Bella [TERESA BRACCIO] Bella è un film tutto è costruito attraverso musiche, dialoghi e tinte forti come sono forti gli affetti descritti. Ed è proprio il cuore che grida esortando a prendersi cura dell’altro e non distruggere la vita che esplode dentro. Regia di Alejandro Monteverde, Stati Uniti (2006), 2009 Durata: 89'. Con Eduardo Verastegui (José), Tammy Blanchard (Nina), Manny Perez (Manny), Ali Landry (Celia), Angelica Aragon (madre di José), Jaime Tirelli (padre di José), Ramon Rodriguez (Eduardo), Ewa Da Cruz (Veronica), Alexa Gerasimovich (Lucinda). Giudizio del Centro Nazionale Valutazione film della Conferenza Episcopale Italiana: Consigliabile/poetico Tematiche: Aborto; Famiglia - genitori figli; Lavoro Note: Primo Premio al Fiuggi Family Festival; Premio latino “Smithsonian Latino Center”; People’s Choice Award” del Festival di Toronto; Premio Madre Teresa di Calcutta Il film José, ex giocatore e grande promessa del calcio, vive a New York facendo il cuoco nel ristorante di suo fratello Manny. Nello stesso locale lavora come cameriera anche Nina, una ragazza piena di sogni ma con grandi problemi: sola, abbandonata dal fidanzato e aspetta un bambino. José vuole aiutarla anche per ridare un significato alla sua esistenza e distruggere gli spettri del passato che lo perseguitano. Il giorno in cui Nina viene licenziata per un banale ritardo, egli si schiera dalla sua parte e decide di accompagnarla a casa parlando con lei dei suoi problemi. Nina confessa così di aspettare un bambino ma, non avendo un futuro da offrire al figlio, vuole interrompere la gravidanza. L’uomo si impegna a prendersi cura personalmente del bambino e questo impegno sarà per lui un’occasione propizia per dare un corso nuovo alla sua vita e lasciare da parte quel senso di colpa che lo accompagna inesorabilmente da tanti anni. José aveva abbandonato la sua carriera sportiva dopo aver travolto e ucciso, con la sua automobile, una bambina che attraversava la strada. Con Nina si presenta per lui l'occasione per un riscatto sociale e morale. Nel suo cuore il rimorso lascia il posto alla solidarietà e, per far cambiare idea alla ragazza, la porta nella casa dei suoi genitori dove viene accolta con spontaneità e comprensione. Nina scopre così che il legame che tiene unite le persone non è tanto la realizzazione di sé, ma la gioia e la gratitudine per ciò che la vita ha riservato ad ognuno. Per riflettere dopo aver visto il film Bella, opera prima del messicano Alejandro Monte Verde, è un film da seguire con uno sguardo libero e indulgente. Il racconto narra di un sentimento profondo in bilico tra un passato che non è possibile cancellare e un presente faticoso mitigato solo da quei sentimenti che penetrano nell’intimo più profondo senza fermarsi in superficie. La storia si svolge nell’arco di una giornata a New York, interrotta da ricordi nitidi del passato (flash back) e sogni proiettati nel futuro (flash forward). Immagini e prospettive guidano lo spettatore in un percorso lineare tra sofferenza e consolazione. Tutto è costruito attraverso musiche, dialoghi e tinte forti come sono forti gli affetti descritti. Le scene iniziali e finali si aprono e si chiudono sulla spiaggia, una superficie mutabile e instabile, su cui si fatica a tenere il passo. Anche la vita come la spiaggia è disseminata di ostacoli, solo accogliendo quelli degli altri si possono superare i propri. Il regista segue il corso degli avvenimenti senza caricare di eccessiva verbosità i dialoghi. Attraverso una narrazione sobria e concisa, afferma il valore della vita percorrendo un cammino di rigenerazione. La storia di José, dalla caduta al riscatto, è convincente e persuasiva. Il tunnel, nel quale era precipitato a causa di una esistenza che aveva contribuito a spezzare, si apre a una lenta e faticosa risalita nell’impegno di proteggere una nuova vita che chiede di essere accolta. Una possibile lettura «Mia nonna - rievoca José sulla sabbia - diceva sempre: “Se vuoi far ridere Dio, raccontagli i tuoi progetti”». Con grande semplicità e senza artifici, il regista si schiera da parte del debole affermando che ci sono momenti in cui la lucidità della ragione non basta, bisogna far cantare il cuore. In questo film è proprio il cuore che grida esortando a prendersi cura dell’altro e non distruggere la vita che esplode dentro. Anche un povero peluche può diventare un segno di speranza: “Ha perso i sensi, ma sopravviverà”. Sono queste le parole con cui José si rivolge a Nina restituendogli l’orsetto perduto. Gli eventi che sconvolgono l’esistenza dei protagonisti portano a una riflessione profonda sul valore della vita. Una specie di metafora del dolore che attanaglia le scelte della donna a cui José offre amicizia e solidarietà. Il film è come un piccolo mosaico, in cui troviamo tutti i problemi che si dibattono sul tema della vita, incastonati negli anfratti della nostra caotica quotidianità: paura, solitudine, vita, morte, amore, amicizia, famiglia. Difficoltà che portano molte volte allo scoraggiamento ma che il film, al contrario, capovolge lanciando un chiaro richiamo di speranza. Bella! È l’espressione con cui si chiude il film; l’aggettivo con cui una bambina apostrofa Nina; ma è anche l’attributo unico che ogni figlio rivolge alla propria madre e che ogni donna vede riflesso nella propria creatura. “Bella” e il trionfo dell’Amore di Isacco Tacconi Pare proprio che l’osteggiata pellicola “Bella” sia finalmente entrata a far parte delle programmazioni RAI. Il film prodotto nel 2006 dalla casa cinematografica messicana “Metanoia” (che significa “conversione”), è un autentico gioiello sia dal punto di vista della semplice considerazione tecnica (fotografia, sceneggiatura, realizzazione eccL) ma anche e soprattutto dal punto di vista contenutistico. La storia narra il dramma di un giovane, astro nascente del calcio, con un futuro ricco di aspettative in seguito ad un contratto con un importante club, che per una distrazione al volante in un momento di euforia, investe ed uccide una bimba. Il giovane calciatore, l’attore messicano Eduardo Verasteguì, che oltre ad essere protagonista è anche coproduttore del film, segnato dalla terribile esperienza, fugge il suo passato, tormentato dal rimorso, in cerca del perdono e della redenzione che troverà nell’opportunità offertagli di salvare una vita innocente. Il film lungi dall’essere un polpettone catechetico, risulta essere un realistico ritratto del dramma della sofferenza umana. La storia infatti, che è ispirata a fatti realmente accaduti, tocca il cuore degli spettatori che in qualche modo vengono interrogati sul senso della propria vita, sulla sua fragilità e al contempo della sua preziosità che la rende unica e irripetibile, nonostante le sofferenze che sferzano l’esistenza di ogni essere umano. Bellissima e di una profondità sfuggente, la frase inquadrata in un fotogramma del film, che un cieco mendicante lungo le strade di New York espone su un pezzo di cartone : “Dio mi ha chiuso gli occhi, ora ci vedo”. Questa dichiarazione rivela la fiduciosa accettazione del male fisico inquadrato nell’ottica della provvidenza divina, che tutto dispone per il bene. Ma anche la limitatezza della comprensione umana che non vede al di là del proprio naso, al di là dell’immediatezza degli eventi, incapace di scrutare il futuro, se non attraverso uno sguardo soprannaturale che soltanto la fede può offrire. Altra cosa interessante e, a parer mio di gran merito, che contribuisce a dar valore al film, è la totale assenza di qualsiasi riferimento religioso, a parte il sopracitato, che lo pone al di sopra di ogni sospetto. Nonostante Eduardo Verasteguì in seguito ad una forte conversione sia diventato un cattolico osservante e prodigo nel campo dell’apostolato grazie appunto a questa nuova casa cinematografica da lui fondata la “Metanoia”, non ha voluto inserire nella pellicola espliciti rimandi alla fede. Ha infatti preferito lavorare su un piano se vogliamo più sottile e a mio avviso più complicato, che è quello della riflessione interiore, cercando di suscitare le domande nello spettatore, e suggerendo quasi come un sussurro all’orecchio, la risposta. In maniera molto delicata, entrando in punta di piedi nel cuore dell’uomo, si può far breccia anche negli spiriti più induriti. Infine la freschezza e la limpidezza che questo piccolo capolavoro lascia negli occhi di chi lo guarda, sopperisce a quei seppur brevi momenti in cui il film sembra perder lena e coinvolgimento. Una vera celebrazione dell’amore, del Vero amore, quello che non appassisce neanche nella vecchiaia, quando invece la bellezza esteriore avvizzisce. Una celebrazione della famiglia, dell’amicizia, una festa di colori e di immagini edificanti alle quali siamo sempre meno abituati, e che per questo danno luce agli occhi. Un dipinto di emozioni semplici e spontanee, ma anche di temi così intimi e profondamente radicati nell’animo umano che nella sua produzione e il suo sviluppo, ha affermato Verasteguì :“ha cambiato la vita di molte persone, inclusa la mia”. Avulso da ogni moralismo, il film non pretende porsi come da molti è stato definito un manifesto “antiabortista”, di questo il team della produzione e il regista, molto astutamente, non hanno mai parlato. Evidentemente prevedevano le difficoltà che una tale pellicola avrebbe incontrato nella distribuzione e proiezione, dinanzi al veto delle lobby abortiste, e ad attestarlo è il semplice fatto che nonostante il cast e la bravura degli attori questo film sia sbarcato in Italia soltanto sei anni dopo la sua uscita, e solo sul piccolo schermo! Qualcuno di voi lo ha visto al cinema? E questo pare essere lo stesso burrascoso destino dell’altra pellicola, sempre targata “Metanoia”, intitolata “Cristiada”, ancora in cerca di un distributore europeo, la quale racconta il massacro dei messicani cattolici negli anni trenta del '900 da parte del governo massonico messicano sostenuto e foraggiato dagli Stati Uniti. Non esattamente ciò che definiamo un film politically correct. Perciò aspettando l’uscita di quest’altro film, che si preannuncia piuttosto succoso, godiamoci a casa in famiglia questa “Bella” pellicola, nella quale indubbiamente viene toccata la tematica della tutela della vita nel ventre materno, ma l’immagine riprodotta è ben più ampia, e le sfumature che ne derivano mettono in evidenza il cuore pulsante del film: l’Amore, in tutte le sue forme. Perciò in definitiva si potrebbe definire “Bella” come una celebrazione della Vita e quindi dell’Amore, che, auspica il produttore, “possa lasciare coloro che lo guardano con un senso di gratitudine” per tutto quello che hanno ricevuto, in primis la vita stessa, e in essa tutto il patrimonio di esperienze nel bene e nel male.