SAN GIUSEPPE
La dignità del lavoro
viene prima di tutto
GIANCARLO BREGANTINI
alfabeto della vita ci propone
oggi la figura del papà. E lo fa
con delicatezza così come stanno
spuntando i primi germogli che
annunciano l'arrivo della primavera.
E lo fa ricordando le mani,
dolcissime e ferme di un papà
amorevole e speciale, che ha
cresciuto un figlio speciale. Si tratta
di Giuseppe di Nazaret, quel
falegname, un uomo semplice.
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Un lavoratore onesto, di cui si è fidato
proprio Dio. Il 19 marzo è la sua festa. E
in essa, la festa di ogni papà.
Una figura che parla di tre cose: la
gratuità nelle relazioni, la dignità nel
suo lavoro e la forza contro il male. Cioè
la qualità fondative di ogni papà, ieri e
oggi. Giuseppe infatti è padre, ma non
genitore, nel senso che si è preso cura
di quel bambino di nome Gesù, pur non
generandolo. In questo è bello leggere
una gratuità portante e influente, che
nasce da chi si lascia conquistare dalla
vita. E la protegge, la difende ad ogni
costo. Il cammino della vita ha le sue
relazioni, nella certezza che sono
proprio le relazioni gratuite la ricchezza
maggiore nella nostra vita quotidiana.
Giuseppe di Nazaret lo ricordiamo, così,
per quelle sue mani che modellavano il
legno, fino a renderlo strumento di vita.
Ma ancora di più, le sue sono mani che
hanno accarezzato e difeso lo stesso
Gesù. Il mestiere che svolgeva Giuseppe
lo ha reso indubbiamente un uomo di
grande pazienza e di vera semplicità. Un
uomo che ha amato quel che faceva,
che volentieri accosto ai tanti papà che
si dedicano con serietà al proprio
impegno, per educare i propri figli al
lavoro, così come ha fatto Giuseppe con
Gesù, quando se lo portava con sé nella
bottega e gli spiegava come
ricavare, da un pezzo di legno
capolavori utili e raffinati. Certo,
non mancavano allora e non
mancano oggi situazioni difficili,
stagioni di paura. Tanti giorni
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anche Giuseppe li avrà vissuti,
infatti, nella precarietà di una
bottega vuota. Oppure avrà
trepidato nel giorno in cui il
pagamento pattuito tardava ad arrivare.
Come tanti artigiani, oggi, nelle nostre
contrade, in Trentino come in Molise.
Con la stessa dolcezza e drammaticità.
Ma Giuseppe ci insegna il segreto per
affrontare proprio quei giorni difficili e
quelle ore di ansia: nella corsa della vita
non deve mai mancare lo sguardo verso il
cielo. È vitale questo passaggio perché in
tutto ciò che fai, tu reggi solo se sei
capace di capire il perché lo fai, non
soltanto come lo fai. È il gioco della meta.
Perché, è chiaro che, se hai una meta, hai
anche una strada da percorrere. Da una
parte c'è l'apertura verso questa
meta, dall'altra è importante
sapersi orientare verso di essa.
«Cammina bene solo chi sa dove
andare» mi raccontava sempre,
con la puntualità dei suoi proverbi,
mia mamma Albina. E mi sento di
rivolgere questo saggio consiglio
in particolare alla nostra Politica,
per il fatto che la strada verso la
riforma del lavoro (e in essa l'attenzione
all'articolo 18) sta ponendo davanti
questioni di grande rilevanza sociale e
culturale.
E dico subito che ciò che conta è riuscire a
tutelare fino in fondo i lavoratori, i senza
lavoro e chi si sta formando per un
mestiere specifico. Questo è il cuore del
riformare. Un ramo è l'articolo 18 che non
va tagliato, ma esteso. Cioè è urgente
trovare, anche alla luce della figura di san
Giuseppe, tutti quegli strumenti che
possano aiutare a dare sicurezza e dignità a
chi lavora, specie ai giovani.
Dignità: questo è il nocciolo. Non tanto
una difesa estrema garantistica. Ma una
bellezza che riempie il cuore e permette ai
nostri ragazzi di guarda lontano, oltre la
siepe della paura e della precarietà. Per
potersi formare anche loro una bella
famiglia. Come quella di Nazaret.
Questo deve essere il contenuto dei
provvedimenti, che speriamo possano
essere presi in forma condivisa. Ma
soprattutto vera e concreta. Con
un'osservazione che parte dello stile di
Giuseppe nella sua gratuità, dignità e forza:
tener ben presente il valore della
domenica, come spazio per l'uomo e per la
sua famiglia, perché da qui passa il
recupero del valore antropologico del
lavoro, come tempo per la vita e per la
famiglia.
E concludo guardando ancora una volta a
quel ramo fiorito che la tradizione mette
nelle mani di Giuseppe. Fiorito come la
primavera. Lo mette perché vede in esso
l'impossibile che può diventare possibile
con la forza di Dio. Lo mette perché la
gratuità delle relazioni è il valore più
grande e più autentico di ogni altra cosa. E
Giuseppe è stato un uomo di relazioni. A
cominciare dallo sguardo verso Maria.
Quelle relazioni che ti fanno sentire
protetto, amato, cioè protagonista della
storia, sempre inedita, che Dio ti ha
affidato proprio perché si fida di te, come
se è fidato di Giuseppe.
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