Drammaturgia e la “scapigliatura” Ottocentesca L moleskine 48 uigi Illica, chi era costui? Pochi sono coloro che oggi lo ricordano più che come poeta, quale versificatore di noti libretti d’opera forniti ai grandi musicisti dell’epoca come Puccini, Smareglia, Mascagni, Franchetti, Catalani, Giordano e tanti altri. Pochi sanno inoltre che come commediografo fu apprezzato autore di lavori teatrali messi in scena dalle più importanti compagnie di prosa presenti in Italia e che fu parte attiva di quel movimento culturale denominato “scapigliatura” che fra Milano e Bologna imperversò nell’ultimo ventennio dell’Ottocento proponendo il rinnovamento dell’arte italiana impantanata in un certo provincialismo. Luigi Illica nasce a Castell’Arquato il 9 maggio 1857 (Piacenza) da buona famiglia borghese. Il padre, notaio, vorrebbe che il figlio ne proseguisse la professione cui era stato destinato ma il giovane Illica, ponendosi in contrasto con la volontà del genitore, segue la sua vocazione approdando presto nel capoluogo lombardo dove partecipa a quel cenacolo letterario e musicale che propugnava la “affinità delle arti”, unitamente a Boito, Tebaldini, Fontana ed altri giovani … “scapigliati”. Dal 1892 si dedica a scrivere libretti d’opera, prima con Franchetti, poi con Smareglia, Catalani e ancora con Giordano, Mascagni e Puccini. Il successo pieno gli arride dopo l’incontro con Giuseppe Giacosa con il quale scrisse i libretti delle più famose opere pucciniane: la Bohème, Tosca, Madama Butterfly collocandosi tra i principali librettisti dell’epoca post-verdiana, interpreti di un gusto e di un nuovo indirizzo musicale. Una biografia di Luigi Illica recentemente apparsa a cura di Gaspare Nello Vetro e stampata dalla Aracne Ed., rende un doveroso omaggio al poeta con un saggio costruito in modo intelligente e dinamico, attraverso una documentata messe di notizie e grazie ad una prosa degna di un … Luigi Illica. Intrepido e battagliero, giovane direttore del periodico Don Chisciotte, Illica fu apprezzato anche dall’ombroso Carducci. Convinto repubblicano ebbe occasione di manifestarsi coraggiosamente attraverso quel foglio con il quale affrontò con vivacità di ingegno la situazione politica di quel Giuseppe Uccello Luigi Illica periodo e dal quale si evince “lo spirito di ribellione nei riguardi della classe politica di allora”. Scriveva Illica sul Don Chisciotte del 19 aprile 1881: “la borghesia parlamentare che arbitrariamente ci governa si sfascia. Essa ha fatto tutti gli esperimenti. In otto anni è passata dalla Destra a tinte un po’ chiare del Lanza, alla destra tutta nera del Minghetti; dalla Sinistra fosca del Nicotera alla rossa dello Zanardelli per ripassare alla Sinistra millerighe del Depretis. Con questa è stata impotente sempre al governo. Ha rovesciato gli uni dopo gli altri tutti i Ministeri senza avere la forza di costituirne un solo durevole. Ora assistiamo all’ultimo punto della catastrofe. Una maggioranza enorme non riesce ad afferrare il potere; una minoranza impercettibile s’impone”. Tale scritto sembra riproporre la situazione politica odierna: Historia magistra vitae, si dice, ma pare che tale massima non abbia mai avuto allievi. Illica mediatore e propulsore di energie intellettuali legate alla scapigliatura fu un personaggio che Il successo fu condiviso con Luigi Illica, ancora conosciuto solo come autore teatrale. Catalani era preso da una frenesia compositiva e richiedeva sempre nuovi libretti da musicare, quasi presentisse la immatura fine che lo colse infatti a soli 39 anni il 7 agosto 1893. La musica e l’opera entravano intanto in quel periodo fervido e caldo del verismo e agli argomenti che si ispiravano alla letteratura francese, al romanzo naturalista (Zola), al verismo verghiano e russo, ovvero alle correnti letterarie del romanzo moderno. Gli operisti dimentichi di un ricco passato alla ricerca del verismo si lanciarono, come scrive Mila, “in una frettolosa conciliazione della tradizione vocale con le inderogabili conquiste del sinfonismo ottocentesco e del dramma musicale wagneriano”. La richiesta da parte dei giovani compositori per avere nuovi libretti era notevole. I cantanti di quel periodo dovettero fare i conti nell’ora del trapasso fra l’Otto e il Novecento, periodo cosiddetto “di passaggio” tra l’antico metodo e la nuova vocalità. Rodolfo Celletti nell’evidenziare i problemi che certi cantanti operanti fra i due secoli dovevano affrontare nel nuovo repertorio e spesso alle prese con opere “meteora” sfornate dai Concorsi Sonzogno – costretti a dover mutuare e a confrontarsi fra Adriana, Fedora, Butterfly, opere che ponevano grandi difficoltà per trovare il punto di raccordo del nuovo equilibrio fonico-vocale al quale si può aggiungere anche quello psicologico. Sottolinea per l’appunto Rodolfo Celletti: “un clima dalle grandi oscillazioni barometriche, con improvvise impennate verso le zone gravide di elettricità del la naturale e del si bemolle e precipitosi ripiegamenti sotto il primo rigo del pentagramma. Partiture che si scontravano con i nervi oltre che con le corde vocali e alle quali si dava tutto, perché erano ai primi anni di vita ..”. Un tema che avesse riferimento con la Rivoluzione Francese, l’Andrea Chènier già prospettato da Illica a Franchetti che si era intanto orientato sull’opera Cristoforo Colombo fu eseguito a Genova per le feste in preparazione per il quarto centenario della scoperta dell’America. Il libretto dell’Andrea Chènier, come è noto, fu messo in musica successivamente da Umberto Giordano. Fra le tante notizie di cui è corredato il libro del Vetro vi è quella interessante che narra come in previsione delle grandi feste per la scoperta dell’America a partire dal 3 agosto 1892, la città di Genova nel fervore organizzativo per il quale si prevedeva una esposizione italo - americana, 49 moleskine incise non poco nella vita culturale della capitale lombarda. Come scrive Gaspare Nello Vetro, l’ultimo ventennio dell’Ottocento vede Illica approdare al teatro partecipe delle grandi opere della narrativa italiana di Giovanni Verga con i Malavoglia e le novelle Mastro Don Gesualdo, Daniele Cortis e Malombra di Fogazzaro, De Amicis con il Cuore di ispirazione socialista-patriottico, e ancora D’Annunzio con il Piacere, primo romanzo erotico moderno. A Milano, grazie al rapporto intrattenuto con Ferdinando Fontana, l’intellettuale e poeta ben noto e stimato nell’ambiente del capoluogo lombardo, potè dare al teatro Manzoni il 19 ottobre 1883 il suo primo lavoro in 4 atti dal titolo I Narbonerielatour. Il dramma messo in scena dalla famosa compagnia drammatica Pietroboni fu apprezzato dal pubblico milanese “poco facile all’indulgenza” e dedicato all’amico Giosuè Carducci. Uguale consenso suscitò il lavoro a Torino, ripreso poi in molti altri teatri. A Bologna in particolare il successo fu strepitoso ed è molto interessante potersi informare attraverso l’accurata ricerca di Gaspare Nello Vetro, molto attento nel riportare tutti i giudizi della stampa. L’autore descrive inoltre come in un affresco la temperie di quegli anni, gli incontri con i vari musicisti e le proposte più o meno accettabili dalle poco attraenti fosche tinte del verismo allora in auge. Così era avvenuto con il compositore Smareglia per le Nozze istriane, che accetta di versificare, dopo aver visitato Dignano in Istria luogo natale dello Smareglia, che manteneva ancora intatte tante tradizioni popolari. L’opera, sul solco del verismo ma alleggerita da spunti di sinfonismo germanico e musiche popolari ebbe un ottimo successo al debutto a Trieste il 28 marzo del 1895. Consenso che si ripetè successivamente in Austria. L’incontro con Catalani per la Wally apre a Illica l’accesso a casa Ricordi. Il musicista è soddisfatto per aver trovato finalmente il suo librettista; la costruzione drammatica è perfetta e i giudizi lusinghieri. Il debutto dell’opera alla Scala nel carnevale del 1892 ebbe un’ottima accoglienza malgrado le riserve di Verdi sempre più preoccupato della invadenza di composizioni che risentivano della temperie germanica e che, geloso custode della tradizione, liquidava ironicamente come … “musica dell’avvenire”. moleskine 50 si era rivolta a Verdi attraverso una delegazione guidata dal sindaco per invitare il grande musicista a comporre un’opera per la circostanza. Giuseppe Verdi pur grato del tributo manifestato dalla Città della Lanterna declinava l’invito adducendo che – ormai prossimo agli ottant’anni – era troppo vecchio per affrontare un simile impegno. Ipotizza il Vetro che Verdi non ritenne la vicenda adatta ad essere tradotta in musica, specie dopo il recente successo di Otello (5 febbraio 1887) già impegnato nella nuova opera Falstaff su libretto di Arrigo Boito. Mi permetto di aggiungere che Verdi, con il naturale fiuto e l’esperienza acquisita, non volesse essere coinvolto in una tenzone con i giovani compositori della “Nuova scuola”. E pare sia stato proprio Verdi ad indicare il nome di Franchetti tra i giovani musicisti adatto ad assolvere l’incarico. Franchetti, già autore dell’opera Asrael su libretto di Ferdinando Fontana, lavoro felicemente accolto al Municipale di Reggio Emilia nel febbraio del 1883, era figlio di un milionario, impresario di stagioni liriche, per cui fu alla fine prescelto insieme ad Illica per il Cristoforo Colombo. Il rapporto Franchetti – Illica non fu facile anzi si potrebbe definire litigioso finchè il Colombo successivamente non venne rimaneggiato e ridotto da quattro a tre atti. Tale dissidio – successivamente ricomposto – non vietò ai due, dopo otto anni, a tornare a lavorare insieme per l’opera Germania, condivisa fra il poeta e il musicista, la cui prima avvenne presso il rinnovato Teatro Carlo Felice di Genova nel 1902. Germania fu anche l’opera nuova che inaugurò la Stagione 1902-03 del Teatro Vittorio Emanuele di Messina. Il Franchetti, che operò in una consapevole attrazione degli ideali wagneriani, fu uno dei pochi compositori del Novecento ad uscire senza troppe compromissioni dalla corrente verista. La vita musicale di quel periodo è contrassegnata dagli interessi commerciali ad essa connessi. Ricordi aggiornava con nuovi impianti la sua Casa editrice e nel 1888 ne monopolizzava il mercato assorbendo la concorrente Lucca detentrice esclusiva di opere straniere di Gounod, Mayerbeer, Alevy e persino di Wagner di cui aveva pubblicato l’Anello del Nibelungo e I maestri cantori. Ricordi non si fermava di attrezzare al meglio il suo stabilimento e sono di quegli anni la stampa dei primi manifesti di grande formato rappresentanti immagini tratte da opere affidate a grandi disegnatori e pittori dell’epoca che crearono vere opere d’arte che ancora oggi apprezziamo. I successi conseguiti da Illica con l’opera di Franchetti gli aprirono le porte di Casa Ricordi ad una più intensa collaborazione. Si sconosce tutt’ora la produzione letteraria dell’Abate Antoine Francois Prevost, pur essendo stato prolifico autore di una sessantina di romanzi se non per l’Histoire du Chevalier de Grieux et de Manon Lescaut del 1731. Il romanzo interessò molti musicisti ma la più importante composizione all’epoca fu quella di Jules Massenet che approdava sulle scene sin dal 1884; dopo Carmen di Bizet, Manon era destinata a divenire una delle opere francesi più popolari. La strumentazione raffinata e il taglio lirico drammatico dei personaggi attraverso la morbosità di un argomento che fu definito crudemente da Luigi Illica e Giacomo Puccini Montesquieu come un dramma in cui “l’eroe è un mascalzone e l’eroina una puttana”, ebbe un successo enorme. Tale argomento non poteva non interessare Giacomo Puccini che tra i musicisti emergenti era già considerato con l’opera Le Willi su libretto del poeta e giornalista F. Fontana rappresentata al Dal Verme di Milano il 31 maggio 1884. Infatti l’editore Ricordi dal fiuto infallibile aveva intuito quale animale di razza fosse il Puccini e malgrado Elaborazione grafica di un’opera il tiepido successo di A. Mucha ottenuto dalla sua prima opera lo legava alla sua Casa. Nell’ambito di quella vita scapigliata e bohèmienne milanese formativa per il giovane musicista, tra il 1889 e 1892 si incaponisce nel voler trattare l’argomento Manon. Una sera facendo quattro passi in Galleria chiese a Marco Praga di scrivere il libretto del lavoro dell’abate Prevost il cui contenuto l’aveva affascinato. Anche se musicata da Massenet, Puccini riteneva che sarebbe riuscito nell’impresa e insistemente chiedeva a Praga la stesura della “tela” mentre a Domenico Oliva i versi per il libretto. Nella stesura del libretto Puccini si rivelava molto esigente scoraggiando i collaboratori che presto abbandonavano il lavoro. Nell’autunno del 1890, dopo che Ricordi si era rivolto a Giacosa entra in ballo Luigi Illica che pur tra continui contrasti ed elaborazioni portava a compimento il lavoro, che lo stesso Puccini definì “all’italiana, con passione disperata”. Questa drammaturgia invero non manca neanche all’opera del Massenet che senza risentire dell’influenza del verismo era stata disegnata anch’essa in una cornice passionale (si ricorda la scena di San Sulpice) che pur nella tragicità della situazione i personaggi risultano umanamente vivi e toccanti. Il debutto dell’opera pucciniana avvenne al Regio di Torino il 1 febbraio 1893 ma sul libretto non apparirà il nome dell’autore dei versi perché tanti erano stati i poeti che vi si erano avvicendati. Una vera cooperativa… . Manon Lescaut di Puccini aveva trovato il Teatro alla Scala impegnato con le prove del Falstaff di Verdi, ultima opera del Cigno di Busseto con la quale conclude che “tutto nel mondo è burla”, vivace e vigorosa Fuga; fra i quattro festosi accordi, con i quali Verdi dà il suo addio all’Opera e alla fine della grande stagione del melodramma italiano. Scrive Michele Girardi “anno di grazia il 1893, e mese eletto per il teatro musicale il febbraio. A distanza di otto giorni il melodramma ottocentesco di Verdi avrebbe passato le consegne all’opera italiana ed internazionale di Puccini”. Malgrado il successo registrato da quest’opera con Auber prima e Massenet dopo, Puccini si era intestardito a voler musicare il medesimo dramma lirico, avendo “sentito” una attrazione certamente speciale, così come era avvenuto per De Grieux, al primo incontro con Manon: ovvero una inarrestabile scarica di adrenalina. Da uomo profondamente intelligente, Puccini è consapevole che dopo Wagner la musica doveva necessariamente cambiare ed è certamente il primo musicista italiano, attraverso questa disperata storia d’amore, a privilegiare la scrittura armonica dell’orchestra con la quale riesce a “comunicare l’emozione più intensa al di là delle parole” (Girardi). Dopo questa Manon il “librettista degli anni d’oro” non si lascia sfuggire il centenario della morte del poeta francese Andrea Chénier e, nel 1894, scrive Vetro, “Illica redige uno dei libretti più riusciti”. L’opera del Giordano sul solco della migliore corrente verista si affiancava al successo ottenuto da Pietro Mascagni nel 1899 con Cavalleria rusticana, tratta dall’omonimo dramma di Verga e definita la bandiera dell’opera verista. Il grande successo di Manon, opera che in un certo senso fa da spartiacque tra la tradizione e il nuovo, lega il binomio Illica – Giacosa che diverrà quasi inscindibile. A questo punto Nello Vetro non può non soffermarsi sulla diatriba Leoncavallo – Puccini e sul libretto tratto dalla Scenes de la vie de Bohème, la cui invenzione è da ascriversi, certamente, a Luigi Illica. Giuseppe Giacosa con il quale Illica collaborò era un personaggio e un temperamento definito pacioso, che in breve tempo rimase si associa alla vita artistica dell’Illica; come commediografo era considerato un caposcuola. Si ricordano di lui lavori teatrali di grande successo come Una partita a scacchi, Tristi amori, Come le foglie, La signora di Challant che hanno segnato la produzione drammaturgica dell’epoca.