Rassegna giurisprudenziale a cura dell’avv. Barbara Inghilleri Ufficio della Consigliera di Parità della Provincia di Torino via Maria Vittoria 12 - 10123 - Torino tel. 011/8612771 - 2749 [email protected] www.consiglieraparitatorino.it www.provincia.torino.it Rassegna giurisprudenziale A cura di: avv. Barbara Inghilleri Ufficio della Consigliera di Parità della Provincia di Torino via Maria Vittoria, 12 - 10123 Torino tel. 011/861.2771 - 2749 e-mail: [email protected] www.consiglieraparitatorino.it www.provincia.torino.it marzo 2010 Premessa Il presente elaborato è stato redatto seguendo un ordine cronologico dei casi affrontati dalla Consigliera Provinciale di Parità di Torino, sia quelli che sono stati definiti con sentenza sia quelli che si sono conclusi con una conciliazione tra le parti. La scelta dei casi è stata effettuata con riferimento alle tematiche di particolare attualità ed interesse, partendo dalle pronunce più recenti sino a quelle più significative precedenti le nuove disposizioni introdotte dal D.Lgs. 198/2006 con il “Codice delle Pari Opportunità”. Le Consigliere di Parità della Provincia di Torino Laura Cima - effettiva Pag. 1 Ivana Melli - supplente Rassegna giurisprudenziale Mancata assunzione - Stato di gravidanza della lavoratrice - Discriminazione di genere - Intervento adesivo per ricorso ex art. 8 D.lgs. 196/2000 (così come trasfuso nell’art. 36 del D.lgs. 198/06) della Consigliera Provinciale di Parità - Legittimazione ad agire della Consigliera Provinciale di Parità - Violazione degli artt. 3 e 37 della Costituzione - Violazione degli artt. 1 e 3 della L. 903/77 (così come trasfusi negli artt. 27 e 29 del D.lgs. 198/06) - Violazione dell’art. 3 del D.lgs. 151/01 - Violazione dell’art. 4 della L. 125/91 come modificato dall’art. 8 del D.lgs. 196/00 (così come trasfuso nell’art. 25 del D.lgs. 198/06) - Violazione del D.lgs. 145/2005 Verbale di conciliazione in sede giudiziale del 14/10/2010, Tribunale di Torino, D.V. e Consigliera Provinciale di Parità di Torino c. L.C.S. s.r.l. In fatto. La signora V.D., dipendente a tempo determinato della L.C.S. s.r.l., promuoveva azione in giudizio nei confronti della propria datrice di lavoro sostenendo di aver subito comportamenti pregiudizievoli e discriminatori in relazione al proprio stato di gravidanza. Alla lavoratrice infatti, che aveva già sottoscritto con l’azienda numerosi contratti a tempo determinato, era stata prospettata finalmente un’assunzione a tempo indeterminato e, a conferma di tale intenzione, le era stato chiesto di presentare la documentazione necessaria per il perfezionamento del predetto contratto. A seguito della comunicazione della gravidanza però la società convenuta, nonostante la disponibilità di posti nel proprio organico e l’assunzione infatti di nuovi dipendenti, mutò la propria decisione non rinnovando alla signora V.D. più alcun contratto. La Consigliera Provinciale di Parità interveniva adesivamente ex art. 4 della L. 125/91, come modificato dall’art. 8 del D.lgs. 196/00 (così come trasfusi nell’art. 36 del D.lgs. 198/06) nel giudizio promosso dalla lavoratrice poiché apparivano violati gli artt. 3 e 37 della Costituzione, gli artt. 1 e 3 della L. 903/77 (così come trasfusi nePag. 2 gli artt. 27 e 29 del D.lgs. 198/06), l’art. 3 del D.lgs. 151/01, l’art. 15 della L. 300/70, l’art. 4 della L. 125/91 come modificato dall’art. 8 del D.lgs. 196/00 (così come trasfuso nell’art. 25 del D.lgs. 198/06) e il D.lgs. 145/2005. In diritto. La figura della Consigliera di Parità è stata introdotta nell’ordinamento italiano dalla L. 125/91 sulle Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro, poi riformata dai D.lgs. 196/00 e 145/05 e dal D.lgs.198/06 Codice sulle Pari Opportunità. Tra i vari compiti, la Consigliera si adopera affinché vengano rilevate le situazioni di squilibrio di genere e rimossi gli effetti pregiudizievoli delle discriminazioni. Ai sensi dell’art. 4 della L. 125/91 (così come trasfuso nell’art. 36 del D.lgs. 198/06) “Le Consigliere o i Consiglieri di Parità Provinciali e Regionali competenti per territorio hanno facoltà di ricorrere innanzi al Tribunale in funzione di Giudice del lavoro o, per i rapporti sottoposti alla sua giurisdizione, al Tar competente, su delega della persona che vi ha interesse, o di intervenire nei giudizi promossi dalla medesima”. Da qui deriva la legittimazione ad agire e ad intervenire adesiva- mente della Consigliera di Parità della Provincia di Torino nel caso promosso dalla signora V.D.. Gli artt. 3 e 37 della Costituzione sanciscono il principio di uguaglianza e di pari dignità sociale senza distinzione di sesso, imponendo che le condizioni di lavoro della donna siano tali da consentire l’adempimento della sua funzione familiare ed assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. Nel caso di specie, la lavoratrice è stata palesemente oggetto di atteggiamenti discriminatori da parte della società convenuta, sia perché non ha portato a termine l’iter per la sua regolare assunzione esclusivamente per il motivo della sua annunciata gravidanza, sia se si considera che la proposta di assunzione era stata già palesata alla signora V.D. e da quest’ultima accettata. E’ pertanto evidente la violazione degli artt. 1 e 3 della L. 903/77 (così come trasfusi negli artt. 27 e 29 del D.lgs. 198/06) nonché dell’art. 3 L. 108/90 e dell’art. 15 L. Pag. 3 Rassegna giurisprudenziale 300/70 e dell’art. 3 del D.lgs. 151/2001 che individuano tra l’altro nella gravidanza una delle ipotesi più comuni nelle quali può realizzarsi la discriminazione. Di fatto, la L.C.S. s.r.l. avrebbe dovuto concludere gli accordi intrapresi con la lavoratrice, anche a seguito della comunicazione della gravidanza che comunque non avrebbe inciso né sulla capacità lavorativa della signora né sulla sua professionalità. La lavoratrice, invece, si è trovata, suo malgrado, di fronte ad una situazione di svantaggio rispetto ai suoi colleghi lavoratori maschi. E questo configura certamente una discriminazione in ragione del sesso a tutti gli effetti. La vicenda si è conclusa con la conciliazione tra le parti, convenendo una somma risarcitoria a carico della società convenuta in favore della lavoratrice. Esclusione del periodo di congedo di maternità ai fini della valutazione in merito alla progressione di carriera - Stato di gravidanza della lavoratrice e maternità - Discriminazione di genere - Intervento adesivo per ricorso ex art. 8 D.lgs. 196/2000 (così come trasfuso nell’art. 36 del D.lgs. 198/06) della Consigliera Provinciale di Parità Tribunale di Pinerolo, 30.05.2007-08.06.2007, n. 394/07, D.R.. e Consigliera Provinciale di Parità di Torino c. Comune di (...) (TO) Corte d’Appello di Torino, sentenza 564/08 In fatto. La signora D.R., impiegata presso il Comune di (...) (TO), aveva promosso azione in giudizio nei confronti del Comune convenuto lamentando il mancato riconoscimento del periodo di astensione obbligatoria per maternità ai fini della progressione orizzontale di carriera, con conseguente danno anche a livello retributivo. Interveniva adesivamente altresì la Consigliera di Parità Provinciale chiedendo la rimozione degli effetti discriminatori del provvedimento impugnato. In parziale accoglimento del ricorso proposto dalla lavoratrice, il Tribunale di Torino, con sentenza n. 394/07, accertava e dichiarava il diritto della signora D.R. a vePag. 4 dersi conteggiato e valutato ai fini della progressione di carriera nella posizione C2 il periodo di congedo obbligatorio di maternità, compensando però integralmente le spese di lite tra il terzo intervenuto e l’Amministrazione comunale convenuta. Successivamente, il Comune di (...) (TO) appellava la succitata sentenza. In diritto. La sentenza della Corte d’Appello di Torino ha confermato le conclusioni del Giudice di primo grado, specificando in più la natura discriminatoria del comportamento della Pubblica Amministrazione nei confronti della dipendente. La discriminazione era stata rilevata in quanto l’esclusione della lavoratrice dalla valutazione per la progressione orizzontale di carriera, poichè si trovava in maternità, violava la normativa che prevede che i periodi di aspettativa per gravidanza e maternità obbligatoria siano considerati a tutti gli effetti quale servizio effettivamente prestato. L’art. 22 n. 5 del D.lgs. 151/2001 sancisce infatti che i periodi di congedo per maternità siano equiparati all’attività lavorativa, agli effetti della progressione di carriera, così come sancisce anche la contrattazione collettiva richiamata nella sentenza del Tribunale di Pinerolo. Nella fattispecie, la lavoratrice è stata discriminata solo ed esclusivamente per il fatto che era divenuta madre e aveva usufruito del periodo di astensione obbligatorio di maternità. Tale circostanza, tutelata sia nell’ordinamento italiano sia in quello comunitario, si è invece tradotta in un danno per la signora D.R. e la sua progressione di carriera. Ecco perché non poteva che ritenersi illegittimo e quindi nullo il comportamento pregiudizievole messo in atto dall’Amministrazione comunale nei confronti della propria dipendente. Pag. 5 Rassegna giurisprudenziale Demansionamento - Stato di gravidanza della lavoratrice e maternità Discriminazione diretta ed indiretta - Licenziamento illegittimo - Intervento adesivo per ricorso ex art. 8 D.lgs. 196/2000 (così come trasfuso nell’art. 36 del D.lgs. 198/06) della Consigliera Provinciale di Parità - Legittimazione ad agire della Consigliera Provinciale di Parità Verbale di conciliazione in sede giudiziale del 09/05/2008, Tribunale di Torino, P.M. e Consigliera Provinciale di Parità di Torino c. B.I. s.r.l. In fatto. La ricorrente promuove azione giudiziale nei confronti della società B.I. s.r.l. presso cui è impiegata, chiedendo l’accertamento e la declaratoria del demansionamento subìto a far data dal novembre 2004, successivamente al suo rientro dalla maternità, nonché l’illegittimità del licenziamento, con condanna al risarcimento del relativo danno. Nella fattispecie, la lavoratrice era stata licenziata dopo un lungo periodo nel quale, rientrata dal congedo per maternità, era stata assegnata ad una mansione decisamente inferiore rispetto al proprio inquadramento contrattuale. La motivazione addotta dalla società convenuta era da ricercarsi nella soppressione del posto al quale era stata assegnata illegittimamente la signora P.M., a seguito del demansionamento. La Consigliera Provinciale di Parità di Torino è intervenuta in adesione al ricorso della lavoratrice rilevando profili discriminatori in ragione di genere nel comportamento della società convenuta. In diritto. Anche in questa vicenda si ravvisa la violazione delle norme poste a tutela e garanzia della parità di trattamento tra i sessi in materia di occupazione ed impiego. Il concetto di uguaglianza formale (astratta) presume l’utilizzo di trattamenti uniformi, a prescindere dalla diversità dei contesti alle quali si applica; la nozione di uguaglianza sostanziale (concreta) richiede invece per la propria realizzazione, l’utilizzo Pag. 6 di trattamenti differenti, onde rendere uguali situazioni che in origine non lo sono affatto. Appare evidente che, nel caso di specie, la società convenuta ha discriminato la propria dipendente, in primis non riassegnandole il ruolo che ricopriva prima della gravidanza; in secondo luogo, per il fatto che il posto in questione è stato mantenuto in capo alla persona che l’ha sostituita durante il periodo di astensione obbligatoria per maternità, ovviamente un collega maschio. La nozione di discriminazione è definita chiaramente dall’art. 25 del D.lgs. 198/06, Codice delle Pari Opportunità, ove è stato trasfuso l’art. 4 L. 125/91, per cui “costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e comunque il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga” mentre si ha “discriminazione indiretta ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto ai lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purchè l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”. La Consigliera di Parità ha rilevato infatti come tutto il comportamento tenuto dalla società convenuta sia stato discriminatorio (sia discriminazione diretta che indiretta), in quanto non sono mai stati considerati, come la legge impone di considerare, gli eventi gravidanza e maternità e, anche se il comportamento della società stessa potesse apparire neutro, questo in realtà, è stato tale da mettere la lavoratrice, in quanto madre, in una situazione di particolare svantaggio rispetto ai lavoratori sino a provocare la sua espulsione dall’azienda. La vicenda si è conclusa con la conciliazione avvenuta tra le parti di fronte al giudice, per cui è stato previsto un risarcimento alla lavoratrice e l’impegno da parte dell’azienda a diffondere tra tutti i suoi dipendenti il Codice delle Pari Opportunità, consegnandone copia con il listino paga del mese di luglio 2008. Pag. 7 Rassegna giurisprudenziale Licenziamento illegittimo - Stato di gravidanza della lavoratrice e maternità - Discriminazione di genere - Intervento adesivo per ricorso ex art. 8 D.lgs. 196/2000 (così come trasfuso nell’art. 36 del D.lgs. 198/06) della Consigliera Provinciale di Parità Verbale di conciliazione in sede giudiziale del 17/01/2007, Tribunale di Torino, T.V. e Consigliera Provinciale di Parità di Torino c. . A. s.p.a. In fatto. La Dott.ssa T.V. dipendente della società convenuta promuove azione giudiziale nei confronti di quest’ultima poiché, a seguito della comunicazione all’azienda della propria gravidanza, viene licenziata. Anche in questo tipico caso di discriminazione di genere, la Consigliera Provinciale di Parità di Torino interviene adesivamente appoggiando le tesi sostenute dalla lavoratrice In diritto. Il risultato ottenuto dalla Consigliera di Parità è anche in questa vicenda positivo, poiché l’accordo raggiunto in sede di conciliazione avanti al Giudice prevedeva oltre alla corresponsione da parte della società datrice di lavoro di un risarcimento a favore della lavoratrice, anche l’impegno da parte della società stessa ad esporre in bacheca una copia del Codice delle Pari Opportunità. L’evidenza del comportamento discriminatorio ed illegittimo della società convenuta si ravvisa nel licenziamento della dott.ssa T.V. in quanto lavoratrice madre, tra l’altro dotata di alta professionalità. A nulla è valsa la motivazione addotta dalla società convenuta che il licenziamento sia intervenuto per mancato superamento del periodo di prova. La legge vieta il licenziamento della lavoratrice madre nell’arco temporale compreso tra l’inizio della gravidanza e il compimento del primo anno di vita del bambino. Pertanto, il licenziamento comminato in tale periodo di tempo è da considerarsi nullo. Pag. 8 Accertamento di lavoro subordinato e comportamento discriminatorio del datore di lavoro - Congedo per maternità anticipata - Licenziamento - Intervento adesivo per ricorso ex art. 8 D.lgs. 196/2000 Consigliera Provinciale di Parità Tribunale di Torino, 10.06.2005-06.08.2005, n. 3503/03, P.A. e Consigliera Provinciale di Parità di Torino c. S. C. s.r.l. In fatto. La lavoratrice, dipendente della Casa di Cura (...), nel giugno 2003 raggiunge un accordo con la Casa di Cura (...) avente ad oggetto l’assunzione come medico dipendente presso la stessa struttura. Tale assunzione sarebbe dovuta avvenire al termine di un periodo di preavviso di 90 giorni che la lavoratrice doveva assicurare alla Casa di Cura (...). Lo stesso accordo veniva raggiunto anche con una sua collega anch’ella dipendente della Casa di Cura (...). Alla fine del mese di luglio 2003 la Dott.ssa P.A. svolgeva alcuni giorni di attività lavorativa come assistente di reparto di medicina riabilitativa presso la Casa di Cura (...), così come la sua collega. Il 13.10.03, scaduto il periodo di preavviso, la Dott.ssa P.A. iniziava a lavorare a tempo pieno con le caratteristiche proprie del rapporto di lavoro subordinato ma, annunciando altresì la propria gravidanza, le veniva imposto di formalizzare il rapporto di lavoro come collaborazione coordinata e continuativa, mentre la sua collega veniva regolarmente assunta come da accordi iniziali. La Dott.ssa P.A. prestava la propria attività lavorativa sino al 30.01.2004 quando si assentava per maternità. Dopo la nascita della figlia, il 09.09.04 la lavoratrice chiedeva di rientrare sul posto di lavoro ma le veniva opposto rifiuto. La lavoratrice proponeva ricorso al Tribunale di Torino affinché venisse dichiarata la natura discriminatoria della mancata assunzione come dipendente nonché l’esiPag. 9 Rassegna giurisprudenziale stenza di un rapporto di lavoro subordinato e la nullità ed inefficacia del licenziamento. Interveniva in giudizio ai sensi dell’art. 8 D.lgs. 196/2000 la Consigliera Provinciale di Parità di Torino sostenendo che i fatti esposti dalla lavoratrice costituivano violazione degli artt. 1 L. 903/77, 3 L. 108/90, 15 L. 300/70 e che pertanto il Giudice dichiarasse la conseguente illegittimità della mancata assunzione e del licenziamento della Dott.ssa P.A. ordinando la rimozione dei relativi effetti. In diritto. Il Giudice di 1° grado ha accolto le tesi difensive esposte dalla lavoratrice e dalla Consigliera Provinciale di Parità di Torino dichiarando il carattere discriminatorio dei contratti stipulati tra la Dott.ssa P.A. e la S. C. s.r.l. datati 13.01.03 e 2.01.04 e del licenziamento intimatole nel settembre 2004, sostenendo che tra le parti si era costituito un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato già dal 28.07.03. Costituisce infatti condotta discriminatoria ai sensi dell’art. 4, L. 125/1991 (e della L. 903/1977) “qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando anche in via indiretta i lavoratori in ragione del sesso”; tale discriminazione è vietata, per espressa previsione della L. 903/1977, se attuata attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza. L’art. 15, comma 2, L. 300/1970 (come sostituito dalla L. 903/1977 citata) statuisce che i patti o gli atti diretti alla discriminazione di genere sono nulli. Pertanto, nel caso di specie, si configura evidentemente una discriminazione (e quindi i contratti di collaborazione sono nulli) nel momento in cui il datore di lavoro, avendo concluso un accordo per la stipulazione di un contratto di lavoro subordinato e consentendo l’esecuzione medio tempore del rapporto in forma subordinata, venuto a conoscenza della gravidanza della lavoratrice, si rifiuta di stipulare il contratto di lavoro subordinato formalizzando il rapporto già esistente con un contratto di collaborazione professionale. La lavoratrice ha Pag. 10 dunque acquisito il diritto all’inquadramento come assistente medico di fascia A e alla retribuzione lorda mensile corrispondente al ruolo. Il Giudice ha pertanto condannato la controparte a corrispondere alla Dott.ssa P.A. la predetta retribuzione dal 13.10.2003 (data di regolare assunzione) al settembre 2004 (periodo nel quale la lavoratrice aveva chiesto di rientrare sul posto di lavoro). Il Giudicante ha altresì dichiarato la nullità di licenziamento intimato alla ricorrente, ordinando conseguentemente alla S. C. s.r.l. di reintegrare immediatamente la lavoratrice nel suo posto di lavoro. Non solo, il Tribunale di Torino ha infine condannato la controparte al risarcimento del danno in favore della Dott.ssa P.A. nell’importo pari alla retribuzione globale di fatto calcolata in base alla retribuzione mensile netta, al lordo delle ritenute di legge, dal licenziamento alla effettiva reintegrazione, oltre alle spese di causa liquidate per la lavoratrice e per la Consigliera Provinciale di Parità di Torino. Licenziamento - Discriminazione di genere - Intervento adesivo per ricorso ex art. 8 D.lgs. 196/2000 Consigliera Provinciale di Parità Tribunale di Torino, 01.07.2004-07.07.2004, n. 2189/04, F.F. e Z.P. e Consigliera Provinciale di Parità di Torino c. C. p.s.c.g. a r.l. In fatto. Nel marzo 2002, le ricorrenti, redattrici della carta stampata, prestano la propria attività lavorativa alle dipendenze della società convenuta, senza regolare assunzione, in attesa di sottoscrivere un contratto a tempo determinato. In occasione della stipula del predetto contratto, entrambe le ricorrenti vengono costrette a sottoscrivere un impegno con il quale si obbligavano a prestare il proprio assenso a rinunciare ad ogni pretesa dedotta o deducibile discendente dal precedente rapporto di lavoro in nero, sottoscrivendo il relativo verbale di accordo avanti la Direzione Provinciale del lavoro. Pag. 11 Rassegna giurisprudenziale Alla scadenza dei rispettivi contratti, già precedentemente prorogati, ad entrambe le ricorrenti viene comunicato oralmente il licenziamento per scadenza del termine. F.F. e Z.P., essendo le uniche redattrici donne ad essere state licenziate dalla società convenuta, ricorrono all’autorità giudiziaria richiedendo in via principale la declaratoria di nullità del verbale di conciliazione sottoscritto avanti l’Ufficio del lavoro e, tra le altre istanze, la declaratoria di nullità del licenziamento perché determinato da ragioni di discriminazione sessuale. Interveniva in giudizio ai sensi dell’art. 8 D.lgs. 196/2000 la Consigliera Provinciale di Parità di Torino, poiché nella fattispecie era stato violato l’art. 4 della L. 125/91, come modificato dall’art. 8 del D.lgs. 196/00, chiedendo pertanto che alla convenuta fosse ordinato di definire un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. In diritto. Il Giudice del lavoro ha accolto la tesi della Consigliera di Parità Provinciale statuendo che la società convenuta si impegnasse a pubblicare un’intervista divulgativa riguardo al ruolo e alla funzione della Consigliera di Parità stessa. Difatti, sia il comportamento tenuto dalla convenuta sia la percentuale di donne confermate al termine del contratto a tempo determinato integrano un esempio di discriminazione ai sensi dell’art. 1 della Legge 09/12/1977 n. 903 e della L. 125/91, come modificata dal D.lgs. 196/00, nonché di violazione dei principi di parità tra uomini e donne, ribaditi dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. In base all’art. 8 del D.lgs. 196/00 costituisce “discriminazione” qualsiasi atto o fatto o comportamento che produca effetto pregiudizievole discriminando anche in via indiretta le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso. Il comma 6 della succitata norma statuisce: “Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto - desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti – idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, fatti o comportamenPag. 12 ti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione”. Nel caso di specie, le ricorrenti hanno indicato molteplici circostanze che hanno fornito, in termini precisi e concordanti, la presunzione legale dell’esistenza di atti discriminatori per ragioni di genere e di violazione dei principi di parità tra i sessi: la società convenuta, ad esempio, aveva addotto quale motivazione del licenziamento il fatto che le due redattrici, in qualità di giornaliste professioniste, sarebbero “costate troppo” assumendo però poi altri due dipendenti maschi con la stessa qualifica; inoltre, il Direttore aveva assunto nei confronti di una delle due ricorrenti un comportamento gravemente molesto (con frasi ed allusioni volgari), al punto di dover sottoscrivere persino una lettera di scuse. L’art. 3 c. 3 del D.lgs. 216/03 in attuazione della Direttiva CE 2000/78 per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro ha sancito: “Sono altresì considerate come discriminazioni, ai sensi del c. 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per uno dei motivi di cui all’art. 1, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”. Intervenendo conciliazione giudiziale, il Giudice dichiarava la cessazione della materia del contendere. Pag. 13 Rassegna giurisprudenziale Licenziamento illegittimo - Violazione degli artt. 3 e 37 della Costituzione - Violazione dell’art. 1 L. 903/77, dell’art. 3 L. 108/90, dell’art. 4 L. 604/66, dell’art. 15 L. 300/70 - Violazione della L. 53/2000 e del D.lgs. 151/01 - Violazione dell’art. 4 della L. 125/91 come modificato dall’art. 8 del D.lgs. 196/00 - Intervento adesivo per ricorso ex art. 8 D.lgs. 196/2000 Consigliera Provinciale di Parità Verbale di conciliazione in sede giudiziale del 19/05/2003, Tribunale di Torino, B.P. e Consigliera Provinciale di Parità di Torino c. . S. s.r.l. In fatto. La signora B.P., assunta nel 1998 con contratto di apprendistato presso la società convenuta, nel mese di gennaio 2001 comunicava alla datrice di lavoro la propria gravidanza. Rassicurata dall’azienda sull’intenzione di confermare il suo ruolo all’interno dell’organico, posto che il contratto di apprendistato scadeva nel mese di giugno 2002, al rientro dalla maternità la ricorrente non veniva assunta. La sig.ra B.P. seppe però che la . S. s.r.l. già nel mese di marzo 2002 si era attivata per ricercare nuovo personale da adibire, a tempo indeterminato, alle stesse mansioni espletate dalla stessa. La ricorrente si rivolgeva quindi alla Consigliera Provinciale di Parità, la quale interveniva adesivamente nel giudizio intrapreso dalla lavoratrice contro la . S. s.r.l. In diritto. L’art. 3 della Costituzione codifica per la prima volta il principio di uguaglianza e di pari dignità sociale “senza distinzione di sesso”. Da tale norma generale deriva, per il datore di lavoro, il dovere di rispettare il principio di uguaglianza professionale tra i lavoratori e le lavoratrici dipendenti della sua azienda. L’art. 37 della Costituzione oltre a sancire il diritto della donna lavoratrice ad avere gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore, Pag. 14 impone che le condizioni di lavoro della donna debbano consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre ed al bambino una speciale adeguata protezione. L’impresa deve pertanto promuovere ed assumere iniziative volte a realizzare concretamente le parità tra i sessi e nel caso di specie, la mancata conferma della lavoratrice nel suo ruolo al rientro dal congedo per maternità, configura un comportamento esattamente contrario a tali principi, integrante pertanto una violazione delle suddette norme. Le leggi 108/90, 604/66 e 300/70 considerano nullo il licenziamento quando sia determinato, tra l’altro, da ragioni di sesso e ciò indipendentemente dalla motivazione in concreto adottata dal datore di lavoro. Il licenziamento della lavoratrice da parte dalla . S. s.r.l. non può quindi che considerarsi illegittimo, posto che è stato intimato intenzionalmente (visto che era già stata attivata mesi prima una ricerca di nuovo personale) al rientro dal congedo per maternità. Infatti, a norma dell’art. 54 del D.lgs. 151/01, il licenziamento è nullo quando è ugualmente intima to durante il periodo di tutela legale. Il caso si è risolto con la conciliazione tra le parti, con l’impegno della società convenuta di corrispondere un risarcimento alla signora B.P. e consentire alla Consigliera Provinciale di Parità l’accesso in azienda con lo svolgimento di un’assemblea sui temi della parità e della tutela della maternità. Pag. 15 Rassegna giurisprudenziale Congedo per maternità - Rifiuto richiesta part-time - Discriminazione di genere - Violazione del D.lgs. 61/00 - Violazione dell’art. 1 L. 903/77 - Violazione della L. 53/2000 e del D.lgs. 151/01 - Violazione dell’art. 4 della L. 125/91 come modificato dall’art. 8 del D.lgs. 196/00 - Intervento adesivo per ricorso ex art. 8 D.lgs. 196/2000 Consigliera Provinciale di Parità Verbale di conciliazione in sede giudiziale del 29/01/2003, Tribunale di Torino, E.P. e Consigliera Provinciale di Parità di Torino c. E. s.p.a. In fatto. La sig.ra E.P., dipendente assunta a tempo indeterminato presso la società convenuta, a seguito della nascita del secondogenito chiede al proprio datore di lavoro la riduzione dell’orario da full-time a part-time, che però le viene negata. Anzi, alla stessa lavoratrice viene mutato in pejus il predetto orario poiché da continuato viene modificato in turni alternati. La Consigliera Provinciale di Parità di Torino riceve segnalazione del caso dal Sindacato SLC-CGIL e decide di intervenire adesivamente nel procedimento ex art. 700 c.p.c. promosso dalla lavoratrice nei confronti della E. s.p.a. , affinché venga dichiarata l’illegittimità del comportamento della società convenuta con conseguente rimozione degli atti discriminatori. In diritto. Il D.lgs 61/00 attuativo della Direttiva europea sul lavoro a tempo parziale ha lo scopo di tutelare e di incentivare l’esercizio dell’attività lavorativa in tale forma. In particolare, l’art. 5 stabilisce che il rifiuto del datore di lavoro alle domande di trasformazione a tempo parziale del rapporto dei dipendenti a tempo pieno debba essere adeguatamente motivato. Nel fattispecie, la società convenuta non ha affatto fornito alla lavoratrice una motivazione adeguata al suo rifiuto di modifica dell’orario da full-time a part- Pag. 16 time (“le ragioni erano e sono esclusivamente legate a procedure di lavoro interne e, quindi organizzative”), soprattutto se si considera che la società ha un organico di circa 70 dipendenti di cui alcuni assunti part-time. Il comportamento aziendale illecito si evince anche dalla violazione dell’art. 1 L. 903/77 che statuisce che la discriminazione è vietata anche se attuata attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza. Quindi la modifica dell’orario da continuato a turni alternati ad una lavoratrice madre di due bambini piccoli, rientrata da congedo di maternità, senza giustificazione adeguata configura un atto discriminatorio e dunque illecito. Le norme in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità prevedono infatti che al rientro del periodo di congedo la lavoratrice o il lavoratore abbiano il diritto di essere adibiti alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti; ciò per non aggravare la gestione della vita familiare in una fase delicata e complessa della propria vita. Pertanto, l’aver mutato illegittimamente la posizione lavorativa della ricorrente non solo di orario ma altresì di ruolo (dall’attività in laboratorio a quella in produzione) deve essere considerata una violazione delle norme sulla tutela e sostegno della maternità. La legge sulle azioni positive per la realizzazione della parità tra i sessi nel lavoro ed il successivo decreto legislativo che disciplina l’attività delle Consigliere e dei Consiglieri di Parità stabilisce che qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando anche in via indiretta le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso, costituisce discriminazione ai sensi della L. 903/77. Rientra in tale definizione anche il trattamento pregiudizievole derivante dall’adozione di criteri in sé apparentemente neutri ed imparziali ma che si ripercuotono in maniera differente a causa della specificità (qui la lavoratrice al rientro dal congedo per maternità) rispetto alla maggioranza degli appartenenti ad un genere. La vicenda si è conclusa con una conciliazione tra le parti, che ha visto la ricorrente rassegnare le sue dimissioni a fronte di un riconoscimento da parte della società convenuta di un risarcimento del danno biologico. La Consigliera Provinciale di Parità ha concordato con la E. s.p.a. l’impegno a convocare in azienda un’assemblea sulla tematica dei congedi parentali e sull’istituzione della Consigliera di Parità. Pag. 17 Rassegna giurisprudenziale Ufficio della Consigliera di Parità della Provincia di Torino via Maria Vittoria 12 - 10123 - Torino tel. 011/8612771 - 2749 e-mail: [email protected] www.consiglieraparitatorino.it www.provincia.torino.it Marzo 2010