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Numero 206
07 Luglio 2015
81 Pagine
MXGP Svezia
Febvre leader, Herlings
di nuovo infortunato
Cairoli arrabbiato
con Philippaerts
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Nico Cereghini
Effetto ritorno:
il viaggio verso casa ci
sembra più breve”
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Prove
Vespa Polini Oro
23 Carati
Valore? Inestimabile…
o quasi
| PROVA CRUISER |
MOTO GUZZI
ELDORADO
da Pag. 2 a Pag. 13
All’Interno
NEWS: Mercato a giugno vendite a +10,6% | Honda VFR 1200F test del cambio DCT | M. Clarke Ingegno e fantasia
nella distribuzione | MOTOGP: Stoner e Iannone dalla parte di Rossi | SBK: Biaggi a Sepang, è ufficiale
Moto Guzzi Eldorado
PREGI
Motore e finiture
DIFETTI
Rumorosità meccanica
Prezzo 18.990 €
PROVA CRUISER
MOTO GUZZI
ELDORADO
Comoda ed elegante, Eldorado risponde a tutti i
guzzisti che cercano una versione ancora più
evocativa della California. Coccola il pilota ed ha
una guida armonica, peccato per le pedane basse
di Edoardo Licciardello
Foto Milagro, Marco Zamponi
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
Prove
Media
E
ldorado: una terra mitologica
dell’immaginario dei conquistadores spagnoli, che alle leggende dei nativi centro e sudamericani avevano creduto davvero
tanto da ritenere reale l’esistenza di una città tutta d’oro. Eldorado, appunto. Un
mito legato a filo doppio alla corsa all’oro che ha
portato tanti coloni verso la California, fenomeno che in un certo senso riflette l’epoca d’oro di
Moto Guzzi, che negli anni settanta fece arrabbiare Harley-Davidson rubandole nientemeno
che la fornitura per la polizia stradale. L’arrivo
nel “Golden State” americano pose il mattone
definitivo nelle fondamenta del mito Guzzi, fondamenta da cui non a caso nacque appunto la
California. La nuova Guzzi Eldorado guarda proprio a quel periodo, dalla cui iconografia attinge
naturalmente a piene mani. Basta guardare le
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pedane floorboard, il cambio a bilanciere, i cerchi
a raggi, le cromature sui fianchi del serbatoio, ma
anche solo il generoso manubrio a corna di bue e,
inevitabilmente, gli pneumatici Dunlop whitewall
che profumano d’America lontano un chilometro.
Pardon, un miglio. Ma non pensate ad una moto
vintage, o retrò. Eldorado è una moto che affonda
le sue radici nel passato ma declina tutti i concetti di cui sopra in chiave tecnologicamente attuale,
per non dire futuribile grazie ad una piattaforma
- ormai possiamo chiamarla così senza timori di
smentita, visto che conta ormai quattro modelli - pensata guardando molto avanti, quella della
California 1400 che ha debuttato solo tre anni fa
ad EICMA.
Cosa cambia?
Pochi dettagli tecnici differenziano Eldorado dalle due California, ma come avviene per Audace,
anche le piccolezze all’atto pratico determinano
grandi differenze. Partiamo da ciò che non varia,
ovvero il bicilindrico trasversale a V di 90° Big
Block Moto Guzzi da 1.380cc raffreddato ad aria
e olio e dotato di gestione elettronica integrata
allo stato dell’arte (parente vicinissima di quella
sviluppata con Aprilia in Superbike) con acceleratore ride-by-wire, corpo farfallato da 52mm e
sistemi di controllo di trazione MGCT a tre strategie d’intervento, gestione multimappa (Turismo,
Veloce e Bagnato) e cruise control. Elettronica
che si riflette nello spettacolare cruscotto misto
analogico/digitale e nel faro anteriore poliellissoidale con illuminazione diurna a LED. La potenza
massima si attesta a 96 cavalli a 6.500 giri, con
uno (strabordante) valore di coppia pari a 120
Newton/metro a soli 2.750 giri; il tutto potendo
vantare già ora l’omologazione Euro-4 ottenuta
con un margine del 30%, grazie anche all’uso
di iniezione d’aria secondaria e di catalizzatori
maggiorati, che la dice lunga in merito all’efficienza di questo propulsore. Completa il quadro
il cambio a sei marce con sesta overdrive e finale
cardanica a doppio parastrappi con annullamento delle reazioni del retrotreno in accelerazione e
rallentamento. La ciclistica conta su un telaio tubolare in acciaio a doppia culla chiusa con sistema di fissaggio del motore elastocinematico per
l’isolamento delle vibrazioni basato su tre bielle
e due silentbloc, che isolano le vibrazioni senza
ripercussioni sulla dinamica di guida e determinano il cambio di ruolo del propulsore che non
costituisce più elemento stressato. Il comparto
sospensioni fa affidamento su una forcella telescopica a steli tradizionali da 45mm di diametro,
non regolabile, e su un doppio ammortizzatore
regolabile nel precarico molla. Responsabile delle citate variazioni ciclistiche è principalmente il
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controllo della moto. Una volta in sella ci si sente
i re del mondo: tutti i comandi sono dove uno si
aspetta di trovarli, e il baricentro rasoterra aiuta
a prendere confidenza praticamente subito. Ma
dove l’Audace fa venire voglia di guidare brillanti, su Eldorado viene naturale subito trotterellare, farsi cullare da sospensioni più morbide e
da un motore forse ancora più dolce e pastoso.
Sarà che lo scarico standard rende il tono di voce
meno brillante ma più elegante e rilassato, sarà
che la posizione è molto più comoda e naturale,
fatto sta che ci si adagia rapidamente su un’andatura trotterellante e pigra. Un’andatura in cui
si inclina la moto più che piegarla, e in cui il cambio viene chiamato in causa di rado, soprattutto
grazie ad una coppia taurina capace di estrarvi
nei rapporti alti da qualunque curva ad andature
poco più che pedonali. Si può scendere a regimi
nuovo cerchio anteriore da 16 pollici che abbassa
baricentro e sella (complice la diversa taratura
delle sospensioni) e determina una diminuzione dell’avancorsa da 145 a 144mm (nonostante
il cannotto non vari nell’inclinazione) ed un leggero aumento dell’interasse che passa da 1685
a 1695mm. Invariato invece l’impianto frenante,
dove troviamo all’anteriore due dischi flottanti da
320 mm lavorati da pinze radiali Brembo a 4 pistoncini contrapposti e al posteriore un disco singolo da 282mm. Il tutto gestito da un ABS a due
canali. Il peso si colloca a metà strada fra la Custom e la Touring, con 314kg in ordine di marcia.
Naturalmente presente anche su Eldorado (e da
quest’anno su tutte le 1400 Moto Guzzi) la predisposizione per la multimedia platform MG-MP
che consente di connettere il proprio Smartphone alla gestione elettronica trasformandosi in un
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Prove
bassissimi, forti del montaggio elastocinematico
che isola il motore dal telaio, e godersi la mappa Turismo: se già sull’Audace la Veloce ci era
apparsa un po’ troppo sgarbata, sulla Eldorado
è da considerarsi poco più che un simpatico divertissement. La diversa geometria di sterzo e i
cerchi da 16” (con il posteriore che calza una più
equilibrata 180/65, che sacrifica qualcosa in termini scenografici rispetto alla 200 di Audace ma
rende più fluida la guida) determinano una guida
davvero armonica. Sicuramente meno sportiva
di quella concessa da Audace ma del resto Eldorado, pur mantenendo le ottime doti dinamiche
della famiglia California, non vuole certo esaltare
sul misto ma coccolare il pilota andando a passeggio, magari di buon passo ma senza eccessi
o pretese di sportività. Qualunque eccesso di entusiasmo, del resto, viene smorzato sul nascere
computer di bordo capace di duplicare le informazioni del cruscotto oppure diventare una vera
e propria acquisizione dati. A fine giro potrete
ripercorrere il vostro tragitto con una profondità
di dettaglio degna del Mondiale SBK (velocità,
angolo di piega, potenza erogata, angoli d’inclinazione e quant’altro) e, mentre guidate, ricevere segnalazione istantanea di una condotta di
guida… poco parsimoniosa, del superamento di
un determinato regime o di un angolo di piega
preimpostato.
Come va
Se Audace sconcerta un po’ i guzzisti, sedersi su
Eldorado lo farà sentire immediatamente a casa.
Non possiamo fare un paragone diretto con la
850 del passato, ma la posizione di guida è naturale e comoda, e offre fin da subito un ottimo
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dalle pedane floorboard che interferiscono con
l’asfalto ben prima che la ciclistica si lasci anche
solo intimidire dal ritmo sul misto. Un peccato?
Un pochino frustrante, magari, ma non un reale
problema perché come abbiamo già detto Eldorado è fatta per portarvi in giro comodi, rilassati
e sicuri. Per capirci, qui il cruise control, dal funzionamento impeccabile, risulta ancora più utile
ed azzeccato. Gli unici reali difetti sono gli stessi riscontrati su Audace, ma se già sulla cugina
più atletica si trattava di piccole macchioline che
non inficiavano un quadro globale di eccellenza,
su Eldorado si sentono ancora meno. La potenza
dei freni è la stessa, ma un po’ il fatto che… viene
meno voglia di correre, un po’ che la posizione di
guida invita ad usare ben di più il freno posteriore, la necessità di usare entrambi i comandi per
fermarsi rapidamente è meno limitante. Anche il
comando “maschio” della frizione infastidisce un
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Prove
po’ meno. La guida rilassata la chiama in causa
un po’ meno, e lo scarico di serie sembra determinare una risposta un po’ più dolce e regolare
“sotto”; insomma, i muscoli della mano sinistra
non sembrano altrettanto stressati. La rumorosità di punterie? Quella è identica, ma a regimi più
bassi è meno “intrusiva”, e la si derubrica più volentieri a “tratto della personalità”.
Per chi è Eldorado?
Se Audace punta ad una nicchia un po’ ristretta di
clienti, Eldorado è sicuramente una moto molto
più convenzionale nel grande schema delle cose
secondo Moto Guzzi. E’ una moto che piacerà sicuramente a chi, non più giovanissimo, ha visto la
prima 850GT magari nelle mani del papà o dello
zio. Piacerà sicuramente a chi è Guzzista dentro,
e a chi si riconosce nell’estetica e nei gusti del
cruiserista a metà strada fra Mandello e il West.
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Casco GIVI 20.6 Fiber J2
Pantaloni Dainese
Giacca Dainese Stripes Evo
Scarpe Dainese Vera Cruz
Guanti Dainese
SCHEDA TECNICA
I suoi 18.990 euro non sono sicuramente pochi,
in senso assoluto, ma raramente si trova tanta sostanza in una moto di questo segmento. E
come abbiamo già detto per Audace, il fatto di
poter vantare… i cilindri di traverso rispetto alle
altre cruiser è un elemento distintivo che per
molti non ha prezzo. Brava Guzzi, l’Aquila sta tornando davvero a volare alto.
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ABBIGLIAMENTO
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Prove
Moto Guzzi Eldorado 1400 18.990 euro
Cilindrata 1.380 cc
Tempi 4
Cilindri 2
Raffreddamento ad aria/olio
Avviamento elettrico
Alimentazione iniezione
Frizione monodisco
Potenza 96 cv - 71 kw - 6.500 rpm
Coppia 12 kgm - 120 nm - 2.750 rpm
Emissioni Euro 4
Numero marce 6
Capacità serbatoio carburante 21 lt
ABS Sì
Pneumatico anteriore 130/90 R 16”
Pneumatico posteriore 180/65 R 16”
Peso a secco 300 Kg
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Vespa Polini Oro 23 Carati
Prezzo 42.000 €
PROVA FUORISERIE
VESPA POLINI
ORO 23 CARATI
E’ completamente ricoperta di foglie
d’oro 23 Carati posate a mano, e preparata
con parti speciali Polini. Un piacere guardarla,
un privilegio guidarla. Valore?
Inestimabile… o quasi
di Cristina Bacchetti
Foto Dario Agrati
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Prove
Media
D
a sempre amata, protagonista di film e canzoni, inconfondibile simbolo dell’Italia su
due ruote e, in questa veste,
accentratrice di sguardi e desideri grazie alle 500 foglie
d’oro zecchino pazientemente posate a mano
una ad una e poi ricoperte da una vernice trasparente atta a proteggere cotanta preziosità. Bella
è bella, non si può dire altrimenti. Tutto quell’oro
armoniosamente in contrasto coi profili cromati, la linea indiscutibilmente unica e poi ultima
ma non ultima, la sapiente preparazione Polini,
cuore pulsante di questo prezioso progetto. La
base da cui si è partiti è la mitica 50 Special,
ma alcuni dettagli sono di una Primavera 125.
Un cinquantino quindi, portato a 130 grazie al
gruppo termico Polini con albero motore anticipato e celebre impianto di scarico dedicato alla
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Primavera. Troviamo poi il carburatore CP da 24
mm, l’accensione digitale con impianto luci a 12
Volt, il collettore di aspirazione lamellare, una
frizione a doppia molla di tipo racing e tanti altri
piccoli accorgimenti che l’hanno resa una scheggia! Una dotazione decisamente di tutto rispetto
per un Vespino d’altri tempi. Il valore, tenetevi
forte, è di 42.000 euro e al momento è arrivata
una sola richiesta, indovinate un po’ da dove? Dal
ricco Qatar. Ma se ne volete una tutta per voi non
dovete far altro che contattare la Polini Motori,
che provvederà alla ricerca del giusto mezzo da
trasformare in gioiello, sempre che non ne abbiate uno vostro da sottoporre al trattamento gold.
Alla guida: un tuffo nel passato
Dopo averla ammirata allo stand Polini di EICMA
2014 eccola qui, pronta per il nostro breve test.
Anche senza i riflettori puntati – non ne ha
bisogno – fa letteralmente brillare gli occhi: la
carrozzeria è perfetta, quasi uno specchio, sembra verniciata. Un colpo alla pedivella e ci troviamo catapultati direttamente negli Anni Settanta:
lo scoppiettio del due tempi, l’immancabile sbuffata bianca, l’odore di miscela. Le strade di Alzano Lombardo, piccolo paesino nella bergamasca
dove ha sede la Polini Motori, sono la cornice
perfetta per questa nostra scorrazzata retrò: le
vetrine dei piccoli negozi di alimentari riflettono
al nostro rumoroso passaggio un mix di vintage
e moderno, mentre il pavè scorre veloce sotto le
ruote. Sì, perché se la carrozzeria è quella di una
volta, sotto alla scocca batte un cuore spavaldo
da 130 cc: tanti, per questo gioccatolino da poche
decine di chili. Gli occhi dei passanti, inutile dirlo,
sono tutti per lei; c’è chi scatta foto, chi fa video,
moltissimi chiedono informazioni incuriositi.
E’ impossibile passare inosservati ed è strano
innestare la prima marcia ruotando verso l’alto
la manopola sinistra, un gesto ormai dimenticato e che i più giovani nemmeno conosceranno. E
poi via una dietro l’altra le altre marce fino alla
quarta, ruotando la manopola nel senso opposto
con l’aiuto della docile frizione. Spinge, la Vespina. E’ divertente e chiede di esser tenuta sempre
su di giri. La assecondiamo, ma senza esagerare, a fronte di un certo timore dovuto, manco a
dirlo, dalla consapevolezza delle migliaia di euro
che ci stiamo portando a spasso e anche da una
frenata non proprio decisa come quelle a cui siamo abituati sulle moto moderne. Terminiamo il
nostro giro, appoggiamo la Vespa sul cavalletto
e la ammiriamo ancora un po’ prima di tornare
“ai giorni nostri” e lasciarla nel luogo che più le
si addice: lo stabilimento Polini tra tutti gli altri
gioielli che hanno fatto la storia delle elaborazioni. Su strada è divertente, ma un bel salotto le si
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
Prove
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Parti speciali Polini montate e
prezzi
Kit Gruppo Termico: Euro 198 + IVA.
Impianto Scarico Omologato: Euro 107.94 + IVA.
Carburatore CP da 24 mm: Euro 119 + IVA.
Collettore di Aspirazione Monolamellare disponibile in diverse applicazioni: Euro 71.07 + IVA.
Frizione Racing a Doppia molla: Euro 84.63 +
IVA.
Rapporto Primario a Denti Diritti: Euro 63.28 +
IVA.
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ABBIGLIAMENTO
addice di più. Qualunque sia l’uso che ne vorrete fare affrettatevi: i tempi di consegna previsti
sono di circa quattro mesi.
Casco Caberg
Guanti Alpinestars Stella
Jeans Alpinestars Stella
Scarpe TCX X-Street
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MERCATO A GIUGNO
VENDITE A +10,6% (MOTO +17%).
LE TOP 100
di Maurizio Gissi | Il mese di giugno ha visto il mercato moto e scooter
crescere a doppia cifra. Non accadeva da inizio anno. Importante anche
il dato del primo semestre 2015, con gli scooter che tengono e le moto a
+11,4%. La 1200 GS al primo posto
C
on la chiusura delle vendite registrate a giugno va in archivio il primo
semestre del 2015. E si tratta di un
saldo positivo tanto nel comparto
scooter che in quello moto. L’arrivo di novità particolarmente centrate e attese, e soprattutto una
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generale ripresa – anche se contenuta – dei consumi sostenuta da una ritrovata fiducia ha ridato
fiato a un mercato sotto pressione da molto tempo. Dopo che il 2014 ha visto la prima inversione
di tendenza sin dal lontano 2007, l’anno in corso
sembra accelerare ancora un poco. Giugno ha
un’influenza di circa il 13% sull’intero giro d’affari annuale. Se si esclude il confermato calo dei
cinquantini, ancora penalizzati con un -11,6% per
un totale di 2.908 registrazioni mensili, vanno
annotate 21.618 nuove immatricolazioni, ovvero
+10,6% rispetto a un anno fa. Le moto sono state pari a 7.637 unità (realizzando un eccellente
+17%) e gli scooter sono stati 13.981, ovvero con
una forte accelerazione – rispetto all’andamento
annuale - del 7,4%. Giugno 2014 era a sua volta
cresciuto del 2,8% rispetto alle stesso mese del
2013, con le moto a +9% e gli scooter in sostanziale pareggio.
La Top 50 Moto di giugno 2015
La classifica mensile ribalta le prime posizioni rispetto al mese di maggio, quando al primo posto
si era piazzata la Ducati Scrambler, seguita da
un’altra bolognese, la Multistrada 1200, e dalla
Attualità
Yamaha Tracer. A Giugno BMW si riprende il primo posto con la R 1200 GS e la Honda NC 750X
ritorna a occupare la seconda piazza: è un po’
quello che succedeva solitamente l’anno scorso. La Scrambler ha venduto anche a giungo più
della Tracer, parliamo di due modelli ovviamente
non concorrenti ma che sono arrivati entrambi a
stagione iniziata ed entrambi erano attesi quali
novità assolute. Se si conta l’ingresso della BMW
S 1000 XR, appena arrivata in vendita, ci sono sei
modelli fra enduro stradali e crossover nelle prime otto posizioni. Ci sono tre moto giapponesi
nei primi cinque posti in classifica, ma se si scende fino al ventesimo posto le moto giapponesi si
fermano a quota cinque.
La Top 50 Scooter di giugno
La classifica mensile degli scooter si segnala per
poche variazioni rispetto ai mesi precedenti. Va
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Attualità
Crossrunner. Kawasaki ha nella parte alta della
classifica due medie molto interessanti come
Versys 650 e Z 800. La Tiger 800 è la prima
Triumph in elenco, segue la Bonneville. La prima
custom in classifica è la 883 Iron, al 22° posto,
mentre la prima supersportiva è la Yamaha R1
al 24°. Per trovare la prima 125 ( KTM Duke) occorre purtroppo scendere al 29° posto. Le maxi
oltre i 1000 cc mantengono i maggiori volumi di
vendita e sono stabili con 12.619 moto pari ad un
-0,8%. Molto vicine e in forte progresso le vendite delle moto tra 800 e 1000 con 12.479 unità e
un +37,4% rispetto al 2014. Ferme le medie cilindrate tra 600 e 750 con 7.940 moto e un -0,5%.
Buon andamento per le 300-500 con 3.906 veicoli e un +11,2%, le 150-250 con 1.230 unità sono
in lieve flessione (-1,3%). Infine le 125, con 2.365
moto, registrano un più che buono +27,9%.
detto che in termini di volumi la categoria è molto cresciuta. Una “novità” è il superamento del
125 SH ai danni del gemello 150 che risulta essere invece il più venduto da inizio anno. Prosegue
la prestazione molto positiva del Piaggio Beverly
300, mentre il TMAX è stato momentaneamente
superato dal 125 a ruote alte Kymco Agility e si
trova seguito a ruota dall’SH 300, che ha rallentato le sue vendite in attesa della nuova versione
appena lanciata. Honda piazza comunque tre
modelli nelle prime sei posizioni, seguita da Piaggio con cinque modelli fra i primi dodici.
Il totale del primo semestre 2015
Come accennavamo in precedenza, anche il saldo del primo semestre vede in aumento l’immatricolato che per la prima volta da molto tempo
supera la soglia delle centomila unità, 100.260
per la precisione. L’incremento è del 4,7% e si
deve tutto alla performance delle moto: da gennaio a giugno le moto sono state infatti 40.539,
ovvero +11,4%. In tutto il 2013 erano state superate a fatica le 52mila unità. Ritornando al primo
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semestre di quest’anno, gli scooter sono passati
da 59.296 a 59.721: +0,6%. Poca cosa ma fino
a due mesi fa il saldo era negativo. Per quanto
riguarda i ciclomotori, in sei mesi ne sono stati
venduti 11.905 ovvero il 14,1% in meno. La caduta di questa categoria pare davvero inarrestabile.
Tanto che se alle vendite di moto e scooter si aggiungono anche quelle dei cinquantini si arriva a
un totale semestrale di 112.165 veicoli: ci si ferma
quindi a un contenuto +2,3% di aumento rispetto al primo semestre dell’anno scorso.
La Top 100 Moto del
primo semestre
Le novità Yamaha Tracer e Ducati Scrambler
stanno raccogliendo ottimi riscontri e completano il podio alle spalle della 1200 GS. Restando in
casa BMW va segnalata anche la quinta posizione ottenuta dalla 1200 GS Adventure che si mette alle spalle modelli importanti quali le Yamaha
MT-07 e 09 e la nuova Multistrada 1200. Dopo
la NC 750X, al quarto posto, la seconda Honda
più venduta è solo al 13° posto ed è la nuova
La Top 100 Scooter del
primo semestre
Considerata l’importanza commerciale del mese
di giugno, anche la classifica del primo semestre
tende a replicare quanto già visto relativamente
alla graduatoria mensile. La differenza è nella prima posizione, che è occupata dalla versione 150
cc del ruote alte Honda SH, seguito dal 125 che è
invece primo a giugno. Ci sono poi il Beverly 300
e il maxi scooter Yamaha TMAX che si conferma
un fenomeno di grande e costante successo. Se
si escludono proprio il TMAX, e la Vespa GTS,
nelle prime dieci posizioni ci sono otto modelli
a ruote alte. Honda, Piaggio, Yamaha e Kymco
detengono da sole le prime 21 posizioni in classifica e la forte maggioranza dell’intero mercato.
Passando alle classi di cilindrata, si conferma
come segmento più importante quello degli
scooter 125, con 20.590 veicoli e un progresso
del +11,7%. In calo i 150-200, con 12.314 pezzi e
un -7,5%, e i 250 con 2.414 unità e un -6,9%. Il
segmento centrale da 300 a 500, con 18.917 immatricolazioni flette del -5,3 %. In ripresa i maxi
scooter con 5.486 unità e un +8,1%.
Guarda tutte le classifiche
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HONDA VFR 1200F
TEST DEL CAMBIO DCT
di Francesco Paolillo | La 1200 V4 è una delle Honda disponibili
anche con il cambio a sei marce e doppia frizione a funzionamento
automatico. In questo video vi mostriamo il funzionamento della
trasmissione DCT Honda, raccontandovi - dalla sella - come se la
cava in città e fuori
N
on è stata la prima marca a produrre moto con il cambio automatico.
Ma Honda è stata la prima a introdurre nella produzione di serie un
efficiente cambio con doppia frizione ( DCT, Dual
Clutch Transmission) e inserimento automatico
dei rapporti. In listino sono diversi i modelli a offrire questa opzione, compresa la Integra, noi abbiamo scelto la VFR 1200F DCT (la sport touring
da 173 cavalli) per raccontarvi come funziona il
sistema Honda. Il nostro Francesco Paolillo ve
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lo racconta in diretta guidando questa in città e
fuori. Il cambio a sei marce può essere adoperato in modalità automatica con due diverse opzioni: Drive oppure Sport.
Inoltre è possibile passare alla modalità manuale
per inserire e scalare le marce adoperando due
dita. La frizione è sempre a innesto e disinnesto
automatico, mentre la centralina elettronica che
controlla la funzionalità delle cambiate evita un
uso errato delle marce e semplifica il compito del
pilota.
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DUCATI CORRE NEL PRIMO SEMESTRE
VENDITE +22% NEL MONDO
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ha soddisfatto la dirigenza di Borgo Panigale, e
quella tedesca, è il fatto che l’incremento delle
vendite ha riguardato tutti i principali mercati,
quelli che continuano a fare numeri nonostante
lo sviluppo dei mercati orientali e sudamericani.
Se infatti alla fine dell’anno scorso Ducati aveva segnato un nuovo record di vendite (45.100
unità consegnate nel mondo), in Italia aveva
patito una flessione del 14% rispetto al 2013. Riassumendo per sommi capi, i risultati commerciali degli ultimi anni raccontano che nel 2011 le
vendite Ducati hanno raggiunto le 42.200 unità
(per un fatturato di 480 milioni di euro), nel 2012
sono salite a 44.102 per un fatturato di 498 milioni di euro (il 2012 è stato l’anno del passaggio di
proprietà dal fondo Investindustrial ad Audi AG),
nel 2013 le vendite hanno totalizzato 44.287 unità, mentre i ricavi sono stati pari a 460 milioni di
euro, e nel 2014 hanno stabilito un nuovo record
con 45.100 moto vendute nel mondo. Come era
già successo in passato, sono gli Stati Uniti il
principale mercato per ducati: è lì che va circa
un decimo della produzione, solo a giugno sono
News
state consegnate 1.900 Ducati. Nel primo semestre le vendite negli USA sono aumentate dl 10%,
in Francia del 23%, in Germania del 24%, in Gran
Bretagna del 36% e in Spagna del 38%. Ma è da
noi che Ducati ha visto l’incremento maggiore:
+51%. La Scrambler (con 1.639 pezzi nei primi
sei mesi) e la Multistrada (con 976) sono al terzo
e al settimo posto nella classifica delle moto più
vendute in Italia.
Ducati vende le sue moto in 90 paesi. Oltre allo
stabilimento di Borgo Panigale, dal 2011 è attivo
un impianto in Thailandia dove vengono assemblate le moto per il mercato asiatico, mentre dal
2012 un altro impianto di assemblaggio per il
Sud America è stato inaugurato in Brasile. Dallo
scorso autunno a Bologna un accordo sindacale
ha reso possibile il lavoro domenicale per sopperire ai picchi produttivi e nel corso del 2015 sono
state assunte 81 persone, che portano l’organico
a 1.191 addetti sui 1.558 dipendenti a livello globale. L’aumento della produzione ha visto salire
del 6% gli acquisti da fornitori nazionali di componentistica.
di Maurizio Gissi | Nei primi sei mesi del 2015 sono state vendute
32.600 Ducati: +22%. Un aumento dovuto quasi tutto all’arrivo della
Scrambler. Gli USA sono il primo mercato per la marca bolognese,
ma l’Italia è quella cresciuta di più. A Bologna 81 nuove assunzioni
L’
arrivo nelle concessionarie della
nuova Scrambler ha dato una spinta importante alle vendite di Ducati Motor Holding nel mondo, società controllata dal Gruppo Volkswagen dall’aprile
del 2012. Nei primi sei mesi di quest’anno sono
state consegnate circa 9.000 Scrambler e il dato
parziale del primo semestre vede così nel mondo 32.600 nuove moto Ducati (7.400 soltanto a
giugno:+60%), è il record di sempre. Un considerevole aumento che vale il 22% rispetto a un
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anno fa. Secondo modello più venduto per Ducati è la Multistrada 1200, altra importante novità
targata 2015: ne sono state distribuite 4.700. Poi
ci sono le 3.700 Monster 821 e le oltre 3.000 Panigale, altra modello – anzi è più corretto parlare
di famiglia – che per il 2015 è stato aggiornato
e ha conosciuto l’aumento di cilindrata a 1.299.
Alle spalle delle Panigale, informano a Bologna,
ci sono Diavel, Panigale 899, famiglia Hypermotard e poi Monster 1200 che pare quindi ottenere
meno del previsto. Altro aspetto che certamente
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I motori Honda delle serie CB 72 e CB 77, rispettivamente di 250 e di 305 cm3, sono stati gli ispiratori dei grossi bicilindrici
Laverda. Anche loro avevano l’albero a camme in due parti, che si univano centralmente
INGEGNO E FANTASIA
NELLA DISTRIBUZIONE
BSA, ZUNDAPP, HONDA
di Massimo Clarke | Alcune soluzioni tecniche impiegate in passato
appaiono pittoresche, ma erano perfette dal punto di vista tecnico
quando contavano semplicità, affidabilità e anche prestazioni.
Vedi la Laverda SFC
P
rima della standardizzazione degli
schemi che da alcuni decenni dominano la scena, i progettisti hanno
escogitato sistemi di azionamento
delle valvole differenti da quelli canonici. I motivi
erano spesso legati alla facilità di fabbricazione,
alla razionalità costruttiva o al contenimento dei
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costi di produzione, ma non sono mancate soluzione adottate per agevolare la manutenzione e
gli interventi meccanici. E in qualche caso anche
l’esigenza di limitare gli ingombri ha avuto il suo
peso. Per una quindicina di anni l’inglese BSA
ha prodotto un modello utilitario di 250 cm3 improntato alla massima semplicità e affidabilità.
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Tecnica e storia
Questa serie di disegni mostra chiaramente come funziona la distribuzione a camma singola del CG 125, motore studiato
all’insegna della massima robustezza e affidabilità, con minime esigenze in fatto di manutenzione
Si trattava del C11, un monocilindrico costruito
dal 1939 al 1955, con cambio separato, trasmissione primaria a catena e lubrificazione a carter
secco. Le misure di alesaggio e corsa erano 63 x
80 mm e la potenza di 11 cavalli a 5.400 giri/min.
In questo motore spiccava la distribuzione con
unico albero a camme nel basamento che azionava due leve a squadra oscillanti su di un unico
fulcro, che a loro volta muovevano le aste “incrociate”, ognuna delle quali comandava la relativa
valvola agendo su di un bilanciere a due bracci
posto nella testa. Questo sistema semplice ed
economico, abbinato a una disposizione inusuale delle aste era stato già proposto svariati anni
prima dalla Blackburne e dalla Francis-Barnett.
Al salone di Milano del 1955 la Devil ha presentato una bella 175 che impiegava essa pure un comando della distribuzione ad aste incrociate. In
questo caso però gli alberi a camme erano due e
l’obiettivo era quello di ottenere prestazioni elevate riducendo le masse in moto alterno (in particolare, quelle dei bilancieri). La moto, progettata
da William Soncini, è rimasta allo stadio di prototipo. Verso la fine degli anni Trenta la Zundapp
ha messo in produzione la DS 350, una bella e
robusta monocilindrica con cambio in blocco e
trasmissione primaria a catena. Il motore aveva
un alesaggio di 72 mm e una corsa di 85 mm ed
erogava 17,5 CV a 5200 giri/min. Realizzata in
alcune migliaia di esemplari prima che la produzione civile venisse interrotta per motivi bellici,
questa moto era caratterizzata da una distribuzione con due alberi a camme nel basamento
(disposti uno anteriormente e l’altro posteriormente al cilindro), aste e bilancieri collocati in
posizione “rovesciata” rispetto a quella usuale.
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Vista esplosa dei componenti della distribuzione monoalbero con comando a catena (duplex e piazzata centralmente) della
bicilindrica Laverda 750. L’albero a camme è realizzato in due parti, che si uniscono in corrispondenza della ruota dentata
I loro fulcri infatti non si trovavano nella parte centrale della testa, ma in posizione esterna. Quello
di scarico era più avanti, rispetto alla valvola che
azionava, e quello di aspirazione più indietro. I
foderi tubolari all’interno dei quali si trovavano le
aste erano nettamente staccati dal cilindro e leggermente divergenti, salendo dal basamento alla
testa. Questa soluzione aveva una notevole diffusione nel campo dei motori aeronautici ma era
inedita per quelli motociclistici. Dopo il secondo
conflitto mondiale uno schema analogo è stato
impiegato dalla americana Indian sugli sfortunati
modelli a due cilindri paralleli costruiti in versioni
di 440 e 500 cm3 fino al 1952-53.
Una camma per due
Le distribuzioni con una sola camma per azionare due valvole non erano certo sconosciute
nell’anteguerra. In seguito sembravano cadute
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nel dimenticatoio ma in realtà hanno continuato
a trovare applicazioni. Assai poche, per la verità, ma straordinariamente significative sotto
l’aspetto tecnico o sotto quello della diffusione.
Per muovere le aste della distribuzione il Motom
Delfino, realizzato all’insegna della semplicità
costruttiva (non c’era neanche la pompa dell’olio!), utilizzava un eccentrico che agiva su due
levette a squadra munite di rullo e oscillanti su
uno stesso perno. Questo modello poteva essere
considerato intermedio tra la moto e lo scooter,
e aveva pneumatici di grossa sezione. Il motore,
dotato di raffreddamento ad aria forzata e di lubrificazione a sbattimento, aveva una cilindrata
di 160 cm3 ed erogava 7,6 CV a 5400 giri/min. Il
Delfino è entrato in produzione all’inizio del 1952
ed è stato costruito fino al 1957. Quando si è trattato di progettare il 98 T/TS con distribuzione
monoalbero, si è pensato subito a uno schema
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Tecnica e storia
Nel suo C 11 di 250 cm3, modello economico e destinato a larga diffusione,
costruito tra il 1939 e il 1955, la BSA ha adottato una distribuzione ad aste incrociate.
monocamma… Molto più significativo è stato
l’impiego di una soluzione analoga da parte della
Parilla sulla sua famosa 175 con albero a camme
collocato lateralmente, alla altezza della testa. In
questo caso l’unico eccentrico aveva una notevole larghezza e muoveva le valvole, inclinate a
90° tra loro, agendo su punterie a piattello e aste
(talmente corte che in effetti erano dei puntalini);
queste ultime a loro volta azionavano bilancieri a
due bracci dalla semplice geometria e dal peso
estremamente ridotto. Pure la Ariel ha impiegato
il sistema a camma unica, nella distribuzione ad
aste e bilancieri del suo Red Hunter di 500 cm3,
a partire dal 1950 (la produzione è terminata nel
1959). Questa moto è rimasta celebre per i successi ottenuti, con la speciale versione da trial,
dal grande Sammy Miller. Passando ai “cinquantini”, vanno segnalate con questa soluzione le
prime versioni del Cucciolo Ducati e le ultime del
Pegaso. L’impiego forse più clamoroso di una
distribuzione a camma unica si è avuto però da
parte della Honda. Attorno alla metà degli anni
Settanta la sua 125 monocilindrica monoalbero
andava più che bene, ma a un certo punto per
certi paesi in via di sviluppo (dove evidentemente i lubrificanti erano scadenti e i meccanici di
livello molto modesto) i vertici della azienda hanno ritenuto opportuno realizzare un modello più
semplice e che ancora meno esigente in fatto
di manutenzione. Nel 1975 ha fatto così la sua
comparsa la CG 125, destinata principalmente ai
mercati africani, sudamericani e del sud est asiatico. Il motore aveva la distribuzione ad aste e
bilancieri, con albero a camme dotato di un solo
eccentrico che agiva su bilancieri a dito oscillanti
su uno stesso fulcro. L’alesaggio di 56,5 mm era
abbinato a una corsa di 49,5 mm e la potenza veniva indicata in 11 cavalli a 9000 giri/min. Questa
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aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
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Tecnica e storia
Nel semplice e robusto monocilindrico CG 125, costruito per oltre trent’anni (a conferma della sua validità),
i tecnici della Honda hanno adottato una soluzione “monocamma”, con un unico eccentrico che,
mediante aste e bilancieri, aziona entrambe le valvole
bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb
bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb
bbbbbbbbbbbbbbb
moto è stata costruita per oltre trent’anni in un
numero impressionante di esemplari, molti dei
quali prodotti nello stabilimento brasiliano della casa. Nel vecchio continente è stata venduta
principalmente in Francia e in Inghilterra.
L’esempio Honda 250
Prima della comparsa della famosa CB 450 bialbero, avvenuta nel 1965, i modelli di punta della
Honda sono stati degli ottimi bicilindrici paralleli
di minore cilindrata. In particolare, si trattava dei
250 monoalbero C 72 e CB 72 (con potenze di
20 e 24 cavalli rispettivamente) e dei C 77 e CB
77 di 305 cm3. I loro motori avevano l’albero a
camme diviso in due parti, che si univano in corrispondenza della ruota dentata della catena di
distribuzione, collocata centralmente. Questa
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soluzione è poi stata ripresa anche dalla Laverda
per la sua 750, costruita in più versioni dal 1968
al 1976, per la cui progettazione ci si era ispirati fortemente proprio alle Honda bicilindriche. Il
motore monoalbero della casa veneta aveva un
alesaggio di 80 mm e una corsa di 74 mm. Il modello denominato SFC, destinato principalmente
a impiego agonistico (ma targabile e quindi utilizzabile anche su strada), era in grado di erogare 70 cavalli a 7500 giri/min. Celebre è rimasta
l’affermazione di questa formidabile 750 nella 24
ore di Barcellona del 1971, sul tortuoso circuito
del Montjuich. A un albero a camme in due parti,
da unire in fase di assemblaggio del motore, ha
pensato svariati anni dopo l’ingegner Giovanni
Mariani per il monocilindrico da fuoristrada VOR
250.
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hanno ad oggetto le supersportive e nemmeno
le grandi cruiser americane o le maxi “suv” che
stanno in cima alle vendite. Le più grandi manifestazioni, quelle che ricevono l’attenzione della
stampa, quelle in cui la gente va per mettersi in
mostra, sono quelle in cui a ritrovarsi sono gli
amanti delle café racer, delle scrambler, dei bobber e di tutta quell’infinità di sottocategorie nelle
quali sono variamente suddivise le moto, per lo
più d’annata, reinterpretate e customizzate secondo il gusto moderno. È qualcosa che probabilmente ha a che fare col vintage e con l’impatto
che la diffusione di questo tipo di immaginario ha
avuto sull’estetica di un’infinità di prodotti. È agli
amanti di queste moto che si rivolgono le nuove
linee realizzate dalle più importanti case di abbigliamento tecnico, così come i concept store
nati nelle città più attente all’evolversi delle nuove tendenze. Sappiamo bene che tra gli amanti
di questo tipo di moto c’è anche chi è mosso da
un’autentica passione. Ciò non toglie che quel
mondo, quel settore, sia oggi al centro di una
particolare attenzione, con buona pace di chi,
per questo, si sente in qualche maniera defraudato della sua di passione. Il fighetto con “il” GS
è un po’ demodé, tutto qui. Vive e lotta in mezzo
a noi ma si è in qualche maniera normalizzato,
ammansito. Il figlio di papà con la supersportiva
MA CHI È
IL VERO FIGHETTO?
Costume
da quarantamila Euro passa soltanto per mona
(come si dice dalle mie parti), non serve infierire. E qui si arriva al punto numero due. Nessuno
ce l’ha con le special, con chi le costruisce o con
chi le ama semplicemente. Quello che a noi interessa è poter scherzare sulla nauseante retorica
che si è creata attorno ad un mondo che, oggi,
gode – banalmente – di troppa attenzione. C’è
troppa vanità, troppa presunzione, troppa incapacità di prendersi un po’ più alla leggera, nel
motociclismo in generale e attorno a questa nicchia in particolare.
Potremmo scherzare sugli amanti delle moto
sportive, con le loro tute ultra professionali, in
coda sul lungolago, o sui bikers nostrani, a bordo
di chopper pensati per le highway americane e
costretti sull’Appennino emiliano, o sui professionisti con le borse per la Parigi-Dakar, per andare fino al lavoro, ma questa rubrica non riguarda loro. Magari lo farà in futuro e fin da adesso
preghiamo chiunque passi da qui di non sentirsi
offeso. L’abbiamo detto nella prima puntata. La
nostra, in fondo, in fondo, è tutta invidia. Come
l’amico bello che si presenta in compagnia dopo
aver passato due ore allo specchio: un paio di
sberle sul collo se le merita sempre. Perché si
può scherzare su tutto e su tutti. Anche sui nostri amici fighetti.
di Alberto Capra | L’autore risponde alle perplessità dei nostri lettori.
Perché, in questo momento storico, il fighetto che si rispetti è quello
qui descritto
È
p assato qualche mese da quando
questa rubrica ha mosso i primi passi
su moto.it. In queste settimane, molti
dei vostri commenti si sono incentrati
su due questioni: primo, i veri fighetti sono ben
altri da quelli di cui parlate; secondo, ma che vi
hanno fatto quelli con le special? Partiamo dalla
prima delle due osservazioni. Alcuni di voi ritengono che l’identikit del perfetto fighetto corrisponda a un’immagine del tutto diversa da quella
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che spesso scherzosamente rappresentiamo. Si
tratta di gente con un sacco di soldi, che compra
moto costosissime pur non essendo mai stata
appassionata e per cui la moto altro non è se non
l’ennesimo degli status symbol. Fino a non molto tempo fa, in effetti, questa descrizione era in
grado di rappresentare piuttosto accuratamente
una certa tipologia di motociclista. Le cose, tuttavia, sono cambiate non poco. Che vi piaccia o
no, i più grandi raduni nati negli ultimi anni non
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dalla base di un motore Monster 900 carburatori
con kit pistoni ad alta compressione incastonato
in un telaio SS 350 Junior modificato nella parte
reggisella; dalla stessa piccola sportiva di Borgo
Panigale proviene il serbatoio, mentre i cerchi
sono stati prelevati da una 1000 Sport Classic,
il forcellone da una SS 1000 ds, la forcella e l’impianto frenante da una sportivissima 998, scarichi Megaton. Telaio reggisella, codino e sella
sono realizzati ad hoc per questa moto da Rozzomotostile. L’impronta e la dichiarata filosofia
dei customizer etnei è quella di realizzare motociclette con reale attenzione all’utilizzo di tutti i
giorni, cercando l’equilibrio tra estetica, funzionalità e soprattutto sicurezza in moto pensate
e realizzate per motociclisti che vanno in moto
tutti i giorni e tutto l’anno. Abbiamo chiesto a
Rauni Failla e Alessio “Jack” Pastanella, titolari
di Rozzomotostile, di descriverci brevemente il
loro approccio al customizing:
ROZZOMOTOSTILE
BRONZZO 45 E ROZZO CORSA
Come nascono le vostre motociclette?
Rauni: «In generale il comune denominatore è il
voler creare particolari originali e per questa ragione spesso una nostra moto nasce proprio da
un particolare: un codino, un faro, spesso pure
Special
riciclato. Da lì in poi, con la moto sul banco, andiamo avanti seguendo il nostro istinto e le richieste
del cliente. Per bROnZZO 45, ad esempio, siamo
partiti dalla voglia di realizzare la ghiera degli
scarichi partendo da una boccola di ottone per
uso idraulico industriale. Tutto questo ci permette pure di contenere i costi e le nostre moto, oltre
al costo della motocicletta di partenza, non superano i 5000 Euro».
Quante motociclette fate ogni anno e quanto
tempo vi lavorate?
Alessio: «Tieni conto che per noi la motocicletta
non è completa se non è perfettamente a punto
in ogni particolare e marciante senza alcun problema tecnico; è anche una questione di responsabilità. Inoltre per noi stare in garage è un vero
piacere, studiare e provare ci entusiasma e per
questa ragione non ci poniamo limiti di tempo,
spesso lavorando centinaia di ore sulla stessa
moto. A quel punto ogni considerazione economica va a farsi benedire ma a noi interessa di più
che ogni moto con il marchio Rozzomotostile sia
come l’abbiamo pensata, fatte naturalmente salve le richieste del proprietario. Così riusciamo a
terminare tre o quattro moto all’anno».
di Antonio Privitera | Due realizzazioni dai customizer catanesi
Rozzomotostile molto differenti l’una dall’altra, pur con radici
concettuali comuni
D
ai customizer catanesi Rozzomotostile provengono due realizzazioni
molto differenti l’una dall’altra, pur
avendo radici concettuali comuni.
La prima - bROnZZO 45 - è su base BMW R45
e vanta una colorazione “Cooper” su un serbatoio ereditato da una BMW R80, mentre la sella è artigianale e realizzata su misura per questa motocicletta, molti i particolari in ottone e
alluminio. Lo stop posteriore proviene da un
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indicatore di direzione Harley mentre il faro anteriore è il risultato di un assemblaggio artigianale. Il celebre logo dell’elica è realizzato in vetro,
sempre artigianalmente. I customizer siciliani
non hanno ritenuto necessario intervenire sul
propulsore se non per riportarlo alle condizioni
di normale utilizzo e mettere la motocicletta in
grado di essere utilizzata ogni giorno, problemi
di omologazione a parte. La seconda – Rozzo
Corsa - è una sorta di tributo a Ducati e parte
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computer. Date un’occhiata al loro sito per capire cosa intendo. Il National USA è però sponsorizzato in esclusiva da GoPro, che per mano del
promoter MX Sports ha ovviamente posto il veto
all’ingresso di un simile concorrente. Non so le
cifre esatte, ma le voci di corridoio parlavano
di un contratto di sponsorizzazione di 500mila
dollari per Reed, che se li è visti sfumare sotto
il naso proprio quando ne aveva più bisogno che
mai. Conoscendo il carattere a dir poco mercuriale dell’australiano non posso non pensare che
buona parte della sua decisone di chiudere sia
dovuta anche a questo smacco. Sta di fatto che il
Team ha cessato l’attività con effetto immediato
dopo l’annuncio: lascia a casa tutti i meccanici, il
Team Manager David Osterman e l’altro pilota,
Josh Grant. Reed ha detto che gli pagherà lo stipendio fino alla fine dell’anno ma che non sarà in
grado di mettergli a disposizione una moto per
continuare a correre. Dal canto suo Grant, che
in carriera ha dimostrato sempre una incredibile
velocità ma altrettanta sfortuna, ha detto di voler
On the road
riflettere sul suo futuro prima di prendere ulteriori decisioni. Josh ha subìto diversi infortuni negli anni e il suo fisico inizia a risentirne, tanto che
ha ammesso come la distorsione al ginocchio
rimediata nel terzo round del national in Colorado, potrebbe essere il segno definitivo che per lui
sia arrivato il momento di ritirarsi. Per lui c’è già
pronto un futuro con l’azienda di abbigliamento
e accessori urban che ha creato un paio di anni
fa: HLTNCO, che significa “Happy Living The
Now COllective”. Per Reed, che recentemente
era ospite d’onore alla presentazione della nuova
collezione Shift Racing a Los Angeles, pare che il
futuro riservi buone cose.
Chad ha compiuto 33 anni a marzo ed è il veterano del circuito SX/MX americano ma pare che
ci sia ancora qualcuno disposto a mettergli in
mano un manubrio di quelli buoni, almeno a sentire quello che dice lui. Vedremo come si evolveranno le cose e vedremo anche se effettivamente Reed, una volta trovata la moto “giusta”, avrà
ancora del gas da darci…
CHAD REED
GETTA LA SPUGNA
di Pietro Ambrosioni | Il pilota Australiano ritira il suo team. Veti degli
sponsor e mezzo milione di dollari lo terranno lontano dalle piste
E
ra nell’aria da qualche settimana e
finalmente, o forse è meglio dire purtroppo, è arrivata la conferma. Chad
Reed, approfittando del recente intervento alla spalla che lo ha messo in panchina
per il resto della stagione, ha chiuso il suo Team
TwoTwo Motorsport. Il pilota australiano, che
aveva iniziato la sua avventura da pilota e team
owner alla fine del 2010 in sella a delle Honda
private, ha deciso di gettare la spugna. Chad ha
ammesso che la decisione finale è arrivata dopo
una stagione particolarmente difficile e sfortunata, il cui unico acuto è arrivato con la vittoria del
40
Supercross di Atlanta 1. Reed dice che il doppio
ruolo manager/pilota ha finito per portare troppa pressione, anche finanziaria, e le conseguenze negative stavano iniziando a lasciare un segno
sulla sua vita familiare. Mi sbaglierò, ma non riesco a togliermi dalla testa che un fattore determinante nella scelta finale di Reed sia arrivato dalla
recente diatriba con MX Sport e GoPro. Il promoter del National, infatti, gli ha impedito di utilizzare in pista la innovativa 360 Fly (https://360fly.
com) una action camera che non solo filma a
360 gradi ma permette anche di interagire con
il filmato attraverso un plugin per il browser del
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NICO CEREGHINI
EFFETTO RITORNO:
IL VIAGGIO VERSO
CASA CI SEMBRA
PIÙ BREVE
E’ il risultato di una ricerca
giapponese: questione di
aspettative, e nel viaggio di
andata il tempo sembra passare
più lentamente. Ma sarà proprio
vero? Ricordo anche viaggi di
rientro che non finivano mai.
Voi che ne dite?
Media
C
iao a tutti! Ho
letto su Repubblica
che
tre ricercatori
dell’università di Kyoto
hanno indagato sulle illusioni
temporali legate al viaggio e
sostengono l’esistenza di un
effetto, chiamato “effetto da
viaggio di ritorno” per il quale,
con qualsiasi mezzo si viaggi,
l’andata ci sembra più lunga
del ritorno anche se il tragitto
è esattamente lo stesso. I tre
spiegano che sono le aspettative a plasmare la percezione
42
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del tempo trascorso, fino a farci
uno scherzetto non da poco:
ingannati dalla nostra mente,
ci sbagliamo sull’effettiva durata del tempo che passa. Tutto questo varrebbe soltanto se
ci sono due condizioni di base:
la consapevolezza che ci sarà
un ritorno e la non ripetitività
del tragitto. Per i pendolari non
vale, occorre andare da qualche
parte per la prima volta e poi
tornare indietro consapevoli
che di ritorno si tratta. Soltanto
una stupidaggine? Oltretutto
pare che in passato altre ricerche abbiamo dato un risultato
opposto, e qualcuno ha sostenuto che ci sembra più lungo
il ritorno. Questi ricercatori,
per inciso, devono essere un
po’ a corto di argomenti. Personalmente sono consapevole
che il viaggio in un posto nuovo, con la necessità di badare
alla strada, alle indicazioni e al
contakm, mi chiede una notevole concentrazione. Al ritorno, se farò lo stesso percorso,
sarò certamente più rilassato,
meno attento al contesto, e
molto probabilmente avrò la
sensazione di metterci meno
tempo anche senza guardare
l’orologio per verificarlo. E quindi sarei portato a dare ragione
ai tre ricercatori giapponesi.
Però poi rifletto su altre condizioni e ricordo viaggi che mi
sono sembrati brevi all’andata
e quasi eterni al ritorno. Mi viene in mente, in collegamento
col GP d’Olanda di questi giorni,
quando andai per la prima volta
in moto fin lassù, godendomi
le vittorie di Virginio Ferrari in
500, Graziano Rossi in 250 e
Eugenio Lazzarini nella 50. Era
il lontano 1979, e sebbene il meteo all’andata fosse abbastanza
brutto, freddo in Svizzera, pioggia e vento al Nord, mi ricordo
che in un lampo ero a Zwolle a
cercare la A28 per Assen. Mi
ero immaginato chissà che
faticaccia per fare quei 1.100
chilometri in giornata, e invece
macché: la moto teneva i 170
senza sforzo, il boxer della RT
1000 frullava piacevolmente, i
limiti di velocità non c’erano, il
tachimetro girava impazzito e
la pioggia manco mi bagnava
con la magnifica carenatura
che avevo. Il ritorno invece, sebbene ci fosse il sole e pure un
compagno di strada, un amico
di Milano che avevo incrociato
al circuito con la sua moto e
la tendina, mi parve non finire
mai. Forse non avevo nessuna
voglia di tornare in redazione a
La Moto, forse ne avevo piene le
tasche dell’autostrada, chissà.
Ai ricercatori giapponesi direi
di non sentirsi troppo sicuri dei
risultati. E poi aggiungerei una
considerazione. Teneteci fuori
dalla vostra ricerca, perché noi
Editoriale
motociclisti non siamo mica
fessi e raramente, soltanto se
costretti, torniamo a casa sulla stessa strada. E voi, che ne
dite?
FORSE NON AVEVO NESSUNA
VOGLIA DI TORNARE IN
REDAZIONE A LA MOTO, FORSE
NE AVEVO PIENE LE TASCHE
DELL’AUTOSTRADA, CHISSÀ
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MotoGP
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ASSEN: STONER E IANNONE
DALLA PARTE DI ROSSI
Il contestato finale di gara di Assen visto dai piloti MotoGP.
Anche Stoner, acerrimo rivale di Rossi, dalla parte dell’italiano
L
e polemiche relative all’ultima curva
del Gran Premio d’Olanda corso ad
Assen non accennano a smorzarsi, e
difficilmente lo faranno in tempi brevi. Se però il pubblico degli appassionati pare
diviso – in gran parte per questioni di tifo – fra
i piloti pare prevalere il sostegno a Valentino
Rossi. E’ quasi scontata la posizione di Andrea
Iannone, che fin dai tempi della Moto2 con
44
Marquez vive una rivalità davvero molto forte.
«L’ho visto in replica più volte» ha commentato
l’ufficiale Ducati in collegamento con Virgin Radio. «Era l’unica possibilità che Vale aveva quella
di rialzare la moto e andare nella ghiaia, altrimenti credo che non avrebbe fatto la curva. Marquez
ha provato a vincere, ha potuto provarci solo in
quel modo, altrimenti non ci sarebbe riuscito,
ma non ci è riuscito neanche così. La prossima
volta deve stare più calmo con queste carenate
che dà sempre a tutti». Quasi sorprendente invece l’appoggio di Casey Stoner, che del resto ha
sempre contestato i suoi avversari quando il loro
stile troppo irruento li portava al contatto. Il due
volte iridato ha confermato la tesi già esposta da
tutti gli addetti ai lavori ai microfoni di Sky Sport
in occasione del Goodwood Festival of Speed, a
cui ha preso parte proprio assieme a Valentino
Rossi, presente per i festeggiamenti dei 60 anni
di Yamaha Racing. «Marquez ha provato ad infilarsi all’interno, ma Valentino ha resistito ed è
stato obbligato a tagliare per la via di fuga» ha
commentato Casey. «Le gare sono così, del resto Rossi ad Assen è stato il pilota da battere per
tutto il fine settimana. Quest’anno va davvero
forte, è impressionante».
45
LE FOTO PIÙ
BELLE DEL
GP D’OLANDA
Una battaglia spettacolare, un finale esplosivo e un
podio a nervi tesi. Ecco gli scatti che raccontano il
GP d’Olanda 2015
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ritorno alle gare in sella alla mia moto del cuore,
insieme ad Aprilia abbiamo deciso di replicare
l’esperienza a Sepang il 2 agosto. Il portare alto il
nome di Aprilia nel mondo, la voglia di divertirmi,
di divertirvi e perchè no.. di stupirvi, è talmente al
di sopra di tutto che mi sono messo a completa
disposizione dell’azienda senza incidere economicamente.. Della serie , W lo sport..!!»
I motivi di questa seconda partecipazione nel
Mondiale Superbike sono molteplici. Al Corsaro piace molto la pista malese e a loro volta
i dirigenti della società che gestisce il Sepang
International Circuit, sono molto contenti di
poter contare sulla partecipazione del sei volte
Superbike
campione del mondo. Una presenza che potrebbe aumentare non solo il pubblico sugli spalti, ma
anche il numero degli sponsor. Inoltre l’azienda
italiana che produceva il casco utilizzato da Max
è stata acquisita da un produttore Indonesiano,
leader nel mercato del sud est asiatico, che quindi potrà sfruttare anche commercialmente la
presenza di Biaggi in Malesia.
Dobbiamo portare soltanto ancora un po’ di pazienza, fino al 2 agosto, per rivedere il corsaro
nuovamente in pista a 44 anni, dopo 3 anni di
assenza dalle gare.
Anche questa volta lo spettacolo non mancherà
sicuramente.
MAX BIAGGI A SEPANG
È UFFICIALE
Il corsaro non molla e anche per il decimo round del Mondiale
Superbike, a Sepang, lo vedremo schierato sulla griglia di partenza
pronto a lottare per due lunghissime manche sulla pista malese
D
opo la sua partecipazione a Misano, come wild card, rivedremo Max
Biaggi schierato sulla griglia di partenza anche per la decima gara del
Mondiale Superbike che si terrà su circuito di
Sepang. Il nostro Carlo Baldi aveva già da tempo
anticipato la notizia. Le due manche di Misano
sono state rese maggiormente interessanti dal
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suo rientro, in sella alla Aprilia RSV4, e soprattutto con un Biaggi che si è preso il lusso di superare Torres al penultimo giro, alla faccia dei suoi
44 anni e di chi si aspettava di vederlo calare nel
finale. L’ufficialità è arrivata dallo stesso Max via
Twitter, che ha così scritto:
«Ecco la notizia che aspettavate! Visto l’entusiasmo e l’affetto con cui avete accolto il mio
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Carlos Checa
«Sono stato molto contento di aver guidato di
nuovo la Panigale e di essere stato subito veloce.
E’ stato davvero emozionante lavorare ancora
con le persone che in passato mi hanno aiutato
a raggiungere grandi risultati. Spero che il mio
lavoro di questi tre giorni possa aiutare il team
a migliorare ancora la Panigale R che in questo
periodo è cresciuta veramente tanto. Ringrazio
Ducati e tutto il team di sviluppo per avermi concesso il privilegio di godermi nuovamente queste
emozioni in pista. Mi sono davvero divertito e
chissà che non capiti l’occasione di fare qualche
altro test».
Ernesto Marinelli – Ducati SBK Project Director
«E’ stato molto emozionante e costruttivo lavorare di nuovo insieme a Carlos. Da un pilota
con la sua esperienza c’è sempre da imparare e
come di consueto con lui, i feedback sono stati
molto chiari e precisi. Abbiamo svolto un intenso
programma di prove e la coincidenza delle alte
temperature di questi giorni ci ha consentito di
Superbike
lavorare sul grip posteriore e sulla costanza di
prestazioni in gara, in condizioni così estreme.
Un lavoro che ci sarà sicuramente utile nelle
prossime gare. Carlos è arrivato al Mugello in
piena forma.
Percorrere oltre 150 giri al Mugello con queste
temperature non è di certo facile». Come ha dichiarato Marinelli, Checa è in perfetta forma e
la cosa non ci stupisce vista la grande passione
dello spagnolo per lo sport.
Dal motociclismo al volo leggero, dallo sci al surf.
Carlos si mantiene in allenamento anche perché
ha deciso di prendere parte il prossimo ottobre
alla sesta edizione del Merzouga Rally. Da sempre attratto dai rally motociclistici e grande amico di Marc Coma, Checa è già stato in Marocco
alcuni anni fa e a gennaio si è recato in sud America per seguire da vicino la Dakar.
La decisione di partecipare al rally in Marocco è
stata presa dopo che il pilota spagnolo ha partecipato ad una gara di Motorally in Italia ed al Rally
di Sardegna con il Team Beta Dirt Racing. Un altro campionissimo che ritorna quindi, ma…..con
le gomme artigliate.
AL MUGELLO
CHECA CONCLUDE I TEST DUCATI
di Carlo Baldi | Conclusi i test del Mugello sulla Panigale R Superbike,
Checa pensa ad un ritorno alle competizioni, ma nei rally motociclistici.
A ottobre Carlos parteciperà al Merzouga Rally
C
arlos Checa ed il team di sviluppo Ducati SBK hanno concluso tre
giorni di test sulla pista del Mugello.
Sono state tre giornate proficue per
la squadra della Ducati, che ha potuto sfruttare
l’esperienza del campione del mondo SBK 2011
e le condizioni meteo particolarmente calde, che
hanno permesso di lavorare sulla Panigale R alla
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ricerca del miglior setup per mantenere costanti
le prestazioni della bicilindrica Superbike anche
in condizioni limite come quelle offerte dalle tre
giornate del Mugello.
Un cielo soleggiato ed una pista asciutta che
hanno permesso al pilota spagnolo di completare oltre 150 giri, con ottimi rilievi cronometrici.
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SPECIALE MOTOCROSS
GP DI SVEZIA
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FEBVRE SEMPRE PIÙ LEADER
HERLINGS DI NUOVO INFORTUNATO
di Massimo Zanzani | L’ufficiale Yamaha conquista la quarta vittoria
consecutiva e Cairoli termina 7°; nella MX2 il leader olandese si frattura
un dito e vince Gajser, a Maddii la EMX300
I
n Francia aveva vinto il suo primo GP della
classe regina, a Maggiora ha fatto il bis, e
in Germania ha siglato una tripletta che lo
ha portato al vertice della classe MXGP,
ma Romain Febvre ha continuato a stupire anche in Svezia dove ha raggiunto la sua quarta
affermazione consecutiva ma per la prima volta firmando la sua prima doppietta 450. Il suo è
60
stato un altro risultato eclatante che il francese
si è conquistato con la sua solita flemma ma con
un fantastico mordente che gli ha permesso di
far fronte anche agli errori commessi nell’arco
delle due manche, d’altronde comprensibili vista la sua pazzesca velocità. Una competitività
sportiva giudicata poco lungimirante dai suoi
avversari, visti i numerosi infortuni che hanno
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caratterizzato la prima parte della stagione, che
però non tocca il suo orgoglio che in conferenza
stampa ha replicato semplicemente che cerca di
essere più accorto possibile e che quello è la sua
maniera di correre. Fatto sta che Febvre ha trovato solo in Kevin Strijbos un degno avversario
con cui si è giocato la vittoria della seconda manche, perché in quella iniziale è rimasto al comando dal primo all’ultimo giro. Anche l’olandese
della Suzuki ha fatto un errore in Gara 1, costringendolo a rimontare da metà gruppo all’8ª posizione e ad accontentarsi del terzo posto assoluto dietro al connazionale Jeremy Van Horebeek
che si è finalmente aggiudicato il primo podio
stagionale a dimostrazione di essere sulla strada
giusta per ritrovare la competitività espressa la
scorsa stagione. Gara molto sofferta per Tony
Cairoli, che ha sudato sette camice per resistere
Motocross
al dolore determinato dalla frattura al gomito ancora non saldata. Il fuoriclasse di Patti ha comunque salvato la giornata con un meritatissimo 3°
posto nella seconda manche dopo il 13° di quella
precedente dove ha influito il duro contatto con
David Philippaerts che lo ha mandato a terra facendogli perdere numerosi posizioni. Il suo impegno è stato ripagato con una promozione in
campionato, che ora lo vede in 2ª posizione a 39
lunghezze da Febvre. Cairoli è stato preceduto
dai piloti Husqvarna Dean Ferris e Todd Waters,
e da Shaun Simpson che hanno raggiunto rispettivamente la 4ª, 5ª e 6ª piazza. 10° assoluto con
un 7° ed un 9° posto invece Philippaerts, che si è
detto soddisfatto di aver segnato i migliori tempi
sul finale a conferma del suo buon stato di forma. Ancora colpi di scena invece nella MX2, che
ha visto Jeffrey Herlings vincere stoicamente la
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Motocross
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prima manche malgrado la recente frattura della
clavicola, ma rimanere coinvolto in una caduta al
primo giro che gli ha letteralmente martoriato il
mignolo della mano sinistra.
La vittoria di giornata è quindi andata a Tim
Gajser, che al secondo posto della frazione iniziale ha affiancato l’affermazione in quella successiva che ha conquistato dopo aver scavalcato
Jeremy Seewer. Lo svizzero della Suzuki ha invece chiuso la giornata 3° dietro a Valentin Guillod, che questa volta non è riuscito a fare meglio di 3° e 4° perdendo di 10 punti il contatto in
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classifica da Gajser che si mantiene al posto
d’onore dietro a Herlings. In evidenza il russo
del team JTech Honda Vsevolod Brylyakov, che
ha preceduto l’olandese Brian Bogers e il belga
Brent Van Doninck; 17° Ivo Monticelli, ritirato nella seconda manche per problemi al freno.
L’Europeo 250 è andata al francese Maxime Desprey, mentre la 300 al fortissimo Marco Maddii
che ha segnato la sua prima doppietta stagionale
la quale lo ha portato a soli cinque punti dal leader Yentel Martens.
Guarda tutte le classifiche
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Come è successo?
«E’ stato un vero e proprio block pass. Lui corre
per Yamaha e avrà sicuramente i suoi interessi
a fare quello che ha fatto. Poi ci siamo chiariti,
speriamo per lui che la sua coscienza sia pulita».
Non sarà stata una gara soddisfacente, ma sei
riuscito a portare a casa buoni punti.
«Sì, ho guadagnato una posizione in campionato (ora è 2°, NDR), ma ho perso tanti punti da
Febvre che ha vinto entrambe le manche. Sta facendo davvero un grandissimo campionato, anche se c’è da dire che mancano tantissimi piloti,
altri sono infortunati o non sono in forma, quindi
Motocross
anche se parte male riesce subito a recuperare e
a stare lì davanti sempre».
Ora, più che la mano, per te il problema è il gomito.
«Sì. Le due fratture della mano mi danno poco
fastidio, invece il problema al capitello radiale
è quello che mi fa perdere feeling con la mano
quando la pista diventa bucata. Spero sia iniziato
il processo di saldatura dell’osso. Questa settimana farò un altro controllo con il dottore in Belgio e deciderò se posso iniziare a girare in moto o
se è ancora il caso di rimanere fermo per un’altra
settimana».
TONY CAIROLI
“NON ME LO ASPETTAVO
DA PHILIPPAERTS”
di Massimo Zanzani | Il Campione messinese ancora arrabbiato con
Philippaerts per il sorpasso nella prima manche: “Speriamo non ci
siano altri episodi in futuro, specialmente da italiani”
«
E’ stato un week end molto duro e
difficile. Pensavo che la settimana di
riposo avrebbe portato giovamento
all’infortunio, invece la situazione è
migliorata molto poco. Anche questa settimana
ho dovuto correre con infiltrazioni. Nella prima
manche ero messo benino, potevo tenere la
sesta settima posizione, poi un contatto con un
avversario mi ha buttato per terra e quindi sono
ripartito dalla 24esima posizione. Sono riuscito
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a rimontare soltanto fino alla 13esima ed è stata veramente una gara frustrante perché potevo
sicuramente fare meglio. La seconda manche
sono partito sesto e poi sono riuscito a risalire
fino al terzo posto. I primi due avevano un altro
passo. Mi dispiace molto per la prima manche:
il contatto con Philippaerts e la caduta... non era
quello che mi aspettavo da lui. E’ capitato, speriamo non ci siano altri episodi in futuro, specialmente da altri italiani».
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IL FUTURO DELL’ENDURO
ALAIN BLANCHARD: “MENO COSTI PER
GLI ORGANIZZATORI!”
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Enduro
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di Piero Batini | “Mandato” rinnovato, Alain Blanchard guiderà l’Enduro
Mondiale per altri 5 anni. Il suo primo incarico risale al 2004, e da allora
l’Enduro non ha mai smesso di crescere. Ma fino a dove si può arrivare?
S
iamo al quarto “mandato”. Neanche
i Bush tutti insieme. Alain Blanchard.
Francese, ideatore del Supermotard
Europeo e dell’happening fuoristradistico e indoor. Allora era una cosa molto
semplice, tipo cambiare le ruote o il manubrio
a una moto da fuoristrada, e divertirsi, possibilmente tutti insieme senza troppe regole o classi.
Poi, nel momento in cui l’Europeo Supermotard
stava per diventare, grazie ad Alain, Mondiale, la
bella idea di togliergli tutto e di “affidargli” il rilancio dell’Enduro, a quei tempi alla “canna del
gas”. Ingoiato il rospo, Blanchard si è rimboccato
le maniche e si è messo al lavoro. Ha rinnovato lo
schema delle classi, semplificandole a 3 principali, E1, E2, E3, nel 2005 ha introdotto la Classe
EJ, Junior, nel 2009 la Youth Cup FIM, nel 2010
la EW, “Women”. Ha rimodellato anche la formula e lo spessore delle Gare, i Gran Premi di due
giorni, cementato l’Extreme Test e introdotto il
Super Test del venerdì sera. Ha cercato di dare
un certo stile, pur sobrio, ed una certa omogeneità ai Paddock, alle strutture organizzative e
ai servizi, e di coinvolgere un maggior numero
di Marche e di Team. Ha “esportato” il Mondiale,
che era essenzialmente europeo, oltre oceano,
per esempio in Messico e Sud America, e “pompato” senza sosta sulla necessità di alzare il livello tecnico degli appuntamenti e, di conseguenza,
dei piloti. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Naturalmente, come in ogni famiglia, non sono
tutte rose e fiori. I costi sono progressivamente
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aumentati, e la crisi globale ha finito per bussare, sebbene più tardi che in altri ambiti, anche
a questa porta. Dunque non è azzardato affermare che il nuovo “mandato” del Promoter ABC
Communication avrà, tra i compiti urgenti, anche
quello di ri-allineare l’Enduro Mondiale ai tempi
che cambiano.
Altri cinque anni di lavoro, dunque?
«Altri cinque anni. L’accordo è per il momento
verbale, resta da mettere tutto nero su bianco
e aspettare la comunicazione ufficiale della FIM,
Alain, e suo figlio Bastien Blanchard, titolari di
ABC Communications, saranno ancora i promoter del Mondiale Enduro».
Hai portato il Mondiale su livelli altissimi, cambiandolo molto, ma il Mondiale ora si scontra
con la realtà economica globale, critica indipendentemente dalle ragioni o dai torti. Dunque, qual è il tuo programma “presidenziale”
per i prossimi cinque anni?
«È vero che la crisi economica ha messo un freno, anche all’evoluzione del Mondiale di Enduro.
Siamo rimasti fermi, senza la possibilità di introdurre nuove idee o di modificare lo stato attuale
delle cose, più o meno per gli ultimi tre-quattro
anni. Adesso è tempo di ripartire, perché dobbiamo adattarci ai tempi e alle nuove richieste
della gente, degli appassionati, ma anche e soprattutto dei Club che organizzano le Gare. Abbiamo elaborato un progetto teso a ridurre i costi
generali per gli organizzatori, e direi che questa è
la base del nuovo progetto. Dobbiamo assolutamente aiutare di più gli organizzatori. Tutti, non
solo il promoter. Bisogna che lo facciano anche
la FIM e l’Industria. Dobbiamo fortificare gli organizzatori. Sappiamo bene che dagli sponsor non
arrivano oggi grosse risorse, nell’Enduro non c’è
il biglietto di ingresso, e soprattutto nell’Europa del Sud, l’area che ci è tradizionalmente più
cara, le amministrazioni locali soffrono di più e
non possono venire incontro alle necessità dei
Club organizzatori dei Gran Premi. Negli ultimi
anni la situazione è diventata decisamente critica, e oggi dobbiamo adattarci ai cambiamenti proponendo nuove soluzioni. Bisogna che
anche l’industria si adatti e, se vuole mandare
avanti il nostro sport, deve mettere mano al
portafogli anche in favore della disciplina e degli
organizzatori, e non più solo per i piloti. Perché
se non ci sono più organizzatori, non ci saranno
più gare, e non più piloti».
In che modo si può ridurre il costo organizzativo di un Gran Premio?
«Ritengo che da una parte si possa intervenire sui costi dei diritti, delle “tasse” federali, del
servizio di cronometraggio, e dall’altra insieme
all’industria per aumentare gli ingaggi ai Piloti che partecipano al Mondiale e il supporto ai
Club. Oggi, al di fuori di KTM, nessun’altra Casa
si mette la mano in tasca, neanche per offrire una
moto all’organizzatore, un impegno che sarebbe irrisorio per la Fabbrica ma vitale per il Club.
Dopo, però, sono pronte a lanciare i loro anatemi contro il Campionato, sul fatto che “cade”
un po’ per questo e per quell’altro verso, che
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Enduro
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l’immagine non le aiuta a vendere le moto. Però
non fanno nulla di sostanziale, neanche un piccolo gesto!».
azienda, e non come dei figli prediletti».
Si è sentito parlare di semplificazione delle
classi…
«Chiacchiere. Dobbiamo ritrovare lo spirito.
Far fare al Pilota parte del lavoro dei meccanici,
come era un tempo, per esempio, o rendere più
“schietto” il loro approccio con la “disciplina”.
Adesso i Piloti arrivano sul luogo del Gran Premio il lunedì, e “camminano” le Speciali per giorni e giorni, anche dieci volte ciascuna, eliminano
pietre e tronchi o livellando le buche. Non c’è più
la scoperta, la sorpresa. Alla fine l’organizzatore
non riconosce più la Speciale che ha disegnato,
vi trova un’autostrada. Ecco, vietare le ricognizioni prima del giovedì, per esempio! Farli “lavorare” come era ai tempi dell’Enduro e delle sue
origini. Oggi ci sono molti Piloti che vengono dal
Cross. Alcuni erano fuori gioco, non avevano più
Si sente parlare anche di una trasformazione
del Campionato del Mondo. In che senso?
«Di chiacchiere e di voci ce ne sono sempre molte. Vuol dire almeno che c’è sempre un alto livello di interesse e di curiosità. L’idea di base è di
tornare sempre più allo spirito puro dell’Enduro.
Questo sport è rimasto troppo legato agli standard. La definizione delle tre classi ha permesso
di dare al Mondiale un livello tecnico molto elevato, ma forse abbiamo perso un po’ di identità. Vediamo lo stesso Cross Test, per esempio, in tutti
i Gran Premi, siano essi in Portogallo o in Italia
o Sud America. Dobbiamo dare alle singole gare
il loro carattere, la loro identità, attraverso un
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profilo di regolamenti più flessibile. Se per esempio in Svezia non c’è il posto adatto per fare il
Cross Test, allora dobbiamo fare lì un Gran Premio con più prove in “linea”. Dobbiamo restituire
alle gare le prerogative di identità dei Moto Club
che le organizzano. C’è un altro fatto. Lo standard è stato buono da una parte, ma dall’altra ha
consentito un grande travaso dal Cross, con una
sorta di intervento sulle caratteristiche basiche
dell’ambiente, sul modo di pensare, di vivere del
pilota puro dell’Enduro.
È cambiato il modo di stare e di parlare nel paddock, di rispettare gli organizzatori, il terreno, la
moto. L’avanzare della “filosofia crossistica” ha
creato un profilo di Piloti “viziati”, che guadagnano magari molto ma che si lamentano permanentemente, che meriterebbero che i loro Manager li considerassero come degli impiegati di
un contratto e sono venuti all’Enduro per guadagnare e fare le prime donne. Sono Piloti che
devono rinfrescarsi un po’ le idee e rispettare gli
organizzatori, loro sì che non prendono un soldo
e sono lì ad ascoltare altro che critiche!».
Ci torno sopra. Ridurre il numero delle classi
può avere un senso?
«No. Non lo credo affatto. Non si è mai parlato
di una classe unica. Mai. E poi certe classi non si
devono toccare. Oggi il parco Piloti della Junior
rappresenta il 40, 50% del totale. Intoccabili.
Io, invece, vorrei avere una Top Class, ma senza cancellare le altre classi. Parlo dell’Assoluta.
Oggi c’è ipocrisia. I migliori Piloti del Mondo vincono la loro classe, ma cercano subito di sapere come è andata in assoluto, se hanno battuto
il vincitore della classe accanto o se sono stati
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Enduro
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sconfitti dal Pilota della classe attigua. Di fatto
non si confrontano tra loro, ma vanno a guardare
come sarebbe andata. E allora? Assoluta! Magari
il confronto diretto ne penalizzerà qualcuno, ma
ne valorizzerà degli altri».
Da anni parli di Gran Premio della tradizione”.
Che vuol dire?
«Vuol dire Gran Premio con un carattere, tale per
cui diventa una tradizione. E il Moto Club che lo
organizza riesce a guadagnare qualcosa, almeno
per non rimetterci. Riduzione dei costi, ma anche
un po’ di guadagno. In Scandinavia i Gran Premi
erano a rischio. Abbiamo introdotto il Super Test
e loro il biglietto di ingresso, si sono “salvati” e
ripeteranno l’esperienza. Suona male il biglietto nell’Enduro, lo so, c’è gente che non darebbe un euro per principio, ma magari ne spende
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ottocento per una marmitta da competizione, e
ci sono Paesi dove regolamentare la cosa è difficile. In Svezia o in Finlandia, metti un tavolino
e una fettuccia, e oggi gli spettatori si mettono
da soli, ordinatamente in fila per pagare il piccolo
prezzo del biglietto. Alla fine il Moto Club guadagna dieci-ventimila euro e salva l’organizzazione».
Quindi cambiamenti importanti e imminenti?
«Cambiamenti importanti, ma anche inevitabile
progressività. Oggi vorrei fare un Gran Premio a
Lumezzane o Bergamo tutti gli anni, perché sono
bravissimi e operano nella culla dell’Enduro, o ritrovare il Gran Premio in Svezia sotto la neve, ma
bisogna anche essere in grado di proporre a quei
Moto Club qualcosa di tangibile che diventi uno
stimolo alla continuità».
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IL FUTURO DELL’ENDURO
FABIO FARIOLI: “UN SUPER
MONDIALE UNICO!”
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Enduro
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di Piero Batini | Anche considerando il solo Mondiale dell’era Blanchard,
a partire dal 2004, il Team Ufficiale KTM, storicamente guidato dalla
famiglia Farioli, ha vinto due terzi dei Titoli in palio. Se non è una voce
autorevole questa…
D
a sempre protagonista di spicco
dell’Enduro e della sua evoluzione,
quando non puro artefice, il nome
“Farioli” è un po’ come la parola
d’ordine di questo Sport. C’è stata un’epoca in
cui l’Enduro italiano era l’Enduro di tutto il Mondo, e nella quale i nomi di KTM e di Farioli si fondevano in un’unica realtà indissociabile, anche
sotto il profilo del management dell’azienda
austriaca. Oggi questa matrice è chiaramente
visibile nell’attività sportiva della squadra ufficiale dell’Enduro diretta, oggi come allora, da un…
Farioli. Prima era il “patriarca” Arnaldo, oggi suo
figlio Fabio (ma, immagino, sotto l’attenta “sorveglianza” del papà). Fabio Farioli, oltre a dirigere la squadra che ha vinto più di tutte, è stato
egli stesso Campione del Mondo e ha vissuto
attivamente ogni lato dello sport che è l’emblema della Famiglia. Dalla famiglia al Marchio, c’è
da sottolineare che anche Husqvarna è recentemente entrata nell’orbita del Gruppo austriaco,
rilevando il posto che era stato di Husaberg ma
con un ben più forte impatto, originato in una
tradizione centenaria che è forse l’elemento con
la maggiore forza di immagine dell’intero Gruppo. Con l’entrata sulla scena dell’Enduro Mondiale della “nuova” Husqvarna, adesso sotto un
certo aspetto il centro del Mondo dell’Enduro
può essere fissato a Mattighofen. In realtà, pur
dipendendo da una sola “volontà”, al momento
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entrambe le squadre ufficiali godono di una notevole autonomia, e alimentano un confronto genuino che è un gran bene per l’Enduro Mondiale.
Di fatto, d’altra parte, se c’è un nome che può
fare la voce grossa in quell’ambiente, è proprio
quello di KTM, ed è quindi quanto mai opportuno
dare un’occhiata, intanto dalla voce “pacata” di
Fabio Farioli, all’immagine del Pianeta visto attraverso la lente del Gruppo.
Allora, Fabio, ci interessa sapere qual’è la tua
idea sul futuro dell’Enduro.
«Che noia, che barba. Scherzo. Il futuro dell’Enduro. È lo stesso pensiero che affligge tutti. Come
KTM, e quindi mi permetto di parlare anche per
Husqvarna, visto che al momento non c’è un referente e perché so che la politica è unica e comune, sicuramente stiamo spingendo per avere
un Campionato del Mondo unico. Inutile avere un
Campione Extreme e un Campione Enduro, moltiplicati per le varie classi e categorie. C’è stata
una riunione con i vertici delle Federazione Internazionale, in occasione della quale abbiamo resa
manifesta l’intenzione di KTM, che penso che
sia una cosa giusta. Sosteniamo l’idea di avere
un Campionato, magari su un numero maggiore
di Prove, dodici-tredici in luogo delle attuali otto
che diventano immancabilmente sette, in cui ci
siano anche due-tre prove di SuperEnduro, due o
tre classiche come Zschopau o l’Erzberg, faccio
dei nomi a caso, e due-tre prove di GNCC americano. Nomi e circostanze a caso, e al netto di verificare le condizioni regolamentari degli eventi e
lasciando stare altre classiche come Hell’s Gate
o Romaniacs, o Sea to Sky. Vorremmo veder
realizzato, insomma, un Campionato vero, unico, dal quale scaturiscano i nomi di Campioni di
Enduro “veri”, universali. Non penso che sia un
progetto facile da realizzare, anche perché non
è recepito dai dinosauri della federazione internazionale, sono pochi quelli attivi ma quelli che
comandano sono davvero retrogradi, che non
hanno ancora capito che le Case vogliono cose
diverse. La nostra idea è questa. Sarebbe bella
e sono sicuro che ne trarremmo tutti un grande
giovamento. Non ha senso andare a correre un
SuperEnduro in Messico, con pochi Piloti e pubblico zero, così come non ha senso non andare in
Brasile dove è pieno di gente, o andare a correre
a Jerez della Frontera davanti a nessuno. Ci sarebbe da fare una cernita seria e stabilire quali
sono gli eventi migliori».
Se si realizzasse un progetto del genere, ci
sarebbe da pensare seriamente anche ad una
ristrutturazione delle vostre Squadre ufficiali,
oggi divise e iper specializzate?
«Ovviamente sì, anche se pian piano ci stiamo
comunque muovendo in questa direzione. A
partire dal Super Enduro, per esempio, saremo
a noi a gestire la Squadra dell’anno prossimo.
Personalmente non la vedo come una cosa facile, perché è un lavoro completamente differente
da quello che siamo abituati a svolgere. Non so
dirti se sarà facile o difficile, ma non ci spaventiamo. Se dovesse essere così, toccherà al Pilota
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Enduro
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imparare ad essere più veloce anche in altre
situazioni diverse da quelle che gli sono più
congeniali o abituali. Un Pilota di Enduro dovrà
imparare ad essere veloce nel SuperEnduro, e
viceversa».
In questo caso, avendo voi una Squadra per
l’Enduro, una per il SuperEnduro e una per il
GNCC, dovreste strutturarvi diversamente e
costruire una sola Squadra per tutti gli impegni, con una riduzione dell’”organico” attuale
a quel punto ridondante?
«Sicuramente sì. Magari una Squadra con cinque Piloti invece di tre, faccio sempre per dare
un esempio, ma più centrale e con Campioni più
eclettici, completi, più bravi complessivamente
a coprire tutti i differenti aspetti del buon Enduro. Adesso il problema è che abbiamo impegni
sdoppiati, triplicati. Una Squadra per specialità,
talvolta impegnata su due diversi fronti come il
Super Enduro e le classiche dell’Estremo».
Un’idea che, se realizzata, porterebbe molti
cambiamenti. Molta carne al fuoco, insomma.
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Vi siete di conseguenza dati delle scadenze, o
avete intenzione di imporle?
«Scadenze sicuramente no, si parla e si propone nell’intento di smuovere finalmente le acque,
però alla fine, se nel giro di un tempo accettabile
non ci saranno dei cambiamenti, KTM potrebbe
prendere l’iniziativa e decidere drasticamente,
magari riducendo la Squadra dell’Enduro e rinforzando quella del SuperEnduro, o viceversa, o
limitarsi a schierare due Piloti da una parte e due
dall’altra».
Quale è, in questo momento, il vostro interlocutore più importante, la Federazione o il Promoter?
«Il Promoter, al momento, ha le mani legate
e deve stare alla finestra. A lui, in fondo, la vita
cambierebbe di poco. È la Federazione Internazionale che, ripeto, si ostina a chiamare in causa
i regolamenti, le lamentele, certe richieste come
quella di avere delle gare più dure. Perché no?
Basterebbe farne quattro cinque molto bene, ed
alternarle ad altre tre di SuperEnduro, due classiche e due GNCC, e organizzare un Campionato
davvero completo con una dozzina di gare. Che
non sono certo le diciotto del Motocross. Questa
sarebbe, a mio giudizio, la soluzione che farebbe
tutti felici, le Case da subito ma anche la Federazione».
Tornando un attimo sul Mondiale di Rovetta e
sulla tua Squadra…
«Questo Gran Premio è una garanzia. Organizzazione impeccabile, del Bergamo e dei Moto Club
“satelliti”. Bergamo è la patria dell’Enduro, ci
siamo noi, Acerbis, Airoh, Scoprion Bay ed altre
aziende. C’è KTM e c’è KTM Italia, adesso anche
Husqvarna Italia. Qui c’è la tradizione e la gente
risponde, ed è una cosa che anche chi è venuto
a Rovetta per la prima volta ha notato. Diciamo
anche che l’abbinamento con il Motor Party è
particolarmente riuscito. Della nostra Squadra?
Alti e bassi, per fortuna più alti che bassi. Meo
che vince con un minuto di vantaggio o perde
per pochi secondi, Phillips che a Rovetta è stato
impeccabile, speriamo che abbia esaurito i suoi
bassi e che abbia d’ora in avanti solo alti, Nambotin che, invece, soffre. Il legamento rotto lo fa
soffrire. Non lo da a vedere ma ti accorgi da certe
sue espressioni che è sofferente. Non è lui, e poi
subentra anche il fattore psicologico, perché Remes ha iniziato ad andare veramente forte. Ma
il Campionato è lungo e penso che ne vedremo
ancora delle belle, e poi i nostri ragazzi sono dei
fuoriclasse e bisogna aspettarsi che possano tirare fuori il coniglio dal cilindro!».
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concomitanza con il mondiale Enduro, ha dovuto
mettere un tetto massimo, perché la banda della
Epic Rise, che è la stessa che organizza le mitiche
Monferraglie, Threeturaglie, Tenferraglie ect ect.
ormai attira centinaia e centinaia di piloti. L’emozione per i partecipanti selezionati è stata indescrivibile. Pubblico a perdita d’occhio. L’Arena
Motorparty è stata infatti invasa da un numero
impressionante di spettatori. Però, sia ben chiaro, l’impresa di arrivare in cima, è riuscita a soli
tre piloti, che hanno lottato fino alla fine per essere incoronati come i piloti più epici. Motorini a tre
ruote in linea, Piaggio Ciao con due motori, moto
da cross con propulsori scooteristici dall’impressionante potenza e chi più ne ha più ne metta.
Alla fine però, a mettere in riga tutti, Mattia Pavani, in sella al suo Peugeot STR, che ha dominato
la classe Truccati, riservata ai motorini con telaio
originale, un massimo di 80 cc, monocilindrici e
a frizione automatica. Riccardo Salvi si è invece aggiudicato il gradino più alto del podio nella
Sfida
categoria Proto, che include i ciclomotori creati
ex novo artigianalmente con un massimo di 100
cc, 2WD e sempre frizione automatica. Il pilota
ha gareggiato a cavallo del suo “Limousine”, un
mezzo costruito ad hoc insieme al team “Cioca
la Pirla”, già vincitore della prima edizione di Red
Bull Epic Rise nella categoria Truccati, Salvi si è
garantito la vittoria completando l’ascesa in 6,10
secondi, distaccando di pochi decimi Mirco Raimondi, che con il suo due ruote soprannominato
“Il Cattivo” ha chiuso in 6,50 secondi. Al team
“Cioca La Pirla” e al suo centauro Riccardo Salvi
è andato anche il premio speciale di “Epic Ferro”,
riconoscimento assegnato al partecipante che si
è presentato ai nastri di partenza con l’abbigliamento più estroso e il mezzo più creativo. Contagiati da questo mondo “eccentrico” anche il
campione del Mondo E1 2014 Matthew Phillips e i
piloti Red Bull del Mondiale Enduro Antoine Meo
e Giacomo Redondi. Meo si è presentato con
un casco dotato di corna e un lungo montone.
RED BULL EPIC RISE
LA COLLINA DELL’ONORE
di Maurizio Vettor | Su una salita irta come una rampa da freestyle
hanno tentato di salirci 50 motorini truccati. Anche noi abbiamo
partecipato, vi raccontiamo la seconda edizione della Red Bull Epic
Rise 2015
U
n’impressionante salita lunga 50
metri si erge là, in quel di Clusone,
il paese di Paolo Savoldelli, e di enduristi doc. Luoghi dove le anime
irrequiete e dannate dell’Enduro si aggirano alla
ricerca della linea perfetta. Lì, su quella salita
irta come una rampa da freestyle, troppo lunga
e troppo scoscesa anche per le potenti moto
dei piloti del mondiale Enduro, proprio lì hanno
tentato di salirci 50 motorini truccati. Lì ha preso
76
vita lo scorso week-end la seconda edizione della
Red Bull Epic Rise 2015. Uno spettacolo senza
precedenti, con due prove, una nel pomeriggio
e una di sera, questa con la pista illuminata dai
riflettori, che ha divertito e attirato migliaia di
persone. Pochi, pochissimi metri per prendere
la rincorsa, un alto gradino e poi ecco il muro. In
cima, l’arco gonfiabile della RedBull, quello dei
grandi eventi. Solo 50 i fortunati partecipanti.
L’organizzazione, visto che la gara si correva in
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Sfida
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bbbbbbbbbbbbbbb
Redondi non è stato da meno e si è presentato al
via vestito da Superman. Tra i partecipanti c’era
anche Max Manzo con un bellissimo “tubone”
con avantreno pit bike, mozzi e slitte motore-trasmissione torniti da pieno e sovrastrutture trial.
Un anno di lavoro! Anche noi c’eravamo, ve lo
avevamo detto, sotto i colori gialli e neri del team
“Ten Ciofs Moto.it”, in sella a un Garelli trovato
abbandonato in una cantinaccia. Preso, acceso
e via... Tanto malconcio che al primo tentativo di
salita (tentativo, sottolineiamolo) si sono svitati i
pedali e il manubrio. Tanto che in “gara 2” nemmeno con la spinta dei pedali è riuscito a percorrere più di 7 metri in salita.
Ma era da tempo che non ridevamo così di gusto
e sentivamo così tanti applausi. Beh, a Federico
Moccia sono bastati tre metri per stare sopra al
cielo. A noi ne sono serviti sette, cinque metri di
pedalata e un manubrio storto. Ma ragazzi, ne è
valsa la pena.
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N°206 - Moto.it