Corriere del Ticino
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a cura di
CARLo LeoTTA
LETTI
PER VOI
Sabato 27 Settembre 2014
manfred hardt
daniele dell’agnola
I numeri nella Divina Commedia
Tracce da seguire per individuare i punti nevralgici
dell’opera: ecco come si configurerebbero i numeri
nella Commedia dantesca, secondo Manfred Hardt.
Si aprirebbe così la possibilità di cogliere e
interpretare brani lontani fra loro come se fossero
vicini. I numeri sarebbero anche garanzia di
perfezione. Una nuova era per la dantistica italiana?
Salerno, pagg. 323, euro 23.
A scuola tra amori e falsi miti
Una quarta media di un paese della Svizzera italiana.
Classe difficile, indisciplinata, attraversata da conflitti
razziali. Le sfide di una giovane supplente di italiano:
suscitare interesse e abbattere le barriere culturali. In
mezzo il Baracobamà, ritrovo in cui le differenze si
fondono per trovare nuove forme di svizzeritudine, di
incontro e di convivenza.
Infinito, pagg. 211, euro 14.
autori vari
Cronache dai decenni inutili
Un vortice che ha travolto ogni certezza. Così è stato
avvertito il decennio 1980-1990 dagli autori del
libro (fra i quali Aldo Nove e Antonio Scurati) che,
nati a metà anni 1960, erano allora studenti
universitari. Le pagine ripercorrono con qualche
occhiata alle spalle quel periodo, vissuto con
l’interrogativo: siamo di fronte alla fine della storia?
Bompiani, pagg. 157, euro 15.
CULTURA
L’inTeRvisTA zxy mauro natale*
«Le opere d’arte sono oggetti artigianali»
Lugano celebra il Bramantino, rinnovatore della pittura tra Quattro e Cinquecento
nATAsChA fioReTTi
zxy L’arte nuova del Rinascimento
lombardo. Perché la scelta di questo titolo?
«Il titolo stabilisce una connessione
tra il personaggio, che è il protagonista di questa epoca, e il ruolo che
questo protagonista ha avuto sulla
cultura figurativa negli anni di passaggio tra il Quattrocento e il Cinquecento. Quello del Bramantino è stato
un ruolo di rinnovamento importante di riforma formale, esteso naturalmente anche ai contenuti».
Può spiegarci meglio in che cosa
consiste questo cambiamento?
«Le opere di Bramantino sono incredibilmente dense ma anche molto
spoglie, molto forti rispetto alla tradizione Quattrocentesca, che è una tradizione molto più ornata con una attenzione molto particolare ai materiali preziosi, le dorature, i rilievi in
pastiglia. Tutto questo scompare con
lui intorno al 1500».
Qual è lo scopo dell’esposizione?
«La mostra illustra l’evoluzione, il percorso del Bramantino a partire dalle
prime opere, ancora legate alla tradizione quattrocentesca, fino alle ultime, che invece sono quasi spettrali,
spoglie, con dei colori acrilici, molto
manieristi. Si inizia con la meravigliosa Madonna con il Bambino del Museo di belle arti di Boston, probabilmente il primo quadro del Bramantino. C’è una grande attenzione alla luminosità e alla profondità dello spazio, un naturalismo un po’ intellettuale ma ancora fedele a certi schemi
quattrocenteschi. Vi è, inoltre, un
certo ricordo di Mantegna, della pittura bolognese e ferrarese del Quattrocento».
È una mostra che ha potuto contare
su prestiti notevoli?
«Tantissime opere provengono da
musei e istituzioni importanti come
la National Gallery di Londra, il Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid e
la Galleria degli Uffizi di Firenze. Questi musei hanno prestato le loro opere
perché hanno creduto nel progetto,
hanno capito che è una mostra pensata e basata sulla ricerca».
Non solo un valore espositivo dunque, ma anche di ricerca e restauro?
«C’è stato un lavoro materiale importante dal punto di vista della conservazione. Significativi i restauri fatti
sulla Madonna del Sasso di Orselina.
È un quadro che ha subito alcuni
danni dovuti probabilmente al pittore
stesso, cioè al modo con il quale Bramantino ha preparato la tavola e ha
dipinto usando leganti oleosi, che si
sono contratti molto rapidamente
creando una screpolatura vistosa in
alcune zone del dipinto. L’elemento
appassionante, importante anche per
la cultura ticinese, è la ricostruzione
attenta della storia dei vari restauri.
Notevoli anche gli interventi fatti
sull’opera Madonna in trono con il
bambino e santi i cui colori non sono
più smorzati: l’azzurro del cielo è di
un vibrante incredibile».
Perché visitare questa mostra?
«Per l’elemento di novità che risiede
nell’illustrare e accentuare il cambiamento radicale dello stile di questo
pittore intorno al 1500. Un cambiamento non solo formale, visto che è il
frutto anche di una congiuntura politica e religiosa particolare. In quegli
anni c’era la speranza che avvenisse
una vera riforma di tipo religioso».
Qual è il nesso tra il contesto politico-religioso e l’opera del Bramantino?
«Bramantino dà forma a queste aspirazioni. Il suo è un costante richiamo
alla Chiesa primitiva senza ori, un ritorno agli abiti semplici, un richiamo
alla povertà e alla dignità della Chiesa
dei primi secoli. Non c’è una pennellata d’oro».
Come curatore, quali soddisfazioni
le ha dato l’allestimento della mostra?
«L’idea di ricostruire il percorso è
stata coinvolgente. È importante fare
delle mostre di questo tipo anche se
rischiose per via dei costi e della specificità del tema. Esse fanno capire
che le opere d’arte sono degli oggetti
materiali e artigianali».
Oggi di questo forse ci si dimentica?
«Completamente, perché le immagini hanno sostituito le opere in sé
stesse. C’è nella realtà delle opere
un elemento arcaico legato all’uso
del colore, alla preparazione della
tavola e della tela, che va messo in
valore. Sono incredibilmente appassionato da questa identità materiale dei dipinti; anche quelli danneggiati raccontano una storia, se
uno sa leggerla».
* storico dell’arte, Università di Ginevra
Bramantino.
l’arte nuova del
rinascimento lomBardo
museo cantonale d’arte
di lugano
da oggi all’11 febbraio 2015.
museo cantonale in alto da sinistra: «madonna con il bambino», 1485 ca.; «adorazione dei magi», 1495-1500 ca. Qui sopra: «Giove e mercurio in visita a Filemone
bauci, 1490-1495. (Foto © Museum of Fine Arts, Boston; Rheinisches Bildarchiv Köln;
The National Gallery, Layard Bequest)
fUoRi dALL’AULA zxy adolFo tomaSini
L’importanza della messa in moto per il cittadino consapevole
P
arliamo di Gaia, la giovane
allieva della scuola media di
Gordola che ha rimediato
una risicata sufficienza in
educazione fisica a fine anno scolastico, giusto due mesi prima del suo
13. rango ai Giochi olimpici giovanili estivi in Cina.
La ragazza, un talento nazionale
della ginnastica artistica, frequentava la scuola media a Gordola, per la
vicinanza col Centro sportivo della
gioventù, nell’ambito degli speciali
programmi di scolarizzazione di talenti in campo sportivo e artistico
promossi dal DECS.
Si può immaginare che quel misero 4
in ginnastica avrebbe rimediato solo
qualche moccolo in famiglia, se non
avesse contribuito a tenere la media
globale della ragazza sotto la fatidica soglia del 4.6, che le avrebbe consentito l’iscrizione al liceo per sportivi d’élite. La famiglia dell’atleta ha
già inoltrato un paio di ricorsi, entrambi respinti. Fin qui la scarna sintesi della vicenda, che ha scatenato
un fiume in piena di scrollate di capo.
«Com’è possibile – si chiedono in
molti – che la giovane campionessa
non vada oltre una misera sufficienza proprio in ginnastica?».
Non so voi, cari lettori, ma anch’io,
prima di leggere questa storia, ero
convinto che l’educazione fisica fosse
uno spazio di sano e utile movimento all’interno di quelle 33 ore settimanali della scuola media. Credevo,
in altre parole, che le tre ore settima-
nali di ginnastica rispettassero l’Ordinanza federale sulla promozione
dello sport e dell’attività fisica, che
stabilisce come a livello di scuola
dell’obbligo devono essere impartite
almeno tre lezioni settimanali di ginnastica, con l’obiettivo principale di
incrementare l’attività fisica e sportiva. Invece non è così, o lo è solo in
parte: basta leggere il «Piano di formazione della scuola media», oltre
otto pagine fitte, per rendersene conto. Intanto solo due discipline, italiano e matematica, hanno più ore della ginnastica.
Poi si scopre che si insegnano tante
di quelle cose importanti che in questa sede ci starebbe neanche una sintesi ridotta all’osso. Basti pensare che
«la specificazione programmatica
mette in rilievo le implicazioni emotive ed esistenziali dell’attività fisicosportiva»: insomma, mica solo una
corsetta o un’infuocata partita di
pallavolo. Da questo punto di vista,
quindi, la decisione del Consiglio di
Stato che ha respinto il secondo ricorso non fa una grinza: dura lex,
sed lex.
Il fervore dipartimentale per la promozione di atleti, musicisti e danzatori non mi ha mai infiammato. Mi
sfugge il senso di questo blandire gli
sportivi d’élite al posto, che so?, dei
matematici d’élite, che se sono bravi
non ricevono neanche i complimenti
del Consiglio di Stato, assieme a
qualche biglietto da mille.
Ci sarà qualche motivo misterioso. Se
le tre ore di educazione fisica – quelle
imposte dalla confederazione – fossero state soltanto delle ore dedicate
alla pratica sportiva e al movimento,
mi sarei chiesto come mai questi talenti non siano semplicemente esonerati. Invece, per stare alle peripezie
scolastiche della nostra olimpionica,
ho scoperto che «Gaia ha svolto una
sola prova di creazione di una messa
in moto con la musica, valutata dalla docente sufficiente nella parte pratica e insufficiente nella parte teorica, ciò che ha portato all’assegnazione della nota finale 4».
Già: saper dar vita, in teoria e in
pratica, a una messa in moto con la
musica è un obiettivo fondamentale
e se non lo sai fare l’età adulta sarà
molto problematica e cosparsa di bufere corporee ed esistenziali.
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Corriere del Ticino 27.09.2014