::: PROMORAMA ::: PRESS ::: BAND: FRANCESCO GIAMPAOLI TITLE: MI SPOSTO PAG. 1 ::: PROMORAMA ::: PRESS ::: BAND: FRANCESCO GIAMPAOLI TITLE: MI SPOSTO PAG. 2 ::: PROMORAMA ::: PRESS ::: BAND: FRANCESCO GIAMPAOLI TITLE: MI SPOSTO PAG. 3 ::: PROMORAMA ::: PRESS ::: BAND: FRANCESCO GIAMPAOLI TITLE: MI SPOSTO PAG. 4 ::: PROMORAMA ::: PRESS ::: BAND: FRANCESCO GIAMPAOLI TITLE: MI SPOSTO PAG. 5 SHIVER http://www.shiverwebzine.com/2011/08/31/francesco-giampaoli-%E2%80%93-mi-sposto-2011sidecargoodfellas/ Alla seconda prova da solista il bassista e contrabbassista ravennate Francesco Giampaoli (impegnato in molti altri progetti musicali tra i quali “Nomades”, “Quartetto Klez”, “Sur”) alza il tiro, dando alle stampe un disco di rara intensità, frutto delle contaminazioni più diverse che hanno influenzato il suo percorso artistico: jazz, musica popolare, blues, ambient. Mi Sposto, album totalmente strumentale che conta di 15 pezzi per quasi un’ora di musica, è un manifesto sonoro “in movimento” – fin dal titolo – pur rimanendo molto compatto dal punto di vista della varietà sonora, che viene accuratamente sintetizzata in ogni singola traccia, sfuggendo al senso di spaesamento che si può ascoltare in taluni lavori troppo variegati. Ne viene fuori un suono fresco, sospeso tra atmosfere tipicamente Penguin Café e certo post-rock latitudine Chicago (quello dei primi Tortoise per intenderci). Giampaoli suona quasi tutti gli strumenti da solo e in una manciata di tracce viene accompagnato da comprimari di lusso quali Bruno Dorella (Bachi Da Pietra, Ronin), Antonio Gramentieri (Sacri Cuori), Mirco Mariani (Saluti da Saturno) che impreziosiscono ulteriormente un lavoro di base già assai godibile. Tracce quali “Eb”, “Fine”, “Sei”, la stessa title track “Mi Sposto”, pur proponendo una musica solitamente non immediata, entrano nella testa e nel cuore già durante i primi ascolti; non per altro in casa Goodfellas ci hanno visto lungo ad assicurarsi i diritti di distribuzione del disco in questione. Infine da segnalare la presenza di due cover che non ci si aspetterebbe, “Besame Mucho” di Consuelo Velázquez e “Over the Rainbow” (da “Il mago di Oz” in poi è stata omaggiata dall’interpretazione di innumerevoli artisti, da Frank Sinatra a Tom Waits, Ramones, Deep Purple, Eric Clapton). Entrambi gli esperimenti di riedizione sono eseguiti con sobrietà e capacità di reinvenzione mirabili. Rimane un dilemma, dove piazzare questo cd all’interno della propria discografia casalinga. Riascolto la traccia n. 5 “Porto” e non ho più dubbi, accanto ai Jaga Jazzist. AUDIODROME http://www.audiodrome.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=8133 I ritmi e gli intrecci sonori nascono dallo scontrarsi di venti dell’est e dei caldi deserti africani, un'idea di etno-jazz che fa sua l'energia mistica della lucentezza della sabbia delle terre di frontiera e la vitale oscurità del ventre di Madre Terra. Cover sui generis di “Besame Mucho” e “Over The Rainbow” incluse. Non è un caso che all'ubiqua duttilità musicale di Francesco si siano unite le creatività di maestri come Antonio Gramentieri, Mirco Mariani (Saluti Da Saturno), Stefano Martini, Maurizio Piancastelli, Lorenzo “Nada” e che il tutto sia poi stato prodotto da JD Foster, già al lavoro con Marc Ribot, Calexico, Capossela. Mi Sposto non è certo di facile assimilazione, per quanto il suo respiro sia avvolgente e, sotto certi aspetti, curativo. Merita e infonde amore. ::: PROMORAMA ::: PRESS ::: BAND: FRANCESCO GIAMPAOLI TITLE: MI SPOSTO PAG. 6 KATHODIC http://www.kathodik.it/modules.php?name=Reviews&rop=showcontent&id=4928 Esistono dischi che più di altri si portano addosso il compito, oneroso quanto stimolante, di suscitare nell’ascoltatore una speciale magia evocativa e immaginifica. Dischi che recano tracce di un’atmosfera sfuggente quanto irresistibile, apparentemente muti ma celanti una bellezza da scoprire gradatamente. È decisamente il caso di “Mi sposto”, seconda prova en solitaire di Francesco Giampaoli, solista e virtuoso delle corde – quattro o sei, prevalentemente acustiche – già nei ranghi di compagini dai timbri esoterici, come Nomades, Quartetto Klez, Sur, e qui pronto a cimentarsi con una dimensione polistrumentale, affiancato da un manipolo di professionisti di alto rango, tra cui spiccano Bruno Dorella, deus ex machina di Ronin e Bachi Da Pietra, e Antonio Gramentieri dei Sacri Cuori. Siamo di fronte a un lavoro di rara intensità, e ancor più di vivace stratificazione sonora. Interamente strumentale, il disco è un pregevole affresco di innumerevoli incastri musicali, suggestioni etniche che attecchiscono nei territori, ibridi e spuri, del jazz, del blues, di un rock mai così post e mai così intriso delle sue stesse radici novecentesche, quelle nere e terrigne. Un movimento incessante, consapevole, di raro vitalismo. Musica “visiva”, cinematografica, perfetta per la tentazione succosa di affiancarvi uno storyboard di immagini in itinere. Uno spettacolo da circo sottomarino: così le note di Etac aprono le danze, tra archi dolenti subito zittiti da caracollanti percussioni, a creare una fanfara che svela la prima chiave di lettura: un continuo rimando tra accademia e ludico, tra tramonti western e giocolerie tipiche dell’universo dei Mariposa. E se la title track suggerisce movimento, di viaggi lunghi quanto il tempo si tratta: immaginate una spedizione di elefanti cui assistono, serafici e imperturbabili, un nugolo di musicanti popolari appenninici. Praticamente, la spedizione di Annibale da Cartagine lungo l’Italia, una delizia che ricorda il primo Mauro Pagani, ma con intenti tutt’altro che calligrafici. Chiaro chiama a raccolta i primi Tortoise per una session con Trilok Gurtu coinvolgente e serrata, mentre Porto è un madrigale dalla leggerezza lunare, quasi frippiana, dolcissima ninna nanna minimalista giocata sui toni cristallini di una tromba che sembra spifferare bolle di sapone. L’atmosfera vira decisamente colore in Fine, bellissima, oscura e inquieta, umbratile e al contempo elegiaca, vicina alla sontuosità western della premiata ditta Nick Cave & Warren Ellis, ma ancorata a terra da fulminee zampate degne di Marc Ribot. Il divertito serraglio sonoro di Specchio ci conduce spudoratamente tra i ritmi latini, prima che le atmosfere jazzy prendano il sopravvento, tra bettole fumose e occhiate sghembe, nelle tracce conclusive del disco, tra cui spicca la lunga, ipnotica e labirintica Oscuro, venata da periferiche elettroniche. Tradizione e avanguardia, barocchismi e sottrazioni: solo una raffinata intelligenza musicale, come dimostra di avere Francesco Giampaoli, poteva vestire un abusato e malinconico standard come Besame mucho in un discreto ed elegante commiato. Il perfetto end credits a un film che speriamo abbiamo presto il degno seguito.