precedenti Apple calibra di fabbrica ogni monitor degli iMac: con i nuovi iMac 4K è stato creato un apposito profilo colore. Qui dobbiamo aprire una parentesi: il profilo colore che Apple ha caricato, denominato iMac, restituisce secondo le nostre misure uno spazio colore più stretto, vicino a quello sRGB. Paradossalmente per ottenere rossi più saturi, verdi più accesi e il risultato visibile dal gamut qui sopra (DCI P3 coperto quasi al 100%) abbiamo dovuto selezionare il profilo colore sRGB. Sembra quasi, e stiamo attendendo conferme da Apple, che ci siano problemi con i profili e che alcuni di questi, dopo un update di El Capitan, si siano corrotti. Eseguendo ColorSync, l’utility Apple che verifica i profili, il report indica che alcuni profili non sono corretti: abbiamo verificato i profili anche su altri Mac, e in tutti i casi ColorSync ci ha restituito una stringa rossa di errore (segno che la cosa non è legata a questo esemplare).Dovrebbe trattarsi di un bug software: lo schermo, come si vede sopra, mantiene le promesse fatte da Apple. Un solo rammarico: non si può usare lo schermo con una sorgente esterna, magari un MacBook o un Mac Mini. Maledetto hard disk Sei nel posto sbagliato Il refresh della gamma iMac ha colpito ovviamente anche i processori adottati sui nuovi computer: se sulla gamma iMac da 27” Apple ha potuto usare i nuovi processori Skylake di Intel, quindi processori di sesta generazione, per i modelli da 21.5” è stata praticamente costretta ad adottare i processori della generazione precedente, nome in codice Broadwell. Una scelta saggia: Intel non aveva ancora disponibili i processori Skylake con grafica integrata, e il Core i5 con Iris Pro 6200 era la scelta migliore per pilotare questo schermo comunque risoluto con prestazioni più che adeguate. Le prestazioni del modello base, che ha a bordo un Core i5 3.1 Ghz, sono ottime, il livello di fluidità dell’interfaccia anche (il merito è di Metal), ma resta il rammarico per la scelta di Apple di segue a pagina 36 n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST iMac 21,5” 4K segue Da pagina 35 non permettere più, in fase di configurazione del modello da acquistare, la soluzione con scheda grafica discreta. L’iMac 4K si può comprare solo con GPU Intel integrata, e sebbene l’Iris Pro 6200 non sia comunque un brutto processore grafico uno schermo di questo tipo meritava una GPU adeguata per spingerlo al meglio in ogni situazione, e talvolta qualche incertezza la si avverte. Quello che tuttavia infastidisce di più, ma qui fortunatamente si può intervenire, è l’utilizzo di un hard disk da 1 Terabyte e 5200 giri su un computer di questo livello. L’unità in prova, il modello base della versione 4K, adotta un hard disk che non avrebbe senso di esistere nemmeno sul un notebook nel cestone del supermercato: da anni abituati alle prestazioni incredibili dei dischi SSD Apple, un iMac con un disco tradizionale è davvero incomprensibile. Per un utente alle prime armi, abituato magari a macchinosi PC ingolfati, le prestazioni dell’iMac in questa configurazione possono anche apparire buone, ma vi assicuriamo che il cambio dell’hard disk è la prima cosa da fare. Le opzioni più economiche qui sono due: FusionDrive da 1 Terabyte, ma la nuova versione è realizzata unendo un SSD da 24 GB ad un disco tradizionale da 1 Terabyte pare troppo limitata, oppure SSD da 256 GB. Consigliamo caldamente questa ultima soluzione, con la possibilità di attaccare un disco esterno o di usare il cloud per i file più grandi: in ambito aziendale o professionale il problema non si pone, perché nessuno tiene i file di lavoro sul computer stesso ma si appoggia ad un NAS o a soluzione più sicure, dotate anche di backup. Resta il fatto che per diventare “decente”, quindi con disco SSD da 256 GB, l’iMac 4K arriva quasi a 2000 euro, fermandosi a 1969 euro. La versione da 27” a 300 euro in più è sicuramente più conveniente, spazio permettendo. Trackpad, mouse e tastiera con batteria interna e lightning Apple ha approfittato del refresh per rivedere anche le periferiche di input: mouse, tastiera e trackpad ora hanno una batteria integrata e utilizzano un cavo Lightning per la ricarica. In dotazione con l’iMac viene data una tastiera e un Magic Mouse 2, ma l’utente può scegliere se sostituire il mouse con il nuovo trackpad a 69 euro oppure se aggiungere al mouse torna al sommario il trackpad pagando 149 euro. Le periferiche arrivano già abbinate all’iMac, ma nel caso in cui il computer non vedesse mouse o tastiera basta collegare un secondo io cavo lightning per effettuare il pairing bluetooth. Non abbiamo avuto modo di provare l’autonomia ma ci fidiamo di Apple: noi non abbiamo mai dovuto ricaricare né tastiera né mouse, e se anche il mouse dovesse scaricarsi basta agganciarlo per pochi minuti per guadagnare una giornata intera di lavoro. Se per tastiera e trackpad la porta di ricarica è sul retro, decisamente comoda, per il mouse è stata inserita nella zona inferiore, cosa che rende impossibile l’uso durante la ricarica. Non è tuttavia un problema: 2 minuti di carica danno un giorno di autonomia, basta bere un caffè per tornare a lavorare. Dare una valutazione alla tastiera è abbastanza difficile: Apple ha adottato i nuovi switch butterfly che garantiscono un miglior controllo della pressione anche se non vengono premuti esattamente al centro, ma le tastiere così sottili e con una escursione ridotta dei tasti non ci hanno mai soddisfatto a pieno. Un conto è un laptop, dove per forza di cose si è costretti a cercare di ridurre al massimo lo spessore, un conto è un desktop, dove una bella tastiera mec- canica sulla scia della rimpianta IBM Model M resta, a nostro avviso, una delle soluzioni migliori per scrivere. Sono in ogni caso gusti: chi è nato nel mondo delle tastiere piatte l’apprezzerà di certo, perché è una delle tastiere più comode e rilassanti che ci sia mai capitato dei provare, e le dimensioni non devono affatto ingannare. Situazione simile per la scelta mouse / trackpad: il nuovo trackpad, più ampio e con rilevamento dei livelli di pressione, è una periferica di controllo fantastica per chi è abituato ad un laptop e sa come gestire al meglio l’interfaccia di OSX sfruttando gesture e multitouch, ma è innegabile che chi è nato con il mouse in mano difficilmente rinuncerà a questo strumento. Si possono come già scritto avere entrambi, ma onestamente 149 euro per il trackpad non sono pochi. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Microsoft ha aperto al pubblico il suo nuovo sistema di intelligenza artificiale in grado di leggere le emozioni dalle foto Il computer può davvero leggere le emozioni? Può un computer capire quello che spesso è incomprensibile anche per l’essere umano? Lo abbiamo messo alla prova R di Roberto PEZZALI eti neurali, intelligenza artificiale e algoritmiche che pensano come l’uomo sono le nuove frontiere della tecnologia: chi realizzerà il primo algoritmo in grado di prendere le giuste decisioni e in totale autonomia avrà vinto una sfida che può cambiare le nostre vite. Microsoft ci sta provando, e per dimostrare la le potenzialità del suo sistema ha rilasciato pubblicamente un piccolo tassello di un motore di intelligenza artificiale ben più ampio. Stiamo parlando di un nuovo strumento dedicato agli sviluppatori in grado di analizzare una foto, trovare i volti e riconoscere le emozioni, quasi in chiave “inside Out”. Microsoft mette a disposizione di tutti un potentissimo server che sfrutta le più avanzate tecniche di machine learning e intelligenza artificiale, una macchina nel cloud liberamente accessibile da chi vuole sfruttare le sue potenzialità e non ha le competenze per realizzare un sistema simile, ovviamente molto complesso. Project Oxford, questo il nome del progetto che Microsoft ha avviato lo scorso anno fornendo alcuni strumenti in grado di stimare, partendo da una foto, l’età di una persona, si evolve ora con un motore di riconoscimento delle emozioni. Da una sola foto, analizzando in tempo reale alcuni tratti riconducibili ad espressioni di felicità, gioia, tristezza o rabbia, i server nel cloud Microsoft riescono in pochi secondi a restituire una mappa abbastanza precisa delle emozioni percepite. Se associare un volto sorridente alla felicità può essere considerata un’operazione banale senza rischio di errore, ed effettivamente il sistema di riconoscimento del sorriso da anni è integrato nelle fotocamere digitali, non è affatto facile identificare la percentuale di felicità, di rabbia, di tristezza, di sorpresa o di disgusto. Capire le emozioni provate da una persona semplicemente osservando lo sguardo spesso è difficile anche per noi, figuriamoci per un computer, addestrato a farlo osservando una foto neppure perfetta. A volte ci prende, a volte no Abbiamo messo alla prova Project Oxford Emotion, ed ecco quello che ne è uscito. Per esempio il Governatore della Campania De Luca, ripreso durante la conferenza stampa tenuta in seguito alla ricezione di un avviso di garanzia. Un momento difficile: traspare disgusto e un po’ di rabbia, sentimenti coerenti con le parole di De Luca. Risultato buono. video lab Proviamo con un’immagine storica, Hitler al culmine del suo potere: sguardo prevalentemente neutrale, con un interessante 20% di tristezza. Ci piace pensare che fosse vero. Tristezza? Il pianto di commozione inganna la macchina: quando Fabio Grosso ha fatto vincere i mondiali all’Italia sicuramente non era triste. Qui l’algoritmo, che è ancora giovane, ci è “cascato”. Valentino Rossi non era certo felice al termine del Gran Premio di Valencia: quella che per un umano è un’espressione di tristezza e rabbia modulata con un sorriso sarcastico, per un computer è invece un’espressione di felicità. Mezzo sorriso c’è, ma il server Microsoft si lascia ingannare dalle apparenze: in effetti, se si guarda bene, il sottofondo “rabbioso” di Valentino si legge eccome. La catalogazione automatica delle immagini fa un passo in avanti Chi c’è di più impassibile del protagonista di Breaking Bad? E infatti l’algoritmo non sbaglia: volto inespressivo al 99%. torna al sommario La strada da fare è ancora lunga, ma almeno è stata imboccata: se espressioni di gioia o di tristezza sono facili da identificare, in molti casi è davvero difficile ricostruire correttamente la mappa delle emozioni partendo da una foto. Project Oxford Emotion ha però buone potenzialità, il motore di intelligenza artificiale di Microsoft deve digerire probabilmente qualche milione di fotografie, con il giusto input, per iniziare a capire come interpretare certe espressioni, con la consapevolezza che pur essendo un computer anche lui può sbagliare. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Abbiamo testato il super modem/router di Netgear, il primo 802.11ac wave 2 con supporto per la tecnologia MU-MIMO Netgear Nighthawk X4S, nato per lo streaming Nighthawk X4S è un prodotto proiettato verso il futuro e pensato per offrire una rete wireless molto veloce e affidabile D di Paolo CENTOFANTI opo l’anteprima delle scorse settimane, Netgear ci ha fornito un campione del suo nuovo modem/router top di gamma, il Nighthawk X4S, un prodotto molto completo e che, diciamolo subito, arriva con un prezzo di listino che a chi è abituato a spendere non giù di 100 euro per un router, farà fare un balzo sulla sedia: 430 euro. il motivo c’è: si tratta di un prodotto all’avanguardia e uno dei primi a implementare la tecnologia MU-MIMO (Multi User MIMO) su 802.11ac, con una capacità wireless complessiva di 2,53 Gbit/s. Qualcuno potrebbe chiedersi se siamo alle solite: dati di targa stratosferici a cui poi corrispondono come al solito prestazioni decisamente più modeste. Ma attenzione, quando si parla di banda complessiva, si intende la capacità massima a disposizione per tutti i dispositivi connessi e non della velocità massima raggiungibile dal singolo terminale. E se contate bene quanti prodotti elettronici avete in casa che si connettono in Wi-Fi a Internet, vedrete che sono sempre di più; se una volta il router serviva per dare connessione al PC principale e magari uno o due portatili, è facile che oggi si parli anche di una decisa di terminali. Questione di antenne e di come le si usa La novità più grande è appunto il MU-MIMO, tecnologia che consente di sfruttare il concetto di smart antenna per comunicare contemporaneamente con più dispositivi. Un access point Wi-Fi classico, infatti, utilizza la tecnologia MIMO per incrementare la banda complessiva, ma alla fine ogni client deve aspettare il suo turno per “parlare”. Con il Multi User MIMO, la diversità d’antenna viene utilizzata per permettere a più dispositivi di occupare simultaneamente il canale radio, migliorando le prestazioni generali della rete. Questa tecnologia lavora principalmente sull’elaborazione del segnale radio, il che richiede una discreta potenza di calcolo, motivo per il quale sta comincian- video lab do solo ora ad affacciarsi sui prodotti consumer (da quest’anno sono cominciati a comparire i primi smartphone a supportare il MU-MIMO ad esempio). Il Nighthawk 4XS ha bisogno di un processore ARM dual core da 1,4 GHz, non solo per il MIMO, ma anche per alcune funzionalità come la gestione dinamica della priorità del traffico, su cui torneremo tra un attimo. Il modem/router Netgear ha lo stesso design “aggressivo” degli altri prodotti della gamma Nighthawk ed è dimensioni piuttosto generose, anche per via delle sue grosse quattro antenne orientabili. Oltre al suo curioso profilo (quasi militare), stupisce la quantità di LED che costellano il frontale del dispositivo e che indicano lo stato della connessione telefonica e l’attività sulle bande dei 2,4 GHz e 5 GHz, le due porte Sul frontale un tasto consente di spegnere con praticità il segnale wireless. Utile per chi non ama mantenerlo attivo durante tutta la giornata. Le connessioni posteriori sono quelle standard per un dispositivo consumer, ma si può notare la porta di rete dedicata per l’utilizzo come solo router (che lascia così tutte le 4 porte dello switch libere). Un tasto consente di tenere spenti i tanti LED disposti sul frontale. torna al sommario USB 3.0, quella eSATA e lo switch a quattro porte gigabit ethernet. I due ultimi LED a destra sono in realtà dei tasti, rispettivamente per accendere/spegnere la rete wireless (sono tanti gli utenti che preferiscono spegnerla di notte) e per lo scambio veloce della password via WPS. Il Nighthawk X4S supporta infine non solo le connessioni ADSL2+ fino a 20 Mbit/s, ma anche quelle VDSL2 degli abbonamenti in fibra all’armadio di strada, fino a 100 Mbit/s simmetrici. Sfruttare al meglio la banda Il Nighthawk X4S, per quanto riguarda la configurazione iniziale, non si differenzia molto da altri prodotti Netgear o anche della concorrenza. La procedura è sufficientemente semplice e per la parte ADSL ci sono i profili pre-impostati per i principali operatori italiani. Il dispositivo può anche funzionare in modalità solo router, collegando un altro modem (o router) alla porta di rete apposita, oppure può essere configurato per funzionare come semplice access point, per cui non funzioneranno né firewall né tutta la parte di gestione del traffico. Se non colleghiamo il Nighthawk a una rete telefonica, sarà la stessa procedura guidata iniziale a chiederci quale modalità vogliamo utilizzare. Nel menù di configurazione, a cui si accede come con- suetudine via browser immettendo l’indirizzo IP del dispositivo (tipicamente 192.168.1.1), troviamo tutto quello che possiamo aspettarci da un moderno modem/router. Tra le cose che vale davvero la pena segnalare c’è la possibilità di stabilire gli orari in cui attivare o spegnere la rete Wi-Fi (con fasce indipendenti per le due bande) e il traffic meter, che permette di impostare dei limiti di tempo e/o quantità di traffico dati alla propria connessione, nel caso di abbonamenti a consumo. Per il resto troviamo le “solite” impostazioni avanzate, tra cui VPN, route statiche, gestione di porte e servizi per il firewall, DNS dinamici, e così via. Non manca davvero segue a pagina 39 n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE SCIENZA E FUTURO Impazza su Kickstarter la campagna per Gest, un guanto pieno di sensori per sostituire mouse e tastiera Mouse e tastiera addio: sta arrivando il guanto virtuale Il guanto virtuale offrirà interazione con Photoshop, 3D modelling e quanto altro possa venire in mente agli sviluppatori di Massimiliano ZOCCHI I computer e i device mobile migliorano di continuo, ma tastiera e mouse non sono cambiati molto nel tempo. i ragazzi di Gest hanno così pensato di creare una sorta di guanto virtuale in grado di captare ogni più piccolo movimento della nostra mano e trasmetterla a un software di elaborazione in tempo reale. La raccolta fondi su Kickstarter sta andando benissimo ed ha già ampiamente superato la goal line di 100.000 dollari, con ancora 24 giorni allo scadere. Per 149 dollari potete prenotare il vostro guanto virtuale che dovrebbe arrivare entro un anno, a novembre 2016. Ma cosa può fare Gest? Inizialmente l’idea era quella di sostituire la tastiera, specialmente nei casi dove usarla sarebbe stato particolarmente scomodo. Ma proseguendo con il progetto, Michael Thomas Pfister e soci si sono accorti che potenzialmente le applicazioni sono infinite. Gest è costituito da una banda regolabile da fissare al palmo della mano, con dei sensori cablati in ogni dito escluso il pollice. In tutto sono 15 i sensori impiegati per mappatura, posizione, rotazione e movimento delle singole dita. Gest promette fin da subito l’integrazione con le funzionalità di Photoshop, ma sarà possibile impostare molte gesture in base alle proprie abitudini e associarle ad altrettante funzioni. Mentre al prezzo speciale di 199 dollari è possibile ordinare una coppia di Gest e sbloccare la funzione di scrittura intuitiva. E’ importante notare che, sebbene questa funzione fosse alla base del progetto, è considerata ancora in beta e gli stessi progettisti stanno chiedendo aiuto a chiunque voglia partecipare allo sviluppo. Requisiti necessari: saper scrivere senza guardare la tastiera. TEST Netgear Nighthawk X4S segue Da pagina 38 nulla. L’aspetto più interessante è quello dedicato alla gestione della priorità del traffico, che Netgear definisce Dynamic QoS (Quality of Service). L’idea è che il collo di bottiglia è sempre la banda offerta dal nostro provider, mentre abbiamo sempre più dispositivi che vogliono fare streaming, scaricare file di grosse dimensioni, giocare online in multiplayer, il tutto chiaramente simultaneamente. Netgear implementa un sistema in grado di riconoscere automaticamente il tipo di traffico generato da ogni dispositivo e di regolare automaticamente l’allocazione di banda a ciascuno di essi di conseguenza. Se il PC sta scaricando un file di grosse dimensioni e allo stesso tempo vogliamo guardare un film in streaming su Netflix sul TV, il Nighthawk è in grado di ridurre automaticamente la velocità di scaricamento del PC, garantendo che la riproduzione sul TV avvenga senza problemi e possibilmente alla massima qualità possibile. Per far questo, il Nighthawk misura la banda effettiva disponibile tramite Ookla SpeedTest e un database online sempre aggiornato dei diversi tipi di servizi (gaming, streaming video, e così via). Il modem router è dotato di porte USB 3.0. Sull’altro lato c’è spazio anche per un ingresso e-SATA. torna al sommario Veloce e affidabile Ma il MU-MIMO è così determinante? Abbiamo messo alla prova il router di Netgear nella nostra redazione, con decine di dispositivi collegati simultaneamente, un ambiente che è in grado usualmente di rivelare i limiti dei modelli consumer. Le impressioni d’uso del Nighthakw X4S sono molto positive in termini di affidabilità della rete wireless. Durante tutto il periodo della nostra prova (con router accesso 24 ore su 24) non abbiamo evidenziato rallentamenti, problemi di stabilità o necessità di riavviare il dispositivo. In questa fase non sono molti i dispositivi MU-MIMO, e non sappiamo quantificare quale sia l’effettivo impatto sulle prestazioni della rete. Quello che possiamo dire è che con tanti dispositivi wireless, tra smartphone, tablet e PC, attivi, e una connessione in fibra ottica a 100 Mbit/s da condividere, non abbiamo mai riscontrato problemi di lentezza o colli di bottiglia. La prova più interessante è stata quella del sistema di QoS, che abbiamo testato lanciando simultaneamente diverse sessioni di riproduzione su Netflix e YouTube, scaricando allo stesso tempo un grosso file via BitTorrent con un download in grado di saturare la banda disponibile. In queste condizioni abbiamo visto il router ridurre automaticamente la banda assegnata al traffico P2P, mano a mano che lanciavamo più sessioni di streaming, che sono proseguite ciascuna in 1080p senza interruzioni. Con connessioni Internet meno performanti, il buon funzionamento della gestione del traffico sarà sicuramente ancora più apprezzabile. Per quanto riguarda le prestazioni in termini di velocità di connessione, con dispositivi 802.11ac abbiamo toccato punte superiori ai 400 Mbit/s nel trasferimento di file sulla rete. Abbiamo provato ad allestire un server Plex su una macchina collegata al router via Wi-Fi (sempre 802.11ac), e quindi a lanciare sessioni di streaming da vari dispositivi wireless, riproducendo senza problemi non solo filmati in full HD, ma anche 4K. Insomma, sicuramente il router Netgear è in grado di offrire una rete wireless ad alta capacità e affidabile. Molto buona anche la reattività di accesso a dischi e memorie USB esterne, grazie alla combinazione di una CPU veloce e le porte USB 3.0. Certo è che stiamo pur sempre parlando di un modem/ router da oltre 400 euro, un prezzo “premium” che si paga per via del fatto che è uno dei primi dispositivi 802.11ac wave 2. Ma le nostre prove sono state condotte soprattutto con dispositivi della “prima ondata”, con cui abbiamo ottenuto comunque prestazioni stabili e affidabili per la maggior parte degli utilizzi. Per cui il dubbio sugli effettivi benefici di investire già oggi sulla tecnologia MU-MIMO è lecito, soprattutto in questa fase in cui i prezzi sono ancora molto elevati. P5 Wireless. Abbiamo eliminato il cavo ma il suono è rimasto lo stesso. P5 Bluethooth, musica in mobilità senza compromessi con 17 ore di autonomia e ricarica veloce per performance allo stato dell'arte. La solita qualità e cura nei materiali di Bowers & Wilkins adesso senza fili grazie alla nuova P5 S2 Bluetooth. www.audiogamma.it n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Anteprima Canon G5 X: abbiamo scattato qualche foto con la nuova compatta “premium”, in gamma si posiziona sopra la G7 X Canon G5 X: sulla Powershot torna il mirino È sostanzialmente simile alla G7 X, ma il mirino, il grip migliorato e la nuova ghiera frontale facilitano l’utilizzo in manuale di Roberto PEZZALI ome combattere lo strapotere degli smartphone in ambito fotografico, soprattutto quando si parla di fotografia “urban”? Canon, e con le tutte le altre grandi aziende nel mondo della fotografia, hanno iniziato a spingere molto negli ultimi anni nel settore delle compatte “Premium”, fotocamere con peso e ingombri ridotti che grazie ad un sensore più grande delle altre compatte, ottiche di qualità luminose e funzionalità avanzate possono davvero sostituire una ingombrante reflex per l’urban shooting, raggiungendo una qualità comunque notevole. L’ultima nata in casa Canon è la G5 X, una fotocamera che abbiamo avuto di modo di provare per qualche ora nell’ex area delle acciaierie Falck a Sesto San Giovanni, periferia di Milano. La G5 X si posiziona un gradino sopra la G7 X, perché ricordiamo che nella numerazione Canon i modelli crescono con il decrescere della numerazione: è una macchina compatta e abbastanza leggera, comunque facile da tenere nella tasca di un giubbotto o in una borsa. Rispetto alla G7 X la nuova nata ha una miglioria non da poco, assente anche sulla G1 X Mark II: ha un mirino elettronico da 2.360.000, che non è indispensabile per molti fotografi alle prime armi ma è insostituibile per chi è abituato a scattare con un occhio appoggiato alla macchina. Canon ora offre questa doppia scelta: G5 X per chi vuole il mirino, G7 X per chi invece preferisce risparmiare affidandosi al display. Dal punto di vista delle prestazioni le due macchine si equivalgono: entrambe condividono lo stesso sensore da 1” e 20 Megapixel, il Digic 6 e l’obiettivo zoom 4.2x, f/1.8-2.8 equivalente ad un 24 – 100 mm, obiettivo attorno al quale Canon ha ricavato una ghiera per la regolazione di alcuni parametri di scatto come ad esempio l’apertura nella modalità priorità diaframmi. Nonostante le similitudini, toccando con mano la G5 X sembra di trovarsi davanti ad una macchina di un livello superiore, non solo per il mirino: Canon ha infatti riorganizzato le ghiere in modo più efficace, separando la ghiera dell’esposizione da quella delle modalità di scatto e aggiungendo una ghiera ulteriore sul frontale, a portata di indice. Quest’ultima è, insieme al mirino, la novità che abbiamo apprezzato di più: C video lab scattare in manuale utilizzando le due ghiere, quella posteriore e quella frontale, non è affatto complesso e macchinoso, anzi, il movimento sembra quasi naturale nonostante le dimensioni del corpo. Un po’ più ostica da modificare, perché costringe al cambio di impugnatura, la ghiera attorno all’obiettivo: sarà che la G5 X provata da noi era nuova, ma ci è apparsa troppo dura. Buona come sempre la precisione in fase di messa a fuoco, anche se dobbiamo dire di aver potuto saggiare il motore AF ibrido solo in condizioni di luminosità abbastanza semplici per un sistema di messa a fuoco, andrebbe provato con molta meno luce. Apprezzabili per chi vuole spingersi un po’ oltre anche la presenza del filtro ND integrato, utile per poter sfruttare l’apertura F1.8 in condizioni di forte luminosità, e il display orientabile completamente. Canon ha integrato nella parte alta della fotocamera, subito sopra il mirino, anche un piccolo flash da estrarre manualmente: la sua portata è davvero limitata, ma all’occorrenza può essere comodo. Chi vuole giocare con la luce farebbe meglio a dotarsi di un piccolo e più funzionale flash esterno della serie Speedlight, che la G5 X gestisce alla perfezione grazie anche alla presenza del socket per accessori esterni. Da segnalare infine, e non è cosa da poco, I NOSTRI SCATTI DI PROVA clicca le immagini per l’ingrandimento torna al sommario la possibilità di ricaricare la fotocamera da USB tramite battery pack: sulla G1 X Mark II questa opzione manca ed è forse uno dei più grossi rimpianti di chi la possiede. Ecco alcuni scatti che abbiamo avuto modo di realizzare nell’ex area Falck, ora al centro di un progetto di riqualificazione diretto da Renzo Piano: gli scatti con “effetto” sono stati realizzati sfruttando il sistema interno Canon, una modalità multishooting che ha debuttato sulla Powershot N e che ora troviamo su tutti i modelli della serie Premium. n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST È arrivato al terzo capitolo, Disney Infinity è finalmente un gioco vero, con una avventura varia e molto avvincente Disney Infinity 3.0: la Forza è potente più che mai Scatola giochi e play set aggiuntivi offrono molte possibilità di gioco, il tema Guerre Stellari si dimostra sempre vincente di Roberto PEZZALI D isney Infinity è uno di quei giochi che ogni genitore dovrebbe regalare al figlio. Infinity è un concentrato di avventura, creatività con la scatola dei giochi e tante statuine da collezionare costruite con una cura e una precisione dei dettagli rara da trovare altrove. Certo, chi vuole collezionarle tutte spenderà una fortuna, ma già con lo starter pack si riesce a giocare e a condividere la stessa avventura in due persone. Infinity è giunto alla sua versione 3.0, e quest’anno Disney si è giocata la carta vincente: dopo Pixar e Marvel arriva finalmente il mondo di Star Wars. Quando si sente la classica musichetta e si osservano sullo schermo spade laser, droidi e caccia stellari è impossibile restare indifferenti: abbiamo agganciato la base di Infinity 3.0 ad una Xbox One e abbiamo fatto il salto nell’iperspazio. Disney ha iniziato la sua avventura con Infinity nel 2013, quando sul mercato spopolava Activision con i suoi Skylander: bellissime statuine da toccare e collezionare, dotate ognuna di un tag NFC per poter sbloccare il rispettivo personaggio all’interno di un mondo virtuale. Il mondo Disney è costruito attorno ai personaggi e Disney ha saputo subito sfruttare la stessa idea per lanciare quello che si è subito rivelato un enorme successo, Infinity 1.0. Non era difficile prevederlo: anche se il gioco non era al livello di Skylander, a garantire il successo nei negozi ci hanno pensato i personaggi Pixar, da Cars a Toy Story per arrivare a Monster e agli Incredibili. Lo scorso anno è stata la volta di Marvel, con eroi del mondo di Spiderman e degli Avengers: Avalanche Software, la software house che ha realizzato Infinity, ha curato in modo particolare la parte software allargando gli orizzonti e le possibilità, con missioni più impegnate e una “Scatola dei giochi” ancora più completa. Questo è l’anno di Star Wars e non è una coinciden- video lab za: l’uscita del nuovo film di Star Wars ha spinto l’hype verso la saga a livelli mai visti negli ultimi anni, con i negozi di giochi e i Disney Store presi d’assalto per mettere le mani su modellini e giocattoli a tema. Il nuovo Infinity 3.0 è quindi uno dei regali più belli da fare ad un bambino per portarlo in un mondo che ha appassionato sicuramente i genitori: gli eroi del passato e del futuro di Guerre Stellari sono ricostruiti con cura certosina, la stessa cura meticolosa che è stata riposta da Disney nel creare il terzo capitolo del gioco che è finalmente un gioco completo. Abbiamo giocato negli scorsi anni agli altri due episodi e, se già con la versione 2.0 di Infinity erano evidenti i progressi fatti nello sviluppo del gioco, con Infinity 3.0 Disney ha finalmente completato il suo percorso di sviluppo offrendo un prodotto che può definirsi “infinito”. Grafica eccellente e missioni variegate Il principio di gioco è quello classico: acquistando il pacchetto base l’utente si trova il portale da collegare tramite USB alla console (una Xbox One nel nostro caso), la miniatura che dà accesso alla modalità avventura e due statuine (non più tre), Anakin Skywalker e Ahsoka Tano, la Padawan assegnata ad Anakin nel lungometraggio animato “Star Wars: The Clone Wars”. Altre statuine, così come altri pacchetti “avventura” possono essere acquistati a parte, una possibilità che con dei figli diventerà presto una sorta di obbligo: si può restare senza Darth Vader o Yoda? Difficile resistere al Lato Oscuro. L’acquisto del gioco consente le due modalità ben distinte: la storia e la “scatola dei giochi”, una sorta di editor che permette di costruire mondi e avventure mescolando abilmente la completezza alla facilità d’uso. Entrambe le modalità hanno subito un corposo upgrade in Infinity 3.0, e non solo dal punto di vista grafico, contraddistinto questa volta da una grafica “cartoon” che ricalca molto fedelmente quella della serie animata Star Wars Rebel. Gli sviluppatori di Avalanche Software hanno finalmente trovato la ricetta giusta per creare un gioco che non risultasse noioso segue a pagina 43 torna al sommario n.122 / 15 16 NOVEMBRE 2015 MAGAZINE TEST Disney Infinity 3.0 segue Da pagina 42 e ripetitivo, aggiungendo le battaglie nelle orbite dei pianeti, la possibilità di guidare ogni tipo di veicolo, avventure sport e diverse scene uniche con inseguimenti e missioni da provare e riprovare più volte. La logica del gioco è in ogni caso molto semplice e, alle missioni principali ben studiate e piene di elementi di sicuro effetto, come la corsa dei pod su Tatooine, alterna molte missioni semplici e anche banali che allungano un po’ la longevità del gioco e permettono di far crescere il personaggio secondo il sistema di livelli già introdotto in Infinity 2.0, qui ulteriormente migliorato. Volendo essere critici Infinity 3.0 è forse un po’ troppo facile e troppo corto: un “gamer” ci mette poco più due ore a portare a termine la missione principale senza perdersi nelle missioni di contorno, ma un bambino può perdersi per ore a esplorare le lande desolate di Tatooine divertendosi a sfoggiare le combo di combattimento spesso generate anche da una pressione casuale dei tasti del pad. La presenza di due giocatori dello stesso Game Set permette di giocare subito alla prima avventura in co-op: qui sono state semplificate alcune operazioni rispetto al capitolo precedente ma Disney forse dovrebbe tenere in considerazione anche una modalità co-op sbilanciata, dove un giocatore viene gestito da un genitore che “guida” e trascina il secondo player gestito da un figlio piccolo che magari non sa bene cosa fare ma vuole divertirsi a passare un po’ di tempo con il più abile papà. Il PlaySet con Luke, Leila e Han Solo è il miglior in assoluto Abbiamo avuto modo di giocare a tutti e due i play sets di Star Wars usciti in Italia, e dobbiamo dire che il secondo mondo, “Insieme contro l’Impero”, è decisamente un passo avanti rispetto al mondo che viene dato in dotazione nella scatola del gioco. Per chi ha guardato la Saga è un po’ difficile infatti collocare temporalmente l’avventura compresa nel set d’avvio, “Il Crepuscolo della Repubblica”: c’è Yoda, c’è Obi One e c’è Anakin già cresciuto, ci sono i separatisti, i droidi e un po’ tutti gli elementi dei primi tre episodi della saga ma non tutti gli elementi sono collocati temporalmente al loro posto. L’impressione è quindi quella di giocare ad un qualcosa che non corrisponde a quanto visto nel film, cosa che invece non avviene nel secondo play set dove invece, seppur con una certa semplificazione, la linea temporale è quasi corretta. Bellissime in questo caso la battaglia sul pianeta Hoth, con possibilità di distruggere i camminatori AT-AT utilizzando gli arpioni, e incredibili le battaglie nei cieli e sulla Morte Nera, da giocare e rigiocare più volte. La possibilità di rigiocare più volte le missioni è forse la miglioria dal punto di vista tecnico più apprezzata: era la più grossa mancanza di Infinity 2.0, e finalmente è stata risolta. La scatola dei giochi è un gioco a parte L’altro grosso upgrade di Infinity 3.0 riguarda la “Scatola dei Giochi”, un completissimo editor che permette la creazione di mondi di ogni tipo che permettono di utilizzare ogni personaggio dei mondi Infinity: Yoda può giocare con Saetta McQueen, Hulk può combattere con Olaf di Frozen. La scatola dei giochi è forse l’aspetto più “adulto” di Infinity, ed è un prodotto che da solo richiederebbe una recensione a parte: Disney qui ha fatto un lavoro eccezionale perché è riuscita davvero con pochi strumenti e senza mouse e tastiera a creare una interfaccia che permette di costruire, seppur con tempo e pazienza, mondi incredibili e vasti. In questo capitolo, per introdurre la scatola dei giochi a chi l’ha sempre considerata come un prodotto troppo complesso, Avalanche Software Nella scatola dei giochi vale tutto, anche prendersela con il trattore di Cars torna al sommario ha creato un HUB che organizza le attività possibili in diversi segmenti, ognuno con un proprio “tutor”: ci sono i combattimenti, le costruzioni, le battaglie e la guida, tutti piccoli tutorial giocabili che da soli aumentano il tempo globale di gioco. I mondi creati possono essere condivisi online, soluzione fantastica per i più pigri non tanto per la creazione quanto per la possibilità di scaricare mondi creati da altri. Infinity 3.0 ha raggiunto finalmente la sua maturazione completa dimostrandosi un prodotto vincente per tutti: la parte avventura, seppur non troppo lunga, è perfetta per i più piccoli perché è perfettamente bilanciata e si esce quasi sempre vincitori e con il sorriso da ogni scontro, mentre la Scatola dei Giochi è un must per i più grandi che cercheranno sempre di creare mondi più completi e divertenti, assemblando avventure ad hoc per figli o fratelli. Vince anche Disney: con 69 euro per lo starter pack, 15 euro per ogni statuina aggiuntiva e 35 euro per un playset ha creato una macchina da soldi mostruosa, e per i fan di Guerre Stellari è davvero difficile lasciare sullo scaffale alcune statuine meravigliose, come quella di Darth Vader o di Chewbecca. Senza tenere conto che la stessa Disney si è tenuta degli assi nella manica: all’appello mancano le statuine di R2-D2, C3PO, Jabba The Hutt, Lando Calrissian, del Conte Duku e dell’Imperatore Palpatine. Fortunatamente assente anche quella di Jar Jar Binks.