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Numero 63
21 Aprile 2015
89 Pagine
Mercedes CLA
Shooting Brake
Per chi ama
distinguersi
È pronta a stupire con uno
stile personale
Periodico elettronico di informazione automobilistica
Mazda6 restyling
Pensa in grande
La Mazda6 è il modello di punta
della Casa di Hiroshima. E’ pronta
a sfidare le migliori auto tedesche
F1, GP Bahrain
Le pagelle di Sakhir
Hamilton continua a macinare
punti e vittorie, mentre Rosberg
sembra sempre più in crisi
| PROVA SU STRADA |
Nuova
Suzuki
Vitara
da Pag. 2 a Pag. 17
All’Interno
NEWS: Mercedes GLC Coupé concept | Volkswagen C Coupé GTE concept | Peugeot 308 R HYbrid | Volkswagen T6
Audi prologue allroad | M. Clarke Alla scoperta dei motori turbo | De Vita Roma: 70.000 euro al giorno con i parcheggi
PROVA SU STRADA
NUOVA SUZUKI VITARA
Il meglio di
due mondi
Abbiamo guidato la quarta generazione della
Vitara. E’ già disponibile in due allestimenti ben
accessoriati, a 2 o 4 ruote motrici con motori
1.6 benzina e diesel da 120 CV. Promossa a pieni
voti su strada e pure fuori
di Andrea Perfetti
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Prova
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Media
L
a Vitara non è mai stato un modello schiavo della frenesia del
ricambio generazionale. Pensate
che dal 1988 a oggi si sono alternate solo tre generazioni, che
negli anni hanno riscosso un importante successo (2,87 milioni di auto vendute
nel mondo) grazie alla formula azzeccatissima
del suv compatto. La Suzuki fu allora una pioniera, quando presentò al pubblico un’automobile
pratica in città, ma anche capace di arrampicarsi
in fuoristrada come un vero mulo. Nel 2015 arriva la quarta Vitara, che fa a meno del prefisso
“Grand”, e perde qualche centimetro negli ingombri e qualche cc nei motori. Ma fa un balzo
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epocale in avanti negli equipaggiamenti di bordo,
nell’abbattimento dei consumi e delle emissioni, e nel piacere di guida offerto dai due motori
1.600 (benzina e diesel, entrambi da 120 cavalli).
La linea è moderna, meno allineata all’immagine
da fuoristrada duro e puro della Grand Vitara. Ma
non pensate male: la Vitara resta fedele alla storia quarantennale di Suzuki nella progettazione di
auto 4x4 e, oltre alle versioni 2wd (ovviamente a
trazione anteriore), offre con entrambi i motori la
trasmissione 4wd denominata Allgrip. Sono due
gli allestimenti previsti. Quello base si chiama VCool ed è già molto ricco; contempla i cerchi in
lega da 17”, il clima automatico, il cruise control,
l’adatpive cruise control (solo sulla 4wd), il radar
di assistenza per le frenate, il sistema key less, le
luci diurne a LED, la telecamera posteriore e sette airbag. L’allestimento V-Top ha in aggiunta i
sedili in pelle, i fari anabbaglianti a LED, il navigatore, l’adaptive cruise control (anche sulla 2wd),
i tergi e le luci automatiche. I prezzi partono dai
19.900 euro della 1.6 VVT 2wd V-Cool e arrivano
ai 27.100 euro della 1.6DDIS Allgrip 4wd V-Top.
Fino al 30 aprile 2015 la Vitara 1.6 DDIS 2wd
V-Cool sarà offerta allo stesso prezzo (19.900
euro) della benzina (con un risparmio quindi di
2.500 euro). Facciamo apertamente un plauso
alla Suzuki. La Casa del Sol Levante prevede
due allestimenti già molto completi, stop. Non
ci si perde quindi nei listini degli (che svuotano
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il portafoglio) o in slogan promozionali che sono
specchietti per allodole. Con la Vitara sai subito
quanto spenderai, e avrai comunque un’auto
praticamente completa. La nuova Vitara è prodotta nello stabilimento ungherese della Suzuki
e sarà commercializzata in tutto il mondo.
Esterno: elegante
e funzionale, senza fronzoli
La nuova Suzuki Vitara ha una linea pulita ed elegante che piace subito, soprattutto nelle versioni
bicolore (ben sei). La qualità delle finiture esterne è notevole, sia le parti in metallo, che quelle
in plastica e le cromature sono molto ben fatte
al pari degli accoppiamenti. La Vitara rinuncia
del tutto alla muscolosità di certi SUV e punta
invece su una eleganza discreta, che piacerà sicuramente anche al pubblico femminile. D’altra
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Prova
Periodico elettronico di informazione motociclistica
parte in Suzuki non fanno mistero di puntare a
una clientela di fascia alta, che sceglierà la Vitara
anche come robusta seconda auto di famiglia. Le
fiancate sono alte e solide, mentre il frontale è
caratterizzato dai fari a LED.
Interno: tanto spazio,
finiture a prova di bomba
In 417 cm la Vitara 2015 racchiude un abitacolo e
un bagagliaio che soddisfanno le esigenze di una
famiglia. In particolare ci ha soddisfatti lo spazio per i cinque passeggeri, grazie al tetto molto
alto e alla possibilità di allungare le gambe anche
dietro. Il vano posteriore è interessante (375 litri) in relazione alla lunghezza, nasconde un ulteriore spazio sotto la copertura e può essere
facilmente utilizzato fino al tetto. Il design della
plancia è elegante e molto pulito. Finalmente si
trova tutto a portata di mano - cosa non scontata sulle auto di ultima generazione - e non ci si
perde nella gestione di mille interfacce. Il display
centrale da 7”, che ha qualche riflesso molesto
al sole, permette di gestire facilmente le principali funzioni. Il clima automatico (mono-zona) è
efficiente, al pari dell’impianto multimediale (con
presa USB, Bluetooth e comandi al volante). La
Suzuki, da buona giapponese, fa a meno delle
plastiche morbide che noi europei tanto amiamo
ed elogiamo nei nostri test. Ma non ci sentiamo
affatto di annoverare questa nota tra i difetti. La
Vitara è un’auto fatta per durare nel tempo e per
viaggiare anche in mezzo alla polvere e nel fango;
viste in quest’ottica, le plastiche rigide si rivelano molto più durature e robuste rispetto a quelle
morbidose delle auto tedesche. I sedili sono realizzati in pelle sulle versioni V-Top che abbiamo
provato; sono rigidi e confortevoli, mentre non
ci soddisfa del tutto la regolazione a scatti dello
schienale, meno precisa rispetto al pomellone
girevole.
Motori 1.6: lo stato dell’arte
La nuova Vitara si presenta con due motori
“piccoli” solo sulla carta, ma moderni e capaci
di grandi prestazioni. Merito anche dell’allegerimento generale (fino a 360 chilogrammi!), che
ha migliorato parecchio la dinamica dell’auto. Il
4 cilindri 1.6 VVTI a benzina ha 120 cv a 6.000
giri, con una coppia massima di 156 Nm a 4.000
giri. Di serie c’è il cambio manuale a 5 marce,
optional l’automatico a 6 marce (1.500 euro il
suo prezzo). Il 4 cilindri 1.6 DDIS (prodotto dalla Fiat secondo le specifiche richieste della Casa
giapponese) è un vero gioellino che presenta
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innumerevoli chicche tecnologiche. Dispone
di 120 cavalli a 4.000 giri, con una coppia esuberante di 320 Nm a 1.750 giri. Il cambio è a 6
marce (entro il 2015 arriverà anche il doppia
frizione). Ha due valvole EGR per abbattere le
emissioni e una turbina a geometria variabile a
controllo elettronico. Questo motore, abbinato
alla trasmissione manuale con la trazione anteriore, vanta una produzione estremamente
bassa di CO2 (solo 106 gr/km). Da record per un
SUV compatto sono anche i consumi dichiarati,
che vanno dai 4,2 l/100km della motorizzazione
diesel 2wd manuale ai 5,7 l/100km di quella a
benzina 4wd con il cambio automatico.
Trazione 4wd: ogni fondo
ha il suo MODE
La trasmissione Allgrip della Suzuki è tanto
semplice quanto funzionale. Dispone di quattro
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
Prova
modalità, selezionabili in un secondo dal pomello posto sul tunnel centrale. E’ avveniristica la
funzione Feedforward di tipo predittivo, che in
base ai parametri di guida (acceleratore, sterzo)
valuta la possibilità che una ruota perda aderenza e trasmette maggiore coppia alle altre ruote.
Le modalità sono Auto (la trasmissione passa
alla trazione integrale quando l’avantreno perde
aderenza), Sport (il sistema sfrutta la trazione
integrale e regala una risposta più pronta del motore), Snow (le quattro ruote motrici sono impostate di default) e Lock (che limita lo slittamento
dei differenziali, consentendo di affrontare anche
passaggi offroad impegnativi). Le ruote anteriori
hanno sospensioni di tipo MacPherson, mentre
quelle posteriori impiegano una barra di torsione
del tutto simile a quella della Suzuki sul modello S-CROSS. L’impianto frenante ha quattro dischi su tutte le versioni (anteriori autoventilati).
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Prova
Periodico elettronico di informazione motociclistica
ora ai motori. Il quattro cilindri diesel di origini
italiane si becca un bel votone, è semplicemente
eccellente. Ottimamente insonorizzato, spinge
come un toro già da 1.500 giri e fino ai 3.000
regala una accelerazione possente alla Vitara
1.6 DDIS, che non appare mai in affanno, anche
sulle strade ripide che abbiamo affrontato nel
nostro test nei pressi di Lisbona, in Portogallo. E’
notevole anche l’allungo, che sfiora i 5.000 giri,
ma è inutile esplorare la zona rossa del contagiri;
questo motore dà il meglio ai medio/bassi, consentendo così di ottenere consumi davvero bassi
per il tipo di auto. Non ci vuole infatti molta attenzione per toccare i 20 km/l effettivi nell’utilizzo misto (extraurbano più città). Funziona bene
anche la trasmissione, che abbina una frizione
morbida a un cambio leggero e ben rapportato
(la sesta marcia è di riposo, adatta ai trasferimenti autostradali).
Lo spazio minimo da terra è di 185 mm e i pneumatici misurano 215/55 su cerchi da 17”.
Sicurezza: hanno fatto le
cose per bene
Brava Suzuki. Non ci hai dato le plastiche morbide (viviamo benissimo lo stesso), ma hai piazzato su tutti gli allestimenti della Vitara il sistema
radar RBS-Radar Brake System che tiene sotto
controllo l’auto che ci precede e, se rileva la possibilità di una collisione, avverte il conducente
con un segnale acustico e un avviso sul display.
Ma va anche parecchio oltre: se il sistema RBS
determina che la collisione è inevitabile, agisce
autonomamente sui freni. Previene quindi le
collisioni a bassa velocità e riduce i danni degli impatti. Ci sono poi sette airbag (compreso
quello per le ginocchia di chi guida). Il radar, posto appena dietro la calandra, permette anche
di regolare il cruise control in modo adattativo,
mantenendo cioè automaticamente la distanza dal veicolo che precede. La nostra prova su
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Grinta sportiva per il benzina
Ci è piaciuto anche il propulsore 1.6 VVTI a benzina. Ovviamente ai bassi non può vantare la corposità dell’unità a gasolio, ma è estremamente
regolare e vellutato. Denota la totale assenza
di ruvidità a cui si somma un comportamento
inaspettatamente sportivo quando si tirano le
marce. I motori turbo a benzina di ultima generazione ci hanno abituati a una certa pigrizia
quando si superano i 5.000 giri; danno tutto
subito, poi diventano asmatici. L’aspirato giapponese ha invece una risposta gagliarda fino a
6.500 giri e invoglia alla guida sportiva sui percorsi ricchi di curve, assecondato da un corpo
vettura estremamente leggero (la 2wd supera
di poco i 1.100 kg, un risultato clamoroso per un
suv compatto). Sfruttando la fluidità sottocoppia, si possono ottenere interessanti medie chilometriche sul fronte dei consumi (oltre 16 km/l
strada: consumi record per il diesel La Vitara è
accogliente per i guidatori anche più alti. Lo spazio abbonda, anche in altezza, e le numerose
regolazioni permettono di trovare subito la posizione giusta (peccato, come detto, per la regolazione a scatti dello schienale). I sedili sono rigidi,
ma comodi sulle lunghe distanze. Ottima anche
la capienza del bagagliaio in relazione alla lunghezza della vettura. In effetti la Vitara ha delle
belle proporzioni, che la fanno apparire più lunga
di quanto sia in realtà. Gli strumenti sono tutti
ben consultabili; ci sono i comandi multifunzione
sul volante e solamente la gestione del computer
di bordo è resa un po’ macchinosa dalla necessità di staccare le mani dalla corona per usare i due
pulsantoni che escono dal quadrante (sembrano
due lunghe penne Bic, l’effetto alla vista non è dei
migliori). Sono ben fatte le bocchette dell’aria e
dà un tocco di esclusività la fascia centrale che
richiama il colore della carrozzeria. Sono infine
pratici i vari vani dedicati agli oggetti più piccoli
sia nelle porte che sul tunnel centrale. Passiamo
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
Prova
nell’extraurbano). La Vitara 1.6 VVTI è quindi
un’ottima scelta per chi non percorre troppi
chilometri all’anno; a un prezzo di acquisto interessante associa una dotazione completa e
un ottimo comportamento stradale. Il merito va
sicuramente anche all’ottima trasmissione Allgrip che abbiamo provato sulla nuova Vitara. Su
strada l’inserimento della trazione integrale (del
tutto automatico) è praticamente inavvertibile.
La motricità è sempre ottima e va di pari passo
con una tenuta di strada molto sportiva. La Vitara non dondola mai, ha un rollio ridotto ai minimi termini anche per merito della gommatura
sportiva con spalla ribassata. Proprio questa ha
il limite di farsi sentire sulle asperità, dove l’assorbimento risulta un po’ brusco. Selezionando
la mappatura Sport si avverte, con entrambi i
motori, un evidente cambio di personalità. La risposta all’acceleratore è più pronta e regala una
guida più divertente. Basta impostare invece la
modalità Snow più Lock per ritrovarsi al volante della “solita” Vitara che abbiamo imparato a
conoscere negli anni. Mancano le ridotte, è vero,
ma la Vitara 4wd mostra una convincete attitudine ad affrontare i percorsi che vanno ben al di
là di una semplice strada bianca. La trazione è a
prova di sabbia e buche profonde, mentre le sospensioni digeriscono di tutto. Nelle discese più
ripide è utile l’hill descend control, che mantiene
la velocità impostata senza che il pilota debba intervenire sui freni. Freni che dal canto loro si rivelano modulabili e potenti sia nella guida su strada
che in quella fuoristrada.
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PROVA SU STRADA
MERCEDES CLA SHOOTING BRAKE
Per chi ama
distinguersi
In listino a partitre da 31.390 euro la nuova SW
Premium di segmento C è pronta a stupire con uno
stile personale e con contenuti tecnologici da vera
ammiraglia. Al lancio motori da 122 a 360 CV
mentre per il 180 CDI da 110 CV bisognerà aspettare
di Emiliano Perucca Orfei
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Media
I
vertici della Mercedes avevano fatto
capire sin dal giorno del debutto della Classe B che sotto a quella monovolume si nascondeva una possibilità
di declinazione di design e tecnologie,
senza alcun stravolgimento della piattaforma, che avrebbe radicalmente cambiato
il volto della Stella in pochi anni. Una dichiarazione che suonava più come una promessa...e
siccome a quelli di Stoccarda le promesse piace
mantenerle non sorprende poi più di tanto se a
soli tre anni distanza dal lancio di quella “pacifica” monovolume di segmento C ci siano ora in
gamma la bellezza di cinque vetture basate su
una piattaforma MFA che non sembra avere alcuna limitazione, nemmeno di appartenenza al
brand: tra qualche mese, infatti, uscirà dagli stabilimenti di Stoccarda per dare forma ad un’altra
famiglia di vetture marcate Infiniti - tra cui le già
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Prova
Periodico elettronico di informazione motociclistica
ma evidentemente non tutto sul design. La Mini
CLS, così viene soprannominata dai fans per via
di forte riprese dalla coupé a quattro porte che
ha inaugurato un nuovo segmento di vetture un
paio di lustri fa, ha seguito le orme della sorella maggiore aggiungendo un tocco di versatilità
in più ad una “coupé” che rispetta tutti i canoni
delle sportive Mercedes. Il Cx, innanzitutto, è il
più basso tra tutte le station wagon Mercedes: il
valore, di per sé più basso rispetto a quello di una
tradizionale berlina, è di 0,26 - contro il 0,29 della Classe E SW e della CLS Shooting Brake - ed
è stato ottenuto lavorando sul fondo della vettura ma anche sui profili aerodinamici anteriori
e posteriori che hanno permesso di contenere il
valore di resistenza aerodinamica. Un plus che
non solo permette valori di emissione di CO2
mediamente più bassi a parità di motore, ma
che che assicura un tangibile risparmio di carburante quando si fanno molti km, soprattutto
a velocità autostradali. Ma non c’è solo il Cx: le
linee slanciate e la fiancata profondamente solcata da nervature si uniscono ad una superficie
vetrata che si estende dal montante A al C con
soluzioni di continuità “poco evidenti” ed in linea
con lo spirito sportivo della Stella. Valori stilistici
che non tradiscono la versione “berlina/coupé”
visto che considerato che anche elementi chiave come i gruppi ottici anteriori e posteriori sono
esattamente gli stessi: la CLA Shooting Brake,
insomma, è davvero una CLA con il montante
posteriore “prolungato”.
Tanta tecnologia a bordo
Una vettura che, bagagliaio a parte, non tradisce
le origini di Classe A e CLA nemmeno all’interno
dove rimangono in toto le linee sviluppate dal
centro stile di Como: forme eleganti ma anche
sportive grazie al forte legame con l’icona di stile ed ammiraglia sportiva AMG SLS. Un interno
che cela anche molti contenuti tecnologici tra cui
una novità introdotta nel corso del 2014 anche
sulle altre “piccole” denominata ConnectMe:
attraverso una scheda 3g intestata a Mercedes
è possibile collegarsi da remoto alla vettura attraverso una specifica app su smartphone e
annunciate Q30 (berlina) e QX30 (SUV compatto) - che nel frattempo, attraverso i continui
scambi di tecnologie con il Gruppo Renault, è diventata anch’essa partner della Stella. Insomma
una piattaforma “miracolosa” che per la nuova
Mercedes CLA Shooting Brake significa la possibilità di arrivare in concessionaria con motori
diesel e benzina con potenze tra i 122 ed i 360
CV, tanta tecnologia onboard e misure che non
ti aspetti da una segmento C “sportiva” marcata
Mercedes: 469 cm di lunghezza, 178 di larghezza e 142 di altezza (passo 270, da segmento D)
sono le misure chiave di una SW sportiva che
offre un minimo di 495 litri di bagagliaio ampliabili facilmente a 595 e poi, abbattendo progressivamente gli schienali, sino a 1.354. Numeri importanti, che da un lato fanno capire l’ampiezza
della scelta motoristica a disposizione e dall’altro la versatilità di un progetto che gioca molto
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
nella dotazione la telecamera posteriore che lavora sullo schermo del navigatore Garmin Map
Pilot. A 34.870 euro si puà avere la Premium, con
specchi ripiegabili elettricamente, cerchi in lega
da 18”, telecamera posteriore, navigatore, fari
bixeno e kit estetico AMG. Due le motorizzazioni a gasolio disponibili al lancio: il quattro cilindri
duemila turbodiesel, infatti, viene proposto nella
versione da 136 (CLA 200 CDI) ed in quella da
177 CV (CLA 220 CDI). Più avanti, verso la fine
del 2015, sarà proposta anche la gettonatissima
CLA 180 CDI da 110 CV che offre una versione
rivista in più di 60 componenti del 1.5 dCi di origine Renault. La CLA 180 è invece disponibile a
benzina con il classico proulsore da 122 CV. Per
chi volesse qualcosa in più, sempre tra i motori a
verde, si sale alla CLA 200 da 156 CV per arrivare
alla più potente CLA 250 da 211 CV.
tablet interagendo con essa per quando riguarda il posizionamento, i percorsi da impostare sul
navigatore, l’apertura delle porte, l’autonomia
residua, il livello dei liquidi o lo stato della manutenzione. Lato vettura, grazie a questa funzionalità, è possibile accedere ad un mondo di app
specifico così da sfruttare al meglio i contenuti
tecnologici e le possibilità offerti dalla vettura.
Nella dotazione della CLA Shooting Brake, in
base all’allestimento, possono rientrare anche il
Collision Prevention Assist Plus, l’Attention Assist, l’ESP con controllo di trazione, il controllo
dell’angolo cieco degli specchietti, il mantenimento della carreggiata, il cruise control attivo
e la chiamata d’emergenza in caso di incidente:
la cosa curiosa e che quest’ultima funzionalità,
proprio anche attraverso la rete dati sfruttata
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La più performante è la 45 AMG
da 360 CV
Al top della gamma la CLA 45 AMG Shooting
Brake firmata dai tecnici di Affalterbach: rispetto
alle versioni “tradizionali” non si distingue solo
per l’estetica più marcatamente sportiva ma
anche per l’adozione del quattro cilindri duemila
biturbo da 360 CV abbinato al cambio a doppia
frizione e sette rapporti: una vettura dalle prestazioni eccezionali, grazie anche alla presenza
della trazione integrale 4Matic, vista la capacità
di accelerare da 0 a 100 km/h in 4,7 secondi.
Cambi manuali a sei marce o automatici a doppia
frizione le trasmissioni della CLA Shooting Brake
sono, come per la CLA, disponibili nella configurazione a sola trazione anteriore o 4Matic. Per
quanto riguarda i diesel possono disporre della
tecnologia integrale le 200 e 220 CDI mentre sul
anche dal Connect Me, è in grado di visualizzare il posizionamento della vettura per segnalarlo
ai soccorsi comunicando, allo stesso tempo, la
lingua parlata dagli occupanti. Funzionalità da
vera Mercedes che la Stella in Italia ha deciso di
declinare in quattro diverse versioni: la prima, la
Executive offre a 31.390 euro i cerchi in lega da
17”, il volante multifunzione, il Collision Prevention Assist Plus, il Connect Me ed i sedili sportivi
in pelle Artico/tessuto. A 32.860 euro si ritrovano nella versione Business gli stessi cerchi in
lega ma anche il Park Assist, il Garmin Map Pilot
ed il cruise control con la funzione speedtronic.
A 33.490 euro si passa ad una versione Sport
decisamente più caratterizzata sotto il profilo
estetico: la mascherina è la Matrix con pin neri
ed i cerchi in lega sono da 18”. Non mancano
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benzina sono la 250 e la AMG. Il sistema di avvale
di un differenziale centrale meccanico a controllo elettronico e di un pacchetto di distribuzione
della coppia tra l’asse destro e quello sinistro
basato sulla singola frenatura della ruota in crisi
di aderenza. In questo modo la trazione integrale
4Matic permette di abbattere consumi, emissioni e rumorosità pur senza perdere troppo in
efficacia.
Dal vivo: com’è fuori
Guardandola da davanti la nuova CLA Shooting
Brake mantiene del tutto invariati i tratti della
normale CLA “berlina”. E guardandola nella vista
laterale ed in quella posteriore, infatti, che si notano le grandi differenze visto che il caratteristico
arco che segna l’andamento a mo’ di coupé sulla
berlina è stato esteso sino alla coda assicurando
quell’incremento di volumetria del bagaglaio che
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ci si aspetta da una declinazione SW. Un ospite
atteso ed in quanto tale gradito visto che il lavoro
stilistico non sembra in alcun modo posticcio o
sistemato alla bene e meglio, che farà certamente piacere a chi cerca una SW compatta in grado
di distinguersi e far distinguere.
Dal vivo: com’è dentro
Se non fosse per l’allungamento della coda si potrebbe tranquillamente affermare che la nuova
CLA Shooting Brake mantiene del tutto invariate le caratteristiche di bordo della normale CLA.
Posto guida comodo e quote posteriori in linea
con le esigenze di quattro persone - un quinto ci
sta ma scomodo - la nuova CLA Shooting Brake
stupisce per la dimensione e la regolarità con cui
è stato disegnato il bagagliaio. Molto spazioso e
sviluppato in modo regolare dispone anche di un
piccolo vano sotto al pavimento, utile per riporre
gli oggetti di raro uso, anche se non è esente da
difetti: per ottenere i 595 litri di carico bisogna
far sedere le persone dietro con gli schienali molto eretti mentre per far accedere al vano oggetti
larghi e magari alti non è certo un’impresa semplice. L’aver mantenuto gli stessi gruppi ottici
della berlina, infatti, da un lato ha dato continuità stilistica ed ha permesso di ridurre i costi ma
dall’altro ha costretto a rinunciare a parecchi cm
utili nell’apertura della bocca di carico (limitata
anche su Classe A). Bassa inoltre, ma perché è
bassa la linea di cintura, anche la posizione del
tendalino: si trova a poco più di 40 cm dal pavimento e questo è un problema quando si deve
lasciare l’auto in aree poco sicure ed il tendalino...non si riesce a chiudere. Per il resto gli interni della CLA Shooting Brake sono ben realizzati
sotto il profilo stilistico, danno l’idea di essere
realizzati con materiali di pregio anche se alcuni
dettagli, come alcuni comandi ed alcune plastiche del tunnel centrale, non sono al top. Non è
al top nemmeno l’ergonomia: bene lo schermo
del multimedia, bene la leva del cambio spostata
dietro al volante per liberare spazio utile per alcuni vani nel tunnel centrale, bene le bocchette
dell’aria rialzate, bene il volante multifunzione
con impugnatura sportiva e bene la strumentazione super-leggibile, ma il posizionamento dei
comandi del climatizzatore è davvero molto basso e difficoltoso da utilizzare. È evidente che per
questo particolare in Mercedes abbiano pensato
che l’utilizzo sia meno frequente rispetto a tutto
il resto. Niente male anche l’aspetto multimediale: il navigatore Garmin funziona molto bene, è
preciso ed offre indicazioni chiare e precise, ma
allo stesso tempo ci ha sorpreso il pacchetto di
sicurezza che è sempre molto vigile pur senza
essere invadente: la CLA Shooting Brake, come
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Prova
tutte le vetture Mercedes basate sulla piattaforma MFA, danno la sensazione di essere sempre
molto sicure ed attente nei confronti di chi guida.
Molto positivo.
Su strada
Per il nostro test drive abbiamo scelto di guidare la nuova Mercedes CLA Shooting Brake nella
motorizzazione 200 CDI da 136 CV. Un’unità che
sarà indubbiamente tra le più vendute - in attesa
della 180 CDI - anche per via della presenza del
cambio automatico che su una vettura di questo
genere può tornare davvero molto comodo. A
dispetto del look sportiveggiante, infatti, la CLA
Shooting Brake sarà scelta da centinaia di automobilisti che la useranno ogni giorno per corprire
anche lunghe distanze e la combinazione tra un
motore decisamente poco assetato - 5,8 l/100
km alla fine della nostra prova - ed un cambio automatico veloce ed efficiente grazie alla doppia
frizione permettono a questa vettura di essere
un’ottima compagna di viaggio per le lunghe distanze. Lo sterzo preciso, il buon impianto frenante e l’ottimo telaio MFA permettono anche di
divertirsi tra le curve anche se al propulsore 200
CDI manca molto della grinta del fratello maggiore da 170 CV. Il quadricilindrico Mercedes, infatti,
è molto silenzioso a velocità costante e consuma
poco ma non è per sua natura un motore emozionante. Se si cerca la prestazione assoluta è
meglio puntare sulla versione di potenza superiore. Degna di nota, anche se non per questioni
positive, la scarsa visibilità posteriore: in manovra bisogna affidarsi del tutto ai sensori posteriori ed alla retrocamera di parcheggio.
In conclusione
Con la nuova Mercedes CLA Shooting Brake i
vertici della Mercedes hanno voluto dare una risposta ad un segmento, quello delle SW di segmento C, in cui manca una proposta Premium
oltre che un modello pensato per le automobilisti
che si vogliono distinguere.
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MAZDA6 RESTYLING
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La Mazda6 è il modello di punta della Casa di
Hiroshima. Grazie a un’estetica aggiornata e più
elegante, ma soprattutto a un livello tecnologico di
altissimo profilo è pronta a dar battaglia alle migliori
competitor tedesche, anche premium
di Matteo Valenti
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
debutto una serie di novità consistenti, pensate
per fare un ulteriore salto di qualità.
Dal vivo: com’è fuori
Media
Ma andiamo con ordine e cominciamo a vedere
cos’è cambiato all’esterno. Rispetto al passato
il frontale si rinnova in maniera significativa, con
forme che preferiscono la strada dell’eleganza
a quella della sportività. Forme e proporzioni divengono più filanti e raffinate, mentre la calandra
gioca a fare la sofisticata con una conformazione
a listelli cromati. Sopra ai fendinebbia poi si fanno notare due curiose ali ispirate in maniera fin
troppo evidente a quelle delle nuova MX-5. Come
sulla CX-5 restyling poi anche in questo caso
spuntano nuovi gruppi ottici full led (abbaglianti
e fendinebbia compresi!), per di più adattivi, che
regalano alla Mazda6 uno sguardo più ricercato.
La fiancata mette in mostra inediti cerchi in lega
con misure fino a 19 pollici (per chi non vuole
esagerare ci sono anche quelli da 17”), mentre
al posteriore sono stati aggiornati i gruppi ottici con una firma luminosa più distintiva, che in
parte si affida alla tecnologia led. La gamma colorazioni infine si arricchisce con la nuova tinta
Sonic Silver.
Dal vivo: com’è cambiata dentro
con il restyling
I cambiamenti più evidenti in ogni caso li incontriamo una volta saliti a bordo. La rinnovata
Mazda6 infatti ha rivoluzionato la plancia e altri
dettagli cercando di eliminare i più grossi limiti riscontrati in passato. Prima di tutto il display centrale è divenuto più grande (7 pollici) ed è stato
posizionato più in alto, in stile tablet, come vuole
la moda del momento. Il sistema multimediale
MZD Connect si aggiorna con importanti novità
come i comandi vocali e i feed audio di Twitter
e Facebook per una migliore integrazione del
proprio smartphone. Ripensate completamente anche le bocchette di ventilazione, che ora
L
a Mazda6 è l’ammiraglia della
Casa di Hiroshima, il modello
di punta, che deve incarnare il
meglio della filosofia costruttiva
Mazda. Un ruolo divenuto ancora più pesante da rivestire da
quando Mazda si è messa in testa di diventare
il primo costruttore premium giapponese. Non è
un mistero infatti che la Casa dalle ali di gabbiano stia gradualmente alzando il tiro, proponendo
modelli sempre più ricchi e sofisticati, con l’obiettivo di conquistare la fascia alta del mercato.
Quale occasione migliore di un restyling quindi
per dimostrare di essere diventata un’auto capace di vedersela per davvero con le più blasonate rivali tedesche? A tre anni dal lancio e dopo
275.000 unità vendute in tutto il mondo (65.000
in Europa), la terza generazione della Mazda6 si
ripropone sia nella versione sedan che Wagon
in una veste parzialmente nuova, che porta al
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dirette competitor (la VW Passat Variant garantisce 650 litri). Un deficit da addebitare senza
dubbio al design molto filante della zona posteriore. In ogni caso abbattendo i sedili si possono
arrivare ad avere fino a 1.644 litri e uno spazio
di carico utile in lunghezza fino a 1.873 mm (Wagon).
Tecnologia da ammiraglia
Con il restyling si allarga anche la famiglia di tecnologie i-Activesense pensate per migliorare la
sicurezza. Oltre ai già citati fari full led adattivi
(Advanced Led headlights – ALH), davvero difficili da trovare su questo segmento di vetture e
in questa fascia di prezzo, i clienti possono avere
il Blind Spot Monitoring per il monitoraggio degli
angoli cechi, ma anche il Lane Keep Assist che
previene l’abbandono involontorio della propria
corsia di marcia. L’elenco dei dispositivi di sicurezza però comprende soprattutto lo Smart City
Brake, in grado di effettuare frenate automatiche
in casi di emergenza e basse velocità, anche in
retromarcia, e lo Smart Brake Support, capace
assumono un design più accattivante, mentre
raffinati rivestimenti in pelle impreziositi con cuciture a vista e finiture in alluminio lucido dicono
addio ad alcune plastiche non troppo entusiasmanti che avevamo visto in passato. Debuttano
nuovi materiali più morbidi anche per il cruscotto
e per gli elementi con cui si entra in contatto più
frequentemente, come il volante, mentre la leva
del cambio automatico abbandona l’anacronistica configurazione a scatti per assumere il più
moderno azionamento lineare con cuffia in pelle.
Al passo coi tempi
e qualità eccellente
Sparisce l’ormai obsoleta leva del freno mano,
sostituita dal tasto del freno di stazionamento elettrico. Una soluzione che ha permesso di
riordinare la console centrale - ora molto più
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di frenare automaticamente tra i 15 e i 145 km/h
quando i sistemi rilevano una potenziale collisione con il veicolo che precede. Con il restyling
arriva anche il Driver Attention Alert, che monitora l’affaticamento del conducente, suggerendo quando effettuare una sosta, e il comodissimo cruise control adattivo. Chiude l’elenco una
vera sfiziosità: sulla Mazda6 restyling debutta
l’head-up display (che abbiamo già conosciuto
sulla nuova Mazda3), che riproduce a portata di
sguardo una serie di informazioni fondamentali
durante la guida (a partire dalla velocità).
Motorizzazioni: i benzina
anche in Italia
A livello motorizzazioni si fa sentire la voglia di
puntare all’Olimpo del mercato. I vertici Mazda
infatti hanno deciso di importare anche in Italia i
motori a benzina, fino ad oggi riservati ai mercati
lontani dai nostri confini. A fianco del collaudato
2.2 turbo diesel Skyactiv-D nelle versioni da 150
e 175 CV quindi si schierano i benzina aspirati
2.0 Skyactiv-G da 165 CV (che diventano 160
pulita e razionale – dove si trova la manopola
Commander, unico strumento attraverso cui
interfacciarsi con il sistema di infotainment. I
progettisti giapponesi hanno anche ripensato i
sedili, progettando una nuova struttura in grado
garantire maggiore contenimento e comfort, ma
anche servendosi di un nuovo materiale pensato per assorbire meglio le vibrazioni. Ripensate
anche alcune finiture del bagagliaio, che in passato avevano fatto sollevare più di una critica.
Sulla Mazda6 restyling troviamo finalmente un
tendalino a livello di un’auto di questo calibro e
persino apposite leve per abbattere con facilità
i sedili con frazionamento 60:40. La capacità
resta di 480 litri per la berlina e di 522 litri per
la versione Wagon. A questo proposito occorre
precisare che la Mazda6 Wagon continua a scontare qualche litro di capacità in meno rispetto alle
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Prove
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sulla versione integrale) e 2.5 Skyactiv-G da 192
CV. Il cambio fornito di serie rimane il classico
manuale a sei marce, ma i più esigenti possono
continuare a scegliere il più sofisticato automatico Skyactiv-Drive con convertitore di coppia, disponibile su tutte le versione ad eccezione della
versione 2.0 Skyactiv-G a benzina da 165 CV.
Per essere premium devi
avere l’integrale: detto fatto
Come avranno di certo notato i più attenti abbiamo citato una versione integrale. E non si
tratta di un errore di battitura perché la Mazda6
restyling saluta per davvero (e per la prima volta) l’arrivo della trazione AWD, che rimane riservata alla sola versione Wagon 2.2 diesel da 175
CV. Del resto per puntare al cuore del segmento
premium è diventato fondamentale affiancare
una versione a quattro ruote motrici alla classica
anteriore (Audi docet) e gli ingegneri giapponesi
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non hanno perso tempo, adattando alle esigenze
della Mazda6 il sistema di trazione integrale della SUV CX-5. 27 sensori si occupano di rilevare
istante per istante le condizioni di guida e la forza motrice viene distribuita di conseguenza alle
ruote che ne hanno più bisogno. In questo modo
si migliora la motricità su terreni insidiosi come
fango o neve, ma ne trae beneficio anche la dinamica di guida in curva.Per essere premium devi
avere l’integrale: detto fatto.
Prezzi: aumentati (di poco),
ma il gioco vale la candela
I prezzi, è vero, sono leggermente cresciuti rispetto al passato (+ 350 euro o + 650 euro a
seconda degli allestimenti), ma considerata l’iniezione di tecnologia a cui è stata sottoposta la
rinnovata Mazda6 si può considerare un peccato
veniale. Il listino per il mercato italiano si apre
con i 28.950 euro della versione base Essence
2.2 diesel da 150 CV manuale per crescere fino ai
40.300 euro della versione top di gamma Wagon
con trazione integrale AWD, cambio automatico,
motore 2.2 diesel da 175 CV e allestimento top
di gamma Exceed. Si possono scegliere anche
alcuni pacchetti come l’Evolve Pack (1.350 euro)
che comprende fari full led, radio digitale, Blind
Spot Monitoring, Rear Cross Trafic Alert e sensori parcheggio. Il cruise control adattivo costa
500 euro, mentre per avere pelle e tetto panoramico servono altri 2.000 euro.
Le nostre impressioni di guida
Abbiamo scelto di mettere alla prova la Mazda6
Wagon nella versione 2.2 Skyactiv-D da 175 CV
con cambio manuale, nella nuovissima variante
Wagon AWD, quindi con trazione integrale. L’abitabilità davanti è eccellente (peccato solo per
la regolazione dei sedili a scatti tramite leva presente sul nostro esemplare), ma anche dietro,
dove non mancano bocchette di ventilazione dedicate e due passeggeri viaggiano in prima classe (il terzo come sempre è più sacrificato) con
tanto spazio per distendere le gambe. Premiamo
il tasto start, che ora è stato elegantemente collocato nella parte alta della plancia. Il turbo diesel
giapponese si dimostra fin da subito, persino a
freddo, incredibilmente silenzioso e assolutamente privo di vibrazioni. Anche portandolo su di
giri, fino ad affondare il piede sul pedale del gas,
lo Skyactiv-D continua a non alzare la voce. Ma
quello che ci sorprende di più è ancora una volta
il suo carattere.
2.2 Skyactiv-D: che diesel!
Oltre ad avere grinta da vendere e uno spunto
davvero interessante persino in ripresa con le
marce alte, il 2.2 Mazda non rivela quella ruvidità
quasi inevitabile sui quattro cilindri a gasolio. Lo
Skyactiv-D è molto pastoso, dolce e in definitiva
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piacevole da guidare, con un’erogazione corposa tra i 2.000 e i 3.000 giri/min. Ci ricorda i migliori diesel a quattro cilindri della concorrenza
tedesca e rimane certamente uno dei motori a
gasolio più interessanti del mercato con questo
frazionamento. Dal momento che avevamo già
apprezzato le ottime qualità dell’automatico
Skyactiv-Drive sulla CX-5 restyling, abbiamo
scelto di guidare una versione manuale della
Mazda6. Lo Skyactiv-MT a sei marce è complessivamente un buon cambio, specialmente per
l’escursione della leva piuttosto ridotta. Gli innesti sono precisi e abbastanza decisi, peccato
solo per un po’ di ruvidità di troppo. Se non avessimo avvertito qualche impuntamento lo avremmo promosso di certo a pieni voti come abbiamo
fatto con l’automatico che quindi, resta una scelta consigliatissima anche su Mazda6.
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Tanto comfort. Ora anche
a trazione integrale
Con il restyling i tecnici giapponesi sono intervenuti poi su una serie di dettagli per migliorare
comfort e piacere di guida. La nuova insonorizzazione, più ricca di materiali fonoassorbenti e
affidata a guarnizioni più spesse ha permesso
di ridurre la rumorosità del 25%. E si sente visto
che rispetto al passato scompare del tutto quella
rumorosità di fondo dovuta a fruscii aerodinamici e rotolamento delle ruote lasciando il posto a
viaggi avvolti nella massima silenziosità, in un
ambiente totalmente ovattato rispetto a quello
che accade all’esterno dell’abitacolo. Ripensate
anche le sospensioni (MacPherson all’anteriore e raffinato MultiLink al posteriore): davanti
spuntano nuovi pistoni e boccole, mentre dietro
sono stati montati ammortizzatori di diametro
maggiorato. Lo smorzamento su buche, dossi e
avvallamenti è sensibilmente migliorato anche
ma la Mazda6 rimane un’auto con un assetto
piuttosto reattivo, merito anche dell’ottimo telaio, che trasmette piacevoli sensazioni tra le curve. La presenza della trazione integrale è stata
una piacevole sorpresa. La Mazda6 AWD diventa
più efficace nella guida dinamica, quando si ha
un po’ di fretta per intenderci, garantendo una
migliore motricità in curva. Consigliata quindi
non solo per chi va spesso in montagna, magari sulla neve, ma anche per coloro che cercano
un pizzico di piacere di guida in più. L’assenza
di modalità di guida selezionabili per variare la
risposta di sterzo, sospensioni e cambio però ci
è sembrata una grave mancanza. Soprattutto
su un’auto di questo livello che ha tutte le carte in regola - a livello qualitativo e tecnologico -
per giocarsela veramente con i mostri sacri del
segmento premium. La mancanza dei comandi
Sport o Eco, divenuti quasi due must della concorrenza, si sente e il restyling sarebbe stata
l’occasione perfetta per introdurli. (per la verità
una modalità Sport è offerta con il 2.5 a benzina,
che per ovvie ragioni però non è molto indicato
per il mercato italiano).
Consumi: la cilindrata
non deve spaventare, anzi!
Nonostante il 2.2 diesel rappresenti quasi un
tabù in Italia (del tutto ingiustificato peraltro visto che il bollo si paga in base ai kW e le assicurazioni sono molto più interessate alla potenza che
ai CV fiscali rispetto ad un tempo), non ci stancheremo mai di raccontare le eccezionali qualità in termini di consumi ridotti di questo grande
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motore. Nel corso della nostra prova, dove non
ci siamo di certo risparmiati con il pedale del
gas, siamo riusciti a scendere fino a 6,3 l/100 km
(quasi 18 km con 1 litro!). Un risultato eccezionale per una station di questo segmento, per di
più dotata di trazione integrale! Il merito è senza
dubbio dell’ottimo propulsore, ma anche dell’aerodinamica (0,26 - 0,28 Cx a seconda delle
versioni) e soprattutto del peso particolarmente
ridotto, grazie al raffinato telaio. L’ago della bilancia per una Mazda6 Wagon oscilla infatti dai
1.305 kg della versione benzina di ingresso fino ai
1.485 della versione AWD automatica più potente. Valori eccezionali - siamo in ogni caso sempre
sotto la soglia di 1,5 tonnellate - e molto più bassi
rispetto alle dirette competitor (VW Passat 1.430
kg)
Conclusioni
La Mazda6 restyling ritorna sul mercato ancora più agguerrita di prima, pronta a dare filo da
torcere alle migliori competitor tedesche, anche
di fascia premium. Il merito è di un’estetica aggiornata e più elegante, ma soprattutto di un livello tecnologico di altissimo profilo (i fari full led
adottivi parlano da soli). Davvero pochissime le
note stonate, mentre convincono di gran lunga
motore 2.2 diesel, cambio automatico, telaio e la
presenza della trazione integrale.
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alla BMW X6, la più piccola GLC Coupé è pensata
per vedersela con la BMW X4. Questa futura SUV
compatta sarà basata sul pianale della nuova
GLK (la seconda generazione si chiamerà GLC)
e, a giudicare dal prototipo mostrato in Cina,
sembra proprio che assomiglierà in tutto e per
tutto ad una GLE Coupé in miniatura. Il prototipo è lungo 4,74 metri e offre un passo generoso
di 2.83 metri, mentre la fiancata sfoggia vistosi
cerchi in lega da 21 pollici. All’anteriore spiccano gruppi ottici full led e il tetto particolarmente
inclinato ferma l’altezza a soli 1,60 metri. Molto
particolare la zona posteriore, dove spuntano
quattro terminali di scarico in acciaio inox e luci a
led che riprendono la conformazione della sorella maggiore GLE.
Sotto al cofano di questo prototipo si nasconde un V6 biturbo da 3.0 litri in grado di erogare
367 CV a 5.500 giri/min e 520 Nm di coppia tra
1.400 e 4.000 giri/min. Il cambio si affida ad un
nove marce automatico abbianato alla trazione
integrale 4Matic.
MERCEDES GLC COUPÉ CONCEPT
LA X4 PRESTO AVRÀ BUONA COMPAGNIA
Al Salone di Shanghai arriva a sorpresa l’inedita GLC Coupé concept,
un prototipo molto vicino alla produzione che anticipa un futuro SUV
compatto in versione coupé per sfidare a viso aperto la BMW X4
L
a Casa della Stella sembra proiettata
più che mai nella dimensione dei SUV.
Dopo aver presentato la nuovissima
GLE Coupé e la rinnovata GLE (ora
l’ML si chiama così!), a Shanghai arriva a sorpresa l’inedita GLC Coupé concept. Si tratta di un
prototipo molto vicino alla produzione, con un
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design quasi definitivo, che anticipa un futuro
SUV compatto in versione coupé. Per chi non lo
avesse ancora capito con questo concept Mercedes annuncia al mondo di voler lanciare l’ennesima rivale diretta ad un modello della Casa
di Monaco di Baviera. Mentre la GLE Coupé si
occuperà quindi di mettere i bastoni tra le ruote
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metri. Idealmente, dunque, si posiziona a metà
strada tra la popolare Passat e la ammiraglia
Phaeton.
quali sono le destinazioni che in giornata devono
essere raggiunte.
C’è anche lo chaffeur virtuale
Come indica la sigla GTE, la Volkswagen C Coupé
GTE è una ibrida plug-in. E’ mossa da un motore
termico 2.0 TSI da 210 CV e da un motore elettrico da 124 CV integrato nel cambio automatico
otto marce, alimentato da batterie agli ioni di litio da 14,1 kWh che consentono un’autonomia in
modalità elettrica di 50 km.
Raggiunge una velocità massima di 232 km/h
ed accelera da 0 a 100 km/h in 8,6 secondi, ma
vanta un consumo nel ciclo combinato di soli 2,3
l/100 km.
L’abitacolo è una via di mezzo tra una berlina
sportiva ed una vettura di rappresentanza. Al
posto guida orientato verso il guidatore si contrappone infatti una zona posteriore molto ampia con due poltrone individuali dotata di ogni
comfort. Al passeggero posteriore ideale, ovvero un manager, è dedicata la funzione “chaffeur
mode” che trasferisce la lista di appuntamenti
dal suo smartphone al sistema di infotainment,
in modo che l’autista sappia immediatamente
Ibrida plug-in di lusso
VOLKSWAGEN C COUPÉ GTE CONCEPT
BERLINA DI LUSSO ALLA CINESE
Presentata al Salone di Shanghai 2015, la C Coupé GTE concept è
l’interpretazione della berlina di lusso per il mercato cinese secondo la
Casa di Wolfsburg. E’ spinta da una motorizzazione plug-in hybrid da
245 CV
L
e prossime berline di lusso di Volkswagen riservate al mercato cinese saranno ispirate dalla Volkswagen C Coupé
GTE, una concept car presentata al
Salone di Shanghai 2015 che rappresenta il massimo del lusso e dell’efficienza secondo la Casa
di Wolfsburg.
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Supera i 5 metri
La C Coupé GTE concept è stilisticamente imparentata con la Sport Coupé GTE Concept presentata all’ultimo Salone di Ginevra, ma le dimensioni e la filosofia costruttiva sono molto differenti.
La C Coupé è lunga oltre 5 metri e larga più di 1
metro e 90, mentre il passo misura poco più di 3
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In questo modo la Peugeot 308 R HYbrid è una
quattro ruote motrici che raggiunge una potenza
di sistema pari a 500 CV e una coppia massima
di 730 Nm nella modalità di marcia “Hot Lap”.
Scegliendo questa impostazione sulla media
francese in versione ipervitaminizzata si scatta
da 0 a 100 km/h in 4 secondi netti. Il rapporto
peso/potenza è di appena 3,1 kg/CV.
Da lupo ad agnello
Potenza e coppia possono essere progressivamente ridotte a seconda delle altre modalità
selezionate: con la “Track” si sfruttano 400 CV
e 530 Nm principalmente mediante il motore
benzina e il motore elettrico posteriore, con il
motore elettrico anteriore che entra in funzione
solamente per fornire potenza aggiuntiva durante le accelerazioni; con la modalità “Road” si
esclude il motore elettrico anteriore ottenendo
una potenza di 300 CV e una coppia di 400 Nm,
mentre in modalità “ZEV” (ovvero a zero emissioni), la 308 R HYbrid si muove esclusivamente
con il motore elettrico anteriore, grazie ad una
batteria agli ioni di litio da 3 kWh che si ricarica
in 45 minuti. La media tra i quattro programmi di
marcia indica emissioni di CO2 pari a 70 g/km.
Look estremo
Il prototipo ibrido della Casa di Sochaux si riconosce per il design specifico, dettato anche e
soprattutto dalle prestazioni estreme: le carreggiate sono state infatti allargate di 8 cm per accogliere le grandi gomme di misura 235/35 R19
e l’impianto frenante potenziato che conta su
dischi anteriori ventilati di 380 mm con pinze a
quattro pistoncini e dischi posteriori da 290 mm.
Tutto nuovo è anche il frontale con griglia e prese d’aria appositamente disegnate, che spicca
per gli inserti in bianco a effetto “ceramica” che
si sposano con la livrea blu/nero opaco. Cambia
radicalmente rispetto alla versione di serie della
308 anche l’abitacolo, con i quattro sedili avvolgenti individuali rivestiti in pelle con impunture
rosse e la plancia ricoperta in tessuto tecnico
che ha il vantaggio di essere più leggero rispetto
alle schiume normalmente impiegate.
PEUGEOT 308 R HYBRID
LA 308 DA 500 CV È IBRIDA PLUG-IN
Presentata al salone di Shanghai 2015 la versione della 308 più estrema
di sempre. E’ un prototipo che grazie a due motori elettrici e i 270 CV
del 1.6 THP della RCZ R può scattare da 0 a 100 km/h in soli 4 secondi
P
rendi una Peugeot 308, affidala al reparto Peugeot Sport e otterrai la Peugeot 308 R HYbrid, un prototipo estremo presentato dalla Casa di Sochaux
al Salone di Shangai 2015 che dimostra fin dove
si possono spingere le prestazioni del progetto 308, ovvero ben oltre la 308 GTi annunciata
come imminente dai vertici della Casa transalpina.
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Una 308 4WD con 500 CV!
Per la 308 R HYbrid il reparto corse del Leone
ha realizzato una architettura inedita che sfrutta l’elettrificazione per innalzare le prestazioni
del propulsore termico 4 cilindri THP 1.6 litri da
270 CV già impiegato sulla RCZ R. Al turbo benzina danno infatti man forte due motori elettrici
da 115 CV, dei quali uno è collegato al cambio
a 6 rapporti, il secondo è sull’asse posteriore.
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allroad della A8. A impressionare sono soprattutto le proporzioni, con un lungo cofano che
si sposa con una sbalzo anteriore ridotto ed un
posteriore caratterizzato invece da uno sbalzo
più accentuato e montanti D molto inclinati. Ad
estremizzare la linea è poi la considerevole altezza da terra (+ 7,7 cm rispetto alla Audi prologue
Avant) e gli enormi cerchi da 22” con disegno a
cinque razze, mentre un chiaro richiamo all’alluminio impiegato dalla Casa tedesca per i telai
dei suoi modelli di fascia alta è dato dai numerosi
inserti sulla carrozzeria.
A bordo c’è il “maggiordomo”
Spazio a bordo, design raffinato e materiali pregiati non potevano mancare in quella che rappresenta la visione del lusso, sebbene in chiave elegantemente “outdoor”, per la Casa di Ingolstadt.
La plancia dal design minimalista ospita una
strumentazione molto avveniristica che prevede
tre display touch screen con tecnologia OLED,
uno dei quali è dedicato al passeggero che è invisibile quando non è attivo. Ai passeggeri poste-
riori, ospitati in poltrone individuali, è dedicato
invece una sorta di “maggiordomo” elettronico
che attraverso i dati trasmessi dallo smartphone
riconosce le loro preferenze in termini di regolazione dei sedili e climatizzazione.
Ibrida plug-in ad alte prestazioni
La Audi prologue allroad concept è spinta da un
powertrain ibrido plug-in, formato dal V8 TFSI 4
litri riturbo ed un motore elettrico integrato nel
cambio tiptronic ad otto rapporti, che offre una
potenza complessiva di ben 734 CV ed una coppia massima di 900 Nm, scaricata a terra dalla
trazione integrale quattro. La batteria è del tipo
agli ioni di litio e con una capacità di 14,1 kWh è
in grado di offrire un’atonomia nella modalità di
marcia elettrica di ben 54 km. Secondo quanto
dichiarato dal costruttore, questa motorizzazione è in grado di far scattare la prologue allroad
da 0 a 100 km/h in 3,5 secondi, ma al contempo
consentendo un consumo medio molto basso:
solo 3,5 l/100 km, pari a 56 g/km in emissioni
di CO2.
AUDI PROLOGUE ALLROAD
LA CONCEPT CROSSOVER
DEBUTTA A SHANGHAI
La Casa tedesca presenta al Salone di Shanghai la nuova concept che
coniuga eleganza e voglia di evasione, ma è anche veloce ed efficiente
grazie ad un’architettura ibrida plug-in da ben 734 CV
L
a famiglia delle concept Audi prologue
si estende a tre componenti con la presentazione al Salone di Shanghai 2015
della Audi prologue allroad, ovvero la
versione crossover che dopo Audi prologue e
Audi prologue Avant anticipa il futuro stile delle
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vetture dei Quattro Anelli, questa volta intepretandone il lato più “tuttoterreno”.
Ammiraglia crossover
La lunghezza pari a 5 metri e 13 fa della prologue
allroad presentata in Cina una sorta di versione
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NUOVO VOLKSWAGEN T6
TRANSPORTER, CARAVELLE E MULTIVAN
di Maurizio Gissi | E’ stata presentata la sesta generazione del famoso,
e venduto, Transporter che compie 65 anni. Rivisto nell’estetica, forte
di nuove motorizzazioni, ricco nelle dotazioni di serie come in quelle di
sicurezza. In vendita da settembre
V
olkswagen ha scelto Amsterdam per
la presentazione internazionale della
sesta generazione di Transporter. Un
modo per rendere omaggio a Ben
Pon, l’importatore olandese della casa tedesca
che suggerì, nel lontano 1947, la costruzione di
un versatile mezzo di trasporto che non si era
mai visto a Wolfsburg, partendo dall’ottima base
del Maggiolino. Nel 1950 andava quindi in vendita il primo Transporter T2 Split, quello che sarebbe stato ricordato come T1, con il motore boxer
quattro cilindri raffreddato ad aria disposto posteriormente e tanto spazio per occupanti e cose
da trasportare.
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emissioni, dotazioni di sicurezza e possibilità
di allestimento. Non abbiamo ancora stabilito i
prezzi di vendita, lo faremo a giugno, mentre la
commercializzazione inizierà a settembre. Ma
non dovremmo discostarci dalle quotazioni attuali». Resta ancora da definire anche la composizione della gamma che sarà disponibile per
il nostro mercato. La gamma T6 che è stata appena presentata, e che in Germania verrà offerta
a partire da circa 23.000 euro nel caso di Transporter, si compone di tre categorie base: veicolo
commerciale (versione furgone, camioncino cabina singola e doppia, autotelaio a cabina singola e doppia, e Kombi), monovolume studiati per
l’impiego professionale e privato (Multivan e Caravelle) e specialisti del tempo libero (California).
Grazie ai due interassi diversi e alle tre differenti
altezze del tetto, e aggiungendo le combinazioni
di propulsori disponibili, è possibile ottenere fino
a cinquecento varianti. Inoltre è stata presentata
una versione celebrativa, la Generation Six. Un
citazione alla bellissima T1 Samba Bus del 1966,
realizzata sulla base del Multivan Confortline,
ribadita dalla colorazione bicolore bianco-rossa
e da finiture particolarmente curate (vetratura
privacy, gruppi ottici anteriori e posteriori con
tecnologia led, fendinebbia con luci di svolta e
pacchetto cromo). Ha ruote da 18 pollici (da 16
e 17 sulle altre versioni) e in alternativa ci sono
ulteriori tre abbinamenti cromatici. Il completo
restyling mantiene i tratti distintivi della serie T5,
forse fin troppo, ma questa volta il frontale mostra linee più attuali e il cui disegno si prolunga
con eleganza sulle fiancate. Posteriormente risaltano l’ampio lunotto e la targa riposizionata più in
basso. L’ergonomia molto curata trova conferma
nei numerosi vani portaoggetti, nella regolazione
elettrica dei sedili anteriori riscaldabili.
Ce n’è per tutti
Poiché in cabina ci sono versioni a due posti o a
tre, cambia di conseguenza anche la disposizione dei vani, ad esempio la consolle centrale è più
stretta nella versione per trasporto merci e più
larga nelle versioni adibite al trasporto persone. In quest’ultimo caso ci sono altri due porta
Un modello leggendario
Il T1, “bulli” per i suoi estimatori, è stato il primo
di una lunga serie di modelli e allestimenti che si
sono evoluti in cinque salti generazionali con rifacimenti radicali o più superficiali. In 65 anni gli
esemplari venduti dell’intera gamma Transporter hanno raggiunto i dodici milioni di esemplari,
mentre oltre due milioni sono stati i T5 costruiti
dal 2003 a oggi. «Le vendite della serie T5 valgono il 12-13% dell’intero segmento di riferimento
– sottolinea Luca Bedin, direttore della divisione
veicoli commerciali di Volkswagen -, uno spazio
che con il nuovo T6 dovremmo incrementare
viste le sue caratteristiche in tema di consumi,
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bevande integrati, uno scomparto con presa
multimediale inclusa interfaccia per telefono
cellulare “comfort” (optional) e un portabottiglie
estraibile che, al pari del cassetto portaoggetti,
può essere refrigerato dal climatizzatore. Ferme
restando le quote di base e gli interassi fra le ruote, sono i motori la principale novità della gamma
T6. Ci sono quattro nuovi TDI e due TSI che possono essere abbinati in base alla potenza al cambio
manuale, a 5 o 6 rapporti, o al cambio a 7 rapporti DSG. Per molte varianti c’è la possibilità della
trazione integrale 4Motion in alternativa a quella
anteriore, che può essere abbinata al dispositivo Hill Descent Assist. Lo sviluppo delle nuove
motorizzazioni, e la dotazione di serie del dispositivo start&stop, ha permesso risparmi medi
del 15% nei consumi di carburante. Debuttano
quindi degli specifici TDI di nuova generazione,
precede e contribuisce a ridurre lo spazio di frenata. In caso di pericolo avvisa il guidatore con
segnali ottici e acustici e con una leggera frenata
di avvertimento.
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denominati EA288 Nutz, in linea con la normativa
Euro6. Questi nuovi due litri (esattamente 1.968
cc), sono sempre montati trasversalmente ma
con inclinazione di otto gradi verso la parte anteriore e sono disponibili nelle versioni da 84, 102,
150 e 204 cavalli. Nel caso dei quattro cilindri
due litri a benzina si parla di potenze di 150 e 204
cavalli, con coppia massima di 280 e 350 Nm a
partire da 1.500 giri. Le sospensioni prevedono
la regolazione adattativa d’assetto DDC attraverso tra tarature selezionabili: comfort, normale e
sport. Il funzionamento è elettrico e riguarda la
frenatura idraulica degli ammortizzatori. Interessante la dotazione di sicurezza offerta in optional oltre ai dispositivi di serie. Il Front Assist, di
serie solo sul Multivan Business, è un sistema di
controllo perimetrale che rileva, mediante radar,
eventuali distanze critiche rispetto al veicolo che
Tecnologia: il meglio di casa VW
L’Adaptive Cruise Control impiega un sensore
che misurare la distanza e la velocità relativa rispetto al veicolo che precede e interviene sulla
velocità mantenendo lo spazio di sicurezza. In
combinazione con il DSG, L’Adaptive Cruise Control rallenta il veicolo nella guida in colonna o in
situazioni di ingorgo, fino all’arresto completo. A
velocità inferiori ai 30 orari, se non ci si accorge
di un ostacolo il sistema frena automaticamente, consentendo di ridurre la velocità e quindi la
gravità di un incidente. Le statistiche raccontano
che il 22% degli incidenti con lesioni alle persone
è rappresentato da impatti con più di un ostacolo. Sul Transporter è impiegata, di serie, la frenata
anti collisione multipla. Sempre in optional è disponibile il sistema di riconoscimento della stanchezza di chi sta guidando: nota eventuali scostamenti dal normale comportamento di marcia
e suggerisce al guidatore di fare una pausa. Nella
versione furgone, l’accesso al vano è possibile
dal portellone posteriore e dalla porta scorrevole
sul lato destro, la superficie utile misura 4,3 metri quadri. Il volume di carico è di 5,8 metri cubi
e sale a 6,7 con il tetto medio. Nella versione a
passo lungo (400 mm in più), la lunghezza totale sale a 5,29 m, il vano di carico cresce a 5 mq
e il volume di carico è di 6,7 mc. Ma con il tetto
alto (c’è solo per il passo lungo) il volume utile di
carico aumenta a 9,3 metri cubi. Il modello Kombi può avere fino a 9 posti, su tre o quattro file.
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
News
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Mentre il Transporter Kombi Doka Plus, un multifunzionale per un massimo di sei persone, ha un
divano a tre posti nel vano posteriore e una paratia fissa con finestrino all’altezza del montante
posteriore, che divide il mezzo in due parti: mentre il vano di carico è accessibile attraverso il portellone, ai passeggeri sono invece riservate fino a
due porte scorrevoli. Nella prima fila di sedili passeggeri del Multivan sono disponibili uno o due
sedili singoli girevoli e rimovibili per guadagnere
spazio quando serve. Il Multivan, in previsione di
un utilizzo camper, è disponibile con una superficie addizionale che allunga il piano letto su un
sistema di guide. La versione di accesso alla serie
Multivan, la Trendline, ha un’unica porta scorrevole, mentre sulla Comfortline si può avere in optional una seconda porta scorrevole. La versione
Highline le offre entrambe di serie. La differente
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configurazione dei sedili permette di gestire a
piacimento lo spazio, in funzione delle persone o
delle cose da trasportare. Transporter Caravelle
condivide le linee di allestimento del Multivan.
La variante Highline, con motore da 150 cv, è la
classica bus navetta di grande comfort grazie al
Climatronic a tre zone e ai rivestimenti in pelle.
Fra la dotazione di serie anche la radio dotata di
schermo TFT touchscreen da 5”, il vivavoce bluetooth e l’apertura elettrica del portellone. «La
composizione delle vendite in Italia del Transporter – ha concluso Luca Bedin – è molto frammentata, con le versioni più vendute che arrivano
appena al 10%». A conferma che uno dei punti di
forza di Transporter Volkswagen, oltre a equipaggiamento e affidabilità, è proprio la versatilità non
soltanto fra mezzo per il tempo libero o da lavoro,
ma appunto nei molteplici allestimenti.
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#HACKAUTO 2015
AL LAVORO PER PEUGEOT,
FORD E MERCEDES
A Ca’ Tron, ridente Paese in provincia di Roncade, è andato in scena un
hackaton dedicato al mondo dell’auto: centinaia di ragazzi si sono
sfidati a colpi di bit ed idee per accompagnare in un futuro ancor più
digitale l’automobile
E’
partita nella mattinata dell’11 aprile
la seconda maratona digitale di 24
Ore presso @HFarm. Realtà veneta
(la sede è a Ca’ Tron, Roncade) “incubatrice” di startup, HFarm ripete dunque la
positiva esperienza dello scorso anno quando
per la prima volta aveva dato vita in Italia ad un
Hackaton dedicato al mondo dell’auto. Rispetto
allo scorso anno le aziende per cui le centinaia
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Attualità
Periodico elettronico di informazione motociclistica
di partecipanti si sfidano a colpi di idee e di bit
sono diverse: lo scorso anno furono Mercedes,
Smart e Texa mentre quest’anno alla confermatissima Stella di Stoccarda si affiancano Peugeot
e Ford. Le speranze dei vertici delle aziende coinvolte sono ovviamente quelle di avere nuove idee
“digitali” per l’auto del futuro mentre per i partecipanti c’è ovviamente la voglia di vincere una
sfida sul tema lanciato dalle Case oltre al fatto di
riuscire a farsi notare in un contesto di grande
rilievo. Gianluigi Riccioni, Direttore Vendite Mercedes Benz Italia Oltre alle tre aziende, infatti,
anche noi di Automoto.it e Moto.it oltre al colosso Samsung rappresentano partner lavoriamo a
stretto contatto con i partecipanti per plasmare
idee davvero interessanti. A quattro ore dal via
si sono formate 21 squadre di almeno 6 componenti: 11 lavorano per Mercedes, 6 per Peugeot
e 4 per Ford.
I vincitori: ecco i progetti
più innovativi
Per quanto riguarda Ford sono stati due i progetti ad essersi aggiudicati le vittoria finale. Il primo
è WI[L]DE che consiste in un’agenda interattiva
completa di navigatore capace di coagulare le
app che già utilizziamo sul nostro smartphone.
Si possono unire gli eventi con il proprio calendario, per poi condividere tutto sui social, mentre
My Ford si occuperà di segnalare gli interventi di
manutenzione necessari sulla macchina. Questa
App è capace poi di indicare il percorso migliore da seguire durante una determinata giornata
e di ottimizzare quindi i percorsi e la gestione
delle attività. Il secondo vincitore invece è stato
Rust Buckets. Lizzi-e è un’app che aiuta, insegna
e consiglia, semplificando la propria vita. Tutto
si basa infatti su un’ottimizzazione del tempo.
Tanto più verrà utilizzato, tanto più la app entrerà in simbiosi con l’utilizzatore. E’ un’app dalle
funzionalità intuitive che interagisce con l’automobilista attraverso comandi vocali. ShowMe
si è aggiudicato la vittoria finale per Mercedes.
Un progetto pensato per migliorare l’esperienza
dell’utente in showroom con l’utilizzo di servizi innovativi (applicazione, bitcoin, bigdata,…)
e acquisire nuovi clienti abbattendo le barriere
dello showroom. Il tutto grazie al Virtual Emotion
Real configurator: un sistema che accompagna
dal virtuale al reale, capace di immaginare e poi
realizzare l’auto dei propri sogni. Questa tecnologia è in grado di produrre una profilazione che
permette all’assistente di conoscere il cliente
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
Attualità
in anticipo e chiamarlo per nome. Il Drive me to
excellence invece rappresenta un nuovo modo di
generare lead. Permette di portare le auto dello
showroom in città attraverso l’app, per avere poi
la possibilità di aprirla e provarla con un test drive di 30 min. La sfida lanciata da Peugeot infine
è stata vinta da Evoitoure Peugeot Emotive. Un
progetto pensato per creare una campagna di
marketing basata sulla realtà virtuale. Lo scopo
è creare influencer del brand Peugeot che attraverso il passaparola diffondano l’innovatività del
marchio. Il tutto si basa su un vero e proprio Kit
comunicazione per influencer (cardboard + applicazione --> evento live esclusivo). Il kit si compone di tre elementi: una versione brandizzata
Peugeot di cartone - un’app scaricabile gratuitamente che interagisce con questo strumento
- un invito ad un evento unico nella quale si potrà
utilizzare un veicolo peugeot - e fitbit per monitorare le emozioni degli influencers alla guida.
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LAMBORGHINI
SUV IN FORSE, MA IBRIDA E HURACÁN
A TRAZIONE POSTERIORE SONO QUASI
CERTE!
di Matteo Valenti | Due figure chiave della Lamborghini come Stephan
Winkelmann e Maurizio Reggiani ci hanno svelato alcune importanti
anticipazioni sul futuro della Casa di Sant’Agata Bolognese
S
Sono i due uomini chiave della
Lamborghini. Quelli attraverso
cui passano tutte le decisioni più importanti e decisive.
Sono loro che stabiliscono
quali progetti portare avanti
e quali scartare. Loro valutano le tecnologie su cui scommetere e ci fanno sognare
ogni sei mesi, più o meno, con
nuove, incredibili supercar.
Stiamo parlando di Stephan
Winkelmann, Presidente e Amministratore Delegato di Automobili Lamborghini, e Maurizio Reggiani, Board Member,
Research&Development Director della leggendaria Azienda
di Sant’Agata Bolognese. Non
capita tutti i giorni di incontrarli insieme, in un sol colpo.
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Intervista
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Noi ci siamo riusciti a Monza,
in occasione della prima tappa
del Lamborghini Super Trofeo,
dove ci hanno svelato alcune
golose anticipazioni sulle future novità del Toro.
Quest’anno, nel motorsport,
avete fatto una vera e propria
rivoluzione. Abbandonata la
trazione integrale siete passati a quella posteriore. Come
mai?
Maurizio Reggiani: «Quando
abbiamo iniziato lo sviluppo
della Huracán non ci siamo
concentrati solamente sulla
versione stradale. Sin dall’inizio
infatti abbiamo iniziato a concepire anche la Super Trofeo
e la GT3, quindi le tre varianti,
compromesso. Siccome volevamo fare il GT3 poi ci è sembrato ovvio sviluppare un’auto
da corsa a trazione posteriore».
Me l’avete servita su un piatto
d’argento. Dobbiamo aspettarci una Huracán a trazione
posteriore di serie? In passato ci avevate fatto sognare
con la Gallardo Valentino Balboni...
Stephan Winkelmann: «Abbiamo già un’idea molto chiara di
come saranno le derivate della
Huracán negli anni a venire. Ora
però è un po’ presto per parlarne. È chiaro che un prodotto
come il nostro, molto emotivo,
ha bisogno di arrivare in un momento in cui il cliente non se lo
aspetta o in cui si aspetta meno
di quello che poi noi andremo a
presentare».
I vostri cugini della Bentley
stanno per presentare il loro
primo SUV. Voi a che punto
siete con l’Urus? Il progetto
sembra vicino all’approvazione...
Winkelmann: «Non c’è ancora
nulla di stabilito, anche se ormai siamo veramente vicini al
momento della decisione. Non
è un progetto facile per un’azienda piccola come la Lamborghini, che si basa su due
modelli (Aventador e Huracán,
ndr). Il SUV poi non andrebbe a
sostituire nessuno degli attuali modelli, ma si andrebbe ad
aggiungere alla nostra gamma,
quindi non sarebbe semplice,
perché dovremmo creare un’azienda completamente diversa. Potremo avere un SUV solo
adeguando strutture, persone,
professionalità e utilizzando
tutte le sinergie possibili e immaginabili del nostro Gruppo
(Volkswagen Group, ndr)».
Ci state dicendo che il SUV
Lamborghini potrebbe nascere lontano dall’Italia?
Winkelmann: «Oggi abbiamo
un progetto, che è quello di
avere il SUV. La prima cosa che
dobbiamo avere è il semaforo verde da parte del Gruppo,
tutto il resto si vedrà solo successivamente. Chi gestisce il
conto economico è un grande
quella stradale e quelle da corsa, sono nate contemporaneamente».
Non è una scelta tecnica in
contraddizione con i vostri
prodotti di serie?
Reggiani: «Ci siamo dovuti assoggettare al “diktat” del motorsport che impone alle auto
da corsa le due ruote motrici.
In caso contrario avremmo limitato troppo i nostri clienti,
che senza la trazione posteriore non avrebbero potuto
partecipare (per questioni di
regolamento, ndr) a diversi
campionati. In passato molti
clienti trasformavano la Gallardo da integrale a due ruote motrici, con una soluzione però di
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Intervista
Periodico elettronico di informazione motociclistica
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tutto ciò che è innovazione. Ma
un’innovazione che poi possa
essere spesa realmente sul
mercato. Per questo abbiamo
scelto di immaginare un’ibrida
magari con un peso maggiore,
ma che possa essere offerta
ad un prezzo ragionevole e non
fuori mercato».
Quindi è un discorso di prezzo...
Reggiani: «Il nostro target era
avere un’ibrida che aggiungesse soltanto il costo dell’ibridizzazione. Se l’Aventador costa
300.000 euro, mettiamo che
Gruppo, quindi è normale che
non si agisca di pancia ma con
i numeri alla mano. Se saremo
in grado di fare un programma
che tenga conto di tutte queste
esigenze, la vettura sarà prodotta in Italia».
E che dire dell’ibrido? Avete
anticipato le vostre capacità con la Asterion concept,
vedremo qualcosa anche sui
modelli di serie?
Winkelmann: «La Lamborghini
Asterion è un dimostratore tecnologico. Il suo scopo è dimostrare cosa saremmo in grado
di fare oggi se dovessimo realizzare una supercar plug-in
in grado di rispettare le norme
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anti-inquinamento che arriveranno dal 2020 in avanti. Abbiamo creato un’auto con 50
km di autonomia in elettrico,
da utilizzare quotidinamente
ma capacei di raggiungere i
320 km/h. Lamborghini deve
fare innovazione, ma un’innovazione che sia figlia della
performance. È chiaro che questa vettura pesa molto di più
rispetto ad una supercar tradizionale. Bisogna aggiungere
circa 250 kg dovuti alle batterie
e al powertrain elettrico».
Alcuni vostri competitor
però, come Ferrari, Porsche e
McLaren, offrono già ibride ad
altissime prestazioni...
la nostra plug-in possa costare, ipotizzando, 360 o 380.000
euro, ma non 1 milione!»
Quale modello potrebbe ospitare questa tecnologia?
Winkelmann: «La possibilità di
un’ibrida plug-in la vediamo in
una vettura che si adatti bene
per packaging e dimensioni.
Una vettura che magari aggiungerà un po’ di peso ma non toglierà quella sportività tipica di
ogni Lamborghini.
Poi le lascio intendere quale
potrebbe essere questa vettura...»
Reggiani: «Noi abbiamo voluto realizzare una macchina
“vera”. Ferrari o altri costruiscono ibride ma a prezzi fuori
mercato (oltre 1 milione di euro,
ndr), perché compensano l’aumento di peso dell’ibrido con
materiali e strutture costossisime. E per questo le offrono solo
in edizione limitata. Inoltre non
fanno un discorso di riduzione
di CO2, ma usano l’ibridizzazione solo per aumentare le performance. Noi invece abbiamo
immaginato un’auto in linea
con i nostri volumi di produzione e i nostri prezzi».
Voi al momento non siete interessati a qualcosa di simile?
Winkelmann: «A noi interessa
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Attualità
Periodico elettronico di informazione motociclistica
minimo, consuma all’incirca 1 litro di carburante
ogni ora. Se ogni giorno si perdono 3 ore in coda
significa che ogni automobile consuma 3 litri di
carburante inutilmente, senza fare nemmeno un
metro di strada. E questo diventa tutto inquinamento».
Perché in Italia non si riesce a risolvere il problema del traffico?
«Il traffico fuori controllo delle grandi città è dovuto principalmente a due motivi interconnessi
tra loro. Il primo è la cronica carenza di mezzi
pubblici che spinge ancora oggi moltissimi automobilisti a muoversi all’interno dei grandi centri
urbani in auto, a differenza di quanto avviene in
tutte le più grandi metropoli europee. Il secondo
è la perenne mancanza di parcheggi. Negli anni
‘80, quando c’era la possibilità di farlo, non si
sono costruiti parcheggi sotterranei insieme ai
nuovi palazzi, come è avvenuto invece all’estero. Ormai è impossibile costruirne a sufficienza
e per questo le nostre città sono intasate dalle
automobili».
Qual è l’anomalia italiana?
«Il problema è che molte amministrazioni, invece
di investire per cercare di ampliare le possibilità
di parcheggio, pensano di risolvere il problema
alzando i prezzi per la sosta delle auto o multando a tutto spiano i veicoli in seconda fila o creando zone a traffico limitato per pochi privilegiati».
Qual è il giro d’affari dei comuni legati ai parcheggi?
«Sappiamo per certo che Roma incassa – attraverso l’Atac - circa 70.000 euro al giorno grazie
ai ticket dei parcheggi. Mi chiedo dove vadano
a finire tutti questi soldi. Spero che siano stati
utilizzati per migliorare la sicurezza e la manutenzione strade, ma temo che siano finiti in un
calderone dove “gli amici degli amici” potevano
pescare a piene mani».
ROMA:
70.000 EURO AL GIORNO CON I
PARCHEGGI. MA DOVE FINISCONO
TUTTI QUESTI SOLDI?
di Enrico De Vita | Il nostro editorialista Enrico De Vita è tornato a
parlare di traffico e parcheggi, due croci che affliggono
quotidianamente gli automobilisti italiani
I
l nostro editorialista Enrico De Vita è tornato ai microfoni di Isoradio, intervistato
da Elena Carbonari, per parlare di traffico
e parcheggi, due croci che affliggono quotidianamente gli automobilisti italiani.
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Quanto incide il traffico nelle grandi città sulla
qualità della vita?
«Senza dubbio moltissimo. Nelle grandi città
ogni automobilista butta via in coda circa 600700 ore all’anno. Un’auto ferma, col motore al
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Attualità
Periodico elettronico di informazione motociclistica
situazione il nostro editorialista Enrico De Vita è
intervenuto ai microfoni di Isoradio, intervistato
da Elena Carbonari.
Gli incidenti con i pedoni, ancora oggi, sono
molto frequenti. Di chi è la colpa?
«Ogni anno in Italia perdono la vita 600 pedoni.
Le colpe, gravissime, sono degli automobilisti,
ma in alcuni casi ricadono anche sui pedoni stessi. Il CdS impone a chi si sposta a piedi di rispettare i semafori e di utilizzare le strisce pedonali,
se si trovano ad una distanza inferiori a 100 metri rispetto al punto in cui si intende attraversare.
Quindi in vicinanza delle strisce bianche il pedone è sacro».
E se il pedone si trova lontano dalle strisce? La
palla passa all’automobilista?
«Anche quando attraversa lontano dalle strisce,
e viene investito, il codice protegge il pedone.
Gli automobilisti infatti devono sempre dare la
precedenza ai pedoni, quando questi hanno iniziato ad attraversare la sede stradale, indipendentemente da dove essi si trovino. E anche se
si trovano lontani dalle strisce pedonali. Ma c’è
dell’altro. Il Codice impone alle auto di fermarsi
quando un pedone è un bambino, un anziano, un
disabile, anche se si trova ancora sul marciapiede, mentre si appresta ad attraversare un incrocio. Insomma, in presenza di pedoni è sempre
l’auto a doversi fermare, altrimenti si perdono
punti patente!»
Spesso però anche i motociclisti si distinguono negativamente nei confronti dei pedoni,
non è vero?
OGNI ANNO 600 PEDONI
VITTIME DELLA STRADA
«LA COLPA È QUASI SEMPRE
DEGLI AUTOMOBILISTI»
di Enrico De Vita| Il livello di civiltà di un Paese si misura anche dal
rispetto dimostrato da chi si mette alla guida. E nei confronti dei
pedoni non siamo certo dei campioni, anzi. Ecco come stanno le cose
I
l livello di civiltà di un Paese si misura anche dal rispetto dimostrato da chi si mette
alla guida. Rispetto delle norme del Codice della Strada e degli altri utenti della
strada, che troppo spesso però gli Italiani tendono a trascurare in maniera eccessiva (se non totalmente). Lo si vede benissimo nei confronti dei
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pedoni, che tutti i giorni vengono messi in pericolo dal comportamento superficiale, per non dire
arrogante, di certi automobilisti e motociclisti.
Ovviamente parte delle responsabilità ricadono
anche sui pedoni stessi, ma nella maggior parte
dei casi è chi si trova al volante ad avere il coltello dalla parte del manico. Per fare il punto della
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Attualità
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vicine tra loro e a volte appaiono quasi totalmente sbiadite. Spesso quindi diventano quasi
invisibili e quindi vengono poco rispettate. Bisognerebbe regolamentare anche la tecnica con
cui vengono decise le posizioni ove applicare le
strisce sul manto stradale. Mi è capitato di vedere persino attraversamenti pedonali disegnati
subito dopo una curva: questo è inaccettabile!»
C’è da dire però che a volte la colpa è anche
dei pedoni...
«Sì è vero, spesso anche i pedoni sono indisciplinati. Il Codice, per esempio, vieta al pedone
di passare davanti al mezzo pubblico da cui è
appena sceso. Invece questo accade molto di
frequente, correndo e facendo correre rischi elevatissimi. D’altro canto però è anche vietato agli
automobilisti sorpassare sulla sinistra i mezzi
pubblici durante le fermate».
«Purtroppo sì. Chi va in moto spesso ha la cattiva
abitudine di non interpretare a dovere il pericolo
quando una vettura o un bus sono fermi davanti
alle strisce bianche. Spesso, quasi istintivamente, sono portati a superare, senza rendersi conto
che intanto sulle strisce qualcuno sta attraversando!»
Non rispettare un pedone è punito severamente dal Codice, vero?
«Assolutamente sì ed è giusto che sia così visto
che siamo in presenza della figura più debole sulla strada. Chi non dà la precedenza ad un pedone, lontano dalle strisce ma che sia già sulla sede
stradale, perde 3 punti della patente. Se invece
non si dà la precedenza a un pedone che si trova
sulle strisce vengono decurtati 8 punti»
Non siamo gli automobilisti più virtuosi d’Europa, anzi. Anche nel rispetto dei pedoni, come
al solito, siamo il fanalino di coda?
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«Diciamo che siamo a metà strada. Tutti i Paesi dell’Europa dell’Est registrano ogni anno un
numero di pedoni uccisi sulle strade più elevato
rispetto all’Italia. Ma anche la stessa Inghilterra,
dove il pedone è sacro, deve fare i conti con un
numero di morti più elevato rispetto a noi. Probabilmente in questo caso la Gran Bretagna paga le
conseguenze dell’ubriachezza diffusa.»
All’estero probablimente esistono anche infrastrutture stradali più evolute, non è vero?
«Senza dubbio! Pensate che in Giappone esistono incroci pedonali a X, dove il pedone può andare da un lato all’altro della strada in diagonale
senza dover aspettare due semafori. Quando
scatta il verde, in questo caso, i pedoni possono
muoversi in tre direzioni diverse contemporaneamente».
In Italia cos’è che non va?
«In Italia invece spesso le strisce sono troppo
Per far rallentare i veicoli sono spuntati come
funghi i dossi. A volte sembrano veri e propri
ostacoli a trabocchetto, poco visibili e deleteri
per le sopsensioni. Sono regolari?
«Il dosso in corrispondenza di un attraversamento pedonale si può installare a patto che sia di
tipo omologato. Per intenderci, non deve essere
un trampolino, come quelli che spesso vediamo
nelle nostre città, pronti a fare danni alle auto e
alle motociclette. I dossi non possono essere installati però sulle strade ove è previsto il passaggio di autoambulanze, perché il dosso farebbe
sobbalzare il ferito a bordo e potrebbe causare
ulteriori problemi».
Possono essere installati dovunque?
«I dossi possono essere installati in corrispondenza di scuole o zone “silenziose”, come quelle
nei pressi di zone residenziali o case di riposo.
Ma non possono essere installati sulle strade
normali!
C’è una circolare ministeriale che disciplina l’adozione dei dossi, ma numerosi Comuni non la
rispettano».
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Foto di un moderno turbocompressore per motore BMW dal lato di ingresso dell’aria.
È ben visibile la capsula pneumatica che aziona la wastegate
ALLA SCOPERTA DEI MOTORI TURBO
CHIOCCIOLE E GIRANTI
di Massimo Clarke | In questo approfondimento andiamo a conoscere
le caratteristiche funzionali dei turbocompressori e l’abbinamento con
il motore
L
a strada che ha portato a un impiego
sempre maggiore della sovralimentazione sulle vetture di serie con motore
ad accensione per scintilla non è stata
breve né agevole, a differenza di quanto accaduto per i diesel. In questi ultimi non esistono infatti
problemi di detonazione e i gas di scarico hanno
temperature inferiori. Inoltre l’erogazione della
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Tecnica
Periodico elettronico di informazione motociclistica
potenza viene effettuata agendo sulla quantità
di gasolio fornita ai cilindri (ossia, variando la
dosatura della miscela aria-combustibile) e non
parzializzando l’aspirazione che quindi è sempre
libera. I motori a ciclo Otto invece respirano liberamente solo quando la valvola del gas è totalmente spalancata, ovvero quando l’acceleratore
è premuto a fondo.
In questo disegno si possono osservare gli organi interni di un tipico turbo, unitamente ai passaggi
per l’olio che lubrifica le due bussole flottanti sulle quali ruota l’albero delle giranti
Le difficoltà della
sovralimentazione sui benzina
Per quanto riguarda la sovralimentazione, ciò significa che nei diesel alla turbina arriva una considerevole quantità di gas anche quando il pedale è
premuto solo in misura limitata e perfino in fase
di rilascio (quando cioè l’acceleratore è sollevato
completamente). Di conseguenza il ritardo di risposta risulta minore. Quando si “affonda”, nelle
condizioni ora descritte, il turbo infatti sta già girando abbastanza forte. Per i motori ad accensione per scintilla è stato necessario superare
difficoltà di una certa portata, prima di ottenere
risultati tali da rendere i turbocompressori davvero vantaggiosi per quanto riguarda il loro impiego sulle normali auto di piccola cilindrata destinate all’uso di tutti i giorni. Prima, sembravano
adatti solo a un relativamente ridotto numero di
vetture di prestazioni particolarmente elevate.
E anche in tale settore, inizialmente non è stato
facile ottenere un “comportamento” adeguato.
In alcune delle vetture turbo della prima generazione il ritardo nella risposta all’azionamento dell’acceleratore si faceva sentire in misura
piuttosto accentuata. Inoltre, anche se l’affidabilità era in genere soddisfacente, non sempre
si poteva dire lo stesso per quanto riguarda la
durata dei turbocompressori. Naturalmente le
cose erano esasperate se si trattava di motori
destinati a impiego agonistico. Per le Porsche
che correvano a Le Mans non c’erano problemi,
dato che il grado di sovralimentazione, anche se
considerevole, non era particolarmente alto e le
sollecitazioni non erano critiche. Per le monoposto di Formula Uno degli anni Ottanta, prima che
il regolamento limitasse la pressione di sovralimentazione, la situazione era però diversa e i
turbocompressori avevano una durata massima
dell’ordine di quattro ore se impiegati in gara e di
un’ora e mezza soltanto se utilizzati in qualifica
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Tecnica
Periodico elettronico di informazione motociclistica
tenze specifiche quest’ultima deve essere considerevole, si provvede a raffreddarla per mezzo di
appositi scambiatori di calore detti intercoolers.
Questi dispositivi diventano indispensabili quando si adottano pressioni di sovralimentazione
superiori a 0,5 bar circa. I tipici limiti dei motori
dotati di un turbocompressore venivano generalmente indicati in una certa “fiacchezza” ai bassi
regimi e da un più o meno sensibile ritardo nella
risposta all’azionamento del pedale dell’acceleratore (il famigerato “turbo lag”). Entrambi sono
stati ampiamente superati, grazie a soluzioni e
a tecnologie sviluppate negli anni recenti. Fondamentali sono un accurato abbinamento tra la
turbina e il compressore e quindi un opportuno
“accordo” del dispositivo con il motore. La cosa
non è semplice come forse si potrebbe pensare.
Un compressore centrifugo ha una portata che
cresce con il regime di rotazione secondo una
legge esponenziale. Nel caso del turbo, la velocità della girante del compressore dipende dalla
Il primo motore turbo a vincere un mondiale di Formula Uno è stato il BMW 1500 a quattro cilindri,
nel 1983. Si notino la conformazione del collettore di scarico e la posizione del turbocompressore
(dove le pressioni potevano essere anche dell’ordine di 4 bar!). Per quanto riguarda i diesel, occorre comunque osservare che il forte aumento
del grado di sovralimentazione, necessario per
ottenere le elevate potenze specifiche oggi raggiunte, ha determinato un sensibile incremento
della temperatura dei gas di scarico, che in certi
casi può oggi arrivare a valori non tanto lontani
da quelli dei motori ad accensione per scintilla.
Quando viene compressa, l’aria si riscalda. A parità di ogni altro parametro, la sua temperatura
aumenta al crescere della pressione.
Che cos’è un intercooler
e a cosa serve
E, ferma restando quest’ultima, risulta tanto più
elevata quanto minore è rendimento del compressore. In seguito al riscaldamento la densità
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quantità di gas di scarico che arriva alla turbina
nell’unità di tempo. Ai bassi regimi il turbo gira
piano (la quantità di gas che attraversa la turbina
è modesta, in particolare nei motori a ciclo Otto)
e il motore si comporta in pratica come se fosse
aspirato.
Per fornire una apprezzabile pressione di sovralimentazione le giranti devono raggiungere una
velocità di rotazione considerevole. Da lì in poi la
pressione aumenta in maniera rapida e sempre
più accentuata.
Se si adottasse un turbo avente un dimensionamento tale da fornire la prevista pressione di
sovralimentazione in prossimità del massimo
regime di rotazione del motore, l’erogazione
sarebbe molto modesta non solo ai bassi ma
anche ai medi. Se invece si impiegasse un turbo
in grado di fornire già ai medi regimi di rotazione
del motore una pressione di sovralimentazione
elevata, quest’ultima diventerebbe rapidamente
inammissibile, andando su con i giri.
Questo motore Audi a quattro cilindri è dotato di un grosso intercooler aria-aria, assai simile a un normale radiatore, che
consente di abbassare notevolmente la temperatura dell’aria inviata ai cilindri
dell’aria diminuisce (ciò significa che un eguale
volume contiene un minor numero di molecole).
È quindi evidente che ai fini delle prestazioni conviene limitarlo, adottando un compressore dotato del rendimento più elevato possibile, in grado
cioè di portare l’aria a una stessa pressione scaldandola in misura minore. Un innalzamento della
temperatura della carica presente nel cilindro
all’inizio della fase di compressione determina un
aumento della temperatura che viene raggiunta
all’interno della camera durante la combustione.
Per evitare che possa insorgere la detonazione
occorre pertanto fornire al motore aria piuttosto
“fresca”. Al di sopra di una certa temperatura
non si può dunque andare. Inevitabilmente però
l’aria subisce un riscaldamento che è tanto maggiore quanto più elevata è la pressione alla quale
viene portata e, poiché per ottenere elevate po79
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Tecnica
Il disegno consente di osservare la struttura della capsula di controllo, del tipo a molla e
diaframma, e i suoi collegamenti (meccanico con la wastegate e pneumatico con il compressore)
La volvola wastegate:
il bypass dei miracoli
È quindi chiaro che occorre un efficace sistema
di regolazione, che consenta di raggiungere presto la prevista pressione di sovralimentazione ed
eviti che essa possa salire ulteriormente al crescere del regime di rotazione del motore . Quello che viene adottato sfrutta lo stesso principio
impiegato nei circuiti di lubrificazione, ove una
valvola limitatrice evita che l’olio possa raggiungere una pressione troppo elevata e da un certo
regime di rotazione in poi la mantiene su di un
valore quasi costante. In questo caso non c’è un
collegamento meccanico con il motore e quindi
il sistema di regolazione non agisce in funzione
della velocità di rotazione dell’albero a gomiti. Si adotta una valvola di bypass (la ben nota
wastegate), che inizia ad aprirsi quando la pressione di sovralimentazione raggiunge un determinato valore, consentendo a una parte via via
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maggiore dei gas combusti di passare all’esterno
della turbina. In questo modo essi non contribuiscono a far ruotare la girante; semplicemente,
non vengono utilizzati e rientrano nel sistema di
scarico subito a valle della turbina. Ciò consente
da un certo punto in poi di mantenere la pressione di sovralimentazione su di un valore più o
meno costante.
La valvola wastegate, che può essere del tipo a
flap (fulcrata) oppure del tipo a fungo, determina
dunque la massima pressione di sovralimentazione che può venire raggiunta. A comandarne
l’apertura provvede, tramite un piccolo tirante,
una capsula pneumatica collegata al condotto
di aspirazione, subito a valle del compressore,
per mezzo di una apposita tubazione. Quando la
pressione raggiunge il valore prestabilito, agendo sul diaframma all’interno della capsula vince
la resistenza opposta dalla molla e fa iniziare l’apertura della valvola.
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Formula 1
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F1, GP BAHRAIN
LE PAGELLE DI SAKHIR
di Giovanni Bregant | Hamilton continua a macinare punti e vittorie,
mentre Rosberg sembra sempre più in crisi. Raikkonen torna sul podio,
con una gara condotta da vero mastino, mentre Vettel commette
qualche errore di troppo
H
amilton continua a volare, in qualifica dove coglie la quarta pole position stagionale, in gara con la terza
vittoria su quattro gare, e in classifica. Perfetto, velocissimo eppure mai sopra le
righe: quello di quest’anno forse non è l’Hamilton più spettacolare di sempre, ma è certamente il più efficace. Allo spegnersi del semaforo
scatta perfettamente e poi mette in atto l’ormai
abituale strategia: un ritmo fortissimo nei primi
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2-3 passaggi per costruirsi un distacco di 2-3 secondi da amministrare con saggezza per tutta la
gara. Nel finale gestisce con freddezza i problemi
della vettura e coglie una vittoria merita: voto 9,
perfetto.
Rosberg smarrito, Raikkonen
è tornato!
Ancora una volta, invece, Rosberg gli arriva
alle spalle ma fatica, e tanto: in qualifica si fa
sorprendere anche da Vettel e al via transita addirittura 4° alla fine del primo giro. Con due bei
sorpassi sulle Ferrari rimette le cose a posto, ma
anche quando si trova Hamilton a tiro non dà
mai l’impressione di andare a prendere l’inglese,
e neppure di provarci. Eppure proprio in Bahrain
un anno fa aveva dato vita a uno dei duelli più belli del campionato con Hamilton, uscendo sconfitto ma a testa alta dalla sfida. Nel finale un guasto
lo costringe a regalare la seconda posizione a
Raikkonen, ma la sostanza rimane: dopo 4 gare
il distacco in classifica dal compagno di squadra
è già importante, dall’inizio dell’anno il tedesco
ha sempre corso a un livello inferiore rispetto ad
Hamilton e infatti l’inglese è sempre più il pilota
di punta per la Mercedes, che quest’anno con
una Ferrari così forte dovrà probabilmente iniziare a fare qualche gioco di squadra, se non in
ottica campionato almeno a livello di strategia
nelle singole gare. Voto 5, scialbo. Chi invece
non ha sbagliato niente è stato Raikkonen: in
qualifica ottiene il 4° tempo ma con un distacco
contenuto da Vettel e soprattutto da Rosberg,
in gara al via sorprende il tedesco e anche quando dopo pochi giri deve cedergli nuovamente la
posizione il finlandese corre sempre su un ritmo
altissimo e gestendo allo stesso tempo al meglio
le gomme: una gara “alla Raikkonen” insomma,
e il 2° posto è un bellissimo e meritato risultato
dopo le prestazioni positive dall’inizio dell’anno
che però non si erano ancora concretizzate del
tutto.
Il fatto poi che il finlandese, a fine gara, fosse
soprattutto seccato di non essere riuscito a...
vincere è un’ulteriore conferma delle qualità di
questa Ferrari e della motivazione del Raikkonen
2015: voto 9, bentornato campione!
Qualche errore di troppo invece per Vettel, strepitoso in qualifica ma troppo falloso in gara,
soprattutto per uno come lui di solito molto efficace: Arrivabene lo ha assolto a fine gara ricordando che errare è umano e chi scrive non pretende certo di essere più severo del DS Ferrari,
quindi voto 6 comunque.
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Williams nel pallone, Ricciardo
fa quel che può
Bottas, invece, ha disputato il suo miglior week
end da inizio campionato: finalmente più veloce
di Massa in qualifica, in gara ha corso con consistenza anche se a lungo in solitaria, in quanto
troppo staccato dalle Ferrari e con troppo vantaggio su chi lo inseguiva. Quando però si è trovato Vettel alle spalle ha resistito al tedesco con
freddezza, facendo valere la maggiore velocità di
punta della sua Williams. Voto 8,5, mastino. Voto
7,5 comunque a Massa, che stavolta è stato più
lento del finlandese in qualifica e soprattutto è
stato azzoppato prima del via dalla sua monoposto: partito dal fondo, ha compiuto una gara
concreta con una bella progressione, anche se
quest’anno il livello si è alzato molto e infatti più
in là del 10° posto non è arrivato, complice una
strategia su 3 soste che forse non era la scelta
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Formula 1
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migliore per uno che partiva dal fondo. Lui però
ha fatto ancora una volto tutto il possibile. Incolpevole. Ha fatto forse anche più di quel che si poteva invece Ricciardo, come sempre formidabile
in qualifica a staccare il 7° tempo con il motore
Renault su questa pista e tenace in gara a resiste
a vetture con ben altra cavalleria.
Perfino il motore francese deve essersi commosso di fronte a una prestazione così, e infatti
ha atteso l’arrivo per esplodere in una nuvola di
fumo. Voto 9, perché Ricciardo è lo stesso dello
scorso anno, solo la monoposto purtroppo non
va altrettanto. Come in Cina, anche in Bahrain
Grosjean non si è praticamente mai visto, eppure
è finito a punti, segno di una gara disputata tutta all’insegna della concretezza, massimizzando
più il potenziale del motore Mercedes piuttosto
che quello di una monoposto ancora acerba.
Voto 8, professionista.
Incorreggibile Maldonado
Si è visto anche troppo invece, come sempre,
Maldonado, che nel primo giro ha mostrato tutto
il suo repertorio: prima un errore da principiante quando si è schierato male in griglia, quindi
due uscite fuori pista dalle quali si è salvato solo
grazie alle scellerate vie di fuga in asfalto di oggi.
Quando si dice un giro che vale una carriera...
Voto 0, senza speranza. Ha ripreso le migliori
abitudini di un tempo invece Perez: con una Force India tra le meno incisive degli ultimi anni resta fuori dalla Q3 ma in gara si arrampica fino ad
un onorevolissimo 8° posto, ottenuto gestendo
al meglio le gomme e compiendo qualche buon
sorpasso. Voto 8,5 quindi per il messicano, veloce e concreto. Un percorso opposto è quello
di Hulkenberg, che entra in Q3 ma poi in gara
scivola gradualmente fuori dalla zona punti, con
grossi problemi nella gestione delle gomme figli
probabilmente di un assetto non proprio azzeccato. Per il tedesco voto 5 e la sensazione che
qualcosa si sia inceppato nel pilota tedesco: non
sarebbe la prima grande promessa che persa
l’occasione di entrare in un top team vede gradualmente sfumare un enorme talento potenziale. E quest’anno, con il parallelo programma endurance con Porsche, rischia davvero di distrarsi
un po’ troppo. Rinviene bene dal fondo invece
Kvyat, che entra in zona punti con una gara poco
spettacolare ma incisiva nei limiti della monoposto: il russo è bravo (voto 7), però Ricciardo è su
un altro livello, almeno per il momento.
Rookie: mitico Sainz
Voto 8 di incoraggiamento per Alonso, che sfiora il primo punto della stagione con un’auto già
molto migliorata rispetto al primo gran premio
dell’anno ma ancora pesantemente in debito di
cavalli, come dimostravano i sorpassi subiti già
a metà rettilineo.
Lo spagnolo però non demorde e non ha ancora litigato con Ron Dennis, o non più del
solito comunque, e questa è già una notizia.
Voto 7 a Nasr, autore di alcuni bei sorpassi ma
penalizzato dalla strategia su tre soste: il brasiliano non va a punti ma convince lo stesso, ancora una volta; niente male per uno arrivato in F1
con l’etichetta di “pilota con la valigia”: sorpresa. Infine, voto 8 sulla fiducia a Sainz, autore di
una bellissima qualifica su una pista di motore,
poi azzoppato in gara dalla monoposto, mentre
Verstappen (voto 5,5) stavolta è apparso meno
extraterrestre del solito prima di ritirarsi anche
lui. Ma avrà modo di rifarsi, ne siamo sicuri.
F1, GP Bahrain 2015: le pagelle
Hamilton: 9
Raikkonen: 9
Ricciardo: 9
Bottas: 8,5
Perez: 8,5
Alonso: 8
Grosjean: 8
Sainz: 8
Massa: 7,5
Kvyat: 7
Nasr: 7
Vettel: 6
Verstappen: 5,5
Rosberg: 5
Hulkenberg: 5
Maldonado: 0
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Rally
Periodico elettronico di informazione motociclistica
emerse dal sontuoso convitto parigino non tolgono nulla all’importanza dello scenario presentato, anzi. Nella conferma del percorso definitivo
c’è sempre la grande sensazione offerta dall’enorme lavoro di cui si fanno carico gli Organizzatori per offrire un evento all’altezza delle aspettative e della straordinaria tradizione del Rally per
antonomasia. La ottava edizione sudamericana
della Dakar torna a Lima, dove era arrivata nel
2012 e da dove era partita l’anno successivo, per
offrire un’ambientazione di partenza magnifica, e
soprattutto ripropone le splendide dune del Sud
del Paese, teatro di tappe passate all’epopea della sua storia.
Nell’edizione 2016 c’è la “maturazione” della partecipazione della Bolivia al Rally, che cresce in
quel Paese con la proposta di una più approfondita esplorazione del suo straordinario territorio,
nella quale si uniscono le magnificenze geografiche del Lago Titicaca e del Salar di Uyuni, e c’è la
conferma della variegata terza e ultima fase argentina della Corsa, attraverso alcuni dei luoghi
più interessanti del Sud Est sudamericano.
Una Dakar a “tre dimensioni”
È, come definisce la corsa del 2016 Etienne Lavigne, la Grande Diagonale a tre dimensioni di un
nuovo, affascinante trittico andino, focalizzato
sulle sabbie del Pacifico peruviano, su una più
approfondita traversata degli altopiani peruviani,
e sulla lenta e tortuosa discesa, oltre la Cordillera,
attraverso le “fornaci” e le Pampe argentine. Non
sono passati neanche tre mesi, dunque, dalla
conclusione della Dakar Argentina-Bolivia-Cile, e
siamo già dentro l’edizione che verrà. Un caro saluto al Cile, che possa ritrovare la forza straordinaria del suo magnifico deserto di Atacama devastato, come dice Jaime Prohens, da una “bomba
atomica” di maltempo, e tornare quanto prima,
se gli piace, nello scenario della Dakar.
DAKAR 2016
ET VOILÀ: PERÙ-BOLIVIA-ARGENTINA!
di Piero Batini | Partenza da Lima, il Lago Titicaca e il Salar di Uyuni,
giornata di riposo a Salta e arrivo a Rosario. Questa è la Dakar 2016, ufficializzata a Parigi nel corso della conferenza stampa di presentazione
P
arigi, 16 aprile. Abbiamo “indovinato”.
la conferenza stampa di presentazione ufficiale della Dakar 2016 ha confermato tutte le nostre “ipotesi”: sarà
Dakar Perù-Bolivia-Argentina. Partenza da Lima
il 3 di gennaio, giornata di riposo a Salta il 10, e
arrivo a Rosario il 16 gennaio. Sfumano così, ufficialmente e definitivamente, anche i residui di
fantasia legati ad un ingresso nella Maratona motoristica per definizione di Paesi come Paraguay
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e Brasile, e la Dakar torna ad essere una complessa corsa in linea e non più ad “anello”, con
partenza e arrivo a Buenos Aires, come nei primi
tre anni del Sud America e come quest’anno.
Il percorso del 2016
Etienne Lavigne ha tolto il velo sull’edizione
2016, la trentacinquesima della serie, durante
la conferenza stampa di presentazione tenuta a
Parigi questa mattina. Le poche o nulle sorprese
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Reg. trib. Mi Num. 680 del 26/11/2003
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Magazine n°63