Filosofia teoretica I, Corso 2007-2008
28/02/2008
3°
lo spazio che spetta al concetto di immagine:
mera
bidimensionalità
spazio del concetto
di immagine
mera
tridimensionalità
Il rifiuto della concezione
mimetica dell’arte
“Riprodurre oggetti amati e
angolini di natura? Mi ricorda il
comportamento di un ladro che
si entusiasma per i propri piedi
incatenati” (Malevitch)
Si deve ripudiare “il volgarissimo
trompe-l’oeil prospettico, giochetto
degno
tutt’al
più
di
un
accademico, tipo Leonardo, o di
un
balordo
scenografo
per
melodrammi veristi» (Carlo Carrà, La
pittura dei suoni, rumori e odori,
1913)
“La prospettiva è l’errore che è
all’origine di ogni altro errore del
Rinascimento e della pittura sino ai
nostri giorni. L’idea che fosse
possibile rappresentare lo spazio
servendosi di un trucco meccanico
ha avvelenato la pittura per secoli”
(Delaunay)
«Quando sono state stabilite le
leggi della prospettiva, l’arte
rappresentativa è stata messa al
cappio. Si è approntata la stalla
nella quale l’artista doveva
operare»
(Malevic)
«Ci sono molti i quali, vedendo in una pittura di
Giotto o di Beato Angelico un uccello più
grande della casa che gli è accanto, ridono. Ci
son dei critici illustri i quali, vedendo coteste
stesse
cose,
spiegano
che
si
tratta
evidentemente di errori di prospettiva. [...] Gli
uni e gli altri sono degli imbecilli. [...] La verità è
che l’artista antico sentiva, come l’artista
moderno sa, che la scienza non ha nulla a che
fare con l’arte e che basta riprodurre la propria
impressione per render viva e vera l’immagine
[...]. Onde la sua prospettiva, che io direi
psicologica piuttosto che scientifica, era la vera,
ed è la sola che si confaccia al carattere lirico
dell’arte» (A. Soffici)
La prospettiva: che noia!
«Le prospettive fanno sbadigliare» (Paul
Klee)
“La prospettiva? La legge dei binari e
delle traversine” (Delaunay)
“l’orizzonte prospettico è la rete in cui la
pittura è rimasta imbrigliata” (Malevic)
La finestra albertiana è la “catacombe
della prospettiva cuneiforme”(Malevic)
Due tesi:
1. La storia delle immagini è l’eco di una vera
e propria storia della visione.
2. Non vi è storia della visione, ma vi è una
storia dei diversi impieghi dell’immagine e le
immagini nel tempo variano perché diverse
sono le funzioni che epoche diverse
attribuiscono loro.
Credo che la prima tesi sia falsa e che sia
vera invece la seconda.
La prima tesi ci invita a pensare alla storia della
pittura del Novecento con una sorta di senso di
colpa. Non abbiamo ancora imparato a guardare
come dovremmo, ma verrà un giorno in cui
finalmente non ci sembrerà più strano il tratto di
Picasso o di Chagall o di Matisse.
“Il realismo è relativo, determinato dal sistema di
rappresentazione in una data cultura, in un dato
tempo. I sistemi nuovi, arcaici o stranieri sono
considerati artificiali o maldestri. Per un egiziano della
quinta dinastia, il modo più chiaro per rappresentare
qualcosa non è il medesimo che vale per un
giapponese del XVII secolo; e nessuno dei due è quello
che vale per un inglese del Novecento” (Goodman)
Alle immagini non si chiede più di
essere una finestra albertiana che ci
consenta di vedere lo spettacolo visibile
del mondo sia pure idealizzato. Si vuole
invece fare dell’immagine il luogo di
una sperimentazione che ci riveli quello
che non si può vedere, ma che deve
essere pensato dietro o al di là della
forma
visibile.
L’immagine
deve
assumere una piega iconoclastica.
PIET MONDRIAN
1908
1921
“Nell’espressione plastica della
forma, i confini sono definiti da
una linea chiusa (il contorno): è
necessario invece che questa
linea venga tesa in una retta”
(Mondrian) – e questo equivale a
dire che non si debbono più
disegnare oggetti, ma solo la
griglia astratta che mette in luce
la forma vuota dello spazio.
Mondrian:
Le tappe del cammino di
apertura e di rettificazione
del contorno e quindi
della linea chiusa
La domanda che dobbiamo
porci: qual è il fine di questa
rettificazione delle linee che è
insieme negazione degli oggetti e
riconduzione della pittura a pura
spazialità?
La natura, il capriccio e il tragico
“In natura il tragico si manifesta plasticamente per
mezzo della corporeità, la quale si esprime a sua volta
plasticamente attraverso la forma e il colore naturali,
attraverso la corporeità, il plasticismo naturale, la curva,
la capricciosità e le irregolarità della superficie”
“Soggettivamente è il dominio della natura dentro di noi,
oggettivamente il dominio della natura fuori di noi a
causare il tragico”
«Lo squilibrio tra l’individuale e l’universale crea il tragico
e si esprime in una plastica tragica. In ciò che è, tanto
nella forma quanto nella corporeità, domina il naturale:
da questa situazione scaturisce il tragico»
(Mondrian)
La natura deve essere tolta e l’immagine deve
diventare non il luogo in cui si rappresenta il
visibile, ma uno spazio in cui si sperimenta ciò
che sta dietro ad esso – la struttura calma,
ordinata e priva di vita di ciò che permane, al
di là e al di sotto dei capricci dell’individuale.
Alle immagini ora si chiede questo: di non
raffigurare il visibile, ma di aiutarci ad andare
al di là della sua tragicità, per mostrarci la
forma astratta di ciò che permane e sta sotto
la vicenda temporale delle cose.
Tragicità e natura:
la tragicità delle forme
naturali
«Vorrei […] mettere in risalto l'ingenuità con cui
la pianta, mediante la semplice forma,
manifesta ed esprime il suo carattere, la sua
natura o la sua volontà; perciò le fisionomie
delle piante destano un vivo interesse. Nelle
piante, la volontà si svela completamente, ma
in maniera assai meno intensa, e come pura sua
tendenza a vivere, senza un fine, senza un
disegno. La pianta infatti esibisce tutto il suo
essere a prima vista: la sua innocenza non soffre
per nulla del fatto che gli organi della
riproduzione, riposti presso gli animali nelle parti
più nascoste, fan libera mostra di sé alla cima»
(Schopenhauer)
PAUL KLEE
La poetica di Klee ha alla sua
origine la distinzione romantica
tra forma e figurazione: non
bisogna mostrare la forma
conclusa, ma la genesi che ha
condotto ad essa.
Le ragioni di questa scelta: la forma è
diventata muta.
“il pittore è stato gettato in un mondo
proteiforme [in eine vielgestaltige Welt gesetzt
wurde], in cui bene o male gli tocca
raccapezzarsi (P. Klee,)
“Oggigiorno vediamo attorno a noi forme esatte
d’ogni tipo: nolens volens l’occhio ingurgita
quadrati, triangoli, cerchi, elaborazioni d’ogni
specie quali trame di fili di ferro su sbarre, cerchi
su leve; cilindri, sfere, cupole, cubi più o meno
elevati e combinati in una molteplicità di effetti.
L’occhio ingurgita gli oggetti”(Klee).
Il pittore “contempla con occhio penetrante le
cose che la natura gli pone sott’occhio già
formate. E quanto più a fondo egli penetra,
tanto più facilmente gli riesce di spostare il punto
di vista dall’oggi allo ieri; tanto più gli si imprime
nella mente al posto di un’immagine naturale
definita, l’unica essenziale immagine, quella
della creazione come genesi. Egli allora si
permette il pensiero che la creazione non possa
dirsi ancora conclusa e con ciò prolunga
quell’atto creativo dal passato al futuro,
conferendo durata alla genesi. Egli, restando
nell’al di qua, si dice: il mondo ha avuto aspetti
diversi e aspetti diversi il mondo avrà” (Klee).
Le immagini debbono assumere
una
funzione
sottilmente
iconoclasta: debbono raffigurare
qualcosa, per negarla — perché
solo così si può sottrarre alla forma
la
sua
stabilità
e
disporsi
nuovamente sul terreno della
figurazione e quindi della forma in
divenire che ha nella sua genesi il
suo senso.
Due tesi sottilmente contraddittorie
- L’immagine non deve mostrare la forma, ma la
genesi
- la genesi non può essere data in una immagine
Come è possibile che ciò accada? Si può
raffigurare qualcosa, creando una forma, e
poi pretendere che ciò che il quadro ci
vuole mostrare non sia quella forma che
abbiamo sotto gli occhi?
Come è possibile negare nell’immagine ciò
che l’immagine mostra?
Una contraddizione implica una
posizione e una negazione. Ogni
immagine
pone
qualcosa:
la
raffigura. Ma come può negarla?
La prima forma di negazione
nell’immagine: la negazione del “non
ancora”.
Bahn
Einst dem Grau der Nacht
enttaucht
Dann schwer und teuer
und stark vom Feuer
Abends voll von Gott und
gebeugt
Nun ätherlings vom Blau
umschauert,
entschwebt über Firnen
zu klugen Gestirnen.
Percorso
Un tempo dal grigio della notte
emerso
Poi grave e caro
e forte di fuoco
La sera di Dio ricolmo e ricurvo
Ora etereamente avvolto in un tremito
blu
fugge librandosi sopra vecchie nevi
verso sagge costellazioni.
Una seconda forma di negazione
dell’immagine interna all’immagine:
l’ironia.
L’ironia è una “personcina invisibile”
(Kierkegaard) che nega ciò di cui ci fa
sorridere.
L’immagine ironica è un’immagine
sottilmente iconoclasta: si pone, ma ci
invita a sorriderne e a negarla nella sua
staticità, a metterla in movimento.
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Il livore antiprospettico