Pre,0:S Materie predicabili (Pre) Classe VI Opuscoli, scritti e sussidi di materie predicabili Pre,2305a:S Brevi discorsi sulle qualità e perfezioni di N.S.G.C. Manoscritti originali di P. Lanteri AOMV, S. 2,11,1:305a Pre,2305a:T1 Jesus admirabilis Vorrei poter almeno indicare i titoli principali per i quali Gesù è ammirabile, ma neppur questo io potrei – mi è fattibile – perché ovunque si fissi lo sguardo, o alla sua persona o alle sue azioni o alla sua origine, dappertutto si trova mirabile. Egli è mirabile per il complesso d'unione della Divinità con l'Umanità, incomprensibile a mente Angelica nonché umana (incomprensibile come l'immensità si racchiude in un corpicciuolo umano, la sua eternità colla sua vita temporale, l'onnipotenza colla debolezza ond'è che estatica canta la Chiesa); perciò O admirabile commercium canta la S. Chiesa. Egli è mirabile per le sue perfezioni divine, mirabile per la sua Onnipotenza, poiché egli creò l'Universo; mirabile per la sua Sapienza e Bontà, poiché egli lo conserva e provvede. Mirabile in tutte e ciascuna delle sue opere della natura, poiché in tutte compaiono i suoi attributi. Mirabile nelle sue virtù, poiché egli è lo specchio ove risplendono tutte in grado eminentissimo. Mirabile nelle sue opere miracolose: cæci vident etc. Mirabile nel suo amore, come si vede nell'istituzione dei Sacramenti, massime della Ss. Eucaristia. Mirabile nei suoi Santi. Mirabile nella sua Gloria. J.S.S. Non finirei, se additassi solo i titoli per cui è Santo, onde finisco. Pre,2305a:T2,1 Jesu obœdientissime miserere mei Con ragione dobbiamo riconoscere ed onorare Gesù come il più obbediente di tutti, poiché la fede c'insegna che da tutta l'eternità egli fu sempre obbediente all'Eterno Padre, poiché da tutta l'eternità accettò la sua Missione e il suo annientamento che doveva seguire nella sua Incarnazione, Passione e Morte; ond'egli da tutta l'eternità diceva all'Eterno Padre: sacrificium et oblationem noluisti, aures autem perfecisti mihi, tunc dixi ecce venio. In capite libri scriptum est de me ut facerem voluntatem tuam: Deus meus volui et legem tuam in medio cordis mei, ed è per questo che si faceva chiamare dai Profeti e si chiamava se stesso Missus a Patre; per questo che S. Giovanni nell'Apocalisse lo dice: agnus occisus ab origine mundi. Né solo per tutta l'eternità avanti la sua Incarnazione, ma in tutto il tempo di sua vita temporale l'Obbedienza fu la virtù caratteristica di Gesù Cristo. Infatti, venne al mondo nel tempo stabilito dal Padre, nacque, abitò e morì nei luoghi, nei tempi, nei modi stabiliti dal Padre, come l'istoria della sua vita ce l'insegna, né egli aveva altro in vista che la volontà del Padre suo; chiamandola questa suo cibo e suo nutrimento. Neppure le stesse cose che sapeva essere secondo la volontà del Padre suo, le voleva fare, se non al tempo destinato dal Padre; per questo leggiamo che diceva così sovente nondum venit hora; più per darcene esempi di atti, i più eroici di questa virtù, permise nell'orto che la parte inferiore si ribellasse e sentisse tutta la difficoltà e tutto il peso dell'Obbedienza a segno di sudare sangue per l'orrore e la ripugnanza con eroica costanza, ma egli null' altro ripeteva che “non sicut ego volo, sed sicut tu”, “non mea, sed tua voluntas. Surgite eamus”. Finalmente egli fu obbediente fino alla morte, e morte di croce, e poté dire con tutta verità quelle ultime due parole: consumatum est, che indicano tutta la perfezione della sua obbedienza. Pre,2305a:T2,2 Né solo a Dio Padre fu obbediente, ma anche ai suoi parenti terreni, ad una povera vergine, ad un povero legnaiuolo, di modo che tutta la sua vita per trent'anni si riduce a queste tre mirabili parole: Et erat subditus illis. Finalmente portò la sua Obbedienza fino ad obbedire a giudici iniqui ed ingiusti perfino ai suoi crocefissori. Né contento di obbedire da tutta l'eternità e in tutto il tempo di sua vita temporale, ancor ora dà prove singolari di obbedienza nel Ss. Sacramento dell'Eucarestia e in tutti gli altri Sacramenti, nei quali alla semplice voce di un Sacerdote, talvolta anche peccatore, ubbidisce prontamente o con scendere dal Cielo o con applicare i meriti della sua Passione. Un'obbedienza tale viene insegnataci da Gesù Cristo a nostra istruzione e vantaggio, poiché l'obbedienza è la somma dell'abnegazione cristiana, contenendovi il sacrificio di tutto l'uomo, cioè del suo intelletto e della sua volontà. Ella è inoltre come la pratica dell'umiltà, la quale consiste appunto nel sottomettersi ad ogni minimo cenno della volontà di Dio, le quali appunto sono le due virtù principali di chi vuole seguire e imitare Gesù davvero. Pre,2305a:T3,1 Jesu Bonitas infinita, miserere nobis Quanto è consolante e fecondo il presente argomento della bontà infinita di Gesù, altrettanto mi rincresce di non avere né il tempo né la capacità di svilupparlo, tanto meno poi quel sentimento necessario per gustare abbastanza e far gustare un simile argomento; indicherò ciononostante alcuni punti che ci possono aiutare a formarci una qualche idea d'una così grande bontà di Gesù Cristo Redentore nostro. E primieramente io dico che la bontà così grande e multiplice che troviamo in tante e così belle e così utili creature che vi sono nell'Universo, potrebbe già ingerirci qualche idea della bontà di Gesù Cristo; ma siccome non vi è paragone tra la bontà naturale delle creature con la bontà da Dio comunicata ai suoi Santi nell'ordine di grazia, perciò tratteniamoci piuttosto a prendere da questi una qualche idea della bontà di Gesù Cristo. Noi sappiamo quanto erano buoni i Santi, come era dolce il conversare con essi; come cercavano ansiosamente e s'adoperavano in ogni modo a comunicare anche agli altri la loro bontà. Immaginatevi pertanto la bontà e dolcezza somma di S. Francesco di Sales, la bontà e l'impegno di comunicare agli altri questa loro bontà in S. Francesco d'Assisi, in S. Ignazio, in S. Francesco Saverio. Richiamate ancora alla mente quanti Santi mai conoscete, insigni in bontà e in dolcezza, in affabilità, in zelo dell'altrui bene. Paragoniamoli tutti assieme con Gesù Cristo: non è che una goccia di bontà in paragone del mare. Pre,2305a:T3,2 Paragoniamo ancora la bontà di Gesù Cristo colla bontà degli Angioli e beati del cielo, giacché il menomo grado di bontà nell'ordine di Gloria supera il massimo grado di bontà nell'ordine di grazia. Uniamoli pure tutti gli Angeli, i beati insieme e siamo pur certi che anche tutta quella bontà inenarrabile che ne risulterebbe non è che un raggio in paragone del sole, se noi la paragoniamo alla bontà di Gesù Cristo, e di Gesù Cristo anche considerato soltanto nella sua umanità, essendo l'umanità di Gesù Cristo quel mezzo che prescelse Iddio principalmente per manifestare in maniera affatto incomprensibile ed inesplicabile la sua infinita bontà. Anzi, essendo l'umanità di Gesù Cristo la sola sorgente, il solo principio, l'unico mezzo per cui si comunicò in tutte le altre creature la sua bontà, appunto come il sole è il principio e il mezzo per cui i corpi tutti ricevono e la loro bontà e la loro bellezza. Che se così è dell'umanità di Gesù Cristo, che sarà della sua divinità? Se la sua anima è così ripiena di bontà, che sarà della sua divina persona? Noi sappiamo infatti che Gesù Cristo è il Figliuolo di Dio generato ab æterno dal Padre, cui il Padre comunicò tutta la sua essenza, tutti i suoi attributi, tutta la sua perfezione; in conseguenza tutta la sua bontà; epperò la sua bontà non dobbiamo chiamarla solo inconcepibile, inesplicabile, ma a tutto rigor di termini infinita. Pre,2305a:T3,3 Egli dunque è un abisso fontale di Bontà che non solo contiene eminentemente e in modo perfettissimo ogni bene che si trova nelle creature ma ogni bene ancora immaginabile, e ogni bene immaginabile non solo dagli uomini e dagli Angeli, ma da Dio stesso. Ciò posto, non più tanto mi meraviglio qualora vedo Gesù Cristo infinitamente umile in una stalla, infinitamente umiliatosi sulla Croce in mezzo a due ladroni, Gesù Cristo fattosi per noi cibo e bevanda; Gesù Cristo non sprezzare chi lo sprezza, non offendere chi l'offende, ma anzi, offrendosi lui vittima per i suoi nemici, morire, per dire così, ai piedi dei suoi nemici per dar loro la vita, poiché avendo ricevuto, come Figliuolo di Dio e come uomo, una bontà senza limiti e senza termine infinita e infinitamente infinita, il suo cuore soffre in certo modo se non si comunica ancora a noi, e noi solleviamo il suo cuore se accettiamo la sua grazia; né possiamo fare a Gesù Cristo cosa più accetta di questa. Resterebbe ora a dire qualche cosa del modo di rendersi capace delle sue grazie, ma mancandomi il tempo, lo accennerò appena: conviene in primo luogo ubbidire allo Spirito Santo che ci comanda di sentire de Deo in bonitate, approfondire sovente nell'orazione un tale argomento e predicarlo a tutti; conviene in secondo luogo avere in Gesù Cristo tutta la fiducia, la quale in sostanza, non è altro che una testimonianza pratica che crediamo Gesù Cristo veramente buono e buono senza limiti, cioè infinitamente; conviene in terzo luogo amarlo il più intensamente che si può, perché l'amore è quello che veramente unisce il soggetto che ama all'oggetto amato, anzi può dirsi che già lo fa possedere, e che tanto se ne possiede quanto si ama. Jesu Bonitas infinita, miserere nobis! Pre,2305a:T4 Jesu fortitudo Martyrum, miserere nobis La fortezza consiste nella fermezza d'animo: questa è necessaria in tutte le cose ardue e difficili, come nella pratica della virtù. Il peccato originale ci ha lasciati propensi al male, pigri alla virtù. Abbiamo dunque bisogno di resistere a questa cattiva propensione e di incoraggiarsi a praticare il bene, ed ecco l'officio della fortezza cristiana. Abbiamo dei nemici interni che sono le nostre passioni che ci portano al male e ci rendono difficile il fare il bene: conviene superarle. Abbiamo dei nemici esterni: il demonio, gli uomini; conviene disprezzare le suggestioni di quello, le dicerie, i rispetti umani di questi; ed ecco appunto la fortezza cristiana in nostro soccorso per moderare questi nostri vani timori, per accrescere il nostro coraggio a tempo e luogo, per renderci forti, robusti, stabili a praticare il bene; ed ecco la fortezza cristiana necessaria per tutti: ma dove prenderemo questa fortezza e stabilità? In Gesù Cristo solo. Jesu fortitudo, miserere nobis. Gesù è quegli che disse a S. Paolo sufficit tibi gratia mea; e che dice a tutti confidite, ego vici mundum, uniti a Gesù possiamo tutto, separati da Gesù siamo come un tralcio separato dalla vite, buono a a niente. Diciamo poi Gesù fortitudo Martyrum, perché se Gesù è necessario a tutti per praticare la virtù, anzi è l'istessa forza con cui la pratichiamo, tanto più dobbiamo chiamarlo fortitudo martyrum, perché tra gli atti più difficili viene numerato il martirio, che è confessare la fede a dispetto di tutte le difficoltà come della perdita di tutti i beni, in mezzo a tutti i tormenti, anche con la morte alla gola. Ora ognuno vede quanta fermezza vi bisogni per queste. Ognuno vede se l'umana debolezza potrebbe resistere a tali difficoltà? E in conseguenza quanto sia qui necessaria la fortezza cristiana, e come appunto qui più che mai Gesù sia stato evidentemente la loro fortezza? Poiché Gesù era il motivo del loro martirio, l'esemplare della loro pazienza, e la loro stessa forza, poiché finché si erano uniti a lui colla fede, colla carità erano invincibili, all'opposto se venivano a separarsi da lui col mancare a queste virtù, erano più buoni a nulla. Pre,2305b:S Spiegazione delle litanie della B. Vergine (appunti) Manoscritti originali di P. Lanteri AOMV, S. 2,11,1:305b Pre,2305b:T1,1 S. Maria ora pro nobis Dopo il ricorso alla Ss. Trinità ed alla Ss. Umanità di Gesù Cristo, la S. Chiesa ci insegna a ricorrere alla Ss. Vergine Maria onde soggiunge subito nelle Litanie Sancta Maria ora pro nobis. Non mi tratterrò a dimostrare l'equità di questo giudizio e modo di procedere della S. Chiesa, la quale sempre assistita dallo Spirito Santo tutto ciò che fa sarà sempre ottimamente fatto; ed in verità quale maggiore convenienza che dopo l'invocazione alla Ss. Trinità c'indirizziamo subito a quella che è Figlia del Padre, Madre del Figlio, Sposa dello Spirito Santo? Troveremo noi altrove titoli, prerogative ed eccellenza più grande o anche solo uguale a questa? Ma passiamo subito ad esaminare la forza di questo primo titolo che la S. Chiesa dà a Maria Vergine: Sancta Maria. Due cose ci si propone quivi, la Santità e il Nome di Maria. Pre,2305b:T1,2 La Chiesa chiama dunque primieramente Maria Santa, ma quale santità le attribuisce mai? È ella una Santità comune agli altri Santi? Ella è tale che noi non possiamo immaginarcela più grande, e la ragione si è perché, come nota un S. Padre, sopra Maria non v'è più che Dio, sotto Maria v'è tutto ciò che non è Dio. Possiamo noi dirne altrettanto di qualche altro soggetto anche angelico? Dunque dopo Dio non v'è oggetto più eccellente, più degno di lode che Maria. Dunque dopo Dio ad essa dobbiamo ricorrere e riporre tutta la nostra fiducia. Inoltre si noti come la Chiesa chiama Maria Vergine Santa; siccome la Chiesa trionfante canta di Dio: Santo, Santo, Santo, così la Chiesa militante canta di Maria: Sancta Maria, Sancta Dei Genitrix, Sancta Virgo Virginum, dicendola anche così Santa, Santa, Santa, cioè Santa di nome, Santa nell'officio e Santa di costumi, e così viene predicata per Santa alla somiglianza della santità di Dio; e questo perché la santità di Maria supera di gran lunga ogni altra santità ed è la più simile a quella di Dio. Vogliamo noi difatti formarci una qualche idea di questa sì grande santità? Riflettiamo che Maria Vergine non cominciò ad esistere che non cominciasse anche ad essere Santa (cosa che non accadde in alcun'altra persona). Si noti ancora che nel primo momento del suo essere Maria Vergine non solo fu Santa, ma Santissima, perché la sua Santità fin d'allora era più grande della Santità di qualunque non che Santo di questa terra, ma di qualunque Cherubino o Serafino, cioè era più dotata di doni, di grazie, di virtù, di perfezioni che qualunque di essi; la sua eccellenza superava l'eccellenza di chiunque, amava più Dio ed era amata da Dio più di qualunque; era in sostanza la più unita a Dio, la più simile a Dio che qualunque creatura più bella, più perfetta del Cielo. Pre,2305b:T1,3 Si noti inoltre che in ogni momento raddoppiava essa di tutto il capitale che aveva il momento avanti, perché cooperava in ogni momento a tutta la grazia che Dio le comunicava, onde il secondo momento di sua esistenza era già il doppio più santa del primo, il terzo momento era 4 volte più santa del primo, il quarto 8 volte, il quinto 16 volte, il sesto 32 volte, il settimo 64 volte; in fin di un'ora poteva avere raddoppiato il suo capitale di santità tante volte quanti sono i granelli d'arena che avrebbero riempito la terra fino al Cielo. Che dovrà dunque dirsi di tutto il corso di sua vita che giunse a 72 anni? Quale computista può calcolare simile aumento? E tutto questo solo ex opere operantis; che sarà di quanto si accrebbe ex opere operato? Come quando le sopraggiunse lo Spirito Santo, quando concepì, portò, partorì il Divin Figliuolo? Quando il Divin Figliuolo la visitò dopo la risurrezione e in tante comunioni che fece? La S. Chiesa le appropriò quanto si dice della Sapienza eterna? Pre,2305b:T1,4 Quanto al nome poi Maria significa Mare, Mare Amarum, Stella Maris, Illuminatrix, Domina. Mare per la copia di grazia che ricevette, siccome si dice dell'oceano omnia flumina intrant in mare, così può dirsi di Maria che tutti i fiumi di grazie degli Angioli, Patriarchi etc. si trovano in Maria. Mare amarum per il mare d'angoscia in cui fu assorbito il suo cuore alla Passione di Gesù. Mare amarum per i demoni, per il potere di sommergere i demoni stessi. Stella maris, perché c'illumina nel mare di vicende di questa vita, perché ci procurò la luce del suo divin Figliuolo. Illuminatrix coi suoi esempi, coi suoi benefizi di misericordia, colla sua gloria in cielo relativamente agli Angioli, ai Beati. Domina degli Angioli che tutti vanno a gara a ubbidirle, degli uomini perché tutti ci tiene sotto la sua protezione, dei demoni che fuggono al solo suo nome. Diciamo dunque veramente con fiducia: Sancta Maria ora pro nobis. Pre,2305b:T2,1 Virgo veneranda ora pro nobis La venerazione suppone la stima e rispetto verso la persona che si venera; questa stima e questo rispetto si concepisce a proporzione che si scorge della virtù e dell'eccellenza della persona venerata; così si venerano le persone su questa terra. Quanto alle persone poi che sappiamo possedere virtù ed eccellenza sovrannaturale e divina, e lo sappiamo per decisione della Chiesa stessa infallibile in ciò che ci propone, la venerazione verso queste persone diviene tanto più soda e ferma e grande, e si venerano col culto che si chiama Dulia. Ma la stessa S. Chiesa ci propone sovra tutte le creature, sovra tutti i Santi, sovra tutti gli Angioli a venerare Maria, esigendo a ragione della sua virtù ed eccellenza tutta particolare e superiore, una venerazione pura tutta particolare e superiore ad ogni altra; una venerazione ed un culto che chiama per questo culto Iperdulia. Dunque sola può dirsi veneranda a preferenza di tutti, e in conseguenza dobbiamo unirci alla S. Chiesa per invocarla particolarmente con questo titolo: Virgo Veneranda ora pro nobis Pre,2305b:T2,2 Se poi dovessi esporvi i titoli e i motivi per i quali la Chiesa così la venera e ce la propone a venerare, sarebbe cosa da non più finirla, né certamente sarei io capace di tanto assunto, mentre che gli stessi Dottori della S. Chiesa ammutolivano su questo soggetto. Basti l'accennarvi che sopra di Maria non v'ha più che Dio e sotto di Maria v'è tutto ciò che non è Dio. Basti il dire che può ben Dio creare un mondo più grande, più eccellente di questo, ma non può creare una creatura più grande della Madre di Dio, come si esprimono i Ss. Padri; è dunque chiaro che Maria è da venerarsi in modo affatto particolare dopo Dio, ella è ancora da venerarsi in modo particolare dopo Dio perché dopo Dio è la sorgente di tutte le grazie e benedizioni, perché è la causa principalissima della nostra Redenzione, perché è nostra Corredentrice, perché dopo Dio è quella che più s'interessa per la nostra salute. Gloriamoci dunque di dire colla S. Chiesa: Virgo Veneranda ora pro nobis. Pre,2305c:S Novena dell'Assunta e brani di prediche, ecc. Manoscritti originali di P. Lanteri (foglio protocollo a sé, scritto in doppia colonna, avanti e dietro, per traverso, con appunti diversi). AOMV, S. 2,11,1:305c Pre,2305c:T1 Un Dio premuroso… Un Dio premuroso vi offre il perdono, sollecito vi cerca, ansioso vi prega di accettarlo e vi prepara. Grande mistero è questo! Come un Dio offeso cerchi la creatura offenditrice, in tutti i tempi è stato contraddetto, lo contraddicono ora gli eretici tutti, lo contraddirono i Farisei, non è meraviglia; e se vogliamo ascendere più in alto, lo contraddirono fin dal principio del mondo gli Angioli ribelli. Come un Dio offeso si abbassi per un vilissimo offensore, che sacrifichi il suo Unigenito per liberarlo, perdonarlo, che cerchi, s'impegni, preghi. Ah, non è tale operare degno di un Dio! Ut quid perditio hæc. A che tanta prodigalità di amore di un Dio verso la creatura? Quindi si fa in cielo un grande dibatto. Voleva S. Michele che quello fosse degno di Dio, lo negava Lucifero, quando in un tratto vede S. Giovanni precipitare Lucifero e risuonare a gran tromba in segno di vittoria. Ecco quivi la prima epoca. Questo fu poi il carattere che presero gli eretici e che prendono anche oggi certuni, non so se per cattivo umore. Quel che più mi fa stupire, fin gli stessi dabbene, crederanno tutti gli altri misteri, ma questo con gran pena si può persuadere. Dico di più. Gli stessi Santi che pur si abbassano, credono per fede, gridano per altra parte: eccesso, eccesso! Tanto è questo mistero impenetrabile. Non sono io già che voglia spiegarvi la natura, il modo del mistero, se non per rassicurarvi l'esistenza. Vi dico che non vi è maggior dispiacere in Dio che compensare in tale maniera. Non mai trattò sì bruscamente che con i farisei che sempre erano intenti a criticarlo di troppa misericordia. Pre,2305c:T2 Bontà di Dio: gran mistero. La creatura comprenderà, crederà la Maestà di Dio, perché è di fede, non si fa meraviglia; ma la Bontà conviene sforzarsi a crederla, tutto che sia ugualmente di fede. C'è espresso comando: sentite de Deo in bonitate. Pure non vi è cosa più difficile di persuadere gli uomini, fin gli stessi Santi. Anzi, vi sono certuni che, non so se sia per loro cattivo umore o per ignoranza, pare si pregiano di fare Dio cattivo agli uomini seguaci degli Angioli ribelli. Pare si pregiano questi di imitare Lucifero con i suoi seguaci, e pare cosa talmente radicata nella creatura fin dal principio del mondo. Pre,2305c:T3 Breve prospetto – schema Esercizi spirituali La*1 sera avanti: introduzione 1a Dies desideriorum – finis hominis ostacoli: 2a Dies compunctionis – peccata 3a Dies timoris – novissima circa quotidiana: 4a Dies fervoris – examinis mediorum – imitatio Christi in genere Dies devotionis – examinis mediorum – imitatio Christi particularis circa proximum: Dies electionis – vexilla Christi et Demonis ardua et heroica: 5a Dies fortitudinis – Passio Christi Dies lætitiæ – Amor Dei etc. 1a fine 2a ostacoli: peccati 3a pericoli: novissimi 4a ritorno a Dio: figlio prodigo 5a Guida: imitazione regno di Cristo Vita di Cristo Sequela delle virtù particolari Obbligazione di dichiararsi dalla parte di Cristo. Pre,2305c:*1 Appunti su come organizzare i giorni di ritiro e le meditazioni. Pre,2305d:S Sul crescere nella virtù Autografo Lanteri (appunti) in AOMV, S. 2,11,1:305d Pre,2305d:T1 È egli facile crescere…? Domanda: È egli facile crescere nella virtù e nella santità? Risp.: È più facile di quello che comunemente si crede perché soltanto che uno non sia in stato di peccato mortale egli è in grazia di Dio. Possiede in conseguenza la grazia santificante, che è il dono della carità abituale, che è una speciale partecipazione della divina volontà e del divino amore. Possiede inoltre la grazia santificante, la quale è pure una speciale partecipazione della natura divina, per cui egli non solo è caro a Dio, amico di Dio, ma è ancora figliuolo di Dio, di modo che Dio abita in lui ed egli abita in Dio, ed è così unito a Dio che forma come una sola cosa con Dio, cioè lo spirito stesso di Dio è quello che lo vivifica e lo regge per renderlo un dì pienamente beato; quindi ne segue per parte di Dio una speciale amorosa protezione verso il giusto, per cui il Signore come ad amico ed a suo figliuolo diletto gli somministra più abbondanti le sue grazie perché possa con maggior sicurezza e facilità conseguire la celeste beatitudine; per tale effetto infonde Iddio tanti maggiori lumi alla mente e pii affetti al cuore, e con più particolare assistenza lo dirige nell'esecuzione dei buoni propositi, lo custodisce in tanti pericoli sì spirituali che corporali; senza parlare di tante altre grazie esterne come sono le occasioni di ascoltare la parola di Dio, d'accostarsi ai santi sacramenti, di tanti buoni esempi e simili, oltre ancora quei beni che in maggior copia partecipa come giusto nella Comunione dei Santi. Laonde egli è evidente che soltanto che uno stia attento alle voci interne del suo celeste Padre, e sollecito sia a secondarne il suo spirito, egli non può a meno di crescere nella virtù e nella santità. Né è da stupirsi ad un tempo che il peccatore, il quale perde per cagione del peccato mortale un così bel tesoro della grazia santificante e della speciale divina protezione, così facilmente marcisca nel peccato e così propenso sia a commetterne dei nuovi e precipiti in tal modo di male in peggio. Pre,2305d:T2 Domanda: Può il cristiano divenire perfetto e santo in qualunque stato? Risp.: Sì perché la perfezione cristiana è compatibile (ed oltre*1 il dono della speranza per cui il cristiano, appoggiato all'onnipotenza, misericordia e fedeltà di Dio, deve fermamente sperare da Dio il perdono per il passato, la grazia per il presente, la gloria per l'avvenire, al qual dono s'oppongono la presunzione e la disperazione, e per questo solo si può perdere. Lux animæ veritas est. Hæc lux nescit occasum). Pre,2305d:T3 Avvertimenti Pag. 1: Alla suddetta orazione vi si aggiunga il Pater noster, Credo, Salve Regina con l'Angele Dei, avvertendo peraltro che i doveri, onde qualora un militare, il quale avesse tutti i suoi momenti gli basterà, riserbandosi peraltro di supplirvi la sera in cui ne ha più comodo. Pag. 2: Salve Regina, Credo, Angele Dei, gli atti di fede, speranza, carità, o almeno l'atto di contrizione; n.b. mettervi quivi in disteso i suddetti atti con le litanie di Maria Vergine. Pag. 10: Compendio della dottrina cristiana (forse andrebbe meglio avanti la Messa), mettervi il fine dell'uomo, ciò che deve credere, sperare, operare, etc. N.B. Indi la S. Messa, indi l'istruzione sulla fede, speranza, carità. Pre,2305d:*1 Il passo fra parentesi è stato depennato. Pre,2305e:S De profectu religiosorum, ex S. Bonaventura Note con graffe, di mano Lanteri. AOMV, S. 2,11,1:305e Pre,2305e:T1 Ex D. Bonaventura, De profectu Religiosorum, l. 2, c. 61 Pre,2305e:T1,1 7a petitio Rei personam assumit homo coram Deo judice astans cum tremore ait: noli me condemnare – non intres in judicium cum servo tuo. Hoc oramus cum dicimus: Libera nos a malo hoc est æternæ damnationis. Pre,2305e:T1,2 6a Ut obsessus ab hostibus tentationum et tribulationum et non valens per se effugere, insuper timens se offendisse Deum et per peccata sua meruisse ut tradatur hostibus invocat auxilium dicens: ne memineris iniquitatum nostrarum etc.; ne projicias me a facie tua etc. n.b. Præter finalem damnationem nulla Dei ira gravior quam non defendere a peccato. Hanc maxime meretur superbia, ingratitudo, incuria ut homo profundius cadere permittatur. Hoc est contra quod oramus: Et ne nos inducas in tentationem. Inducere Deus dicitur cum non custodit ne inducamur, sicut indurare dicitur peccatoris cum per gratiam non emollit internæ unctionis. Hoc maxime in pugna tentationis et in onere tribulationis timendum est ne suo pondere nos opprimat, in peccatum dejiciat. Alioquin optanda esset tribulatio non horrenda quia anima purgationem redderet et quia majoris esset meriti viriliter tolerata. Pre,2305e:T1,3 5a Ut Servus qui gratiam Domini perdidit peccando supplicat peccata et negligentias suas sibi ignosci quas commisit omittendo debita et perpetrando illicita vel ea quæ debuit negligentius et impurius persolvendo, dicens: – secundum multitudinem miserationum tuarum, Domine, dele iniquitatem meam, etc.; – propter nomen tuum, Domine, propitiaberis peccato meo multum est enim, etc. Hoc petimus dicendo: Dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimittimus debitoribus nostris. Quia ea benignitate debemus dimittere et nos quomodolibet peccantibus quo desideramus nobis dimitti quod peccavimus. Pre,2305e:T1,4 4a Quasi Mendicus et pauper coram divite Patrefamilias procumbens et inopiam suam ostendens flagitat panem gratiæ amplioris qua confortetur, consoletur, sustentetur ad resistendum malum. Triplici pane indigemus quem instanter ab amico commodari poscere debemus hoc est cælesti, spirituali, terrestri. Cælestis est Corpus Christi: Pater meus dat vobis panem de cælo verum. Spiritualis est: verbum Dei, gratia interna mentem ab interiori inedia virtutum et donorum alimento confirmat. Terrestris est victus et alimentum quo corpus hic sustentari necesse habet quia esuriem et sitim aliter temperare non potest. Hunc poscimus dicendo: Panem nostrum quotidianum da nobis hodie, sine quo nullo die subsistere valemus [omni enim*1] hora Dei gratia indigemus et ideo semper eam postulare jubemur ad omnia aggredienda. Pre,2305e:T1,5 3a petitio Quasi filius: patri per omnia parere – patrem placare affectans, patrem devotissime orat ut eum a voluntatis beneplacito in nullo discrepare patiatur in actibus, voluntatibus, moribus et ad omnia, in omnibus eum sibi ita conformem faciens ut nil in eo paternos oculos offendat hoc solum sibi reputans solamen, hoc solum super omnia desiderans ut ipse cælestis Pater tantum suam in eo voluntatem perficiat sive exercendo in adversis, consolando in prosperis et deprimendo sive quocumque modo sibi magis placet. Vere filialis, fidelis affectus est nulla quæ sua sunt quærere non commoda, honores, consolationes, sed solum placitum pii Patris. Magnum est hoc a Deo petere et obtinere ut tale nos in hoc peccati corpore faciat, ut illi summæ veritati placeamus, ab ejus directionis regula non deviamus. Nil melius nec utilius in mundo posset nobis conferre etiam summus Pater quam tales nos facere, ut ei per omnia placeamus unde Ps. 141: Ad te confugi, doce me facere voluntatem tuam. Hoc petimus cum dicimus: Fiat voluntas tua sicut in cælo et in terra. Ut sicut illi superni cives ad voluntatem tuam sunt dispositi, ita et nos hic pro modulo nostro ad voluntatis tuæ beneplacitum disponamur. Pre,2305e:T1,6 2a Quasi Sponsa Dei: in ipso unico dilecto quiescere desiderans ejus frui solum amplexibus ardenter sitiens pro cujus amore omnia ei inferiora; viluerunt quia sitim suam aliter temperare non sperat, nisi tota illic transeat ubi cum facie ad faciem jure percussa videat acie, flagitando precatur hoc citius adimpleri cupiens cum Paulo dissolvi et esse cum Christo, quia multo melius est tam jucunditate fruitionis Dei quam securitate evasionis mali, magis esset ad placitum illi summæ veritati quam possit in hoc corpore quantumcumque proficere quia dum sumus in corpore peregrinamur a Domino et in multis offendimus omnes ita ut si dixerimus quia peccatum non habemus, nos ipsos seducimus et veritas in nobis non est. Cum enim peccatum dicatur aversio a summo bono et conversio ad bonum inferius in quantum inde avertimur, in tantum peccato non caremus et quo magis avertitur magis peccat et quo minus, minus. Nil autem inde averti non est peregrinantium sed pervenientium, quia etsi voluntatis intentio utcumque ei adheret tum sæpius affectus hinc inde distrahitur, sæpius memoria multis aliis occupatur sæpius intelligentia cæcutiens ipsam veritatis lucem pure non intuetur. Ex his fit quod aliquando inferioribus istis impellimur ut cadamus ni a Domino sustentemur. Unde gemens David dicebat: Sitivit anima mea ad Deum vivum, quomodo veniam etc. Hoc oramus cum dicimus: Adveniat Regnum tuum. Ac si dicamus pondere peccati et corpore pergravati non valemus ad illud citius volare. Adveniat igitur regnum tuum et nos celeriter hinc assumas ut ab ista miseria liberemur. Interim in nobis operare tibi regnum in justitia, in pace et in gaudio Spiritus Sancti. Pre,2305e:T1,7 1a petitio Tandem quasi inebriatus spiritu et immemor sui ut homo Deo deditus et ei per amorem inhærens super omnia ejus gloriam et honorem promoveri et ejus notitiam ad omnes dilatari desiderans, tam pro ipsius quam pro aliorum salute Patrem rogat ut satisfactionis suæ notitiam omnibus manifestet tum infideles ad lumen suæ cognitionis vocando per fidem, tum fideles ad gratiam suæ satisfactionis convertendo per amorem, rebelles utiliter contundendo per ostensionem suæ potentiæ, et quasi vel non possit vel nolit sine aliis cælesti gaudio frui, anhelat et satagit plures secum trahere et orando, docendo, bono exemplo præcedendo et quocumque alio modo honorem Dei et proximorum salutem et profectum spiritualem promovendo. Et hoc affectum dicebat Paulus: Tristitia mihi est magna et dolor continuus cordi meo et optabam ego ipse anathema esse a Christo pro fratribus meis; Moyses: aut dimitte populo tuo noxam hanc aut si non vis, dele me de libro tuo. Non quod vellet Paulus a Christo separari et Moyses deleri, sed quod affectum quem ad proximorum salutem habebant, non valebant evidentius exprimere quasi reputantes non esse sibi plenum gaudium introduci ad epulas cælestes, illis quos diligebant et pro quibus mori optabant foris fame perituris. Hoc oramus cum dicimus: Sanctificetur nomen tuum. Nempe ut nominis tui sanctificatio nobis plenius innotescat quo te perfectius agnoscere, amare, revereri possimus, ut sanctitatis tuæ similitudinem induendo tibi Patri sicut veri filii conformemur, ut unus tecum spiritus efficiamur in tuam transformati claritatem. Pre,2305e:T2,1 S. Bonav., De profectu religiosorum, l. 2, c. 42, De paupertate Contemptus divitiarum opponitur avaritiæ rerum spiritualium, quidam sunt pauperes: 1. rebus et non spiritu ut pauperes qui libenter essent divites. 2. Spiritu et non rebus ut qui divitias possident non pro ipsarum amore, sed pro amore Dei, nimirum ut per eas cultum Dei amplificent, pauperes defendant et proximis subveniant pro amore Dei. 3. Spiritu et rebus ut qui divitias nec habent nec habere volunt etsi possent. Hi tanto feliciores quo a laqueo peccati elongatur. Horum alii non habentes divitias fecerunt de necessitate virtutem, nolentes etiam eas habere si possent; divitias vel habuerunt vel potuerunt habere et abjicierunt eas et recusant habere propter Deum. Pre,2305e:T2,2 C. 43 De duplici contemptu divitiarum nimirum cum divitiæ: 1. liberaliter effunduntur in pauperes per opera misericordiæ et expenduntur ad cultum Dei. 2. Penitus despiciuntur in mendicitate et inopia rerum vivendo juxta illud: si vis perfectus esse, vade, vende, etc. Pre,2305e:T2,3,1 C. 44 De 4 Causis contemptus divitiarum. 1. Quia earum amor retrahit ab amore Dei et patriæ cælestis, nemo enim potest duobus dominis servire. Sicut enim de profundo terræ tolluntur, ita suo pondere ad infima detrahunt suos amatores, hoc est in profundum inferni. Qui enim volunt divites fieri incidunt in tentationes et in laqueum diaboli qui mergunt homines in interitum (1 Tim. 6). Pre,2305e:T2,3,2 2. Quia retardant homines a profectu virtutum, divitias quærere ut in malos usus expendantur ut in vanitates, voluptates carnis, concupiscentias oculorum: impium est; sicut enim oneratus non potest velociter currere, sic mundanis curis pressus non potest in spiritu expedite proficere; ut quia beneficium Creatoris Largitori earum – hoc est Deo – irrogatur despectus et contumelia; ut tantum cumulate servent stultum est; ut quia tantum valet congeries lapidum sicut argenti et auri si nulli usui expendantur. Si vis festinari ad patriam, non teneri laqueo venantium, non comprehendi in via, non reduci in captivitatem unde evaseras, proice avaritiam, et extrahe pedem de visco terrenarum cupiditatum. Ideo Judæi tardi erant ad reditum in Jerusalem de Babylone, quia filios, uxores et possessiones jam acquisierant in Babylone. Sic Religiosi tardius desiderant cælestia cum in terrenis cœperint dilatari. Pre,2305e:T2,3,3 3. Ratione meriti amplioris: Quia quanto minus tibi de terrenis indulges, tanto amplius tibi compensabitur de cælestibus in gloria. Beati pauperes spiritu quia ipsorum est regnum cælorum, hoc est non portio aliqua, sed tota gloria regni. Unde Filius Dei nobis dans exemplum nil voluit habere in terra nisi vestitum quem etiam permisit sibi auferri, docens quod omnia relinquere tam in non habere volendo, tribuendo omnia pauperibus sponte et patienter amittendo, si habita vi tollantur quod sæpe majoris est meriti. Pre,2305e:T2,3,4 4. Quia opes contemptibiles pluribus rationibus: Ex sui natura cum terra sit ignobilius elementum præ omnibus. Quia non multæ sunt necessariæ: nam modicus victus, vestitus, tectum sufficit homini pro necessitate ad vivendum, quod superfluum est, superfluum est. Quia multis est nociva et occasio damnationis. Quia multorum patet invidiæ qui libenter auferrent per malas artes. Quia multo labore et sollecitudine et acquiruntur et servantur etiam cum periculo vitæ. Quia non satiant appetitum, sed inquietius sitiuntur. Quia dantur tum malis tum bonis nec reddunt feliciores, sæpe infeliciora. Quia diu non durant, cito ab eis nos separat mors, et nil potest homo ex ipsis secum deferre, ni quod meruit per ipsas. Sapiens ergo debet parvi pendere quod vile est, non multum laborare pro eo quod parum est utile; debet fugere quod perniciosum est et liberaliter spargere quod conservatum perit, distributum sanctificat, si in pauperes erogetur. Pre,2305e:T2,4 Cap. 45 De triplici gradu contemptus divitiarum, in fine capitis. Qui propter se sollicitus est in temporalibus, relinquitur suæ provisioni et qui habet alias provisores relinquitur illis. Qui vero omnem sollicitudinem suam in Deum jactat et omnem cogitatum habet Deum provisorem: quærite primum regnum ejus etc. Qui enim ex gratia vult donare cælestia, cur etiam temporalia et parva ab eo non speremus? Dabit enim nobis aut necessaria in quantum expedit nobis, vires corporis ad sustinendum penurias, spiritualem dulcedinem meliorem carnali, et insuper præmium cæleste. Pre,2305e:T2,5 Ex Lessio de summo bono, l. 1, c. 6 Omnes divitiæ ad corpus pertinent eique conferunt commoda quædam etsi pauca; non enim possunt ei dare: sanitatem, robur, pulchritudinem, sensuum integritatem, longevitatem; animo vero nil boni tribuunt sapientiam enim et virtutem quæ propria bona sunt animi conferre nequeunt. Divitiæ nil aliud sunt quam vel terra mera, vel terræ miscella, vel terrena concretio, nam aurum est glæba rubra, argentum candida, gemmæ vitrata. Cætera sunt ex terra et putredine nata et conflata in putredinem resolvenda ut corpora avium, pecorum et jumentorum, item fructus arborum et agrorum. Vestes prætiosæ quibus superbit mundus sunt vel sanies verminum, excretiones cutis, animalium. Cinis itaque, superbit de cinere, sanies de sanie. Pre,2305e:T2,6 Divitiæ spinæ vocantur a Christo, quia earum sollicitudo assidue pungit non secus ac spinæ corpora eorum qui semper in medio spinarum versantur. Et de hisce curis et cogitationibus adeo sunt occupati ut vix unquam de sua salute cogitare possint. Væ vobis divitibus etc. Mendicitatem et divitias ne dederis mihi, tribue tantum victui meo necessaria (Prov. 30). Solum expetendæ quatenus suppeditant facultatem benefaciendi tamen incommoda longe præponderant, nec qui opibus carent, idcirco fraudantur mercede quia apud Deum voluntas pro facto computatur. Denique divitiæ plerumque excæcant mentes et pervertunt affectus ut vel non intelligatur quis in res conveniat eas expendere vel si intelligatur affectu ab iis rebus sint alieni et alio se convertant. Quo fit ut opes divitum plerumque sunt sine fructu; effunduntur in res vel frivolas vel noxias; plerumque quibus adest voluntas deest potestas, quibus adest potestas deest voluntas. Sic hominum amentia quæ concessa sunt ad redimenda peccata et salutem procurandam ipsa cumulum peccatorum augeant et perniciem accersant. Pre,2305e:T2,7 Apologia pauperum, c. 3, Opusc. S. Bonav. pag. 387 t. 7 in fol. Caritas triplicem statum habet: statum infimum in observantia mandatorum – perfectio necessitatis; statum medium in adimpletione consiliorum – perfectio supererogationis; statum summum in perfruitione sempiternalium gaudiorum – perfectio ultimatæ plenitudinis. Prima et secunda differunt a tertia ut meritum a proœmio. Media a prima differt sicut consilium a præcepto. Tertia vero tum consilia, tum præcepta referuntur ad caritatis impletionem et observantiam. Caritas est finis præcepti: de corde puro per declinationem a malo; de conscientia bona propter electionem bonorum; de fide non ficta, hoc est non fragili sed forti propter tolerantiam malorum. Et hi sunt triplices caritatis actus. Hic triplex caritatis actus egreditur ab habitu virtutis vel secundum legem præcepti et obligationis necessariæ, universalis; vel secundum legem consilii et obligationis spontaneæ et specialis, et sequens includit primum et superaddit etiam quantum possibilitas viatoris admittit; hinc secundum cum primo dicitur perfectum, primum absque secundo quidquid sit quodammodo perfectum, respectu secundi dicitur imperfectum. Pre,2305e:T2,8 Perfectio est conformitas viatoris ad Christum per illum virtutis habitum quo supererogative declinantur mala, efficiuntur bona et perferuntur adversa, unde in his 3 evangelicæ perfectionis partes consistunt. Porro cum ex inordinata conversione ad triplex bonum commutabile: exterius concupiscientia oculorum; interius superbia vitæ; inferius concupiscientia carnis, omne peccatum trahat originem. Et item hæc tria vitari debeant non solum quantum ad actum et consensum per virtutes oppositas, sed etiam quantum ad occasionem et hoc quidem pro motivum sit in merito et expediens ad salutem perfectionis. Hinc Magister Christus consulit. Pre,2305e:T2,9 Perfectionis Magister Christus consulit ad perfecte declinandum concupiscentiam oculorum quod hæc omnia temporalia reliquantur: si vis perfectus esse superbiam vitæ quod propria voluntas abnegetur; qui vult venire post me abneget concupiscentiam carnis quod omnis experientia secundum actum generativæ potestatis abscondatur, sunt eunuchi etc. Igitur in hac triplici supererogativa declinatione triplicis originis mali consistit 1a pars evangelicæ perfectionis. Sic separantur animæ vires ab unius veritate malorum ut habeant esse distinctum et purum; 2a pars evangelicæ perfectionis consistit in supererogativa prosecutione bonorum secundum duplicem vitam: activam in condescensionem ad proximum (a), contemplativam in sursum actione mentis in Deum (b): a) ut scilicet secundum legem justitiæ et misericordiæ largiflua benignitate protendantur signa amoris et beneficia ad amicos et inimicos; b) ut secundum legem mentalis munditiæ et pacis amorem estaticum in divinos splendores et ardores sacra mens devota sentiat et patiatur excessum; 3a pars consistit in supererogativa perpessione adversi quod quidem attenditur quando non solum quis patienter perferat adversa cum declinare non potest, quia ad hoc omnes tenentur, sed etiam quis ex fervore divini amoris magno desiderio illa peroptet et magno gaudio illa sustineat. Ita vires animæ quasi adornantur et reducuntur ad Dominum ut habeant esse decorum et perfectum. Pre,2305e:T2,10 Hic est consummatio perfectionis et caritatis. Hinc 1. Beati pauperes, beati mites, beati qui lugent: quæ cadere possunt sub voto. 2. Beati qui esuriunt, beati misericordes. 3. Beati mundo corde, beati pacifici: allicit ad sursum actionem limpidam in intellectu, tranquillam in affectu. Beati qui persecutionem patiuntur. Tria: prima et sequentia pertinent ad distinctionem et ornatum cadere possunt sub voto et sub desiderio. In tribus primis homo crucifigitur mundo; in tribus ultimis homo conformis fit Deo. 1a pars Beati pauperes spiritu invitat ad perfectam abdicationem temporalium possessionum. Beati mites inducit ad abnegationem propriorum voluntatum et sensuum quibus quis immitis et protervus efficitur. Beati qui lugent incitat ad fugam perfectam carnalium voluptatum. 2a pars Beati qui esuriunt etc. Beati misericordes: attrahit ad justam, piam et condescentem proximorum supportationem. Beati mundo corde, Beati pacifici: allicit ad sursum actionem limpidam in intellectu et tranquillam in affectu quibus anima Hierusalem conformis efficitur quæ est pacis visio. 3a pars Beati qui persecutionem etc. quasi circulum faciens reddit ad principium quia in hoc uno summa completur universorum et quia per hoc senaria perfectio minoris mundi in esse reparationis et gratiæ directe respondet senariæ productioni mundialis machinæ in esse natæ. Pre,2305e:T2,11 S. Franciscus in principio regulæ tria prima proponit ut vovenda tamquam fundamenta dicens: Regula et vita fratrum minorum hæc est Domini nostri Jesu Christi, Sanctum Evangelium observare vivendo in obœdientia, sine proprio, in castitate. Alia tria ut desideranda commendat tamquam complementa dicens: Attendant fratres quod super omnia debent desiderare 1. habere Spiritum Domini et sanctam ejus inspirationem atque orare semper ad Deum puro corde; 2. habere humilitatem et patientiam in persecutione, in infirmitate; 3. diligere eos qui nos persequuntur, reprehendunt et arguunt. Unde permittit sursum actionem in Deum et subjungit ultimo condescentionem ad proximum interponens in medio tolerantiam adversariorum. Talia exercitia supererogantium virtutum aut fiunt ex mera voluntate absque obligatione et tunc dicunt quidam perfectionem actionis et meriti. Aut cum voluntate dicunt quandam obligationem supereductam vel ex voto emisso vel officio iniuncto tunc dicunt perfectionem status et ordinis in quo quis actibus perfectis non solum est deditus, sed etiam ad actus perfectionis adstrictus. Pre,2305e:T2,12 S. Bonav. v. 7, pag. 561, De Profectu Religiosorum Sicut ille stultus esset qui haberet hortulum qui esset fertilis balsami, et eo neglecto plantaret ibi mentam et ciminum. Sic in infinitum stultior est qui cum possit summum bonum comprehendere et eo neglecto occupat se circa caduca, vilia, sordida, amara. Similiter ille stultus qui cum habeat viam compendiosam ad locum quo tendit, ea dimissa quærit viam dispendiosam et difficiliorem et periculosiorem. Sic religiosi qui cum possint in paucis annis ad magnam Dei notitiam et familiarem amicitiam pertingere per conpendiosum studium virtutis, devotionis, puritatis, relicto eo, occupant se aliis minus fructuosis et valde dispendiosis ad id quod tendunt hoc est ad Dei cognitionem, notitiam veritatis et studium perfectionis cum Dominus promittat: spiritus veritatis docebit vos omnem veritatem. Si sciret aliquis plura artificia quorum unum præ alteris esset tam nobile et quæstuosum ut per illud in brevi posset ditari et sublimari, imprudens esset si, eo neglecto, exerceret aliud vilius, ignobilius et tanti laboris per quod vix cibum et potum tenuem possit acquirere. Sic magna imprudentia est si relicto directo studio virtutum in quo est maximum meritum, maxima perfectio sanctitatis et sapientiæ, maxima delectatio et securitas potius occupat se circa alia minus utilia et curiosa et turbatus circa plurima quando unum solum et summum bonum est petendum et requirendum quod valet ad omnia. Vid. ibidem lib. 1, c. 4 et seq. Pre,2305e:*1 Testo poco leggibile. Pre,2306:S Esercizi di S. Ignazio (N. 3) Miscellanea – Fine degli Esercizi, meditazioni ecc. Raccolta di autografi di varie epoche. AOMV, S. 2,11,2:306 Pre,2306:T1 Quartum Exercitium conficitur ex tertii repetitione Ponitur repetitio ejusmodi, veluti quædam eorum ruminatio, quæ meditatus sum in exercitiis prioribus, ut ea continue reminiscendo, discurrat facilius intellectus sine divagatione. Adjicienda quoque erunt tria eadem colloquia. 1o die: Principium – Annotationes – Additiones 2o die: De peccato: De oratione et meditatione 3o: De morte: de examine particulari et generali; de pænitentia 4o: De judicio etc.: regulæ priores ad discernendos spiritus, confessione, comunione generale. Additiones pro 2a hebdomada 5o die: De Regno Christi, vita privata, publica; regulæ posteriores ad discernendos spiritus 6o die: De duobus vexillis, de 3 classibus, de 3 gradibus humilitatis 7o die: De Passione Christi – De scrupulis 8o die: De Resurrectione, Paradiso, Amore Dei. Regulæ ut cum Ecclesia sentiamus. Pre,2306:T2 Dedimus corpori annum… Dedimus corpori annum, demus animæ dies. Impendimus tempora nobis, deputemus tempus Auctori. Vivamus Deo paululum qui sæculo viximus totum. Seponamus domesticas curas. Feriæ Domini quas vocabitis celeberrimas atque sanctissimas, offeretisque in eis oblationes Domino Holocausta et libamina juxta ritum uniuscujusque diei. Præparare et disponere animum ad tollendas affectiones omnes male ordinatas et iis sublatis ad quærendam et inveniendam Dei voluntatem circa vitæ suæ institutam, et animæ salutem Exercitia Spiritualia vocantur. Exercitia Spiritualia per quæ homo dirigitur ut vincere seipsum possit et vitæ suæ rationem determinatione a noxis affectibus libera instituere. Pre,2306:T3 Principium seu fundamentum Pre,2306:T3,1 Punctum primum Principium hominis seu ipsius origo. Creatus est homo a Deo: nempe a quo? A Deo. Unde? Ex nihil. Qualis maxime quoad animam? Pre,2306:T3,2 Punctum secundum Finis proximus hominis in hac vita seu ipsius occupatio. Ut Dominum Deum suum: revereatur corde honorem exhibendo per cognitionem, amorem, cultum. Laudet ore ejus excellentiam prout potest extollendo, vulgando. Serviat opere: ex ejus nutu pendendo in omnibus; præceptis omnibus obtemperando et Deo serviendo modo suo. Pre,2306:T3,3 Punctum tertium Finis ultimus hominis seu ipsius destinatio in altera vita. Eique serviens tandem salvus fiat; felicitatem acquirendo unicam, maximam, certam, æternam etsi servi inutiles simus. Pre,2306:T3,4 Punctum tertium Serviendum Deo titulo religionis, obœdientiæ propter præceptum tanti Domini, Legislatoris, titulo gratitudinis, justitiæ; item titulo gratitudinis, justitiæ; item titulo caritatis, pietatis; item idem exigit ordo substantiarum; exigit natura hominis quia aliter non potest perfici ejus potentiæ exigunt summum verum et bonum. Pre,2306:T4 Dio ci ha creati… Dio ci ha creati perché fossimo suoi Adoratori e lo dobbiamo: Pre,2306:T4,1 Debito caritatis Qual sommo bene e nostro ultimo fine deve amarsi sovra ogni cosa d'amore di concupiscenza, come sommo bene nostro; d'amore di benevolenza come sommo bene in sé; se un qualunque vero bene merita amore, un maggior bene merita maggior amore, il sommo bene merita sommo amore. Pre,2306:T4,2 Debito religionis Come primo principio e per la sua Somma Eccellenza, in quanto risulta dal complesso di tutti gli attribuiti, gli si deve culto di Latria, per cui deve uno dimostrargli infiniti ossequi e riferirgli tutte le sue azioni, altrimenti è come un disprezzo che gli si usa qualora se ne riferisca alcuna ad altri; non si riconosce Dio per ultimo fine se a lui non si rapportano tutte le azioni. La religione esige 4 atti: due dell'intelletto, due della volontà 1. un giudizio speculativo della somma eccellenza di Dio sopra qualunque altra cosa, e della nostra somma e totale soggezione, il che spetta alla fede; 2. un giudizio pratico, ossia dettame, doverglisi un tale culto in particolare hic et nunc; 3. un consenso della volontà a questo giudizio pratico, per cui accetta e vuole esercitare questo culto sia in generale che in particolare, e questo si dice Devozione; 4. un altr'atto della volontà, per cui attualmente un tale culto si esercita nelle potenze interne o esterne. Verbo agnoscere tale debitum et voluntas solvendi. Religio æstimationem et actus requirit hoc est: oblationes, sacrificia, orationes, adorationes, laudis fidem, spem, caritatem, obœdientiam, pænitentiam, satisfactionem: hos in ratione signi, illam in ratione cognitionis. Pre,2306:T4,3 Titulo pietatis Ut Filius Dei cujus imaginem refert ipsi Deo amorem et pietatem debet. Pre,2306:T4,4 Titulo obœdientiæ Qual Supremo Padrone per il totale dominio di proprietà ut figmentum (per cui può disporre di tutti a suo piacimento senza contraddizione di alcuna creatura), nelle cui mani sta la vita e la morte, gli dobbiamo rassegnazione totale, e qual Supremo Legislatore per totale dominio di giurisdizione gli si deve totale ubbidienza e perfettissima sommissione ai suoi voleri ut mancipium sui Domini timorem et reverentiam Deo præstare debet, ut miles sui Ducis et Imperatoris Deo fides et obœdientia præstanda. Reverentia directe respicit personam excellentem. Obœdientia personæ excellentis præceptum. Obœdientia autem procedit ex reverentia. S. Th. hæc maxime fundatur in intrinseca excellentia, illa in extrinseca Dominatione Dei ejusque operatione ab intrinseca excellentia manante, maxime in hominis bonum redundante. Qual miglior uso possiamo noi fare delle nostre facoltà e dei nostri sensi? Che di occuparsi a conoscere, amare Dio, a lodarlo colla lingua, onorarlo con altri segni esterni. Chi può esimersi dal concepire stima somma di Dio? Questo lo esige la fama e il buon nome di Dio; chi può esimersi dal manifestare tale stima con atti esterni? Questo lo esige il suo onore, anzi in ciò stesso consiste. Vide Druzbicki t. 18, p. 309. Item qual Padre gli dobbiamo pure obbedienza, amore. Pre,2306:T4,5 Titulo gratitudinis Qual Supremo Benefattore, Autore, Distributore d'ogni bene gli si deve infinita gratitudine. Ut minister et dispensator bonorum Domini sui cui rectum usum creaturarum quæ dispensationi ejus commissæ sunt exhibere debet ad perennem Domini Deique sui laudem et gloriam. Qual unico fonte di ogni bene, a Dio si deve ricorrere coll'orazione umile e confidente. Pre,2306:T4,6 Titulo justitiæ La giustizia esige dare a ciascuno quel che è suo: non violare i diritti altrui. Qual maggior diritto può avere Dio di essere glorificato, e quale ingiustizia maggiore può dunque darsi di disonorarlo? Igitur sicut pietas debetur qua parentibus observantia, qua personis in dignitate constitutis, gratitudo qua benefactoribus debitus, cultus exhibetur, tanto magis Deo debetur iste cultus exhiberi in summo gradu, utpote Deo supremo omnium Domino, principio ac Parenti et Benefactori. E ricuseremo ancora piegare le ginocchia e adorare davvero un tanto Creatore? L'ordine delle cose lo esige. Tre sono le sostanze che esistono: Dio, Spirito, Materia. Ciascuna infinitamente distante, dunque ciascuna da sé si stimi, si ami come si merita. La natura delle cose; l'uomo non può divenire beato per via di cose inferiori a sé ed esteriori, ma bensì per ciò che gli è migliore di sé; e questi è Dio solo, poiché è detto degli Angioli minuisti paulo minus ab angelis. L'intelletto è fatto primariamente per le idee e verità spirituali generali, eterne, immutabili, infinite cioè per Dio; secondariamente per le idee temporali sensibili; inoltre non è mai sazio di sapere; desidera sempre sapere di più. Dunque Dio solo può contentarlo. Il cuore dell'uomo ha una capacità infinita e tutte le creature e viste finite potranno occuparlo, ma mai saziarlo. Pre,2306:T4,7 Non si riconosce Dio per primo principio se da lui non riconosciamo aver ricevuto ogni cosa. Non si riconosce Dio per ultimo fine se a lui non si rapportano ogni azione, ogni cosa. È egli necessario trattenersi in particolare a dimostrare questa verità? Religio a religando nos Deo. Il servizio si deve a Dio per debito, né mai ci può entrare liberalità; uno schiavo non può fare atti di liberalità verso il padrone; questo debito non si può esaurire perché ha dell'infinito, soddisfacendolo si accresce perché non può soddisfarsi senza un nuovo beneficio di Dio; questo debito deve essere continuo quanto alla disposizione dell'animo, quanto all'esercizio non obbliga di continuo. Qual essere supremo gli si deve ossequio, sommo per titolo d'equità, di religione. Qual primo principio gli si deve rapportare tutto. Qual Creatore gli si deve riconoscenza totale per titolo di gratitudine. Qual Padrone assoluto cui omnia necessario serviunt, e qual Legislatore e Sovrano [si deve] obbedienza per titolo di giustizia. Qual Padre obbedienza, amore, rispetto: siamo suoi figli, sua immagine. L'immagine sua che ci impresse non può perfezionarsi altrimenti che con avere lui solo per scopo e fine; per questo ci diede lo spirito per conoscerlo e partecipare e unirsi alla sua sapienza, un cuore per amarlo e partecipare alla sua bontà. Qual ultimo fine e sommo bene, amore sommo per titolo di necessità gioconda ed utile. Pre,2306:T5,1 La perfezione consiste nell'essere distaccati da tutto e uniti solo a Dio, alla sua volontà nell'eseguire i precetti ed i consigli. Perfectio est adhærere Dei voluntati tum præcipienti tum consulenti, hoc in abstracto. obstacula est cupiditas Cupiditas est vinculum 3 genera vinculorum in momento liber es, si vis: Amicus Dei esse si voluero nunc fio. Perfectio in concreto consistit in caritate hoc est in dilectione Dei et proximi. Præcepta consilia sunt instrumenta ad removenda caritati contraria et impedimenta. Est autem caritatis vita in voluntate; amicitia est idem velle et nolle. Perfectio ergo in concreto est voluntas Dei hic et nunc qua quandoque dictat relinquere Deum propter Deum, perfectionem propter perfectionem; est caritas ordinata in datis circumstantiis. Ergo singulis horis quærendum quid me vis facere. En vera discretio caritatis in qua est perfectio nempe quod postulat obœdientia, infirmitas corporalis et spiritualis, fraterna caritas seu condescendentia, commune bonum proprio non quærit quæ sua sunt. Sic Christus conviviis interfuit, sic S. Fr. Sal. laudat feminam. – Dilectio Dei prior est ordine præcipiendi, dilectio proximi prior est ordine faciendi. Nempe consilia non sunt absoluta sed conditionata, nempe si non est impedimentum, sic melius est dare omnia sed infirmis providendum. Pre,2306:T5,2 Secretum est dilige et fac quod vis hoc est præbe fili mi cor tuum: pone me ut signaculum super cor tuum; facere non tantum bona sed bene, hoc est cum amore, hoc est interius fortiter, exterius suaviter. Id est facile quia gratia mentem copulat; non timendum quia difficile sed quia timent difficilia; amanti omnia facilia. Distinctio inter plene et semiplene voluntarium. Cavendum defectus omnes facti de industria seu agere ex electione seu quando electio est primum principium, non quando ex ignorantia aut ex passione, tunc enim revocatur voluntas placendi Deo, unde non timendum quod induret. Sic amicus. n.b. Electio placendi Deo tamdiu durat quamdiu per electionem contrariam et per propositum incompatibilem non retractatur. Ratio cognoscendi an defectus sit de industria videndum num statim pæniteat. Dolendi ergo imperfecti non quod statim dolent, sed quod post non dolent quasi laudabiliter egissent. Cavenda nimia anxietas et punctualitas. Agendum rotunde et grosso modo. Item fate, fate, non tanto pensate; non è mica quel di cui si tratta, bisogna far del bene. Similes defectus involuntarii contitioni humanæ annexi sunt illis enim amicitia magis firmatur quod destruitur. Sic amicus per ignorantiam et infirmitatem læsus si illum videt humiliatum compatitur et dilectionem ardentius potius impendit quam subtrahit. Signum perfectionis est velle corrigi (Sales). Sed forte per repetitum casu retractatum est propositum, tamen retracta casum et renova propositum. La perfezione non consiste in mai mancare, ma in non mai voler mancare. Pre,2306:T6 Principium seu fundamentum Pre,2306:T6,1 Punctum I Principium hominis seu ipsius origo Creatus est homo a Deo: nempe a quo, unde, qualis Pre,2306:T6,2 Punctum II Finis proximus hominis in hac vita, seu ipsius occupatio ut Dominum Deum suum: revereatur corde honorem exhibendo per cognitionem, amorem, cultum; laudet ore ejus excellentiam prout potes extollendo, vulgando; serviat opere ex ejus nutu pendendo in omnibus, præceptis omnibus obtemperando. Pre,2306:T6,3 Punctum III Finis ultimus hominis seu ipsius destinatio in altera vita. Eique serviens tandem salvus fiat; felicitatem acquirendo unicam, maximam, certam, æternam. Pre,2306:T7,1 Finis mediorum seu creaturarum Reliqua super terram sita sunt hominis ipsius causa ut eum ad finem suum prosequendum adjuvent. Creaturæ omnes: ante mundi creationem non erant; ex se nil sunt; a Deo ex nihilo educta sunt; bonis cumulata sunt; conservantur hoc est singulis instantibus rursus e nihilo educuntur. Insuper Deus operatur omnia in eis unde ab ipso sunt omnes eorum effectus, combinationes, eventus, privationes etc. Cætera vero creata sunt quæ Dei potentia in creatione produxit in cælo, in terra modo tam multiplici et vario; in quibus Dei bonitas effudit thesauros suos tam large et magnifice; quæ Dei Sapientia tam apte ad fines suos disponit. Sed cur Deus istæ creavit. Sed fuit propter homines etc. Ideo dictum faciamus hominem… et præsit piscibus maris, et volatilibus cæli et bestiis universæ terræ; item omnia subjecisti sub pedibus ejus; hinc par est credere orbes etiam cælestes et elementa propter ipsum hominem esse condita, uti etiam eorum motus et operationes declarant quibus assidue homini serviunt, neque alius eorum usus assignari potest. Homo igitur est finis proximus totius istius machinæ, nempe mundus ut ejus palatium, cetera ut ejus mancipia, ideo cæteris rebus digestis, ornatis, præparatis; ultimo loco homo conditus est veluti hæres et dominus in possessionem orbis et omnium quæ in ipso sunt inductus. Pre,2306:T7,2 Sed quomodo hominem juvant? Juvant corpus ad etc. unde mundus est ei veluti domicilium pulcherrimum, amplissimum, instructissimum omni genere supellectilis, affluentia omnium rerum quibus indigeri potest homo. Cum enim homo non solum animo sed etiam corpore constat, egebat loco corporali in quo degeret, innumeris adminiculis corporalibus ad hanc vitam agendo, ad virtutem exercendam donec transferretur ad vitam æternam. Juvant animam utpote infima in ordine intelligentium adeo imbecilla est ad intelligendum etc. quia ex eorum impressionem in organa sensuum oriuntur in anima ideæ, conceptus, affectus, discursus. Idcirco hic mundus veluti præco ingerit homini notitiam sui conditoris declarando illius potentiam et sapientiam, bonitatem et pulchritudinem, providentiam et ceteras perfectiones: cæli enarrant gloriam Dei et opera manuum ejus annuntiat firmamentum unde ratione hujus officii creaturæ dicuntur laudare Deum, quia quantum in se est ad hoc excitat naturam rationalem hinc quamvis propter plures alias rationes bonæ dicuntur præcipua tamen bonitas consistit in hoc eorum officio. Et sic hominem juvant immediate creaturæ præsentes; mediate etiam non præsentes. Pre,2306:T7,3 Major sanctitas consistit in quærendo et procurando Majorem Gloriam Dei. Sed nemo novit et potuit procurare majorem Gloriam Dei quam Jesus in suis actibus internis et externis utpote Deus-homo. Item nemo scit et potest procurare et quærere hanc Dei Gloriam nisi per Jesum utpote solus Via, Veritas, Vita. Ergo nisi audiendo et imitando Christum et per auxilium Christi procurari potest Gloria Dei; scilicet spiritus et virtus Christi animare debet omnes vires et actiones nostras ut sic 1o similes simus Jesu per quantum fieri potest in exteriori et interiori nostro, et sic 2o quæramus majorem Gloriam Dei et 3o sancti simus. Ergo unio et imitatio Christi procuranda maximopere in omnibus ut procuremus Majorem Gloriam Dei. Propterea ante omnia procuranda tenera affectio ad Christum. Ad hanc autem unionem et imitationem procurandam excitanda est 1a. Se la regina di Saba restò così stupefatta al vedere la grandezza della Reggia di Salomone e l'ordine che vi regnava, che dirà di un'anima in cielo? Quale sarà la bellezza e il conversare con Maria Vergine, Gesù Cristo, Dio che è il soggetto della 2a meditazione? Ecco come sarà premiata la pazienza nei mali di corpo di questa vita per le intemperie. Vide Ponte, Guizzardi. Sofferenza con le persone moleste, cattive. Pre,2306:T7,4 Media ad finem De fine Mediorum Reliqua vero super terram sita, creata sunt hominis ipsius causa ut eum ad finem creationis suæ prosequendum juvent. S. Ignat. Reliqua super terram sita ante creationem nil erant ergo ex se nil sunt. A Deo ex nihilo educta sunt, bonis cumulata sunt, conservantur in esse et operari; a Deo provenit eorum combinatio, effectus, eventus, privatio etc. et operatur quidquid efficiunt. Nempe ejus necessitas, æquitas, utilitas, felicitas. Necessitas, non enim aliter tollitur. Necessitas ad tollendum amorem creaturarum qui est radix desideriorum, affectuum, passionum nostrarum, omnes enim ex amore oriuntur sic vero affectus nostri non amplius erunt deordinati; necessitas ad tollendum impedimentum qui est impedimentum maximum, radicale nostræ rectæ electionis et usus mediorum quia secus vel labores nostri ad æternitate sunt inutiles uti passus extra viam vel ad minus omnia opera nostra manca sunt, quia infecta vitio propriæ voluntatis. Æquitas quia nemo tollerat servum a se conductum sibi alio modo laborare quam quo ipse illum jusserit; nobis ipsis gratum non est obsequium quod nostro nutu adversatur. Utilitas sic enim nullæ amplius erunt in mente inquietudines, turbationes quæ maxime rectam electionem impediunt; in corde infidelitates erga Deum quæ conscientiam pungunt, excruciant; imo erit tranquillitas et pax summa quæ exuperat omnem sensum; sic enim acquiretur sanctitas et magna sanctitas et cito felicitas in hac vita, quia ille in terris beata vivit, qui idem semper quod Deus, cupit. Pre,2306:T7,5 Conversazione e comunicazione Che dolce conversare sarà dunque lassù con tutta la gente dabbene e virtuosa di tutti i secoli e tutte le nazioni assieme radunata, con tutti gli eletti colmi di ogni virtù e perfezione, scelti dalla mano di Dio. Se è così dolce conversare su questa terra con persone dotate di santità, dolcezza, prudenza, che erano degli stessi Imperatori e Sovrani, quale sarà la consolazione di godere lassù della compagnia non di uno o due, ma di tutti, non dotati di qualche perfezione limitata, ma di tutte in sommo grado! Si aggiunga la comunicazione scambievole dei loro beni e della loro felicità perché unusquisque gaudebit de beatitudine alterius et erunt quot si vis tot gaudia (S. Ag.), l'amore scambievole, l'occupazione comune così grata di contemplare, amare, ringraziare, lodare, benedire in eterno il Signore. Videbimus, amabimus, laudabimus. Videbimus eum – sicuti est, fonte, abisso di grandezza, bellezza, perfezione; vedrò l'essenza cioè l'immensa ricchezza della divinità, la perfezione cioè abissi di verità, potenza, bontà, immensità; vedrò le operazioni ad extra, intra il mistero della Ss. Trinità; – e non in specie e in enigma, ma scopertamente sicuti est: cognoscam sicut et cognitus sum. Pre,2306:T8,1 Dio abisso di Maestà e di Bontà Viene disubbidito, disprezzato dall'uomo, creatura così piccola innanzi a Dio, così beneficato da Dio stesso, e si notino tutte le circostanze aggravanti di preferirgli la creatura, cioè con piena deliberazione, innanzi ai suoi occhi, nel mentre che era beneficato, servendosi dei suoi benefizi per farlo. Sua Divina Maestà per un tratto speciale ancora di bontà per far rientrare l'uomo non ancora suscettibile di sentire la forza di sua Bontà, ovvero ancora disposto a resistervi a suo danno, spiega all'uomo la sua grandezza e la sua padronanza all'occasione d'esercitare il suo assoluto e pienissimo dominio 1. di proprietà in morte, in cui con decreto inevitabile spoglia e distrugge l'uomo quando, dove, come più gli piace; 2. di giurisdizione nel giudizio ove celata la sua infinita potenza nella citazione, infinita sapienza nell'esame, infinita giustizia nella sentenza. E massime dimostra la sua padronanza, il suo dominio di giurisdizione nell'esercizio che fa della sua terribile giustizia nell'inferno, ove così severamente ed eternamente castiga colla pena del senso, perché servì di strumento all'offesa, e del danno perché fu disprezzato. L'anima detesta per il passato di aver pervertito l'ordine, disprezzato un Dio con preferirgli la creatura e amar se stesso usque ad contemptum Dei; piange d'aver offeso un Dio così grande e benefico, d'averlo offeso così deliberatamente e con tanto disprezzo etc. Pre,2306:T8,2 Si riconosce di aver pervertito l'ordine, di non aver considerato la creatura come mezzo, d'aver collocato il suo fine nella creatura stessa con disprezzo di Dio; riconosce d'averla amata con affetto talmente disordinato da preferirla a Dio. Esamina l'oggetto in particolare quale sia. È qui opportuno il confronto dell'oggetto amato con Sua Divina Maestà e in tempo appunto ove non c'è luogo ad inganno per conoscere maggiormente l'indegnità e la stoltezza di amare la creatura più che Dio. L'anima piange il suo mal fatto. Risolve di considerare sempre d'ora innanzi la creatura come mezzo, non come fine. Risolve di rimediare efficacemente ai suoi affetti gravemente disordinati verso la creatura e ne specifica nei suoi proponimenti l'oggetto. Pre,2306:T9,1 Si trova questi in punto di morte… Pre,2306:T9,1 2a meditazione […] Si trova questi in punto di morte, e non avendo l'uso di gustare le cose di Dio, di farsi violenza alcuna, di usare quella preparazione dovuta ai sacramenti, di raccomandarsi a Dio, d'esercitarsi negli atti delle virtù, riceverà benissimo (come voglio supporre) i Ss. Sacramenti, ma colla solita tiepidezza e negligenza che aveva da sano; tanto più la usa da ammalato, perché oppresso dal male e lusingato dalla speranza della salute, accompagna, ma freddamente, con le labbra il sacerdote che lo assiste, resiste, ma debolmente, al solito, alle tentazioni tanto più gagliarde in quel punto, e così si trova al tribunale di Dio. Lascio pensare a voi quali sentimenti allora non gli si risvegliano nel cuore. Ah se è vero che quæ seminaverit homo hæc et metet e che Deus reddet unicuique juxta opera ejus, quale speranza può avere mai fondata della salute da quel Dio che amò sì poco, che temeva di incomodarsi per servirlo? Ah, chi di noi vorrebbe trovarsi in tale stato e lasciare così all'incertezza la sua eterna salute, stato in cui per lo meno gli tocca un lunghissimo purgatorio, seppure non viene condannato all'inferno? Eppure questo certamente ci tocca, se noi continuiamo a vivere nella nostra tiepidezza che poco appresso rassomiglia alla tiepidezza poc'anzi descritta che ci mette in tanto rischio la nostra salute. Pre,2306:T9,2 3o Pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum ejus. Il giusto è quegli che ha rinunziato non solo con le parole ma con le opere al mondo, alla carne, al demonio; è quegli che vive di Dio e aborrisce le massime del mondo, che vive a Dio ed ha guerra continua con le sue passioni, che tutto il suo gusto è di piacere a Dio, tutto il suo timore è di offenderlo anche venialmente una sola volta con avvertenza; si presenta a Dio nell'orazione con quell'umiltà, con quel rispetto, con quella fiducia che conviene; in chiesa è animato dalla fede ed emula gli Angioli che stanno dinanzi al Trono di Dio, ai Sacramenti si accosta con tutta sollecitudine a trarne quel maggior frutto possibile, ansioso delle cose di Dio, sollecito per i suoi interessi, avente a cuore solo le cose eterne, non curantesi delle cose caduche e temporali, servendosene solo per promuovere il servizio di Dio, e niente di più, amante del prossimo a segno che sarebbe pronto a lasciar andare qualunque bene temporale e soffrire qualunque ingiuria e tormento, che offendere anche per poco la carità con alcuno; sollecito poi a beneficare tutti anche con suo incomodo e privazione; industrioso per non lasciare sfuggire una sola occasione di praticare un qualche atto di virtù, troppo contento di poter soffrire qualche cosa, la morte stessa per la salute di qualche anima o per la maggior gloria di Dio, in tutto conforme al volere di Dio, etc. Ora rimirate costui disteso sul letto della morte lieto all'annuncio della medesima, dire come S. Luigi: Lætantes ibimus. O quanto lo consola e lo assicura il passato; o quanto volentieri si separa dal mondo, con quanta ansietà sospira presso la patria celeste, o le belle parole che si sente dire: Euge serve bone et fidelis intra in gaudium Domini tui. Pre,2306:T9,3 2a Istruzione. Sulla confessione: Oloferne assediando Betulia cercò di rompere i canali che l'adacquavano, perché si arrendesse; così il demonio cerca di renderci pesante la Confessione e allontanarci da essa, poiché essa è come il sole che vivifica e rinvigorisce l'anima. Disse una volta il Signore ad un Profeta: fode parietem perché vedesse cosa faceva il popolo di Israele e veramente vidit abominationes pessimas. Vogliamo noi riuscire nell'esame? Facciamo un buco nel cuore, esaminiamo le passioni, massime la dominante, d'onde derivano tutti i peccati e li troveremo più facilmente. Esaminiamo il perché abbiamo commesso tale peccato e troveremo la passione. Pre,2306:T9,4 3a Meditazione. Giudicio particolare: Juste judex ultionis etc. Pre,2306:T10 Morte e Resurrezione Conviene morire per risorgere. Così nell'ordine della natura vedi il grano di frumento che muore per rinascere; così nell'ordine civile come conviene guadagnarci con stenti e sudori un po' di onore etc. Non coronabitur nisi qui legitime certaverit; delectat magnitudo præmiorum, non deterreat certamen laborum. Gesù Cristo medesimo: nonne sic oportet Filium hominis pati et ita intrare in regnum Dei? Fidelis sermo: si mortui sumus convivemus; si sustinebimus, conregnabimus. La morte importa separazione dai beni sensibili, disprezzo, insensibilità agli onori, ai piaceri mondani: qui consiste veramente l'essere virtuoso e imitare Gesù Cristo crocifisso. La prassi può essere questa: 1. Considerare sovente i motivi di umiltà e almeno umiliarsi da noi medesimi, se non siamo umiliati da altri; 2. contrariare il corpo nei suoi appetiti e maltrattarlo a bella posta giacché si trova nei comodi e fuor di ogni necessità di soffrire; 3. spogliarsi liberamente di quanto si possiede versandolo nel prossimo senza tanto riguardo, cioè nel seno dei nostri fratelli bisognosi, considerandoli massimamente come immagini di Dio, porzione stessa di Dio, godendo di poter amar Dio e dare a Dio qualche cosa nella persona del prossimo; 4. sovente fare il parallelo dei beni temporali con gli eterni e risolvere sempre di non voler che Dieu seul. N.b. Bonitas Dei in se est actus, objectum caritatis erga Deum: bonitas ipsa supernaturalis Dei suo modo proximo participata gratia gloria media ad hæc spiritualia et temporalia vel participanda; hinc amor complacentiæ vel desiderii subjectum, actus caritatis erga proximum. Esame frequente su queste cose. Pre,2306:T11,1 Sulla morte 1. Grande mistero. L'eternità si accoppiò col tempo. Il Verbo eterno si è fatto uomo nel tempo. Nessuno poteva redimerci se non dava soddisfazione; nessuno doveva dare questa soddisfazione se non l'uomo. Per redimerci conveniva dunque avere il prezzo, ossia il mezzo di dare questa soddisfazione sufficiente ed essere anche uomo. Dio aveva il prezzo ma non era uomo. L'uomo doveva la soddisfazione, ma non aveva il prezzo. Non doveva la soddisfazione, se non l'uomo. Non poteva dare questa soddisfazione, se non Dio. Perciò Dio si è fatto uomo per dare questa soddisfazione e nascose quasi nel sacco della sua carne il prezzo di questa soddisfazione. Pre,2306:T11,2 2. L'immensità si accoppiò con la brevità poiché il Divino Verbo si abbreviò con porsi nel presepio. La tua necessità per essere sollevata non esigeva niente meno che il Figlio di Dio. La tua possibilità non poteva capire l'immenso, onde maggiore era la tua necessità che la capacità; però per disposizione mirabile della divina carità Dio ci provvide con darci il suo figlio immenso di cui abbisognavamo e darcelo bambino, onde potessimo capirlo. Pre,2306:T11,3 3. L'infinita bellezza si accoppiò con l'oscurità. Che mi giovava se non poteva vedere la bellezza, il dono di tanta carità. Perciò in Gesù splendore del Padre, candore della luce eterna, col sacco della nostra mortalità fu coperta quella faccia che desiderano contemplare gli Angioli, affinché non solo vedessimo l'invisibile in figura visibile, ma l'amassimo simile nella nostra carne. Pre,2306:T11,4 4. La grandezza di Dio vestì l'abiezione, la sua dominazione vestì la servitù con discendere non solo fino a me, ma anche infra di me, con giacere nel presepio ai piedi degli animali, quegli che appena era accessibile agli stessi Angeli più sublimi. Pre,2306:T11,5 5. La fortezza ammise l'infermità, la Sapienza ammise la semplicità. Io sono il reo che arrossisco presentarmi innanzi la sua sapienza, io sono il colpevole e tremo alla vista di tanta potenza, ma la benignità mirabile di Dio sempre grande nel beneficare, nascose la sua sapienza nella semplicità perché non arrossissi di comparire, nascose la sua fortezza nell'infermità perché non temessi di accostarmi. Pre,2306:T11,6 6. La giustizia prese la figura del peccato. Pre,2306:T12,1 Per l'Elezione Porro unum est necessarium. Quid prodest homini etc.? Creatus est homo ad hunc finem etc. Tre sono le classi di coloro che vogliono salvarsi raffigurati in tre classi di ammalati: i primi vogliono la loro salute, ma non vogliono i rimedi che sono i mezzi per procurarla; i secondi vogliono la salute e anche i rimedi, ma quelli solo che piacciono e non gli altri; i terzi vogliono la salute ed efficacemente, perciò prendono i rimedi come il medico li propone, piacciano o non piacciano. La volontà dei primi non è vera volontà ma velleità, e di questa l'inferno è pieno; la volontà dei secondi è una volontà ristretta e pigra e lascia la salute incerta; la volontà degli ultimi è volontà vera ed efficace e questa conviene avere per riuscire l'affare della salute, cioè: conviene avere una brama ardentissima ed una efficacissima risoluzione di voler procurare ad ogni patto ed assicurare con qualunque mezzo possibile l'eterna salute. L'eterna salute poi si opera più sicuramente e con maggior vantaggio di meriti eleggendo quello stato in cui uno più si astiene dai peccati, e più si esercita in opere buone. E tale stato d'ordinario suol essere quello in cui vi sono meno incitamenti al male, più incitamenti al bene. Di questo i Giudici sono la ragione e la fede, non l'immaginazione, i sensi, le passioni che sogliono opporsi al retto giudizio facendo eleggere il peggio, cioè non quel che è giusto e retto, ma quel che piace, che meno incomoda, oppure facendo differire senza giusto motivo di eleggere, o l'esecuzione dell'elezione di ciò che chiaramente s'è veduto meglio, ciò che niente più facile perché facilmente sottentrano le passioni alla ragione, le quali indeboliscono la volontà, offuscano l'intelletto e fanno travedere le cose, se la volontà non è più che seria, buona ed efficace e in guardia dalle passioni. Pre,2306:T12,2 Fra gli stati poi quello si deve eleggere in cui vi è più abilità naturale, disposizione personale, in cui la sanità reggerà di più alla pratica dei doveri annessi, e in cui vi sarà maggior campo d'esercitare i talenti da Dio dati per comune utilità, e a cui vi sentite più portato dagli istinti della natura e della grazia. Due sono i modi con cui Dio chiama gli uomini al bene: uno generale e comune, cioè quando Dio col lume della fede fa chiaramente conoscere la sovrannaturale eccellenza e utilità di qualche atto virtuoso: N.B. che questo eccitamento al bene, che consiste in niente più che conoscerlo è anche vera vocazione di Dio, con cui dichiara ciò che brama farsi da noi e da sé solo basta, perché chi lo segue viva sicuro di seguire Dio ed operi, giusta il suo beneplacito; a tutti disse S. Paolo: Hæc est voluntas Dei sanctificatio vestra. L'altro speciale e meno ovvio, cioè quando al conoscimento del bene per via di fede si aggiunge una dolce e forte propensione di volontà. N.B. Questo modo è un maggior beneficio, perché facilita di più il bene e ordinariamente Dio così chiama coloro ai quali vede essere più giovevole il farlo, più pericoloso il tralasciarlo; onde essendo speciale chiamata v'è maggior ingratitudine, maggior temerità, maggior pericolo il resistervi. N.B. che il primo modo è ancora, in certo modo, regola più certa per non sbagliarla nell'elezione, in quanto che è più certo il seguire la cognizione dell'intelletto per via di fede che la propensione dell'affetto, se non che nel secondo modo v'è l'uno e l'altro; tutta la forza però la prende dal primo, cioè dalla cognizione dell'intelletto. Pre,2306:T12,3 Lo stato è un mezzo per servire Dio, non il fine. Gli incitamenti al male sono le occasioni di andare dietro facilmente agli onori, ai piaceri, alle ricchezze, l'appetito delle quali sono le radici dei peccati che abbiamo in noi. Gli incitamenti al bene sono le occasioni prossime di mortificarsi, di umiliarsi, di vivere distaccati dai beni del mondo, di vivere uniti con Dio con un fervente ed assiduo esercizio di atti virtuosi. Per ovviare agli inganni della passione e dei sensi è bene vedere cosa si consiglierebbe ad un intimo amico, cosa si vorrebbe aver fatto in morte al dì del Giudizio. Pre,2306:T13,1 Regno di Cristo Stato soprannaturale di grazia che eccede ogni nostro concetto – essendo super sensibile et super rationabile, super omnia esse et non ens – e richiede mezzi soprannaturali di lumi e di aiuti. Lo stato di grazia a cui siamo innalzati esige lumi e aiuti soprannaturali per mantenervisi e avanzare non servono i naturali. Perciò l'Eterno Padre ci ha mandato e assegnato il suo divin Figliuolo affinché siamo della sua società e ci serva di guida, via, Maestro, verità, aiuto, vita. Si veda quanto è grande la vocazione di seguire, ascoltare e imitare il Figliuolo di Dio, avere in tutto il suo aiuto, quindi non è più lecito il diffidare. Si veda con quale impegno dobbiamo corrispondervi, qual rimprovero avremo a farci se non corrispondiamo. Guardarsi di cadere e trattenersi nello stato naturale: sursum corda. Pater noster qui es in cælis. Maria mater Dei et nostra, sumus cives sanctorum et domestici Dei. Jesus Filius Dei est frater, amicus noster. In ogni nostra azione diffidare, disperare delle nostre forze, dire sempre: Deus in adjutorium meum intende. In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Intende: Priusquam orem et comedam, suspiro. Sive manducatis sive bibitis omnia in gloriam Dei facite. In ogni azione: uno sguardo affettuoso a Gesù nostro socio; consultarlo, attenzione al suo insegnamento, alle sue massime; osservare l'esempio che ci dà, imitarlo; chiedergli il suo aiuto soprannaturale. L'oggetto continuo delle meditazioni sia la Dottrina e la vita di Gesù Cristo. Vedi Vatier, Remarques 10 et seq., Entretien de l'amour de Notre Seigneur. Pre,2306:T13,2 Inspice et fac secundum exemplar riguardo ai doveri verso Dio, il prossimo, se stesso, circa la mortificazione interna, esterna. Christianus est alter Christus. Jesus est speculum: inspice, elue maculas, così si fa l'esame di coscienza. Unirsi così intimamente con Gesù onde s'effettui la sua continua preghiera: oro Pater ut unum nobiscum sint sicut et nos unum sumus, né certamente possiamo recargli maggior gusto e piacere, e quindi maggior gloria. Pone Te ut signaculum super cor meum, super brachium meum. Vide Neumayr, De moribus Christi, Med. 3, De regimine Christi, Med. 2, die 4 Gesù è il sommo bene sommamente benigno, di natura summe sui diffusivum; è misericordia infinita verso i bisognosi ed i suoi stessi offensori, incaricandosi persino dei loro peccati per darne la dovuta infinita soddisfazione. Le prove infinite d'amore di Gesù sono d'aver sudato sangue, d'essersi lasciato flagellare, incoronare di spine, crocifiggere dal peccatore e per il peccatore e morire per salvarlo, di essere sempre disposto a fare altrettanto se ancora bisognasse. Infatti è sempre in stato di vittima che si offre per noi. Ah, veramente l'amore non è amato, né veruno si impegna a farlo amare. I benefizi che ci ha conferiti (altre prove dell'amor suo) sono di liberarci dal sommo male, di procurarci il sommo bene nello stato di grazia e di gloria, e questo con sua somma umiliazione e patimento volontario. Ah! Si quis non amat Jesum Christum anathema sit, perché è una sconoscenza, durezza inconcepibili. Si aggiunga il beneficio dell'Eucarestia per cui si fa nostro cibo, sta sempre con noi quale prigioniero d'amore; gli altri sacramenti; l'aver fondata la Chiesa; l'averci dato il suo stesso nome per aiuto e difesa, sua Madre anche nostra etc. L'amore vero non si contenta dare a Gesù quello che ha, questo è giustizia; vuole andare oltre, si esercita con desiderio di fare sempre di più, patimenti e sacrifici, etc. Pre,2306:T14,1 Finis Exercitiorum Caritas Senza la carità tutto inutile. Modus diligendi Deum est diligere sine modo: ex toto corde, ex tota anima, ex tota mente, ex tota virtute. Considerarne le dimensioni. La larghezza: Suscipe Domine universorum meam libertatem (vide Guizzardi). Exeuntes se quantum fieri potest amore omnium creaturarum ut affectum universum in ipsarum creatorem conferat. Si rifletta che siamo amati da Dio, autore della natura, della grazia, della gloria. La lunghezza: Omni vita dilige Deum. Altare est cor. Ignis in altari semper ardebit. Dio ci ama sempre senza interruzione. L'altezza super omnia: non solo rinunciare ad ogni affetto gravemente, venialmente deliberato verso la creatura a qualunque costo, ma esser pronto ad osservare i consigli che in sostanza consistono a staccarci da tutto, e in conseguenza deporre ogni affetto anche regolato e cercare in tutto la maggior Gloria di Dio; spernere quod Deus spernit, amare, æstimare quod Deus æstimat et nil aliud. In conseguenza esaminarsi sovente sul motivo e perché facciamo ciascuna azione, e procurare sempre d'operare nel modo più perfetto, cioè che è di più gusto a Dio. La profondità che consiste nella purità e fortezza: 1. non aver riguardo ad alcun nostro comodo, ma a quel che più piace a Dio; Dio non cercò che il nostro utile; 2. la fortezza esige che sia operante: non verbo sed opere, paziente e con alacrità, perseverante sino alla morte; così Dio amò noi stessi. Pre,2306:T14,2 Deus amorem et communicationem nostram sub gravissimo præcepto expectat ut communicatio et amicitia sit mutua. Amplexus Dei fit cum unione potentiarum: memoria semper cogitando de Deo, intellectu semper sentiendo cum Deo, voluntate semper prompta ad agendum et patiendum pro Deo; unde sequitur familiaritas cum Deo ipso. Familiaritas supponit potentias ab omni fæce terrena puras. Memoria est vaga et facile Deo obliviscitur quia plus ad creaturas quam ad Deum afficitur; adeoque amore si non appretiativo, saltem affectivo et tenero aliquid amatur supra Deum. Intellectus non acquiescit ordinationibus Dei de se et aliis, quia anima vel se ipsam vel aliud amat præter Deum. Voluntas mutatur ad horas, ad difficultates resilit, quia cor limites amoris apponit. Deus neque quoad extensionem et intentionem amatur, sine modo, sine capitulationibus. Deliciæ Dei esse cum filiis hominum; deliciæ hominis esse cum Deo. O Deus quam admirabilis! Quis Deus in se? Deus meus quam amabilis! Quis Deus erga nos? Intuere Deum qualis est: intra se, est Ens a se quod essentiam non tamen solitarius quoad excellentiam sed fecundus ideoque in seipso beatum; extra se, est bonum summe communicativum sui: patet ex bonis quæ communicavit, communicat et communicabit in omni ordine naturæ, gratiæ, gloriæ. Ipse sibi est omnia quia a se et in se beatus est, nobis est omnia principium ut Creator, medium ut Redemptor, finis ut Sanctificator. Via brevissima ad perfectionem est quæ docuit ipse Deus (Segneri) interius indicens: volo ut invicem amemus. Dio amando e comunicandosi all'uomo; l'uomo amando e comunicandosi a Dio; verso qual soggetto si porta ciascuno? N.B. Nil amandum supra, præter Deum. Deus vero amandus sine modo. Pre,2307:S Introduzione agli Esercizi 1. Idea degli Esercizi di S. Ignazio (abbozzo). 2. Disposizioni con cui si debbono intraprendere i Ss. Esercizi. 3. Idem in francese. Annotazioni per far bene gli Esercizi. Autografi di varie epoche. AOMV, S. 2,11,3:307 Pre,2307:T1,1 1. Introduzione – Idea degli Esercizi di S. Ignazio Si tratta 1o di attendere all'affare più importante, qual è la salute eterna. Che ne pensa Dio medesimo e che ha fatto e che fa per questo. L'impegno deve essere dunque unico ed efficace (vide Pinamonti). Dunque se vi è mezzo particolare, dei più efficaci, questo vuole essere adoperato, e questo sono gli Esercizi Spirituali. 2o Di attendervi con un mezzo, il più efficace, quale sono gli Esercizi di S. Ignazio (vide Neumayr, Gratia vocationis sacerdotalis). Conviene dunque apportare la volontà più risoluta e generosa. In pratica poi fuge, tace, quiesce: solitudine, silenzio, tranquillità, mortificazione, esattezza. Pre,2307:T1,2 Siccome esercitandosi le membra del corpo col passeggiare, per esempio, viaggiare, correre e simili dice S. Ignazio, suole dirsi che si facciano gli esercizi corporali, così esercitandosi le potenze spirituali dell'anima col pensare e riflettere, per quel certo moto che fa l'anima con l'entrare così e uscire di se stessa (che però da taluno vien detto deambulatio animæ), si dice farsi esercizi spirituali; inoltre siccome altri si esercitano nelle arti, altri nelle scienze, altri nella milizia, così qui particolarmente si esercita il cristiano nella grand'arte e scienza della salute, e nella sì rischiosa continua milizia contro i tanti e tanto insidiosi e forti, interni ed esterni suoi nemici; e siccome oltre agli ordinari esercizi militari, per esempio si stimano talvolta utili e anche necessari altri esercizi straordinari di simile professione, così sebbene soglia praticare ogni dì il cristiano qualche esercizio ordinario di Religione per non divenire dei suoi nemici la preda, è pure sempre utile e talvolta necessario l'intraprendere questi esercizi straordinari, eccetto che la milizia spirituale sia meno rischiosa della corporale, o meno bisognosa di perizia e di attività, o meno importante. Sebbene non è qui tanto l'impresa d'illuminare l'intelletto perché conosca quel che deve fare e il modo di combattere e vincere i suoi nemici, e quanto deve fare per mettersi in grazia di Dio, che già in sostanza questo lo sa, ma si tratta qui particolarmente di formare una batteria più forte al nostro cuore, per vincere cioè la sua durezza e insensibilità, per indurlo così ad approfittare delle grazie che il Signore gli somministra, e divengono gli esercizi sotto questo aspetto più efficaci degli stessi sacramenti. Vide Neuville, Judde Pre,2307:T1,3 Annotazioni generali per fare bene gli Esercizi 1o Fedeltà: cioè avere un'idea grande dei mezzi praticabili con integrità, con diligenza, con serietà. 2o Generosità per superare le difficoltà che s'incontrano massime nelle riflessioni, applicazioni, esami profondi, ecc. Liberalità e confidenza con Dio. 3o Tranquillità somma: Dio solo e l'anima, solitudine esterna ed interna, guardarsi dai nemici dei sensi, dalla curiosità, ecc. per non impedire e sentire bene la voce di Dio. Annotazioni particolari per ciascun esercizio, vedi origini di distrazioni. Intraprenderlo (massime la meditazione) cum paupertate spiritus, siamo tabula rasa, se Dio non ce ne mette, non ce n'è, non sumus sufficientes etc.; non andiamo all'orazione per dare a Dio dei bei pensieri e sentimenti, ma per riceverne, e se Dio non vuole fare l'elemosina è padrone, eserciteremo la pazienza. Guardarci di farlo come per forza, farsene come un delitto di questo, perché proviene da ingratitudine, perché non si conosce, non si stima il favore che il Signore ci fa nel permetterci di fare quell'esercizio: intraprenderlo dunque hilariter, ex lege amoris con piacere e così continuarlo e finirlo. Per tranquillizzarsi mettersi alla presenza di Dio un quarto d'ora prima per prevedere i punti, la materia e il frutto, ossia l'affetto da eccitare o da combattere; un quarto d'ora dopo per esaminare i difetti che sottentrarono, pentirsene e proporre di fuggirli altra volta, scrivere i lumi e ringraziarne il Signore. Pre,2307:T1,4 Origine di distrazioni, di aridità, di tristezza 1. Exigua affectio nata ab exigua æstimatione actionis et utilitatis. Quis, cui, quid? Sempre intraprenderla hilariter ex lege amoris, mai per forza. 2. Sensus agens che dissipa lo spirito, perciò si debbono mortificare e nominatamente la curiosità di leggere cose non affatto appartenenti all'esercizio che si fa; si scelga un luogo solitario e tranquillo e così le distrazioni non saranno neppure voluntariæ, indirectæ. 3. Cura pungens che rapisce il cuore circa gli avvenimenti futuri, per abbandonare a Dio i futuri contingenti; circa le faccende correnti cura ordinem et curasti omnia; omnia tempus habent sufficiens. 4. Culpa mordens anche veniale che impedisce di accostarsi e di trattare con Dio con fiducia e famigliarmente; pentirsene subito, atti di contrizione, di speranza: Deus propitius esto mihi peccatori, ciascuna parola ferisce il cuore di Dio. 5. Applicatio negligens1. La considerazione può raggirarsi su qualche azione giornaliera, considerandone 1o la natura e la sua perfezione; 2o quanto siamo distanti da essa e per quali difetti; 3o cercare i mezzi da adoperarsi; 4o notare i difetti ed i rimedi. L'esame può farsi sull'osservanza dell'ordine del giorno prefissoci e sulla perfezione di ciascuna azione fatta; può farsi o con l'esame generale o al dopo pranzo. 6. Concetto della propria abilità: umiltà, speranza, confessarsi inabile anche ad un buon pensiero il che è di fede, e credere che Dio ci darà ciò che è più […]. Amar la meditazione fatta. Pre,2307:T2,1 Introduzione – Disposizioni con cui si debbono intraprendere i Santi Esercizi 1. Risoluzione di farsi santo, gran santo e presto. 2. Persuasione della propria insufficienza. 3. Persuasione dell'abbondanza dei divini aiuti. 4. Cooperazione. 1. Se proposer tout de bon (non a parole, non con velleità) de se faire saint, grand saint, et vite. Pourquoi? Parce que c'est le but de la retraite de S. Ignace; parce que c'est le but que nous devons nous proposer aussi. C'est le but de la retraite: cos'è farsi santo? È distruggere l'uomo vecchio e vestire l'uomo nuovo, e questo si fa nella prima e seconda settimana. Il Signore ci aveva creati ad immagine e similitudine sua; il peccato distrusse quest'immagine in noi, e la santità consiste nel restituirla; si debbono dunque lavare le macchie del peccato; si deve ristabilire la somiglianza, l'immagine di Dio, la quale consiste non nel somigliargli nell'onnipotenza, Sapienza, immensità, ma nella santità, cioè nel rendersi modello delle sue virtù, ciò che si fa in questi Esercizi. Pre,2307:T2,2 Essere santo vuol dire, quanto alla memoria, dimenticarsi di tutto il creato e non occuparsi che di Dio, trovare Dio in tutti gli avvenimenti, vedere Dio in tutte le cose, riferire tutto a Dio, essere sempre fisso in Dio, rassomigliare così a Dio stesso che sempre si occupa di se stesso, si compiace di se stesso, è beato di se stesso. Essere santo vuol dire, quanto all'intelletto, disprezzare tutte le cose terrene, stimare solo le eterne per venire così a stimare niente, disprezzare niente altro che ciò che stima o apprezza Dio stesso, e uniformare così i nostri giudizi con quelli di Dio, i quali soli sono giusti ed infallibili. Farsi santo vuol dire, quanto alla volontà, raddrizzare i suoi desideri e timori, cioè non desiderare né temere che l'eterno; non essere soggetto alle sue prave inclinazioni che fanno che l'uomo desideri o tema ciò che non deve né desiderare né temere, per essere inoltre [pronto a] tenere lontano dal cuore ogni perturbazione o mutazione, essendone la causa di queste il desiderio o il timore di cose terrene, e così venire ad avere un cuore quieto, tranquillo e immutabile come si è Dio, poiché allora tutte le mutazioni si faranno nelle cose eterne, per esempio nel corpo, nella fortuna, negli amici, rimanendo l'animo sempre lo stesso, come è Dio, come erano i Santi, come era Giobbe, che era sempre lo stesso sedendo sul soglio come sul letamaio. Ora tutto ciò si opera nei S. Esercizi. Pre,2307:T2,3 Più ancora farsi gran Santo vuol dire essere disposto a praticare sempre nelle occasioni, atti eroici di fede, di speranza, di carità verso Dio, verso il prossimo, avere sempre per fine del suo pensare, parlare, operare la Maggior Gloria di Dio. Ora anche a questo ci portano i Santi Esercizi. E tutto questo in 8 giorni. Dunque lo scopo di questi Esercizi si è farci Santi, gran Santi e presto; e noi dobbiamo corrispondervi perché Dio lo merita, la vocazione lo esige, il mondo ne abbisogna e vi entra il nostro interesse. Dio lo merita, sia che si consideri per se stesso, sia relate a noi. Per se stesso degnissimo che la sola sua gloria ci stia a cuore quis ut Deus. Di che altro possiamo interessarci che merita come Dio tutto il nostro interessamento? Se poi si considera relate a noi, chi ci fu più benefico e liberale di lui, non sono suoi e destinati per noi i doni immensi di natura, di grazia, di gloria? Chi ci può essere utile fuori di lui fonte e sola fonte d'ogni bene? È ingratitudine enorme dunque non farsi santo. Pre,2307:T3,1 Introduzione De tous les moyens pour l'avancement spirituel, les Exercices, c'est le meilleur. Ils font quelquefois ce que la prêtrise, et le bonheur d'offrir tous les jours Jésus-Christ, n'avait point fait. N.B. le doute raisonnable de devenir jamais vertueux, si nous ne le devenons pas ici. – Sommesnous sûrs de l'avenir? Nous ne pouvons compter sur un an de vie, et nous comptons sur 20, 30, 40 ans et peut-être davantage. Qui sait si dans 8 jours d'ici, il faudra paraître devant Dieu? Ainsi, qui sait si vous aurez une autre fois ce bonheur? – Quelles sont les difficultés présentes? L'habitude mauvaise, la crainte d'une vie réglée et gênante, un certain éloignement de Dieu. Or tout cela n'augmentera-t-il pas en avançant en âge? Et si actuellement c'est difficile, ne le sera-t-il davantage une autre fois, quoique vous ayez de nouveau ce bonheur des exercices? Le plan des exercices regarde le passé, le présent, le futur; le passé pour le réparer, le futur pour le prévenir, le présent pour combattre et s'exercer. Pre,2307:T3,2 Confiance en Dieu Désespérons quand nous ne considérons que nous-mêmes: je ne suis rien, je ne puis rien, mais S. Augustin répondrait: an illi potuerunt ex se an ex Deo? Et pouvons-nous craindre que Dieu nous abandonne dans un dessein qu'il nous a inspiré et où sa gloire est intéressée? Il s'agit des propres intérêts de Dieu, il veut le salut des âmes, il veut donc des apôtres qui coopèrent à ses desseins; si pour cela il faut être saint, il nous aidera. Pre,2307:T3,3 Efforts généraux On a à revenir d'un long égarement, souvent tout coûte au commencement, on n'a d'habitude ni au recueillement, ni au silence, ni à la prière, ni à la mortification, on est comme un étranger qui ne connaît pas les usages, ni les mœurs, d'ailleurs le démon n'épargne rien pour nous traverser et rendre nos efforts inutiles. Pre,2307:T3,4 Fidélité scrupuleuse aux règlements Les personnes qui profitèrent davantage des exercices faisaient résolution de ne lire, ne méditer que ce qui était prescrit. Exemple de Naaman: pourquoi se laver 7 fois, pourquoi dans les eaux du Jourdain? Pitoyable raisonnement. Pourquoi? Parce que Dieu le veut; la grâce de notre changement est attachée à l'humiliation de notre esprit et de toutes nos facultés, à des pratiques qui conduisent à l'anéantissement de notre amour-propre; ne vissions-nous pas le rapport qu'ont ces petites choses avec les plus éminentes vertus, l'expérience tiendra toujours contre nos raisonnements. Pourquoi la force de Samson était-elle dans ses cheveux, pourquoi la guérison des blessures des serpents attachée à regarder le serpent d'airain, pourquoi l'adoucissement des eaux de Mara à y jeter du bois ordinaire? Dites-le-moi, et je vous dirai pourquoi et comment la sainteté est attachée à une longue suite de pratiques qui sont des riens en apparence. Pre,2307:1 Applicatio negligens: hoc est sive in initio, sive in medio nulla elevatio mentis, collectio animi, compositio corporis, initio ora ut possis orare, in medio materia distractionis fiat orationis. Pre,2308:S Istruzioni per ben meditare Vari testi di mano Lanteri. AOMV, S. 2,11,4:308 Pre,2308:T1 Orazione Preparatoria 1. Unirsi ad adorare la Maestà di Dio presente con tutti quelli che l'adorano in Cielo e in terra. 2. Ciò che ci rende indegni di restare alla presenza di Dio sono i nostri peccati, chiedere perdono, sperarlo fermamente, proporre di non più commetterne, sperare fermamente gli aiuti divini per questo. 3. Siccome è di fede che siamo incapaci d'aver un buon pensiero da per noi stessi, e che ogni lume ed ogni grazia deve venire da Dio, ricorrere umilmente e con fiducia e con istanza al Signore per questo, offrendo le tre potenze dell'anima alle Tre Divine Persone, e il nostro cuore al S. Cuore di Gesù, chiedendo ancora l'intercessione di Maria Vergine e dei Santi Protettori e l'assistenza del nostro buon Angelo Custode. Modo di meditare la Passione di Gesù Cristo. Proporsi il mistero da meditare. Pre,2308:T2 Metodo per la Meditazione 1. Quale è il soggetto? Quale il senso in tutta la sua estensione naturale? Quale il senso opposto? Cosa direi io ad un altro secondo la ragione stessa? Cosa mi dice di più la fede in delucidazione di tale soggetto, in confermazione? Debbo io credere tali cose? Quali sono i motivi di crederle? Quali sono i nemici che si oppongono a credere tal cosa? Come debbo superarli? I Santi come credevano questa verità e in seguito cosa facevano? Se veramente io credessi, quali atti, quali opere farei? Tali atti e tali opere debbo farle anche io? E perché? 2. Posso poi praticarla anche io? Quali motivi ho di disperare di poter operare così? Quali motivi ho di sperare di poter praticare tali atti? Che si oppone alla mia speranza? Come debbo vincere tali nemici? I Santi che speravano che non fecero? Se io veramente avessi sperato, cosa avrei dovuto fare per il passato? Quale sarebbe stato il mio guadagno? All'opposto cosa ho fatto? E quale è stato il mio danno? 3. Non voglio io operare anche così per l'avvenire? Che motivi ho per operare così? Cosa si oppone perché io operi così? Come debbo superare tali nemici? Se veramente amassi Dio, con quale sorta di volontà opererei in queste cose? A chi ricorrerò perché m'aiuti a metterle in pratica queste risoluzioni? Quali motivi addurrò? Prima prevedere la Meditazione: i punti, il frutto, indi due passi avanti l'inginocchiatoio un'occhiata al cielo, credere che Dio presente e spettatore, che mi vuole aiutare mi vede fare un inchino con atto di adorazione. Ad te Domine dirigantur vires et actiones meas. Pre,2308:T3,1 Preparazione remota per ben meditare Prevedere e leggere la meditazione la sera avanti di andare a dormire; nel coricarsi e nello svegliarsi richiamare alla memoria il soggetto della meditazione e andare prevedendo i riflessi, le conclusioni, gli affetti, i proponimenti, i colloqui che vorremo fare. Pre,2308:T3,2 Disposizioni prossime Volenti nil difficile e per eccitarne una vera e seria volontà, riflettere: 1o che si tratta del mio massimo affare, cioè del mio avanzamento spirituale e della mia eterna salute, onde conviene trattarlo non leggermente, ma col massimo impegno. 2o Che questo massimo negozio io vil verme di questa terra vado a trattarlo con il gran Signore, colla Maestà infinita di Dio, onde conviene che apporti tutta l'attenzione e riverenza possibile che gli conviene. 3o Se io tratto con impegno e con grande riverenza questo gran negozio con Dio, ne risultano per me grandi vantaggi spirituali ed eterni; onde non mai mediterò come per forza, ma sempre con grande stima ed affetto; epperò in tale tempo sarò come cieco, muto e sordo per tutto il rimanente creato, procurando per questo un luogo solitario e restandovi esternamente raccolto per quanto potrò, disprezzerò pure dalla mente ogni altra idea o distrazione che conosca affacciarmisi aliena da quanto medito, procurando invece di ricondurre sempre tranquillamente e dolcemente il mio cuore e affezionarlo alla verità che medito. Pre,2308:T3,3 Se nonostante proverò distrazioni involontarie o aridità, mi guarderò dal credere perduto quel tempo e non mi perderò mai di coraggio, e il pessimo ripiego sarebbe d'abbandonare l'orazione, ma amerò allora la mia orazione fatta in povertà di spirito, invece di abbreviare la meditazione la prolungherò anzi di qualche minuto; forse Dio vorrà con ciò che io senta meglio la mia insufficienza anche per avere un buon pensiero, e che i suoi lumi e i sentimenti che altre volte mi comunica sono grazie e non sono frutti di mia industria, e non cose dovuteci per alcun titolo, altrimenti non sarebbero più grazie; l'impazientirsi in tale tempo o il tralasciare l'orazione non è altro che pretendere da noi ciò che non possiamo o pretendere da Dio ciò che non ci deve. Così mi umilierò dunque quando Dio vuole farmi fare anticamera e non darmi udienza e penserò anzi che non mi tratta ancora secondo i miei meriti poiché è già una gran grazia che mi fa il solo permettere che io stia alla sua presenza. Godrò dunque almeno di starmene così tranquillamente anche ozioso alla sua presenza, poiche così gli piace, e dirò con Davide: ut jumentum factus sum apud te et ego semper tecum, bonum mihi quia humiliasti me; e giacché non faccio altra penitenza, farò almeno questa che è la migliore, il sacrificio cioè non tanto dei miei sensi e del mio corpo, ma anche del mio spirito e delle mie facoltà, con il privarlo, per amor di Dio, per quell'ora della libertà di occuparsi volontariamente altrove. Siamo dunque persuasi di queste due verità: 1o che Dio da me non è l'esito dell'orazione che vuole, ma vuole l'applicazione per quanto dipende da me, l'esito è nelle sue mani; 2o che Dio negandomi la grazia che gli chiedo della divozione me ne fa un'altra più essenziale di darmi cioè, maggior cognizione della mia miseria, e della sua grande padronanza, tanto più poi che non tralascerà ancora di darmi con usura ciò che ora mi nega. Guardiamoci dunque sempre da negligenza volontaria e da scoraggiamento per difficoltà che s'incontri. Pre,2308:T4,1 Affezionarvi la volontà… Affezionarvi la volontà, esaminandone 1o la sorgente donde nasce l'affetto e l'intenzione con cui ce la manifesta; 2o i vantaggi che ne ricava in vita, in morte, nell'eternità chi procura d'uniformarsi a tale verità; 3o gli svantaggi di chi la trascura in pratica, quindi uno sguardo su questa terra alle persone serventi che si fanno violenza per praticare la tale virtù, e come sono contente s'avanzano e come protette da Dio; uno sguardo al cielo per vedere la ricompensa che ne godono i Santi, quindi risolvere di fare altrettanto. Pre,2308:T4,2 Passare all'applicazione, alla risoluzione nel modo che segue: 1o per il passato l'ho fatto? Qual vantaggio se l'avessi fatto? Qual danno mi è risultato per non averlo fatto? Quali sono state le difficoltà e le cagioni? Umiliarsi, pentirsi; 2o per il presente avrò ancora difficoltà d'incominciare? Quali sono? Con quale volontà le voglio superare? Con volontà procrastinante o pronta? Assoluta o con riserva? Ferma o debole e vacillante alla prima difficoltà? Dunque, quando e come praticherò tale virtù? Quindi fare proponimenti fermi, cercare i mezzi, sciogliere le difficoltà, fissare le circostanze; 3o per l'avvenire sarò io perseverante? Quali motivi ho da disperare di perseverare per parte mia? Quanta debolezza, incostanza ed indegnità mia, quali motivi ho anche da disperare in Dio? Non è egli mio Padre onnipotente? Perché non potrà, e se Padre perché non vorrà aiutarmi? E se quando ancora ero suo nemico sacrificò per me il suo Unigenito, senza esserne richiesto, vorrà ora negarmi le grazie necessarie che gli chiedo? Non si obbligò egli con promessa e giuramento di esaudirmi? Le tante grazie ricevute non sono esse già tante caparre? Non sono forse dunque più forti i motivi di sperare? Non offendo io il Signore se non spero? Confessare la propria debolezza ed indegnità ma tanto più prostrarsi invincibile nella speranza in Dio, all'esempio dei santi quelli pieni d'umiltà e di fiducia. Pre,2308:T4,3 Passare alle petizioni riguardo alle grazie da chiedere, epperò indirizzarsi 1o a Maria Santissima perché ci ottenga dal suo Unigenito le virtù, le grazie, gli aiuti che le chiediamo; 2o a Gesù Cristo affinché ce li ottenga dal suo Eterno Padre; 3o all'Eterno Padre affinché non ce li neghi. I motivi che si possono addurre per parte nostra sono la nostra bassa ignoranza, malizia, incostanza, i pericoli e le passioni, le suggestioni del demonio; per parte di Maria Vergine, la sua dignità immensa come Madre di Dio, il suo buon cuore come Madre nostra, i titoli che la Chiesa le dà, i suoi meriti; per parte di Gesù Cristo, la sua qualità di Salvatore, di nostro capo, fratello, sposo, amico. Pre,2308:T5,1 Disposizioni per ben meditare 1o Stima ed affetto. 2o Applicazione seria e tranquilla. Riverenza esterna, con essere sordo, cieco, muto per tutto il creato. Preparazione prossima: il luogo, il tempo, il soggetto della meditazione bene adattato. Credo, adoro, mi pento, le tre potenze a voi offro, spero e mi rassegno. Pre,2308:T5,2 Meditazione Leggere e richiamarsi alla memoria il punto della meditazione. Convincere l'intelletto, considerando qual è il suo vero senso e il senso opposto. Quali riflessi ci somministra la ragione e la fede in dilucidazione e confermazione di tale verità. I Santi come capivano e credevano simile verità come la credo io. Affezionarci la volontà esaminando [1o] la sorgente, cioè donde parte tale verità, l'affetto e l'intenzione con cui ce la manifesta. 2o Gli effetti, cioè i vantaggi che ne ricava in vita, in morte, nell'eternità, chi procura di uniformarsi a tale verità. 3o Gli svantaggi di chi la trascura in pratica; un'occhiata al purgatorio per vedere chi l'ha trascurata, poi un'occhiata agli esempi di Gesù Cristo e dei Santi che su questa terra per essere ferventi, che veramente convinti ed affezionati a tale verità, si fanno violenza per uniformare la loro vita alla loro fede, e come sono contenti d'avanzare, e sono protetti da Dio. Uno sguardo al cielo per vedere la ricompensa che ne godono i Santi. Pre,2308:T5,3 Passare all'applicazione e alle risoluzioni nel modo che segue: 1o Per il passato l'ho io fatto? Se l'avessi fatto qual vantaggio o qual danno mi è risultato? Per non averlo fatto? Quali sono state le difficoltà e le cagioni? Umiliarsi, pentirsi. 2o Al presente avrò ancora difficoltà d'incominciare? Quali sono? Con quale volontà le voglio superare? Con volontà procrastinante o pronta? Assoluta o con riserva? Ferma o debole e vacillante alla prima difficoltà? Dunque, quando e come praticherò tale virtù? Quivi fare proponimenti fermi, cercare i mezzi, sciogliere le difficoltà, fissare le circostanze. 3o Per l'avvenire sarò io perseverante? Quali motivi ho da disperare di perseverare per parte mia? Conosco io abbastanza la mia debolezza e la mia indegnità? Ma quali motivi ho anche da sperare in Dio? Non è egli mio Padre, onnipotente? Come onnipotente non potrà egli aiutarmi anche efficacemente, come Padre non vorrà egli aiutarmi? E se quando ero ancora suo nemico, sacrificò il suo Unigenito senza esserne richiesto? Le grazie ricevute non sono esse tante caparre e non sono forse tanti motivi di sperare di più? Vorrà ora negarmi le grazie necessarie che gli chiedo? Non s'obbligò egli con giuramento e promessa d'esaudirci e d'aiutarci? Più forti di quelli di disperare? Non offendo io il Signore se non spero? Confessare la propria debolezza e indegnità, ma tanto più protestarsi invincibile nella speranza in Dio all'esempio dei Santi pieni d'umiltà e di fiducia in Dio. Pre,2308:T5,4 Quindi passare alle petizioni, divisando le grazie da chiedere, indirizzarsi 1o – a Maria Santissima acciò ci ottenga da Gesù le virtù e gli aiuti, la grazia che le chiediamo; 2o – a Gesù Cristo affinché ce li ottenga dal suo Eterno Padre; 3o – all'Eterno Padre perché non ce li neghi adducendo dei motivi per parte nostra, la nostra ignoranza, malizia, inconstanza per i pericoli, le passioni, le suggestioni del demonio; per parte di Maria Santissima la sua dignità ed autorità come Madre di Dio, il suo buon cuore come Madre nostra, i suoi titoli i suoi meriti etc.; per parte di Gesù Cristo la sua qualità di Salvatore, di nostro Capo, Fratello, Sposo, Amico, le sue promesse etc., i meriti della sua Passione; per parte dell'Eterno Padre le sue perfezioni come la sua Onnipotenza, Sapienza, Bontà, la sua Gloria, il suo amore verso Gesù Cristo, verso noi, etc. Dopo la Meditazione un breve esame: 1o sui difetti che sono distrazioni volontarie, noie, aridità, etc. provenienti da mancanza di stima ed affetto, o mancanza d'applicazione interna ed esterna, forse per non aver custodito bene i sensi, o scelto il luogo e l'ora non opportuna, pentirsi prima di darvi 2o uno sguardo ai lumi della mente e buoni sentimenti del cuore ricevuti; ringraziarne il Signore; 3o scrivere ciò che fece più impressione. Pre,2308:T6 Metodo per ben meditare Le disposizioni sono d'intraprenderla 1o non di mala voglia e come per forza, ma con una grande stima, poiché non è una grazia che faccio io al Signore, ma bensì una grazia grandissima che egli mi fa di ammettermi alla sua udienza. Quis? Cui? 2o Con grande riverenza esterna per la presenza di Dio, essere cieco, muto, sordo per tutto il creato. Quis ut Deus? 3o Con cuore tranquillo dolcemente occupato ed affezionato a ciò che si medita disprezzando ogni altro pensiero. Quod Deus non est nihil est. Pre,2309:S Méthode pour bien méditer Testi di varie epoche in parte d'altra mano. AOMV, S. 2,11,4:309 Pre,2309:T1 Oraison préparatoire pour la méditation Je crois fermement, ô mon Dieu, que je suis à la présence de votre Majesté infinie, que vous me voyez jusque dans le fond de mon cœur, et que vous me connaissez tel que je suis devant vous. Humblement prosterné devant votre Majesté, je vous adore avec tous ceux qui vous adorent dans le Ciel et sur la terre, je vous adore et vous reconnais pour mon Créateur et mon Juge. Je regrette amèrement de ne vous avoir pas glorifié et obéi jusqu'ici comme c'était mon devoir principal; au contraire, de vous avoir tant outragé par des péchés innombrables. Je vous en demande humblement pardon, et je l'espère fermement de votre miséricorde infinie. C'est pour m'exciter à une grande fidélité envers vous, ô mon Dieu, que j'entreprends cette méditation, mais comme par moi seul je ne puis rien, je recours à vous, mon Dieu, afin que vous m'aidiez puissamment. Daignez, ô Père éternel, fixer ma mémoire, et la remplir de bonnes pensées. Daignez, ô divin Fils, dissiper mes ténèbres, et éclairer mon esprit afin qu'il ne s'occupe que de vous. Daignez, ô SaintEsprit, purifier et échauffer ma volonté afin qu'elle ne cherche que vous. Ô divin Cœur de Jésus, où vous êtes le Maître, on est bientôt instruit; instruisez-moi donc, Auguste cœur, qui daignez m'accepter pour disciple. Sainte Vierge, je me mets sous votre puissante protection, je vous prie de m'en faire ressentir les effets. Ange gardien et mes saints protecteurs, obtenez-moi du bon Dieu un grand fruit de cette méditation. Ainsi soit-il. Pre,2309:T2 Orazione preparatoria per la Meditazione Je crois fermement, ô mon Dieu, que par votre immensité vous êtes partout, que vous êtes même ici présent, que vous pénétrez jusque dans le fond de mon cœur; et humblement prosterné devant votre Majesté infinie, je vous adore avec tous ceux qui vous adorent dans le ciel et sur la terre, je vous adore et me réjouis de tous vos divins attributs. Mais comment oserai-je rester devant vous et vous parler dans cette méditation, moi qui ne suis que cendre et poussière, et pire encore par les grands outrages que je regrette amèrement de vous avoir faits? C'est vous-même, ô mon Dieu, qui, empressé pour mon bien, m'y invitez en m'offrant encore vos lumières et vos grâces si je veux les accepter: ah! mon Dieu, oui je les accepte, et je vous en remercie par avance, et je ferai tout mon possible pour éloigner de mon esprit toute autre idée créée, et pour le tenir recueilli, afin que les distractions volontaires ne m'empêchent pas de recevoir vos lumières; je tâcherai aussi de tenir mon cœur détaché de toute autre chose, et de l'affectionner aux vérités que je méditerai, pour qu'il soit en état de recevoir les impressions de votre Saint-Esprit, et pour répondre à la grâce que vous me faites. Mais pour cela même j'ai besoin de votre secours. Daignez donc, ô Père Éternel, fixer ma mémoire et la remplir de bonnes pensées; daignez, ô divin Fils, dissiper mes ténèbres, et éclairer mon esprit, afin qu'il ne s'occupe que de vous; daignez, ô Saint-Esprit, purifier et échauffer ma volonté afin qu'elle ne cherche que vous; ô divin Cœur de Jésus, où vous êtes le Maître, on est bientôt instruit, instruisez-moi donc, Auguste Cœur qui daignez m'accepter pour disciple. Sainte Vierge, je me mets sous votre puissante protection, je vous prie de m'en faire ressentir les effets. Ange Gardien et mes Saints protecteurs, obtenez-moi du bon Dieu un grand fruit de cette méditation. Ainsi soit-il. Pre,2309:T3,1 Méthode pour bien méditer 1o – Lire attentivement un point de la méditation, on se rappelle à la mémoire le sujet de la méditation lue le soir précédent. 2o – Exercer l'entendement et pour y mieux réussir: 1 – Examiner les raisons de croyance; répéter les actes de foi sur cette vérité; s'éprouver si on la croit fermement et dans toute son étendue. 2 – Toute vérité de notre Religion est pour notre bien; examiner donc le cœur et l'intention de celui qui nous la propose; examiner les effets, c'est-à-dire la tranquillité dans celui qui la possède, les suites avantageuses, la récompense etc. Tâchez donc d'y affectionner fortement votre cœur. 3 – La fin de toute connaissance de la vertu est qu'on la pratique réellement; des velléités ne suffisent donc pas; mais il est nécessaire une volonté prompte, sans retard, absolue sans exception, ferme pour ne pas se décourager à la vue des difficultés. Il faut donc se déterminer à chercher et à prendre les moyens et résoudre les obstacles efficacement. Pre,2309:T3,2 3o – Exercer la volonté sur la vérité ainsi approfondie, c'est-à-dire: 1 – pour le passé: examiner sa conduite; avoir du regret qu'elle n'y a pas été conforme; en demander pardon. 2 – Pour le présent: se résoudre à entreprendre une vie conforme à la vérité connue, en produisant les motifs, en cherchant les moyens, en rejetant les objections, en surmontant les difficultés, en désirant d'imiter Jésus-Christ et les Saints. 3 – Pour l'avenir: demander pour cela les secours du Bon Dieu en s'adressant tantôt au Père Éternel, tantôt au Divin [Fils], tantôt au Saint-Esprit, tantôt à la S. Vierge, à S. Joseph etc., en produisant des motifs comme notre misère, nos dangers, notre faiblesse etc. de notre côté; du côté de Jésus-Christ, de la S. Vierge et des Saints, leurs mérites, leurs actions, du côté de Dieu sa puissance, sa bonté, ses promesses, sa fidélité, sa gloire, etc. Pre,2309:T3,3 4o – Faire un court examen de la méditation faite, en donnant un coup d'œil: 1 – aux lumières, aux bons sentiments reçus; en remercier le Bon Dieu. 2 – aux défauts qui s'y sont glissés par défaut d'application; en demander pardon au Bon Dieu. N.B. Ces défauts sont les distractions, l'ennui, les aridités. Les sources de ces défauts sont: 1) manque d'affection à l'oraison; 2) manque de révérence extérieure; 3) manque de mépris des idées terrestres. Il faut donc: 1o faire la méditation non par force, mais l'estimer et l'aimer; c'est un honneur, c'est une grâce que nous recevons. Il faut 2o, quand on médite, être sourd, muet, aveugle pour toute autre chose de ce monde, et y conserver toujours une grande révérence extérieure pour la Majesté de Dieu qui est présent. Il faut 3o tenir le cœur tranquille, doucement occupé, affectionné aux vertus proposées, méprisant tout autre sujet qui n'est pas Dieu. Pre,2309:T3,4 N.B. Quand le sujet de la méditation est historique, comme par exemple un trait de la vie de JésusChrist: 1 – il faut se trouver présent par l'esprit, dans ce temps, dans ce lieu; voir les personnes, regarder leurs actions, pénétrer leurs sentiments, examiner leurs maximes, s'entretenir avec eux, les interrogeant, les écoutant, enfin raisonner sur toutes les circonstances, produire souvent des actes de foi, d'espérance, d'amour. 2 – Il faut voir l'avantage que nous devons tirer de leurs exemples, se figurer les entendre dire: je vous ai donné l'exemple pour que vous fassiez comme j'ai fait. Examiner ensuite pour le passé notre conduite; si elle a été selon la leur, si nos sentiments, nos maximes ont été les mêmes; regretter le passé, en demander pardon; proposer pour le présent de commencer tout de suite à les imiter, descendant à l'application pour les choses particulières, demandant pour l'avenir la grâce au Bon Dieu; en produisant des motifs pris de notre côté, du côté de Jésus-Christ, de la S. Vierge, etc., de Dieu, etc. ut supra. Pre,2309:T4,1 Méthode pour bien méditer Pre,2309:T4,1 Lire attentivement… 1o – Lire attentivement le sujet de la méditation, ou se rappeler ce qu'on a lu. 2o – Faire l'oraison préparatoire. 3o – Bien saisir le sens et le but de la vérité proposée et pour cela se dire à soi-même : Quel est le sens naturel de ce point? Qu'est-ce que nous en dit Jésus-Christ dans l'Écriture Sainte pour éclairer et confirmer cette vérité? La raison la trouve-t-elle juste et raisonnable? Qu'est-ce que j'en dirais moi-même à un autre pour le persuader? Quelles conséquences en ont tiré les Saints pour la pratique? Quelles conséquences dois-je en tirer moi-même dans mon particulier et dans mes circonstances? Quel est le sens, et quelles sont les conséquences opposées? Pre,2309:T4,2 4o – Examiner quels avantages m'en résultent si je suis cette vérité, et quel préjudice si je suis le sens opposé. Je m'attirerai dans cette vie bien des grâces de Dieu? Au lit de la mort ce sera bien pour moi? Si je suis le sens opposé, j'aurai perdu cette consolation, cette récompense, et de plus je serai puni par l'enfer. Pre,2309:T4,3 3o – S'affermir bien dans la foi de cette vérité, examinant comme elle est croyable, se demandant à soi-même: Qui me propose telle vérité? C'est Dieu. Puis-je refuser de lui prêter foi et obéissance? Non, parce que c'est mon Créateur, mon Juge. N'est-ce pas au contraire une grande grâce qu'il me fait de me proposer telle vérité? Oui, parce que je suis un aveugle, un ignorant, et Dieu se plaît à me faire part de sa sagesse, et il daigne me manifester sa sainte et adorable volonté. Pourra-t-il se tromper, ou me tromper? Non, parce qu'il sait tout et qu'il est la vérité et la Bonté même. Finir par admirer la Bonté de Dieu, le remercier, et faire des actes de foi, protestant d'être bien ferme dans la croyance de cette vérité, quoiqu'une personne d'autorité, ou un ange même voulussent me persuader du contraire, et porter envie au sort des Martyrs. Pre,2309:T4,4 4o – S'affectionner à cette vérité voyant comme elle est aimable pour les avantages qu'elle nous apporte parce que: 1. suivant les passions nous vivons en bête, suivant la raison nous vivons en homme; suivant la foi, et pratiquant les vertus chrétiennes, nous vivons en fils de Dieu, nous ressemblons aux Saints, à Dieu même, participant de ses vertus, de sa sagesse, de sa sainteté. 2. Nous trouvons dans la pratique des vertus chrétiennes cette paix d'âme que nous ne trouverons jamais ailleurs. 3. À chaque acte de foi ou de vertu nous gagnons un degré de grâce et d'amitié avec Dieu, et un degré de gloire. Pre,2309:T4,5 5o – Se résoudre à pratiquer la vertu voyant comme elle est praticable et le grand mal qui résulte de ne pas la pratiquer. Qu'est-ce qu'a fait Jésus-Christ pour nous en faciliter la pratique? Il est descendu lui-même pour nous l'apprendre, il nous fait des insistances pour nous engager à cela, il nous commande, il nous récompense, il nous menace, il nous aide par sa grâce, il l'a pratiquée lui-même le premier. Combien d'autres ont-ils déjà pratiqué telle vertu? Une infinité de personnes de tout âge, de tout tempérament, de toute condition, dans des circonstances peut-être plus difficiles que les miennes, et pourquoi ne pourrai-je faire ce qu'ont fait tant d'autres personnes. Si je ne pratique pas cette vertu je serai donc inexcusable et je perdrai bien des avantages, je devrai souffrir beaucoup pour cela, je souffrirai la privation de tant de grâces dans ce monde, et la dilation de la vue de Dieu dans l'autre, et je perdrai beaucoup de gloire dans l'éternité. Pre,2309:T4,6 Examen de soi-même… 6o – Examen de soi-même et se proposer fermement de pratiquer la vertu dans son particulier. Est-ce que j'ai pratiqué cette vertu par le passé? Combien d'occasions négligées volontairement? Quelle perte en conséquence? En avoir du regret, demander pardon. Est-ce que je ne veux pas encore la pratiquer? Oui tout de suite. Mais avec quelle volonté en entreprendrai-je la pratique? Non plus avec velléité, mais avec une volonté prompte sans retard, je commencerai tout de suite; absolue sans exception, je prendrai les moyens les plus efficaces quoiqu'ils ne soient pas les plus agréables; ferme pour ne pas me décourager. À l'aspect des difficultés je m'obstinerai davantage pour les vaincre et si je viens à manquer, au lieu de me décourager je recommencerai avec plus de courage. S'arrêter ensuite à chercher les moyens plus efficaces et dire avec David: dixi nunc cœpi. Pre,2309:T4,7 7o – Demander pour cette pratique les grâces nécessaires. Pour l'avenir aurai-je des forces suffisantes pour persévérer dans cette résolution? Oui, parce qu'il est de foi que le Bon Dieu ne nous commande jamais l'impossible, mais en nous commandant quelque chose il nous avertit de commencer à faire ce que nous pouvons, de demander ce que nous ne pouvons pas et il nous aidera afin que nous puissions. À qui m'adresserai-je pour obtenir sûrement ce que je ne puis faire? Aux divines Personnes, chacune en particulier. À la Sainte Famille, aux Saints et aux Anges du Ciel. Quels motifs produirai-je pour obtenir ce que je demande? De mon côté, les dangers, les tentations, mon ignorance, ma faiblesse, ma malice, ma misère. Du côté des Saints, leur exemple, leurs mérites, leur pouvoir. Du côté des Anges, leurs offices à notre égard. Du côté de Dieu, sa Bonté, la fidélité à ses promesses, sa gloire. Pre,2309:T4,8 8o – Faire un court examen de la méditation donnant un coup d'œil: 1 – Aux défauts qui se sont glissés: 1. Si je suis allé “vaquer” à la méditation par force sans l'estimer et l'aimer; c'est un honneur, c'est une grâce que nous recevons. C'est Dieu qui nous admet à son audience, et sur l'affaire la plus importante. 2. Si j'y ai conservé toujours une grande révérence extérieure pour la Majesté de Dieu qui est présent. Il faut être dans ce temps sourd, muet, aveugle. 3. Si j'ai eu le cœur tranquille, doucement occupé, et affectionné aux vérités proposées, méprisant toute autre idée qui se présente alors à l'esprit; ce qui n'est pas Dieu, ce n'est rien. 2 – Aux lumières reçues, et aux bons propos formés, en remercier le Bon Dieu. 3 – Écrire si on le peut. Pre,2309:T4,9 N.B. Quand le sujet de la Méditation est historique, comme le serait un trait de la vie de JésusChrist: 1 – Il faut se trouver présent par l'esprit dans ce temps, dans ce lieu; regarder les personnes; examiner leurs maximes; pénétrer leurs sentiments; observer leurs actions; s'entretenir avec eux, les interroger, les écouter, enfin raisonner sur toutes les circonstances; et surtout voir quelle conséquence pratique dois-je en tirer. Le reste se passera comme ci-dessus à peu près. 2 – Il faut voir l'avantage que nous devons tirer de leurs exemples pour notre pratique; parce qu'ils seront autant de témoins contre nous si par paresse nous ne les imitons pas; voir les avantages ou les préjudices qui résultent de notre courage ou de notre paresse; voir la possibilité, la facilité, la consolation de les imiter. Ensuite examiner le passé, voir si nos maximes, nos sentiments, nos mœurs, ont été les mêmes, regretter le temps perdu, en demander pardon; proposer de commencer tout de suite, descendant à l'application pour son particulier, demander pour l'avenir les grâces nécessaires, en s'adressant au bon Dieu, à la Sainte Famille, aux Saints, aux Anges, en produisant les motifs pris de notre côté, du côté des Saints, du côté de Dieu. Pre,2310:S De arte meditandi Schemi in graffe, in parte d'altra mano. AOMV, S. 2,11,4:310 Pre,2310:T1 Materia meditationis Omnis meditatio sapientis est circa: – aut opera humana: cogitando quid homo fecerit, quid debeat facere, quæ sit ratio movens; – aut opera Divina: cogitando quanta Deus homini commiserit, quod omnia fecit propter hominem, quanta dimiserit, quanta repromiserit, et in hoc clauduntur opera creationis, reparationis, glorificationis; – aut utrorumque principia: quæ scilicet sunt Deus et anima, qualiter hæc ad invicem sunt copulanda. Pre,2310:T2 Applicatio ad meditationem In meditatione tota anima nostra debet esse intenta secundum vires suas, scilicet secundum – Rationem quæ percunctando affert propositionem – Synderesim quæ sententiando profert definitionem – Conscientiam quæ testificando infert conclusionem – Voluntatem quæ prælingendo defert solutionem. Pre,2310:T3,1 Orationis partes tres 1a. Deploratio miseriæ pro perpetratione culpæ, amissione gratiæ, dilatione gloriæ, quæ parere debent tria: 1 – dolorem propter damnum dum recordatur, quid omisit: præcepta justitiæ quid commisit: prohibita culpæ quid amisit: gratuita vitæ 2 – pudorem propter opprobrium dum attendit ubi sit: longe in imo quæ fuerat prope in summo qualis sit: fœda in luto quæ fuerat pulchra imago quæ sit: ancilla quæ fuerat libera 3 – timorem propter periculum dum præcogitat quo tendat: ad inferos properat gressus ejus quid occurrat: judicium inevitabile, justum tamen quid assequatur: stipendium mortis æternæ. Pre,2310:T3,2 2a. Imploratio misericordiæ quæ debet esse, – cum affluentia desiderii quod habemus a Spiritu Sancto qui postulat pro nobis gemitibus inenarrabilibus, quia per ipsum sumus a Patre in Filio predestinati æternaliter, per ipsum sumus renati in baptismo spiritualiter, per ipsum sumus congregati in Ecclesia unanimiter; – cum fiducia spei quam habemus a Christo qui mortuus est pro nobis omnibus, quia pro nobis obtulit se in cruce, in terra, pro nobis offertur a matre Ecclesia in sacramento altaris, pro nobis apparet vultui Patris in cælo, in gloria, in sui memoriam; – cum diligentia implorandi subsidii quod quærimus a Sanctis omnibus; quam habemus ab angelorum ministrantium patrociniis, a beatorum triumphantium suffragiis, a justorum militantium meritis. Pre,2310:T3,3 3a. Exhibitio latriæ in qua, ad impetrandam gratiam cor nostrum debet: – incurvari ad Dei reverentiam et adorationem, admirando immensitatem divinam et intuendo modicitatem nostram; – dilatari ad benevolentiam et gratiarum actionem, attendendo benignitatem divinam et videndo indignitatem nostram; – elevari ad complacentiam et mutuam allocutionem, recogitando caritatem divinam et considerando tepiditatem nostram. Pre,2310:T4,1 Methodus meditandi Devotionem cordis exercemus meditando. Sine meditatione enim maxime languet memoria, intellectus, voluntas, anima tota. Meditatio ne langueat, bona sit materia et forma. Materia debet esse pridie præparata, non obvia ne tentetur Deus. Forma erit bona si præcedat oratio præparatoria, si bonus sit initium, medium, finis. Vide infra. Medium erit si adhibeatur: [1.] Memoria suggerens textum sive historicum, sive dogmaticum. [2.] Intellectus se applicando vel ad sensum in textu pensando singulas voces quid velint, quid non; explicando sensum obscurum per textum clariorem, contextum, circumstantias historiæ et explicationem doctrinæ a contrario vel a simili; vel ad conclusionem ex textu examinando quæ veritas inde sequatur, vel quanti sit veritas quæ continetur idque per argumenta – a fide suppeditando testimonia et exempla – a spe urgendo a necessario, utili, facili – a caritate exagerando bonum, honestum, jucundum. Pre,2310:T4,2 [3.] Voluntas figendo in affectu textui congruo qui sponte sequitur, et alitur reflexione ad te quomodo circa expressam doctrinam te – habueris in præterito optando vitam impendisse doctrinæ illi conformius unde sequitur accusatio, confusio, dolor, deprecatio, etc. – habeas in præsenti offerendo novam resolutionem illius motiva enarrando cum rejectione objectionum, prævisione difficultatum, oblatione sui, desiderio imitandi Sanctos, mixtione variorum affectuum ad urgendum affectum intentum idoneorum, puta amoris, odii, timoris, audaciæ, spei, desperationis, etc. – habiturus sis obsecrando pro futuro auxilium cum petitione, oratione, gratiarum actione ad Sanctos, Christum, Deum idque ex triplici excitamento propter miserias proprias quas circa propositam materiam juvat exponere, merita Christi, Mariæ, et Sanctorum huc pertinentia, perfectiones et Gloriam Dei ipsius inde secuturam. Aurifodinæ sunt: Quid facere, fugere, ferre debui? Quid feci, fugi, tuli? Quid faciam, fugiam, feram? Pre,2310:T4,3 In forma item curandum: – ut bonum sit initium: non fiat ex impetu: sta paulisper ad orationem, pondera pondus actionis, Deus vocat ad audientiam, compone corpus, collige animum, Deo loqueris et de negotio æternitatis; – ut bonum sit medium: si hæret intellectus, legendo te juva, sed lente, cum pausis, sine cura festinandi, et cum reflexione ad te legendo; si aret voluntas, age quasi non te, sed alium excitares ad propositum, sæpe fervemus per correctionem aliorum, frigemus pro nobis; – ut bonum sit finis: non fiat ex abrupto, numquam colloquium amitte; in epilogo orator bonus triumphat; examina. Pre,2310:T5,1 Ex S. Bonaventura: Ego colo Deum fide, spe, caritate et Deus colit me; agricola est enim animæ meæ cujus portas memoria, intellectus, voluntates ipsi aperire debeo, quæ quia æternitatis capaces sunt portæ æternales dicuntur. Aperienda ergo Patri porta Memorialis quod fit dum forti conatu per gratiam Dei a temporalibus abstrahitur et elevatur. Tradenda deinde Patri vinea ipsa Memoriæ ut eam visitet excitando ad operandum. Imploranda propterea devote potentia confortatrix Patris ut supernaturaliter et magnifice nos trahat et confortetur ad audiendum verbum, ne memoriam oblivio decipiat et ne labore depressi succumbamus. Invocanda insuper Unitas Patris, quæ est fontana omnium luminum et donorum, ut sua vivifica virtute nos avertat a multitudine et reducat ad suam originem et unitatem unde mens nostra venit, quod est finis largitionis luminum; et sic nos extendat, dilatet, majoret et convertat ad Patris congregantis deitatem et deificam simplicitatem. Simplicitas enim Patris deifica est quia spiritum ei soli adhærentem sibi unit, conformat et deiformem efficit etsi non substantialiter certe participatione ipsius Deum facit. Pre,2310:T5,2 Aperienda similiter Verbo Æterno porta intellectualis, quod fit dum forti conatu a clamore et sollicitudine temporalium anima constricta se abstrahit et convertit ad verbi Dei auditionem et instructionem, ad fidei ejus receptionem et præceptorum observationem. Tradenda Filio vinea ipsa intellectus ut eam visitet illuminando ad contemplationem. Imploranda humiliter Sapientia Regulatrix Filii ut nos illuminet ne errore intellectus obtenebretur et seducti a veritate deviemus; ne ignorantiæ jejunio tabescamus quia Verbum ejus est noster panis et refectio sicut amor Spiritus Sancti est vinum quo inebriamur. Pre,2310:T5,3 Aperienda demum Spiritui Sancto Amatori æterno porta Voluntatis, quod fit dum eam omnem carnalitatem facit fortiter vincere ut omnes delectationes extinguat et ut seipsum etiam contemnat. Tradenda Spiritui Sancto Vinea ipsa Voluntatis ut eam visitet dulciter inflammando ad amandum. Supplicanda fideliter Clementia consolatrix Spiritus Sancti ut nos consoletur et vino amoris sui inebrietur ne iniquitas voluntatem subvertat et ne tædio victi succumbamus. Pre,2310:T6,1 Praxis meditationis 1 – Præludium, constructio loci, vel historia. 2 – Præludium. Credo, adoro, mi pento e benché indegno le tre potenze consacro e rassegno. Veritas proposita maxime elucidanda et confirmanda per rationem, per fidem, quæ est lux animæ, secus in tenebris ambulat. Quælibet autem veritas est summe credenda quia est a Deo qui est ipsa Veritas; est summe amanda quia ad utilitatem nostram proposita est; practicanda quia Deus semper et ubique est Spectator, Adjutor, Remunerator. Hæc est sola regula ad quam componenda est nostra voluntas et ratio agendi et per quam noscitur deformitas nostrarum voluntatum et actionum. Hic examinanda conscientia circa cogitationes, verba, opera erga Deum, proximum, seipsum, quæ eo deformes sunt quantum differunt a Regula. Pre,2310:T6,2 Oportet ergo 1 – deformata reformare: ut autem hoc efficaciter fiat consideranda quæ inde sequuntur mala culpæ venialis, mortalis; pœnæ in morte, judicio, in punitione quoad damnum circa unionem cum Deo in tempore, in æternitate felici et infelici; quoad sensum in purgatorio et in inferno; unde compunctio de præteritis et resolutio pro futuris cum timore denuo peccandi et in peccato manendi. 2 – Reformata conformare: ad exemplar Christi agentis. Unde habetur major lux animæ quia est Via in cujus fiducia obtinentur auxilia et in cujus amore habetur unio cum ipso quia est vita. Hinc firmum decretum imitandi Christum in affectu semper in genere, in effectu quando vult Deus in specie. 3 – Conformata confirmare: vincendo difficultates per imitationem Christi patientis; unde est major lux animæ, solutio omnium difficultatum. Hinc decretum serium sequi Christum propius etiam in heroicis. 4 – Confirmata transformare: induendo affectus cælitum. Fiat sicut in cælo, quod obtinetur per aspectum cæli tamquam patriæ nostræ et hæreditatis; per exercitium amoris quod est occupatio beatorum unde lætitia spiritualis, perfectio, pax, perseverantia. Hinc affectus circa tria tempora. Pre,2310:T7,1 Praxis meditandi Pre,2310:T7,1 1a Regula Veritas proposita elucidanda, confirmanda, per rationem et fidem in generalibus et in particularibus; hæc est lux animæ secus in tenebris ambulat, et regula ad quam voluntas et modus agendi componendæ sunt sequendo sensum et apprehensionem secus deformitates; omnis veritas autem summe est credibilis, amabilis, practicabilis. Unde nil per impetum omnia ex fide, præcipe moram. Hanc deformitatem noscit conscientia nempe examinando cogitationes, verba et opera erga Deum, proximum et seipsum. Hinc desiderium deformata reformanda. Ut autem hoc desiderium sit efficax considerandæ sunt consequentiæ nimirum secutæ, mala culpæ, aut venialis aut mortalis, et penæ, in morte, in judicio, in punitione, damni quoad unionem cum Deo in tempore et in æternitate felici vel infelici, et pœnæ circa sensus vel in inferno, vel in purgatorio. Unde tristitia et compunctio de præteritis, resolutio et cautela pro futuris et timor denuo peccandi vel in peccato manendi. Pre,2310:T7,2 2a Hinc reformatam voluntatem, pro presenti conformare ad exemplar Jésus-Christ, nimirum per inspectionem et per imitationem Christi agentis, quia est via, unde habetur major lux animæ, quia est veritas, in cujus fiducia habentur auxilia, et in cujus amore habetur unio et vita cum Christo Jesu quia est vita. Pre,2310:T7,3 3a Dictam voluntatem suam agendi conformatam, confirmare unde decretum serium imitandi Jesum in affectu semper in genere et in specie, in effectu cum vocat Deus. Difficultates quæ si occurrunt vincendæ per inspectionem et imitationem Christi patientis unde est maxima lux animæ et solutio omnium difficultatum: hinc decretum sequi Christum etiam in heroicis. Pre,2310:T7,4 4a Demum confirmata transformare per (fiat sicut in cælo) pro futuro. Victoria sequitur et confirmat lætitiam spiritualem spei et caritatis, unde est perfectio, perseverantia, pax. Hinc inducendi effectus cælitum nempe conversatio nostra in cælis est et ama et fac quod vis, volenti et amanti nil difficile. Sæpe repetendum: heu, quam sordet tellus dum cælum aspicio. Paradiso, Paradiso. Quod Deus non est nihil est. Et maxime excitanda ejus æstimatio quia est veritas incarnata, fiducia quia sine ipso nil possumus facere, amor ex quo sequitur unio cum ipso, qui manet in me, et ego [in eo]. Pre,2311a:S Istruzione sui precetti in genere Di mano Lanteri (appunti). AOMV, S. 2,11,5:311a Pre,2311a:T1 Istruzione prima, sui precetti in genere Si vis ad vitam ingredi, serva mandata, se volete entrare in Cielo osservate i comandamenti, queste sono parole registrate in S. Matteo, c. 19, e sono parole del Salvatore nostro Gesù Cristo nelle quali si contiene tutta la somma della nostra salute; imperciocché la somma della nostra salute consiste in proporci due cose, ed è appunto ciò che si contiene in quelle poche parole: si vis ad vitam ingredi, serva mandata; 1 – il fine e i mezzi 2 – nel proporci la divina mercede e le azioni che sono necessarie per meritarcela. Si vis ad vitam ingredi, ecco la vita eterna, cioè il fine ed il premio che deve muoverci ad operare; serva mandata, ecco i mezzi e le azioni nostre necessarie per conseguire un tale fine, un tale premio. Ed ecco pure tutto lo scopo nostro, in questi S. Esercizi, consistere nel proporvi questo fine e questi mezzi, e perciò noi li dividiamo in meditazioni ed in istruzioni; nelle meditazioni vi si proporrà e presenterà il fine per cui siete in questo mondo; vi si farà conoscere nelle meditazioni dei novissimi l'importanza di vivere secondo il fine per cui siamo creati. Vi si farà conoscere nel figliuolo prodigo come Dio si occupa della nostra salute con soffrirci ingrati, invitarci peccatori, amorosamente accoglierci penitenti; indi nelle meditazioni seguenti vedrete di più come Dio per questo si fece nostro compagno nella natività, nostro esemplare nella vita nascosta, nostro Maestro nella sua vita pubblica, nostro cibo nell'Eucaristia, nostro riscatto nella sua Passione, e finalmente nostro premio nella Gloria. Il tutto per muovere la volontà ad attendere seriamente al suo fine, a salvarsi. Pre,2311a:T2 Ecco lo scopo delle meditazioni; accompagnano queste le istruzioni e lo scopo di queste si è insegnarvi, a misura che la volontà è mossa nelle meditazioni, la pratica di ciò che si deve fare e che si deve fuggire per conseguire questo nostro ultimo fine, il che in sostanza si riduce alla pratica dei divini comandamenti, giusta il suddetto insegnamento di Cristo: si vis ad vitam ingredi, serva mandata. Incominceremo dunque le nostre Istruzioni dai Comandamenti della legge di Dio, le quali nel tempo stesso che illumineranno la mente a conoscere i nostri doveri, somministreranno ancora materia per esaminare bene la propria coscienza, e fare una buona confessione che è la prima cosa che dobbiamo avere in vista in questi S. Esercizi. Tre qualità dei divini precetti: cioè sono credibili, amabili, praticabili. Ma prima d'incominciare a trattare particolarmente dei divini comandamenti diciamo alcuna cosa in generale dei motivi che ci debbono muovere ad osservarli. Io li riduco a tre: l'autorità di chi li comanda, l'utilità di chi li osserva, la facilità di osservarli. Pre,2311a:T3 L'autorità di chi comanda E, in primo luogo, quanto all'autorità di chi comanda, udite ciò che dice il Signore stesso al bel principio dei suoi comandamenti (Exodi 20): Ego sum Dominus Deus tuus qui eduxi te de terra Ægypti, de domo servitutis; questo è l'esordio che premette appunto per provare l'autorità che ha di darci la legge e comandarci, che in sostanza vuol dire: io sono il Padrone dell'universo, sono il vostro Dio, il vostro Liberatore, posso ben dunque comandarvi e imporvi delle leggi a voi, mie creature, con autorità assoluta. Tre dunque sono i titoli che adduce di comandarci, vediamoli. Pre,2311a:T4 Egli è il Padrone dell'universo, infatti niente v'esisteva ed egli con la sua onnipotenza creò tutte le cose, e tutto divenne soggetto al suo volere; perciò a tutte le cose impose egli la sua legge, e niente v'ha che possa resistere alla sua volontà. Perciò il sole non cessa di illuminare e di riscaldare, perciò i pianeti non cessano di fare il loro corso, perciò la terra non cessa di produrre i suoi frutti, perciò il mare non oltrepassa i suoi limiti, ignis quoque, nix, glacies, spiritus procellarum, faciunt verbum ejus, eccolo dunque Padrone assoluto dell'universo imporre leggi alle creature, ed eccolo come riconosciuto dalle creature per Creatore, eccolo puntualmente da esse ubbidito; solamente noi ricuseremo di riconoscerlo per tale e di ubbidirgli? Pre,2311a:T5 Dice inoltre che è il nostro Dio. Difatti egli con la sua onnipotenza, dopo aver creato tutte le altre cose, ha creati ancora noi, egli ci conserva, con la sua paterna Provvidenza ci assiste, ci benefica, ci governa. Dunque, essendo egli nostro Creatore, nostro Padre, nostro Dio ha tutta l'autorità d'imporci delle leggi, di comandarci. E questa è quella padronanza che volle che fosse riconosciuta dall'uomo in tutti gli stati; in tutti gli stati volle che l'uomo considerasse lui per Padrone, e riconoscesse se stesso per servo fatto, creato per ubbidire a un tale Padrone: non erat enim unde se homo habere Dominum (S. Ag.) cogitaret, nisi et aliquid ei juberetur, et aliquid prohiberetur; perciò non vi fu stato in cui Dio non gli abbia posta alcuna legge e datagli alcun precetto, l'impose infatti ad Adamo appena creato nello stato di innocenza, comandandogli di non assaggiare dei frutti di quell'albero chiamato della scienza del bene e del male; oltre questo precetto positivo gli diede inoltre la legge naturale che gli scolpì nell'animo nella creazione stessa; di più gli diede la legge soprannaturale di credere, sperare in lui e di amarlo sopra ogni cosa, perché così si dirigesse alla felicità eterna. Pre,2311a:T6 Dopo il peccato poi, essendosi guasta e viziata la natura, ottenebrato l'intelletto, impervertita la volontà, ribellatesi le passioni, quindi oscuratesi le idee di Dio e della sua legge davanti gli uomini in preda ad ogni sorta di vizi, egli è allora che il Signore promulgò nuovamente la sua legge, e con quale apparato e solennità? Volle primieramente che per tre giorni fosse santificato il popolo, volle che Mosè, che era eletto per Mediatore e legislatore, per 40 giorni si preparasse passandoli in continuo digiuno, in continue contemplazioni e divini colloqui. Indi fece fare uno steccato alle falde del monte che nessuno poteva oltrepassare, il monte intanto investito da fuoco e fumo tutto tremava e ardeva, scoppiava da ogn'intorno, continui spaventosissimi folgori e tuoni, si udiva un tale squillare di tromba che sempre maggiore si faceva sentire, e più da vicino, e tutti riempiva di timore e di spavento; in tale apparato di cose si sentiva una voce che proferiva i dieci comandamenti, detti del decalogo, che Mosè portò poi dal monte scritti su due tavole di pietra con lo stesso dito di Dio. Pre,2311a:T7 Ma perché, direte voi, tale e tanto apparato? Egli fu perché Dio volle così ispirare timore e riverenza sia della sua Maestà, sia della legge che c'imponeva; fu per convincerci che aveva tutta l'autorità d'imporcela, e infatti tale e tanto timore e rispetto riscosse allora dagli Ebrei, che quasi morivano di sacro orrore, onde pregavano poi Mosè a voler loro parlare egli stesso in persona, e non più Iddio: loquere tu nobis, non loquatur nobis Dominus ne moriamur. Confessiamo dunque che egli è nostro Dio, e il solo Dio fuor di cui non v'è altro potere, né altra autorità; confessiamo che ha tutto il dominio su di noi e può comandarci, e noi gli dobbiamo tutto il rispetto e tutta l'obbedienza. Preghiamo ancora noi il Signore acciò produca anche in noi questo santo timore di Dio, che è cotanto necessario per la perfetta osservanza della sua legge. Pre,2311a:T8 Finalmente egli è anche nostro liberatore poiché ci liberò, non già dalla terra d'Egitto e dalla casa di schiavitù, ma ci liberò dalla schiavitù del peccato e dalla tirannia del demonio, figurata in quella schiavitù d'Egitto e di Faraone, il che fece dire a Davide: liberavit pauperem a potente, pauperem cui non erat adjutor; ed è conseguenza di S. Paolo, dunque non siamo più nostri, ma di Dio che ci liberò, e a caro prezzo, come continua lo stesso S. Paolo, poiché ci riscattò non con oro o con argento, ma con lo sborso di tutto il suo preziosissimo sangue; tanto più ancora che non ci partecipò questo riscatto, se non a condizione che rinunciassimo interamente al mondo, alla carne, al demonio, e giurassimo a lui solo*1 […] Pre,2311a:T9 Avarizia Quanto all'avarizia poi, ella consiste in un amore disordinato della roba, e si esercita quando si desidera la roba d'altri fuor del dovere, quando si vorrebbe più di quel che ci basta, quando si ama di troppo quel che si ha, quantunque sia proprio e non sia soperchio. Questo vizio S. Paolo lo definisce propriamente “idolorum servitus”, poiché l'avaro riguarda veramente il danaro per suo Dio, per suo ultimo fine: argentum suum et aurum suum fecerunt sibi idola ut interirent (Os. 8). Sapete che Dio si deve amare ex toto corde, ex tota anima, ex tota virtute, ex tota mente sua, ed osservate come l'avaro adempisce tutto questo col danaro: lo ama ex toto corde perché la sua volontà non brama altro, è contenta appieno di questo, privandosi di mille soddisfazioni che potrebbe avere se lo spendesse; l'ama ex tota anima perché i suoi appetiti sono tutti rivolti a questo, se si sdegna egli è con chi gli contende il denaro, se si rallegra è qualora procaccia denaro, se si rattrista è qualora lo perde, se invidia, invidia a chi più ne possiede; l'ama ex tota virtute perché i suoi sentimenti, le sue membra s'adoperano senza risparmio per procacciarlo; l'ama ex tota anima perché quando medita, quando specola egli è per fare più grossi guadagni. Pre,2311a:T10 Inoltre Dio è quegli che deve preferirsi a tutto, così fa l'avaro col danaro: egli accondiscenderà in varie cose per sé e per gli altri, purché non v'entri discapito di danaro, questo è il primo a porsi in salvo, questo si preferisce a tutto. Inoltre Dio è quegli in cui si colloca ogni nostra speranza, da cui si aspetta ogni bene. Ora appunto nel danaro l'avaro mette ogni sua speranza, da questo si aspetta vitto, vestito, ornato, comodo, ogni cosa. Con tutto questo, (lo credereste?) pensano ancora essi di servire a un tempo Dio, e si credono che questo loro disordinato appetito della roba lor non impedisca il servizio di Dio, ma abbastanza chiare sono le parole del Redentore: nemo potest duobus Dominis servire, non potest Deo servire et mammonæ che appunto si interpreta il danaro*2. [Foglio volante n. 1o] Né si creda alcuno di voi d'andare esente da simile vizio. A minori usque ad majorem omnes avaritiæ student Jer. 6. Potrebbe chiamarsi secondo peccato originale cui tutti, poco o molto, partecipano; è una febbre dalla quale quasi ognuno porta poco o assai alterato il polso; beatus vir qui post aurum non abiit, nec speravit in pecunia et thesauris, quis est hic et laudabimus eum, fecit enim mirabilia in vita sua. Volete dunque che vi faciliti l'esame? Pre,2311a:T11 Tre sorta d'avari Distinguiamo con S. Tom. 2, 2, q. 118, tre sorta d'avari: il 1o è l'avaro tenace che non vuole spendere, o che spende con somma difficoltà il necessario, come se il cavarsi un soldo dalla borsa sia un cavarsi un occhio; il 2o è l'avaro affamato che sta attaccato con ansiosa avidità e schiavitù ai guadagni però leciti e giusti; il 3o è l'avaro ingiusto che tende reti per rubare al prossimo. Ecco dunque tre specie d'avarizia: la tenacità, l'avidità, la rapacità. La prima riguarda la propria roba, le altre due la roba altrui; dell'ultima ne parleremo in altra occasione, contentiamoci ora di esaminarci sulla tenacità e avidità. Pre,2311a:T12 Tenacità è quando si ama la roba appassionatamente rincrescendo ogni spesa conveniente, o fors'anche necessaria. Questa è difficile a conoscersi perché si copre con il manto della virtù dell'economia, della parsimonia, della provvidenza e più difficile per conseguenza ad emendarsi, poiché se ne fanno anzi un impegno d'intendersi di economia, di provvedere al futuro, e a chiunque loro dice in contrario, rispondono subito “i tempi sono calamitosi, bisogna prendere le sue misure, fa bel dire a chi non sa come, e con quale fatica la roba viene in casa”, e con simili frasi si persuadono di non essere avari, e pure lo sono, d'un'avarizia ben sordida e vile. Volete persuadervene? Ve ne proporrò alcuni segni: il 1o segno di mano e di cuore si è inquietare sé e la famiglia, sentire passioni di cuore, alterazioni d'animo per le spese necessarie e convenienti; 2o segno di avarizia rischiosa è lasciar perire i mobili, stabili, cose di rilievo per non sentire quel dolore di mettere fuori il danaro per le convenevoli riparazioni. Così fu colui che si lasciò cadere la casa in testa per avanzare quei pochi soldi necessari per ricoprirla di tegole. Il 3o segno è di non fare mai o quasi mai l'elemosina. Pre,2311a:T13 La 2a specie è l'avidità che riguarda la roba altrui, e fa che si stia sempre in guardia per guadagnare dovunque si può, e rende l'animo talmente sollecito che ogni pensiero di giorno e di notte, in dì festivo e feriale corre al guadagno, all'interesse, onde vedrete alcuni più schiavi alle botteghe che i forzati alle galee; quando quest'avarizia è così rabbiosa che fa dimenticare e tralasciare il necessario alla propria salute, dice S. Tommaso che allora giunge a peccato mortale, perché allora è segno evidente che si fa più caso di quattro soldi che di Dio, che si ama più il temporale che l'eterno. Notate dunque non è subito segno di avarizia l'aver tanti traffici, tanti negozi, tanti cambi, ma l'averli, ed insieme l'attendervi a segno di trascurare gravemente la salute dell'anima; vedete Sansone, tutto che fosse legato ora con nervi di bue, ora con corde non mai usate, ora con trecce dei suoi stessi capelli afferrate ad un chiodo, pure in un tratto si scioglieva finché per sua mala sorte notificò alla sua ingannatrice il suo segreto, ed allora perdé in un con i capelli ogni vigore, così benché legato da mille affari, se non perdete di vista il vostro primo affare della salute, e a suo tempo sapete spicciarvi di tutto, ora con anticipare quell'affare, ora con differire quell'altro per praticare ogni giorno qualche divozione, per ascoltare la messa, per udire la parola di Dio, per accostarvi ai Sacramenti a tempo e luogo, allora siate tranquilli, allora che non vi rendete rei almeno notabilmente d'avarizia; che se all'opposto non avete forza di sbrogliarvi da questi vostri affari, e per questo trascurate gravemente l'affare della salute, tralasciandone i mezzi, siate persuasi che siete in un misero stato. Pre,2311a:T14 Direte che voi peraltro non commettete ingiustizia alcuna, non vorreste togliere per qualunque cosa un minimo danaro a veruno, ma che importa! Sarete libero dall'avarizia ingiusta verso il prossimo, ma non sarete libero dall'avarizia ingiusta verso l'anima vostra, verso il culto dovuto a Dio. Direte che, per quanto a voi, lo fareste volentieri, ma non potete senza pregiudizio dei vostri affari, che il Signore non vuole il vostro pregiudizio, che non vi obbliga con sì gran rigore, che adempirete ad altro tempo ai vostri doveri verso Dio, ed io vi rispondo che questo vostro “non posso” è quel che vi condanna. Se un contadino destinato da voi unicamente a coltivare le vostre campagne dicesse: “non posso, ho da far altro”; se un servitore preso in casa per i vostri servizi, dicesse: “non posso, ho da stare tutto il dì fuori di casa per altri affari”, gliela passereste per buona? Eh! Direste: “se hai da mangiare il pane in casa mia, hai da potere, sei spesato per questo, e non per altre faccende, e questo ha da farsi”. Ora credete voi di essere nati per farvi ricchi? Non siamo noi nati per servire Dio? Non è questo l'unico nostro fine? Ed essendo tale non deve forse attirarsi la maggiore occupazione? Summas sollicitudines habeat salus quæ summa est… non solum debet esse prima, sed sola. Ora come mai intenderà queste verità chi di mille e mille pensieri e sollecitudini che gli si raggirano fra il giorno nella mente, neppure un solo pensiero si serba per l'anima? Deh! Si prendano le cose con moderazione, e in ogni 24 ore, un'ora si serbi per l'anima, ed in ogni settimana un giorno, se volete che l'avarizia non vi perda*3! Pre,2311a:T15 Intemperanza Finalmente, quanto all'intemperanza, dice S. Paolo, multi ambulant quos sæpe dicebam vobis (nunc autem et flens dico) inimicos crucis Christi quorum finis interitus, quorum Deus venter est. Molti dunque vi sono, e lo diceva piangendo, che aborriscono talmente la mortificazione, che non pensano che a satollare il loro ventre, questo costituiscono per loro ultimo fine, questo servono e a questo riferiscono tutti i pensieri, tutti gli studi, tutti i discorsi, tutte le ricchezze. Questi tali, chi può mai dire che servano a Dio? No, continua S. Paolo, hujuscemodi Christo Domino nostro non serviunt, sed ventri; questi tali non servono a Cristo ma al loro ventre; ma attendiamoli al fine della vita, vediamo dove andranno a finire costoro che fanno del loro ventre un Dio, quorum finis interitus, quorum Deus venter est; ducunt in bonis dies suos, dice il Signore in altro luogo, et in puncto ad inferna descendunt, fra breve quell'idolo cadrà, sarà fatto pascolo dei vermini (qui può accennarsi anche il digiuno). (vedasi il foglio volante n. 2 [che però qui non c'è, Nota dell'editore]). Pre,2311a:T16 Magia, divinazione, vana osservanza Dell'Idolatria abbiamo detto abbastanza; della Magia mi contento d'accennarvi che ella è un'arte falsa suggerita dal Demonio per operare per mezzo suo cose straordinarie. Quanto alla divinazione, che vuol dire quasi divina nozione, ossia notizia di cose per sé occulte, oppure emulazione di divinità nella cognizione di cose per sé occulte, propria di Dio solo, consiste nel voler giungere a conoscere cose occulte o future che non possiamo sapere per mezzi naturali, adoperando però mezzi vani, impertinenti, che non sono atti né per sé né da Dio a manifestare simili cose occulte, né per questo sono stati da Dio istituiti. Anch'essa è peccato gravissimo pel commercio che contiene espresso o tacito col Demonio, nemico giurato di Dio e della nostra salute. Dirà forse taluno che non intende in modo alcuno d'invocare il demonio, che anzi non lo vuole, ma io vi dico che non lo vuole esplicitamente, ma implicitamente, se non altro coi fatti fa lo stesso che se lo invocasse, poiché adopera quei mezzi ai quali ha da concorrere il demonio, se hanno da giovare, per giungere a conoscere ciò che vuole, e la ragione si è che quei mezzi da sé sono vani e non proporzionati a tanto, per altra parte egli non s'intende d'invocare Dio, né i Santi, dunque invoca il demonio, in questo può dirsi che procede non per via d'invenzione, ma di disciplina, cioè implicitamente almeno dipende da un'altra sostanza più intelligente, e da essa almeno tacitamente desidera e chiede una tale notizia, siccome poi non è già Dio, né gli Angioli, né i Santi, che s'intende neppure tacitamente d'invocare, conviene che s'invochi almeno tacitamente il demonio, non essendovi altra sostanza più intelligente dell'uomo. Pre,2311a:T17 Lo stesso deve dirsi della vana osservanza, che è quando si stanno osservando o praticando certe cose vane e frivole per conoscere cosa si deve operare, e simili segni vani e frivoli si prendono per regola e direzione delle proprie azioni, come appunto quando si prestano fede agli auguri, agli indovini, ai vagabondi, ai sogni. Qualora dunque, si presti veramente fede a simili cose, si pecca pure mortalmente, per lo stesso commercio che, implicitamente almeno, si tiene col demonio, come abbiamo detto sopra. Udite come rimproverava acremente S. Paolo (Gal. 4) quei fedeli di fresco convertiti alla fede che ancora ritenevano delle loro superstizioni: Cum cognoveritis Deum, immo cogniti sitis a Deo, quomodo convertimini iterum ad infirma et egena elementa quibus iterum servire vultis? Si è aperto su di voi il bel lume della fede, perché dunque ritornate alle vanità delle antiche superstizioni? Timeo vos ne frustra laboraverim in vobis; ho ben paura che, volendo voi restare attaccati a queste vostre superstizioni, v'abbia inutilmente predicato il Vangelo, il quale infatti dissipò tutte queste tenebre del paganesimo. Nei sacri canoni due anni interi di penitenza erano prescritti per simile peccato. Longe, dunque, a servis Dei omnis superstitio (S. Ambr.) perché ridenda sempre in disdoro di Dio, e in onore del demonio. Spera in Deo et fac bonitatem: speriamo in Dio, nell'intercessione dei Santi, nelle orazioni della Chiesa e non in simili mezzi inetti e vani; fac bonitatem, facciamo opere buone, udiamo messa, recitiamo corone, facciamo elemosine, e vedrete quam bonus sit Deus iis qui recto sunt corde. Dio ci vuole più bene del demonio, ci saprà difendere dai mali, voi e le vostre cose. Pre,2311a:T18 Tentare Dio, sacrilegio, simonia Passiamo, ora, a vedere i peccati che si commettono per difetto. Abbiamo detto essere tre: tentare Dio, il sacrilegio, la simonia. Tentare Dio è quando senza giusta causa si dice, o si fa alcuna cosa per provare qualche divino attributo, per esempio la sua giustizia, sapienza, onnipotenza etc.; questo può farsi o con animo espresso di fare questa prova, o con animo tacito e implicito, come quando si pone senza causa qualche azione che esigerebbe un miracolo o qualche straordinaria assistenza di Dio: così tenta Dio chi si lamenta da per tutto che manca del necessario, né vuole faticare, né mettersi a servire, perché vorrebbe che Dio facesse tutto, ed essi nulla vogliono fare, quasi che Dio fosse obbligato provvederli con miracolo, come faceva con S. Paolo eremita; i mezzi comuni lasciati dalla Provvidenza è la fatica, l'industria: in sudore vultus tui, vesceris pane (Gen. 3); si quis non vult operari, non manducet (Tess. 3); argentum et aurum aut vestem nullius concupivi sicut ipsi scitis quoniam ad ea quæ mihi opus erant ministraverunt manus istæ (Act. 20). Così tenta Dio chi si espone ai pericoli prossimi di peccare nei quali o cadrà, o difficilmente schiverà il peccato, fidato sulla persuasione che Dio l'aiuterà. Tenta Dio chi volesse per esempio con S. Raimondo passare un fiume sul suo mantello; un infermo che lasciasse i rimedi opportuni lasciati da Dio per la guarigione, per aspettarla immediatamente da lui; chi pregasse con irriverenza, e credesse nonostante d'ottenere da Dio quel che domanda senza mettergli nel pregare quella seria applicazione così raccomandata dallo Spirito Santo: ante orationem præpara animam tuam et noli esse quasi homo qui tentat Deum (Eccli. 18). Chiunque così opera pecca, perché dimostra ben poco rispetto a Dio, vorrebbe che Dio fomentasse la sua pigrizia, vorrebbe che Dio servisse a lui, e non lui servire a Dio. Non tentabis Dominum Deum tuum (Deut. 6). Pre,2311a:T19 Il sacrilegio è una violazione, una profanazione, un disprezzo di una cosa sacra come sacra, che è peccato grave che ridonda in disprezzo di Dio stesso, poiché siccome primieramente dobbiamo a Dio sommo rispetto e somma riverenza, così, secondariamente e per conseguenza, dobbiamo un gran rispetto e riverenza alle cose a lui dedicate, poiché, come dice S. Tom. 2, 2, q. 99, da ciò che alcuna cosa viene deputata al culto di Dio, ne viene che diventa in qualche modo divina, perciò le si deve riverenza, la quale ridonda in Dio, dunque anche l'irriverenza, ossia l'indegna trattazione delle cose sacre ridonda in ingiuria di Dio. Le cose sacre sono quelle poi che per pubblica istituzione, autorità e rito sono deputate al culto di Dio, e queste cose si riducono a tre generi: alle persone, ai luoghi, alle cose; perciò tre sono le specie di sacrilegio: il personale, il locale, il reale. Pre,2311a:T20 Il personale è quando si oltraggia una persona sacra, come per esempio percuotendo un chierico o religioso, al che vi è anche annessa la scomunica ipso facto, oppure commettendo qualche colpa d'incontinenza con qualche persona che tiene voto di castità; così pure il disprezzo che al dì d'oggi si fa dei preti e dei frati, il nome dei quali è oggimai nome di vituperio e di infamia, né vale a dire che alcuni siano di perverso costume, poiché questo non toglie loro il carattere di persona consacrata a Dio, il quale esige sempre rispetto e riverenza, siccome sempre si rispetta la livrea del re, benché chi la porta ne sia indegno. Pre,2311a:T21 Il sacrilegio locale è quando si oltraggia un luogo sacro, e segue propriamente quando si commettono certi determinati peccati nelle chiese, come sarebbe uccidere, ferire, o certi altri peccati d'incontinenza, dei quali dice S. Paolo: nec nominentur in vobis. Al sacrilegio locale pure si riferisce, sebbene in un senso meno rigoroso, il poco rispetto che si usa alle chiese. S. Paolo non poteva soffrire a suo tempo i peccati di intemperanza nel mangiare e bere, numquid domos non habetis ad manducandum, et bibendum, aut Ecclesiam Dei contemnitis? Cosa direbbe poi se vivesse a giorni nostri e vedesse quelle abominazioni tanto maggiori che si commettono? Pre,2311a:T22 Sacrilegio reale è quando si disprezzano le cose consacrate al divin culto, e si commette indigne tractando: per esempio ricevendo indegnamente i Ss. Sacramenti, convertendo in uso profano le cose sacre, proferendo per ridere parole della S. Scrittura e simili; injuste usurpando: per esempio rubando una cosa sacra da un luogo sacro, o una cosa non sacra da un luogo sacro; profane vendendo vel emendo per simoniam. La Simonia dunque è la terza specie di sacrilegio, la quale consiste in una volontà deliberata di vendere o comprare alcuna cosa spirituale, o almeno ad una cosa spirituale connessa; sotto quelle voci poi – vendere o comprare – s'intende qualunque contratto in cui alcuna cosa temporale e caduca di qualche prezzo si dà in compenso di qualche spirituale che si riceve, sia poi quel che si dà danaro effettivo, o altra cosa stimabile quanto il danaro, che ridurre si suole ad uno di questi tre generi: munus a manu, che sono i regali; munus a lingua, come sono le lodi, i patrocini, le raccomandazioni; munus ab obsequio, come sono gli ossequi, i servizi. Questo è un peccato grave, e la malizia consite nell'irriverenza che si fa al Signore stimando le cose sue che sono spirituali e inestimabili come si stimano le temporali, e uguagliandole a queste. Pre,2311a:T23 Vuole essere tenuto per Dio Abbiamo fin qui veduto ciò che Dio proibisce in questo primo comandamento; vediamo ora ciò che ci comanda: ivi, come abbiamo detto, il Signore vuole essere tenuto per Dio, cioè per quel solo vero Dio com'è; vuole essere trattato da Dio, siccome chiaramente s'esprime nel Deut. 6: “Habebis me solum” (Vide pag. volante (d) foglio n. 3 [che però qui non c'è, Nota dell'editore]). Pre,2311a:T24 (f) Inoltre il Signore inserì in molte cose una virtù soprannaturale, per via della quale si debbono queste particolarmente rispettare, e dobbiamo farne quel debito uso che la religione c'insegna. Tra queste cose vi sono i sacramenti e i sacramentali; i sacramenti perché sono i canali istituiti da Gesù Cristo per conferirci la grazia santificante, i sacramentali e le indulgenze alle quali cose si attribuisce come effetto loro la remissione dei veniali, e la remissione del reato di pena, rimesso che sia quello di colpa. Le indulgenze sono una partecipazione del tesoro dei meriti di Gesù Cristo, Maria Vergine e dei Santi, il qual tesoro è in mano del Sommo Pontefice, e noi dobbiamo sommamente stimarle, ed industriarci per acquistarle. I Sacramentali sono certe cose sacre e riti esteriori, o siano azioni di religione istituite dalla Chiesa alle quali si attribuisce l'effetto già detto e si riducono al seguente verso: Orans, tinctus, edens, confessus, dans, benedicens. Pre,2311a:T25 Orans – l'orazione domenicale di cui si legge (de pæn. dis. 3 de quotid.): delet omnium hæc oratio minima, et quotidiana peccata; a questo anche si riduce il battersi il petto in segno di pentimento. Tinctus – coll'aspersione dell'acqua santa, per comprenderne tutte le virtù mirabili converrebbe esporvi le preci che la Chiesa usa nel farla, e la virtù che le comunica, per il che manca il tempo; si crede d'istituzione apostolica: nel 121, S. Alessandro Papa, che fu il quinto dopo S. Pietro, ne fece un decreto e ne fa autore S. Matteo (Baronio) per autorità ricevuta da Dio quando loro diede potestà di scacciare i demoni, calpestare i serpenti; l'uso non può mai commendarsi abbastanza per le utilità che cagiona all'anima e al corpo, allontana i demoni, scancella i veniali, rimette della pena, scaccia le tentazioni, dispone l'anima alla grazia di Dio. Edens – pane benedetto Confessus – l'orazione istituita dalla Chiesa: Confiteor Deo etc. Dans – l'elemosina per motivo di carità, eleemosyna ab omni peccato liberat (Tob. 4) in quanto che ottiene grazie particolari al peccatore. Benedicens – benedizione del Prelato; per benedictionem prælati bene susceptam venialia remittuntur (Decretali). Lo stesso può dirsi delle candele benedette, delle ceneri sacre di palme di olivo, degli Agnus Dei etc. Pre,2311a:T26 Finalmente tutto ciò che è consacrato al culto di Dio, siano cose sacre, siano luoghi, siano Istituzioni, riti, cerimonie stabilite dalla Chiesa, che ricevette da Dio una pienezza d'autorità in queste cose, massime poi la S. Scrittura, come parola di Dio, tutto deve rispettarsi in modo affatto particolare; la ragione si è che tutto ciò che è destinato al culto di Dio, diventò in qualche modo divino, e gli si deve tutta la riverenza; la quale ridonda poi in Dio stesso. Pre,2311a:T27 Ecco tutto ciò che si richiede… Ecco tutto ciò che si richiede per adempiere bene questo precetto: dobbiamo prestare a Dio che è somma eccellenza, sommo rispetto e somma riverenza; dobbiamo venerare i Santi perché Dio loro comunicò i suoi doni di grazia, di gloria e, unitamente ad essi, ossia per concomitanza, dobbiamo venerare le loro reliquie, le loro immagini, dobbiamo rispettare tutto ciò a cui Dio, o la Chiesa per autorità datale da Dio, applicò qualche virtù soprannaturale, come i sacramenti e i sacramentali; dobbiamo stimare e rispettare finalmente tutto ciò che in qualche modo è consacrato al culto di Dio; e quand'anche non manchiamo di adempiere a questi doveri, ma solo li adempiamo freddamente e tepidamente o solo per costume, noi ci rendiamo rei e odiosi innanzi a Dio, poiché dimostriamo di conoscere ben poco l'Eccellenza di Dio, e i suoi meriti; dimostriamo di farne ben poco caso, di essere ben freddi e pigri nel suo amore, nel suo servizio, ed è allora che il Signore pronunzia quella terribile sentenza: Maledictus qui facit opus Dei negligenter (Jer. 18), e altrove (Apoc. 3): Utinam frigidus esses, aut calidus, sed quia tepidus es incipiam te evomere. – Frigida et calida sumi possunt, tepida ad vomitum provocant (D. Th.). Pre,2311a:T28 È veramente ella un'ingiuria manifesta che si fa al Creatore essere tutto ghiaccio, tutto languido, tutto abbattuto per lui, mentre si è tutto fuoco, tutta attività per il mondo, per soddisfare la propria natura: considerare pudet tantus fervor in sæculo, dice S. Girolamo, e tanta languidezza per Dio; nessuno mai si stanca di travagliare per acquistare dei beni, per procurarsi degli onori; nessuno mai si lagna di passare tutto il giorno in occuparsi di bagatelle, in trattenersi di vanità e poi un momento d'orazione li annoia, un minimo esercizio di pietà loro pare un atto eroico, pare che non abbiano forze alcune. Ah, quanto poca cognizione di Dio vi è mai, e quanto poco impegno di arrivare alla propria felicità, la quale sta annessa col nostro servizio di Dio! Ah, verrà un giorno in cui sarete giudici voi medesimi e l'ardore, e la premura che abbiamo avuta per oggetti da niente condannerà la nostra tepidezza per le cose del cielo! Esaminatevi dunque in che stima aveste sinora le cose di Dio, cioè tutto ciò che a lui riguarda direttamente e indirettamente, come ne parlaste, come le difendeste, come praticaste i vostri doveri di religione, con quale applicazione interna e con quale compostezza esterna. Sappiate che opus qualecumque fuerit, ignis probabit. Ricordatevi che sancta sancte. Pre,2311a:T29 Pusillanimità (Bisogna guardarsi soprattutto dalla pusillanimità, chi [i comandamenti] li osserva con generosità d'animo, con allegria*4) gode egli una pace di cuore, una tranquillità d'animo che il mondo non sa certamente dare ai suoi seguaci, come abbiamo veduto, massime poi se si osservano con generosità d'animo, con allegria, per amore, che è appunto il modo d'osservare con gran frutto e con somma facilità i divini comandamenti. Io voglio concedervi che vi siano delle difficoltà nell'osservanza dei comandamenti, ma riflettete primieramente che il maggior male si è gettare le armi in faccia al nemico, e darsi per vinto prima di combattere, e per questo bisogna risolvere di non mai darsi per vinto nelle difficoltà, per grandi ch'elle siano. Riflettete in secondo luogo che se voi combattete languidamente e con pusillanimità, voi sentirete tutto il peso della difficoltà, l'ingrandirete ancora nella vostra mente, temendo ove non v'è neppure luogo a timore, come diceva Davide: Illi trepidaverunt timore ubi non erat timor, ed allora più che mai rischierete di trasgredirli. Quale fu infatti la cagione della rovina del mondo tutto? La pusillanimità. Adamo peccò – dice S. Ag. – ne contristaret delicias suas, cioè Eva. Se avesse avuto un cuore generoso, virile e risoluto avrebbe dovuto dire ad Eva: Mi meraviglio di voi, questo frutto non si deve toccare, né le vostre lusinghe, né la gola non mi comanderà mai. Ma Adamo per pusillanimità cedette, e così rovinò il mondo tutto. Pre,2311a:T30 La pusillanimità è prodotta da superbia e pigrizia, scuotiamo dunque primieramente questa pigrizia, poiché la vita eterna è un premio che non si dà gratis agli oziosi; disinganniamoci, dice S. Ag.: Qui fecit te sine te, non salvabit te sine te. Non aspettiamoci tutto dalla grazia di Dio, essa non ci è data per toglierci le difficoltà, ma per fortificarci, per vincerle; essa esige la nostra cooperazione, può dirsi di essa che non viene a recarci in mano un palmo d'olivo, cioè la vittoria conquistata, ma bensì ci somministra la spada per armarci a conquistarla. Diffidiamo di noi, questo va bene ed è necessario per non cedere al gigante Golia, ma come Davide confidiamo in Dio che ci assiste con forza maggiore. Nolite de vestra infirmitate trepidare, sed mea potestate confidite, così S. Prospero fa parlare Dio: Confidite, ego vici mundum; così dice lo stesso Salvatore a ciascuno di noi in simili difficili incontri. Dunque facciamoci un cuore grande, poiché questo è il miglior mezzo per superare ogni difficoltà: chi patisce nausea, se beve la medicina a sorso a sorso, ne sente l'amarezza centuplicata; chiudere gli occhi, bere grosso con generosità e con risoluzione fa passare la nausea in un momento. Pre,2311a:T31 Vi è dunque occasione e necessità di togliere uno scandalo, di fare un'ammonizione, di sciogliere un nodo di coscienza, lasciare un'occasione di ritirarsi da un compagno cattivo, fare una restituzione; badiamo a non fingere fatica in queste cose, saltiamo il fosso, per dir così, e senza tanto litigare intraprendiamolo subito con cuore generoso e virile. Volete poi farlo con maggior facilità? Fatelo con allegria hilarem enim datorem diligit Deus; quel poco che gli diamo diamoglielo di buon cuore, e se v'ha qualche difficoltà a superare, diciamogli che ben volentieri vogliamo superarla per lui, poiché così possiamo dire almeno qualche volta di dargli qualche cosa che ci costi. Se poi volete ancora un segreto perché quella stessa fatica vi diventi soave e dolce, osserviamo i comandamenti, vinciamo le difficoltà nell'osservarli, non per forza, ma per amore e con affetto, come faceva Davide, il quale diceva di se stesso: Custodivit anima mea testimonia tua, et dilexit ea vehementer. Chi così opera, egli è allora come quel contadino etc. […] (vide pag. 13 ab initio*5) Pre,2311a:*1 Qui termina il foglio numerato in originale “4” e mancano in originale i fogli da 5 a 20 compreso. Nel 21 si parla dell'attacco alla roba come impedimento al servizio di Dio e poi nei fogli che seguono ancora dell'Idolatria, della Magia come di materia già trattata, dal che si vede che i fogli erano perduti già nel raccoglierli. Tanto più che qui viene un foglio volante, mezzo protocollo, inserito e richiamato dove si tratta della tenacità e avidità nell'amar la roba che appartiene all'argomento trattato nel foglio 21 (così interpreta P. Moscarelli). Una copia più completa di questo documento, di mano Guala, si trova sotto (Pre, 2335 d-e). Pre,2311a:*2 Qui si dice “Vid. foglio volante n. 1” ed in effetti c'è annesso un foglio volante formato mezzo protocollo catalogato come nel richiamo che qui si trascrive, e che porta il numero progressivo del volume xerografato. Pre,2311a:*3 Termina qui il foglio annesso e riprende dalla pagina 21 del manoscritto. Pre,2311a:*4 Frase depennata; manca il foglio con il testo corretto. Pre,2311a:*5 La pag. 13 di questo manoscritto manca. A questo punto finisce il Doc. S. 2,11,5:311a. Qui acclusi ci son due fogli di protocollo normale, che sono copia di altra calligrafia delle prime pagine del documento e perciò qui non si riportano. Sono p. 119-120-121-122. Pre,2311b:S Istruzione sui precetti in specie Di mano Lanteri (appunti). AOMV, S. 2,11,5:311b Pre,2311b:T1 Istruzione terza sul 2o comandamento Il 2o comandamento si è: Non nominare il nome di Dio invano. Nel 1o ci viene comandato di onorare Dio col cuore, nel 2o colla lingua. Comanda dunque che nominiamo con riverenza il suo santo Nome, e proibisce di nominarlo con abuso e disprezzo; sicché in questo precetto si tratta dell'onore e disonore che si fa a Dio con le parole, il che può essere in quattro maniere: 1 – Si onora Dio nominandolo con riverenza ed onore; si disonora nominandolo senza cagione e per cattiva consuetudine; 2 – si onora col giuramento, si disonora con lo spergiuro; 3 – si onora col fare voti, si disonora col non osservarli; 4 – si onora invocandolo, lodandolo, si disonora bestemmiandolo, maledicendolo. Pre,2311b:T1,1,1 1o Si onora Dio pronunziando santamente il suo S. Nome: Sanctificetur nomen tuum, diciamo noi nel Pater. Il nome di Dio non è un nome vano, inutile, ma è un nome grande, potente, utilissimo, necessario per la nostra salute: 1 – è un nome grande, poiché niente vi è di più grande di Dio: quis sicut Dominus Deus noster cui est nomen super omne nomen; perciò al solo sentirlo nominare omne genuflectatur cælestium, terrestrium, et infernorum. Domine Dominus noster quam admirabile est nomen tuum in universa terra. Ab ortu solis usque ad occasum laudabile nomen tuum, Domine. Pre,2311b:T1,1,2 2 – È un nome potente: in virtù di questo nome si convertì l'universo, fu incatenato il Demonio, distrutto il suo regno, rotta la sua tirannia, fu aperto il cielo; nella forza di questo nome riconosceva David ogni sua virtù, adjutorium nostrum in nomine Domini; e lo riconobbero i Patriarchi che operavano tutti in nomine Domini; così Abraham mandò il suo servo (Gen. 24); così David vinse Golia. Così nella Chiesa la vista di questo nome produsse i Martiri, i Confessori; per questo nome veniamo esauditi nelle preghiere, veniamo liberati da tanti mali di corpo e di spirito: quidquid petieritis Patrem in nomine meo, hoc faciam; e lo ripete in mille luoghi; così la Chiesa termina tutte le sue orazioni: Per Dominum nostrum Jesum Christum. In nomine meo demonia ejicient, serpentes tollent, et si mortiferum quid bibent, non eis nocebit; in virtù di questo nome gli Apostoli e i primi cristiani guarivano infermi, liberavano ossessi, raddrizzavano storpi: In nomine Jesu Christi Nazareni surge et ambula, così S. Pietro allo storpio (Act. 3). Præcipio tibi in nomine Jesu Christi exire, così ai demoni S. Paolo (Act. 16). Così S. Barnaba faceva menzione dei prodigi che S. Paolo operò in Damasco: fiducialiter in nomine Jesu (Act. 9). Gli stessi Apostoli stupefatti benedicevano Dio in eo quod manum suam extenderet, ut sanitates signa, et prodigia fierent per nomen sancti filii sui Jesu (Act. 4). Nome potente per fortificarci contro le tentazioni, per consolarci nelle afflizioni, e massime nell'ora della morte: Invoca me in die tribulationis et eruam te, et honorificabis me. Pre,2311b:T1,1,3 3 – Nome necessario, quia non est in aliquo alio salus; et omnis qui invocaverit nomen Domini salvus erit (Joel 2 v. 32). Dunque non vi è niente di più grande, di più utile, di più desiderabile; dunque secundum magnitudinem tuam sit et laus tua in ore meo: teniamolo per un gran dono, invochiamolo sovente, dicendo con Davide: Benedicam Dominum in omni tempore, semper laus ejus in ore meo; oppure con Giobbe, ad ogni evento: Sit nomen Domini benedictum. Facciamo tutto in nomine Domini, come ci consiglia San Paolo, poiché le nostre azioni segnate con questo nome saranno tutte gradite a Dio, come graditi, fermi e validi sono i rescritti segnati dal principe, dice S. Giovanni Crisostomo; oltre di che, al solo pronunciare come si deve un tale nome si esercita la fede, la speranza, la carità, il che accresce a dismisura il merito di un tale atto di religione; aggiungiamovi ancora il nome di Maria, e vedremo quale consolazione, quale frutto sarà in vita e in morte l'essersi assuefatto a pronunziarli sovente e di cuore. Pre,2311b:T1,1,4 Di qui ben si vede il danno… Di qui ben si vede il danno che ne ridonda in chi sovente senza causa, e senza riverenza pronuncia il nome di Dio, come pure l'ingiuria che risulta a Dio, il quale a ragione pretende che sia santificato il suo nome. Ascoltiamo ciò che ne dice l'Eccli. 23: Nominatio Dei non sit assidua in ore tuo, et nominibus Sanctorum non admiscearis, quoniam non eris immunis ab eis, sic omnis jurans et nominans in toto a peccato non purgabitur. Non è dunque lecito, né tampoco conveniente che il nome santo di Dio si dimeni per le bocche di tutti come un nome triviale; voi vedete che le vesti preziose non si usano in tutti i tempi, promiscuamente in ogni occasione; nessuno vedrà mai, per esempio, nei viaggi di campagna, nei banchetti, nelle conversazioni comparire un Senatore con la toga; si merita ben dunque ancora questo risparmio il nome santo di Dio che deve stimarsi per qualche cosa di più che qualunque preziosa veste, perché è un nome sì sacrosanto: res sacra est, non est miscenda sacra profanis; faccia dunque in noi quell'impressione che fa non una veste preziosa, ma una veste sacra, un sacro calice che mai non ardireste usare fuori dell'altare. Dunque non più si usi tra il riso e le ciance in mezzo al giuoco etc. il nome santo di Dio, non usiamolo più nisi doctrinæ causa, aut precationis, aut necessitatis; non più che negli insegnamenti, nelle preghiere, nei giuramenti fatti con verità, necessità, riverenza. Pre,2311b:T1,1,5 Imitiamo i Santi: S. Francesco d'Assisi ogni volta che salmeggiando nominava Dio, come se avesse un miele dolcissimo nel palato, colla lingua si lambiva le labbra, riempiendosi tutto di soavissima devozione; e se per avventura trovava per terra qualche carta abbandonata cui vi fosse soprascritto il nome di Dio o di Maria, come se vedesse una gioia perduta, correva subito a prenderla, a ripulirla, a baciarla; quindi o la riponeva in luogo decente, o la consegnava a consumarsi alle fiamme. S. Efrem ci lasciò scritto di se stesso, che gli capitò una volta tra le mani il breviario di S. Giuliano, monaco di rinomata santità; ora nell'aprirlo vi trova quasi ogni pagina macchiata, massimamente poi, trova guaste e cancellate tutte le parole che esprimevano il nome di Dio; ne restò altamente meravigliato, né sapeva che dirsi. Chiede pertanto a S. Giuliano chi è quell'empio che aveva sì malamente guastato quel salterio, e il Santo ingenuamente gli confessa d'aver fatto lui quell'ingiuria innocente al suo breviario, imperocché rarissima volta era che egli pronunciasse quelle parole esprimenti Dio e non le baciasse e ribaciasse, e di più non gli cadessero dagli occhi lacrime di compunzione a bagnare quelle linee, dall'abbondanza delle quali, la carta lavata aveva perduto la tinta dell'inchiostro. Ecco il rispetto e la tenerezza con cui i Santi pronunciavano il nome santo di Dio. Pre,2311b:T1,1,6 Ora io domando se quel nome stesso che così rispettavano i Santi, quel nome che noi adoriamo, invochiamo, domandiamo tutto il dì nel Pater che sia santificato, sia poi lecito proferirlo a capo coperto, senza rispetto, cento volte al giorno, in mezzo a racconti profani, oziosi, e talvolta impudichi? Se vogliamo invocare Dio, invochiamolo come Padre che ci soccorra, come clemente che ci perdoni, come provvido che ci somministri il necessario, e allora facciamolo pure con fiducia e frequenza. “Clamabunt ad me, dice Dio stesso, et ego exaudiam eos”; ogni altra irriverente nominazione si bandisca dalle nostre bocche: nominatio Dei non sit assidua in ore tuo. Quale castigo non sarà mai riservato per colui che non si ricorda, né mai sa nominare Dio che in occasione di sprezzarlo? Ah nescitis quid sit Deus (Crisostomo) et quali ore nominandus sit? Ma non dubitate che si farà conoscere: cognoscetur Deus judicia faciens; non aspettiamo di conoscerlo allora, ma in tutto il corso di nostra vita rispettiamo, amiamo, adoriamo questo gran nome di Dio. Pre,2311b:T1,2,1 Il 2o modo di onorare Dio si è col giuramento, siccome si disonora collo spergiuro. Il giuramento è un'invocazione espressa, o tacita, del grande Iddio come prima verità citato, per dire così, ad essere testimonio d'alcuna cosa con volontà vera e reale che Egli concorra a testificare tale cosa. Ho detto invocazione espressa, o tacita, perché non è necessario, per giurare, invocare immediatamente Dio per testimonio; basta anche invocare, per esempio, Maria Vergine, i Santi, la Croce, il Vangelo, cioè quelle creature dove riluce in particolare modo la grandezza di Dio. Ho detto inoltre un'invocazione di Dio, poiché se uno dicesse in fede mia, in mia coscienza, giuro da galantuomo etc., benché giuri il falso, non commette peccato grave, quando non sia con grave danno del prossimo, perché la fede e l'autorità umana non sono di tanto peso. Fu una volta errore degli Anabattisti, e di Wicleff e suoi seguaci che non era lecito mai il giuramento, ancorché la verità lo assista e la necessità lo forzi, e furono condannati nel Concilio di Costanza; e infatti abbiamo nelle Scritture che Dio stesso ha giurato: Juravit Dominus, et non pænitebit eum, e Gesù Cristo ben spesso ripeteva: Amen, amen dico vobis, il che presso gli Ebrei era una vera formula di giuramento; giurò S. Paolo (Rom. 1): Testis est mihi Deus; (2 Cor. 1): Testem invoco Deum in animam meam; (Gal. 1) quæ autem scribo vobis ecce coram Deo quia non mentior; l'Angelo nell'Apocalisse giurò per viventem in sæcula sæculorum; nel Deut. 6 è detto: Illi soli servies, et per nomen illius jurabis; e in Geremia 4: Jurabis vivit Dominus in veritate, et judicio, et justitia; e David (Ps. 62): Laudabuntur omnes qui jurant in eo. Pre,2311b:T1,2,2 Il giuramento dunque per sé è lecito, anzi è un atto di religione sia per gli esempi addotti, sia perché può procedere da una fede viva che Dio è verità infallibile, che non può ingannare, né può essere ingannato, e perciò s'invoca il suo testimonio in confermazione della verità, il che certo ridonda a gloria di Dio. Direte d'aver sentito qualche volta che Gesù Cristo dice nel Vangelo (Matt. 5): Audistis quia dictum est antiquis non perjurabis, reddes autem Domino juramenta tua. Ego autem dico vobis non jurare omnino, neque per cælum, quia thronus Dei est, neque per terram, quia scabellum pedum ejus est, neque per Jerosolymam quia civitas est Magni Regis, neque per caput tuum juraveris, quia non potes unum capillum album facere, aut nigrum; sit autem sermo vester: est, est, non, non, quod autem his abundantius est, a malo est; o come soggiunge S. Giacomo 5, ut non sub judicio decidatis. Pre,2311b:T1,2,3 Rispondo in primo luogo che Gesù Cristo così parlava allora ai farisei che si credevano che tali espressioni non fossero giuramenti, e loro fa vedere che il giurare per simili creature nobili è lo stesso che giurare per Dio, che è il loro Creatore, ond'è che esemplificò d'avvantaggio la cosa in altro luogo (Matt. 23): Qui jurat in altari, jurat in eo et in omnibus quæ super illud sunt, et quicumque jurat in templo, jurat in illo et in eo qui habitat in ipso, et qui jurat in cælo, jurat in throno Dei, et in eo qui sedet super eum. In secondo luogo non è che il Salvatore proibisca ogni giuramento affatto, ma soltanto ogni giuramento fatto senza causa ragionevole di necessità, o di utilità, come interpretano i Ss. Padri, e la ragione si è che il giuramento, fatto senza motivo giusto e ragionevole, invano e per leggera causa, contiene sempre un'irriverenza grande di Dio ed è un vero abuso dello stesso giuramento. Juramentum, dice S. Tom., non alter ac medicamentum usurpandum est, deve usarsi con quella parsimonia con cui si prendono le medicine; infatti il giuramento è ordinato per rimedio della debolezza della fede umana, onde siccome i rimedi si pigliano non per spasso, o per mera usanza, ma per mera necessità, o vera urgenza di qualche male presente, o prossimo, così si devono prendere i giuramenti, ed è per questo che l'Eccli. 23 ci dice: Jurationi non assuescat os tuum multi enim casus in illo. Pre,2311b:T1,2,4 Quali saranno le eccezioni… Quali saranno dunque le debite eccezioni con le quali è lecito il giuramento? Le enumera Geremia 4: Jurabis vivit Dominus in veritate, in judicio, et justitia, cioè conviene che sia assistito dalla verità, comandato dalla necessità, accompagnato dalla riverenza, ed allora il giuramento non è solo lecito, ma un atto di latria, meritorio di vita eterna. Dunque, in 1o luogo non basta che il giuramento sia assistito dalla verità, conviene che sia anche comandato dalla necessità e accompagnato dalla riverenza, e per questo peccano coloro che per qualunque minima cosa burlando o giocando, giurano e chiamano Dio e i Santi che vengano a fare fede, né sanno contare un fatto, riferire un caso, senza dire e ridire per Dio è così, e basta che uno dia qualche segno di diffidenza che subito interpongono quanto vi è di santo in cielo, ed in terra per sostenere cose da nulla; vi sarà differenza di due o tre quattrini, si tratterà di una lite di nessun momento che non si merita la spesa d'incomodare un minimo giudice, che sarebbero derisi se volessero introdurla in Senato, e per questo, ecco, subito adoperati, invocati i personaggi più rispettabili del Cielo; si reputerebbe a derisione e ad ingiuria grave, se seriamente alcuno, per ratificare tali cose di nessun momento e sovente ancora, invitasse il re, il vescovo, il papa, e non sarà una derisione ed un'ingiuria grande l'invocare, un verme della terra, la tremenda maestà di Dio per cose da nulla? Ah nescitis quid sit Deus et quali ore invocandus est! (Crisostomo). Perfino i Turchi non invocano mai il loro Maometto che per grandi imprese, e con piegare la fronte; e chi ha tale abito, e non procura di toglierselo, sta in peccato mortale, e ad emendarsi gioverà imporsi qualche penitenza ogni volta che giuri. Pre,2311b:T1,2,5 Chi ha fatto abito a giurare, oltre a giurare senza riverenza s'espone ancora a giurare cose dubbiose, e da queste passa alle cose false: Jurationi non assuescat os tuum, multi enim casus in illo, cioè molte volte cadrà in spergiuri, ciò che fece dire anche a S. Crisostomo: Nemo est qui frequenter juret, et aliquando non perjuret; e questi giuramenti poi, per cose dubbie o false, sono sempre peccati gravi anche trattandosi di materia leggera, di modo che, benché si giuri in bugia giocosa, officiosa, burlesca, come consta dalla proposizione 24 condannata da Innocenzo XI, benché siano senza danno del prossimo, anzi quand'anche fosse per suo vantaggio, pure è peccato mortale, perché qui non si rimira la materia, ma l'ingiuria che si fa a Dio invitandolo a testificare il falso; e volete vedere come è evidente e grande quest'ingiuria che si fa a Dio? Se voi invitate uno a testificare il falso, voi l'invitate a commettere un'iniquità, e lo credete capace di tanto, e più la persona è grande, sempre maggiore si è l'ingiuria che gli si fa. Pre,2311b:T1,2,6 Dunque, quale sarà l'ingiuria che si fa a Dio con invocarlo ad approvare la menzogna, a servire d'inganno ad altri, Dio che è la stessa santità, la stessa veracità? Ed è pure questo che fanno coloro che non sanno spacciare una mercanzia senza qualche giuramento falso: per Dio costa tanto, per Dio me l'hanno pagato tanto. Questo è quello che fanno quegli artefici che giurano di dare la loro opera finita per il tale tempo, e non ci pensano neppure; così coloro che vanno trattenendo i creditori con giurare di pagarli la tale settimana, il tale mese, e nel loro cuore pensano tutt'altro; così coloro che giurano il falso per liberare qualcuno dalle mani della giustizia, o per procurargli qualche altro vantaggio, pensino costoro che pazzia è la loro, andare all'Inferno per trarre l'amico di carcere, perdere i beni eterni perché altri non perda i temporali, preferire d'offendere Dio piuttosto che non compiacere ad uno che chiede che si spergiuri in suo vantaggio; oportet amicis commodare usque ad aras, conviene servire l'amico dall'altare in fuori. Pre,2311b:T1,2,7 Che dirò poi di coloro che spergiurano non per aiutare, ma per spogliare un pupillo, una vedova, non per difendere un reo, ma per opprimere un giusto, che vanno perfino nei tribunali a giurare il falso, o a testificare che hanno veduto ciò che appena avranno sentito dire? Guai a costoro che così giurano, guai a quei notai che ricevono scientemente tali giuramenti; quivi oltre lo spergiuro, vi è anche l'ingiustizia, e sono tenuti ai danni. Maledictio (cioè non qualche castigo, ma un fascio di castighi) venit in domum jurantis in nomine meo mendaciter, è destinato alla casa degli spergiuri, e non vi andrà solo di passaggio, ma vi dimorerà, e consumerà ogni cosa, dice il profeta Zaccaria c. 5: Veniet et commorabit in medio domus ejus, et consumet eam, et ligna ejus, et lapides ejus, cioè beni di natura, beni di fortuna, beni di grazia, beni temporali ed eterni, tutto consumerà, ed infatti si vedono le famiglie di costoro andarsene alla malora. Oltre il giurare con giudizio e con verità, conviene giurare anche con giustizia, cioè conviene che non si prometta con giuramento se non cosa giusta e lecita, ond'è una nuova ingiuria che si fa a Dio il chiamarlo in testimonio che uno, per esempio, si vuole vendicare, o fare altra cosa proibita da Dio; ognun sa che tali promesse giurate non tengono perché il giuramento non può mai servire di vincolo d'iniquità. Pre,2311b:T1,3,1 3o Si onora Dio con invocarlo e lodarlo; si disonora col bestemmiarlo e maledirlo. Bestemmia è un'espressione ingiuriosa a Dio, vomitata per modo di disprezzo (S. Th. 2, 2, q. 13, a. 1); ella è l'opposto della lode poiché, siccome questa consiste nel dire alcuna cosa in onore di Dio, così la bestemmia consiste nel dire alcuna cosa in disonore e disprezzo di Dio, in diminuzione della sua divina Maestà, Eccellenza, Bontà, e questo accade quando gli si nega quello che ha, o gli si attribuisce quello che non ha, o quando si attribuisce a qualche creatura quello che è proprio di Dio, o quando si ferisce Dio in se stesso, o nei suoi Santi. Pre,2311b:T1,3,2 Bestemmia, col togliere a Dio quello che ha, quell'afflitto o quel povero che con qualche interno disprezzo verso Dio dicesse e seriamente: Dio ha altro da pensare che ai fatti miei; Dio si è dimenticato di me; Dio non poteva trattarmi di peggio; Dio non è giusto, se mi manda la tale disgrazia, poiché così si toglie a Dio la sua scienza infinita con cui vede ogni cosa, la sua Provvidenza con cui governa il tutto, la sua giustizia in ogni avvenimento. Bestemmiò solennemente il Demonio con attribuire a Dio ciò che non ha, quando disse ad Eva: Nequaquam moriemini, eritis sicut dii, poiché gli attribuì il dire bugie, e l'invidia del bene altrui. Bestemmiano pure in certo modo, con attribuire alla creatura ciò che è di Dio, coloro che chiamano l'amante il loro idolo, l'amato loro bene, attribuendogli così l'augustissimo nome di divinità, cosa che ognuno vede quanto sia ingiurioso a Dio. Pre,2311b:T1,3,3 Si ferisce poi immediatamente Dio con la bestemmia, quando si nomina con disprezzo il Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, o chi dicesse a dispetto di Dio; e questo può anche eseguirsi con i soli segni, come quando uno si rivolge contro il cielo come in atto di prendersela contro Dio. Così bestemmiò Giuliano Apostata, quantunque non abbia pronunciato niente di falso con Gesù Cristo qualora, preso in mano del suo sangue che gli usciva dalle ferite, e sollevandolo verso il cielo in atto di porgerlo a Cristo gli disse con disprezzo: Nazarene bibe, et salutare! Così pure chi calpestasse apposta il Crocifisso, o altre cose sacre; e così chi maledicesse i Santi o lo cose sante, come la Messa, la Chiesa, i giorni santi; all'opposto non è peccato maledire una bestia, una chiave, una strada, il tempo, il vento, la pioggia, purché non si abbia l'intenzione di riferire a Dio simili maledizioni, purché non siano creature in cui risplende in modo speciale la potenza, la grandezza di Dio, come il cielo, l'anima umana etc. Pre,2311b:T1,3,4 Enormità di un tale delitto Abbiamo veduto cosa sia la bestemmia, e quando si enuncia; vediamo ora l'enormità di un tale delitto: Omne peccatum, dice S. Girolamo, comparatum blasphemiæ levius est, perché la sua gravezza la prende dalla persona ingiuriata, che è immediatamente Dio; ognuno per quanto sia in collera si astiene dallo strapazzare il padrone, il principe: che sarà dunque strapazzare immediatamente Iddio? Perciò dite se può darsi peccato ex genere maggiore di questo? Voi sapete l'obbigo che v'è di riprendere chi mormora; sappiate che l'obbligo di riprendere chi bestemmia è immensamente maggiore, poiché la mormorazione, in primo luogo, fa solamente danno a poche persone; la bestemmia provoca, dice S. Crisostomo, la Giustizia divina a pubblici e tremendi castighi: sono come gli abiti pestiferi che mettono il contagio e la peste nelle città; in secondo luogo, chi mormora toglie l'onore alla creatura, ma chi bestemmia toglie l'onore a Dio che deve premere più di tutto il creato, e a tutti deve starne sommamente a cuore la riparazione, commune crimen est (grida S. Crisostomo ad pop. Ant.) et publica injuria. Pre,2311b:T1,3,5 Il padrone ingiuriato è comune; a tale ingiuria siamo dunque tutti interessati. Sapete pertanto cosa suggerisce e consiglia di fare il prelodato Santo? Udite: Postquam de blasphemia verba nobis nunc facta sunt, unam a vobis omnibus volo nunc petere retributionem pro concione hac, ut blasphemantes mihi castigetis… Et si quempiam in foro, in bivio Deum blasphemantem audieris accede, increpa, et si verbera infligere oportuerit, ne recuses: blasphemi faciem alapa percute, contere os ejus, hac percussione manum tuam sanctifica. Si ulli accusaverint et in carcerem traxerint, tu sequere, commune crimen est, publica injuria cuique licet accusare… discant dissoluti et perversi quod et Dei servos timere oportet, et si quid loqui aliquando eligant, sese undique circumspiciant, ne forte Christianus audiens insiliat, et vehementer puniat. Basti il dire che chi bestemmia è peggiore dei dannati, poiché questi bestemmiano quel Dio che li castiga, colui bestemmia quel Dio che attualmente lo sta beneficando. Per questo era ordinato nell'antica legge (Lev. 24) di non soffrire alcun bestemmiatore, ma di cacciarlo fuori della città o del campo e lapidarlo per mano di tutti: Educ blasphemum extra castra, et lapidet eum universus populus. Pre,2311b:T1,3,6 Se alcuno di voi avesse un tale vizio, deh faccia ogni sforzo per liberarsene, usi ogni industria perché quest'abito non gli sia cagione di rovina eterna; che se non usa ogni industria, sappia pure che prorompendo in alcuna bestemmia per contraffatto che sia dalla passione e trascinato dall'uso, e lo faccia anche, direi così, senza avvedersene, egli è sempre in stato di perdizione. Che direste infatti voi, se coglieste in flagrante uno col frutto alla mano, e colui si scusasse con dire che è avvezzo al furto e non sa trattenersi? Non direste voi che per questo merita maggior castigo, poiché non è più semplice fallo, ma vizio? Per quanto siate abituati in tale vizio, nonostante siete liberi e padroni della vostra lingua, è certo che se ogni bestemmia vi dovesse costare una somma egregia, anzi, non più che una piccola moneta, non andrebbe guari che sareste convinti di essere padroni di voi stessi, e ve ne liberereste ben presto. Pre,2311b:T1,3,7 Quali saranno le industrie per liberarvi da sì pessimo vizio? Fare una buona confessione, ogni giorno dire tre Ave alla Vergine; quando vi sentiste impazientare, fate piuttosto l'abito di maledire il peccato, il Demonio, ma lasciate stare Dio e i Santi, ed ogni volta che vi sfuggisse alcuna bestemmia, imponetevi una piccola elemosina, o altra penitenza, come di fare altrettante croci per terra con la stessa bocca che ardiste di mettere in Cielo, ovvero usate questo rimedio meno doloroso, e forse più utile, recitate una corona intera, non di Ave Maria, ma di lodi di Dio come: Lodato sempre sia il Ss. Nome di Gesù e di Maria. Guai poi a quei Padri che non correggono in questo i loro figli, peggio poi se gliene danno il male esempio. Pre,2311b:T1,4,1 4o Si onora Dio con i voti, e si disonora col non osservarli. Su questo ho poco da dirvi, perché il più appartiene ai Superiori Ecclesiastici ed ai Confessori. Il voto è una promessa deliberata fatta a Dio di una cosa possibile e migliore. Si dice promessa perché non basta il proponimento, tanto meno il desiderio, ma deve essere promessa fatta con animo di obbligarsi sotto pena di peccato, e promessa fatta a Dio; e così s'intendono gli stessi voti fatti ai Santi, cioè che uno promette a Dio in onore d'un qualche Santo; promessa deliberata, cioè fatta col perfetto uso della ragione, e colla volontà libera e piena, cioè colla stessa cognizione e volontà che si richiede a peccato mortale, di un bene possibile e migliore: possibile perché se è impossibile il voto non è bene, perciò conviene che sia di cosa di cui si abbia pieno dominio; se è possibile in parte, il voto tiene per quella parte; Migliore perché, quando fosse di un bene inferiore o indifferente, il voto parimenti è nullo, se non quando per le circostanze il bene si rendesse migliore, perché non può mai piacere a Dio, né mai accetterebbe che ci obbligassimo a cosa che ci impedisse l'adempimento di un qualche dovere, oppure l'esercizio di qualche altra virtù più nobile, e per noi migliore, così nullo sarebbe il voto di fare elemosina in tanta copia che impedisse di pagare i debiti, o il voto di non dare in prestito ad altri alcuna cosa, perché opposto alla carità, virtù più nobile e per noi migliore. Pre,2311b:T1,4,2 Pecca dunque contro questo comandamento chi non adempisse ai suoi voti. Voi sapete come Dio ci comanda nella S. Scrittura di ricordarci di adempirli, e adempirli tosto che si può. Quanto poi peccato grave sia il non adempirli, si comprende dal fatto d'Anania e Saffira che S. Pietro colpì di morte subitanea, perché non adempirono il loro voto, rimproverando loro di mancare di parola a Dio, ricordandogli che non avevano promesso ad un uomo, ma a un Dio. Dunque voti: o non farli, o adempirli subito se li fate; ed io vi consiglio di non farne mai nessuno senza il consiglio di chi vi diriga; fate proponimenti finché volete, ma voti non sia mai senza questa cautela. Pre,2311b:T2,1 3o Comandamento. Santificare le feste Pre,2311b:T2,1 Questo comandamento è una conseguenza… Questo comandamento è una conseguenza degli altri due perché, dopo averci intimato Dio di voler essere da noi riconosciuto, lodato, doveva pur anche essere servito, perché così glorificassimo Dio con tutto noi, cioè col cuore, colla lingua e colle opere. Questo comandamento è alquanto diverso da quello che il Signore ci diede nel Decalogo, ove era espresso di santificare il Sabato; questo cambiamento fu fatto dalla Chiesa per quella pienezza d'autorità che Dio le diede, ed a cui dobbiamo prestare obbedienza come a Dio; cangiò dunque primieramente il Sabato in Domenica per differenziare la legge nuova dalla legge vecchia, perché i principali misteri di nostra Religione s'operarono in tale giorno, come la Natività, la Risurrezione, la Pentecoste; istituì poi, anche per quella stessa autorità, altre feste che non è più lecito biasimare d'averle istituite come d'averle abolite; istituite poi che sono, siamo obbligati ad osservarle sotto grave peccato, poiché si quis Ecclesiam non audierit, sit tamquam ethnicus et publicanus. Le altre feste sono consacrate alla memoria di qualche mistero di nostra Redenzione, e questo si è per porgerci un'occasione per spiegarceli ed imprimerceli ben bene nella mente, perché ne siamo grati, e ne approfittiamo del frutto; altre sono dedicate a Maria Vergine, ai Santi che regnano con Cristo, perché così lodiamo la bontà e la potenza di Dio che riluce in essi, perché debitamente li veneriamo come suoi amici, perché fedelmente li imitiamo. Pre,2311b:T2,2 Il vero senso di questo precetto si è che in certi dati tempi dobbiamo liberarci da ogni negozio e affare temporale per impiegare lo spirito e il corpo nel dovuto servizio di Dio; due cose dunque ci vengono imposte: il cessare dalle opere servili, l'impiegarsi in opere di religione. Essendo Dio per la sua immensità Padrone di tutti i luoghi, per la sua eternità Padrone di tutti i tempi, per ragione della creazione e conservazione Padrone di tutti noi, poteva esigere di essere adorato in tutti i luoghi, in tutti i tempi, e pretendere che tutti i nostri esercizi fossero atti di religione; con tutto ciò volle scegliersi alcuni luoghi soltanto più particolarmente per Sé, come le chiese, alcuni tempi, come le feste, e prescriverci alcuni atti di religione, lasciandoci tutti gli altri luoghi e tempi per attendere agli altri affari temporali. Voi vedete la ragionevolezza del precetto e la provvidenza paterna nel darcelo; era troppo ragionevole che la creatura consacrasse, almeno qualche tempo, per adorare e ringraziare il suo Creatore, il suo benefattore, e nello stesso tempo, come Egli fu provvido nel determinare così saviamente il suo tempo per il corpo e per l'anima, così vi è un tempo abbondante per gli affari temporali, e per altra parte non sono continui, perché anche il corpo e lo spirito abbisognano di riposo, così vi è il tempo fissato per l'anima che altrimenti verrebbe dimenticata, e sarebbe pur anche dimenticato Iddio; e vi sono fissati quegli esercizi di religione che sono necessari per la salute eterna dell'anima e per la gloria di Dio. Pre,2311b:T2,3 Vediamo ora cosa ci è proibito, cosa ci è comandato, cosa ci è consigliato. Sono proibite le opere servili che sono di tre specie; altre sono puramente servili, e sono quelle per le quali il corpo deve servire di principale strumento e faticare: si chiamano puramente servili perché sono comunemente esercitate dai servi; queste dunque sono tutte proibite, eccetto le necessarie per il vitto ed altri usi quotidiani indispensabili. Altre sono quasi servili, e sono i contratti e le liti, perché distraggono grandemente l'anima dal culto di Dio; e tutte queste opere servili o quasi servili sono tutte proibite, eccetto che la necessità, la carità, la pietà e la dispensa nei casi dubbi le scusino. Finalmente, le altre opere sono più che servili, e sono i peccati, poiché chi pecca serve la passione, serve il Demonio, né v'è servitù più ignobile e più proibita di questa, e più direttamente opposta al precetto di santificare le feste. Pre,2311b:T2,4 Ci viene comandato… Ci viene poi primieramente comandato a tutti, sotto pena di peccato mortale, d'assistere alla santa messa; la quale deve poi ascoltarsi intera e con attenzione, né uno può essere scusato se non o per impotenza, o per qualche grave incomodo che ne nascerebbe per sé o per altri; il modo di sentirla è di meditare la Passione di Gesù Cristo, perché la messa ne è la rinnovazione del sacrificio cruento della croce, o leggere qualche libretto spirituale, o recitare l'Officio di Maria Vergine o la corona, o altre orazioni vocali; almeno attenda a ciò che fa il sacerdote. In ogni messa, oltre alla partecipazione dei frutti della Passione, si acquistano ancora tremila e più anni d'indulgenza concessa da Innocenzo VI. Che se la Chiesa, come madre amorevole, fu discreta ad aggravarci di gravi doveri in tali giorni, da ciò poi non dobbiamo prendere occasione di pigrizia, ma bensì dobbiamo secondare i suoi disegni; i suoi disegni sono non di tenerci oziosi in tali giorni, poiché omnem malitiam docuit otiositas, ma con vietarci le opere servili s'intende di toglierci gli impedimenti alla nostra santificazione, indi s'intende che quel dì sia destinato per questo solo: perciò ci propone il sacrificio della messa, che è l'azione più grata a Dio, e più utile per noi. Di più poi impiega in tale giorno i suoi Ministri, dei quali altri v'aspettano al Tribunale della penitenza, altri si occupano nei divini uffizi per così mettervi in un'occasione prossima di profittar e dei S. Sacramenti, e di occuparvi nelle lodi di Dio, che è appunto quello che di più ci viene consigliato in questo precetto. Ne volete una norma per adempierlo bene? Osservate la condotta dei primi cristiani, e quel che facevano essi, tanto più ferventi di noi ogni giorno: facciamolo noi nei giorni di festa. Pre,2311b:T2,5 1. Erant perseverantes in doctrina Apostolorum: s'occupavano costantemente della predicazione degli Apostoli. Dobbiamo dunque considerare i giorni di festa come giorni di scuola per imparare le lezioni di quella scienza che ci è necessaria per la salute dell'anima; ricordatevi che l'amore alla parola di Dio è un segno di predestinazione: Qui ex Deo est, verba Dei audit; né alcuno si esenti, benché si creda sufficientemente istruito o s'istruisca altrimenti. Davide era istruito, pure non conobbe il suo male finché Natan gli parlò; l'eunuco di cui si parla negli Atti degli Apostoli si istruiva da sé con la lettura della S. Scrittura, con tutto ciò non ne capiva niente, finché Filippo gliela interpretò. Di questo poi, benché non se ne faccia precetto grave, pecca però gravemente chi manca di udire la parola di Dio, mentre conosce di non essere sufficientemente istruito, né s'istruisce nell'altra maniera, e può darsi il caso che pecchi uno più gravemente in non udire la parola di Dio, che nel non ascoltare la messa; pecca, inoltre, chi è abituato nel peccato, e conosce che la parola di Dio è un mezzo efficace per la sua conversione, pure non lo usa, quasi temendo di convertirsi, poiché questi trascura gravemente la sua salute, a segno che si dà comunemente per segno di riprovazione, giusta il detto del Salvatore: Propterea vos non auditis quia ex Deo non estis; all'opposto: Qui ex Deo est, verba Dei audit. Pre,2311b:T2,6 2. Erant perseverantes in comunione et fractione panis: ogni giorno s'accostavano alla Mensa Eucaristica a segno che, chi non si comunicava, era escluso dalla messa. Facciamolo noi dunque almeno alla festa, se non sacramentalmente, se non ci è permesso, almeno spiritualmente unendoci al sacerdote quando comunica, ché certe volte può essere più giovevole una comunione spirituale, ma fervente, che una sacramentale; almeno poi accostiamoci al sacramento di penitenza, se vi sentite l'anima aggravata dal peccato mortale; non sono essi per questo esposti ad attendervi i sacri ministri? Numquid resina non est in Galaad? Andate dunque ai piedi di un sacro ministro, sgravatevi subito dei pesi dei vostri peccati; siete soliti nei dì festivi andare più propri, più puliti nell'esterno, abbiate questa santa ambizione ancora per l'interno; adornate pur anche l'immagine di Dio che è l'anima, perché dovendo conversare col vostro Creatore, niente vi trovi di spiacevole e di brutto; tanto più poi che, siccome quando la colla è fresca facilmente disgiungerete i due legni congiunti, così più facilmente vi staccherete dalle male pratiche, dall'affetto alla roba etc. Altrimenti abyssus abyssum invocat; e qualora non aveste il comodo di confessarvi, chi v'impedisce di rimettervi in grazia di Dio anche con un atto di buona contrizione, pentendovi sinceramente d'aver offeso una maestà e bontà così grande, un Padre così amante, con fermo proposito di non peccare in avvenire, di troncare quell'occasione, di adoperare i mezzi opportuni, così cominciate a rimettervi in grazia di Dio, poiché è di fede che la contrizione perfetta giustifica anche prima del sacramento, e non vi rimane più allora che d'adempiere al precetto della confessione. Oh! Quanti peccati così risparmiereste e quante grazie di più vi procaccereste! Questo che il Profeta chiama sacrificium Deo spiritus contribulatus unito col sacrificio incruento dell'altare, quanto non piace a Dio, e di quante benedizioni non è Egli mai sorgente? Pre,2311b:T2,7 3. Erant perseverantes in orationibus: un altro modo di glorificare Dio si è l'invocarlo: Invoca me, et honorificabis me (Ps. 49). Questo è un nostro dovere quotidiano verso Dio, tanto più poi nel giorno di festa; per questo in tali giorni la Chiesa occupa i suoi ministri a cantare i divini uffici ai quali possiamo unirci ancora noi, accompagnando quei divini uffici, oppure occupandoci in altre preghiere, come la recitazione della corona e simili; non però macchinalmente con mille distrazioni volontarie ed anche con irriverenza, ma in omne oratione et obsecratione, dice S. Paolo, petitiones vestræ innotescant apud Deum cum gratiarum actione, cioè conviene nel tempo stesso che si recita la corona, per esempio, ora esporre mentalmente a Dio i nostri bisogni, con umiltà da povero, con fiducia da figlio, ora con richiamarsi alla mente i divini benefici e rendergliene grazia, poiché in hoc maxime, dice S. Agostino, cultus Dei constitutus est ut anima non sit ei ingrata. Qui può anche ridursi la lettura spirituale, ottimo mezzo per la santificazione della festa e delle anime nostre; voi sapete l'effetto che produsse in S. Agostino, in S. Ignazio, in S. Colombano e altri. Finalmente, le opere di misericordia corporale e spirituale sono pure eccellenti occupazioni per il giorno di festa. Pre,2311b:T2,8 Come si trasgredisce Vediamo ora come si trasgredisce questo comandamento. Pecca dunque chi lavora, e quel capo di casa che fa lavorare o permette che si lavori per tempo notabile: sappiate che oltre la trasgressione del divino precetto, vi tirate in casa mille disgrazie. Così peccano i negozianti che abitualmente, non per accidens, scelgono i giorni festivi per ordinare i loro libri, riscuotere i crediti, trattare negozi, fare contratti, visitare i loro poderi. Si tratta di udire qualche sermone, d'intervenire ai divini uffici, tosto si scusano come quelli del Vangelo: Villam emi et necesse habeo videre illam. Granché per Dio non hanno tempo costoro, per tutti gli altri affari ne avanzano! In tutto il giorno appena udranno una messa, e pensate con che impazienza e distrazioni, si meravigliano poi che loro accadano fallite, disgrazie, grandini, e simili, mentre s'immergono nei dì festivi, come negli altri, nei loro affari temporali, come se Dio non ci entrasse per niente, come se fossero a questo mondo per questo solo fine. Rogamus vos dice S. Paolo (1 Thess. 4) fratres ut quieti sitis, et vestrum negotium agatis… porro unum est necessarium… quid prodest homini si universum mundum lucretur, animæ vero suæ detrimentum patiatur? Quærite primum regnum Dei, et hæc omnia adjicientur vobis. Pre,2311b:T2,9 Chi impiegasse tutta la mattina in adornare il suo corpo, e fare pompa di vanità, oda ciò che rispose, piangendo, una volta un sant'uomo. Aveva egli visto entrare in chiesa una simile persona, e a tale vista non poté trattenersi dalle lacrime; ne fu chiesto il motivo di questo suo dirotto piangere, e rispose: Duo me moverunt: primum mulieris hujus perditio, alterum quod tantum ego diligentiæ non impendo ut Deo placeam, quam illa ut mundo, et hominibus (vid. anche vita di S. Pelagia, settembre). Più di tutti poi peccano coloro che, appunto, aspettano i giorni di festa per attendere a crapule, a giochi, a divertimenti, ed anche ai balli, spendendo così talvolta in un giorno il frutto dei loro sudori di tutta la settimana, forse ancora con far perire di necessità la famiglia; può ben dirsi di costoro che quærunt Christum in die festo ut lapident eum. Non est hoc colere (grida S. Crisostomo) festivitatem Dei sed inquinare; non si devono più chiamare tali giorni dedicati a Dio, ma bensì alle passioni, al Demonio, perché non servono che a disonorare Dio ed a separarci da Lui, e compiacere il Demonio ed unirci a lui. Perciò, dice il Signore (Amos 5): Odivi et projeci festivitates vestras et non capiam odorem cœtuum vestrorum… Solemnitates vestras odivit anima mea, et laboravi sustinens. Dispergam super vultum vestrum stercus solemnitatum vestrarum; le chiama solennità vostre, non sue, appunto perché sono ordinate per voi, non per Lui, per i vostri piaceri, non per il suo culto; solennità però che propriamente si debbono chiamare con Geremia giorni di lutto per l'anima: luctus animæ dies festus, poiché, dice S. Bonaventura, dopo aver travagliato per tutta la settimana per il corpo, giunti alla festa danno l'anima al Demonio. Pre,2312a:S Della mortificazione e della sua pratica Autografo. Appunti di varia epoca. AOMV, S. 2,11,6:312a Pre,2312a:T1 La virtù in sul principio è difficile… La virtù in sul principio è difficile, massime quando precedettero abiti viziosi contrari. Omnis quidem disciplina in præsenti quidem videtur non esse gaudii, sed mæroris (Hebr. 12). Dunque i principianti vanno molto aiutati. La virtù nella sua perfezione è pur anche difficile, perciò in tutte le arti troviamo pochi perfetti; dunque vanno anche molto aiutati. La virtù ordinaria è facile, in prova del che vediamo: 1. le difficoltà solite ad addursi; 2. le soluzioni delle medesime; 3. le ragioni dirette per provarne la facilità. Pre,2312a:T2,1 Amare le difficoltà della virtù… Amare le difficoltà della virtù stessa, innamorarsene più delle virtù stesse. Non sapendo fare altro, sapremo sempre umiliarci, ed ecco l'ottimo. Non occuparci che del presente, farne gran caso non avendo altra sollecitudine che di far nel momento presente la volontà di Dio. Non occuparsi troppo del discorso, niente poi del gusto dei sentimenti sublimi di Dio, più particolarmente l'essenziale consiste nel conoscimento pratico di sé, nella vera mortificazione, nel purificare il cuore. Dall'appetito cerca i piaceri per mezzo dei sensi (per la cognazione tra l'anima e la carne): ne segue un contagio comune che il tutto corrompe. A riguardo degli oggetti esterni conviene essere peregrino, morto, crocifisso. La luce corporale è tenebre, la ragione è tenebre, la sola fede, Gesù solo è la vera luce quæ in tenebris lucet, cui deve sacrificarsi e sensi e ragione; tutte le azioni fatte senza questa luce sono perdute. Chiedere sovente di essere uniti e animati dallo spirito di Gesù, aiutati dalla grazia di Gesù per operare azioni di Gesù, ad instar di Gesù. Lo spirito di Gesù è spirito di umiliazione, di povertà, di patimenti, e sotto un capo umile, dolce, povero, paziente non sta bene un membro collerico, superbo, attaccato alla roba, ai comodi ed ai piaceri. Pre,2312a:T2,2 Fare continua guerra alla propria volontà, al proprio gusto fin nel fare il bene; non vale presso Dio tutto ciò che non procede dal voler piacere a Dio, farne materia d'esame particolare. 1. Gustare niente per gustare il tutto. 2. Saper niente per sapere il tutto. 3. Possedere niente per possedere il tutto. 4. Essere niente per diventare il tutto. In ciascuna azione procurare di restare uniti a Dio che, quale causa prima, opera in noi; unirsi pure al fine che Egli ha nel suo operare, cioè di procurare in tutto la sua gloria, che consiste nel farsi conoscere ed amare. I mezzi sono: disprezzo del mondo, di noi e dell'orazione. Ma non possiamo riuscirvi bene, se non fissiamo sempre gli occhi sopra la vita e le azioni interne ed esterne di Gesù che deve essere per noi forma intellectus, et voluntatis nostræ. La volontà è governata dall'amore, ne prescrive però essa il genere d'amore con determinare l'intelletto ad occuparsi di tale soggetto più che di un altro, di tale motivo più che di un altro. Pre,2312a:T3,1 Mortificazione Nello stato dell'originale innocenza, in questa numerosa domestica società o in questo piccolo regno, vi regnava l'ordine, la pace, la tranquillità, la concordia. Gli appetiti, quali ben nati servi e figli, erano sommessi e docili alla volontà; soltanto modestamente l'avvisavano dei loro bisogni, nessuno ardiva sollecitare di troppo, né infingersi, né repugnare. La volontà, con la ragione al fianco, udiva tranquilla le semplici loro proposte, le ponderava per determinare ciò che più conveniva. Come gli appetiti erano soggetti al di dentro, così i bruti lo erano al di fuori, e così tutto concorreva alla comune felicità e, senza fatica e contrasto, vi regnava e si conservava l'ordine, la virtù, la felicità. Oh, se la volontà regina avesse sempre seguito il dettame della ragione suo consigliere; ma lei sconsigliata amò seguire piuttosto le lusinghe dell'insidioso serpente e, troppo invaghita di sua dignità, ambì l'universale divina scienza e, d'allora in poi, vide e sentì tutto messo in rivolta il suo regno, membra, sensi, potenze, amori, odi, appetiti d'ogni sorta, tutti inquieti, discordi, torbidi, sediziosi; prevengono essi la ragione e alla ragione insieme e alla volontà fanno frode e contrasto, chi tira di qua e chi tira di là; l'uno aspira all'un bene, l'altro all'altro; bene è per l'uno ciò che per l'altro è male; sono figli indocili, servi insolenti, sono serpi, cani, cavalli che saltano fuori dai recinti loro, e si avventano e si dibattono tanto più arditi, quanto più sono secondati, e così sono quasi sempre tra loro in guerra civile. Pre,2312a:T3,2 Non sono dunque, per loro natura e istituzione, cattivi tali appetiti, perché tendono tutti per sé a schivare qualche male contrario o procurare qualche bene; tutto il male sta nella loro ribellione cagionata dal peccato; conviene ora regolarli di nuovo, e si potrà fare questo senza pratiche confacenti? Si sono essi allora ribellati come i bruti, onde è necessario assoggettarli con la destrezza e con la forza, appunto, come si usa coi bruti che si vogliono avere sommessi e utili agli umani bisogni. Epperò il Signore intimò: Sub te erit appetitus tuus. Soggetti che siano, gli appetiti diventano tutti utili e buoni come i bruti, né solo alla terrestre natura ma conducenti alla virtù: elevabunt nos si fuerint infra nos. (S. Ag.). Così l'ambizione ci eleverà a maggior grandezza di quella del mondo, l'avarizia ci porterà ad accumulare tesori celesti, l'invidia ad emulare virtù più perfette. Se no, perfino gli appetiti migliori, se non sono domi, diventano nocivi e ripugnanti alla virtù; infatti, quale appetito più nobile e vantaggioso della scienza che conduce alla verità? Eppure riuscì così fatale al nostro primo padre; non diede cura di tenerlo soggetto; e come, senza pratiche, terremo noi soggetti i nostri appetiti ribellati, massime non avendo più sopra di essi l'impero che ne aveva Adamo? Senza pratiche, ci riesce forse tenere soggetti i cani, i cavalli, nonché i servi ed i figli? Pre,2312a:T3,3 Vano è dire: la volontà è tuttora regina, tuttora consigliera; con lei la Ragione; vada innanzi l'amore della verità a mostrare i beni veri e maggiori cui deve l'uomo aspirare. Segua l'amore dell'onestà a serbare in tutto e per tutto di beni proposti il giusto ordine, con esso viene pure la comitiva di tutte le virtù che a Dio e all'uomo si riferiscono, alla testa delle quali deve andare la discreta prudenza che a tutte assegna il tempo, il luogo, l'officio conveniente, e moderarle così che le une non offendano i diritti delle altre, né mai si devino dal retto nell'ordine o nel modo per difetto o per eccesso; ed ecco tutto riordinato il nostro regno interiore e divenuto felice. Tutto vano, perché inferma troppo e volubile e leziosa è la nostra volontà per attenersi costantemente alla verità che non di rado le spiace, e all'onestà che sovente l'annoia; oltreché è l'una in noi ingombrata da ignoranza e da errore, assiepata l'altra da fatica e da dolore, sicché alla verità sottentrano le false piacevoli opinioni, che, quali furie colle faci alla mano, accendono e commuovono vieppiù i voluttuosi appetiti, e questi, tanto più forti e scaltri diventano a sedurre la volontà; appetiti artificiosi del pari che violenti e spesso in guerra, spesso in lega tra loro i sensi del corpo, quasi servi infedeli, anzi quasi ruffiani domestici, tendono anch'essi alla seduzione coi rapporti lusinghieri delle mondane apparenze. Pre,2312a:T3,4 Alla seduzione concorrono le potenze stesse dello spirito; la memoria, imprimendo altamente e spesso richiamando gli oggetti frivoli e dilettevoli, la fantasia avvivando e atteggiando i medesimi oggetti per renderli più seducenti, anzi quale ardita giocolatrice, fingendone ancora dei nuovi e dipingendoli con sì vivi colori, come se fossero presenti; concorre l'intelligenza stessa raffinando i piaceri offerti e suggerendo i modi e i mezzi per ottenerli, e trasformando eziandio il male in bene. Così non già le virtù vincitrici degli appetiti, ma questi vincitori gli uni degli altri e di essi preda e ludibrio l'illusa volontà che da uno in altro vizio è circondata. Accecato anch'egli, il predominante amor proprio diviene micidiale e, mentre che già focoso corre dietro ad una felicità immaginaria, va incontro alla reale miseria. La Ragione geme invano e reclama, giacché tale amor infatuato dei suoi mali s'applaude come di grandi beni; e voglia Dio che infine non s'acciechi anch'ella e si perverta, e di consigliatrice fedele non diventi vilissima adulatrice; né ciò è difficile in uno stato come il nostro di ignoranza e d'errore e, se la ragione stessa è pervertita, chi può spiegare lo sconcerto di tutto il regno e la viziosità e la miseria? Pre,2312a:T3,5 Perfino Cicerone, fra gli altri gentili, nell'Ortensio conobbe la visibile somiglianza tra bruti ed i nostri appetiti, e riconobbe parimenti per gli uni e gli altri la necessità delle pratiche congruenti; perciò ci mette davanti l'esempio dei domatori di cavalli che non solo usano la scuola, la briglia e la sferza, ma la sottrazione anche del cibo, affinché con la fame sia debilitata dei puledri l'eccessiva vivacità e gagliardia; ut fame debilitetur equuleorum nimis effrenata vis; e quanto maggiori le pratiche verso i cavalli che si dispongono a certami e alla guerra! E sì che qui non sono ancora annoverati gli altri seduttori invisibili, che ci stanno continuamente d'attorno, artefici di tutte le frodi e malizie, e sempre d'accordo cogli appetiti disordinati, cioè degli Angioli invidiosi e maligni che riuscirono già tanto funesti alla stessa più illuminata e più vigorosa originale innocenza. E fra tanti seduttori e nemici, tra tanti agguati e assalti, si lusinga alcuno d'andare sicuro senza pratiche di pietà? Egli è pur necessario prevenire gli inganni, ovviare alle trame, rintuzzare la forza nemica, avvalorare la propria virtù, eccitare la vigilanza, procacciare i soccorsi, e là volgere le difese, onde sono da temere le offese. E a tutto ciò sono appunto ordinate le pratiche di pietà dalla Chiesa approvate, le quali perciò diventano opportune, utili, necessarie. Pre,2312a:T4,1 Lo spirito e il corpo, due nemici… Lo spirito e il corpo, due nemici di cui dobbiamo sempre diffidare: lo spirito che partecipa della natura, malizia, malignità del Demonio; il corpo che partecipa di tutti i vizi degli animali. Pre,2312a:T4,2 Regno dell'anima 1. Regina la volontà, la quale viene governata dal suo amore, il quale la rende quale è esso, buono e attivo. 2. Il consiglio di stato dovrebbe essere la ragione e la fede per far abbracciare la verità e l'onestà. 3. I ministri di stato sono: – l'intelligenza per apprendere – la memoria per conservare – la fantasia ossia immaginazione per avvivare: chi invigila per provvedere e promuovere il bene di tutto l'uomo, cioè dell'anima e del corpo, per procacciarsi cioè il bene del comune dell'uomo. 4. Governatori ossia generali: l'amor proprio ragionevole, sensibile, irascibile, concupiscibile con i due colonnelli maggiori della Piazza. 5. Procuratori e soldati: gli appetiti, ossia le passioni subalterni dell'irascibile concupiscenza. 6. Spie: i 5 sensi. 7. Esecutori: le membra. 8. Oggetti di ogni questione o affare: Dio, beni dello spirito, beni del corpo. Pre,2312a:T5,1 Regno interno dell'uomo *1 1. Regina: la volontà 2. Consiglieri: la ragione, la fede, l'amor proprio 3. Ministri: le potenze: – Intelligenza, per apprendere ogni utile verità. – Memoria, per tenerne fedele conserva. – Fantasia, per avvivarla con le sue immagini. 4. Chi invigila coi due maggiori della piazza, o generale coi due capitani. 5. Governatore o quasi arbitro: l'amor proprio, l'irascibile, contro i mali avversione, odio; il concupiscibile verso i beni del corpo e dello spirito, che si divide in tanti appetiti quanti sono i beni. 6. Subalterni dell'irascibile e del concupiscibile. 7. Procuratori o soldati: gli appetiti. 8. Esploratori e messaggeri delle cose corporee ed esterne: i sensi. Esecutori dei convenevoli provvedimenti: i membri. Beni e mali del corpo e dello spirito sopra i quali si aggirano gli appetiti. 9. Beni dello spirito: l'amor per i quali si combatte o si litiga: del vero, dell'onesto per salire ad ogni virtù, della scienza, della dignità e potenza, dell'eccellenza, credito, onor, gloria. (a) Desiderio ed attività, timore e cautela, e compassione ad aiutare, ira a difesa. 10. Beni del corpo sono l'amor della sanità, della bellezza, dell'agilità, della forza, della pompa, dei piaceri, delle ricchezze, d'ogni altro sensibile bene. Pre,2312a:T5,2 La regina: la volontà. I consiglieri: la ragione, la fede, la sinderesi, la coscienza. I ministri: l'intelletto, la memoria, la fantasia. Gli oggetti da deliberare sono i beni veri o falsi dello spirito e del corpo. Il governatore è l'amor proprio, ossia appetito intellettivo e sensitivo. Sensualità e desideri. I comandanti della piazza: l'irascibile e il concupiscibile. I procuratori o soldati: gli appetiti. Gli esploratori: i sensi. Gli esecutori: i membri. Pre,2312a:T6 Mortificazione 1. Senza essa Dio non è glorificato, poiché senza essa non assomigliamo a Gesù Cristo solo esemplare per glorificare Dio. 2. Senza essa la nostra anima non s'unisce con Dio, poiché Dio si unisce per via della fede; la fede è contraria ai sensi; animalis homo non percipit quæ spiritus sunt. 3. Senza essa non si fruttifica nella vigna del Signore. Signa apostolatus in omni patientia. Exhibeamus nosmetipsos sicut Dei ministros in multa patientia, in tribulationibus etc. (2 Cor. 6, 4). La risoluzione sarà: Totus labor mihi, tota utilitas proximo, tota gloria Deo. N.b. che per paura d'incomodarsi o d'essere contrariato o d'essere sprezzato: non solo Dio non si glorifica, ma si offende. Non solo l'anima si rallenta nell'unione con Dio, ma perde tanti lumi, tante grazie, tanta gloria, ma di più diventa difforme et opus qualecumque fuerit ignis purgabit. Non solo non si guadagnano anime a Dio, ma se ne perdono: Rape ad eum quos potes, si enim potes, et non rapis tot cælo perdis quot Christo lucrari poteras. Proponimento: nel passare da un'azione all'altra si esaminerà se ho avuto la viltà di contrariare la grazia per secondare la natura guasta; se ho abbandonato o sprezzato i lumi della fede per seguire le massime del mondo, della carne, del Demonio: mi ricordo che il mio corpo e il mio spirito sono due nemici che devo sempre avere in sospetto, e dei quali non mi devo mai fidare, che facilmente fanno sottentrare in tutto le loro prave inclinazioni a pregiudizio della gloria di Dio, dell'anima mia e del prossimo; godere di avere occasioni per [contrariarli o avvilirli]. Pre,2312a:T7,1 Gladium evaginaverunt peccatores, intenderunt arcum suum (Ps. 36). Habitatio tua in medio doli (Hier. 9). Ne ponas animæ tuæ scandalum, et a filiis tuis cave, et a domesticis tuis attende, in omni opere suo crede ex fide animæ tuæ (Eccli. 32). Ut pisces capiuntur hamo sic homines in tempore malo (Eccle. 9). Velut si avis festinet ad laqueum et nescit quod de periculo animæ illius agitur (Prov. 7). Nonne anima plus est quam esca? Noli propter escam destruere opus Dei (Rom. 14). Nolite communicare operibus infructuosis tenebrarum, magis autem redarguite (Eph. 5). Accipite armaturam Dei ut possitis resistere in tempore malo (Eph. 6). Hæc est victoria quæ vincit mundum, fides nostra – nemo vos seducat inanibus verbis (Eph. 5). Invocavi Dominum et exaudita est oratio mea, liberasti me de perditione et eripuisti me de tempore malo (Eccli. 51). Pre,2312a:T7,2 Diotallevi, Opere Bovio, Teatro morale Buseo Binetti Siniscalchi, Opere Rossignoli, Opere Pre,2312a:T8,1 Praxis de Mortificatione 1. Corpus præcise necessaria tribuendo in victu, vestitu et aliis. Superflua denegando. Cohibendo discretis afflictionibus. 2. Sensus externi necessaria solum percipiant. Noxia fugiant. A multis licitis abstineant propter amorem Dei. 3. Sensus interni nil evolvant indecens, otiosum, superfluum: sed tantum subserviant necessitati hujus vitæ, aut orationi. N.B. Homines intuentur quæ exterius parent, Deus autem intuetur cor; et si exterius decenter, nos habemus quia homines nos vident, quanto æquius est, ut interius decentia sint omnia, ut puri, et a superfluis cogitationibus liberi Deo appareamus. 4. Affectus sunt undecim, quæ passiones vocantur: amor et odium, desiderium et fuga, delectatio et tristitia, spes et desperatio, timor et audacia, ira. Omnes cohibendæ ita ut neque in vetita ferantur, neque immoderate quid amplectantur vel rejiciant. N.B. Sunt immanes beluæ, venti procellosi, equi refractarii. 5. Memoria est armarium in quo sunt similitudines rerum inanium, superfluarum, indecentium, quæ sollicitant intellectum ad inspiciendum, voluntatem ad diligendum eas. Memoria mortificatur si assidua cura cum indignatione similitudines istas retentas abjicias, et oblivione delere satagas: si alias per sensus ruentes non admittas, sed contemnas: si rerum sanctarum species haurire, et conservare concupiscas, sanctis cogitationibus maxime insistendo. Pre,2312a:T8,2 6. Intellectus vitia. Ignorantia eorum quæ scire debeo; imprudentia seu inconsideratio in his quæ præstare teneor; mutabilitas sine causa in suscepto salutari consilio; pertinacia qua sensum meum majoribus subjicere nolo; temeritas, qua aliorum dicta, facta, cogitata, insipienter judico; prudentia carnis, qua media ad fines distortos assequendo invenio, curiositas, qua ad me non pertinentia recogito. N.B. Hæc omnia mortificanda, quia intellectus est dux voluntatis, et sacrificium intellectus est de optimis. 7. Voluntas abneganda est quatenus propria est, non Deo et proximis communis. Voluntas propria est inimica omnis legis humanæ, et divinæ: hostis obœdientiæ, interemptrix intentionis rectæ, mater omnium peccatorum. Voluntas propria abnegatur si lumini rationis, et legis, et spiritus, eam subjectam esse curem; si freno divini timoris, et calcaribus amoris Dei ad bonum constrinxero; si ab apparentia malorum et vetitorum avertero. Pro mortificatione interna: sustine quæcumque nolenti accidunt, quæcumque volens mala tibi infers sive quoad corpus, propriam voluntatem, proprium judicium; abstine ab omnibus, quæ natura præter necessitatem appetit circa alimenta, somnum, diversiones. Pro mortificatione externa: circa cupiditatem, fuge occasionem, muta objectum, age contrarium; nihil cupe, nisi quod æternum est; circa iram, tace dissimulando, muta objectum, age contrarium, nempe tibi ipse irascere; circa timorem, quiesce, cordi quietem impera; muta objectum, Deum time; age contrarium per actum heroicæ audaciæ; nil time ni quod æternum est. Vince teipsum in omnibus. Sperne mundum, sperne teipsum, sperne nullum, sperne sperni. Sic S. Philippus Nerius. Pre,2312a:T9 Principium Hominis Triplex humilitas: entitatis, hanc quælibet res creata habet (velit – nolit) cognitionis, propria entis rationalis quæ est necessaria sed non sufficiens; demones enim hanc etiam habent; nempe cognoscens se qui ad corpus et anima voluntatis seu affectionis, qua homo fatetur, vult, gaudet æstimari uti est in se juxta justitiam; hæc posterior solum virtus est: est actus justitiæ sua cuique tribuens; est virtus qua homo sibi ipsi vilescit. Examina an sis humilis solum ore vel etiam corde. Adjumenta sunt: oratio, frequens consideratio motivorum (1), assidua frequentatio actuum (2), examen. Ergo, si virtutem humilitatis appetis viam non refugias humiliationis. Gradus sunt: 1. de seipso abjecte sentire, loqui, se habere; 2. idem ab aliis patienti silentio ferre; 3. imo ut fiat optare et quærere; 4. si fit gaudere et gratias Deo reddere. Quidquid minus est fervoris humilitas suppleat confessionis. (1) Considera quod nihilo quale tu es, tibi es inutilissimus et nullus honor debetur sed contemptum saltem non ægre feras, quia peccatori qualis ex te fuisti, es, eris, pestis ei et contemptus debetur. Numquid sibi complacere de talentis: quid gloriaris quasi non acceperis; de rebus gestis: separa pretiosum a vili, es parvulus de patre regio et de matre rustica. Iste appetitus inordinatus excellentiæ oritur vel ex objecto cum æstimationem appetivi ex bonis quæ aut nulla sunt, aut in nobis non sunt; vel oritur ex fine cum cupimus aut cum gaudemus æstimari propter nos. (2) Exerce humilitatem opere erga: Deum per summam reverentiam qua decet sacrificare et orare; erga seipsum per invictam patientiam; erga proximum pone te in novissimo loco sincere et sine affectatione. Pre,2312a:T10,1 Homo sibi hostis et pestis Homo potest extra se omnia alia creata bona, mala sibi reddere omnem creaturam rebellem et muscipulam. Potest sibi facere omnem potestatem, omnes leges, omne jus et fas, omnem rationem et omnem magistratum sibi infensum et infestum. Potest sibi demones ex hostibus dominos, possessores, tyrannos, carnifices. Potest sibi reddere Angelos ex amicis et fautoribus, hostes et inimicos, persecutores rigidos et horribiles, arcentes se ab ingressu Paradisi. Potest reddere Deum omne bonum sibi, omne malum et cujus natura bonitas sibi hostem iratum, vindicem et auctorem omnis mali et pœnæ. Potest avertere in Deo omnem naturam, voluntatem, consuetudinem, providentiam cogens illum omnia mala sibi immittere et suppliciis occupari. Potest Jesum Christum fructum Passionis annihilare, rursum crucifigere et sanguinem conculcare, sacramenta ab ipso instituta profanare, abuti. Potest Spiritus Sancti inspirationes respuere et gratias rejicere. Pre,2312a:T10,2 Homo facere potest sibi: – intellectum suum cæcum, ignorantem, erroneum; – voluntatem suam in malum pronam et obstinatam; – sensualitatem sibi rebellem, inceptorem omnis turpitudinis; – conscientiam suam viperam, canem rabidum. Homo nullius boni causa nec est, nec esse potest. Contra omnis mali sibi causa et origo esse potest et hoc quasi coactus et invitus ex necessitate naturæ ita ut aliter per se esse non possit, quod reddit hominem sibi ipsi maxime odiosum, quia invenit se sibi ita malum ex natura sua. Sed quod reddit hominem sibi ipsi magis magisque odiosum est quod non solum coacte, sed sponte et voluntarie, omne malum ex se ipso conferre potest, volens et sciens omnis mali quantumvis enormis sibi causa esse potest et solet; nisi alieno fulciatur auxilio; imo ita ut sicut nullum bonum habet ex se sed ab alio, ita malum omne habet, et est, ex seipso, nullum ab alio. Potest impedire et excludere in se ipso omnem concursum Dei naturalem et supernaturalem in esse et operari. Pre,2312a:T10,3 Hinc potest facere se infirmum ad omne opus bonum, invalidum ad omnem parvam et magnam tentationem vincendam; potest facere se sibi materiam tentationis, imo tentationem ipsam. Potest reddere in se rebellem voluntatem, carnem, sensus, passiones et ita ut confringere possit omnes cancellos pudoris, justitiæ, obœdientiæ, gratitudinis: committere omnem iniquitatem, superare omnes iniquos demones. Potest augere concupiscibilem et irascibilem quasi in infinitum, magis magisque excæcare intellectum, et ita disrumpere omne vinculum quo creatura Deo obligatur. Potest facere se difficilem ad omnem virtutem et honestatem; potest facere se hostem omnis rectitudinis, virtutis, honestatis et veritatis; potest facere se obnoxium omnis pœnæ temporalis et æternæ; potest facere se gloriæ æternæ ineptum, indignum, incapacem et quidem incapacitate æterna; potest facere se subjectum æternum iræ divinæ et pabulum æternum incendiorum infernalium. Potest se expoliare omni bono naturali et supernaturali; potest in se fœdare imaginem Dei; respuere merita et gratiam Jesu Christi; conculcare dona Dei, fructus Passionis Christi; potest resistere voluntati Dei; potest separare se a Deo; potest apostatare a Christo ad Antichristum; potest prostituere se Diabolo; potest committere quamcumque iniquitatem erga Deum et proximum; potest separare se a communione Christi et Ecclesiæ. Pre,2312a:*1 Questi due testi dovevano trovarsi nel foglio originale n. 169, ora smarrito. Trascrizione fatta dall'edizione Manoscritti del fondatore Pio Bruno Lanteri, vol. 11, p. 140-141. Pre,2312b:S L'arte di conoscere se stesso e gli altri per la loro direzione Autografo Lanteri in schemi con graffe. AOMV, S. 2,11,6:312b Pre,2312b:T0,1 De cognitione sui vel de mortificatione interna Diminutio cupiditatis augmentum caritatis – perfecta caritas nulla cupiditas (S. Aug.). Tutti i peccati si commettono o per fuggire qualche molestia o per conseguire qualche diletto. Quanto la natura è avida del dolce che procurano i sensi, altrettanto la grazia ne è schiva. Pre,2312b:T0,2 L'arte di conoscere se stesso o gli altri per la loro direzione L'arte di conoscere se stesso consiste nel conoscere le buone o le cattive disposizioni del cuore, cioè ciò che abbiamo di bene o di male, ossia il nostro forte o il nostro debole. L'arte e i mezzi di conoscere se stesso consiste nel notare i principi che ci fanno agire, nel 1o capo; gli atti che nascono da questi principi, nel 2o capo. Pre,2312b:T1 Capo I – Dei principi che fanno agire I principi che ci fanno agire sono tre: in noi: l'inclinazione naturale e acquistata, nel paragr. 1o fuori di noi: l'attrait della grazia, nel paragr. 2o la tentazione del Demonio nel paragr. 3o. Pre,2312b:T1,1 1o – Delle inclinazioni naturali L'inclinazione del cuore è una disposizione ad amare o ad odiare una cosa appena che ci si pensa o si presenta allo spirito senza rifletterci. Le inclinazioni derivano dal temperamento, nascita, educazione, condizione di ricco o povero, professione o stato, e anche dalla nazione; qui non si tratta che di quelle che nascono dal temperamento. Le inclinazioni provenienti dal temperamento riguardano se stesso (nel n. 1), Dio (nel n. 3), il prossimo (nel n. 2). Pre,2312b:T1,1,1 1. Le inclinazioni riguardanti se stesso sono 4: – la tenerezza o sensibilità su se stesso che ci fa cercare il riposo e temere la menoma pena; – l'amore del piacere sensibile e di tutto ciò che stuzzica i sensi: il gioco, le risa, la conversazione, i divertimenti; – la vanità, orgoglio, ambizione e amore alla propria eccellenza, inclinazione all'onore, stima, gloria; – lo spirito interessato, limitato a se stesso e occupato di se stesso, che cerca in tutto il suo vantaggio. Pre,2312b:T1,1,2 2. Le inclinazioni naturali riguardanti il prossimo sono 4: – essere indifferente e freddo, non amare, non odiare alcuno; – amare di vederci contraffare il prossimo non per fargli pena, ma per divertirsi; – essere fiero, impetuoso, cercare di dominare e importarla sugli altri ciò che ci rende bruschi, arditi, temerari; – avere un fondo di malizia o malignità che ci rende sospettosi, invidiosi, portati a fare del male, perfidi, traditori, bugiardi. Pre,2312b:T1,1,3 3. Le inclinazioni o disposizioni verso Dio sono 4: – la diffidenza o timidità d'onde nasce la tiepidezza, l'avvilimento; – la riserva che cerca d'accomodare la devozione con le passioni donde viene il difetto di sincerità, le déguisement; – la presunzione credendo di aver fatto molto di darsi a Dio; portandosi a Dio come di suo proprio moto e appoggiandoci sulle proprie forze; – l'attività e premura che rende la devozione outrée e il fervore indiscreto. N.B. La caduta nel peccato serve molto a conoscere queste disposizioni perché: il pigro e indifferente si scoraggia subito, e crede di essere ributtato da Dio; l'inclinato ai piaceri si consola facilmente con la speranza del perdono che si promette senza pena; l'altero e presuntuoso ha un dolore di dispetto e di collera, se la prenderebbe contro Dio stesso; l'interessato ha un dolore pieno di chagrin ed amarezza che gli serra il cuore, lo rende triste, sombre, rêveur. Pre,2312b:T1,2,1 2o – De l'attrait de la grâce L'attrait della grazia è un lume affettuoso che ci mostra il bene e ce lo fa amare; è una voce del Signore per cui si fa sentire e, se non si segue, uno si allontana dal suo sentiero. I movimenti della grazia si conoscono: – nel principio della conversione, ed è quel germe di vita e impressione della grazia che contiene in piccolo tutta la perfezione che si sviluppa a misura che uno gli è fedele; è insomma quel motivo predominante che ci ha indotti a darci a Dio; – dalle disposizioni naturali, perché la grazia travaglia sulla natura, ambedue s'accordano perché ambedue provenienti dallo Spirito Santo; – dai ritorni frequenti e ripetuti, perché siccome tutti i buoni sentimenti vengono dallo Spirito Santo, quando questi si presentano, sovente gli stessi, è segno che è lo Spirito Santo che ci vuole condurre. Pre,2312b:T1,2,2 Si distinguono: – dall'oggetto a cui ci portano per l'esercizio e pratica di diverse virtù, per esempio alla penitenza, umiltà, mortificazione, contemplazione, vita attiva; o per affetto e orazione verso diversi soggetti, per esempio alla Stalla, al Calvario, al Sepolcro, alla vita attiva, alla vita contemplativa; – dal modo con cui ci tirano ed è secondo i doni dello Spirito Santo 1. relativi all'intelletto e sono: l'intelligenza, la sapienza, la scienza, il consiglio. Questi vedono più distintamente e gli oggetti hanno maggiori lumi. 2. Relativi alla volontà, come: la pietà e la tenerezza faceva vedere il dolce e l'amabile; il timore dando idee di giustizia; la fedeltà ai doveri con idee di obbligazioni; la fortezza e generosità scoprendo l'eccellenza e grandezza nella virtù. Questi vedono gli oggetti più confusamente, hanno meno lumi e più istinti. Quando si provano conviene secondarli, svilupparli, ruminarli. Pre,2312b:T1,3 3o – Delle tentazioni del Demonio La tentazione è un movimento che ci porta al male o ci distorna dal bene. Il Demonio attacca l'uomo nel suo debole, sia dello spirito per mezzo degli errori, delle false massime che vi trova, sia della volontà trovandoci ripugnanza al bene, inclinazione al male. Il modo con cui attacca l'uomo, sia scaltramente, con inganno, proponendo il male sotto apparenza di bene; o apertamente, proponendo il male, solo perché lusinga la passione. Le tentazioni ordinarie sono tre per l'uomo spirituale: – sensualità e piacere; – inclinazione, negligenza, disapplicazione; – perplessità e inquietudine (vedi meditazione dei due stendardi e le regole per discernere gli spiriti, le prime e le seconde di S. Ignazio). La tentazioni straordinarie sono: la disperazione, l'odio di Dio, la bestemmia. Pre,2312b:T2 Capo II – Degli atti che nascono dai principi Gli atti che nascono da questi principi sono 4: – gli affetti del cuore – le distrazioni dello spirito – le parole interne che, nel conflitto della natura e grazia, ci determinano al bene e al male – i dubbi Pre,2312b:T2,1,1 1o – Degli affetti del cuore Gli affetti del cuore si distinguono per parte: della volontà: altri sono volontari con deliberazione ricevuti; altri sono involontari, detti primi moti, che sono in noi senza noi, prevengono la ragione, crescono senza procurarli o fomentarli; del principio: donde nascono: altri sono naturali venienti dall'inclinazione naturale o dal fondo del temperamento e fanno che il cuore s'attacchi all'oggetto e lo abbandoni di mal grado; ci pensa sovente quando è in libertà, anche senza occasioni. Altri sono fortuiti, che vengono solo all'occasione dell'oggetto, onde uno può andare in collera più del collerico per averne più occasione; dell'oggetto: il che meglio serve per conoscere le disposizioni del cuore e sono 4: due verso il bene: il desiderio e l'allegria; due verso il male: il timore e la tristezza. Pre,2312b:T2,1,2 Gli affetti si conoscono dalle disposizioni in cui si trova il cuore che necessariamente si trova o nella calma e pace, pronto a fare ugualmente tutto ciò che Dio vuole; o nell'agitazione e turbazione che necessariamente proviene o: – dalla dissipazione che viene sempre da qualche allegria, e allora conviene dirsi: io godo, ma di che? – dalla sollecitudine che viene da qualche desiderio, e conviene dirsi: cos'è che desidero? – dall'inquietudine proveniente da timore: di che cosa temo? – da languore, abbattimento o pesantore alla azione; allora conviene dirsi: ho qualche pena: è ella del corpo o dello spirito? Pre,2312b:T2,1,3 Gli affetti poi si manifestano nelle occasioni (a), nei primi moti (b), in tre tempi (c). a) Le occasioni in cui si conoscono più facilmente questi affetti, principalmente sono: il giuoco, la conversazione, la tavola, il viaggio. b) I primi moti pure molto servono a conoscere questi affetti, indicando non solo l'inclinazione, ma ancora l'oggetto per la conformazione dell'oggetto colla volontà, e per l'inclinazione della volontà verso l'oggetto. c) I tempi in cui si manifestano gli affetti più grandi sono: – allo svegliarsi, poiché subito si pensa a ciò che più si ama, onde questo tempo va bene esaminato; – nel trattenimento nostro, cioè: per ciò che si passa fra il giorno o nei pensieri o nelle parole, perché quello di cui si parla più sovente e più volentieri è ciò che più si ama, e così si scoprono le passioni senza pensarci; lo stesso si dica di ciò che viene più sovente alla mente non con l'occasione dell'oggetto, ma per pura inclinazione: Ubi enim thesaurus vester est, erit ibi et cor vestrum. N.B. Si crede che questi oggetti di affezione siano senza numero, e in pratica sono pochi, cioè due o tre che fanno tutta l'occupazione del cuore; perciò conosciuti, se si sanno regolare, tutto il cuore è interamente regolato. Pre,2312b:T2,2 2o – Delle distrazioni La distrazione è un pensiero che ci viene negli Esercizi spirituali, fuori del soggetto che uno si è proposto e che impedisce di farli bene. Le distrazioni di leggerezza sono sopra cose indifferenti, e il cuore non vi prende parte. Le distrazioni sono di tre sorta, cioè: leggerezza (n. 1), passione (n. 2), prova (n. 3). Pre,2312b:T2,2,1 1. Distrazioni di leggerezza: provengono o – da immaginazione viva che troppo si pascola e non si reprime; – da naturale leggero che non si fissa, ossia l'amore al tumulto e alla leggerezza; – dal sopraccaricarsi di occupazioni inutili; – dal darsi troppo alle proprie ocupazioni e non prestarvisi soltanto come si conviene. Quando si provano nell'orazione è segno o che è male preparata o il soggetto non è adattato o il cuore non è affezionato all'orazione. I rimedi sono: – esaminare se provengono da difetto di applicazione o da dissipazione (come quando si prova che in tempo di Esercizi le cose vanno meglio) e allora procurare quella disposizione o preparazione che si è negligentata; – applicarsi tanto più alla pratica delle virtù sode quando non si è capaci le lunghe e vive meditazioni; dire a se stesso: se avessi fatta bene l'orazione, quale sarebbe il frutto pratico che avrei ricavato? Questo voglio eseguire oggi; – frequentare le giaculatorie, fissando i richiami, profittare delle attrattive passeggere: sono lampi di luce; se si seguono può equivalere a una buona meditazione; – rileggere trattati di orazione, e particolarmente il metodo di S. Ignazio ed i suoi tre modi di orare. Pre,2312b:T2,2,2 2. Le distrazioni di passione hanno per principio un affetto sregolato su qualche oggetto fisso che gli piace o dispiace, e per questo l'interessa e l'occupa; con queste è impossibile conservare il raccoglimento e la tranquillità necessaria per sentire la voce del Signore e parlargli, perché “ubi thesaurus ibi et cor”. I rimedi sono: – la mortificazione seria; conviene senza riserve combattere, dominare, sacrificare, sradicare; – farne soggetto di meditazione seria, finché si sente la passione affatto indebolita per potere acquistare nuovamente la libertà e conservarla ritrovata; – quando insorgono in casi impensati a turbare la pace, non aspettare l'ora della meditazione, ma subito riflettervi seriamente sopra e pregare finché uno si sente disposto a sacrificare pienamente a Dio tutta la sua opera, altrimenti non si può più fare niente di buono. Pre,2312b:T2,2,3 3. Le distrazioni di prova sono rare e comunemente sono quelle che Dio permette per speciale bontà e provvidenza, e per loro bene e degli altri, alle persone avanzate nella virtù, poiché esse non impediscono punto il loro avanzamento nell'unione con Dio. I rimedi sono: – consigliarsi, rassegnarsi, soffrirle con pace senza scoraggiamento; – non trascurare punto l'orazione, imitare Gesù Cristo nell'orto; – non cangiare in tale tempo le risoluzioni prese. Pre,2312b:T2,3 4o – Dei dubbi sulla pratica I dubbi di questa sorte sono viste indeterminate dello spirito su ciò che deve fare; cerca e non lo trova, e si raggirano ordinariamente sulla perfezione, per esempio se è meglio in tale incontro parlare o tacere; se vi è più mortificazione in una cosa o nell'altra; se bisogna prendersi quel comodo o no, etc. Giovano a conoscere se stessi perché se vi sono, servono a conoscere le disposizioni del cuore, perché sempre si dubita secondo esse e perché, se vi sono, è segno che uno non si è proposto il più perfetto, e che si decide facilmente secondo l'amor proprio. Pre,2312b:T2,4,1 3o – Delle parole interne che determinano all'azione, cioè il conoscere il “perché” che ci fa agire Questa è una parola interiore che decide l'anima in un combattimento tra la natura e la grazia sopra un dubbio che si presenta a risolversi, e seguire piuttosto il bene o il male, poiché sempre che conviene moderare un'inclinazione o vincere una ripugnanza, la natura e la grazia apportano le loro ragioni, e la volontà dopo aver combattuto si rende all'un o all'altro partito per quel motivo che l'affetta di più; e questo motivo che decide dell'affare consiste in un giudizio tacito, in un perché che può chiamarsi: le dernier mot, le mot décisif, qui détermine l'action. Queste parole interne visive sogliono essere per il male e per il bene: Per il male: Nei grandi peccati: – non posso resistere, la tentazione è troppo forte – per questa volta; poi mi confesserò – conviene che mi levi una volta la voglia – bisognerebbe essere troppo buono per lasciar fuggire l'occasione così bella – dannato o no, voglio soddisfarmi – chissà se vi sarà poi l'Inferno? Nei peccati veniali o negligenze: – non è poi gran cosa; questo non è l'essenziale – farò meglio un'altra volta, lo riparerò – non c'è l'uso, gli altri fanno eziandio così, non sono impeccabile – Dio voglia che non faccia peggio. Nelle ricerche d'amor proprio: – ne ho bisogno, non sono di ferro – conviene prendersi qualche piacere, l'arco sempre teso si rompe – Dio non domanda tanto, non bisogna essere tanto minuto. Nelle parole di collera: – è poi troppo, egli ha torto, conviene insegnargli a vivere – conviene correggerlo, sarà più saggio, altrimenti sempre s'incomincia Per il bene: Per i principianti: – bisogna assuefarsi, più si deferisce più si pena – si guadagna più a vincersi subito, il Paradiso paga tutto – sarò contento di averlo fatto, non me ne pentirò. Per i provetti: – Conviene farlo, è mio dovere, costi quanto vuole – l'amore di Dio lo vuole, così piace a Dio – sono troppo felice di poter dare a Dio questa prova d'amore – ho fatto almeno qualche cosa per Dio e posso dire che mi costa – certo che il Demonio non la vincerà. Pre,2312b:T2,4,2 Vantaggi dell'esame di queste parole interne decisive: Conoscere l'attrattiva della grazia e il vizio predominante, perché la preferenza d'un motivo e di un oggetto è segno che l'anima lo ama di preferenza ed è dominata dal medesimo; vedere a qual grado di vizio, perché tale parola può essere di debolezza, malizia o abitudine formata; vedere a quale grado della virtù, perché tale parola può essere propria d'un principiante o di un provetto; convincersi che c'è meno da fare di quel che si pensa per correggerci dai suoi difetti, poiché queste parole che ci fanno cadere, si troveranno facilmente tutte, e si vedrà che si riducono a tre o quattro che decidono di tutto; osservare che non ci vuole poi tanto discorso per toccare il cuore dell'uomo, poiché una parola basta per farlo agire, ed è per questo verso che Dio lo prende. Arbor bona bonos fructus facit; arbor mala malos fructus facit. Travagliare a studiare, a fissare un perché solo e generale che influisca in tutte le azioni, per esempio, la volontà di Dio, l'amor di Dio. Pre,2313a:S Istruzione: Della carità verso il prossimo Appunti di mano Lanteri per una istruzione. Manca l'inizio del testo. AOMV, S. 2,11,7:313a Pre,2313a:T1 Della carità verso il prossimo Pre,2313a:T1 [Punto 1] […] Travagliare a rispettare non solo la persona del Re, ma anche la sua immagine; a questa s'assegna il luogo più distinto ed onorifico, a questa gli si fanno profondi inchini quasi come al Re medesimo, e se alcuno disprezza e maltratta questa immagine, è ugualmente tenuto reo di Lesa Maestà, perché sia gli omaggi sia i disprezzi sono creduti di andare a terminare nella persona del Re; e ciò che si dice del rispetto che dobbiamo alle immagini di persone molto rispettabili, dobbiamo dirlo dell'amore alle immagini di chi noi molto amiamo. Ognuno sa quanto ci è caro il ritratto di quell'amico con cui noi abbiamo che un solo cuore, che una sola anima; come lo custodiamo, lo onoriamo, lo rimiriamo con compiacenza; la vista solo dello stesso ci consola della sua assenza; la dolce memoria del caro amico ci eccita, ci risveglia nel cuore sentimenti di tenerezza, d'affetto, di riconoscenza; ci pare di vederlo nel ritratto medesimo di modo che col ritratto tante volte parliamo, sfoghiamo il nostro cuore come con l'amico medesimo. Pre,2313a:T2 E solamente con l'immagine di Dio, con l'immagine la più perfetta, la più espressiva di Dio saremo dispensati dal doverle prestare quelle marche di sommo rispetto e di sommo amore che dobbiamo a Dio medesimo? Reputerà come fatto alla sua Divina Maestà, siccome le testimonianze di rispetto e d'amore, così gli atti di disprezzo e di malevolenza fatti al nostro prossimo, viva immagine di se medesimo? Ma, dirà taluno, se questo prova, proverebbe troppo, poiché proverebbe che dovremmo venerare il prossimo con quel culto di latria che prestiamo alle immagini di Dio sugli altari, il che è falso. A ciò risponde S. Tommaso concedendo verissima essere la conseguenza da se stessa, ma ciò non permettersi per giusto motivo, cioè perché nella venerazione delle immagini ognuno sa che si venerano non per se stesse, ma per quello che rappresentano, e che tutto il culto va a terminarsi solo in Dio, né v'è facilmente luogo a idolatria, che all'opposto se dovessimo prestare all'uomo simile culto, facile cosa sarebbe, massime per i semplici e indotti, che nell'uomo e non in Dio facessero terminare i loro atti di adorazione e di proteste d'amore. Pre,2313a:T3 Neppure mi state a dire che voi nell'uomo, massime in alcuni, non ci scorgete quasi alcun delineamento di Dio, mentre non trovate altro che o cattiva qualità nel corpo, o difetti e vizi nello spirito che lungi dal portarvi a riconoscere in loro l'immagine di Dio, vi trovate tutto il rovescio: quindi non senza ragione vi ributtano e vi svegliano antipatie ed avversione; quindi non siete colpevoli d'aver fatto poca stima dell'immagine di Dio. Al che io rispondo: siccome il vero amante, al vedere il ritratto dell'oggetto amato, non sa arrestarsi a considerare la materia o gli ornamenti del quadro, ma gli basta che, in qualunque modo, gli rappresenti l'oggetto del suo cuore, per spegnergli nel cuore ogni sentimento di disprezzo, anzi basta perché subito ne abbia tutto il riguardo; così uno che veramente ami Dio, ama gli uomini senza aver riguardo alcuno né ai talenti né ai difetti: gli basta la fede che gli insegna essere questi l'immagine di Dio che egli fermamente crede, e prescindendo da ogni altro riflesso dai sensi propostogli in contrario, li ama per amore di Dio per guasta che sia in essi e deformata a forza di vizi l'immagine di Dio, vi scorge però egli sempre al lume della fede dei lineamenti della divinità, e questo gli basta perché si astengano dal disprezzarli, anzi il rispetto e l'amore sommo che portano a Dio li accende di zelo, e compiangono lo stato di costoro, e vorrebbero poter contribuire alla loro riforma per far risplendere in essi l'immagine di Dio, perché Dio sia anche in essi glorificato. Pre,2313a:T4 Il 3o fondamento… 3. Il 3o fondamento da cui deriva il dovere nostro di amare il prossimo si è perché egli è unito alla persona di Gesù Cristo e perché è da Lui amato. Dio si è fatto uomo per obbligarci ad amare Dio e l'uomo insieme con lo stesso amore con cui amiamo Dio (S. Bernardo). La fede ci insegna l'Incarnazione del Verbo; in virtù di questa Incarnazione la natura umana fu associata alla divinità nella persona di Gesù Cristo; in virtù di quest'associazione, Egli divenne il primogenito degli uomini e noi suoi fratelli tutti, composti della stessa carne, delle medesime ossa, anzi in virtù di questa stessa associazione Egli viene a formare una cosa sola con noi, poiché Egli divenne il Capo, di cui noi tutti assieme formiamo il Corpo – dice S. Paolo – e ciascuno di noi in particolare ne costituisce le Membra; quindi chiaramente appare come ciascuno di noi è intimamente unito alla persona di Gesù Cristo, e come tra Gesù Cristo e noi si forma causa comune, interesse comune; quindi si capisce perché Gesù Cristo diceva: Quod uni ex his minimis fecistis, mihi fecistis… infirmus eram et visitasti me…; poiché in virtù di tale unione non può, a meno che vada a terminare nel capo i servizi o i disprezzi che si fanno alle membra; non può, a meno che vada a interessare il Primogenito i benefici o gli oltraggi che si fanno ai suoi fratelli; dunque quanto importa amare Gesù Cristo, altrettanto importa amare il nostro prossimo; quanto importa guardarsi dal disprezzare Gesù Cristo, altrettanto importa guardarsi dal disprezzare il prossimo; e siccome dall'amore di Gesù Cristo dipende la nostra eterna salute, così pure dall'amare il nostro prossimo dipenderà anche il conseguimento della medesima. Inoltre ognuno sa quanto in seguito all'unione della nostra umanità alla persona di Gesù Cristo si sia Egli interessato per tutti noi, fino a morire sulla croce per darci la vita, e questo l'avrebbe fatto (giusta S. Paolo) anche per ciascuno di noi, onde un solo che disprezziamo o che escludiamo dal nostro cuore è detto che disprezziamo ed escludiamo colui per cui Gesù Cristo tanto si è interessato, per cui Egli è morto, e non è questo un gran torto che facciamo a Gesù Cristo, e non vendicherà Egli il disprezzo e l'offesa che facciamo a colui che Egli tanto ama, e per il quale altra volta morrebbe, se fosse d'uopo? Pre,2313a:T5 E notate diletti, che se alcuno potesse aver ragione di escludere qualcuno dal suo cuore, questi sarebbe Gesù Cristo, poiché il Cuore di Gesù come il più santo, il più illuminato degli oggetti del suo amore, il più perfetto, doveva essere il più delicato nella scelta di chi voleva onorare del suo amore, il più sensibile a tutti i difetti di spirito, di umore, di carattere che potessero rendere un oggetto meno amabile; dunque Gesù Cristo più di tutti poteva avere mille ragioni, che noi non abbiamo, per non amare certi uomini, la di cui società ci pare intollerabile; eppure Gesù Cristo non ne escluse alcuno, tutti li rinchiuse nel suo cuore ut omnes unum sint, sicut tu Pater in me et ego in te… ut nos unum sumus… (Joan. 17, 21); e quelli nominatamente che non ci offrono niente di amabile, li ha amati, li ama e li amerà, finché saranno su questa terra con un amore sviscerato, con quell'amore con cui Egli ama il suo Eterno Padre, e con cui da Lui è amato, e quelli che a voi paiono meno degni, questi forse Dio li ama di più come più bisognosi, provando per essi maggior compassione, e forse esercitando per essi maggiore misericordia; e voi che disprezzate gli altri, forse comparite agli occhi di Gesù più abominevoli degli altri, coperti di mille peccati, di cui uno solo imprime nella vostra anima una deformità tale da farvi orrore; rendervi insopportabile a voi medesimo, se vi rimiraste agli occhi di Gesù Cristo; eppure anche in questo stato Gesù Cristo vi ama, e oseremo noi disprezzare gli altri e disprezzarli mentre Gesù Cristo li ama, li cerca, li benefica? Pre,2313a:T6 A vista di sì forti motivi che vi ho addotti per farvi comprendere l'obbligo che abbiamo di amare il prossimo, non vi stupirete se per ultimo aggiungo il precetto rigorosissimo intimatoci da Dio solennemente sul Sinai per via di Mosè e ultimamente confermatoci da Cristo. Desiderava uno degli scribi piuttosto per curiosità e per tentare Gesù Cristo, che per altro, desiderava sapere quale fosse il comandamento più importante e più essenziale in tutta la legge scritta; domandò dunque a Gesù: quod est præceptum magnum in lege? Primum omnium mandatum est (rispose a quell'avvocato, cioè uno degli scribi, Matt. 22, 37, Marco 12, 29): Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo et ex tota anima tua et ex tota mente tua et ex tota virtute tua, hoc est primum mandatum. Secundum autem simile est illi: Diliges proximum tuum tamquam teipsum. In his duobus mandatis universa lex pendet et Prophetæ. Majus horum aliud mandatum non est. Diligere proximum tamquam seipsum majus est omnibus holocaustomatibus et sacrificiis. – Misericordiam volo et non sacrificium. Pre,2313a:T7 Dunque, a detta… Dunque, a detta di Gesù Cristo, in tutta la legge scritta non vi fu mai precetto più grande e più essenziale quanto l'amare Dio e il prossimo: Primum omnium mandatum est: diliges etc. In his duobus mandatis, etc. e come tale lo conferma Egli stesso: majus horum, etc. e dichiara ancora essere l'amore del prossimo da preferirsi, in certo senso, agli atti stessi della Religione, cioè quando la carità o la necessità l'esige, e opere di misericordia, volere in tal caso verso il prossimo piuttosto che sacrifici in suo onore. Diligere proximum etc. Misericordiam volo etc. Dice di più: e si protesta di rifiutare quei sacrifici o atti di Religione verso di Lui che vengono fatti da un cuore privo di carità, e vuole che si parta costui dall'altare abbandonando il sacrificio: vada prima a riconciliarsi con il fratello, se vuole essere accolto da Dio. Si offers munus tuum ad altare, et ibi recordatus fueris quia frater tuus habet aliquod adversum te, relinque ibi munus ante altare et vade prius reconciliari fratri tuo. Pre,2313a:T8 Per vieppiù impegnarci nell'osservanza di questo precetto, ora si protesta di mirare come fatto alla sua persona qualunque servizio fatto a qualsivoglia dei nostri fratelli: Quamdiu fecistis uni ex his fratribus meis minimis, mihi fecistis (Matth.). Ora ci fa ampie e singolari promesse: Beati misericordes quoniam ipsi misericordiam consequentur. Date et dabitur vobis. Eadem mensura quam mensi fueritis, remetietur et vobis; e qui notate quanto debole e scarso è il soccorso che noi possiamo prestare al prossimo, e all'opposto come egli è incomparabilmente più stimabile il soccorso che ci rimeritiamo da Dio, che si protesta di premiare un bicchiere d'acqua, data a suo nome, colla vita eterna. Ora fa terribili minacce a chi non avrà buon cuore col prossimo. Judicium sine misericordia illi qui non facit misericordiam etc., e notate qui che per giusti che siamo vix justificabitur in conspectu tuo omnis vivens, innanzi a quello specchio di santità e giustizia nessuno può essere giustificato, abbiamo tutti bisogno che il Signore, per i meriti di Gesù Cristo, usi nel dì del Giudizio grande misericordia, perciò è che Gesù Cristo nel dì finale esaminerà specialmente le opere di carità che si saranno fatte, cioè per dimostrarci che ha atteso ciò che aveva promesso, voglio dire di riguardare come fatti a sé i servizi o i torti fatti al prossimo, e d'aver usato misericordia con chi l'ha usata, d'averla negata a chi pure la negò. Pre,2313a:T9 Né solo con le parole c'inculca questo precetto, ma ancora ce lo insegna con l'esempio nella lavanda dei piedi nell'istituzione del Ss. Sacramento dixit eis: Scitis quid fecerim vobis, vos vocatis me Magister et Domine, et bene dicitis. Sum etenim. Si ergo lavi pedes vestros Dominus et Magister, et vos debetis alter alterius lavare pedes. Exemplum dedi vobis, ut quemadmodum ego feci et vos faciatis. Amen, amen dico vobis: non est servus major Domino suo, neque Apostolus major est eo qui misit illum. Si hæc scitis, beati eritis, si feceritis ea (Joan. 13, 13). Finalmente per farci vieppiù comprendere l'importanza di questo precetto, osservate in Gesù Cristo l'impegno nell'inculcarvelo ancora nell'ultimo giorno di vita, giorno in cui particolarmente aprì il suo cuore e dimostrò l'interessamento sommo che aveva per noi, in cui nella parlata che fece ai suoi discepoli ci diede tanti bei insegnamenti: Mandatum novum dice Egli (Giov. 13, 34) do vobis ut diligatis invicem; sicut dilexi vos ut et vos diligatis invicem; in hoc cognoscent omnes quod discipuli mei estis si dilectionem habueritis ad invicem. Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis, non quomodo mundus dat ego do vobis (Joan. 14, 27). Questo è il ricordo principale che ci lascia come testamento, cioè una cordiale e sincera carità verso i nostri prossimi, e ce ne fa un espresso comando: Mandatum, comando nuovo lo chiama, benché esistente fin dai tempi di Mosè, perché voleva che da allora in poi avesse maggior forza e vigore, e si praticasse da noi con maggior perfezione. Pre,2313a:T10 Poi torna a dire: Hoc est præceptum meum ut diligatis invicem sicut dilexi vos; majorem hac dilectionem nemo habet ut ponat quis animam suam pro amicis suis (Joan. 15, 12-13). Quivi inoltre lo chiama precetto suo, sia per aggiungere maggior peso al precetto datoci per Mosè, sia perché ci restasse più impresso come precetto di un Capo, di un Padre già vicino a morire; e non contento d'aver per due volte espressa la sua premurosissima volontà, torna a ripetere: Hæc mando vobis ut diligatis invicem, quasi volesse dire: questo amore reciproco, miei diletti discepoli, non solo ve lo consiglio, ve lo raccomando, ma con tutta l'autorità ancora ve lo comando. Né ancora il suo cuore è pago d'averci tanto raccomandato un simile precetto che ancora teme che non sia osservato, onde ancora di quella stessa notte si rivolge all'Eterno Padre e ad alta voce lo supplica di concedere loro questa fraterna unione: Pater sancte, serva eos in nomine tuo quos dedisti mihi ut sint unum sicut et nos; indi a poco: Rogo… ut eos unum sint sicut tu Pater in me et ego in te, ut et ipsi in nobis unum sint. Finalmente coronò la sua vita con l'efficacissimo esempio abbracciando Giuda, perdonando ad un ladro e chiedendo misericordia per i suoi stessi crocifissori: Pater ignosce illis, nesciunt quid faciunt. Pre,2313a:T11 Io non saprei esprimervi… Io non saprei esprimervi maggiormente di come ha fatto l'importanza del precetto, l'impegno di Gesù Cristo nell'inculcarcelo. Aggiungerò soltanto, riguardo a questo, un fatto ed alcuni detti di S. Giovanni che penetrò addentro più di tutti nel Cuore di Gesù e capì l'importanza di questo precetto. Narra S. Girolamo che, essendo giunto S. Giovanni Evangelista ad un'estrema decrepitezza, appena poteva essere portato in chiesa sostenuto dalle braccia dei suoi discepoli, né avendo più abbastanza lena per fare lunghi discorsi, si contentava di dire, in ciascuna adunanza di fedeli: Filioli, diligite alterutrum e, siccome questa era sempre la medesima lezione, i fedeli annoiati finalmente di ascoltarlo, si presero la libertà di interrogarlo perché ripetesse loro sempre la stessa lezione. Egli rispose loro: Quia præceptum Domini est et si solum fiat, sufficit. Pre,2313a:T12 Ed è terribile ciò che si avvampava di dire di coloro che non hanno carità col prossimo: Qui non diligit, dice egli, manet in morte (1 Joan. 3, 14) cioè in stato di peccato mortale che solo può cagionare la morte dell'anima separandola da Dio. Qui odit fratrem suum, in tenebris est, tenebre d'intelletto, d'accecamento, origine di tanti peccati: Omnis qui odit fratrem suum, homicida est, omicida di se stesso poiché uccide la sua anima col peccato mortale, omicida del suo prossimo, poiché lo fa in certo modo morire nel suo cuore ove dovrebbe vivere, ove dovrebbe portarlo1. Deduciamo quindi: 1a conseguenza contro i falsi devoti: invano si credono costoro ripieni d'amore divino, perché o pregano molto o comunicano sovente, o zelano con calore l'onore di Dio, rimproverano i costumi dei prossimi. Nescitis cujus spiritus estis disse Gesù Cristo un dì ai discepoli; direbbe anche a costoro che sono pieni di zelo senza carità: cimbalum tinniens et sonans. 2a conseguenza: in favore delle persone caritatevoli: v'impegnate ad adempire verso tutti il precetto della carità, interessati al bene del prossimo, sensibili al suo male, quando anche non proviate alcun fervore verso Dio, consolatevi che già osservate tutta la legge, e questa è la prova. Pre,2313a:T13 Punto 2 – Qualità del cuore: cuore grande, cuore disinteressato, cuore generoso Sono tre le qualità della carità col prossimo, deve essere: 1o universale, 2o sincera, 3o deve riguardare non solo il bene temporale, ma lo spirituale, ancora del nostro prossimo più di tutto. 1o – Generale quanto agli oggetti, cioè deve estendersi ad ogni sorta di persona, ad ogni sorta di miserie; deve dunque estendersi a tutti; uno solo che si escluda si perde la carità, come si perde la fede in un solo articolo che si neghi; la ragione si è che siccome il motivo di nostra credenza si estende su tutti gli articoli rivelati, e perciò siamo tenuti a crederli tutti ugualmente, così pure i motivi della carità si estendono sopra tutti; dunque tutti dobbiamo universalmente amare; infatti tutti sono opera di Dio; tutti immagini di Dio, tutti uniti per l'umanità alla persona di Gesù Cristo, tutti da lui sommamente amati e finalmente tutti ci comanda espressamente di amare; uno solo che si disprezzi nel nostro cuore, sarà sempre vero che disprezziamo l'opera di Dio, l'immagine di Dio, un fratello di Gesù Cristo, l'oggetto dei suoi amori, ed è sempre una violazione del precetto rigorosissimo che Dio ci ha intimato, né basta il dire che però in esso non si scorge qualità per cui meriti il vostro affetto, che forse non abbonda d'altro che di vizi e di difetti, che forse ancora non fa altro che esservi ingrato, offendervi, danneggiarvi, irritarvi; no, non basta, sia pure come voi dite e peggio ancora, la rivelazione scopre in lui titoli per cui siete tenuto ad amarlo, e per questi dovete amarlo; che se per altri titoli voi voleste amare alcuno, l'amore vostro sarebbe umano, sarebbe naturale; non sarebbe l'atto d'amore che Dio comanda e che siete tenuto a prestare. Pre,2313a:T14 Per vieppiù persuaderci di questa verità, distinguiamo tre sorgenti che sogliono spegnere la carità nel cuore verso alcuno, cioè: 1. lo stato umile e abietto di certuni che genera disprezzo; 2. certi difetti visibili e grossolani in alcuni che generano impazienza; 3. certi spiriti opposti o maligni che generano antipatia. Ora: 1. i primi sono i più simili a Gesù Cristo poiché nessuno di lui più umile e più abietto, più povero, e i più favoriti da lui sono i suoi sostituti, domanda e riceve in loro persona, niente più lo irrita che i giusti lamenti di un povero ributtato; 2. difettosi e peccatori sono coloro dei quali si occupava di più Gesù Cristo e per i quali propriamente è disceso dal cielo, nel numero dei quali siamo ancora noi, per esempio gli ammalati. Gli ammalati partecipano di più ai dolori di Gesù Cristo e parteciperanno di più alla sua gloria: si compatimur et conglorificabimur… Solo Gesù Cristo riceve i soccorsi di parole, e di mano che loro si somministrano, l'esempio di Gesù: surdi audiunt, cæci vident… pertransiit benefaciendo… virtus de illo exibat… Quanto poi ai peccatori, essi a noi costarono niente, ma costarono a Gesù Cristo che è morto per essi, come ognuno sa. 3. gli spiriti opposti o maligni entrano anch'essi nell'ordine di provvidenza: Dio sapientissimo e clementissimo li permette a nostro pro; anzi questi oggetti che più ci ributtano sono coloro verso i quali dobbiamo più stare attenti per non perdere la carità e che dobbiamo impegnarci d'amare più fortemente, sia perché così imitiamo più da vicino Gesù Cristo che ci amò quoadhuc inimici essemus, sia perché non v'è allora tanto pericolo d'amor proprio, né di verun fine umano, ma l'amore divino più puro, quindi più accetto a Dio. Pre,2313a:T15 Anzi, io dico se per queste dovesse il prossimo escludersi dal nostro cuore, Dio dovrebbe farlo più di tutti: eppure “solem suum oriri facit super bonos et malos” e allora vorremo noi aver miglior intendimento di Dio o avremo noi maggior diritto di lui, saremo più rispettabili? Dunque sarà il servo più del padrone, il discepolo più del maestro? Osservate di più quel che il Salvatore ci dice: Diligite sicut dilexi vos: il Cuore di Gesù è cuore grande perché divino, e vuole che il nostro assomigli al suo. Il suo amore è senza limiti, è generale, cioè s'estende a tutti gli uomini e a tutte le miserie; così vuole che sia il nostro; altrimenti il nostro non sarebbe l'amore sul modello di Gesù Cristo se escludesse un solo uomo, una sola miseria; sarebbe un amore limitato, umano, interessato. S. Paolo ci proibisce di avere un amore scarso, limitato: Cor nostrum dilatatum est, non angustia mini in nobis non così era il suo. Cupio vos omnes in visceribus Christi: quis infirmatur, et ego non infirmor? Così Gesù Cristo è morto per tutti. La carità dunque ci dà tanti fratelli, tanti amici quanti sono gli uomini al mondo. Pre,2313a:T16 Avvertite però che Dio nel comandarci di amare il nostro prossimo anche vizioso e pessimo, non è già i suoi vizi e difetti che ci comanda di amare assieme, no: l'oggetto d'amore che ci propone è sempre puro e nobile; oggetto che si merita l'attenzione e l'amore di Dio stesso, tanto più del nostro; distingue dunque Dio nel peccatore, il vizio dall'uomo; quanto abomina quello, altrettanto ama questi, e così dobbiamo fare anche noi; né difficilmente lo faremo per poco che rinunciamo ai sensi; consultiamo la fede, viviamo di fede, e allora l'amore oltre all'essere nobile perché occupato d'oggetto nobile, diviene anche forte, intraprendente come nei santi, cioè reale e sincero, che è la seconda qualità annunziatavi della carità. Pre,2313a:T17 Amore sincero… 2o – Amore sincero, cioè quanto ai mezzi, praticando ogni mezzo; impiegando tutte le facoltà dell'anima e del corpo. La legge di natura ci scopriva l'obbligo d'amare il prossimo, ma difficilmente ne determinava il modo. Vediamolo dunque dalla Rivelazione. Ci comanda Dio di amare il prossimo come noi stessi: sicut te ipsum. Al che, riflette S. Tommaso che non è già quivi comandata un'uguaglianza d'amore, ma bensì una somiglianza d'amore, ed è lo stesso che se dicesse: amate il prossimo non ugualmente che voi stessi, ma così sinceramente come amate voi stessi; ognuno sa che noi non ci amiamo con finzione, ma il nostro amore è sincero e reale; così dobbiamo amare il prossimo non con simulazione alcuna, non solo con espressioni e con parole, ma con opere ancora e con opere prestate non per qualche fine umano, per qualche interesse, ma con opere prodotte da un amore interno, sincero e reale, poiché la carità che Dio ci comanda è una carità interna e sincera e ispira dell'orrore per simili fini bassi e dissimulazioni. Le proprietà dell'amor proprio possono anche servire di regola nell'amore del prossimo: 1) l'amor proprio nasconde ai suoi occhi i propri difetti, non vorrebbe che fossero conosciuti dagli altri, vuole esser sofferto, compatito; 2) ingrandisce i suoi mali nella sua immaginazione, i suoi bisogni, non vorrebbe che fossero ignorati, dimenticati dagli altri, ma bensì che gli si prestasse soccorso e aiuto; 3) l'amor proprio mai ci abbandona, ci accompagna fino alla morte: così la carità col nostro prossimo copre la moltitudine dei suoi peccati; è estremamente sensibile alle sue miserie e l'abbandona neppure nella sepoltura. Inoltre, l'amor sincero e reale con cui ci amiamo esige di più. Pre,2313a:T18 Ognuno di noi: 1. come è noto a tutti, non ama già che altri gli faccia azione che possa essere per lui di molestia o di danno, o che lo abbandoni nelle sue necessità quando lo potrebbe aiutare, ma piuttosto che si guardi da quanto potrebbe pregiudicarlo nella roba o nell'onore, che lo soccorra con carità, che si porti insomma con lui da fratello e da amico. 2. Nessuno vi è di noi, che gusti che gli si usino parole di superiorità o di poco rispetto, parole ingiuriose o di disprezzo, che si censuri e si biasimi presso gli altri le sue azioni, insomma che si sparli di lui, ma anzi brama di essere trattato con dolcezza, con affabilità e che si favelli di lui con approvazione, con stima e con lode. 3. Nessuno ama che gli si porti cattiva volontà, che uno si compiaccia del suo male, invidi il suo bene, che gli desideri del male, che lo odi; all'opposto gli piace di essere amato con affetto fraterno, d'essere compatito nelle sue imperfezioni, e che altri si compiaccia del suo bene. Pre,2313a:T19 4. Finalmente a nessuno piace che s'interpretino sinistramente le sue azioni, che si abbia cattivo concetto, cattiva opinione di lui, ma anzi desidera essere tenuto presso tutti in buona opinione, che si sentano benignamente delle sue cose, che tutti si portino da giudici favorevoli con lui; ognuno dunque vorrebbe essere amato con l'intelletto, colla volontà, colle parole e con le opere; e così dobbiamo fare pure per parte nostra, cioè non concepire verun atto d'intelletto, verun affetto di volontà, né pronunciare parola, né fare azione verso gli altri che non vorremmo che altri facesse con noi, ma anzi procurare che tale sia tutto il nostro pensare, volere, parlare, operare circa gli altri, quale gusteremmo che intorno a noi fosse l'altrui. Non v'è sorta di miserie da cui non vorremmo essere sollevati; non vi sia dunque sorta di miserie di cui dimenticarci: un'altra prova della sincerità d'amore che si porta ad alcuni è di prestare quegli uffici di carità presto e con viso allegro e affabile, pensando che si prestano a Gesù Cristo, credendosi realmente obbligato al prossimo che ci porge un'occasione di gran merito. Melius est dare quam accipere; qui cito dat bis dat. Il bisognoso ha sempre rossore e confusione nel ricevere, e sarà doppia elemosina sollevarlo con la mano, con la lingua, col sembiante, cioè con le opere, con affabilità, con allegria, perché allora viene sollevato nel corpo e nello spirito. Pre,2313a:T20 Questa, dunque, è la regola che a noi pure si prescrive dalla carità, vale a dire, mettersi noi nei panni degli altri e vedere, per esempio, se ci piacerebbe quel sinistro giudizio o sospetto, quella cattiva volontà, quel maligno parlare, quell'azione offensiva che ci viene in mente d'usare col nostro prossimo; fingiamoci per esempio, di trovarci nella stessa necessità in cui si trova il nostro fratello, e in cui il Signore pure avrebbe potuto mettere ancora noi, e non diamo, per esempio, quella negativa che non vorremmo in simile incontro fosse data a noi. Pre,2313a:T21 Questa è la regola che Dio ha dato agli altri, per l'amore che dovevano portare a noi, e questa la dà a noi per gli altri, cioè Dio non solo ci ama lui stesso, ma vuole ancora difenderci da ogni torto che altri potesse recarci, anzi comanda ancora che tutti ci amino, e non con un amore finto o esterno, ma con un amore effettivo ed interno; e, per assicurarci dagli altri un tale amore, incomincia proibendo che non ci pregiudichino nell'onore o nella roba; e siccome a questo tendeva il parlare male di noi, anche questo proibì, e siccome facilmente si sarebbe parlato male di noi, se avesse permesso che altri internamente covasse odio o rancore, così proibì anche questo; e siccome facilmente avrebbe generato simile cattiva volontà un sinistro giudizio o sospetto di noi, volle anche proibire questo, anzi, per allontanare affatto ogni ombra di pregiudizio che potesse venirci, comanda che tutti pensino bene, si vogliano bene, parlino bene e con i fatti ci aiutino; e se alcuno trasgredisce tale regola anche in minima parte, si offende, prende le nostre parti, non lo perdona, finché se ne penta e s'emendi e ripari effettivamente il danno, se l'ha cagionato. Pre,2313a:T22 Vedete, Diletti, quanto è grande l'amore che Dio ci porta e quanto dobbiamo ringraziarlo. Ma notate: siccome Dio si vendica perfino di un giudizio sinistro o sospetto che altri faccia temerariamente di noi, o d'una negligenza volontaria nel soccorrerci, essendo ugualmente Padre di tutti e avendo anche a noi data la stessa norma, anche di noi si vendicherà, non dico per una cattiva azione, per una parola maligna, per una cattiva volontà, ma anche per un solo atto d'intelletto che abbiamo ingiustamente concepito contro il nostro prossimo, per un solo atto volontario di negligenza nel soccorrerlo. Quindi, comprenderete la ragionevolezza e la necessità che v'è di amare il prossimo con amore sincero, e non tanto quanto al corpo, ma più ancora quanto all'anima che è quel che mi trattengo ancora a dimostrarvi. Pre,2313a:T23 Fin qui ho parlato… 3o – Fin qui ho parlato della carità, secondo la regola che ci diede Mosè. Ora, rimane di parlarne secondo la Regola che ci diede Gesù Cristo. Mosè disse: “Dilige proximum tuum sicut te ipsum”. Gesù dice: “Mandatum novum do vobis, ut diligatis invicem sicut dilexi vos.” Lo scopo principale di Mosè era di raccomandarci le opere di misericordia corporale, infatti non fa quasi mai menzione di altro. Lo scopo di Gesù Cristo è di raccomandarci particolarmente le opere spirituali di misericordia. Egli è la fonte d'ogni bene spirituale e temporale, dedit iis potestatem filios Dei fieri e vuole che lo diventiamo anche noi tanti Dei con i nostri fratelli, partecipando a loro i beni che non hanno, massimamente i spirituali, e questi anche a preferenza dei beni temporali, perciò nel Pater ci insegnò a considerare tutti come fratelli, a pregare per essi sempre che preghiamo per noi, e prima di tutto a desiderare per noi e per loro i beni spirituali, quindi i temporali, comunicandoli come Lui, sicut dilexi vos cioè non solo quanto alla sostanza dei beni, ma anche quanto al modo, con quel cuore, con quel disinteressamento, con quel sacrificio generale di tutti i propri interessi per l'interesse del prossimo nel che omnipotentia parcendo maxime et miserando manifestat e brama che assomigliamo a Lui e partecipiamo di questa stessa onnipotenza. E avendoci Dio partecipato questa qualità di dare al prossimo i beni che non ha, e renderlo felice, perché ricuseremo di farlo, perché terremo oziosa questa prerogativa che Dio ci diede? No, non potremo forse dare loro sempre oro o argento; non possiamo comandare sulle loro malattie, sollevarli dai loro bisogni temporali; ma per la carità abbiamo pure un potere più grande, possiamo pur sempre con la carità (la quale è industriosa) rianimare la fede, la speranza, la carità, procurare loro un grado di grazia, di gloria di più, o almeno disporli a riceverla vincendo i loro cuori, illuminarli o precauzionarli contro qualche inciampo; e questo lo possiamo fare tutti, né possiamo scusarci di poterlo fare, se la carità regna in noi, siccome possiamo scusarci di non poter fare opere di misericordia temporale. Questo è il comando nuovo che Gesù Cristo ci ha dato e che osservavano i primi cristiani. E quanto più nobile non è questo del primo? Pre,2313a:T24 Vuole Egli dunque che distinguiamo nei nostri fratelli la parte più nobile che è l'anima; vuole che riflettiamo sui beni non caduchi appartenenti al corpo soltanto, ma ai beni eterni, immensi per cui l'anima è creata; in conseguenza prescrive che la nostra carità si occupi di desiderare questi beni al nostro prossimo, ed a procurarli per quanto possiamo e per questo ci dà non più noi stessi per modello, ma un modello infinitamente più grande e più nobile quale è se stesso. Ed ecco sostituiti, diletti, tutt'altri oggetti di carità, oggetti grandiosi, che l'innalzano a segno da renderla divina; essendo questi oggetti quelli di cui si occupò l'Eterna Sapienza; ed essendo questa carità una partecipazione di quella stessa carità che il Figliuolo di Dio volle esercitare con noi; dunque simili oggetti quanto non ci devono rendere generosi come ci pretende il divin Salvatore che ci vuole generosi come se stesso che si propone per modello! Diletti, se noi diamo un'occhiata solo a questo grande Esemplare troveremo che se la virtù di beneficare gli uomini o sollevarli dalle loro miserie corporali gli era così comune e naturale – Surdi audiunt, cæci ambulant; pertransiit benefaciendo et sanando omnes; virtus de illo exibat et sanabat omnes –, il desiderio però di liberarci dai mali spirituali che sono il peccato e dalle conseguenze di essi, che sono l'eterna dannazione, e il desiderio di procurarci ogni bene spirituale come è il perdono, la grazia, la gloria, lo indusse a segno di sacrificare per questo ogni suo interesse: l'interesse dei suoi beni facendosi povero, cum dives esset; l'interesse di sua gloria, di sua libertà: exinanivit, humiliavit semetipsum formam servi accipiens; l'interesse di sua beatitudine: factus vir dolorum; l'interesse della sua reputazione, di sua vita, morendo come malfattore, e direi ancora l'interesse della sua santità, della sua innocenza: factus innanzi a Dio maledictum pro nobis fino a sottomettersi ad ogni eccesso di stenti, di umiliazioni, di patimenti, a lasciare finalmente la sua vita su un patibolo. Ecco, Diletti, il modello che ci è proposto. Pre,2313a:T25 Comprendiamo dunque… Comprendiamo dunque che siamo tenuti ad amare il nostro prossimo non solo quanto al suo buon essere temporale, ma molto più al suo ben essere spirituale (cosa che da noi così facilmente si dimentica e si trascura) che questa è la virtù particolarmente della carità raccomandataci da Gesù Cristo, il di cui officio si è di prestarci scambievolmente quegli aiuti, quei mezzi che possono contribuire alla vita spirituale dell'anima; si è di soccorrerci gli uni gli altri nella via della salute, nella strada della perfezione, e senza il di cui esercizio noi non possiamo veramente chiamarci cristiani, e questo a dispendio di qualunque nostro interesse temporale, quando la salute del prossimo lo esiga, e quando dicessi anche a dispendio della propria vita: non temerei di esagerare, poiché lo dice chiaramente S. Giovanni [1 Giov. 3, 16]: Et nos debemus pro fratribus animas ponere. Et peribit infirmus in tua scientia frater pro quo Christus mortuus est? (1 Cor. 8), soggiunge S. Paolo2. Esercizio che noi troviamo praticato dai primitivi cristiani che ben intendevano questo precetto di Gesù, dei quali tutti stupiti i gentili si dicevano tra loro al riferire di Tertulliano: Videte ut se invicem diligant, et alter pro altero mori sint parati? Si consideravano essi tutti come fratelli, né v'era tra loro che un solo cuore e un'anima sola; quindi non solo si amavano scambievolmente, si rispettavano e si facevano non un dovere, ma un piacere di rendersi gli uni gli altri ogni servizio temporale, pronti a perdonarsi se mai era occorso d'offendersi, ma inoltre, e molto più ancora voi li avreste veduti pronti e solleciti a soccorrersi spiritualmente, come a consolarsi nelle prigioni, a incoraggiarsi nei supplizi, fino a seppellirne i corpi dopo i loro martiri, e come per questo non solo esponevano i loro beni, le loro facoltà, ma la loro vita a mille rischi per rendere loro simili uffici. Videte ut se invicem diligant et alter pro altero mori sint parati. Pre,2313a:T26 Diletti, non è questo un consiglio di perfezione, ma un precetto del Salvatore: Mandatum non solo quoad modum, ma quoad substantiam è un precetto nuovo, perché non comanda soltanto di desiderare e procurare il bene temporale del prossimo, ma lo spirituale; mandatum novum è un precetto tutto suo di cui particolarmente si pregia l'essere l'autore e il promulgatore; hoc est præceptum meum ut diligatis invicem sicut dilexi vos; è un precetto caratteristico che dà ai suoi seguaci, della di cui osservanza è così geloso che non vuole che appartenga a lui, e per conseguenza non si salvino i trasgressori: In hoc cognoscent omnes quod discipuli mei estis. Poteva, Diletti, darci il buon Salvatore un comando più espresso e inculcarcelo d'avvantaggio? Eppure appena è egli oggimai conosciuto non che praticato; appena troviamo noi qualche vestigio nonché l'osservanza perfetta di un tale precetto nella odierna condotta degli uomini. Pre,2313a:1 Qui diligit fratrem suum in lumine manet, et scandalum in eo non est; qui autem oderit fratrem suum in tenebris est et in tenebris ambulat, et nescit quo eat quia tenebræ obcæcaverunt oculos ejus (1 Joan. 2, 10). Omnis qui non est justus non est ex Deo, et qui non diligit fratrem suum: quoniam hæc est adnuntiatio quam audistis ab initio, ut diligatis invicem. Non sicut Cain, qui ex maligno erat et occidit fratrem suum, et propter quid occidit eum? Quoniam opera ejus maligna erant; fratris autem ejus justa. Nolite mirari fratres si odit vos mundus. Nos scimus quoniam translati sumus de morte ad vitam quoniam diligimus fratres. Qui non diligit manet in morte: omnis qui odit fratrem suum homicida est. Et scitis quoniam omnis homicida non habet vitam æternam in semetipso manentem. In hoc cognovimus caritatem Dei, quoniam ille animam suam posuit pro nobis, et nos debemus pro fratribus animas ponere. Qui habuerit substantiam hujus mundi et viderit fratrem suum necessitatem habere, et clauserit viscera sua ab eo, quomodo caritas Dei manet in eo? Filioli mei, non diligamus verbo neque lingua sed opere et veritate (1 Joan. 3). Si quis dixerit quoniam diligo Deum, et fratrem suum oderit, mendax est. Qui enim non diligit fratrem suum quem videt, Deum quem non videt quomodo potest diligere? Et hoc mandatum habemus a Deo, ut qui diligit Deum, diligat et fratrem suum (1 Joan. 4). Pre,2313a:2 Dunque, la carità è un bene inestimabile da preferirsi a tutti i beni d'ordine inferiori, i quali, quando non si potessero ottenere altrimenti che con lesione della carità, allora non è più consiglio ma precetto, ciò che disse il Salvatore: Ei autem qui affert quæ tua sunt ne repetas (Luc. 6). Dimitte ei et pallium (Matth. 5), poiché in tale caso la giustizia che esigereste sarebbe una condotta che farebbe perdere in voi o nell'altro la carità. Inoltre la carità è una virtù nobile: quella che spicca di più in Dio stesso, più – direi – della sua onnipotenza, omnipotentiam tuam parcendo maxime et miserando manifestas e che vuole comunicare a noi. La carità è una virtù sommamente delicata: dobbiamo conservarla con sollecitudine e gelosia; poco basta ad offuscarla in noi o offuscarla negli altri. È troppo preziosa: dobbiamo sacrificare anche le altre virtù, piuttosto che perderla od anche offenderla; per esempio, quel motto che parve spiritoso, ma a spese del prossimo o al momento che andrà all'orecchio della persona di cui si parlò: quanti movimenti di sdegno, quanti atti di collera non ecciterà forse nel suo cuore; così quell'ostinazione capricciosa con cui vi compiacete, quel rifiuto disobbligante di un servizio che sperava da voi, non sono essi tante volte principi e occasioni di avversioni, di odi, di inimicizie? Impariamo quindi a rispettare la carità, usiamo quei riguardi, siamo riservati e prudenti con gli altri, come desideriamo che gli altri lo siano con noi. Perché per un'inezia privare il prossimo del bene della carità che è il miglior bene che possa possedere, né già la carità ci passa per buona la scusa dell'imperfezione, della debolezza degli altri, o anche della sua malizia? Poiché, direbbe S. Paolo come lascerete voi perire vostro fratello, perché egli è debole e la sua debolezza a voi nota, non è forse una ragione per voi per maneggiarla e rispettarla? Peribit infirmus in tua scientia frater? (1 Cor. 8). Gesù Cristo si adatta ai piccoli, proporziona il sole della sua sapienza alla rozzezza, debolezza dei discepoli; tratta con i peccatori come uno di essi. Esempio della Samaritana, della Pubblicana etc. Pre,2313b:S Il grande beneficio della fede Appunti di mano Lanteri per una istruzione (celebre per la conversione dell'inviato-spia del Governo. Nota della Postulazione). AOMV, S. 2,11,7:313b Pre,2313b:T1 Il grande beneficio della fede Iddio con la fede ci illumina, con la speranza ci aiuta; così rimedia alla nostra ignoranza e infermità. Per mezzo della Rivelazione Dio parla all'uomo: il Creatore comunica i suoi pensieri alla Creatura, le comunica tutte le verità consolanti per lei, tutte le verità necessarie e senza la di cui cognizione conveniva perire. Il sommo Iddio vedeva di quanti disordini era cagione l'ignoranza nell'uomo, e per sua immensa bontà ne disegnò venirne al riparo con quel gran mezzo di comunicarci la sua Eterna Sapienza. Voi sapete, Diletti, come le parole manifestano i pensieri dell'uomo; per esse noi vediamo ciò che pensa, ciò che sa e, quantunque lontana e assente la persona che ci parla o ci scrive, noi per mezzo delle sue espressioni la conosciamo meglio che se ci fosse presente, che se la vedessimo coi propri occhi, perché coi propri occhi possiamo rimirarne l'esterno, l'interno non mai; ma se sentiamo i suoi sentimenti, noi gli leggiamo in mente, vediamo l'interno, rimiriamo la sua mente medesima. E se ciò è vero dell'uomo, quanto più sarà vero di Dio, che molto meglio di noi sa comunicare ciò che pensa e il cui intelletto è cosi infallibile non può essere ingannato nelle sue idee, e la di cui volontà è così indefettibile che non può ingannarci o mentire nelle sue espressioni. Voi vedete dunque quale grazia sia questa di volerci Dio comunicare i suoi pensieri, la sua mente, la sua Sapienza, il suo interno, per dire così, a noi misere creature, vermi di terra. Non fecit taliter omni nationi et judicia sua non manifestavit eis. Pre,2313b:T2 Ma questo beneficio diviene tanto più sensibile quando riflettiamo che quanto si compiacque rivelarci, tutto è stato per nostra consolazione; ne abbiamo di questo la testimonianza espressa di S. Paolo: Quæcumque scripta sunt ad nostram doctrinam, scripta sunt ut per patientiam et consolationem scripturarum spem habeamus. Infatti, quanto ci propone la Religione, tutto è per rischiarare il nostro intelletto, riformare il nostro cuore, regolare le nostre azioni per vieppiù stabilire la società e conservarvi il buon ordine; la Religione è quella che consola nelle avversità, ci modera nella prosperità, c'istruisce sull'origine dei nostri vizi, ce ne porge i rimedi; è al lume di questa fiaccola che semplici fedeli conoscono quelle sublimi verità che hanno ignorate i Platoni, i Demosteni, che praticano quelle vere virtù eroiche neppure conosciute dai sommi Filosofi. Dunque, è sempre più grande il beneficio della fede perché ci rivela verità così consolanti e così vantaggiose, verità tali che senza la cognizione di esse conveniva perire. Pre,2313b:T3 Infatti si sa che agli occhi di Dio non può reggere il vizio, e che ripugna il minimo disordine a quella infinita divina Santità, e che l'infinita giustizia ha da essere soddisfatta d'ogni offesa fattagli dalla creatura. Ora, come soddisfare ad una giustizia infinita per peccati commessi, come vivere puro e irreprensibile dinnanzi a Dio con tante passioni da combattere? Come adempiere tutti i nostri doveri senza certe cognizioni e verità riguardanti Dio e l'uomo, riguardanti i doveri dell'uomo, le promesse e le minacce di Dio? Ora queste cognizioni e verità, Dio che ama e vuole la nostra salute, volle comunicarcele. Cognizioni e verità erano queste che pochi potrebbero applicarsi per ritrovarle a cagione delle occupazioni, della indolenza, della gracile complessione, e che ancora questi pochi non arriverebbero a ritrovarle che ben tardi e dopo molte ansie di seriosissimo studio, ed ancora le frammischierebbero molti errori, per cagione della debolezza del loro corto intendimento; siccome infatti abbiamo veduto per lo spazio di tanti secoli essere avvenuto fra le stesse più colte nazioni. Così il Signore, come nostro buon Padre, trovò il modo che tutti le potessero sapere, le potessimo apprendere con tutta la facilità perfino da fanciulli, e senza timore di errare, e perfino esimendoci dal tedio di esaminarle di modo che, al dire dei Teologi, uno dei fini che ebbe Dio nel differire di rivelarci le sue verità, fu perché l'uomo fosse praticamente convinto della sua insufficienza e della necessità di un lume superiore che lo guidasse e lo illuminasse. Dunque, verità sono queste per noi necessarie a sapersi, necessarie perché da noi non potevamo acquistarle; necessarie perché senza esse conveniva perire. Ringraziamo dunque di cuore il Signore di averci parlato prima per i suoi Profeti, ultimamente poi per mezzo del suo medesimo Figliuolo, fattosi simile a noi per questo fine; né contentiamoci di ringraziarlo; rammentiamoci che non sono parole d'uomo, ma di un Dio: dunque, crediamole fermamente. Pre,2314:S Istruzioni sulla coscienza, sui precetti, sugli esami per varie classi di persone Appunti sparsi di mano Lanteri. AOMV, S. 2,11,8:314 1. Istruzione sulla coscienza 2. Instructiones et examina desumpta ex opere P. Neumayr Via compendii ad perfectionem etc. 3. Examen annuale circa vota paupertatis, castitatis et obœdientiæ – erga proximum – quoad numeris officium apostolici – Regulæ pro mortificatione externa, interna etc. 4. Esami per una religiosa, per una coniugata, vedova ecc. 5. De præceptis Decalogi et de peccatis Pre,2314:T1,0,1 314-1 De conscientia (Bourdaloue, T. 3, Dom. 9 post Pent.) Esercizi Spirituali 1a parte si tratta di Dio – Meditaz. 2a parte si tratta della coscienza. Esami pratici: dobbiamo esaminare in tutte le considerazioni quali mancamenti ci rimprovera per il passato, quale riconciliazione con Dio ci suggerisce per il presente, quali risoluzioni per la perseveranza ci prescrive per l'avvenire. Il fine dell'uomo è servire Dio, fare in tutto la volontà di Dio; ma quale? Quella intimata dalla coscienza, di modo che la volontà di Dio in genere è la regola remota; la coscienza è la regola prossima delle azioni dell'uomo. Conscientia quasi cordis scientia: cioè scienza del proprio cuore, di se stesso; onde è che la cognizione delle altre cose si chiama propriamente scienza, la cognizione di sé, coscienza. La coscienza è come un sillogismo in cui la maggiore è la sinderesi, la minore e la conseguenza, sono la ragione superiore e inferiore. La coscienza è una lucerna che si tiene accesa perché si veda ciò che si fa e si deve fare in casa. Conscientia est hominis corrector, pedagogus, vicarius Dei, oculus Dei. Pre,2314:T1,0,2 Coscienza P. 1 Quanto grande grazia sia il dono della coscienza. Che cosa è la coscienza. Uffici della coscienza. Forza con cui esercita questi uffici, cioè con autorità affatto divina, non solo con i timorati, ma anche con i più grandi peccatori. Esempio di S. Giovanni Battista. Beni per chi la segue: dunque è una grande grazia perché 1. serve di luce, di guida, di precettore; 2. non vi è pace, gaudio, contentezza paragonabile a quella che procura la coscienza; 3. non vi è lode e gloria paragonabile a quella che procura la coscienza. Né solo la coscienza è una grazia grande per i timorati, ma è grazia grandissima per gli stessi peccatori che vi resistono. Grazia per la memoria dei peccati, per i rimorsi, i timori, i tormenti continui. È già grazia grande che Dio abbia voluto che i nostri peccati stiano nascosti (quale rossore sarebbe il nostro? Chi ci avrebbe sofferti? Dio solo pazienza infinita ci offre). Ma quale grazia sarebbe che i nostri peccati stiano nascosti, se Dio non avesse provveduto alla nostra salute con gli stimoli della coscienza? Sarebbero molti vissuti sempre in tale stato, ma quanta grazia il dono della coscienza. Pre,2314:T1,1 1 – Definizione La coscienza è un giudizio pratico dell'intelletto per cui si decide della bontà o della malizia di un'azione particolare (ovvero si decide attualmente se una cosa si deve fare secondo la ragione o si deve fuggire). [Note] La bontà o malizia appartiene alla volontà, la coscienza dell'intelletto: conscientiam propter voluntatem dirigere. La volontà è cieca – la coscienza la manuduce*1 in particolare. La volontà è l'effetto – la coscienza la causa. Il giudizio è dell'intelletto, non della volontà – la volontà è buona, se segue la coscienza, cattiva, se la contraria. La coscienza è un giudizio pratico non speculativo, perciò si distingue dalla sinderesi; la sinderesi è come il codice riguardo al Senato – la coscienza è come la decisione per i decreti particolari che contengono l'applicazione del codice; la sinderesi è la scienza, la coscienza è l'applicazione, l'uso di questa scienza nel particolare, perciò molti sanno molto e operano male: veritatem in justitia detinent, perciò molti buoni speculativi e pessimi pratici, operando con precipitazione, senza considerazione e con malizia, come uno può essere molto buon architetto in speculativa, e non buono a mettere in pratica per disapplicazione o malizia. Quindi, tanto più da desiderarsi chiamarsi a Dio la coscienza che la scienza, come fa Davide nel Salmo Beati immaculati; S. Bernardo: Utilius est currere ad conscientiam quam ad scientiam. Pre,2314:T1,2,1 2 – Uffici Per comprendere i vari uffici può benissimo paragonarsi la coscienza ad un vero ma privato tribunale in cui si tratta della moralità dei pensieri, parole, azioni tutte dell'uomo; particolarmente si esamina la bontà, o la malizia di tutti i sentimenti, dei desideri fini e intenzioni del cuore donde procedono le compiacenze, i desideri che animano tutte le azioni sia interne che esterne, cioè ne viene esaminato l'uso o abuso delle facoltà dell'anima e dei sensi per cui l'anima è in relazione con tutto il mondo. Il Senato rappresenta la Maestà Regia e con pari autorità fa le sue veci. Talmente compete alla coscienza la suprema autorità che da essa non si dà appellazione; fin da Dio è confermato il suo giudizio, il giudizio particolare o universale; non è che una conferma del giudizio della coscienza. 2. Il Senato ha il Codice per norma, la coscienza ha la sinderesi che contiene i principi generali della legge divina su cui appoggia le sue decisioni. Pre,2314:T1,2,2 3. Sopra le azioni da farsi: proprio del Senato è quello di decidere e decretare secondo le leggi. Così la coscienza decide della bontà o malizia delle azioni da farsi, di modo che o le ordina o le proibisce con obbligazione vera e stretta, e ne preme l'osservanza di modo che sarà sempre dura cosa l'operare contro le decisioni di essa: durum est contra stimulum calcitrare; oppure le consiglia o le permette, secondo la relazione che ha l'azione con i principi della sinderesi. Sopra le azioni fatte: Quante operazioni si fanno dal Senato nelle due classi, civile e criminale, altrettanto si fanno nel tribunale della coscienza. Si tratta di dare decisioni, fare decreti per il buon regolamento di cittadini. Il Senato, per decidere sulla giustizia o ingiustizia, esige primieramente attori e testimoni, né può produrre senza di essi alcun giudizio se non consti del fatto per testimoni. Così la coscienza non assolve né condanna se non consta del fatto, e ciò che di essa è mirabile, è che fa le veci di testimonio e di accusatore di testimonio incorruttibile, perché non attesterà mai che si sia fatta un'azione di cui solo si sospetti e affatto non consti; testimonio, [la coscienza], che ha l'arte mirabile di suscitare seco tanti altri testimoni quante sono le circostanze del fatto, o che possono aver relazione anche solo indiretta con il fatto. Indi come il Senato, esaminate tutte le circostanze, fa da Giudice e sentenzia, decide effettivamente sulla bontà, pravità o malizia della causa e quale castigo le competa. Così la coscienza senza esitazione decide se si è fatto bene o male, se un'azione è degna di lode o di biasimo e castigo, e la sua decisione è così inappellabile e tale che Dio stesso vi si uniforma perfino nel giudizio universale. Pre,2314:T1,2,3 Né si contenta il Senato di aver dato la sentenza, ne ordina pure la esecuzione: ha per questo i carnefici ed i supplizi. Lo stesso si dica della coscienza: se l'azione è degna di lode, essa serve di gaudio, di gloria, gloria nostra: testimonium bonæ conscientiæ (2 Cor. 1, v. 12) secura mens juge convivium. Se poi decide che l'azione è degna di biasimo, anch'essa ha i suoi carnefici, e sono i rimorsi, i rimproveri, i timori, le apprensioni che sono diversi giudizi secondo le diverse ragioni che suggerisce la stessa coscienza e dicono opportune, importune all'anima: “quid fecisti?” riprendendo, rinfacciando dell'indegnità dell'azione e dell'ingiuria fatta a Dio. E di più, essa serve di supplizio, e questa ora si chiama spada onde viene trafitto il cuore di chi è reo, quasi gladio pungitur conscientiæ (Prov. 12). Ora si chiama verme della coscienza; appunto come il verme viene generato da qualche principio di putredine nel frutto, così da qualche azione viziosa viene generato nel cuore il verme della coscienza che sempre rode l'anima almeno sovente e ripetutamente, togliendo all'anima la pace e il gaudio, e invece generando rossore e confusione; carnefice e tormento che non si può scuotere né far cessare, ma seco sempre conviene portarlo ovunque uno si volga, onde diceva Davide: Peccatum meum contra me est semper, non est pax ossibus meis a facie peccatorum meorum. Pre,2314:T1,2,4 Ciò faceva dire a S. Bernardo: Nulla pœna est major mala conscientia. Siquidem actionum nostrarum ipsa est testis, ipsa judex, ipsa tortor, ipsa carcer, ipsa accusat, ipsa judicat, ipsa punit, ipsa damnat, unicuique enim liber est sua conscientia. Per questo anche i pessimi cercano di nascondere i loro delitti: Multos fortuna liberat pœna metu neminem, tuta scelera esse possunt, secura non possunt, ita Seneca. Omnia pavet, metuitque qui talis est umbras, parietes, ipsos lapides tamquam vocem emittentes, omnia observat, omnes habet suspectos: famulos, vicinos, hostes, amicos, eos qui nil norunt (S. Jo. Gris.) nil tutum est ubi hostis domi est. Ma quello che è più portentoso è che la coscienza esercita tutti questi molteplici uffici e con tutta la forza e autorità non solo con i timorati e timidi, ma contro i più grandi scellerati ancora (esempio di S. Giovanni Battista). Pre,2314:T1,3,1 3 – Donde dunque tanta virtù e tanta autorità? Conviene ben dire che in essa si trova veramente qualche cosa di divino; infatti, per quale altra ragione temerà uno se stesso, avrà rossore di se stesso: conviene pure dire che negli occhi della coscienza ritrova gli occhi di Dio! Sono dunque gli occhi di Dio veramente che incutono il rossore; vi è dunque nella coscienza qualche cosa di divino, o almeno vi è il suo ricordo ed è per questo che agisce così dispoticamente quando perseguita, quando punisce, quando tormenta; veramente conviene confessare: signatum est super nos lumen vultus tui Domine. Bellissima immagine della coscienza è S. Giovanni Battista: Non erat ille lux, sed ut testimonium perhiberet de Lumine. Tutti lo consultavano, perfino Erode, il più malvagio: eo audito multa faciebat… mortuus adhuc loquebatur… Vox clamantis in deserto: anche il cuore, per la colpa grave, diviene come un deserto perché spogliato di tutti i meriti e della grazia, ma vi rimane la voce della coscienza che si fa sentire in quel deserto; ella è come quel nunzio che diceva a Giobbe: Evasi ego solus ut nuntiarem tibi. Pre,2314:T1,3,2 Appunto perché la coscienza fa le veci di Dio, ella agisce così dispoticamente e l'uomo, chiunque egli sia, avanti l'azione è sempre tenuto ad assoggettarsi al suo dettame ed impero nelle azioni da farsi, ed obbedendo alla coscienza, obbedisce a Dio. Perciò la coscienza fa da legislatore; intima, annunzia la volontà di Dio autorevolmente, senza replica in ciascuna azione particolare all'anima, di modo che la volontà di Dio non è all'anima che la regola remota delle sue azioni; la coscienza è la regola prossima, né è tenuto l'uomo a fare la volontà di Dio se non per quanto gli viene significato dalla coscienza (vid. Sarasa pag. 39 t. 2). Per questo, eziandio dopo l'azione, la coscienza la fa da Dio, perché essa sola giudica, approva, o condanna irrevocabilmente; Dio stesso sospende il suo giudizio, in certo modo, ed aspetta che la coscienza abbia profferto il suo, e si accomoda al giudizio della medesima e lo sigilla: perfino cede ad essa talvolta i suoi diritti e vi assoggetta il suo giudizio come avviene quando la coscienza è invicibilmente erronea. Novum judicium in quo si reus excusaverit crimen damnatur, absolvitur si fatetur. In certo modo, conviene dire che Dio rimanda dal suo tribunale tutte le cause riguardanti gli uomini e Lui, e le consegna all'arbitrio e sentenza di questo senato della coscienza, di questo privato tribunale che costituisce in sua vece arbitro e giudice. Si nosmetipsos judicaremus non utique judicaremur (1 Cor. 11, 31). La stessa riconciliazione dell'uomo peccatore con Dio è nulla e irrita, se prima non è esaminata, discussa e approvata in questo stesso tribunale della coscienza, ove essa stessa deve apporvi, in certo senso, il suo sigillo, e così la stessa grazia o condanna viene posta nelle stesse mani dell'uomo. Pre,2314:T1,4,1 4 Chi può dunque stimare abbastanza la grazia che ci fa il Signore con questo dono della coscienza, essendo questo un mezzo, il primo, perché è la prima grazia preveniente il rimorso di aver fatto male: nonne si male egeris statim in foribus peccatum adest (Gen. 4); il più pronto, perché l'abbiamo sempre con noi; il più costante e pressante, perché non cessa di richiamare, di tormentare: finché l'uomo non si è accordato con lui, nasce col peccato, cresce col peccato, non cessa, finché sia cessato il peccato e si sia ben provvisto; il più facile e alla portata di tutti; il più necessario, il più autorevole e il più efficace per promuovere la nostra salute; si aggiunga il meno soggetto all'illusione, perché l'angelo delle tenebre si guarda bene dal suscitare rimorsi sul malfatto, anzi fa tutto l'opposto; finalmente è il più sicuro, perché non cessa finché non sia uscito un buon “peccavi”, e si sia provvisto, come si dice, all'avvenire. La coscienza è la voce di Dio e un predicatore mandato da Dio; dunque ciascuno dica: è dunque Dio che mi parla colla coscienza, Egli mi accompagna, mi seguita, mi perseguita, mi forza a lasciare il male, a fare il bene. Oh che bontà! Pre,2314:T1,4,2 Quindi, la stima che si deve fare della coscienza più del giudizio degli uomini e anche di tutto il mondo; la stessa coscienza sente quando sono giusti o falsi i giudizi degli uomini, e quando tutto il mondo ingiustamente si unisce a lodarvi; queste lodi e onori non vanno a sangue, perché la coscienza li riprova sentendo che non sono meritati, dicendo internamente: è falso ciò che si dice di te, non ti conviene tale lode, non la meriti, ti lodano di ciò che non hai, e allora l'anima è forzata a dire con l'espressione di Giobbe: quid tacens consumor? (Job 13, 19). Tacens enim consumitur qui intus in se invenit unde uratur, dice S. Gregorio. Quindi risulta un'altra specie di giurisdizione della coscienza, come d'un sommo presidente del Senato che fra mille lodi e applausi di tutti gli uomini, tutti li irrita e annulla, né le lascia gustare veramente uno solo se essa non ci fa il suo Visto, vidit Conscientia et approbavit; anzi cagiona intimamente nell'anima rossore e confusione facendole sentire che dovrebbe essere veramente così, ma non lo è, e così l'anima non può godere di quelle lodi che non conosce conformi alla sua coscienza, tanto è vero il detto di S. Paolo: Gloria nostra hæc est testimonium conscientiæ nostræ, perché questa solo può dirsi gloria, cioè clara cum laude notitia; si cor nostrum non reprehenderit nos, fiduciam habemus, (1 Joan. 3, 21); cioè sita, come continua S. Paolo, in simplicitate cordis et in sinceritate Dei; cioè nel testimonio della coscienza, che è quello di Dio stesso, e non in sapientia carnali; per questo, dice ancora S. Paolo: Gloria nostra, perché questa sola è interna e propria, l'altra gloria non meritata è esterna, fallace, non nostra; perciò, diceva Seneca: Conscientiam magis quam famam attende, falli namque sæpe poterit fama, conscientia numquam. Gesù stesso lo decise dicendo: Si peccaverit in te frater tuus corrige etc. Adhibe duos testes… Dic Ecclesiæ: Si testimonium hominum accipitis, diciamo anche: Angelorum testimonium Dei majus est, come è quello della coscienza; gli Angeli inoltre al più possono essere testimoni, non giudici e punitori destinati da Dio come la coscienza. Pre,2314:T1,4,3 Quanto gran male resistere alla coscienza! Quanto gran male resistere alla coscienza! Dura cervice et incircumcisis cordibus vos semper Spiritui Sancto resistitis (Act. 7). Non è la coscienza un movimento naturale, è un'ispirazione che viene da Dio, lo Spirito Santo ne è l'autore; resiste dunque allo Spirito Santo, resiste a Dio chi resiste alla coscienza. Dio dunque, per amore del nostro bene ci dice: questo è proibito, quello è male, quella è un'ingiustizia, quella è una maldicenza. Non importa, dice il peccatore: voglio farlo. Se non ti accosti ai Sacramenti, se non restituisci, se non lasci quell'occasione, ti perdi eternamente, dice la coscienza, dice Dio. Ma non voglio farne niente, dice il peccatore, dura cervice Spiritui Sancto resistit. Pre,2314:T1,4,4 Iddio batte alla porta del cuore per entrarvi e non gli si vuole aprire. Quanto più questa voce di Dio è potente, è autorevole, è continua, è pressante, con tanta maggior perversità le si resiste e si viene così a combattere contro l'Onnipotenza e la bontà di Dio stesso; e con un eccesso di perversità e malignità del cuore si viene a sorpassare l'eccesso della bontà stessa di Dio. E così, non v'è niente di più ingiurioso a Dio che una vile creatura rigetti così gli sforzi d'amore di un Dio che vuole salvarla, non facendo conto della sua grazia, delle sue promesse, delle sue minacce, prendendosela così contro l'Autore del suo essere e l'Arbitro della sua sorte eterna, dichiarando così una guerra continua a Dio, dicendogli con i fatti: Voi mi attaccate dappertutto ed io vi resisterò dappertutto; Voi non mi accordate alcun rilascio ed io non cesserò di difendermi. Inoltre, non v'è niente di più pericoloso per l'uomo perché, resistendo a questa voce di Dio, viene a mancare alle occasioni favorevoli di riconciliazione; si rovina il fondamento della nostra riconciliazione, si taglia la radice di tutti i frutti di penitenza, si essicca la sorgente delle grazie, perché se si ascoltasse questa prima voce della coscienza, Dio spenderebbe altri lumi, altre grazie, come arrivò a S. Agostino etc. All'opposto, come si resiste una volta, si resiste l'altra; uno si rende insensibile a tale voce, e allora dice lo Spirito Santo: Impius cum in profundum peccatorum venerit, comtemnit (Prov. 18). Pre,2314:T1,4,5 Frattanto, avete bel cercare di procurarvi pace, ma non l'avrete: non est pax impiis; un giorno tranquillo, se volete confessarlo, non l'avete più avuto, quanti timori di morte, rimorsi di coscienza; avete dovuto sempre menare una vita dura per fare il male, fare degli sforzi per vincere i rimorsi perché durum est tibi contra stimulum calcitrare (Act. 9); litigando sempre tra la coscienza e la passione, a chi dei due doveva cedere, ora eleggendo l'un partito ora l'altro, almeno attenendosi a niente di fisso; non è questo uno stato desolante; non è meglio ascoltare una volta davvero la coscienza anche con fare tutti i sacrifici? Pre,2314:T1,4,6 Ma questo combattimento in vita è poco; è alla morte, al giudizio che la coscienza alzerà forte la voce e tormenterà indicibilmente chi la disprezzò. Tanto più poi spiegherà in morte e al giudizio la sua forza quella coscienza che tante volte in vita si elude, e le si impone silenzio; e se in vita la coscienza vivamente accusa il peccatore, nonostante la nostra dissipazione o passione, tanto più lo accuserà fortemente allora, se in vita severamente giudica e parla al peccatore, anche quando non vuole ascoltarla, tanto più severamente lo giudicherà e gli parlerà allora in cui il divino Giudice uniformerà la sua sentenza con quella della coscienza. Se ora finalmente così fieramente tormenta la coscienza il peccatore anche in mezzo alle sue dissipazioni, tanto più lo tormenterà allora nell'eternità: ubi vermis non moritur, et ignis non extinguetur. Risus dolore miscebitur et extrema gaudii luctus occupat (Prov. 14, 13). Pre,2314:T1,4,7 Egli è il libro della coscienza che allora si aprirà e si manifesterà a tutte le genti, e buon grado o malgrado nell'assemblea di tutto il mondo produrrà quei rimorsi che aveva fino allora tenuti segreti, e ne formerà a vostra onta e rovina la convinzione, la più desolante, lo assicura S. Paolo che ci descrive tale giorno di conti (Rom. 2): Testimonium reddente conscientia ipsorum et cogitationibus invicem accusantibus aut etiam defendentibus; quasi Dio dicesse: Giudicatevi voi stessi; ecco la vostra coscienza che depone contro di voi, che vi accusa; essa medesima mi somministra i titoli da condannarvi. Non ho altri; voleva con essi richiamarvi un tempo dai vostri disordini, ma inutilmente essa ve li rappresentava quando potevate rimediarvi. Ora con nuova forza la coscienza ve li rinfaccia, ma purtroppo inutilmente per rimediarvi, perché non c'è più tempo; né altro mezzo mi rimane per salvarvi, poiché la stessa vostra coscienza vi condanna, e così si verificherà quanto diceva Davide: ut justificeris in sermonibus tuis et vincas cum judicaris. Ma quella coscienza che ora ed in punto di morte la fa da così fedele testimonio, da così inesorabile giudice, da così tormentoso carnefice, la fa ora da medico che propone i suoi rimedi opportuni; la fa da avvocato per riconciliare le parti, giudicando sicuramente e del rimedio e della riconciliazione. Quasi medicus optimus non cessat sua medicamenta opponere et, si semel depellatur neque sic desistit; sed continuam curam gerit. Ma un medico, prima di proporre rimedi, cura la causa del male; vediamo dunque prima quali siano le cause per cui non si ascolta, non si fa caso della coscienza. Pre,2314:T1,5,1 5 – Cause soffocanti la voce della coscienza non in ogni cosa, ma solo in ciò che s'ignora. Ma come va che così poco si ascolta e si teme generalmente da tanti la coscienza? 1o La dissipazione e la passione ne sono principalmente la causa, o uno è distratto da tante cose, o uno è troppo fissato su un oggetto. Perit omne judicium si vas transit in affectum. 2o L'ignoranza volontaria ossia negligenza avvertita d'istruirsi, sia che questo provenga da superbia o pusillanimità, cioè timore di umiliarsi consultando altri, o ricusando di sottomettere il nostro giudizio a chi è più dotto, o da pigrizia ricusando di metterci la debita pazienza nel considerare, riflettere, studiare. 3o L'irriflessione portata da precipitazione. 4o L'operare, finalmente, con perplessità. Ma, si noti bene: tutto questo può far cessare per qualche tempo la voce della coscienza, o diminuirne qualche volta la forza, ma non cesserà mai per questo la coscienza di fare il suo ufficio. Non lascerà pertanto di far sentire al dissipato, all'ignorante, al superbo, di quando in quando, l'obbligo di raccogliersi, d'umiliarsi, di istruirsi. Non lascerà di spiegare, di quando in quando, al passionato, per grande che egli sia, sentimenti di onestà e di equità; né lascerà di spargere la coscienza a tutti, in certi lucidi intervalli di tempo, una certa noia, amarezza della loro condotta, anche in mezzo alla loro volontaria ignoranza o passione, senza tacere su tutti gli altri mancamenti certi e manifesti, circa i quali dice Giobbe (10, 14): Panis ejus in utero illius vertetur in fel aspidum intrinsecus. Giacché dunque, queste sono le cause per non ascoltare la coscienza che pur non sa tacere in tale tempo, vediamo ora in secondo luogo i rimedi da applicarvi. Pre,2314:T1,5,2 Il rimedio è quello propostoci da Gesù Cristo: Esto consentiens adversario tuo cito dum es in via cum eo, ne forte tradat te adversarius judici, et judex tradat te ministro, et in carcerem mittaris. Amen dico tibi non exies inde donec reddas novissimum quadrantem. L'applicazione poi di questo rimedio si è quello che si offre in questi Esercizi all'esempio del prodigo, profittare della solitudine per pensare a sé, e non temere di rientrare in se stesso fin d'ora per via di continui esami pratici per evitare maggiori guai, combinare e trattare con Dio e la coscienza quella riconciliazione che la stessa coscienza esige per divenire tranquilla, giacché al suo giudizio s'accomoda il giudizio stesso di Dio. Pre,2314:T1,6,1 Considerazione 1o quale grazia è la coscienza 2o quanto gran male il resistervi e ostinarsi contro tale grazia Pre,2314:T1,6,2 Esame 1. Frattanto esaminarsi ora quale stima abbiamo fatto della coscienza, quanta resistenza abbiamo usata; 2. quali le cagioni che l'hanno fatta tacere o offuscata la forza della sua voce; quanto inutilmente ciò mi gioverà in morte; 3. quali rimedi devo apportarvi in questi giorni di Esercizi; con quale impegno devo applicarvi questi rimedi. Pre,2314:T1,6,3 Le remords de la conscience c'est une grande grâce. Bourdaloue, Dim. 9 après la Pentecôte, t. 3. Point de conscience aveugle sans quelques lueurs d'une conscience éclairée qui l'oblige au moins à s'instruire des devoirs qu'elle ignore. Point de conscience douteuse sans quelques principes d'une conscience sûre, qui la portent à s'assurer des devoirs dont elle doute. Point de conscience erronée sans quelques sentiments d'une conscience équitable qui suffisent pour la ramener aux devoirs dont elle s'écarte. Segaud, Carême, t. 2. La conscience nous représente, nous reproche, nous punit nos désordres quand nous les cachons, les excusons, les pardonnons. Segaud, ibidem. Coscienza: gran bene quando corregge, gran male quando castiga, peggior male quando né corregge, né castiga. Masotti, t. 2. Si usa ogni studio a non udire, ad alterare le voci della verità che in noi parla col testimonio sicuro e col dettame infallibile della coscienza. Venini, t. 2. Rimorsi della coscienza, gran travaglio coi suoi amari rimproveri e gran spavento con le sue terribili minacce al peccatore. Colombo, t. 2. Pre,2314:T1,6,4 Per conscientiam homo seipsum agnoscit in Deo, Deum percipit in seipso. Anima in se Deum, et in Deo seipsam mutua revelatione recipit. S. Bern. De Conscientia, p. 2. Conscientia est ergo scientia qua animus intuetur in Deo et Dei voluntate suas cogitationes, affectiones, desideria. Vicissim Deum in se agnoscit anima; percipit enim agentem in se conscientiam quæ vices gerit Dei per quam cum agitatur anima in anima agit Deus: cum ipsa docet, Deus docet; cum ipsa imperat, Deus imperat; cum ipsi anima paret, paret Deo. Signatum est super nos lumen vultus tui, Domine. Conscientiam sequens potest quis errare, sed non peccare. Pre,2314:T1,6,5 Ex Sarasa v. 2o Conscientiæ nostræ plenum actionum nostrarum judicium cessit Deus. I, 17, 18. Est arbitra actionum infallibilis et incorrupta IX, 12, 13, 14. Sibi ipsi mentiri non potest 17, 44. Conscientiæ bonæ commoda et deliciæ I, 19, 20. Patruum encomia, I 22, II 22 nota adj. Conscientia bona cælum est in terra I, 23. Conscientiæ componendæ ars præstantissima, necessaria, facillima I, 24. Conscientia quomodo recte vocetur Deus II, 3 seq. Vicarius atque oculus Dei X, 10. Regula prima agendorum judex; malefactorum reconciliatrix II, 4, 5, 6. Definitio II, 7. Ejus vis II, 8. Conscientia non est in voluntate II, 9 seq. 15, 20. Conscientiam malam quis habere potest v. gr. in materia pudicitiæ et contra II, 11. Voluntas bona non est conscientia, sed hanc arguit aut judicat II, 14. Non est scientia agendorum in genere, seu synderesis, sed in particulari II, 15 seq. Qui maximam habet scientiam, sæpe nullam habet conscientiam II, 18. Unde fiat quod multi boni speculativi, practici autem sunt pessimi II, 20. Conscientia magis flagitanda a Deo quam scientia II, 19. Conscientiæ cum Senatu symbolisatio II, 21. Pre,2314:T2,0,1 314-2 Instructiones P. Neumayr Pre,2314:T2,0,1 in Via compendii etc. 1o – pag. 58 De examine particulari. Docemus hujus examinis materiam, methodum, tempus; aliter utuntur incipientes, proficientes, perfecti. Vide Judde. 2o – pag. 111 De victu temperando. Determinatur victus quantitas, qualitas, modus; quæ omnia serviant imperium more quippe quæ impedit excessum, fovet modestiam. 3o – pag. 172 De scrupulis. Discernimus inter scrupulos de factis, de omissis, et de faciendis et omittendis utrisque medetur. 4o – pag. 226 De regulis prioribus pro discretione spirituum: Spiritus boni et mali describuntur, mores per similitudines, actiones per mutationes diversas pro diversitate subjecti seu personæ, et objecti seu materiæ. 5o – pag. 279 De tribus modis orandi nempe examen, meditatio, jaculatoriæ. De singulis habemus exemplum in oratione Dominica, per singulos hebdomadæ dies secundum singulas petitiones per modum Examinum expositas et continuatas. 6o – pag. 342 De regulis posterioribus pro discretione spirituum. Prioribus regulis usui futuris cum impulsus se movent cum desolatione, adduntur aliæ ad discernendos motus tempore consolationis. 7o – pag. 387 De regulis Eleemosynæ. Danda est corpori et animæ, sed cum ordine. Præferendi sunt pro quibus pugnat major obligatio, purior affectio, certior fructus, etsi fortasse minor. 8o – pag. 431 De regulis ut cum Ecclesia Catholica sentiamus. Oportet credere et fortiter fidem profiteri nempe 1o positive laudando, vel certe excusando, quod hæretici reprehendunt; 2o negative omittendo disputationes inutiles ex quibus periculum est ne pusilli scandalizentur. Pre,2314:T2,0,2 Conclusio Erga Deum in usu omnis orationis mentalis, vocalis, suspiriorum. Orare est occupari occupatione omnium utilissima. Qui hoc sibi persuadit semper orabit alacriter (pag. 328). Erga meipsum in usu omnis mortificationis, nempe abstinendo et sustinendo ut postulat cura ordinis, et perfectio officii (pag. 344). Nil potest homo excellentius agere, quam si cum excellentia fungatur officio, hoc solum canonizaret mundum. Erga proximum tuum de externis et de domesticis in omni exercitio caritatis, nempe agentis, patientis, compatientis, qui existimat male a se tempus perdi quod impendit in obsequio caritatis, ne is umquam erit studiosus operum misericordiæ, urbanitatis, zeli, tollenda hæc opinio, ita promptus ero ad omne officium. Pre,2314:T2,0,3 Neumayr Trid. pro literatis Dissertatio pro examine particulari, pag. 216 Exhortatio ad inchoandam vitam ab actu heroico, pag. 253 Pre,2314:T2,0,4 Neumayr Exterminium acediæ De signis amoris: amor orationis, laboris, crucis: amore appretiativo quantum meretur, affectivo quantum potest, pag. 133 Dissertatio contra vitam dissolutam, pag. 148 Actiones sine ordine: unde male ordinatus homo exterior quippe qui agit aut nil, aut malum, aut aliud quod debet. Passiones sine freno: unde male ordinatus homo interior. Modus pugnandi contra acediam tempore orationis, laboris, tribulationis, pag. 211 Constantia in bono: Deus ubique est spectator, adjutor, remunerator, pag. 233 Devotio Mariana efficax medium ad impetrandas gratias efficaces, pag. 245 Pre,2314:T2,0,5 Neumayr Gratia Vocationis De affectione ad functiones, pag. 56 Perpendit unde sit ista nausea dubium de vocatione, affectio ad occupationes alienas a statu, fuga molestiæ incommodorum, lucrum quærere; perpendit quomodo excitanda affectio per fidem, spem, caritatem; quomodo conservanda affectio per orationem, lectionem, exercitationem. De ordine: qualis modus, quantum bonum, pag. 103 De spiritu mundi: ubi de mortificationis natura, necessitate, praxi, pag. 140 De Spiritu Christi: ejus sensus, fructus, praxis, pag. 156 Pre,2314:T2,1 Neumayr Via Compendii in Examinibus 1o – Examen de Regulis Perfectionis propriæ, statui. S. Ign. in summario Constitutionum. Recensentur 1o Impedimenta quæ veniunt a quibusdam affectionibus 2o Adjumenta accersuntur a spiritu humilitatis, mortificationis, devotionis. Postquam declaravit causas scribendi et finem singularem intentum, hoc est perfectio propria et aliena, præscribit media ad perfectionem status in genere, in votis, et perfectionem disciplinæ et Instituti. Primum genus mediorum explicantur in primis 22 regulis sed ita ut a 3a ad 8am impedimenta removeantur, in reliquis adjumenta recenseantur perfectionis. Pre,2314:T2,1,1 Impedimenta porro sunt: 1o Nimia affectio ad certum locum. Reg. 3. 2o Nimia affectio ad singularitates quoad externam vitæ austeritatem in victu, vestitu, pænitentiis. Reg. 4. Virtus enim caracteristica est obœdientia. Non ideo tuæ pænitentiæ negligantur, sed quæ non suscipimus ex obligatione, sponte exerceri ex eo capite quod prosunt ad satisfactionem pro culpis, sui victoriam, orationis efficaciam maxime in necessitate extraordinaria. Nempe ut imitemur Apostolum castigatione libera urgent amor Christi, odium nostri, et timor reprobationis, etsi regula non imponat præceptum. Christus est noster Dux, Legifer, exemplum vitæ communis diversæ a vita S. Joannis Baptistæ. 3o Incuria conscientiæ ideo confessionem generalem, annuam, semestralem commendat Reg. 5. Item examen quotidianum, confessionem assiduam præscribit Reg. 6. Confessarium stabilem designat Reg. 7. Tenera conscientia tenere Deum amat, a Deo amatur. Amare et amari cessat qui displicere amanti non timet; timet autem (hoc signum habe) qui sæpe consulit speculum examinis et non obiter utitur baculo confessionis. 4o Nimia affectio ad consanguineos. Reg. 8. In his quæ Patris mei sunt oportet me esse. Christo soli vivendum, ipsumque pro parente, pro fratre habendum. Curæ ut bene sit tuis nugæ sunt quæ impediunt ne bene sit tibi. Nisi illis surdus, mutus sis, quietum non sinent. Mihi omnia Jesus. Pre,2314:T2,1,2 Adjumenta sunt: 1o Spiritus humilitatis qui impellere debet ut delationes tuorum defectuum non ægre feras, vult Reg. 9; correctiones libenter admittas, jubet Reg. 10; conceptus de rebus fluxis conceptibus mundi oppositos formare assuescas ita ut ex Christi sensa quæ mundus existimat comtemnas, quæ contemnit existimes, quod imperat Reg. 11. Nam insipiens est qui contraria Sapientiæ sentit; quod putas Christus an mundus errat? Domine, verba vitæ æternæ habes. 2o Spiritus mortificationis: quem optat Reg. 12 ut continuo operetur illud Christi axioma “vince teipsum”. Sic: officia humilia a quibus sensus abhorret promptius suscipiemus, quod vult Reg. 13; tentationibus non solum per languidum “Nolo”, sed per actus contrarios resistemus, quod cupit Reg. 14; constanter in observatione constitutionum etiam usque ad minutias contempta omni difficultate incumbemus quod votum est Reg. 15. Superius quam multa facit qui hæc pauca facit, quam magna facit qui in minimo est fidelis. 3o Spiritus devotionis quam æstimare super omnia naturæ talenta (quæ sine illa corpus inanime sunt) jubemur per Reg. 16. Hinc media devotioni obtinendæ et alendæ præscribuntur: 1. Usus bonæ intentionis ad singulas actiones, Reg. 17. 2. Exhortationes domesticæ, Reg. 18. 3. Exercitatio in officiis humilitatis cum liberali animo erga Deum, Reg. 19. 4. Cura perfectionis et excellentiæ in suo gradu et officio, Reg. 20. 5. Observatio temporis destinati ad spiritualia, Reg. 21. 6. Cautela contra illusiones, Reg. 22. Pre,2314:T2,2 2o – Examen de Regulis paupertatis Postulatur nempe: Paupertatis æstimatio ut muri qui arcent bestias silvæ. Bestiæ, silvæ, sunt vitia sæcularia ex frigidis parentibus nata quibus nomen est “meum, tuum”; hinc omnia mala communia, contentio, invidia, murmur, rixæ, gula et quidquid nomen passionis turbulentæ affectionis concordiam persequentis. Singularis ferus est vitium singularitatis in specie. Jesus dicit Beati pauperes, ergo non beati etc. Paupertatis amor ut mater quæ alit filios. Nam paupertas alit, vestit religiosum et curam habet ipsius Paupertatis exercitium ut virtutis quod athletam constituit. Quis filius ingenuus pudet profiteri quæ sit mater sua? Petitur æstimatio Reg. 23 Petitur affectio Reg. 24 Petitur exercitium, nimirum Reg. 25 vult ut tibi exoptes vilissima quælibet de suppellectile, et contentus sis victu, vestitu, cubili pauperibus conveniente. Reg. 26 prohibet mutuum dare et alios accipere et similes actus exercere sine licentia. Reg. 27 urget ut gratis demus quod gratis accepimus, ne pro obsequiis statui congruis petamus aut acceptemus etiam eleemosynæ nomine, stipendium hujuscemodi qua labor noster compensari videatur. Pre,2314:T2,3 3o – De regulis Castitatis Hujus virtutis explicatur perfectio, præscribuntur cautelæ, suggeruntur subsidia. Scilicet explicatur quanta esse debeat in religiosis et quomodo tanta esse possit. Hinc perfectio describitur in Reg. 28. Sit corpus mundum a venereis motibus, et mens munda a pravis cogitationibus. Sed neutrum in nostra potestate est; nec nocet sensus ubi deest consensus. Sed ut consensum cohibeas hoc pertinet ad substantiam castitatis, et etiam sensu careas quantum fieri potest ad perfectionem spectat angelicæ æmulam; Cautelas recenset Reg. 29 dum imperat custodiam sensuum, et commendat in conversando religiosam modestiam et curam gravitatis. Nominatim inculcantur oculi, aures, lingua quia portæ sunt per quas intrat species a quibus 1o teneræ, 2o sensuales, 3o carnales affectiones excitantur. Oculi jam ad quodlibet objectum vagi et in unum fixi quot Davidos straverunt. Item forma blandior, imago lasciva, liber petulans, calamus delicatus quot tragœdias excitarunt. Aures apertæ scurris, faventes adulantibus quas non nugas admittunt in animum ad perturbationem spirituum etiam dormienti molestam. Lingua garrula, effusa in jocos, loquens amores, pandens secreta cordis, item laudis prodiga, promissis dives, particularis amicitiæ appetens, credis quod innocens sit? Quid si insuper nulla est cura modestiæ, honestatis, gravitatis, non modo in conversatione publica, sed etiam in privatis colloquiis, etc.? Castitas amator non est qui est modestiæ, honestatis incurius. Pre,2314:T2,4,1 4o – De regulis obœdientiæ Describuntur obœdientiæ externæ conditiones et internæ proprietates. Reg. 31 explicat cui, cur, in quibus, quomodo sit obœdiendum. Cui? Superiori cuicumque tamquam Christo. Cur? Ut conformemur primæ et summæ regulæ omnis bonæ voluntatis et judicii. In quibus? In omnibus etsi sint difficilia, repugnantia sensualitati, excepto peccato. Quomodo? Interius cum reverentia, et amore erga jubentem Christi nomine; cum abnegatione propriæ voluntatis et judicii; circa rem imperatam. Exterius integre, prompte, fortiter et cum debita humilitate, sine excusatione et murmuratione. Si tua obœdientia non est talis, deest aut bona intentio aut fiducia erga Deum, nempe vel quæris quæ tua sunt, vel diffidis providentiæ quasi tibi melius prospicere posses extra hanc viam. Pre,2314:T2,4,2 Regulæ aliæ 9 exponunt media juvantia perfectum in hac virtute et quidem (1) – duæ intellectum disponunt, (2) – tres primæ voluntatem disponunt, (3) – reliquæ exercitium quotidianum determinant. Nempe: (1) ut intellectus se subiiciat duo juvant Reg. 32 habet ut providentiæ divinæ innixus liberam de te dispositionem relinquas, postquam quæ illum scire oportet satis edocuisti, ne iis quidem occultatis quæ ad propriam conscientiam pertinent. Reg. 33 docet ut obedias in spiritu amoris tamquam Deo. (2) Voluntati imperat Reg. 34 – promptitudinem tam celerem ut literam quoque imperfectam relinquas. Reg. 35 – constantiam tam invictam ut nullam contra excusationem admittas. Reg. 36 – simplicitatem tam cæcam ut velit te similem cadaveri, vel baculo in manu senis. (3) Exercitia quotidiana obœdientiæ determinat: Reg. 37 – in susceptione pænitentiarum vel per defectum inculpabilem impositarum. Reg. 38 – in obsequiis eoque præstandis, et in obœdientia etiam officialibus subordinatis. Reg. 39 – in litteris neque scribendis, nec accipiendis sine licentia. Reg. 40 et 41 – in reddenda ratione conscientiæ, et in manifestandis etiam bonis operibus cum voto ut a Superioris directione totus quantus dependeas. Reliquæ Regulæ Reg. 42 et 43 – jubent esse conformes in judiciis sine contestationibus in disputando victoriæ causa; unus in affectionibus sine studio partium. Reg. 44 et 45 – prohibent nimis otiari et occupari quod spiritum extinguit et opprimit. Reg. 46, 47, 48 – scriptæ sunt sanis commendant valetudinis curam cum moderamine. Reg. 49, 50 – pertinent ad ægros quibus obœdientia tamquam virtus propria illorum status commendatur. Pre,2314:T2,5 5o – De regulis fraternæ caritatis Traduntur Regulæ genericæ pro omni genere fraterno, specificæ pro singulis classibus, individuales pro singularibus personis. Regulæ genericæ: – Omnes sine discrimine amentur Corde: omnibus idem bonum volendo quod quisque vult sibi. Si gaudes cum gaudente, fles cum flente, cor tuum est rectum cum fratre tuo, non item si contra. Ore: de omnibus honorifice loquendum. Si revereris præsentem, laudes absentem, vel certe excusas errata, saltem intentionem, tunc os tuum meditatum est sapientiam, lingua tua loquitur judicium secus insipiens es, sine judicio es. Opere: omnibus præstando quodcumque obsequium præstari potest honeste sine detrimento boni majoris. Si habes expeditas manus et pedes ad fratris preces et necessitates etiam cum tuo incommodo et tempore inopportuno vivit in te caritas. Si immobilis es, ubi est anima? Si amat, sit ubi amat. Regulæ specificæ: Prima classis veteranorum. Isti juvenes non spernant. Illi sunt viri benemeriti, isti erunt et ut esse possint juvent consilio, adhortatione, subsidiis, nempe impatientia cum uno et particularis affectio erga alterum utrique nocet. Secunda classis juniorum. Isti veteranis assurgant. Petulantes pueri defectus naturales Elisei deriserunt. Tertia classis fratruum laicorum. Isti a nobis non ut servi sed ut fratres quales sunt, humaniter habeantur. Regulæ individuales: Externis affectio religiosæ caritatis non minus ac popularibus nostris debetur. Commune cælum est nostra patria, et incolæ orbis omnes sumus. Longe spiritus nationalis. Peregrini privilegiis hospitalitatis liberaliter fruantur. Christus in forma servi hospitio excipitur. Ægri summa cura curentur. Quilibet pro viribus juvet ut restituatur corpori sanitas, menti solatium. Opera misericordiæ corporalia et spiritualia exercendi apud ægros occasio est, si caritas vivit et amor proprius se non opponit. Tene regulam: “Quodcumque volueritis ut faciant vobis homines, et vos facite illis”. Aurea Regula. Pre,2314:T2,6 6o – De regulis modestiæ et conversationis Modestiam nostram notam vult apostolus Paulus omnibus hominibus, perinde vult eam esse virtutem a qua conversatio cum externis præcipue reguletur, quia a modestia pendent: 1o Religiosi auctoritas quia horologii bonitas ex indice noscitur. 2o Æstimatio religionis, quia ex conversatione incolarum arguimus de disciplina claustrali. Porro si hæc desunt Religiosus erit vir inutilis, quia nemo de salute sua agit cum homine quem non æstimat. Religio perdet candidatos, quia nemo filium quem amat credit Monasterio non disciplinato. Utrumque commendant humilitas (1), maturitas (2), affabilitas (3): (1) Humilitas verbis ac signis prodit quem de se modeste, de aliis honeste sentiat. Laudare se suaque fere numquam laudabile est. Carpere alios, et nil probare nisi quod nostra opera et consilio effectum est semper est turpe et hominis illiberalis, plerumque superbi, alienum fastum calcantis fastu majori. (2) Maturitas opponitur nugacitati inimicæ modestiæ. Sæculares expectant exemplum et verbum bonum, spectaculum facti sumus. (3) Affabilitas exigitur ut rusticitas excludatur. Hæc fuit Christi indoles austeritatem virtutis temperare per affabilitatem, a qua tantum abest honestas per delicias aversari ut in loco et tempore etiam adjuvet, ut constat ex aqua in vinum conversione pro nuptiis. Hæc amabilitas rapuit tum oculos in admirationem: manifestavit gloriam suam; tum animos in imitationem: in eo crediderunt ei discipuli ejus. Nimirum semper virtus in medio consistit. Prudentis est per circumstantiarum rationem medium determinare ne aut excedat, et deficiat. Qui excedit per scurrilitatem despicitur, qui deficit ab affabilitate per austeritatem horretur. Omne tulit punctum qui in conversando miscuit utile dulci, et quomodo sermonis initium promittit laicis, medium et finem sibi vindicat usurus occasione vel negotiandi, vel certe ædificandi. Pre,2314:T2,7 7o – De Regulis Officii Observanda in officiis: susceptione (a), administratione (b), depositione (c) et quanti referat illo fungi cum excellentia. Regulæ officii sunt illæ instructiones ex quorum norma Religiosus officio fungi debet ad spiritum Ordinis, cum clausulis præscriptis. Numquam satis inculcatur principium “Fac officium cum excellentia”: ex hoc pendet sanctitas officialis, salus Ordinis, satisfactio quam expectant fundatores, patroni, Respublica. Excellentia officii habetur si observentur sequentia in officii suscipiendo, administrando, deponendo. Pre,2314:T2,7,1 (a) In suscipiendo te gere ita ut non quæras, sed quæraris ad officium. Honor Religiosi apud Deum non accipiat splendorem ex officio, sed ab officii executione. Itaque ad omne officium te habilem fac, sed ad nullum intrude. Functiones ex officio agendæ fere omnes sunt regere, docere, prædicare, confitentes audire, ægros curare, œconomiam administrare. Non quæritur officium pro homine, sed homo pro officio, ut illud cum excellentia administretur quod raro speratur ab iis qui vel se intrudunt, vel intruduntur ab aliis. Istis sæpe deest peritia, et dona intellectus quæ officium deest: sæpius desiderantur vires voluntatis et heroica virtus ad vincendas difficultates. Istis semper benedictio de cælo parcius pluit. Si fructus ex officio non colligis, die quomodo intrasti. Pre,2314:T2,7,2 (b) In exequendo ad excellentiam requiritur spiritus internus (1) et perfectio externa (2). (1) Sunt qui si officio functi sint ad speciem, ita ut dici posse putent, se fecisse ad quod tenebantur contenti sunt. Superior aliquis minutias surget ad disciplinam spectantes. Qui docet implet tempus præscriptum lectioni, et dictat. Prædicator paratus est ad dicendum per horam sine periculo hæsitationis. Ita singuli sibi satisfaciunt, non Deo. Spiritus deest ille si animaverat multo alia esset officii cura. Virtutes superiori, doctori, prædicatori propriæ, signa vitæ multo alia ederent nimirum agerent et laborarent ut officium cum excellentia fieret et officialis omnia 5 talenta (nullo defosso) negotiationi impenderet. (2) Si quis intus ita dispositus est externa perfectio vix aberit. Perfectum est cui nil deest ex genere suo, hoc est, opus bonum ex integra causa, cui nullus defectus inhæret sive quoad tempus, fit enim suo tempore, quoad locum fit enim suo loco, quoad modum fit enim suo modo, quo fieri debet, ita ut Superior in corrigendo sit fortis sed simul humanus; Doctor doceat solide, sed et clare; Prædicator dicat bona, et insuper bene. Pauci isti sunt, excellentes inter paucos, omnibus viribus conari numerari. Pre,2314:T2,7,3 (c) In deponendo. Si post justas difficultates seu corporis seu animi Superiori sincere propositas non es auditus, equum est ultra nil urgere, sed expectare cum Christo depositionem de cruce. Si te penitius inspicis, amor proprius invenietur suggessisse mutationis consilium, nempe aut fugis molestiam, aut quæris otium, aut officium magis conspicuum ambis. Aliud est si aut jam pro senio non potes officio fungi, aut propter externa impedimenta nimis difficile potes et insuper advertis Superiores et communitatem tacite optare ut ultro te abdices, et tantum non urgere, ne contristaris. Tum quæso te depone; quousque enim pateris communitatem, ab inutili homine male haberi, et utiliori subjecto monasterium, scholam, cathedram privari. Ita servus emeritus eris. Pre,2314:T2,8,1 8o – De Regulis Zeli Zelum nostræ exercent animæ vel ex officio (1), vel occasione curandæ (2). Curentur zelo sincero qui sit serius, purus; prudente pro circumstantiis; forti contra obstacula. 1. Ex officio ad nos partient subditi, auditores, confitentes, discipuli, ægri et moribundi si simus superiores, concionatores, confessorii, magistri, parochi vel operarii. 2. Ex occasione curandos suscipere debemus quos Deus præter expectationem nostræ caritati commendat sive ut doceamus ignorantes; arguamus et confitemur errantes et errores contumaciter tenentes, vel corripiamus malitiosos et incurios suæ salutis et alieni scandali; erudiamur et adhortemus languentes opportune si fieri potest; si non, importune, hoc est, opportunitate prudenter captata. Pre,2314:T2,8,2 Hæc est materia zeli, ejus forma ut sit sincerus (1), prudens (2), fortis (3). (1) Sincerus, hoc est, serius, non simulatus, purus qui non quærat quæ sua sunt sed quæ Jesu Christi. Serius non est si seipsum negligit; nemo enim serio vult alteri bonum quod ipse sibi non cuperet si in alterius loco esset. Simulatus est qui media vel inepta adhibet, vel apta procrastinat, vel aptiora munus aptis non profert cum potest. A diabolo exemplum cape, disces quod serio te perditum velit. Purus non est qui inter personas distinguit, favores captat, offensas metuit attendens ad eventus mere possibiles. Purus animas considerat tamquam essent in statu separationis, favoribus utitur usque ad aram, offensas cavet impendituras majus bonum. N.B. Offensas, non irrationabiles, pharisaicas, soli bono temporali noxias. Christi vitam publicam inspice. Pre,2314:T2,8,3 (2) Prudens, et circumspectus pro circumstantiis quæ impedire vel promovere eventum optatum possint. Multum refert: quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando rem agas; propterea festina, sed lente, ne quid per impetum fiat, nempe si res moram patitur. Certe nil decernes tuto, ni prius cum Josue saltem Deum consulas per breve suspirium, etiam alios consiliarios idoneos adhibeas, post alios auditos illorum sensus cum tuo contuleris. Adde quod zelus prudens non transilit limites sui status et officii sive re sive modo, quia ut omnis virtus moralis potest peccare jam per defectum, et per excessum, virtus in medio. Pre,2314:T2,8,4 (3) Fortis atque magnanimus. Si incommoda fugis a victu, tempestate, habitatione, valetudini metuenda, ne tu famosus apostolus fies. Si tibi labor itinerum, contentio dicendi ex cathedra, sessio diuturna in sacro tribunali, hominum ruditas et cruditas, inter intolerabiles molestias numerandæ videntur, ne tu grandem messem in horrea inferes. Si tu contradictionum, calumniarum, mendaciorum, impedimentorum quæ tuis conatibus obicientur, impatiens es, ne tu celeriter te subduces ex acie, ut extra teli iactum securius videas alios cum his monstris certare. Si tu post unam et alteram impressionem sine fructu tentatam aciem concides solvas obsidionem: ne tu brevi orbem terrarum Christo vectigale facies. Si tu levi vulnere perstrictus a vivo sanguine expollescas ne tu per mortis contemptum victorias alias aliasque a diabolo auferes, regni tenebrarum formidabilis hostis. Ignave! Si zelus est fortis amat incommoda, nutritur a molestiis, accenditur ab impedimentis, triumphat in ærumnis, stans et pugnans mori desiderat, neque desinit pugnare citius quam vivere. Hinc metire te quantus sis. Pre,2314:T3,1 314-3 1o De religionis exercitiis erga Deum, Neumayr pag. 308, 342, 279, 172. 2o De custodia votorum, pag. 61, 114, 105, 179, 130, 160. 3o De cura Officii, 344, fac cum excellentia ad hoc, spiritus internus, perfectio externa quod tempus, locum, modum. 4o De modo agendi cum aliis, pag. 229, 417, 389, 387, 296. 5o De cura sui erga corpus et animam, 374, 399, 355, 310, 241, 226, 170, 154, 111. 6o De usu occasionum maxime humilitatis, patientiæ, caritatis, mortificationis, et zeli. 262, 221, 127, 94, 71. Impedimenta perfectionis personarum Incuria conscientiæ: amare et amari cessat qui displicere amanti non timet; timet autem qui sæpe consulit speculum (examen) et non obiter utitur balneo (confessione). Hinc propono confessionem octiduanam, examen quotidianum. Pre,2314:T3,2 Defectus mortificationis necessariæ 1o ad satisfactionem pro culpis, 2o ad sui victoriam, 3o ad orationis efficaciam. Omnia peccata veniunt ex amore sui, remedium impellit amor Christi, odium sui ipsius, et timor reprobationis. Qui Christi sunt carnem suam crucifixerunt, ego stigmata Domini mei porto. Christianus peccator sum homo. Qui non accipit crucem suam, non est me dignus. Homo nascitur ad laborem. Certo ut bonus miles Christi. Milites deliciæ enervant, ex molestiis duramur. Nolite errare, molles regnum Dei non possidebunt. Cælum vim patitur, arta via est. Væ qui ridetis, patria vallis lacrimarum. Religio nostra crux. Pro mortificatione interna. Nulla affectio naturalis sit irregularis. N.B. ne caveas facile fidem habes amori proprio inimico mentienti naturam succumbere ne appetitui satisfacias, cave ne sub specie necessitatis naturæ faveas carni, mundique illecebris; facile enim qui sanctus esse cupit, commode fieri vult. Vigilantia opus est quæ exercetur per frequentem reflectionem ad originem, modum, finem ac motus naturæ, si quid irregulare, hoc est, extra ordinem et tempus in ipsis deprehendit, aut inquietum principe per moram, donec mari cordis redeat tranquillitas et tunc potius deflecte pro parte contraria, et sic per resistentiam trahitur ad supplicium proditor per vigilantiam detectus. Pre,2314:T3,3 La perfezione della carità esige mondezza di corpo, di mente, di sentimenti, di affetti, e non solo con l'allontanare il consenso (che appartiene alla sostanza) ma anche l'occasione del senso. Non basta essere semicasti. I mezzi sono: custodia dei sensi, modestia e gravità. I difetti sono: mancare di modestia, licenza degli occhi, leggere libri e qualche volta altri oggetti a titolo di curiosità; così fanno interrogazioni certe volte che paiono necessarie o utili (seppure lo fossero) e vi sottentra la curiosità, l'intelletto inclinato ad interpretare motti equivoci, ad indagare fatti altrui; negligenza nel cacciare pensieri, nel resistere a tentazioni; si notino gli scandali che si possono essere dati. Pre,2314:T3,4 Quanto all'obbedienza, operare tante volte con qualche dubbio, non aprire il cuore in tante circostanze, operare da solo per non essere contrariato, fare le cose suggerite con molta renitenza, qualche volta non farle, non credendosi soggetti all'obbedienza. Obœdiendum 1o interius cum reverentia, et amore erga jubentem Christi nomine, cum abnegatione propriæ voluntatis, et judicii circa rem imperatam; 2o exterius, integre, fortiter, prompte, cum debita humilitate, sine excusatione, sine murmuratione, senza cercare il perché, né disputare degli effetti, né cruciarsi del modo. Quanto alla povertà, allontanare ogni desiderio, desiderare solo il necessario circa il cibo, vestito, abitazione, suppellettile conveniente per poveri, e qualche volta saper anche mancare di questo stesso; prestare gratis gli uffici propri del nostro stato anche senza speranza di elemosina o riconoscenza, ciò che esige l'edificazione del prossimo e la libertà apostolica. Superfluis commodis carere cura semper, jucundis plerumque, necessariis sæpe. Difetti: aver perduto del tempo per pensare più del dovere alla roba, per questo aver dato causa, ed avuto delle sollecitudini troppe a distrazioni in tempo di pratiche di pietà, per questo aver mancato di carità corporale col prossimo, e quindi dato occasione a mormorazioni. Compiacersi a fare atti d'amore verso il prossimo, ora desiderandogli l'unione o la maggior unione con Dio, ora compiacendosi degli stessi doni divini che già in lui risiedono: desiderare occasioni per procurare al prossimo ogni bene spirituale. Pre,2314:T3,5 Erga Proximum Omnes diligendi propter Deum et quomodo Christus dilexit Caritas Christi fuit agens, patiens, compatiens. 1o Agens pertransit benefaciendo omnes, benefaciebat corporibus: cæci vident, n.b. pretium horum operum in die iudicii, item [quomodo] sancti sedulo exercuerint, occasiones non negligentes sed inquirentes; n.b., occasio, si male utatur malum facit, si sancte sanctum. Animabus: pauperes evangelizantur: cum animabus agendum tamquam separatis a corpore, tunc enim sanguis forma vestis munuscula nihili æstimantur; n.b.: excitandus amor tener erga pauperes, et plebejas personas, tamquam si cum fillis principum ageres, magni faciendus est quisquis Christo visus est dignus divini sanguinis pretio. Regula: magni æstimare amorem pauperum, parvi æstimare amorem grandium. 2o Patiens caritas est: animalia (hoc est fastidia in cura animarum) devoranda sunt ut in visione Petri, diligendus proximus sicut Deus dilexit nos, qui pro nobis mortuus est: patientia armatus debet esse minister Christi. 3o Compatiens 1. defectibus naturalibus qui non aversionem, et contemptum sed miserationem merentur. 2. Defectibus moralibus obstinati, ingrati, deceptores patientiam probant. Obstinatis compassio habenda propter stupiditatem, non enim valent bonum verum a malo discernere, oratio franget, ora ut orent. Ingratis mansuetudo opponenda. Deceptores sustinendi, non enim eventum, sed conatum coronat Deus; nec omittenda opera caritatis, ne decipiantur uti pigro accidit defodienti talentum ut nemo furetur. Pre,2314:T3,6 Quoad officium muneris Apostolici: tertia pars tempori diei est expendenda, quia altera jam impeditur pro corpore, altera impendenda pro Deo et anima. Animæ præferendæ sunt pro quibus major adest obligatio, purior affectus, certior fructus quamquam minor; secus quam pænitebit in die judicii obligationes neglexisse ut servires affectui, et affectus ad eos pro quibus tempus et vires perdidisti. Opus faciendum cum excellentia etc. et amore laboris. Zelus vero debet esse sincerus, prudens, fortis. Sincerus debet esse serius et purus: serius seipsum non negligit: nemo enim æstimat et serio vult alteri bonum quod ipse sibi non curat; item media inepta non adhibet, apta non procrastinat, aptiora præfert: a diabolo exemplum. Purus qui non quærit quæ sua sunt, sed quæ Jesu Christi; personas non distinguit, sed eas considerat tamquam in statu separationis, favores non captat sed iisque utitur usque ad aras, offensas non metuit, solum cavet impedituras bonum majus, non irrationabiles, pharisaicas, soli bono temporali noxias, exemplum Christi. Prudens pro circumstantiis quæ impedire, vel promovere possunt: festina lente si moram patitur ne quid per impetum fiat; consule Deum, alios idoneos, confer aliorum sensum cum tuo; demum non transilias limites status et officii sive in re, sive in modo ne per excessum, vel per defectum peccet; virtus in medio. Fortis, et magnanimus, incommoda per difficultates non metuit, imo amat incommoda, nutritur molestiis, ab impedimentis accenditur, in ærumnis triumphat ad vincendum, aut ad moriendum paratus. Pre,2314:T3,7 Reg. pro mortificatione interna et externa Is et sola affectio vel humiliatio omittenda quæ probabiliter est impeditiva boni majoris, hoc est: 1o illæ sunt vitiosæ et solæ quæ intra breve tempus corporis vires et valetudinem plusquam mediocriter labefactandi vim habent. (Rodrig. p. 3 tr. 5 c. 17). 2o Illæ sunt vitiosæ quæ reliquarum virtutum exercitio notabile impedimentum afferunt, neque notabiliter minus habiles reddunt officiis proprii status vel aliis functionibus utilioribus quam ipsa mortificatio. 3o Rigor respondere debet viribus corporis, numero et gravitate peccatorum, et divino impulsui. Debet homo habere corpus suum sicut ægrotum, cui etiam multum volenti inutilia sunt neganda, utilia etiam nolenti sunt injungenda. Pre,2314:T3,8 Sustine, Abstine, Fuge, Tace, Quiesce. Pro externa: Sustine quæcumque nolente accidunt a cælo, a terra, ab inferis, vel quæ tibi volens ac prudens inferes mala sive ad corporis sive ad voluntatis et judicii mortificationem. Abstine ab omnibus quæ natura appetit præter necessitatem circa alimenta, vestitum, somnum, diversiones, etc. vigiliæ, jejunia, opera pænitentiæ in deliciis sint. Pro interna: Ad cupiditatem fuge, ad iram tace, ad timorem quiesce. Fuge occasionem per quam satiari cupido posset sive muta objectum cupiditatis in aliud sanctum ex fide. Age contrarium, strenue aggredere te, vince teipsum. Tace quum offenderis verbo, signo, re, jure vel injuria, impetum iræ frange silentio, quasi non audisses. Muta objectum irascere tibi ipsi (S. Gris.), nemo læditur nisi a seipso; passus es aliquid mali? Si velis non est malum, gratias Deo age, et mutatur malum in bonum. Age contrarium: 1. verbum aut factum neglige; 2. excusare; 3. in melius interpretari; 4. approbare; 5. beneficio compensare. Quiesce ad timores hominis, difficultatis, mali imminentis, qui cor perturbant, cordi impera quietem; tene principium nil cupe, nil time nisi quod æternum est. Muta objectum, Deum time, timor major minorem expellit, opprimet. Age contrarium: spernere mundum, spernere seipsum, spernere nullum, spernere sperni (S. Filippo). Pre,2314:T4,1,1 314-4 Pre,2314:T4,1,1 Esame per una Religiosa In ordine a Dio Primo pensiero a Dio, Levarsi all'ora prescritta, Esercizio della mattina. Meditazione Punto, preparazione, distrazione, risoluzione, ripigliarla. Officio A tempo, senz'attenzione, aspirazioni. Messa Lasciata, sentita con noia o disapplicazione, esercizio della Messa, Comunione spirituale. Confessione Esame, contrizione, proponimento, sincerità, penitenza, riflessioni, inquietarsene. Comunione Lasciata, preparazione, azione di grazie, ricordarsene. Ricordarsene Ispirazioni, purità d'intenzione, rispetti umani, preghiere vocali, corona. Rispetto alle Chiese Ridere, guardare, dare occasione, ridersi delle cose sante, portare con pena il giogo della Religiosa. Pre,2314:T4,1,2 Feste In che s'impieghino, se vi si preparano con novene e pratiche. Prediche Sparlare del predicatore, annoiarsi, ridere della parola di Dio, parlare di Dio se dispiace, virtù teologali, cardinali, umiltà. Prossimo Affezioni particolari, avversioni, impazienze, ridersi del prossimo, imprecazioni, odi, rancori, pensieri di risentimento, vendette, premeditarne, agire con spirito di vendetta, contestare, domandare perdono, sparlare dei Superiori, mormorazioni, detrazioni, contribuirvi, ascoltarle con piacere, non impedirle, supporto del prossimo, parole contrarie alla carità, di poca stima del prossimo, sminuirne le lodi, rapporti, seminare la discordia, sospetti, giudizi, dare cattive interpretazioni, osservare il segreto, cattivi consigli. Se stessa Mischiarsi di ciò che non ci appartiene, modestia, mortificazione, disuguaglianza di umore, malinconia, pusillanimità, tedio di fare il bene, impedire il male, male esempio, scusarsi, scusare le inosservanze, parole inutili, lodarsi, o parole di propria lode, bugie, conti ridicoli fuori di tempo, singolarità, pretesti per esimersi dall'osservanza, costumi del Monastero, dire la colpa al refettorio, al Capitolo. Pre,2314:T4,1,3 Mensa Cose contrarie alla sanità, mortificazioni, attenzione alla lettura, lamentarsi, lasciare di mangiare, rendersi difficili a contentare. Ricreazioni Assentarsene, contestarvi senza lo spirito che si conviene. Silenzio… in che s'impieghi. Lezione spirituale Lasciarla senza causa, curiosità, se nel libro prescritto. Assemblea Attenzione alla lettura, trattenersi dall'inutilità. Atti di comunità Assentarsene per umore o per altro motivo, noia, o senza spirito. Esame generale, mettersi a letto a tempo, superstizione di sogni. Clausura Contribuire all'entrate non necessarie, essere causa che si rilasci. Regole e Costituzioni Se si osservano con amore, se se ne parla con stima, se si leggono ogni mese, lettere che vanno fuori. Parlatorio Rapporto di ciò che s'ode nel tempo della Comunità, non dire parole d'edificazione. Pre,2314:T4,1,4 Rendimento di conto Esentarsene, sincerità. Dipendenza dalle ufficiali, perdere tempo. Voti: Povertà Dare, ricevere, prestare, spendere inutilmente o senza licenza, domandare, nascondere, lamentarsi, spendere a suo uso senza licenza, cura di ciò che abbiamo. Castità Pensieri, immaginazioni, letture, parole, gesti, movimenti, atti, toccamenti non necessari. Obbedienza Repliche, prontezza, ripugnanze, sommissione di giudizio e di volontà. Correzioni Affliggersene, inginocchiarsi, rispondere, replicare, scusarsi, piangere. Beatus qui se emendaverit ab his. D.S.B. Pre,2314:T4,2 Esame generale Da Figliuola Circa la purità seco, con altri, per libertà date, concesse. Pensieri contro la stessa virtù. Ubbidienza. Roba di casa, altrui. Vanità. Discorsi di danno al prossimo di cose impure uditi, fatti. Pre,2314:T4,3 Da maritata la prima volta Purità seco, col marito, con altri permettendo, chiedendo. Pensieri contro la stessa virtù. Ubbidienza al marito nel matrimonio, in altre cose. Roba, etc. Vanità. Discorsi etc. Pre,2314:T4,4 Da maritata la seconda volta Purità seco, col marito, con altri permettendo, chiedendo. Scandali, sguardi, vestito, parole. Discorsi impuri, di mormorazione uditi, fatti. Figliuoli: mancanza d'esempio, correzione, istruzione. Servi: lo stesso di sopra, più comandi, mercede, male esempio. Pensieri d'odio, d'amore. Pre,2314:T4,5 Vedova Libertà in materia di castità seco, con altri. Scandali, sguardi, vestito, parole. Roba, etc. Feste: lavoro, Messa. Digiuni. Servi: comandi, mercede, male esempio. Pensieri d'odio, d'amore. Pre,2314:T5,1 314-5 Præcepta Deum spectantia affirmativa: 1. In diebus festi labor peractus, missa omissa sine necessitate vel alios alienando, verbum Dei negligendo vel urgendo. – In diebus præcepti carnes, jejunia non servata una comestione. – In diebus Paschæ communio, confessio omissa; 2. Quoad confessionem pænitentia non expleta, peccata mortalia omissa, culpabili omissione, oblivione, defectus doloris; 3. Quoad sacramenta si suscepta in statu peccati mortalis. Primum præceptum Decalogi: dubium de rebus fidei, lectio aut retentio librorum prohibitorum, murmuratio contra Deum, despectus rerum sacrarum, sacrilegium, usus vel fides in rebus superstitiosis. N.B. vana observantia non est facile damnanda peccati mortalis propter occultas naturæ vires libertas applicandi activa passivis vim possessione quamdiu per evidentiam moralem non exturbetur. Secundum præceptum: juramentum sine necessitate, de re falsa, violatio juramenti, voti, blasphemia, periurium, ad voces res sacras significantes sine attentione ad Deum prolatæ ex impatientia per se non sunt blasphemiæ, sed abusus divini nominis raro mortalis nisi inter lusores, et de salute desperantes qui solent ad contemptum Dei eas ordinare. Quartum: parentibus vel superioribus non obœdiendo, irreverenter agendo, verbis, vel signis, vel factis, murmurando, contemnendo, non succurrendo in necessitate. Quintum: in corpore ledendo graviter non parcendo magnam inimicitiam fovendo interne odio, externe verbo aut opere, vindictam quærendo, imprecando, maledicendo, injurando; ira tunc est injusta quando etc. Pre,2314:T5,2 Amor proximi extenditur etiam ad inimicos: prohibet odium internum, ira injusta sive quæ excedit in causa aut in modo Hæc omnis damnificatio proximi corde, ore, opere facta contra jus suum, sive illius animam spectet aut corpus, aut fortunas, aut famam, unde oritur onus omnis possibilis reparationis, item omnis rei alienæ concupiscentia ex quibus talia oriri solent. Actus misericordiæ corporalis et spiritualis obligant sub gravi in casu gravis necessitatis nisi moralis impossibilitas aut desperatio fructus aut metus mali majoris excuset. Præcepta affirmativa dilectionis proximi eleemosyna, correptio, signa externa dilectionis externæ. Obligatio eleemosynæ tunc gravis est cum conveniunt circumstantiæ in quibus si tu esses pauper merito tristaveris de duritie alterius sciens quod negandæ opis causa non sit alia propter avaritiam, aut contemptum aut odium. Correptio tum urget sub gravi quando per tuam conniventiam si es superior, aut reticentiam si es par, grave peccatum vel committitur, vel continuatur certo per te, vel alios impediendum si ausus fuisses loqui. Signa communia caritatis negare tunc est mortale, quando graviter noxios effectus habet, quales sunt scandalum aut odii alimentum; quando vero hæc negatio conjuncta est cum preparatione animi ad officia portanda pro casu obligationis et scandalum abest, non est mortale quum demonstratio amaritudinis ex offensa in tali casu non habet rationem vindictæ sed cautelæ, ne offensa repetatur si insensibilis videaris. Pre,2314:T5,3 Præcepta negativa prohibent omnem damnificationem injustam corde, ore, opere illatam animæ per scandalum corpori, per violentiam fortunis, per injuriam seu injustitiam famæ, per diffamationem. Scandalum pharisaicum numquam pusillorum sæpe directum semper vitare tenemur, sed sub mortali tunc solum cum aut intendimus, aut prævidemus fore ut ex nostra actione, sermone omissione, aut permissione oriatur in aliis gravis tentatio ad peccandum sive in eodem, sive in diverso genere, ita ut moraliter certum sit saltem aliquem succubiturum. Si enim facilis resistentia est, non est positum grave offendiculum caritati. Quoad cooperationem cooperatio letalis est, quando actio tua intrinsece mala est graviter et non indifferens, aut si sine tua cooperatione peccatum certo non fieret. Cooperationem mere materialem magnum sive lucrum cessans, sive damnum emergens excusat. Violentiæ graviter metit ex causa et modo aggressione, si aggressionis tuæ causa defensio est, et modus inculpatæ tutelæ innocens es. Si ratione vindictæ rixaris pro ratione damni quod vis inferre graviter aut leviter peccas. Similiter pro ratione damni quod vis inferre, metienda gravitas cæterarum injuriarum tam realium, quam verbalium habita insuper attentione ad alias circumstantias ex quibus judicari potest, an et quietum læsus lædenti rationabiliter possit irasci. Pre,2314:T5,4 Arbor bona bonos fructus facit, arbor mala (quæ excidatur) malos fructus facit (Matth. 7). Radix omnium malorum cupiditas (1 Tim.). Arboris malæ radix cupiditas mala seu concupiscentia triplex, honoris, oculorum, carnis, ex corruptione seminis transfusa a parentibus. Arboris malæ truncus cujus (incipit) initium habet ab imaginatione ad delectationem, cujus (procedit) medium in delectatione morosa cum adversione periculi, cujus (consumatur) terminum in malo consensu duplici, hoc est in delectationem et opus. Arboris malæ rami: cogitationes vel affectiones quæ ex voluntate procedunt, et nomen operi imponunt, ex intentione animi opera judicantur. Arboris malæ folia: verba propter fluxibilitatem vel vanitatem de natura verborum. Arboris malæ fructus operationes. Actus alii sunt natura sua boni aut indifferentes, his affectus nomen imponunt; sed ex causa et fine malitiam aut bonitatem sortiri possunt ut occidere in auctoritate malefactori; natura sua mali quos nulla intentio vel finis bonus bonos reddere potest. Circumstantiæ: quo (hoc est metu), quis, ubi, cum quo, quotiens (an per consuetudinem), quomodo, quando. Pre,2314:T5,5 Mortale est quod est directe contra Deum et proximum. Ex prima radice cupiditatis, hoc est superbia, rami tres: præsumptio, quando quis præsumit gratiam se habere, cujus ramusculi quattuor, ex se, pro merito, falso, plus omnibus aliis, unde folia oriuntur elationis mentis, confidentiæ de se, inordinatæ audaciæ; inanis gloria; contemptus erga Deum et proximum, ex hoc ramo oritur folia tentationis Dei, discrimini, se exponere temerarie. 1. Hinc erga Deum irreverentia in facto et in rebus divinis, hoc est locis, personis uti parentibus, principibus, majoribus, senioribus, pastoribus spiritualibus, viris sanctis, temporibus, sacramentis, rebus sacris; 2. erga proximum subtractio a verbo et societate; ostendere indignationem et contemptum gestu et verbis; hinc irriverentia in verbo, ironia seu alterius detestatio per contrarium, derisio in voce, subsannatio in gestu trahendo linguam, faciendo nutus; 3. erga Deum et proximum: inobœdientia a potestate et subjectione alterius se eximere, nollens subesse unde: murmuratio, blasphemia, pertinacia, rebellio, transgressio; infidelitas inde divinatio, apostasia, idolatria. N.B. mortale quia directe contra Deum et ejus reverentiam cum creatura ultra quod a factore accepit, extollitur et quasi usurpare præsumit. N.B. ad mortale requiritur quod ex deliberatione procedat, sunt enim motus plurimi qui in hanc rationem preveniunt, sed ratio advertens reprimit, vel saltem non consentit. Pre,2314:*1 Da intendersi che la coscienza la conduce per mano. Pre,2315:S Analisi degli Esercizi di S. Ignazio AOMV, S. 2,11,9:315 Undici studi vari e istruzioni per gli Esercizi. Autografi di varie epoche. Esercizi di S. Ignazio (N. 1) 1. Analisi degli Esercizi per otto giorni ecc. 2. Indice delle meditazioni ed istruzioni da dettarsi negli Esercizi. 3. Traccia di meditazioni ed istruzioni. 4. Sistema degli Esercizi e motivi per cui si preferiscono gli Esercizi a qualunque altro genere di predicazione. 5. Scopo degli Esercizi di S. Ignazio. 6. Gli Esercizi scuola dei retti giudizi e dei santi affetti. 7. Epilogo degli Esercizi di S. Ignazio ecc. 8. Mezzi ed industrie per assicurare l'esito degli Esercizi. 9. La Maestà e bontà di Dio considerata negli Esercizi ecc. 10. Altro epilogo degli Esercizi. 11. (seguito del doc. S. 2,6,11:222) Idea degli Esercizi – Forma di ciascuna meditazione degli Esercizi – Osservazioni sulle Meditazioni ecc. ecc. (opera stampata quindi da Marietti nel 1829). Pre,2315:T1,1 315-1 Pre,2315:T1,1 Dio *1 1o. Principio fondamentale. Eccellenza infinita, Abisso di perfezione. Padronanza suprema per titolo di creazione e circostanze. Bontà somma in volersi comunicare tutto all'uomo anche in questa vita: Ego Dominus Deus (stato di grazia) e nell'altra [vita] la sua stessa Gloria. Primo giorno: Noverim Te nella meditazione del fine dell'uomo e delle creature. Dio e l'anima quale viene dalle mani di Dio. Grandezza dell'uno e dell'altra. 2o. Conseguenze: sommo rispetto, adorazione. Servizio ed obbedienza totale ad ogni comando e volontà di Dio. Amore nel servirlo: Questa è tutta l'occupazione ed affare dell'uomo: occupazione essenziale, personale, unica, unum necessarium, unum utile, massimo unde pendet æternitas felix aut infelix. Vere dignum et justum est æquum et salutare. Sovente: – adorare Dio presente: in ipso vivimus, movemur et sumus, siamo suo tempio, trono, abitazione come Dio, Padrone e Padre; – Gloria Patri etc.; – Atti di amore di Dio super omnia; – Benedicamus Patrem et Filium cum Spiritu Sancto etc. Indifferenza, ma non per il fine, ma per tutti i mezzi. Major sum et ad majora natus. Difetto di questa indifferenza, origine della resistenza alla volontà di Dio. Pre,2315:T1,2 2o giorno, Anima in manibus meis: Noverim Me nel castigo degli Angeli e di Adamo. Conseguenti di questa indifferenza: gli affetti sono i passi con i quali uno si avvicina a Dio, sommo bene, o alla creatura, bene fallace. Vide Vatier, Entretien du premier jour, du vrai bien, vrai mal de l'homme; – du 2e jour, de la gravité du péché; – de l'unique affaire de l'homme dans cette vie. 1) Inclinazione ed amore: alla stima di se stesso, amor honoris comune con gli Angeli ribelli; alla sensualità del corpo, amor cuticulæ proprio dell'uomo massime decaduto, quindi grande diffidenza di sé, massime in vista della caduta degli stessi Angioli. 2) Orrore e fuga dei disprezzi e degli incomodi e patimenti. L'inclinazione e affetto a detti oggetti: – impedimento all'indifferenza e a fare la volontà di Dio; – cagione di ogni peccato mortale e veniale. Il secondare d'affetto procura primo i moti primi e forma il peccato mortale, veniale. Quindi il veniale cagiona indisposizione e diminuzione di grazia, merita ogni disprezzo e ogni patimento in questa vita, né può soddisfarsi che coi patimenti di un Dio disprezzato e paziente; il mortale merita ogni avvilimento di spirito e ogni patimento di corpo in eterno. Dunque alla vista dei propri peccati e per rimediarvi per l'avvenire: 1. guardarsi dalla suddetta inclinazione, amore, fuga, orrore, avere sempre presente Dio grande e padrone e per massima quod Deus vult e dire fac mecum quod scis et vis, nam scio quod amator sis (S. Ign.). 2. Accettare come di giustizia ogni umiliazione di spirito e patimenti di corpo. 3. Preferire l'umiliazione e i patimenti ad imitazione di Gesù Cristo nostro riparatore, nostro Maestro, nostro Modello, nostro aiuto. Il fine soprannaturale: possedere Dio in questa vita nello stato di grazia, e godere Dio nell'altra nello stato di gloria. I mezzi soprannaturali: fede, speranza e carità. Pre,2315:T1,3 Dio e la creatura sono i due estremi: avvicinandosi a Dio l'anima diviene nobile, grande; avvicinandosi alla creatura l'anima diviene piccola e macchiata. Gli affetti sono i passi coi quali l'anima s'approssima o a Dio o alla creatura. Dunque importante esercitarsi continuamente in atti di carità, disprezzare la creatura e cercare anche di dimenticarsi di essa per non occuparsi che di Dio; praticare la superiorità d'animo, l'anima è già più grande di tutto il creato, questo può ben occuparlo ma non soddisfarla, anzi la pregiudica ben sovente. (Vedi Bordoni T. 5, Morte mistica, discorso ultimo) Pre,2315:T1,4 3o Giorno, Eternità Riconoscere nella morte la padronanza di Dio e l'uomo usufruttario secondo la volontà del padrone e con l'obbligo di renderne conto. Quindi: – servirsi delle creature come se dovessimo ogni momento morire e renderne conto; – rinnovare il voto di povertà dando volontariamente a Dio quel che è già suo: quidquid habeo vel possideo mihi largitus es; id totum jam nunc tibi restituo; – considerare il corpo e trattarlo come vittima da sacrificare a Dio ad imitazione di Gesù Cristo; superiorità d'animo, numquid mancipium sum corporis mei? Pre,2315:T1,5 La morte insegna la stima che deve farsi dei beni di questa terra, del corpo, il quale di più deve odiarsi perché incentivo a tante offese di Dio. Pre,2315:T1,6 Nel Giudizio si fa l'anatomia dell'anima, dell'uso della memoria ricettacolo di cattive immagini; dell'intelletto ripieno di errori, ignoranza etc. e della volontà impastata di malignità. Si conosce quanto grande la propensione al male e l'impotenza al bene, il niente dell'anima in essendo, operando e merendo, e quali sono i suoi meriti e quanto deve umiliarsi. Pre,2315:T1,7 Inferno (Bellecio) insegna l'importanza d'attendere all'ultimo fine ben seriamente, e dimostra perché Gesù Cristo ha patito tanto per sua bontà, per liberarci; dimostra che dobbiamo soffrire qualunque cosa per non andarci, e quanto dobbiamo adoperarci per salvare altri e quanto preme stabilire la Congregazione degli Oblati di M.V. Il peccato, l'Inferno, la Passione di un Dio, tre oggetti infiniti, corrispondenti, incomprensibili. Pre,2315:T1,8 Meditazione del Figliuol prodigo: dimostra il male che risulta dal servirci della nostra volontà in proprio con allontanarci e separarci da Dio; 1o – fa ingiuria a Dio da cui non si riconosce e a cui si toglie la padronanza e la dipendenza; 2o – cagiona lucrum cessans, damnum emergens. In ogni momento e azione entrare nel gabinetto del nostro cuore ove dimora e vuole comandare e regnare il nostro Padre celeste per interrogarLo di quel che vuole, indi con gusto fare quel che vuole e come lo vuole. Noi non abbiamo alcun affare nostro, né alcuna cosa nostra: uno solo è l'affare nostro, cioè il fare la volontà di Dio. Ogni atto di propria volontà ci fa perdere irreparabilmente un aumento di grazia e di gloria, e ci dispone continuamente a mancamenti e peccati. Non deve sacrificarsi un menomo bene, eterno, infinito che può risultare da qualunque menomo atto per Dio, per qualunque bene temporale. In questa meditazione si conosce la sconsigliatezza del prodigo e sue conseguenze; il cuore del Padre sempre Padre, et ita Pater ut nemo tam Pater. Si noti il vitello grasso che mi grazio ogni giorno, malgrado la mia condotta da prodigo. N.B. tutte le ispirazioni sono tanti inviti del nostro Padre sempre presente a noi e abitante in noi. La risoluzione: non mai uscire di casa; sempre consultare il Padre di portarsi da vero figlio adottivo per somma grazia. Esaminarsi ogni giorno e sovente su questa condotta, persuaso di fare gran piacere al Padre se incominciamo, sempre che vi manchiamo, temere sempre di mancarvi. Ripetere sovente atti di adorazione, di carità per tenerci sempre a Dio presenti e uniti: Gloria Patri etc. V'amo di amore di preferenza. Farsi onore con fare sempre in tutto il meglio e nel miglior modo; esaminare sempre se si può fare cosa migliore e meglio. Diportarsi da figlio fervente e affezionatissimo. Pre,2315:T1,9 Segue dell'imitazione di Gesù Cristo Dice a ciascuno: Sequere me. Qui sequitur me, non ambulat in tenebris. Ergo qui non sequitur etc. Qui noluit me regnare super se, adducite huc, et interficite ante me. O imitare Gesù Cristo (che è il modo unico con cui Dio vuole essere servito) o perire. Vide Vatier, Entretien de l'imitation de Jésus-Christ, Bellecius, de imitatione Christi, de mortificatione, de humilitate. Pre,2315:T1,10 Due stendardi Evitare moribus Christi contraria, hoc est divitias, honores, sensuum illecebra: impulsus ad ista Dæmonis sunt. Contra æstimare, amare, appetere media ad perfectionem aptissima: paupertatem, contemptus, ærumnas incommoda: impulsus ad ista impulsus et signa sunt boni Angeli. Finis supernaturalis exigit media supernaturalia, quæ sunt virtutes supernaturales, per vince te ipsum, non languide sed animo grandi et hilari. Spiritus Luciferi cognoscitur a materia et sunt opes, honores, voluptates; a forma: tumultus et perturbatio. Spiritus Christi initium facit a ratione supernaturali quæ docet amorem paupertatis, contemptus, ærumnarum juxte doctrinam Evangelii et exempla Salvatoris; urget per medium non suspectum, non dubium; pro fine habet Majorem Dei gloriam (Neumayr med. I, 6 diei). Hinc in praxi agnoscitur qualem Ducem sequimur, quo tendimus et quo modo reducimur ad ipsius sequelam. L'amore anche regolato dei beni temporali, della sanità ecc. , alle inclinazioni naturali, se non ci porta al peccato, ci impedisce la perfezione. Pre,2315:T1,11 Tre Classi Guardarsi dall'avarizia con Gesù che fu così prodigo con me. Quis ille? Quis ego? Quid ille? Quid ego? Quo corde et animo ille erga me? Baptismo habeo baptizari etc. Quo corde agam ego erga Jesum. Avarizia in niente con Gesù Cristo, cioè nell'orare, laborare, pati, in omnibus generose vince te ipsum. Examinaris la mattina subito sveglio, sovente fra il giorno, e la sera massime, sull'avarizia nel servizio di Dio, col confronto di Gesù Cristo. Pre,2315:T1,12 Tre gradi di umiltà Il terzo è quello eletto a preferenza e con predilezione da Gesù Cristo: proposito sibi gaudio sustinuit crucem confusione contempta. È un tesoro il compendio del Vangelo. Ved. Reg. 11 Summarii S. Ignatii. S. Paolo: Absit mihi gloriari etc. In posterum mihi erunt: paupertas summus thesaurus, abjectio summa dignitas et afflictiones deliciæ. Jesus erit nobiscum adjutor noster qui est Dux noster. Ce degré est un amour cordial de tout anéantissement qui a toujours régné dans le Cœur de Jésus et Marie. Vide Vatier, Remarque 16. Ce degré nous porte à une entière abnégation de nous-même et à nous faire mourir à tout ce qui nous regarde, nous ôtant plutôt que réglant l'amour de la propre volonté, de l'honneur, du plaisir et des richesses. Pre,2315:T1,13 Passione di Gesù Cristo: il quale dimostra con fatti eroici l'elezione del terzo grado. Egimus de imitatione Christi in virtutibus quotidianis, modo agendum de ejus imitatione in virtutibus arduis et heroicis. Egimus de sanctitate Christi in agendo modo erit agendo de ejus fortitudine in patiendo. Vatier, Remarque 19 Nondum usque ad sanguinem laborasti, raro ad sudorem et fatigationem. Non potes una hora sustinere mecum? Non audes cum Jesu, post Jesum portare crucem tuam? Quomodo audebis pro Jesu? Noli illud negligere si ad hoc aspiras. Pre,2315:T1,14 De Resurrectione Christi Gaude de Rege et Duce quem elegisti in meditatione de Regno Christi. Da un'occhio rimirare Gesù paziente, da un'altro Gesù glorioso. En quam gloriosus ipse: Actus fidei En quantum te glorificabit: Actus spei Equum et ascensorem dejecit in mare, en omnipotens adjutor tuus. Ego sum, nolite timere. Sicut socium Passionis sic eritis et consolationis. Mensura felicitatis respondebit mensuræ imitationis. Rinnovare la protesta d'imitarlo più da vicino fatta nel Regno di Cristo. Sicut Ipsi compatiens et commortuus fui, sic illi in cælis convivam et conregnem. Pudeat ignaviæ. Non sunt condignæ etc. Quod in præsenti momentaneum etc. Nec oculus vidit etc. Similis ei ero etc. Brevis afflictio, tertia die resurget, dies 1a Passionis, 2a sepulturæ, 3a resurrectionis. Sovente emulare l'occupazione di spirito e la comunicazione di cuore dei Beati con Dio, godere di quella di Dio coi Beati, per esempio con Maria Vergine, S. Giuseppe. Sovente profittare della comunicazione reciproca di Maria Vergine, degli Angioli, dei Beati. Pre,2315:T2,1 315-2 1o Giorno: Del fine dell'uomo – Sull'affare della salute – Del peccato considerato in sé e nei suoi effetti 2o Giorno: Del peccato considerato nei suoi castighi – Dello scandalo 3o Giorno: Della morte – Morte del giusto e del peccatore – Del giudizio generale e particolare 4o Giorno: Dell'Inferno – Del Figliuol prodigo o un'altra dell'Inferno nell'eternità. 5o Giorno: Del Regno di Dio sull'eternità dell'Inferno e Paradiso – Dell'Incarnazione o Della Natività 6o Giorno: Della vita nascosta di Gesù Cristo – Della vita pubblica di Gesù Cristo – Conversione della Maddalena 7o Giorno: Dei due stendardi – Della dottrina di Gesù Cristo – Della Passione di Gesù Cristo – Del Ss.mo Sacramento. 8o Giorno: Del Paradiso – Della Risurrezione – Dell'amore di Dio – Due occhiate: una al Paradiso, l'altra alla terra. Pre,2315:T2,2 Per l'introduzione, la necessità di convertirsi. Sui due mondi: il temporale e l'eterno. Sull'inconsiderazione. Sull'importanza della salute. Sulla pecorella smarrita. Sulla dilazione della conversione. Per le considerazioni si ha da osservare che il fine degli Esercizi è togliere i peccati commessi, e per non ricadervi, togliere via le radici. Per il primo serve la considerazione sulla Confessione, per il secondo la considerazione sui vizi capitali; finalmente si potrà proporre a considerare in che consista la perfezione cristiana (Balestrieri pag. 521). Istruzioni sulla fede, Speranza, Carità dovuta a Dio e al prossimo. Istruzione sulla stima, rispetto, obbedienza, sommissione in tutto ciò che riguarda Dio e la Chiesa. Sulla frequenza dei Sacramenti. Sulla sobrietà nel vestirsi, divertirsi, conversare. Sui comandamenti. Sui mezzi per essere perseverante. Sulla devozione verso Gesù, Maria, Giuseppe etc. Sui mezzi che la prudenza cristiana suggerisce per conseguire il nostro fine. Sulla dolcezza cristiana. Sulla comunione e S. Messa. Sul gran male che porta seco l'irriflessione. Istruzione: come le passioni facciano santi o peccatori, secondo l'oggetto che hanno. Della vera devozione. Della devozione all'Angelo custode. Sulla custodia del cuore. Sulla fuga delle occasioni. Sullo spirito della Religione. Sull'orazione, preghiera, sulle tentazioni. Sulle amicizie. Sulla sommissione dovuta alla Chiesa. Sulla confidenza nella misericordia di Dio. Ricordi in fine da lasciarsi. Pre,2315:T2,3 Istruzioni Sulla Confessione Sulle tre virtù teologali Sulla frequenza ai Sacramenti Della vera devozione Della stima, rispetto, e sommissione in tutto ciò che riguarda Dio e la Chiesa Della preghiera Dell'Eucarestia Della sobrietà Della devozione a J. M. J. Delle tentazioni Delle Amicizie Della custodia del cuore Della fuga delle occasioni Come le passioni facciano l'uomo santo o peccatore Della perseveranza Ricordi Pre,2315:T2,4 Introduzione: Sull'Inconsiderazione 1o giorno: Del fine dell'uomo – Del peccato 2o giorno: Del peccato – Dello scandalo 3o giorno: Della Morte – Del Giudizio 4o giorno: Dell'Inferno – Dell'Inferno 5o giorno: Del Figliuol prodigo – Dell'Incarnazione 6o giorno: Della vita publica di Gesù Cristo – Dei due Stendardi 7o giorno: Del Ss.mo Sacramento – Della Passione 8o giorno: Del Paradiso – Dell'Amore di Dio Pre,2315:T3,1 315-3 Pre,2315:T3,1 1a settimana *2 Pre,2315:T3,1,1 1o Giorno 1. L'uomo è creato da Dio perché Lo serva 2. I diritti che ha Dio per essere servito 3. I mezzi con cui vuole essere servito sono: le facoltà dell'anima, i sensi del corpo e tutte le altre cose create, di cui vuole che ce ne serviamo, non che ne godiamo, e che ce ne serviamo secondo la sua volontà, non secondo la nostra; chi fa altrimenti commette un gran male che è il peccato. Pre,2315:T3,1,2 2o Giorno 1) che Dio orrendamente punisce come negli Angeli, in Adamo, in Gesù Cristo; 2) che offende Dio gravemente, sia che si consideri il peccato in sé, nelle circostanze; 3) che cagiona grandi danni nell'anima per i beni di cui la spoglia; i mali che le cagiona. Pre,2315:T3,1,3 3o Giorno La prima cagione per cui non si vuole servire Dio si è l'attacco e quindi l'abuso dei beni di questa terra, e questa la correggerà: 1o la meditazione della morte, facendo vedere come ella distacca da tutto, e quando meno ci si pensa; 2o facendo vedere che chi non serve Dio a misura che vi fu attaccato ai beni di questa vita farà una morte pessima e spaventevole, e a misura che visse staccato farà una morte preziosa; 3o sarà bene fare l'apparecchio alla morte e fare tutto il medesimo che si vorrebbe fare in quel punto. Per le Istruzioni gioveranno le seguenti Meditazioni: Sull'umiltà o conoscimento di se stesso; peccato veniale; Sulla mortificazione delle passioni interna, esterna; Esame particolare generale; Sulla Penitenza come Sacramento. Pre,2315:T3,1,4 4o Giorno La seconda cagione per cui non si serve Dio vi è il timore del mondo, il rispetto umano, l'amore della propria eccellenza avanti gli uomini: questo verrà rimediato dalla Meditazione 1a del Giudizio universale, ove chi non avrà servito Dio per piacere al mondo e per essere stimato dal mondo, non curandosi di piacere a Dio, sarà non più stimato per quello che appariva innanzi agli uomini, ma per quello che è stato innanzi a Dio, e chi ebbe rossore di Dio innanzi agli uomini, Dio avrà rossore di lui, e chi non volle uniformare i suoi giudizi a quelli di Dio sarà costretto ad uniformarli [fine illeggibile]. La terza cagione è amor pellis: a questa si rimedierà con la Meditazione 2a dell'Inferno ove si sconterà per tutte le 3 suddette cagioni di peccare; ove si soffrirà il fuoco e ogni male del corpo; ove ci sarà la privazione di ogni bene, perfino d'una goccia d'acqua; ove si soffrirà una confusione immensa, e inoltre perché si abbandonò Dio per i suddetti motivi, per questo la pena del danno sarà incomprensibile. 3o Vi si aggiungerà l'eternità delle pene perché si comprenda la forza di quel momentaneum quod delectat, æternum quod cruciat. Pre,2315:T3,2 2a settimana Pre,2315:T3,2,1 1o Giorno 1. Se abbiamo abusato dei beni di questa terra, quindi offeso Dio, quindi meritati i suddetti castighi, impariamo dal prodigo quanto è facile riconciliarci con Dio, ma l'unico mezzo per piacere, per servire bene Dio è imitare Gesù Cristo. 2. Viam, Veritas, et Vita, e di questo farne vedere la necessità, la giocondità, la facilità. 3. Dunque conviene esaminarne la sua Vita in cui troviamo i rimedi contrari ai nostri vizi, se l'amore all'onore ci indusse a peccare. L'Incarnazione di Gesù Cristo ci insegna l'umiltà, se l'attacco ai beni; la Natività e povertà, se l'attacco ai piaceri. La Circoncisione ci insegna i patimenti. Pre,2315:T3,2,2 2o Giorno 1. Inoltre la sua vita privata c'insegna come dobbiamo portarci verso Dio nelle opere di religione. 2. La sua vita pubblica c'insegna come portarci con il prossimo. Ma non solo nel cammino della virtù dobbiamo incontrare delle difficoltà ordinarie, ma anche delle straordinarie, quindi o rinunciare al servizio di Dio, o armarsi di una volontà eroica, e determinarsi di servire Dio non per metà, ma prepararsi. 3. I due Stendardi saranno opportuni anche per conoscere lo spirito di Dio e del Demonio. I tre gradi di umiltà, le tre classi di uomini. Pre,2315:T3,2,3 3o Giorno E per avere anche un modello e conforto nelle occasioni difficili e straordinarie, serviranno le meditazioni della Passione di Gesù Cristo. 1. La Passione nell'orto per le noie orrende che si incontrano nell'orazione, e tentazioni. 2. La Passione nei tribunali c'insegnerà la pazienza per sapere come regolarsi negli affronti, e contro i rispetti umani. 3. La Passione sul Calvario c'insegnerà l'umiltà, la povertà, l'amore ai patimenti in grado eroico. Pre,2315:T3,3,1 3a settimana 1. Risurrezione di Gesù Cristo, modello della nostra secondo le 4 doti del corpo glorioso. 2. Ascensione sul Paradiso ove si godrà ogni ricchezza, ogni gloria, ogni piacere, ove il luogo, le compagnie non saranno più moleste, ove si conosce Dio, si ama, si loda perfettamente. 3. Discesa dello Spirito Santo Amore di Dio: Ama et fac quod vis. Pre,2315:T3,3,2 Istruzioni Cominciando la Vita di Gesù Cristo serviranno le Istruzioni sulle Virtù Teologali, indi i mezzi che abbiamo per operare il bene, cioè la frequenza dei Sacramenti, Penitenza, Eucarestia, Lettura spirituale, Devozione a Maria Vergine. Per religiose: Osservanza delle Regole Non aliud sed aliter I voti Tribolazioni Conformità alla volontà di Dio Ricordi sulla Pace v. Bourd. Pre,2315:T3,4 2o Giorno. L'Angelo custode Protettore, o S. Maria Maddalena o S. Pietro Meditazione sul Peccato Mortale: Quid agisti, quid amisisti, quid meruisti? S. Bern. 1a Istruzione: Penitenza: cercare la radice del male e venire al taglio, relinquite verba et convertimini… esaminare le passioni, cercare le occasioni che si hanno. 2a Meditazione. Peccato. Quid meruisti? Castighi. 2a Istruzione: della Penitenza che deve essere correttiva del male fatto. 3a Meditazione. Peccato Veniale. Pre,2315:T3,5 3o Giorno. S. Giuseppe protettore della buona morte 1a Meditazione sulla morte: certezza, incertezza. 1a Istruzione: Mortificazione interna delle passioni che S. Agostino chiama mors desideriorum, cercare la dominante, un sedizioso, una piccola scintilla quanto danno possono mai recare? 2a Meditazione: Morte del peccatore, del giusto. 1. Considerare lo stato di uno che muore con coscienza di colpa grave, i suoi sentimenti nel vedersi innanzi alla Maestà del Divin Giudice che ha oltraggiato e che in interitu suo videbit, nel vedere il suo posto in cielo che ha perduto, nel vedere l'eternità spaventevole di pene in cui deve entrare in quell'istante, nel vedere il Demonio accusatore, l'Angelo custode, Maria Vergine, i suoi Protettori che non ha voluto ascoltare e gli rinfacceranno la grazia che gli hanno ottenuta, le sollecitudini che si presero per la sua salute e che egli ha disprezzato, nel vedere separarsi da tutto il sensibile che tanto amò, dal suo corpo che tanto accarezzò, abbandonato, senza aiuto, senza protettore, senza scusa. Pensate che smanie, che ribrezzo nel partire da questo mondo, che angosce, che disperazione nell'entrare in quella eternità in cui dovrà restare con quelle pene che soffre nel suo primo ingresso. E nota bene che per morire così non è già necessario essere gran peccatore, ma aver commesso anche un solo peccato, e morire in esso, e per questo non è neppure necessario essere colpito da accidente in fragrante del peccato, ciò che pur può accadere, ma basta il trascurare di vivere in peccato, basta essere sorpreso da qualche grave male (un pò di rossore nel confessarsi basta), la di cui violenza ci tolga l'applicazione necessaria, come suole accadere che si fanno confessioni superficiali, ma non con quelle necessarie disposizioni; che molti sani hanno difficoltà di premettere, massime lusingati dalla speranza di guarire. A morte mala libera nos, Domine, periisse semel æternum est. 2. Considerare la morte di un tiepido incerto della sua salute, abbandonato al giusto giudizio di Dio in cui vix justus est securus. Costui visse comunemente in una grande negligenza nei suoi doveri da Cristiano, nei doveri del proprio stato, nei doveri comuni con tutti, all'orazione negligente, in chiesa dissipato, annoiato della parola di Dio, indifferente per le cose spirituali, duro alle necessità del prossimo, facendo poca stima degli altri, parlandone facilmente con poco rispetto, e alcune volte svantaggiosamente, si accosta ai sacramenti per consuetudine, poco curandosi delle debite disposizioni, tepidamente, gli insorgono dubbi alcune volte fondati sul passato, come di riparare qualche confessione mal fatta, di fare qualche riparazione al prossimo nella roba o nell'onore, e facilmente li disprezza, facile e condiscendente per rispetto umano a certi scherzi e trastulli poco onesti etc. e in tale stato visse e perseverò perché non trovava nel suo cuore omicidi, adulteri, spergiuri. Non sum sicut cæteri, ma in sostanza si trova in tal punto d'aver fatto molto male, poco bene, e questo fatto così. Pre,2315:T3,6 4o Giorno. Protettore il Santo di cui portiamo il nome 1a Meditazione. L'Inferno. 1a Istruzione. Dolore, Confessione, Penitenza. 2a Meditazione. Figliuol Prodigo: si fa dare la sua porzione con abusare della sua libertà che deve essere consacrata al solo servizio di Dio. Abiit in regionem longinquam: la carità, il fervore ci unisce, ci tiene presenti a Dio, la negligenza, la dissipazione ci allontana da Dio: præ inopia adductus ut pasceret porcos: lontani da Dio e per conseguenza ridotti all'indigenza, non ci resta che servire alle passioni insaziabili. Dixit intra se: quanti in domo patris mei abundant panibus, ego autem fame pereo. Quante volte nella solitudine il Signore fece sentire anche a noi certe noie, certi rimorsi, ci fece riflettere a tanti Santi ferventi che sono così contenti, che hanno tanto miglior partito di noi. Surgam et ibo ad Patrem meum. Prendiamo anche noi la medesima risoluzione, ritorniamo a Dio, confessiamo la nostra ingratitudine, risolviamo di non partirci mai più da Lui, quand'anche dovessimo sempre essere privi di quelle celesti consolazioni che più non meritiamo. Pater misericordia motus currit. Così troveremo anche il nostro Padre celeste che ci attende con braccia e con cuore aperto. Ah venite ad me omnes qui laboratis, ci dirà, et ego reficiam vos. Venite, non temete, ho io mai fatti dei rimproveri ad alcuno? Tutto il rimprovero a S. Pietro fu uno sguardo amoroso, a S. Maria Maddalena fu il difenderla e farmi suo avvocato, all'adultera fu il liberarla dai suoi accusatori, alla Samaritana fu l'offrirle un'acqua di vita eterna. Voi vedete che fu appunto per trarvi a me che io ho stentato per trent'anni che sono morto in croce, e se fosse necessario, subirei mille altre morti. Venite e vedrete che per tutta la mia vendetta io rivolterò queste mie piaghe che voi mi rinnovaste coi vostri peccati in tante sorgenti di benedizioni. Vocavit amicos vicinos: così Dio da questo punto che vi date a Lui interamente fa festa in cielo, ove ne partecipano tutti gli Angeli e tutti i Beati. 2a Istruzione. Spirito di solitudine, raccoglimento di vigilanza, di orazione. 3a Meditazione. Regno di Gesù Cristo. I diritti che ha di regnare su di noi, i caratteri del suo Regno, la mercede che promette. È nostro Creatore, Redentore, Capo, Pastore etc., come gli diremmo noi: Nolumus hunc regnare super nos, se Gesù non regna, vi regna il Demonio. Il suo regno è interno sui nostri cuori, non est de hoc mundo perciò ha massime tutte opposte: Beati pauperes, mundo corde etc. La ricompensa in questa vita è una gran pace, nell'altra è un regno, una corona. Numquid et vos vultis abire? Ad quem ibimus, Domine, verba vitæ æternæ habes. Dominare tu nostri Domine. Pre,2315:T3,7 5o Giorno. Protettore S. Giacomo di cui corre la festa 1a Meditazione. Incarnazione di Gesù Cristo esemplare di umiltà. 1a Istruzione. Sulla Fede, deve essere ferma ed operativa: è un talento che non deve tenersi nascosto. 2a Meditazione. Natività di Gesù Cristo esemplare di povertà. 2a Istruzione. Fede deve essere feconda: Hæc est fides nostra quæ vicit mundum, vincamus ergo mundum cum suis erroribus, amoribus, terroribus (S. Aug.). 3a Meditazione. Adorazione dei Magi. Corrispondere alle voci di Dio prontamente, con fervore, con costanza. Pre,2315:T3,8 6o Giorno. Protettrice S. Anna di cui corre la festa 1a Meditazione. La vita privata di Gesù Cristo e vita pubblica. 1a Istruzione. Orazione vocale. 2a Meditazione. Passione nell'orto. Si ritirò juxta consuetudinem in montem Oliveti e massime in tempo di afflizione, oravit tertio eundem sermonem: ecco come comportarsi in tempo di aridità, et non potestis una hora vigilare mecum: ecco il rimprovero che fa alla nostra impazienza, nondum restitistis usque ad sanguinem, così pure ci rimprovera S. Paolo; factus in agonia prolixius cioè con maggior riverenza di corpo procidit in faciam orat cum clamore valido ter eundem sermonem repetit, con maggiore intensione d'animo, ne è testimonio sudor sanguinis: orabat ecco come regolarsi crescendo la desolazione, in fine discese l'Angelo a confortarlo e poscia: surgite, eamus; ed ecco a chi persevera, quantunque il cielo paia di bronzo, come viene dall'alto la consolazione e l'aiuto, badiamo che non sia inutilmente per noi un tale esempio, e al dì del giudizio non debba Gesù rimproverarci: Ergo sine causa, invanum laboravi – Tristatur quis vestrum, oret. 2a Istruzione. Condizioni della preghiera. 3a Meditazione. Gesù sulla Croce. Pre,2315:T3,9 7o Giorno 1a Meditazione. Risurrezione di Gesù Cristo. 1a Istruzione sul buon esempio. 2a Meditazione. Risurrezione di Gesù Cristo modello della nostra. 2a Istruzione sulla Comunione in Gesù [che] fa un magnifico ingresso nell'anima, l'anima fa un magnifico ricevimento a Gesù Cristo. 3a Meditazione. Sul Paradiso: Videbimus, Amabimus, Laudabimus (S. Agostino). Pre,2315:T3,10 8o Giorno finito nuovamente sotto gli auspici della Regina del Cielo 1a Meditazione. Amore di Dio: quante volte disse anche agli elementi verso di me quel che disse Davide: Servate mihi puerum Absalom. 1a Sulla Pietà, ossia spirito di devozione, ossia fedeltà ai propri doveri. Ricordi: Christus heri et hodie, donde sono nate le risoluzioni, così si devono conservare e così manterrà la pace che tanto giova per la perseveranza, e così vivremo felici anche in questa vita, la quale non consiste fuori di noi, ma in noi. Gaudete in Domino semper. Deo gratias. La pace in noi consiste in quella tranquillità d'ordine per cui gli affetti vivono soggetti alla ragione, la ragione a Dio, questa era la felicità una volta di Adamo, e ora è quella che ci procura la grazia. Regnum Dei intra vos est. Justitia et pax et gaudium in Spiritu Sancto (Rom. 14). Vid. theatr. asceticum pag. 826. Pre,2315:T3,11 Fine dell'uomo Sono niente Dio è tutto: sono niente, dal niente Dio mi ha cavato. Dio ha tutto: ho niente, tutto quanto ho, Dio me l'ha dato, mi ha perfino fatto sua immagine, suo figliuolo. Dio ha tutti i diritti e meriti: ho nessun diritto e merito. Dio (il tutto) manifesta alla creatura (al niente) la sua volontà appoggiata ai suoi diritti; comanda che l'uomo (il niente) lo serva; questa è la destinazione, l'occupazione che gli fissa su questa terra, cioè che si occupi del tutto, perché trovi il tutto, e possegga il tutto, onde scrupolosamente Dio destina il niente nell'altra vita a goderlo, cioè a divenire in certo modo il tutto: è giusto che gli obbedisca e lo serva in questa vita, né può esservi destinazione, né occupazione più nobile, più necessaria, più utile. Merito niente, sono servitore inutile, eppure mi dà il Paradiso come per ricompensa. Tutte le altre cose sono niente, che Dio fa divenire mezzi: Dio me ne prescrive l'uso, perché vuole essere servito dal niente a modo suo: il niente deve essere indifferente per la creatura che sono niente, e per sé sono anche indifferente. Il niente non ha alcun diritto, deve servirsi o rigettare tutto secondo la volontà del Padrone. Dio inutilmente ha creato gli Angeli, volle da essi essere pure servito e a modo suo, ricusarono essi, e furono castigati: sono peccatore anch'io come gli Angeli. Dio comanda: il niente che non ha alcun diritto, che deve riconoscere tutto da Dio, assoggettarsi tutto a Dio, ricusa di obbedire a Dio, vuole comandare lui, fare lui la sua volontà contro quella di Dio. Così commette un male infinito, perché il niente viene a disprezzare Dio e tutti i suoi attributi. Così merita male infinito, e perciò Dio spoglia nella morte l'uomo di tutti i beni di cui abusò. Dio gli domanda nel Giudizio conto dell'uso e dell'abuso: Dio lo castiga nell'Inferno con la pena del senso dell'abuso delle creature, con la pena del danno per il disprezzo a Lui fatto, con l'eternità delle pene l'infinità della malizia del peccato, e per punire così lo spirito, il cuore, il corpo. Pre,2315:T3,12,1 Prima settimana Fine. Sono niente. Dio è tutto, devo riconoscere tutto da Dio, non riconosco Dio per mio principio. Se non riconosco tutto da Lui, quel che ho devo rapportare tutto a Dio, non riconosco Dio per mio ultimo fine, se non rapporto a Lui tutte le mie azioni. Peccato. Sono peccatore, Dio è solus Sanctus. Novissimi, merito ogni male, Dio è giusto. Pre,2315:T3,12,2 Seconda-Terza settimana Il Figliuolo di Dio si è annientato e preso figura di peccatore per insegnare ed essere: 1o modello al niente e peccatore per servire Dio nelle virtù ordinarie, e ciò nella 2a settimana; 2o modello delle virtù eroiche per servirlo senza riserve nella 3a settimana. Ogni virtù per sé illumina gli uomini e al bene li alletta, ma nulla più illuminativo ed allettevole che la carità. Pre,2315:T3,12,3 Quarta settimana Si adduce un altro motivo fortissimo indicato nel Regno di Cristo che è il premio eterno, cioè il frutto (vedi Vatier, Entretien sur la douceur de la vie parfaite) per confermare la volontà ad abbracciare volentieri l'umilità, il disprezzo, la povertà, perché con questo viene ad acquistare gloria, beni e piaceri eterni ed infiniti sostituiti ai beni temporali disprezzati; il rimedio è stato amaro, ma il frutto è dolce. Esempio di Gesù glorioso che, proposito sibi gaudio sustinuit crucem. S. Pietro d'Alcantara, S. Luigi, S. Giovanni della Croce etc. Si compatimur et conglorificabimur et quidem a proporzione dei patimenti. Due punti: 1. Felicità eterna accidentale, 2. essenziale: anzi la gloria del cielo è a proporzione dell'amore di Dio esercitato qui in terra, e l'amore di Dio è poi un paradiso anticipato in terra; l'amore di Dio cresce a misura che il cuore si distacca da sé e dalla terra, essendo due estremi e però tolto al cuore ogni attacco ai beni terreni, massime indotto a cercare il disprezzo dei medesimi, l'umiliazione, la povertà, i patimenti, conviene proporgli un altro pascolo, perché il cuore non può stare senza amore, il pascolo proporzionato alla di lui capacità è Dio solo, e chi ha lasciato tutto trova il tutto. Ecco opportuna la meditazione dell'Amore di Dio: inoltre siccome i beni terreni dappertutto ci circondano, s'affacciano ai nostri sensi, col ben presente che ci propongono ci distoglierebbero dall'amore di Dio conviene trovare il modo di andare a Dio per essi beni terreni, e farli divenire veri mezzi per andare, anzi correre e volare verso Dio, e qui quadra la meditazione come la propone S. Ignazio, onde se nelle passate meditazioni ci insegnò l'uso materiale che dobbiamo farne, ora ce ne insegna l'uso spirituale, e con questo si facilita e si esercita la perfetta maniera d'amare Dio e amarlo continuamente (ved. S. Ignazio e Vatier). Pre,2315:T3,12,4 1o Punto: conoscere la bontà di Dio verso di noi, e da noi montare a Lui, cioè conoscere e amare Dio in noi; n.b. come uno è più ingrato verso Dio che verso la creatura, se qualcheduno ci avesse restituito l'uso della vista o dell'udito, per esempio, e di quando in quando ci procurasse il modo di conservarlo, quale sentimento di riconoscenza gli avremmo? E Dio non fa egli di più, eppure che freddezza, anzi che ingratitudine ancora abusarne contro di Lui? 2o Punto: conoscere e amare Dio nell'essere naturale delle altre creature, cioè come presente, e il bene e perfezione che loro comunica. 3o Punto: nelle loro operazioni comunicando così a loro modo e a somiglianza di Dio le loro perfezioni ad altre cose. 4o Punto: nelle loro perfezioni più sublimi e rimarchevoli nella natura umana, come più proprie a farci montare a Dio che ne è il centro. E così l'amore di Dio renderà dolce, anche in questa vita, il disprezzo dei beni terreni. Al fine di tutti gli Esercizi S. Ignazio disegna ancora tre sorta di orazione, come se non ci fosse più altro che pregare per ottenere la perseveranza finale. (Ved. Suffren l'ultimo giorno). Ricordi: sono uomo, devo operare sempre per ragione; sono Cristiano, devo operare sempre per fede; sono giusto e figliuolo di Dio, devo operare sempre per amore. Pre,2315:T3,12,5 Sanctitas est puritas. Sicut impuritas nascitur ex contactu inferiorum, ut cum facies, vestis luto aspergitur, vel anima per affectum inferioribus inordinate adheret, ita puritas oritur ex contactu superiorum, cum affectus ad sublimiora et nobiliora assurgit et inhærat (a). (a) Mundus est quoddam templum Divinitatis ipsius præsentia sanctificatum. Sanctus, Sanctus, Sanctus plena est omnis terra gloria ejus, clamant Seraphim, ut ipsum ubique præsentem spectemus, veneremur, laudemus, honoremus semperque in ejus præsentia velut in sacro quoddam templo nos versari putemus. Sed maxime templum Dei est anima nostra, toto mundo longe capacior, et ad divinum cultum et ejus in ea habitationem specialiter sanctificata, unde introrsum nos convertere, et in fundum animæ, ubi Deus habitat recipere oportet, ut ibi procul a rerum externarum tumultu in silentio cum ipso versemur, ipsum veneremur et colamus. Hinc vitandi omnes impuri et inordinati affectus, omnesque animæ labes, quibus templum animæ nostræ violatur et profanatur, sicut quibusdam operibus Sanctitati Dei repugnantibus, violatur templum materiale, quamvis enim Deus propter immensitatem essentiæ non possit reipsa recedere, recederet tamen tum affectu, tum effectu, quia odit (juxta proportionem labis) tale habitaculum, lux enim et tenebræ, pulchritudo et deformitas, bonitas et malitia, peccatum et sanctitas adversantur, nec vult in illud cælestem gratiæ suæ liquorem effundere, sicut sapiens unguentarius pretiosissimum balsamum vasi impuro numquam infundet. N.B. Sanctitati Dei ubique præsenti et maxime in templo animæ habitanti summa reverentia debetur, reverentia autem attentionem parit unde quantum est reverentiæ tantum est attentionis. Ultimo ricordo: 1. Somma purità di mente e di cuore per la presenza e unione di Dio, tutta Santità con l'anima, tempio e partecipe (come figlia di Dio) della stessa divinità: atti di fede, purità d'intenzioni, cancellare subito i difetti che occorreranno. 2. Conformità totale della volontà con quella di Dio in tutto per lasciarlo regnare Lui solo, giacché gli compete, e per questo conservarsi e crescere in santità e unione con Dio, glorificarLo, corrispondere al suo amore: quindi atti di amore in tutto, omnia ex amore, purità d'intenzione etc. Confirma hoc Deus Li 24 settembre 1799 Sanctitas complectitur varios actus et habitus tum intellectus tum voluntatis, intellectus debet esse illustratus lumine fidei vel gloriæ, voluntas caritate et aliis virtutibus caritati inservientibus, sic anima fit unum cum Deo, cognitum enim transit in cognoscentem et amans in amatum. Non basta conoscere, conviene amare, come non basta conoscere il vizio per essere vizioso, conviene amarlo, così non basta conoscere Dio e la sua volontà, conviene amarla e praticarla per essere santo. Pre,2315:T3,13,1 3a settimana: Modello di agire e patire Mai perdere di vista in tutte le meditazioni che l'uomo è niente e peccatore, e chi è Dio che dà negli eccessi per insegnare all'uomo. Dio si è annientato ed ha patito per soddisfare al peccato, per insegnare ed essere modello al niente, e al peccatore come servire Dio, perciò: nella meditazione del Regno di Cristo, giacché l'uomo non poteva, data la sua ignoranza, sapere il modo di servire Dio, né avrebbe potuto, stante la sua debolezza e malizia eseguirlo, manifesta al niente e al peccatore il suo disegno di salvarlo e ristabilire l'ordine che l'uomo ha pervertito, e così nuovamente regnare Lui invece del Demonio e del peccato, e perciò manifesta al niente e peccatore il modo in genere di servire Dio, che è imitare Lui; Egli ci precederebbe, ci aiuterebbe, ci premierebbe. Nella meditazione dei misteri di Gesù Cristo ci manifesta il modo in specie, che è annientatosi Lui stesso e presa figura di peccatore per via dell'obbedienza, imparare a sottomettere in tutto la nostra volontà a Dio, per via dell'umiliazione, disprezzando gli onori di questa vita, per via della povertà, disprezzando i beni e i comodi e i piaceri di questa terra, giacché per averli stimati, amati troppo l'abbiamo offeso, ci siamo perduti e potremmo ancora offenderLo e perderLo, perciò quadrano le meditazioni della Incarnazione (il Signore exinanivit se, formam servi et peccatoris accipens ut esset forma ipsius nihili, servi, et peccatoris) e Natività e fuga in Egitto: cosa che in Dio resta gran virtù, nell'uomo resta tutto giustizia, perché il niente merita niente, il peccatore merita ogni male, e il discepolo, il suddito non essere più del maestro e del suo Re (ved. Vatier sull'umiltà relativa a questa settimana). Pre,2315:T3,13,2 Nei Due Stendardi S. Ignazio va alla radice e gli preme di stabilire l'uomo nella risoluzione di sopra, e massime nel fondamento che è l'umiltà pratica, perciò addita e scopre il nemico, i suoi fini, e propone all'uomo le vere armi per vincerlo, onde gli propone all'esempio di Gesù Cristo il disprezzo della roba e degli onori che porta efficacemente all'umiltà, cioè sommissione e dipendenza. Nei tre gradi fa vedere che Dio 1. tollera l'affetto a questi beni fino al punto del peccato mortale; 2. lo tollera fin quando si conserva quest'affetto fino al momento del peccato veniale; 3. dimostra poi che per la vera umiltà si richiede il disprezzo di questi beni abitualmente anche fuori dell'occasione di commettere peccato veniale, così dovendo diportarsi chi è niente e peccatore, e chi vuole imitare più da vicino Gesù Cristo. Nelle tre classi disinganna 1. chi volesse disfarsi di quest'affetto ai beni di questa vita senza prendere i mezzi di spogliarsi di tutto; 2. chi vuole disfarsene con prendere solo qualche mezzo, e come solo spogliarsene per metà; 3. loda chi è pronto a tutto senza riserva, e passa quindi a rassodare la volontà di chi si mette nella terza classe e nel terzo grado coll'esempio di Gesù paziente. Nella Passione di Gesù Cristo, cum dilexisset suos in finem dilexit eos, si vede nella Passione nell'orto che sacrifica e sottomette perfettamente la sua volontà nelle cose e circostanze più ardue e senza riserva, e nel modo più perfetto: fiat non quod, non sicut ego volo, sed tua fiat voluntas. Rimedio alle tentazioni di tristezza e scoraggiamento nelle difficoltà apprese nel servizio di Dio, nei tribunali sacrifica ogni reputazione nello stesso modo, nei patimenti sacrifica pure pienamente il suo corpo e la sua vita nel fiore degli anni. Cosa dovrà fare chi è niente e peccatore a tale esempio d'un Dio annientato e paziente per amor dell'uomo? Vi si vede tutto il piano della Religione. La Creazione, le sue opere, il fine, i mezzi al fine, disordine di non andare al fine, motivi d'andare al fine e insieme rimedi per togliere gli impedimenti al fine; frutto: Mondo sotto i piedi, Eternità nella mente. La Redenzione, il suo fine, i mezzi, i mezzi ordinari, i mezzi straordinari (Gesù nel cuore). La Gloria, Paradiso, Amore di Dio. Amore, Amore. Scudo O.A.M.D.G. Pre,2315:T4,1 315-4 Pre,2315:T4,1 Sistema degli Esercizi di S. Ignazio Gli Esercizi Spirituali di S. Ignazio non consistono solamente nel passare alcuni giorni nella quiete, dati all'orazione, e nell'impiegare maggior tempo per attendere a Dio solo e all'anima sola. Ma consistono in proporre a meditare una serie di verità, non comunque una dopo l'altra, ma una in conseguenza dell'altra, le quali tutte assieme presentano: 1. all'intelletto un'istruzione come completa e adattata a ciascuno di quanto si ha principalmente da credere e da operare; 2. alla volontà per il passato, il mezzo di purgare l'anima dalle cattive affezioni con farle conoscere, confessare, piangere; per il presente, la risoluzione di correggersi dalle cattive affezioni con mondarle, imitando Gesù nelle virtù quotidiane di cui v'ha frequente occasione, e di vincere ogni difficoltà coll'imitazione di Gesù paziente nelle virtù eroiche per i casi fortuiti; per l'avvenire, il modo di confermarsi nei buoni propositi per via della speranza del cielo e per amore di Dio, donde ne nasce l'allegria e la pace, che sono i migliori mezzi per la perseveranza ed insieme ne segue l'unione dell'anima con Dio, che è l'apice della perfezione, e questo non speculativamente, ma realmente in pratica, non comunque, ma con tutte le regole dell'arte approvata dalla Chiesa, e questo non probabilmente, ma impreteribilmente. Seppure si danno con quell'ordine e con quelle avvertenze che suggerisce il S. Autore e l'esperienza, e si fanno con quell'attenzione ed esattezza che si richiede. Pre,2315:T4,2 Motivi di preferire gli Esercizi di S. Ignazio a qualunque altro genere di predicazione. Si preferiscono gli Esercizi di S. Ignazio perché sono: uno strumento potentissimo della divina grazia per la riforma universale del mondo; una macchina efficacissima per espugnare i cuori; un metodo di cura universale e sicuro per sanare le anime inferme; una scienza pratica e metodo canonico, ossia approvato dalla Chiesa per santificare gradatamente qualunque anima; una miniera della divina Sapienza e vera fonte delle verità eterne. Finalmente perché sono stati dettati da Maria Ss. e perché l'esperienza abbastanza ci convince del frutto grandissimo che se ne ricava. Pre,2315:T4,3 Inoltre si preferiscono gli Esercizi di S. Ignazio perché essi: I. contengono una serie di meditazioni nelle quali si propongono non solo più verità a meditare una dopo l'altra, ma sempre una in conseguenza dell'altra, le quali tutte assieme unitamente alle Istituzioni formano un corpo come compito di quanto si ha da credere ed operare, adattato alle persone che ascoltano. Pre,2315:T4,4 II. Non solo formano come una batteria fortissima al cuore per indurlo a convertirsi e farsi santo, ma di più procedendo con certo modo e per fini intermediari, somministrano ancora un piano di riforma che duri qualora si facciano con impegno e con ordine, poiché in essi l'anima viene necessariamente a convincersi: 1o – d'aver errato circa o lo stato, o il modo di vivere, cioè d'aver vissuto in peccato mortale o tiepidamente, perciò si risolve di fuggire il male, di emendarsi e di servire Dio. Quivi il fine è di purgare l'anima dalle affezioni perverse per mezzo di una vera compunzione del cuore e spirito di penitenza. 2o – Doversi emendare con imitare Gesù Cristo, unica nostra guida e modello nelle virtù quotidiane ed azioni comuni, delle quali vi ha più frequente occasione. Qui l'anima si risolve seriamente a fare il bene. Il fine è amare il bene con moderare le sue passioni naturali, giusta le regole della cristiana moderazione sull'esempio di Gesù Cristo. 3o – Doversi fortificare la volontà per vincere le gravi difficoltà che talvolta occorrono nell'imitazione di Gesù Cristo nella sua vita paziente, modello delle virtù eroiche per i casi fortuiti. Il fine è ostinarsi a superare qualunque difficoltà nelle occasioni difficili e nelle azioni ardue ed eroiche, e modellare le sue passioni soprannaturali sull'esempio di Gesù paziente. 4o – Doversi provvedere alla perseveranza con confermarsi bene nella risoluzione di servire Dio fedelmente per via della speranza del cielo e dell'amore di Dio. Il fine è la perseveranza nei propositi e l'unione dell'anima con Dio che è il fine ultimo degli Esercizi. Quindi ne nasce l'allegria e la pace che sono i migliori mezzi per la perseveranza e l'apice della perfezione. Finalmente così si esegue l'avviso dello Spirito Santo “Diverte a malo, et fac bonum, et inquire pacem”. Rimane solo da eseguirsi: “Persequere eam”. Pre,2315:T4,5 III. Sono stati così dettati da Maria Santissima e l'esperienza abbastanza ci convince quanto grande sia il frutto che si ricavi da chicchesia dagli Esercizi di S. Ignazio ben dati e ben fatti. Pre,2315:T4,6 Osservazione Per profittare in qualunque scienza ci vuole metodo ed attenzione, che se l'uno o l'altro si trascura, necessariamente se ne diminuisce il profitto. Così, per profittare negli Esercizi spirituali ci vuole pure metodo di chi li dà, ed attenzione di chi li fa; né punto si deve trascurare alcuna regola nel metodo proposto di S. Ignazio, né alcuna industria per consigliare l'attenzione, perché non se ne perda o se ne diminuisca il frutto. Pre,2315:T4,7 Exercitia Spiritualia S. Ignatii sunt arma invincibilia si adsint sequentia: 1o Locus aptus, hoc est perfecte solitarius, et tranquillus, commodus ne sensus egeat, cubicula singula de omnibus necessariis pervisa. 2o Facientes idonei, nimis excludantur inhabiles, ut nimis scrupolosi et juvenes, exacti circa distributionem horarum, et quodlibet exercitium. 3o Ordo, seu bona repartitio horarum, actionum, librorum, cubiculorum, officiorumque lectoris, sacristani, hebdomadarii, campanarii. 4o Lectiones selectæ et bene repartitæ, in Capella, refectorio, et singulis cubiculis maxime. 5o Datores satis experti, investiti di quanto dicono, Ignatiani, hoc est, Sancti Ignatii methodum exacte sequantur, et ne nimis abbrevient. 6o In fine Exercitiorum maxime cavenda relaxatio in ordine, silentio, solitudine. Pre,2315:T4,8 Epilogus 1o Summa hominis felicitas est perfecte servire Deo. Nam hic est finis vitæ hujus, et qui Deo non servit, miser est in tempore et æternitate. 2o Atqui servire Deo perfecte est imitari Christum. Nam Christus est forma servi tam in agendo tam in patiendo. 3o Ergo summa hominis felicitas in hac vita est imitari Christum. Felicitas quam nunc inchoamus per dulcem spem resurrectionis cum Christo, et olim possidebimus per amorem Dei infinite boni in se, et beneficii erga nos. Dunque, tutto il male della poca stima e del poco frutto degli Esercizi proviene perché o non si fanno, o non si fanno bene. Né si fanno bene per difetto del luogo, dell'ordine, dei libri, di chi li dà, di chi li fa, perché in fine si rilassano. Pre,2315:T5,1,1 315-5 Pre,2315:T5,1,1 Scopo degli Esercizi di S. Ignazio Dio, anima, beni temporali sono i tre soggetti dei quali si tratta negli Esercizi Spirituali di S. Ignazio. L'ordine esige che si stimi, si ami, e si elegga a preferenza quello che è più stimabile, amabile e può rendere più felice. Dio è infinitamente grande al di sopra dell'anima. L'anima è infinitamente al di sopra dei beni temporali. Dunque Dio e i beni temporali sono i due estremi, come il sole e le tenebre, e l'anima si trova posta in mezzo a Dio, e i beni temporali, sollecitata da Dio e dai beni temporali ad unirsi seco. Quindi, ne segue che quanto più l'anima s'approssima a Dio, diviene grande e felice e s'allontana dal bene creato; quanto più s'approssima al bene creato, diviene piccola, infelice, e s'allontana da Dio. Dunque, Dio è il solo oggetto dell'anima, il quale può renderla felice, e deve essa cercare ad ogni modo per essere felice. L'anima deve cercare di unirsi a Lui solo. Dunque, i beni temporali non potranno mai rendere l'anima veramente felice, e non sono che scala per ascendere e mezzi per giungere al fine. L'anima deve essere indifferente per i beni temporali, per non abusarne e cangiarli in impedimenti al fine. Dunque, Dio e l'anima sono i due principi destinati ad unirsi assieme, e per questo l'anima è fatta ad immagine di Dio, ed è dotata di memoria, intelletto e volontà per unirsi con queste potenze a Dio. Dunque l'anima deve impiegare le suddette potenze per distaccarsi dalle creature e realmente unirsi a Dio. Questo è l'ordine delle cose e l'ordine dei giudizi e degli affetti che deve seguire l'anima. Il fare altrimenti è ciò che forma il disordine. Pre,2315:T5,1,2 Quando questo disordine giunge a far voltare le spalle a Dio per unirsi alla creatura, e viene eletto con piena avvertenza e consenso, allora costituisce il peccato mortale, che è il massimo male di Dio e dell'uomo. Quando questo disordine consiste solo nell'attacco venialmente disordinato, allontana l'anima da Dio a proporzione di detto attacco. Questo disordine è quello che conviene assolutamente riformare perché invece di rendere l'uomo felice, lo rende infelice, invece di glorificare Dio, lo disonora. Dunque chi sente in sé questo disordine, abbisogna di riforma. È ora da vedersi se in me vi è stato, o vi è questo disordine, e quanto abbisogno di questa riforma. N.B. Questa è l'occupazione del primo giorno. Pre,2315:T5,1,3 Per fare questa riforma, e rimettere quest'ordine, conviene deporre e detestare la “malizia” di tale operare; conviene pentirsi. Questo non può operarsi che con piangere il passato, profittando dell'esempio degli altri e considerando la malizia del peccato in sé e nelle circostanze, e precauzionarsi per l'avvenire con sopprimere la causa, e conoscere i pericoli, se tale causa non si toglie. Questo esige ancora un ritorno fiduciale a Dio, ad imitazione del Prodigo. Dunque, tutto questo efficacemente si esegua, e così si rimedia alla “malizia passata”. N.B. Questa è l'operazione della prima settimana detta: Via purgativa. Pre,2315:T5,1,4 Tolto l'impedimento, per l'edificio spirituale conviene edificare, cioè fatta questa riforma, conviene dare un'altra “forma” all'anima, e nientemeno che divina. Noi siamo da noi stessi affatto incapaci di operare tale cambiamento, attesa l'ignoranza e l'impotenza nostra, dunque abbisognamo di opportuna guida, luce e conforto. Questa Guida, Maestro, Aiuto non si ha altrimenti che in Gesù, fatto per noi “Via, Veritas, et Vita”. Dunque dobbiamo seguire Gesù e unirsi a Lui. Dunque, si prenda principalmente risoluzione di imitare Gesù in genere. Questa nuova forma poi, deve operarsi nell'interno e nell'esterno dell'uomo, epperò conviene discendere al particolare. Dobbiamo dunque in particolare seguire, quanto all'interno, le virtù di Gesù proposteci nell'Incarnazione e Natività; quanto all'esterno, le azioni di Gesù “comuni” nella sua vita privata e pubblica, e le “eroiche” nella sua Passione. Così, uniti a Gesù, si rimedia all'ignoranza, all'impotenza nostra, e si ottiene quella nuova “forma” divina dell'anima. N.B. questo si opera nella seconda e terza settimana, detta: Via illuminativa. Resta a provvedersi all'incostanza dell'uomo, cui si provvede con la speranza del cielo, e coll'amore di Dio, che è quanto si opera nella quarta settimana, detta: Via unitiva. Pre,2315:T5,2 Definizione Gli Esercizi di S. Ignazio sono una riforma dell'uomo generale, intera, perfetta, costante. Generale: rimediando per il passato alla “malizia” per via della contrizione sincera, attesi i castighi e la malizia del peccato, e per via del proponimento serio, attesa la considerazione dei Novissimi. Rimediando per il presente all'“ignoranza”, proponendoci per Maestro e Modello Gesù: Via, Veritas, ed alla “debolezza” unendoci a Gesù, nostra speranza, aiuto, conforto, nostra vita. Rimediando per il futuro all'“incostanza”, per mezzo della speranza del cielo e dell'amore di Dio. Intera: cioè quanto all'“interno”, sostituendo alle nostre massime false e perverse quelle di umiltà e distacco di Gesù. Quanto all'“esterno”, nelle azioni “ordinarie” imitando Gesù nella sua vita privata e pubblica, nelle “eroiche” vincendo difficoltà interne dell'immaginazione, come tristezza, noie, timori; esterne degli uomini, come rispetti umani, calunnie, persecuzioni; corporali come incomodi, infermità, etc. Perfetta: perché uniforme all'Esemplare perfettissimo che è Gesù, Sapienza eterna, Santità infinita. Costante: perché si toglie ogni ostacolo di diffidenza, violenza, inquietudine per via della speranza del cielo e dell'amore di Dio, per cui si sostituisce la pace e l'allegria che è l'apice della perfezione, il fine degli Esercizi di S. Ignazio*3. Pre,2315:T6 315-6 Gli Esercizi sono la scuola dei retti giudizi e dei santi affetti in cui s'impara sempre più a conoscere, stimare, amare giustamente ogni oggetto increato e creato. Per giungere a meglio conoscere, stimare, amare ciascun oggetto come si conviene, si fa la gradazione delle cognizioni, giudizi e affetti circa i suddetti oggetti. Gli oggetti dei quali si tratta sono: Dio, anima, creature; si fa dunque la gradazione delle cognizioni, dei giudizi e degli affetti sopra questi soggetti. Pre,2315:T6,1,1 Circa Dio la gradazione è la seguente: 1o – Quanto alla cognizione e giudizio: Quis ut Deus in se – extra se ut Principium et finis (De fine). Quis ut Deus in Majestate et sanctitate – med. De peccatis – in Dominio proprietatis – De Morte – et jurisdictionis – De Judicio – in Justitia – De Inferno – in Misericordia – De Prodigo – in Humanitate et benignitate – De Regno Christi – in Magnificentia præmiorum – De Paradiso – in Beneficientia erga nos et in Bonitate in se – De Amore Dei – in caritate: se enim nascens dedit socium et exemplar virtutum et actionum tum communium, tum heroicarum in Nativitate, in vita privata et publica; convescens: in edulium et adjutorium et pignus in Eucharestia; moriens: in pretium quod est opus sine exemplo, gratia sine merito, caritas sine modo in Passione; caritas summe benigna in incarnatione, summe viscerosa in Passione, et summe liberalis in donatione corporis sui et Spiritus Sancti; regnans: in præmium est enim merces nostra magna nimis in Paradiso. Pre,2315:T6,1,2 2o – Quanto agli affetti: omnia ipsa recognoscenda, et ad ipsum referenda ut decet creaturæ; deplorandi contemptus, cavenda offensa, humiliatio sub potenti manu Dei, timendus maxime propter redditionem tuis et propter supplicium æternum animæ et corporis, maxime sperando a tanto Patre peccatorum venia; habendus ut homo Deus nempe ut via, veritas et vita; imitandus in genere et in specie, proprius, heroice: Crucifixus est solutio difficultatum; speranda ipsius possessio in cælo; exercendus interim intensissimus erga ipsum amor concupiscentiæ, amicitiæ, quod est idem velle et nolle; nec requies habenda, ni in perfecta unione voluntatis quæ sola potest pacem et lætitiam inde perseverantiam gignere. Pre,2315:T6,2 L'anima dopo Dio è ciò che v'ha di più grande. Più s'abbassa, si attacca disordinatamente ai beni creati e s'assomiglia ai bruti. Se piange i suoi disordini è uomo penitente, però se allontana il suo affetto dai beni creati solo per non porsi contro la ragione, è uomo ragionevole; se allontana l'affetto dalla creatura e lo pone in Dio, vivendo secondo il Vangelo, è cristiano; se si consacra a Dio con imitare Gesù Cristo si fa Santo; se poi non ha più attacco alla creatura, ma la sua passione dirige così a Dio è celeste. Pre,2315:T6,3,1 Circa i beni creati, la gradazione è la seguente: Quanto alle cognizioni e giudizi: riconoscere e giudicare fermamente che essi sono infinitamente inferiori all'anima nostra. I beni creati sono vanità in se stessi, sono mezzi se si usano secondo la ragione e la volontà di Dio, impedimenti gravi, se si amano più di Dio; questi attacchi alle ricchezze sono pece che si vede in morte; ai giudizi, sterco che si conosce, sporca nel giudizio; e ai piaceri catene che conducono nella carcere dell'Inferno e del Purgatorio. Pre,2315:T6,3,2 Quanto agli affetti: grandezza d'animo, superiorità, libertà; indifferenza, non propendere più ad uno che ad un altro, servirsene come mezzi, non goderli come fini, rigettare ogni attacco conosciuto, disordinato sia mortalmente, sia venialmente, distaccarsene come se si dovesse morire ogni giorno, fuggirli, disprezzarli, stimare solo i giudizi di Dio, abominarli, detestarli. Tutto questo per purgare gli attacchi disordinati ai beni creati, quando si amano più di Dio, perché accessus ad creaturas est recessus a Deo. Il modo di riordinarli bene è voltare loro le spalle, perché recessus a creaturis est accessus ad Deum: cioè, rotte le catene, superate le inclinazioni cattive, riordinare le inclinazioni naturali, queste, prima riordinarle secondo la ragione, con il vince te ipsum non sono più impedimenti, sono poi mezzi alla salute, se sono riordinati secondo il Vangelo, imitando Gesù Cristo nella vita comune; voltare gli affetti all'opposto, con amare ciò che si odiava e odiare ciò che si amava: così si acquista la carità perfetta, perché “perfecta caritas ubi nulla cupiditas”. Pre,2315:T6,4,1 Inferno In Inferno omnes dolores sine exceptione, sine consolatione, sine fructu. Pœna corporis dolores omnes possibiles, in gradu intensissimo et continuo. Pœna animæ quoad memoriam, intellectum, voluntatem et pœna damni. Pœnarum æternitas. Un feu dévorant, un Dieu ennemi, un ver rongeur. Pre,2315:T6,4,2 Giudizio Giudizio: separatione nil terribilius, examine nil acerbius, sententia nil formidabilius. Judex non potest nec decipi quia doctissimus, nec corrumpi quia æquissimus, nec flecti quia inexorabilis. Facce del giudizio infallibile, inflessibile, infuggibile. Omnes quoad omnia mala commissa, bona omissa, bona male peracta ob modum, motivum ex quo, finem propter quod; omnia distincte numero et specie e quanto alla gravità e alla fedita [sic], sine effugio et refugio unde inexcusabilis ratione ignorantiæ, impotentiæ et arduitatis. Pre,2315:T6,4,3 Morte Giorno indeterminabile, inevitabile, irrevocabile. Pre,2315:T6,4,4 Regnum Christi Summa et compendium vitæ et operum Christi in eo negotio quod ei commiserat Pater; – æquum ob dominium, conditionem, finem; – honorificum ob ducis excellentiam et servitii eminentiam; – facile ac jucundum ob viam quam præit, ob consilium quod concedit, et socios quos adjungit. Pre,2315:T6,5 Si preferiscono perché… Gli Esercizi di S. Ignazio si preferiscono perché sono: – uno strumento potentissimo della divina grazia per la riforma universale del mondo, – una macchina efficacissima per espugnare i cuori, – un metodo di cura universale e sicuro per sanare le anime inferme, – una scienza pratica e metodo canonico ossia approvato dalla Chiesa per santificare gradatamente qualunque anima, – una miniera della Divina Sapienza e vera fonte delle verità eterne. Finalmente perché sono stati dettati da Maria Ss.ma e perché l'esperienza abbastanza ci convince del frutto grandissimo che se ne ricava. Pre,2315:T6,6,1 Gradazione nella cognizione di Dio: quis ut Deus in Majestate, potestate, sapientia et Sanctitate, dominatione, justitia, misericordia, humanitate, exemplaritate, benignitate, magnificentia, bonitate. Gradazione nella cognizione della creature: in sé niente, relativamente poi ai mezzi o impedimenti. Gradazione nella cognizione di noi stessi: niente, capaci di qualunque peccato con i demoni, anche in cielo, senza occasione o impulso. La gradazione degli affetti rettificati verso i beni creati sia: – l'indifferenza, 1a settimana: qui utitur tamquam non utatur; – il disprezzo, 2a settimana: omnia ut stercora; – l'odio, 3a settimana: mundus mihi crucifixus est. La gradazione degli affetti verso Dio è di voler: – stimarlo grandemente: quis ut Deus; – servirlo con sottomettere totalmente la nostra volontà alla sua; – imitare, amare Gesù Cristo ed unirsi a Lui per sottometterla in modo che solo gli piaccia; – seguirlo più da vicino anche sul Calvario; – non aver requie che nell'unione con Dio. Con simili disposizioni del cuore si diviene uomo celeste nei pensieri, affetti e opere: è il frutto degli Esercizi di S. Ignazio: amicitia vero facit idem velle et nolle. Magna Deo promisimus, majora sunt nobis promissa. Pre,2315:T6,6,2 Gli Esercizi: scuola di retti giudizi e di santi affetti. In essa si impara a stimare ed amare ciascun oggetto creato, increato, per quanto si merita trattare Dio da Dio: Quis ut Deus, e trattare le creature come niente, vanità, impedimenti: quod Deus non est, nil est. Ivi si conosce come Dio è grande, come dopo Dio l'anima è la più grande delle cose create, come le cose create sono infinitamente inferiori all'anima e sono per l'anima: pece, visco che s'attacca, sterco che sporca, catene che ritengono, pesi che la curvano. Venenum caritatis est cupiditas; perfectio caritatis nulla cupiditas, amor creaturæ est caritati contrarium; Deus et creatura duo extrema, rumpenda ergo vincula cupiditatis et substituenda vincula caritatis. Si conosce doversi dunque stimare Dio e disprezzare le creature, altrimenti ne avviene una grande ingiuria che si fa a Dio, un avvilimento e assassinamento dell'anima. Gli Esercizi sono una scuola ove si conosce che lo stimare e l'amare il ben creato è un disordine intollerabile, una falsità prodotta nelle tenebre, una grande ingiuria a Dio, una catena, benché dorata, di più che avvilisce l'anima, la rende schiava, si mette in prigione di questa vita che conduce alla prigione eterna. Ivi si piange tale cecità e pazzia, si svincola da tali catene. Pre,2315:T6,6,3 Nella morte si conosce che non noi, ma Dio è padrone dei beni di questa terra: Quis ut Deus in dominio proprietatis; questi beni ci sono tolti, sono niente. Nel giudizio (dominio di giurisdizione) si rende conto dell'abuso di questi beni, si sente la stoltezza di aver voluto vivere nelle tenebre e nelle catene; s'impara a temere i giudizi di Dio soltanto e disprezzare i giudizi degli uomini: Quis ut Deus in dominio jurisdictionis. Nell'Inferno etc. Nel prodigo: quis ut Deus in bontà nell'accoglierci e perdonarci. Nella via illuminativa il Figliuolo di Dio viene a illuminarci in queste tenebre per togliere dall'inganno chi vuole essere disingannato; viene a guidarci egli stesso nel retto sentiero verso l'eternità felice; viene a fortificarci con il darci il suo Spirito, con la sua grazia, coi suoi sacramenti, per rompere ogni catena e praticare ogni atto di virtù. Conviene dunque ascoltarlo e seguirlo. Inoltre, più uno l'ascolta, lo segue da vicino, gli si unisce e più diviene grande, felice e libero da ogni catena, inganno e unito a Dio. Così, rotta ogni catena e unito a Dio, egli è in continuo commercio d'amore e di comunicazione con Dio e anticipa il suo Paradiso. Pre,2315:T7,1,1 315-7 Pre,2315:T7,1,1 Epilogo degli Esercizi di S. Ignazio 1. In questi Esercizi, l'anima penetrata della grandezza del suo ultimo fine e della necessità di attendervi seriamente, si convince di non avere riconosciuto Dio per primo principio, sempre che non ha attruibuito a Lui solo ogni bene ricevuto, fatto, operato; di non avere riconosciuto Dio per ultimo fine, sempre che invece di ordinare se stesso e tutti i suoi atti, giusta il volere di Dio, si è preferito nell'affezione la Creatura al Creatore. Perciò si risolve di riordinare se stesso e tutte le sue azioni, e rimediare alle sue perverse affezioni con purgare l'anima dalle medesime, per via d'una vera compunzione di cuore e di un vero spirito di penitenza, e con precauzionarsi di non peccare più in avvenire, per non rischiare la sua salute. E questa è l'operazione della prima settimana relativa alla via purgativa. Pre,2315:T7,1,2 2. Riconosciuti la necessità e l'obbligo di servire Dio non altrimenti che con il seguire in genere Gesù Cristo, unico nostro Maestro, modello ed aiuto, l'anima si risolve di modellare sulle massime del Vangelo le sue passioni, che già decise di moderare, secondo la ragione e la virtù, e ricopiare perciò Gesù Cristo nell'interno e nell'esterno riguardo alle virtù quotidiane e azioni comuni, in specie delle quali v'ha frequente occasione. E questo è lo scopo della seconda settimana riguardante la prima parte della via illuminativa. Pre,2315:T7,1,3 3. Dopo aver preso la risoluzione di vivere secondo l'abito della virtù e di imitare Gesù Cristo nelle virtù quotidiane, conviene guardarsi dall'eseguirle languidamente, dal lasciarsi vincere dalle gravi difficoltà, molestie, contraddizioni che decorrono; conviene prendere la risoluzione di servire Dio con fortezza e generosità. Per questo il nostro amabilissimo Redentore ci invita ad arruolarci sotto lo stendardo della sua Croce, e ci promette i più singolari aiuti e ricompense, se ne accettiamo gli inviti. In conseguenza di questo consolante invito, si risolve l'anima di superare qualunque difficoltà che possa incontrare nelle occasioni difficili e nelle azioni ardue, o nel modo di agire perfetto e di modellare ancora le sue passioni sugli esempi di Gesù Cristo paziente, modello delle virtù eroiche nei casi straordinari. L'atto eroico può considerarsi e quanto alla materia, al modo di agire e alle circostanze. L'occasione del primo genere è rara; secondo e terzo genere è ovvio ogni giorno. Questo è l'oggetto della terza settimana relativa alla seconda parte della via illuminativa. Pre,2315:T7,1,4 4. Risoluta l'anima di imitare Gesù Cristo anche con atti eroici, ma persuasa ad un tempo della sua incostanza, cerca il modo di confermarsi nelle sue risoluzioni, per via della speranza del Cielo e dell'amore di Dio. Con questi mezzi si studia d'acquistare la perseveranza nei propositi e l'unione dell'anima con Dio che è il fine degli Esercizi di S. Ignazio. Donde ne nasce l'allegria e la pace che sono i migliori mezzi per la perseveranza, l'apice stesso della perfezione, il fine degli Esercizi di S. Ignazio. E qui termina la 4a settimana relativa alla via unitiva e terminano pure gli Esercizi di S. Ignazio. In questo modo s'esegue l'avviso dello Spirito Santo: Diverte a malo (nella 1a settimana), fac bonum (2a-3a settimana), inquire pacem (4a settimana), non rimanendovi altro che il persequere eam. E si noti che tutto questo si opera non speculativamente soltanto, ma realmente in pratica; non comunque, ma con ordine e secondo le regole dell'arte approvate dalla Chiesa; non impiegandovi molto tempo, ma in dieci giorni; non probabilmente, ma certamente. Seppure si danno con quell'ordine e quelle avvertenze che suggerisce il S. Autore e l'esperienza e si fanno con quella attenzione ed esattezza che si richiede. Pre,2315:T7,2 Corollario Dunque, gli Esercizi di S. Ignazio non consistono solamente nel passare alcuni giorni nella quiete o alcuni giorni dati all'orazione, o nell'impiegare maggior tempo per attendere a Dio solo e all'anima sola. Ma consistono bensì in meditare una serie di verità, non comunque una dopo l'altra, ma una in conseguenza dell'altra, le quali tutte unite con ordine presentano: all'intelletto: una istruzione adattata a ciascuno e come completa di quanto si ha principalmente da credere e operare; una vera fonte di tante verità ed una miniera inesauribile della divina Sapienza. alla volontà: quanto al passato: una macchina potentissima per espugnare il cuore; un metodo efficacissimo per purgare l'anima dalle cattive affezioni, con farle conoscere, piangere, confessare; quanto al presente: una scienza pratica per avanzarsi con l'imitazione delle virtù quotidiane di Gesù Cristo; un metodo canonico, ossia approvato dalla Chiesa, per santificarsi gradatamente; quanto all'avvenire: un piano di riforma interna ed esterna che dura. Insomma gli Esercizi di S. Ignazio sono in genere uno strumento potentissimo della divina grazia per la riforma universale del mondo; in particolare un metodo sicuro per ciascuno di farsi santo e gran santo in poco tempo. Dunque questa predicazione è meritamente da preferirsi a qualunque altra, tanto più perché tali Esercizi sono stati dettati da Maria Ss. e l'esperienza dimostra quanto siano benedetti da Dio, atteso il grandissimo frutto che se ne vede. Pre,2315:T7,3,1 Exercitiorum spiritualium nomine intelligitur… Exercitiorum spiritualium nomine intelligitur modus quilibet examinandi propriam conscientiam, meditandi, contemplandi, orandi secundum mentem et vocem et quascumque spirituales operationes tractandi. Sicut ambulare, iter facere, currere sunt exercitia corporalia, et etiam gradus talium exercitiorum. Ita quoque animam præparare et disponere ad affectiones omnes male ordinatas tollendas, et iis sublatis, ad voluntatem Dei quærendam et inveniendam circa vitæ suæ institutionem et salutem animæ exercitia spiritualia vocantur. Plurimæ istorum Exercitiorum species diu ante S. Ignatium notæ et usitatæ fuerunt. Verum, Exercitia quorum S. Ignatius, Deo inspirante et Dei Matre dictante, auctor fuit, quantum cum aliis devotionibus conveniunt in materia, tantum distant in fine et forma. Pre,2315:T7,3,2 Finis non est qualiscumque sensus animi religiosi cum dulce affectu excitante aut alicujus virtutis amorem aut vitiorum horrorem sed integra Reformatio hominis interni sive ex malo in bonum, sive ex bono in meliorem. Forma vero huic fini accomodata consistit (a) in ordine Exercitiorum ante Ignatium umquam viso, et ad dictæ Reformationis effectum tam utilem, ut nisi ultro obicem ponas, prope non possit reformationis effectus non sequi, (b) præcipue si (quod idem sanctus postulat) ordini accesserint sequentia, pro attentione concilianda necessaria, nempe: locus hoc est colligendo spiritui opportunus, et solitarius; tempus aliis curis et negotiis impeditum; modus non violentus sed placidus et grata varietate jucundus; director qui sciat et velit communem materiam accommodare statui, ætati, dispositioni se exercentium et noverit ex regulis de discretione spirituum, applicationis fervorem in singulis prudenter vel intendere, vel temperare. Pre,2315:T7,3,3 Hinc, Exercitia S. Ignatii sunt congeries Exercitiorum spiritualium in ordine pro integra reformatione hominis interni efficienda singularissime idoneum. Alia pia exercitia comparari possunt succo medico, qui animæ languores expellit, vel vigiliis qui hostium insidias detegunt, vel navis institutoris a longe panem portanti. Exercitia S. Ignatii vocare debemus saluberrimas termas ex quorum longiore usu ad periti medici præcepta suscepta homo totus instar Naaman septies se in Jordane lavantis renascimur: aciem ordinatam a qua inimicus exercitus internecione deletur: classem Salomonis quæ auro pretiosissimisque gemmis dives ex Ophir revertitur. Pre,2315:T7,3,4 (a) Ordo in quo non unum post aliud, sed aliud ex alio necessario sequitur; accomodatus ad convincendum intellectum, et corrigendos errores quibus ille sive per præjudicia ex vitio educationis impressa, sive per deceptiones sensuum et phantasiæ ex mundi usu progenitas, et ad commovendam voluntatem per affectus non frigidos et steriles, sed potentes et practicos ex quorum impulsu, vitam præteritam abolemus, præsentem ordinamus et futuræ prospicimus. Pre,2315:T7,3,5 (b) Cum enim gratia ordinarie se naturæ accommodet, nec alia methodus cogitari non possit quæ hominem connaturalius ad sui Reformationem disponat, nisi homo obicem ponat, nequando nempe suam attentionem his exercitiis dubitari non potest quod hæc sit præ aliis illa solitudo de qua dicitur: “Ducam eam in solitudinem etc.”. Neque hic fructus ad paucos pertinet, sed ad omnes plane qui quidem serie, applicationis in plures dies continuandæ capaces sunt, si enim facienti quod in se est, Deus non denegat gratiam, quando dicemur facere quod in nobis est, si applicatio ad hæc Exercitia non meretur hanc laudem? Pre,2315:T8,1 315-8 Pre,2315:T8,1 Mezzi ed industria per assicurare l'esito degli Esercizi di S. Ignazio 1o Superiori methodo servato ordine ab Exercitiorum Directore nisi exercitans ultro obicem ponat seu si seriam attentionem exercet quasi necessario Reformationis effectus sequitur. Methodus enim seu ordo et attentio necessario requiruntur in quacumque scientia addiscenda. 2o Præcipue observandum in Exercitiis S. Ignatii: alterutrum si negligatur necessario fructus perit; unde maxime curanda quælibet. Per profittare in qualunque scienza ci vuole metodo, attenzione; che se l'uno o l'altra si trascura, necessariamente se ne diminuisce il profitto. Così per ricavare tutto il frutto dagli Esercizi Spirituali, ci vuole pure metodo in chi li dà, e attenzione in chi li fa, né deve trascurarsi alcuna regola del metodo proposto da S. Ignazio, o industria per conciliare l'attenzione, affinché non se ne perda, ovvero non se ne diminuisca il frutto*4. Pre,2315:T8,2 In Exercitiis resuscitabitur gratia quæ convertet: malos in bonos, bonos in meliores, optimos in sanctos. Exercitia sunt animabus ægrotantibus medicina, languentibus refectio, sanis jucundum convivium. Per Exercitia pellitur ignorantia Dei, sui, mundi; tollitur fragilitas naturæ sive a temeritate, sive ab ignavia; expurgatur malitia quam peperit sive desperatio vel præsumptio. Quomodo commoda naves in portu, idem animæ in hoc sacro secessu inveniunt: quassatæ reficiuntur, lassæ quiescunt, integræ sibi prospiciunt et de recenti commeatu, aqua dulci, omnes recreato per aliquos dies spiritu alacriores ad mare redeunt periculis, laboribus, tædiis longæ navigationis facile succubituræ, nisi se, sua exscensione interdum facta ex fluctuum tumultu positæ per sanctum otium restaurarent. Nemo ex hac schola prodit sine profectu: docemur principia vitæ supernaturalis, arguimur de erroneis dictaminibus et opinionibus falsis circa bonum et malum, corripimur de stultis affectionibus et inanibus curis, erudimur de via recta per quam ad perfectionem congruam statui imus sine ambagibus, excitantur: juvenes ad serio cogitandum de negotio salutis; conjugati ad methodum vitæ solide christianæ; litterati ad studia divinæ Sapientiæ; nobiles ad appetitum veræ excellentiæ; clerici ad curam sacrorum et animarum; religiosi ad amorem virtutis characteristicæ sui ordinis. Denique nullus post Exercitia est qui nesciat quod ex obligatione status vel officii sui fugere, facere, ferre debeat; et vix ullus qui non etiam plus quam debet, velit. Pre,2315:T8,3 Gli Esercizi di S. Ignazio sono una riforma dell'uomo. Generale: rimediando per il passato alla malizia per via della contrizione e del proponimento; rimediando per il presente all'ignoranza, proponendoci Gesù Cristo per Maestro e Modello; alla debolezza, unendoci a Gesù Cristo nostra speranza, aiuto e conforto per la nostra vita; rimediando per il futuro all'incostanza per mezzo della speranza del Cielo e Amore di Dio. Intera: cioè in quanto all'interno, sostituendo alle massime false e perverse quelle di Gesù di umiltà e di distacco; in quanto all'esterno, nelle azioni ordinarie, nella vita privata e pubblica e nelle azioni eroiche, vincendo le difficoltà interne a causa di tristezze, noie, timori; o esterne a causa di rispetti umani, calunnie, persecuzioni, e nelle difficoltà corporali come incomodi, infermità. Perfetta: perché uniforme all'esemplare perfettissimo propostoci, cioè Gesù Cristo, Sapienza eterna e Santità infinita. Costante: perché si toglie ogni ostacolo di difficoltà, violenza e inquietudine per via della speranza del Cielo e dell'amore di Dio e vi si istituisce quindi la pace e l'allegria, ciò che è l'apice della perfezione e il fine degli Esercizi. Deus æstimandus, serviendus, timendus, si non sequamur; imitandi ejus mores in genere per Christum, ut bene ei serviamus: Ego sum Via, Veritas et Vita; nemo venit ad Patrem, ni per me; exemplum dedi vobis; imitandi proprius et heroice. Deus quoad intellectum liber, Magister; quoad voluntatem Dominus, speculum; quoad memoriam adjutor; unitas perfecta in cælo appetenda, imperfecta hic procuranda quoad fieri potest perfectior in voluntate et requies non habenda, ni in hac voluntatis unitate. Pre,2315:T8,4 Deus et anima duo principia activa. Caritatis venenum est spes rerum temporalium vel adipiscendarum vel retinendarum. Caritatis augmentum est cupiditatis diminutio. Caritatis perfectio nulla cupiditas (Aug.). Deus est Dominus – exemplar agendi et patiendi et Præmium unde unio. Deus primum principium et finis ultimus. Deus ut talis contemptus ab homine cum aversione a Deo et conversione ad creaturas – Duo libri: continentia et patientia, unde affectionum purgatio; moderatio, conversio, perfecta caritas et libertas vel affectionum inordinatio. Deus Dominus absolutus exercens dominium proprietatis spolians et destruens; jurisdictionis citans ad judicium et condemnans. Deus justus et terribilis in puniendo: cognoscetur Dominus judicia faciens; væ qui spernis, nonne sperneris. Deus Pater prodigi, la cui misericordia è senza confini e la degnazione un onore. Ipse Dominus Deus in forma servi cujus doctrina exemplaris est seminarium prudentiæ hoc est in humilitate et abnegatione; vita privata speculum temperantiæ, pubblica in mansuetudine et misericordia docet nos opus justitiæ; Passio exemplum fortitudinis. Deus præmium: unio cum Deo ipso. Sul fine non resta che la preghiera come Gesù nell'ultima parlata. Semel locutus est Deus: duo hæc audivi nempe, semel locutus est mihi per revelationem. Pre,2315:T9 315-9 Dio abisso di Maestà Quia potestas Dei est et tibi Domine misericordia (Ps. 61, 12). Deo scilicet esse potentem et misericordem (S. Hier.). Pre,2315:T9,1 I. Fine dell'uomo 1. Dio in sé: Est qui est – Quis ut Deus? Est unus, ergo summus, trinus, ergo beatus, locum habitat inaccessibilem; posuisti tenebras latibulum tuum. Scrutator Majestatis opprimitur a gloria. Est solus, sed non solitarius. Erga nos est principium et finis: Deus et omnia, cætera nihil. Pre,2315:T9,2 2. Peccato Una Maestà però così grande viene infinitamente disprezzata dall'uomo con preferirgli la creatura. Pre,2315:T9,3 3. Novissimi Una Maestà così grande e disprezzata per eccesso di bontà, cioè sollecita di far rientrare l'uomo (non essendo questi ancora suscettibile di sentire la divina Bontà, anzi tuttora disposto a resistervi) gli spiega prima di tutto la sua Padronanza, cioè il suo assoluto, pienissimo dominio di proprietà che esercita in morte, in cui con decreto inevitabile spoglia e distrugge l'uomo quando, come, dove più gli piace; il suo dominio di giurisdizione che esercita nel giudizio ove è celata la sua infinita potenza nella citazione, la sua infinita Sapienza nell'esame, la sua infinita giustizia nella sentenza. E massime dimostra la sua Padronanza e il suo dominio di giurisdizione nell'esercizio che fa della sua terribile giustizia nell'Inferno, ove eternamente e così severamente castiga con la pena del danno, perché fu disprezzato, e del senso, perché servì di strumento per peccare. Pre,2315:T9,4 Abisso di Bontà – Prodigo Spiegata così la divina Maestà per atterrire l'uomo, e renderlo attento e capace di sentire la Divina Bontà, si passa a dimostrare che quello stesso abisso di Maestà è pure abisso di Bontà per il sommo desiderio di comunicarsi; finora si eccitò il timore di Dio, quindi in poi si eccita l'amore di Dio. Tale è infatti il desiderio di comunicarsi con tutti, perfino coi suoi più grandi nemici, che per disprezzato che si veda, non disprezza mai nessuno in questa vita anzi, egli stesso ci manifesta la sua buona volontà di salvarli e amorevole condotta per riuscirvi nel cercare sollecitamente, quale buon Pastore, e aspettare con tanta pazienza e accogliere con tanta bontà e liberalità, quale buon Padre, qualunque più ostinato peccatore e adottarlo come figlio. Il tutto per indurre il peccatore a dire: Dirupisti vincula mea, sacrificabo tibi hostiam laudis. Fin qui la prima parte del Simbolo ut cognoscant te Deum verum. Fin qui si travagliò a distruggere amor sui usque ad contemptum Dei; ora si stabilisce amor Dei usque ad contemptum sui. Fin qui il frutto è di non essere attaccato alle creature, almeno a segno di voltare le spalle a Dio e moderare le affezioni secondo la ragione. Pre,2315:T9,5 Prudentia est recta ratio agibilium, disponit de his quæ sunt ad finem; perfecta est quæ dirigit ad bonum finem totius vitæ. Actus prudentiæ sunt: consultare quod pertinet ad inventionem, judicare de inventis, præcipere, hoc est applicare consilia, judicata ad operandum. Unde ad eam maxime pertinet sollicitudo. Essa è una notizia direttiva circa le cose agibili, la quale prescrive di prendere sempre i mezzi più atti per ottenere il fine, e abbisogna di maturità di giudizio e di consiglio per evitare la leggerezza inconsiderata e la precipitazione. Il fine è la salute eterna, il mezzo di ottenerla è di servire Dio. Ma in pratica, come servirlo in modo degno di Dio e accetto a Dio? Questo è quello che si ignorava e, quand'anche si fosse saputo, c'era l'impotenza d'eseguirlo. Conoscendo Dio questa nostra ignoranza e impotenza, si mosse a compassione di noi. Pre,2315:T9,6 Imprudentia prudentiæ contraria est: ex ipsa oritur præceps festinatio et inconsulta levitas quæ repugnat consilio et judicio eique inconstantiæ tamquam mancipium subjicitur. L'imprudenza in tutti gli affari è perniciosa; nell'affare poi della salute è perniciosissima, ed è quando uno si allontana dalle regole divine; è dunque sommamente importante non perdere di vista la prudenza in questo affare, cioè conoscere le regole divine per operare la nostra salute. Domine ad quem ibimus? Verba vitæ æternæ habes. Doctrina Christi seminarium prudentiæ, unde soli prudentes qui doctrina Jesu imbuti sunt. O Sapientia, quæ ex ore Altissimi prodiisti, attingens a fine usque ad finem fortiter suaviterque omnia disponens, veni ad docendum nos viam prudentiæ (Eccli. 17). Nous avons en Jésus un guide sage puisque c'est la sagesse même, noble puisque c'est la parole incréée qui sort de la bouche du Très-Haut, puissant generationis arcano, privilegio dominationis et jure potestatis (S. Ambr.; Nouet, Dévot. Jésus-Christ, v. 1, pag. 101). Quia per ima nostra longe distabamus a summis (Filius Dei) in se ipso uno junxit ima summis, ut atque ex eo fieret via redeundi ad Deum quo summis suis ima nostra copularet (S. Greg.). Il Figliuolo di Dio si è fatto come ponte per passare dal tempo all'eternità, dal finito all'infinito. Factus est noster Emmanuel; Dieu avec nous. Nouet ut supra, p. 137; Médecin souverain, p. 226; Excellence de sa doctrine etc. p. 557 seq. 771. Pre,2315:T9,7 II. Regno di Cristo Et quem misisti Jesum Christum Regola divina di prudenza. Doctrina Christi seminarium prudentiæ. Aut Deus fallitur aut mundus errat. 4. Né qui si ferma la Bontà di Dio Padre: abbisognavamo di un consigliere, di un Maestro, di un modello. Cognoscendo Egli la nostra ignoranza ed impotenza per eleggere i mezzi più opportuni per la salute, giusta la virtù della prudenza, e per servirlo in modo di lui degno e a lui accetto, mossosi a compassione si degnò inviarci e donarci il suo stesso Unigenito, in cui tanto si compiace, perché ci serva da Maestro, Modello, conforto; dicendoci: Ipsum audite, inspice et fac secundum exemplar quod tibi monstratum est in monte. Pater dixerat: Quem mittam? Filius dixit: Ecce ego, mitte me. Exemplum dedi vobis ut etc.; cioè il Figliuolo di Dio, affinché non sbagliamo nei principi di prudenza, si fa Egli nostro consigliere e condottiero. Ci somministra Egli stesso con la sua dottrina e il suo esempio regole di prudenza per la vita comune necessaria per tutti. Ansioso pertanto di riparare la gloria del Padre perduta per il peccato dell'uomo e, mossosi a compassione della nostra eterna rovina, unisce mirabilmente il recupero della gloria del Padre con la nostra salute, e prende tutti i mezzi per riuscirvi, perciò si fa Egli stesso nostra via, veritas, vita e quindi ci invita ad accettare il suo giogo soave, perché l'accoppiamento della nostra volontà con la sua grazia, per tirare il suo peso leggero, cioè l'osservanza dei suoi comandamenti che, in sostanza, consistono nel suo amore e si degna ancora esibirsi di istruirci con la sua dottrina; precederci con il suo esempio; fortificarci con la sua grazia, promettendoci di più la sua gloria per premio. Pre,2315:T9,8 Incarnazione di Gesù Cristo Admittit æternitas novitatem ut ei attineas. E per meglio riuscirvi l'amore e la compassione nostra, lo fa come uscire fuori di sé. Admittit pulchritudo obscuritatem; operta est illa facies in quod desiderant Angeli prospicere sacco mortalitatis nostræ. Onde, sebbene uguale al Padre exinanivit semetipsum formam servi accipiens, cioè admittit celsitudo abjectionem, imperium servitutem; si fa simile a noi per renderci simili a Lui; cioè discende il Signore ad insegnarci con il suo esempio in particolare quali siano le regole divine, prescritte dalla prudenza cristiana, che prescrive i migliori mezzi al fine, che sono in sostanza: l'umiltà ed il distacco. Vita Jesu speculum temperantiæ, ideo soli temperantes qui vitam Jesu imitari student. C'insegna l'umiltà nell'Incarnazione in cui il Figliuolo di Dio si fa servo per farci noi Dio, né solo si fa servo ma prende la figura di peccatore per farsi maggiormente simile a noi e per insegnarci la bella virtù dell'umiltà e indurci con il suo esempio ad amarla, stimarla, praticarla e per guarirci così dalla radice del male che è la falsa e troppa stima di se stesso per cui uno si crede degno e si procura più del dovere i beni di questa vita, e perciò disordinatamente ci si affeziona. Qui il medico stesso si fa ammalato e prende egli stesso la medicina per indurre l'ammalato a prenderla. Quindi si scopre quanto fosse veramente ammalato l'infermo che abbisognava di un tale medico e sia necessario un tale rimedio che indusse il medico stesso a prenderlo per farcelo conoscere e prendere da noi e quanto sia eccessiva la bontà di un Dio. Pre,2315:T9,9 Natività di Gesù Cristo Subit opulentia egestatem ut locupletemur in regno, cum esset dives pauper propter nos factus est ut illius inopia divites essemus. Dopo la virtù dell'umiltà il Figliuolo di Dio ci suggerisce il distacco dai beni di questa terra, perché in seguito alle conseguenze funeste del peccato originale si pensa a provvedere piuttosto al corpo che all'anima, ed in conseguenza a procurarsi i beni di questa terra a preferenza dei beni celesti. Ed appunto la seconda virtù che ci suggerisce il Figliuolo di Dio è il distacco da questi beni terreni. Perciò, il Figliuolo di Dio tutto che nelle ricchezze della gloria si fa povero e come? Solo per disingannarci di questi falsi beni, scoprire il bene della povertà, indurci col suo esempio a praticarla, non già però per privarci di ogni bene, ma per toglierci i falsi beni e procurarci invece il possesso del vero sommo, unico bene. Incomincia pertanto il Figliuolo di Dio fin dalla sua Infanzia a proporci nell'umiltà e nel distacco le regole fondamentali per praticare la Temperanza con noi stessi. Pre,2315:T9,10 5. Vita privata di Gesù Cristo Il Figliuolo di Dio, dopo averci suggerito e aver praticato con noi le virtù dell'umiltà e del distacco, che sono i migliori mezzi e le virtù fondamentali della vita spirituale, giusta i suggerimenti della prudenza, si degna di discendere al particolare e ci insegna con il suo esempio primieramente come dobbiamo comportarci prima di tutto con Dio. Quindi tutto che oggetto Egli stesso degno di infinita adorazione, si fa Egli stesso adoratore per servirci di modello nell'adorare e pregare il suo eterno Padre; e così insegnarci come dobbiamo comportarci nei doveri: – di religione verso Dio, servendoci da esemplare di adorazione e orazione continua; – di pietà verso i superiori, ubbidiendo egli stesso: chi, a chi, come ubbidì? – di stato, dove sta l'esecuzione della volontà di Dio, dovendosi servire a modo suo, tanto più che caritas Dei est voluntas Dei. (Justitia est jus suum cuique tribuere nempe Deo gloriam et honorem. Gesù nella sua gioventù e adolescenza: esempio di giustizia). Pre,2315:T9,11 Vita pubblica Il Figliuolo di Dio, essendo di natura tutto bontà, non potendo operare che azioni di bontà, non sapendo operare che con bontà, e volendosi comunicare tutto all'uomo, ma non potendolo fare se l'uomo non assomiglia a Lui, vuole perciò che anche noi diventiamo buoni, come Lui, se non di natura, ma almeno di volontà, affinché ancora noi diventiamo atti a produrre come Lui azioni di bontà con bontà. Perciò non leggiamo di Lui se non che erat mitis et humilis corde, pertransiit benefaciendo et sanando omnes. Dicite Joanni: cæci vident, claudi ambulant etc. Vera justitia non nisi in Christi misericordia, misericordia enim ejus est opus justitiæ. Unde soli justi qui misericordia ejus veniam consecuti sunt. Si noti secondo S. Tommaso che dobbiamo preferire Dio nell'estimazione e nell'affetto e preferire però il prossimo nell'esecuzione e a questo riguardo cercare il suo bene dell'anima e del corpo. Così ci insegna, nella sua adolescenza, le regole per la Giustizia che prescrive di dare a ciascuno il suo, cioè a Dio l'adorazione, l'amore, la servitù e al prossimo le opere di misericordia con benignità. Il frutto è che si tolga affatto ogni affetto anche leggermente disordinato alle creature. Pre,2315:T9,12 6. Due stendardi Altre regole divine di prudenza necessarie per le anime gravemente tentate, cioè per chi può talvolta trovarsi nei cimenti più difficili di praticare la virtù; per le anime generose, cioè per chi vuole risolversi ad imitare Gesù Cristo più da vicino e con atti eroici, e corrispondere con eccesso all'amore eccessivo di Gesù, e per tutti, affinché conoscano quanto sono lontani dal corrispondere in proporzione di quel che Dio si merita. La bontà divina è ancora sollecita a scoprirci i nemici, le armi e il modo con cui ci assalgono, perché non ci inganniamo. La bontà divina giunge ancora a riconoscere i nostri nemici come suoi e ad indicarci le armi e il modo con cui dobbiamo combatterli. Ci mostra poi a conoscerli col confronto del suo spirito con quello del nemico, ove si scopre in cosa consistano e quanto sia opposto l'un l'altro nella materia e nel modo. Ci mostra inoltre a combatterli col suo esempio, perciò ci aiuta con la sua grazia, anzi li combatte lui con noi e ci incoraggia ancora con la ricompensa degna di Dio. Più ci scopre i diversi gradi di imitarlo: ci invita ad imitarlo più da vicino anche nel suo officio di salvare le anime, perché ci assomigliamo sempre più a lui. Lo scopo è non solo distaccarci da ogni affetto disordinato verso i beni temporali (ciò che è stato lo scopo sinora), ma ancora ci invita a deporre affatto ogni specie di affetto anche ordinato, a preferire ed affezionarci agli oggetti opposti, affinché non abbiamo più orrore dei mali e anzi, prendiamo orrore dei beni e amore dei mali, e così sempre più diventiamo liberi da ogni vincolo terreno, anzi sempre più ci premuniamo contro di essi. Ci scopre ancora i gradi di buona volontà, affinché non ci lusinghiamo e inganniamo con darci ad intendere falsamente di servire Dio davvero e più da vicino, e affinché la nostra imitazione sia seria, efficace e costante. Lo scopo è di convertire gli affetti verso gli oggetti opposti, cioè togliere affatto ogni affetto ancorché ordinato alle creature, e sostituirvi la preferenza, anzi l'affetto ai mali opposti, e per questo giova la meditazione della Passione. Pre,2315:T9,13 7. Passione di Gesù Admisit fortitudo infirmitatem. Altro eccesso di bontà è di aver voluto abbracciare tutte le nostre passioni e infermità dal peccato in fuori, ed essere tentatus per omnia. Nobis relinquens exemplum ut sequamur vestigia ejus (1 Petr. 2, 21). E questo, per precederci con l'esempio nel superare ogni sorta di difficoltà, nel preferire nella scelta i mali di questa vita. Il suo scopo è darci prove di amore all'eccesso, perché gli corrispondiamo all'eccesso. Pre,2315:T9,14 Gesù nell'orto [non completato] Pre,2315:T9,15 Idea majestatis et bonitatis Dei Semel locutus est Deus, duo hæc audivi quia potestas Dei est, et tibi Domine misericordia (Ps. 61, 12). Hoc est semel “unum locutus est mihi per revelationem, duo scilicet esse potentem et misericordem” (S. Hier.). Pre,2315:T9,15,1 Idea Majestatis Dei a nobis contempti Deus in se est qui est. Quis ut Deus? Solus etiam inter Angelos, sed non solitarius. Deus ad extra omnium principium et finis consistens in procuranda propria gloria semper et nostra salute seu unione secum in hac vita per cooperationem nostram. Deus contemptus eo quod ipsi præfertur creatura. Et ipse tamen est Dominus, dominio proprietatis qui spoliat et destruit in morte. Est Judex cujus summa jurisdictio patet: potestas in citatione, sapientia in examine, justitia in sententia; cognoscetur Dominus judicia faciens. Vindex justus, terribilis, implacabilis, qui spernit spernentes se et per quæ quis peccat per hæc et punietur. Pre,2315:T9,15,2 Idea bonitatis Dei qui omnia media adhibet ad se nobis communicandum et ad unionem nostram secum procurandam. Sed ipse Deus tam magnus et terribilis ipse est Pater noster nempe si volumus; dives in misericordia etiam erga maximos peccatores, quos quærit sollicite ut bonus Pastor; expectat patienter ovunque ci si presenta sulla croce, et benigne suscipit amanter ut Pater prodigum, parcit, sibi unit. Et ut nos redimere et hanc unionem nobis procurare possit, ipse Dominus factus est servus sicut nos et tulit peccata nostra. Talis infirmus tali medico agebat qui et ipse infirmatur et medicinam sumit ut infirmum inducat ad ipsam medicinam sumendam. Ipse factus est servus ut esset forma servi, totus in nostros usus impensus: – In infantia nobis forma humilitatis conformiter fini hominis in Incarnatione; forma abnegationis in Nativitate doctrina seminarium prudentiæ; – in juventute et adolescentia forma vitæ communis privatim in officiis religionis pie et status, et publice in benignitate juste et in operibus misericordiæ ut ipsi assimilemur in corde et moribus, maxime in effusione erga proximum, vult nos fieri bonos ut ipse. Ostendit qualis sit spiritus et quales consequentias secus nempe in vexillo crucis inimicos detegit nobis, cum pugnat et pugnare docet; contrarius inimici nostri in libertate spiritus et sensus; item qualis modus agendi invitat ad ipsum sequendum proprius et sine restrictione. Infirmitates nostras animi portavit ut ostenderet qualiter vincendæ; factus est opprobrium hominum et abjectio plebis ut nobis ostenderet quales in persecutionibus esse debeamus; pro nobis dira passus est et mortuus est ut induceret et doceret nos pro ipso etiam omnia sustinere et pati et mori. Insuper resurrexit ut resurgeremus cum ipso in gloria; Spiritus Sanctus nobis communicavit qui est vinculum Trinitatis ut nos cum Trinitate conjungeret. O quanta Majestas et Bonitas et bonitatis communicatio! Ah! Trahe me post Te! Pre,2315:T9,16,1 Grandezza di Dio L'anima adora la divina Maestà e gode di essere creata ad immagine di Dio e di dover essere in relazione con Dio, in società; risolve di riconoscere tutto il bene da Dio e di rapportare tutto a Dio; in sostanza, di conservare l'ordine. Si detesta per il passato di aver pervertito l'ordine, disprezzato Dio con preferirgli indegnamente la creatura; teme e sta guardinga per l'avvenire di nuovamente offendere una Maestà così grande e 1. umiliandosi sub potenti manu Dei accetta il decreto della morte; confessa il dominio di proprietà in Dio, si sottomette al decreto dello spoglio e della distruzione e quando, dove, come più gli piace; 2. rende ora conto al Signore per averlo da rendere allora così rigido; 3. si risolve rendergli conto ai piedi del Crocifisso e del confessore, e chiede e spera nei suoi meriti per la debita soddisfazione. 4. Teme dunque e sta guardinga di non più offendere per l'avvenire tale Maestà, e trema alla vista delle divine vendette: peccato, Inferno, Passione di un Dio, tre oggetti infiniti solo proporzionati. Pre,2315:T9,16,2 Bontà di Dio Spera, ritorna a Dio Padre con idee grandi della sua misericordia. Dottrina di Gesù Cristo, scuola di prudenza. Si ammira che Dio si sia fatto forma servi; si accetta di seguire Gesù, invito così pieno di bontà, onorifico e vantaggioso. Riconosce il bisogno di umiltà, base uniforme al fine, la quale unita al distacco sono i veri principi di prudenza; ascoltano con affezione le lezioni di temperanza e di prudenza date da Gesù nella sua infanzia: di umiltà mirabile nella sostanza e circostanze; di povertà priva di comodi e del necessario; di mortificazione. Si risolve di esercitare la temperanza e la giustizia con il prossimo sull'esempio di Gesù Cristo nella gioventù, dato nella sua vita privata, cioè amore di orazione, per cui approvò le preghiere pubbliche, pie di studio della sapienza, per cui onorò i dottori con l'ascoltare e interrogare, e di obbedienza per 30 anni pie. Si vuole praticare la giustizia sull'esempio della dolcezza e carità effettiva verso il prossimo dato da Gesù nella virilità, nella sua vita pubblica: amore di digiuno, frutto di penitenza, obbedienza e devozione, amore alla solitudine lontano dagli uomini e dai negozi, fatica, cioè affezione agli impieghi e non ai comodi. Si risolve a guardarsi dalle insidie del Demonio e ad abbracciare lo spirito di Gesù Cristo per imitare Gesù più da vicino e con volontà, senza eccezione. Si determina di superare ogni difficoltà (Crucifixus solutio difficultatum): interna (tristatur quis vestrum oret, mundum restitit usque ad sanguinem), esterna (ibant gaudentes quia digni sunt contumelias pati), corporale (mundus mihi crucifixus est et ego mundo). Quæ sursum sunt quærit, sapit. Amat: amor vincit omnia. Pre,2315:T9,17,1 Dio abisso di Grandezza e di Bontà Glorificare Dio: come? Con il servire Dio da Dio, cioè in maniera degna di Dio, cioè sacrificando tutto, se occorre, per essere poi glorificati da Dio. L'uomo creato per procurare la gloria di Dio e la salute propria; glorificando Dio uno si salva, dimodoché la gloria di Dio e la salute propria sono essenzialmente uniti; così pure uno ama se stesso come si deve, solo amando Dio super omnia. I mezzi per procurare la gloria di Dio sono conoscere, amare, servire Dio, servendosi delle creature, per questo giusta la ragione e la volontà di Dio conosciuta. La gloria di Dio e in conseguenza la salute propria si procura con preferire Dio a tutto, anche a se stesso, cioè si procura con amare Dio usque ad contemptum sui (S. Ag.); quindi con l'amore vero di se stesso. Dunque, si toglie la gloria di Dio e si pregiudica la salute propria sempre che vi regnerà amor sui usque ad contemptum Dei, cioè l'amore proprio falso. N.B. L'attacco gravemente disordinato sono le catene che ci separano da Dio e che dobbiamo rompere. Pre,2315:T9,17,2 Come poi Dio disprezzato punisca e disprezzi chi lo disprezza, patet in novissimis. Gesù Cristo ha voluto farsi un vero modello dell'amor Dei usque ad contemptum sui spiritus et corporis, mundi et rerum mundi. Gesù si è preso l'assunto di riparare la gloria di Dio ed assieme procurare la salute nostra in conseguenza, e servire di modello in questo: ma come? Il mezzo che ha scelto e che ci insegna è amor Dei usque ad contemptum sui totius nempe spiritus et corporis; mundi et rerum mundi cioè, in qual modo, nel servire e amare Dio dobbiamo fare uso dello spirito, del corpo, del mondo e delle cose del mondo. Glorificando Dio saremo glorificati da Dio, onde gloria di Dio e salute nostra sono essenzialmente unite; come glorificarlo? Con riconoscerlo come Maestà infinita ed adorarlo, come Padrone assoluto e servirlo; con impiegare cioè lo spirito ad attendere a conoscerlo, adorarlo, amarlo, servirlo, pronti a sacrificare la stima propria e degli uomini; con il corpo, cioè i sensi, i beni temporali, impiegandoli quando e come piacerà a Dio e così i beni temporali sono dunque soltanto mezzi verso i quali ci vuole indifferenza. Dunque: Dio Padrone, l'anima serva, le creature strumenti per servire Dio. Questo è l'ordine, e il pervertire quest'ordine, cioè l'amore di se stesso e di qualche bene temporale usque ad contemptum Dei forma il peccato mortale. E Dio, per contenere l'uomo da questo disprezzo, spiega la sua padronanza e giustizia. Dio di Maestà è pure Dio di bontà, e ciò vuol dire tutto, comunicazione ad intra e ad extra e qui fa consistere la sua gloria. Pre,2315:T9,17,3 Il Figliuolo di Dio si fece uomo, è venuto e arde di zelo per riparare la gloria tolta ad extra all'Eterno Padre col peccato, cioè a togliere l'ostacolo alla comunicazione di Dio verso di noi per così restituire a suo Padre il potersi comunicare a noi, e a noi il vantaggio di profittare di tale comunicazione; e siccome il peccato è amor sui usque ad contemptum Dei, così il mezzo che ha scelto per riparare la gloria del Padre e procurare la nostra salute è di adorare e amare il Padre usque ad contemptum sui spiritus, nascondendo la sua divinità, sacrificando la sua eccellenza creativa, sottomettendosi ad ogni disprezzo; usque ad contemptum sui corporis impedendone la gloria, sottomettendo alla povertà e a tutti i dolori. E questa è la norma che ci propone e invita a tenere ancora noi per riparare la gloria che gli abbiamo tolta e per travagliare alla salute nostra. Come la natura e operare di Dio è tutta comunicazione di virtù, di verità, di bontà verso di noi, come la gloria di Dio esterna consiste nella comunicazione e l'anima è immagine di Dio nelle facoltà naturali che da lui non dipendono, così deve divenire simile a Dio nelle operazioni della volontà che da lui dipendono; deve essere tutto comunicazione verso Dio e verso l'immagine di Dio; in ciò abbiamo pure Gesù nostro esemplare; egli è l'immagine della bontà del Padre e vuole che noi siamo immagine della sua bontà: Date et dabitur; qua mensura etc. Pre,2315:T10,1 315-10 Pre,2315:T10,1 L'uomo quanto all'anima… L'uomo quanto all'anima: è uno spirito ad immagine di Dio eterno; creato per essere in relazione con le divine Persone in questa vita e unirsi pienamente ad esse in Cielo, quindi eo rectus quo est appetens æterno et eo beatus quo unitus Deo; uguale presso a poco a qualunque altro spirito e infinitamente superiore a tutto il rimanente creato; quanto al corpo: è questo uno strumento dell'anima e simile ai bruti. Le creature in sé sono niente e indifferenti, e riguardo a noi sono beni se e in quanto promuovono la relazione con Dio, e la promuovono per quanto si usano secondo la volontà di Dio, non già secondo la nostra, e per questo non dobbiamo avere nessun attacco ad esse; sono mali se impediscono la suddetta relazione, e per quanto l'impediscono, e questo impedimento è generato dagli attacchi alle medesime creature. Ogni attacco alla creatura è un impedimento alla perfetta unione con Dio, perché Dio e la creatura sono i due estremi, e l'anima è in mezzo. L'attacco leggermente disordinato offende venialmente il Signore a proporzione che degrada e si macchia l'anima con l'attacco, e viene impedita la sua unione perfetta con Dio. L'attacco gravemente disordinato è quando si costituisce il fine nella creatura e importa assieme l'avversione a Dio, ciò che forma il disprezzo di Dio ed il peccato mortale. Pre,2315:T10,2 L'eternità è la prima norma per conoscere appieno la vanità delle creature, se vi sia attacco disordinato alle creature, e quanto gran male sia l'attacco ad esse, cioè i grandi guai che seguono tali attacchi. La morte è la porta dell'eternità ove l'anima è spogliata a conoscere la vanità di questi beni, massime delle ricchezze: quæ parasti cujus erunt? Non è amareggiata se non ha alcun attacco, è amareggiata dalla separazione a proporzione dell'attacco al corpo e ai beni. Dopo la morte segue il Giudizio ove si deve rendere rigorosissimo conto a Dio dell'uso e dell'abuso, cioè dell'attacco e distacco delle creature, dell'attacco al corpo e ai beni in specie, e decide dell'eternità meritatasi per l'attacco o distacco dalle creature. Nel Purgatorio si punisce col fuoco ogni leggero attacco. Nell'Inferno si punisce in eterno con la pena del senso, anche un solo attacco gravemente disordinato, e con la pena del danno l'avversione a Dio, conseguenza necessaria del grave attacco. Il modo di rimediare a questi attacchi, offese di Dio, è di attendere a conoscerli nella solitudine e a confessarli, detestarli sinceramente innanzi a Dio con proponimenti fermi di non più aderire e con sperarne senza titubazione e il perdono dal cuore paterno di Dio. Pre,2315:T10,3 La seconda norma – la quale con la dottrina insegna il giudizio che dobbiamo farci delle cose e, con l'esempio, la condotta che dobbiamo tenere aggiungendo l'aiuto per tutto eseguire – per conoscere che questi beni sono falsi e gli oggetti opposti non sono mali, anzi sono beni veri, e che serve pure di motivo ed esemplare per distaccarci e disprezzare i beni creati, e stimare ed abbracciare gli oggetti opposti, è la Sapienza eterna, incarnata, Gesù Cristo; cioè Gesù Cristo, il quale con la sua dottrina c'insegna e ci assicura dove è la verità, cioè che questi beni sono falsi, gli attacchi a questi beni sono così perniciosi e gli oggetti opposti non sono mali, ma beni; col suo esempio ci invita, ci impegna e ci mostra a calpestare quelli e preferire questi, e con la sua grazia ci aiuta ed assiste ad eseguirlo insieme a Lui. Nell'Incarnazione: 1o si fa uomo per servirsi dell'umanità per norma con cui dobbiamo trattare la nostra umanità e per strumento con cui ci spiega il suo giudizio delle cose e il modo di operare per modello del nostro giudicare ed operare; per questo nasconde la divinità, nasconde le perfezioni sublimissime della sua anima e impedisce che la gloria ridondi nel corpo. 2o Si abbassa ad assumere non solo l'anima come noi ma anche il corpo, e nello stato il più umile e penoso, cioè nel ventre di Maria Vergine e vi si unisce personalmente, eternamente, nascondendo la sua divinità. Chi può concepire l'unione di questi due estremi, un abbassamento più grande: Verbum caro factum est, e ardire di cercare ancora la stima di se stesso e della propria eccellenza? Ed essendo la persona divina, può dirsi un Dio umile, umiliato per indurre noi a praticare l'umiltà; ci insegna ad amare Dio usque ad contemptum sui, a spernere se ipsum quanto allo spirito, poiché un Dio si adatta a comparire non più che uomo generato come gli altri, e anche con figura di peccatore; e questo è mettere in pratica la verità del fine dell'uomo con annientarsi per il servizio di Dio, ed è il mezzo che ci insegna da praticare ancora noi. Pre,2315:T10,4 Il Figliuolo di Dio… Il Figliuolo di Dio è il mezzo di cui si serve, che ci suggerisce, la norma che ci dà di procurare la gloria di Dio e la salute nostra, è amor Dei usque ad contemptum sui, e questo in esecuzione della verità del fine dell'uomo. Effettua poi l'amor Dei usque ad contemptum sui con nascondere la sua divinità, le perfezioni dell'anima e impedire che la gloria ridondi nel corpo; anzi, con comparire un uomo come gli altri, concepito come gli altri, perfino con la figura di peccatore, con un corpo non perfetto, ma nello stato più umile che possa trovarsi, cioè nel ventre di una vergine passibile e mortale come gli altri. Dopo il disprezzo di se stesso, viene il disprezzo del suo corpo, dei beni di questo mondo e del mondo stesso, perciò permette che nessuno lo riceva, tutti lo rigettino, il suo corpo sia collocato in una mangiatoia in mezzo a due animali, privo di ogni comodo, perfino del necessario; così ci insegna a disprezzare il proprio spirito ut supra, il corpo e il mondo medesimo da cui è disprezzato, esercitando così, riguardo al mondo, il disprezzo attivo e passivo. Pre,2315:T10,5 In seguito, ci dà la norma di portarsi con Dio e nei doveri di Religione con amore effettivo e questo è senza riserva: in his quæ Patris mei sunt oportet me esse; nei doveri del proprio stato, ove si tratta della volontà, cioè con ubbidire e fare tutto con eccellenza. Quindi ci dà la norma di portarsi con il prossimo; questa appare: 1. da ciò che ci ha in certo modo pareggiati con l'eterno Padre, facendo per noi ciò che ha fatto per lui, essendo morto per riparare la gloria e la salute; 2. più particolare con benefaciendo, e con essere mitis etc. Vuole che amiamo Dio più di noi stessi e il prossimo non più, ma come noi stessi, cioè, dopo Dio, vuole che stimiamo, amiamo il prossimo più di tutto, perché immagine di Dio, prendendo come fatto a sé quel etc. [quel che facciamo per il prossimo]; vuole che noi, immagine di Dio, partecipiamo della sua bontà e comunicazione, dobbiamo comunicare ciò che abbiamo di buono con il prossimo, e operare come Dio. Pre,2315:T10,6 Abisso di Maestà Chi è Dio in sé e per la relazione all'uomo. Dio in sé: Qui est, Quis ut Deus, Abisso di Maestà, Uno e Trino, Scrutator Majestatis lucem inhabitat; erga nos: principium et finis; Deus et omnia. Chi è l'uomo in sé e le sue relazioni con Dio. Cos'è la creatura in sé e sue relazioni con l'uomo. Una Maestà così grande viene disprezzata con preferirgli la creatura, una Maestà così grande, così disprezzata ed offesa, per far rientrare l'uomo nel suo servizio, spiega la sua padronanza nel dominio di proprietà in morte, in cui con decreto spoglia e distrugge l'uomo quando, dove, come più gli piace; nel dominio di giurisdizione nel giudizio ove spicca la sua potenza nella citazione, la sapienza nell'esame e la giustizia nella sentenza; nell'Inferno ove castiga eternamente con la pena del danno, perché fu disprezzato, e con la pena del senso, perché servì di strumento per peccare. Fin qui la prima parte del Simbolo. Il frutto è di non essere attaccato alle creature in modo da voltare le spalle a Dio, d'ora innanzi c'insegna a distaccarci affatto, sebbene resti l'orrore della stima contrario. Dio abisso di Maestà è pure abisso di Bontà, il sommo bene è sommamente comunicabile. E tale è il desiderio di comunicarsi con tutti, perfino coi suoi più grandi nemici, che egli stesso ci manifesta la sua buona volontà e condotta nel cercare quale buon Pastore e aspettare con tanta pazienza, e accogliere quale appassionato Padre qualunque suo più grande nemico. Ignorando l'uomo il modo di servire Dio che gli sia accetto, l'eterno Padre ci manda, anzi ci dona il suo diletto Figliuolo per servirci da Maestro, Modello, conforto; il Figlio fa consistere la sua gloria nel salvarci e prende tutti i mezzi per riuscirvi; ci invita a prendere il giogo dei suoi comandamenti, cooperando alla sua grazia, facendosi esso Via, Verità, Vita, e portare il peso del suo amore, cioè precedendoci con l'esempio, istruendoci con la sua dottrina e fortificandoci con la sua grazia. Pre,2315:T10,7 Il divin Figliuolo impiega tutto per noi: totus in nostros usus impensus ac si homo Dei Deus esset; per meglio riuscirvi, l'amore lo fa uscire fuori di se stesso: si fa simile a noi per renderci simili a Lui; farsi esso stesso servo prendendo perfino la figura di peccatore, sceso dal cielo in tale stato di umiliazione per praticare l'umiltà che gli è così preziosa, e indurre noi a praticarla, guarirci così dalla radice del male che è la falsa e troppa stima di se stesso, per cui uno si crede degno e si procura, e si affeziona più del dovere ai beni di questa vita. Ad un tale ammalato ci vuole tale medico, e così un tale medico si fa ammalato, prende egli stesso la medicina per indurre l'ammalato a prenderla insegnandoci così la vera prudenza con la scelta dei mezzi migliori per la salute. Tutto che nelle ricchezze della gloria, si fa povero. E come? Per disingannarci dai falsi beni, scoprirci il bene della povertà e indurci, con il suo esempio, a praticarla, non per privarci di possedere alcun bene, ma per toglierci i falsi e procurarci il vero e sommo e unico. Pre,2315:T10,8 Prima di tutto la prudenza suggeriva di prendere i mezzi migliori, cioè dell'umiltà, del distacco: questi sono i doveri verso se stessi, e questo in genere. Si discenda ora al particolare: 2. verso Dio: tutto che oggetto d'adorazione infinita, si fa egli Adoratore per esserci di modello nell'adorazione verso il suo eterno Padre, e nei doveri di Religione verso Dio, di pietà verso i Superiori, di stato, ove sta l'esecuzione della volontà di Dio per ciascuno, dovendosi servire a suo modo; 3. verso il prossimo: vuole ancora che diventiamo buoni, come Lui, perciò pertransit benefaciendo et erat mitis. Essendo egli di natura tutto bontà, non potendo produrre che atti di bontà, e non sapendo operare che con bontà, volendosi comunicare pienamente a noi, né potendolo fare se non ci assomigliamo a Lui, perciò vuole che diventiamo buoni se non di natura almeno di volontà, e produciamo ancora noi atti di bontà e con bontà. Ci scopre le difficoltà perché le superiamo; ci aiuta a superarle. I nostri nemici li riconosce anche come suoi e ci mostra a conoscerli e combatterli, e li combatte con noi. Ci scopre i diversi gradi di imitarlo, ci invita ad imitarlo più da vicino, anche nel salvare le anime, affinché non solo ci distacchiamo affatto, ciò che è stato lo scopo sinora, ma ancora preferiamo l'opposto, d'ora innanzi prendiamo non più orrore ai mali, ma orrore ai beni, amore ai mali. Ci scopre i gradi di buona volontà perché la nostra imitazione sia più seria ed efficace e non ci lusinghiamo od inganniamo, dandocela ad intendere. Ci vuole dare l'esempio, precedere nel vincere queste difficoltà e perciò volle abbracciare tutte le nostre infermità, essere tentatus per omnia ut*5. Pre,2315:T10,9 Abisso di bontà tale in Dio che adopera tutti i modi per comunicarsi a ciascuno di noi: – nell'ordine della natura con essere sempre presente in tutte le creature con il dire: En tibi cor meum; con operare in esse per noi e farla per esempio da vignolante etc.; con beneficarci con esse, e comunicarci qualche bene del suo dicendoci: Accipe, redde, cave; – nell'ordine della grazia col parteciparci l'Eterno Padre la sua divina natura e farci suoi figli adottivi, darci il Verbo eterno in socio, Maestro, cibo, in prezzo, in premio; con il comunicarci lo Spirito Santo che ci vivifica, illumina, consola; come vincolo delle divine Persone ci unisce ancora noi ad esse e siamo una sola cosa con Dio e pegno della gloria ci assicura la beata eternità; – nell'ordine della gloria ove si riserva di comunicarsi a noi in tutto se stesso senza riserve, in eterno*6. Pre,2315:*1 Il testo originale è un'insieme di appunti con graffe. Pre,2315:*2 I fogli n. 253 e 254 del manoscritto originale si trovano per errore nel doc. S. 2,11,9:315-3: sono parte del doc. S. 2,11,14:322 (3o e 4o giorno), nel quale li abbiamo reinseriti (vedi sotto Pre, 2322). Pre,2315:*3 Segue (p. 272 del manoscritto) una brutta copia del Corollario già riportato in questo volume e stampato dall'Isnardi nel 1857 e prima dallo stesso Lanteri nel 1829. Pre,2315:*4 Segue il testo Exercitia spiritualia S. Ignatii sunt arma invincibilia, da noi già trascritto (n. 4) riportando una stesura poco differente. Pre,2315:*5 Il testo originale è incompleto. Pre,2315:*6 Il doc. AOMV, S. 2,11,9:315-11 è il seguito del doc. AOMV, S. 2,6,11:222 ed è stato edito con il riferimento Org, 2222. Pre,2317:S Disposizioni per gli Esercizi spirituali, Dio, l'anima, e nient'altro Opuscolo a stampa, Novara, Dalla Tip. di G. Miglio, con permissione, s.a. (ma posteriore al 1814), in 32, pp. 16. È un piccolo opuscolo da distribuire al popolo durante le missioni o gli Esercizi spirituali privati. La pubblicazione è come il solito anonima, ma la paternità del Lanteri è confermata dal contenuto, dallo stile e dalla testimonianza dell'AOMV dove è conservato (S. 2,11,11:317). Pre,2317:T Disposizioni per gli Esercizi spirituali Dio, l'Anima, e nient'altro Pre,2317:T1 Disposizioni, sulle quali mi esaminerò prima del pranzo, e prima d'andare a letto I. Custodia sollecita, ed esatta: – Di ciascun senso, diventare sordo, cieco, muto per il rimanente del creato. – Della fantasia; quis est Deus? II. Diligenza per osservare l'ordine, ed eseguire ciascun Esercizio: – Prontamente. – Interamente. – Con stima, ed affetto. – Con pace, e tranquillità. – Con farne l'esame dopo. III. Umiltà profonda; onde riconoscersi inabile, ed indegno anche di un solo buon pensiero. Diffidare dei propri lumi. Aver pazienza se Dio non ne dà, anzi amare l'orazione fatta in povertà di spirito. IV. Ampiezza di cuore, e gran confidenza in Dio. Ostare allo scoraggiamento, ed alla diffidenza. Non litigare con Dio, ma dargli quanto vuole. Non dare luogo al Demonio, superare qualunque difficoltà. V. Finalmente frequentare ogni giorno la giaculatoria, e l'atto di mortificazione e sovente ricorrere al Santo Protettore di quel giorno. Pre,2317:T2 Riflessioni sopra la Considerazione I. Credere, ed adorare Dio presente, e chiedergli lume per conoscere la volontà di Dio, e forza per eseguirla. II. Scorrere il soggetto della Considerazione, osservare, se per il passato si è praticato quanto venne proposto; chiedere perdono a Dio di non averlo fatto; risolvere d'incominciare. III. Rendere efficace la risoluzione presa; considerando i seguenti motivi. 1. Quanto tornerebbe a conto all'anima se avessi praticato quanto venne proposto. 2. Quanta consolazione mi recherà se lo farò per l'avvenire. 3. Quanto vi sono obbligato per la professione di Cristiano. 4. Avrei caro di averlo fatto se dovessi morire. 5. Quanta confusione avrò al Tribunale di Dio se continuo a trascurare tale cosa. 6. Quanto merito, e quanto premio mi aspetta se mi vincerò. 7. Quanto gusto darò al Signore con vincermi. 8. Quanta ingratitudine sarà non farlo dopo tanti benefici, e tanto amore di Dio verso di me. IV. Formare quindi proponimenti fermi, prevedere le occasioni di metterli in pratica, chiedere grazie alle tre Divine Persone, a Maria Vergine, ai Santi per effettuarli; metterli in iscritto. Pre,2317:T3 Per la Lezione Spirituale I. Non leggere mai se non cose relative alle Meditazioni proposte nella corrente giornata. II. Leggere con quella avidità, attenzione, rispetto, con cui si leggerebbe una lettera trasmessaci da qualche gran Principe. III. Prima di leggere, innalzare il cuore a Dio: Loquere Domine quoniam audit servus tuus. IV. Si legga con tutta tranquillità, ed attenzione per capire bene ciò che si legge. V. S'interrompa di quando in quando la lezione con sospiri a Dio, e con qualche sguardo a se stesso. VI. Finire con un Deo gratias. Pre,2317:T4 Pratica per la Meditazione da ripetere in camera Pre,2317:T4,1 I. Procurare che la Camera sia alquanto oscura. Pre,2317:T4,2 II. Prendere l'acqua santa, e farsi il segno di Croce per tenere lontano il Demonio. Pre,2317:T4,3 III. Due, o tre passi lontano dall'inginocchiatoio, elevare la mente a Dio per lo spazio d'un Pater, crederlo veramente presente che mi sta mirando pronto ad aiutarmi se in lui confido, e fargli un profondo inchino, dicendo: Vi adoro, sacrosanta ed individua Trinità, Padre, Figliuolo, e Spirito Santo. Pre,2317:T4,4 IV. Inginocchiato reputarsi indegno della presenza di Dio, dolersi dei propri peccati, offrire se stesso a Dio, dicendo: “Signore, io non sono degno di stare alla vostra presenza, ciò che mi rende indegno, sono i miei peccati, io li detesto di tutto cuore, propongo di non più offendervi per l'avvenire, e ve ne chiedo istantemente perdono, e la grazia; vi chiedo pure la grazia di far bene, e con frutto questa Meditazione; perciò vi offro, o Eterno Padre, la mia memoria; Voi riempitela; vi offro, o Divin Figlio, il mio intelletto, Voi illuminatelo; vi offro, o Spirito Santo, la mia volontà, Voi infiammatela, Maria Santissima, degnatevi farmi sentire gli effetti del vostro Patrocinio; Santi miei protettori N.N., e Voi Angelo mio Custode assistetemi.” Pre,2317:T4,5 V. Ragionare seco così: 1 – Qual è il soggetto della Meditazione? Quale la divisione dei punti? 2 – Quali riflessi sono stati fatti sopra questi punti? Quivi richiamare alla mente le ragioni addotte, facendolo con tutta tranquillità, ed attenzione. 3 – Sono io veramente convinto di questa verità? Quivi conviene vedere se abbiamo altri riflessi da aggiungervi per convincersi sempre più, e conviene ripetere atti di fede ben fermi. 4 – È egli bastante ch'io creda tale verità? Non esige fors'anche qualche cosa in pratica? Quivi esaminare cosa farebbero i Santi, cosa debba fare io in conseguenza di tale verità, quale vantaggio per me se lo faccio, e se non lo faccio quale danno in vita, in morte, nell'eternità. 5 – Nel passato ho io fatto quel che m'insegna questa verità? Quivi protestarsi di volere una volta obbedire a Dio, e far ciò che il Signore ci manifesta di esigere, o desiderare da noi in questa Meditazione: esaminare poi bene questa volontà, vedere cioè: 1. Se è pigra, procrastinante, oppure risoluta d'incominciare subito. 2. Se è riservata nell'esecuzione, oppure pronta ad abbracciare i mezzi migliori, e questi significarli. 3. Se è vacillante, oppure ferma nelle difficoltà, e questa esaminarla, e risolverla. 6 – Per l'avvenire avrò io forse sufficienti per eseguire tali risoluzioni? Quivi confessare innanzi a Dio la propria insufficienza, e l'indegnità d'ottenere da Dio simile forza; per altra parte ricordarsi della onnipotenza, e bontà di Dio, dei meriti, e delle promesse di Gesù Cristo, del precetto, che c'impose di sperare; quindi: 1. Ricorrere alle tre Divine Persone per tale effetto adducendo questi stessi motivi, e la sua gloria che ne risulterà, se ci esaudisce, benché indegni; quivi fare atti fermi di speranza, e di credere sicuramente di essere esauditi. 2. Ricorrere a Maria Santissima nostra cara Madre, ed ai Santi perché ci ottengano sempre più tale grazia con la loro intercessione. 3. Ricorrere agli Angeli, massime all'Angelo Custode perché ci assista a mettere in esecuzione simili risoluzioni, giacché questo è il loro officio. Pre,2317:T4,6 VI. Finire con un po' d'esame, e se si può far anche passeggiando nel seguente modo: 1. Ho io meditato di mala voglia e come per forza, oppure con stima ed affetto, giacché è un onore ed una grazia che il Signore ha fatto a me d'ammettermi alla sua udienza? 2. Ho io conservato nell'esterno una grande riverenza alla maestà di Dio presente? Sono io stato cieco, sordo, muto per tutto il rimanente del creato? Quis ut Deus? 3. Ho conservato il mio cuore tranquillo, dolcemente occupato, ed affezionato alla verità proposta, disprezzando ogni altro pensiero alieno? Quod Deus non est, nihil est. 4. Finire con chiedere perdono dei difetti trascorsi, e proporne l'emendazione. 5. Dare un'occhiata ai lumi e proponimenti, e ringraziarne il Signore. 6. Scrivere qualche sentimento che fece più impressione, e massime i proponimenti e massime. Pre,2318:S Ricordi e preghiera AOMV, S. 2,11,11:318 (a stampa) Pre,2318:T1 Ricordi in occasione de' Santi Esercizi I. Quando sei tentato a peccare gravemente, pensa che quel peccato può essere l'ultimo. E se fosse l'ultimo?… II. Se commetti un peccato grave, non tardare a presentarti al Tribunale di Penitenza. Che sarebbe di te, se ti coglie una morte improvvisa?… III. Prima di coricarti, chiedi perdono delle tue colpe, e raccomanda l'anima tua a Dio, a Maria, all'Angelo Custode. Sei sicuro di non morire in quella notte?… IV. Svegliato appena, offri te stesso e tutte le tue azioni a Dio. Avrai la temerità di offrirgli un peccato?… V. Se non puoi ascoltare la santa Messa ogni giorno, almeno ogni giorno fa una visita al Ss. Sacramento. Quante irriverenze?… e quanti scandali nella casa del Signore?… VI. Chi brama i giorni di festa per divertirsi, non ha lo spirito di cristiano. E chi ama i giorni di festa per peccare?… O stoltezza! O malizia! O empietà!… Pre,2318:T2,1 Preghiera per la buona morte Gesù, Signore di bontà, Padre di misericordia, io mi presento innanzi a Voi con cuore umiliato, contrito e confuso: vi raccomando la mia ultima ora, e ciò che dopo d'essa mi attende. Quando i miei piedi immobili mi avvertiranno che la mia carriera in questo mondo è presso a finire, misericordioso Gesù abbiate pietà di me. Quando i miei occhi offuscati, e stravolti all'orrore della morte imminente fisseranno in Voi gli sguardi languidi e moribondi, misericordioso Gesù, ecc. Quando le mie mani tremole ed intorpidite non potranno più stringervi crocifisso, e mio malgrado vi lascerò cadere sul letto del mio dolore, misericordioso ecc. Quando le mie labbra fredde e tremanti pronunzieranno per l'ultima volta il vostro Nome adorabile, misericordioso ecc. Quando le mie guance pallide e livide inspireranno agli assistenti la compassione ed il terrore, ed i miei capelli bagnati dal sudore della morte, sollevandosi sulla mia testa, annunzieranno prossimo il mio fine, misericordioso ecc. Quando le mie orecchie, presso a chiudersi per sempre ai discorsi degli uomini, s'apriranno per intendere la vostra voce, che pronunzierà l'irrevocabile sentenza, onde verrà fissata la mia sorte per tutta l'eternità, misericordioso ecc. Quando la mia immaginazione agitata da orrendi e spaventevoli fantasmi sarà immersa in tristezze mortali, ed il mio spirito turbato dall'aspetto delle mie iniquità, dal timore della vostra giustizia lotterà contro l'Angelo delle tenebre, che vorrà togliermi la vista consolatrice delle vostre misericordie, e precipitarmi in seno alla disperazione, misericordioso ecc. Quando il mio debole cuore oppresso dal dolore della malattia sarà sorpreso dagli orrori di morte, e spossato dagli sforzi che avrà fatti contro i nemici della mia salute, misericordioso ecc. Quando verserò le mie ultime lacrime, sintomi della mia distruzione, ricevetele in sacrifizio d'espiazione, affinché io spiri come una vittima di penitenza, ed in quel momento terribile, misericordioso ecc. Quando i miei parenti ed amici, sì stretti a me d'intorno, s'inteneriranno sul dolente mio stato e v'invocheranno per me, misericordioso ecc. Quando avrò perduto l'uso di tutti i miei sensi, ed il mondo intero sarà sparito da me ed io gemerò nelle angosce dell'estrema agonia e negli affanni di morte, misericordioso ecc. Quando gli ultimi sospiri del mio cuore sforzeranno la mia anima ad uscire dal corpo, accettateli come figli d'una santa impazienza di venire a Voi, misericordioso ecc. Quando l'anima mia, sull'estremità delle labbra, uscirà per sempre da questo mondo, e lascerà il mio corpo pallido, freddo e senza vita, accettate la distruzione del mio essere come un omaggio che io venga a rendere alla vostra Divina Maestà, misericordioso ecc. Quando finalmente la mia anima comparirà avanti Voi, e vedrà per la prima volta lo splendore immortale della vostra Maestà, non la rigettate dal vostro cospetto, degnatevi di ricevermi nel seno amoroso della vostra misericordia, affine io canti eternamente le vostre lodi, misericordioso ecc. Pre,2318:T2,2 Orazione O Dio! Che condannandoci alla morte, ce ne avete celato il momento e l'ora, fate, che io passando nella giustizia e nella santità tutti i giorni della mia vita, io possa meritare d'uscire da questo mondo nel vostro santo amore per i meriti del N.S.G.C. che vive e regna con Voi nell'unità dello Spirito Santo. Così sia. Pio VII, per decreto de' 12 maggio 1802, accordò a chi recita ogni dì detta preghiera, cento giorni d'indulgenza. Più plenaria un dì del mese ad arbitrio, tutte applicabili alle Anime. Pre,2319:S Regolamento da osservarsi nel tempo de' Santi Esercizi Opuscolo a stampa, Pinerolo, dalla Tipografia di Paolo Ghighetti, con permissione, s.a. (ma posteriore al 1814), in 8, pp. 10. L'opuscolo ha lo stesso scopo del doc. Pre, 2317 (vedi sopra). AOMV, S. 2,11,11:319 Pre,2319:T Regolamento da osservarsi nel tempo de' Santi Esercizi Pre,2319:T1 Numero I Dio, anima, Eternità, e nient'altro Pre,2319:T1 Distribuzione delle ore Ore Mattina 5. 30: Levata; Consacrare il primo pensiero, e la prima parola a Dio. 6: In chiesa; Preghiera in comune, indi la prima Meditazione, ed applicazione pratica della medesima in camera, scrivere le risoluzioni. 7. 30: In chiesa: Prima, la Santa Messa, Terza, indi in camera. 8. 15: In camera, Caffè. 8. 45: In chiesa: Sesta; la prima Istruzione, ed applicazione pratica della medesima in camera. 10. 15: In Camera, lettura Spirituale. 10. 45: In chiesa: Nona, la seconda Meditazione, e l'applicazione pratica della medesima in camera. 12: In camera, Esame di coscienza, scrivere le risoluzioni. 12. 30: Pranzo; ringraziamento in chiesa con recitare il Miserere nell'andarvi. Ore Sera 1. 30: Ricreazione. 2. 30: In chiesa, la terza parte coi Misteri, indi riposo in Camera. 3. 30: In chiesa, Vespro, Compieta, la seconda Istruzione, applicazione pratica della medesima in camera. 5: In camera, lettura Spirituale. 5. 30: In chiesa, Mattutino, e Lodi, indi la terza Meditazione, ed applicazione pratica della medesima in camera. 7: In camera, scrivere i frutti, ed esame di coscienza. 7. 30: In chiesa, la benedizione del Santissimo Sacramento preceduta dal Miserere. 8: Cena, indi Ricreazione; 9. 45: In chiesa, Preghiera in comune. 10: In camera, Riposo, e consacrare l'ultimo pensiero, e l'ultima parola a Dio. Rogamus vos Fratres ut abundetis magis, et operam detis ut quieti sitis, et ut vestrum negotium agatis (1 ad Thess. c. 4, v. 10 et seq.). Fuge: a conversatione hominum ad Deum in solitudine, et tibi loquetur ad cor. Tace: sis mutus, cæcus, surdus ut animus collectus facilius veritatibus æternis vacet. Quiesce: ab omnibus negotiis ad animam non spectantibus, et tota die nil audi, ora, lege, scribe nisi quæ ad scopum pertinent. In omnibus operibus præcellens esto (Eccli. c. 33, v. 23). Particula boni doni non te prætereat (Eccli. c. 14, v. 14). Pre,2319:T2 Numero II Pratica per la Meditazione da ripetersi in camera Pre,2319:T2,1 I. Procurare che la camera sia alquanto oscura. Pre,2319:T2,2 II. Prendere dell'acqua Santa, farsi il segno della Santa Croce per tenere lontano il Demonio. Pre,2319:T2,3 III. Uno o due passi lontano dell'inginocchiatoio, elevare la mente a Dio per lo spazio d'un Pater, crederlo veramente presente, che mi sta rimirando pronto ad aiutarmi, se in lui confido, fargli un profondo inchino, dicendo: vi adoro Sacrosanta, ed Individua Trinità, Padre, Figliuolo, e Spirito Santo: adauge mihi fidem, spem et caritatem. Pre,2319:T2,4 IV. Inginocchiato reputarsi indegno della presenza di Dio, dolersi dei propri peccati, offrire se stesso a Dio, dicendo: “Signore, io non sono degno di stare alla vostra presenza, ciò che mi rende indegno sono i miei peccati, io li detesto di tutto cuore, propongo di non più offendervi per l'avvenire, e ve ne chiedo instantemente il perdono; vi chiedo pure la grazia di far bene, e con frutto questa meditazione, perciò vi offro, o Eterno Padre, la mia memoria, degnatevi di riempirla; vi offro, o Divin Figlio, il mio intelletto, illuminatelo, vi offro, o Spirito Santo, la mia volontà, infiammatela. Maria Santissima degnatevi farmi sentire gli effetti del vostro Patrocinio, Santi miei Protettori N.N., e voi Angiolo mio Custode assistetemi.” Pre,2319:T2,5 V. Ragionare seco così: 1o – Qual è il soggetto della meditazione? Qual è la divisione dei punti? 2o – Quali riflessi sono stati fatti sopra ciascun punto? Quivi richiamare alla mente le ragioni addotte, lette, facendolo con tutta tranquillità, ed attenzione. 3o – Sono io veramente convinto di questa verità?… Posso io ancora dubitarne?… Vedere se abbiamo altri riflessi da aggiungervi per convincersi sempre più, e ripetere atti di fede ben fermi. 4o – È egli bastante che io creda tale verità? Non è necessaria anche la pratica? Esaminare cosa farebbero i Santi, cosa debbo fare io in consequenza di tale verità, qual vantaggio per me se lo faccio, e se non lo faccio, quale danno in vita, in morte, nell'eternità? Per la pratica, esaminarmi: 1o – Se per il passato ho fatto quel che m'insegna questa verità. 2o – Se per il presente voglio ubbidire davvero a Dio, e fare ciò che il Signore mi manifesta volere, o solo desiderare da me in questa materia. Quindi esaminare: 1. Se la mia volontà è pigra, e procrastinante, oppure risoluta d'incominciare subito. 2. Se è riservata nell'esecuzione oppure pronta ad abbracciare i mezzi migliori (e questi specificarli). 3. Se è vacillante, oppure ferma nelle difficoltà; e queste esaminarle, e risolverle. 3o – Se per l'avvenire avrò forze sufficienti per eseguire simili risoluzioni (quivi confessare innanzi a Dio la propria insufficienza, e l'indegnità di ottenere da Dio simili grazie, per altra parte ricordarsi dell'onnipotenza, e bontà di Dio, dei meriti, e delle promesse di Gesù Cristo, del precetto, che c'impone di sperare). Quindi: 1. Ricorrere alle tre Divine Persone, per tale effetto adducendo questi stessi motivi, e la sua gloria, che ne risulterà, se ci esaudisce benché indegni; in consequenza fare atti fermi di speranza d'essere esauditi. 2. Ricorrere a Maria Santissima nostra cara Madre, ed ai Santi, perché ci ottengano tale grazia con la loro intercessione. 3. Ricorrere agli Angioli, massime all'Angiolo Custode, perché ci assista a mettere in esecuzione simili risoluzioni, giacché questo è il loro ufficio. Pre,2319:T2,6 VI. Finire con un po' d'esame, che si può fare anche passeggiando nel seguente modo: 1o – Ho io meditato di mala voglia, e come per forza, oppure con stima, ed affetto, giacché è un onore, ed una grazia, che il Signore m'ha fatto d'ammettermi alla sua udienza? 2o – Ho io conservato nell'esterno una grande riverenza alla Maestà di Dio presente? Sono io stato cieco, sordo, muto per tutto il rimanente Creato? Quis ut Deus? 3o – Ho io conservato il mio cuore tranquillo, dolcemente occupato, ed affezionato alla verità proposta, disprezzando ogni altro pensiero alieno? Quod Deus non est, nihil est. 4o – Finire con chiedere perdono dei difetti trascorsi, e proporne l'emendazione. 5o – Dare un'occhiata ai buoni proponimenti, e ringraziarne il Signore. 6o – Scrivere qualche sentimento, che fece più impressione, e massime i proponimenti fatti. Pre,2319:T3 Numero III Riflessioni sopra l'Istruzione proposta I. Credere, e adorare Dio presente, chiedergli lume per conoscere la sua volontà e grazia per eseguirla. II. Scorrere il soggetto della Considerazione; osservare se per il passato ho praticato quanto venne proposto, chiedere perdono a Dio di non averlo fatto; risolvere d'incominciare subito. III. Rendere efficace la risoluzione presa, considerando i seguenti motivi: 1. Quanto tornerebbe conto all'anima, se avessi praticato quanto mi viene proposto. 2. Quanta consolazione mi recherà, se lo farò per l'avvenire. 3. Quanto vi sono obbligato per la professione di Cristiano. 4. Quanto avrei caro d'averlo fatto, se dovessi ora morire. 5. Quanta confusione avrò al Tribunale di Dio, se continuo a trascurare tale cosa. 6. Quanto merito, e quanto premio in Paradiso m'aspetta se mi vincerò. 7. Quanto gusto darò al Signore con vincermi. 8. Quanta ingratitudine sarebbe non farlo dopo tanti benefici, e tanto amore di Dio verso di me. IV. Formare quindi proponimenti fermi, prevedere le occasioni di metterli in pratica, chiedere grazie alle tre Divine Persone, a Maria Vergine, ai Santi per effettuarli, metterli in scritto. Pre,2319:T4 Numero IV Per la Lezione Spirituale I. Chi vuole attendere seriamente all'affare importante della sua salute deve frequentemente pregare, e leggere, quando preghiamo ci uniamo a Dio (dice S. Isidoro l. 3, de summo bono), quando leggiamo Dio parla con noi, e quindi proviene ogni nostro avanzamento, e profitto. II. I libri di lettura vanno sempre scelti con consiglio, non avendo altro in vista che il proprio profitto spirituale. III. In questi giorni de' Santi Esercizi non leggere mai se non cose relative alle meditazioni proposte nella giornata. IV. Leggere con quella avidità, attenzione, e rispetto, con cui si leggerebbe una lettera trasmessaci da qualche gran Principe. V. Prima di leggere innalzare il cuore a Dio: Loquere Domino, quia audit servus tuus (1 Reg. c. 3, v. 10). VI. Si legga con umiltà, semplicità, tranquillità, e riflessione per capire bene ciò che si legge. VII. S'interrompa di quando in quando la lezione, ora con qualche sospiro a Dio, ora con farne qualche applicazione a se stesso. VIII. Finire con un Deo gratias. Pre,2319:T5,1 Numero V Scopo de' Santi Esercizi I. Aggiustare nei primi giorni con Dio le partite della vita passata, come se dovessi morire subito dopo questi Santi Esercizi. II. Stabilire nei giorni seguenti quel tenore di vita, che il Signore mi farà conoscere di esigere, o anche solo di desiderare che io intraprenda per l'avvenire. Pre,2319:T5,2 Esame Da farsi due volte il giorno: avanti il pranzo, e prima d'andare a letto Mettersi alla presenza di Dio; invocare l'assistenza dello Spirito Santo, indi chiedere a se stesso. Se ho trascurato la solitudine. Se ho trascurato la custodia dei sensi, massime della lingua. Se sono stato ozioso in camera. Se sono stato fedele alle distribuzione delle ore. Se ho fatto alcuna delle azioni non con quella prontezza, affetto, tranquillità, e riverenza esterna che si richiedeva. Se mi sono fermato volontariamente in distrazioni, o pensieri alieni dallo scopo, massime in tempo di qualche Esercizio Spirituale. Se non ho regolato la lezione Spirituale secondo le meditazioni proposte, cercando piuttosto d'appagare la mia curiosità. Se mi sono lasciato turbare, o scoraggiare in qualche momento, e non ho sperato subito fermamente in Dio. Se non ho praticata la mortificazione, e frequentate le giaculatorie. Se mi è accaduto qualche altro mancamento volontario contro Dio, il prossimo, me stesso. Finire con chiedere perdono a Dio dei mancamenti commessi, cercarne la sorgente, proporne l'emendazione pronta, recitare un Pater, e Ave. Pre,2319:T6 Numero VI Avvertimenti I. Solitudine perfetta, interna, ed esterna. II. Troncare ogni commercio cogli esterni. III. Silenzio rigoroso sempre fuori del tempo di ricreazione, e compostezza nei portamenti: raccoglimento dei sensi, massime degli occhi, astenendosi singolarmente dal ridere, scherzare, e fare segni in tavola. IV. Non entrare nelle camere altrui. V. Non uscire di camera, fuorché nei tempi prescritti, o per bisogno particolare, e sempre decentemente vestito. VI. Non scrivere, né far segno d'alcuna sorte nei libri, nelle immagini, né in verun altro luogo, né in questo foglio. VII. Nella ricreazione parlare solo di cose d'edificazione. VIII. La lezione Spirituale sempre corrispondente alla meditazione fatta, e non altro. IX. Prontezza ai segni del campanello. Ogni tocco del campanello sarà avviso della fine dell'azione, che si sta facendo in camera, e del principio della susseguente, giusta la distribuzione delle ore. Un segno disteso del campanello sarà avviso di andare in Cappella. Due segni distesi di andare in refettorio a pranzo, o a cena. X. Osservare fedelmente la distribuzione delle ore. XI. Non uscire dagli Esercizi senza essersi fatto un Regolamento di vita da osservarsi seriamente. XII. Lasciare alla fine degli Esercizi i libri, che si sono trovati in Camera; come pure questo foglio, perché possano servire in altri Esercizi. Pre,2319:T7 Indice N. I. Distribuzione delle Ore. II. Pratica per la Meditazione. III. Riflessioni sopra l'Istruzione. IV. Per la Lezione Spirituale. V. Scopo dei Santi Esercizi, ed Esami da farsi avanti il pranzo, e prima d'andare a letto. VI. Avvertimenti. Pre,2322:S Appunti per una predicazione di Esercizi Minuta di mano Lanteri. AOMV, S. 2,11,14:322 Pre,2322:T1 1o giorno Pre,2322:T1,1 Disposizioni: Umiltà, farsi piccolo, povero, riconoscersi miserabile innanzi a Dio. Tranquillità, nessuna intenzione di spirito, in difetto dello spirito, lavori il cuore, ma pacificamente. Confidenza e abbandono in Dio, dargli carta bianca, senza riserve, idea grande della bontà e misericordia di Dio. Protettori: Maria Vergine, S. Giuseppe, l'Angelo custode, S. Ignazio, S. Teresa. Pre,2322:T1,2 1a Meditazione: Sono da Dio, Opera della Sapienza, Potenza, Amore di Dio. 1o punto. Sono di Dio, il gran dominio di Dio, per titolo di Creatore, Conservatore, Redentore con dominio di proprietà e di giurisdizione. 2o p. Sono per Dio, eccellenza di questo fine, esempio delle creature perfino inanimate, il fine è servirlo, amarlo. 3o p. Sono e sarò sempre per Dio, o in cielo o nell'Inferno. Pre,2322:T1,3 2a Meditazione: 1o p. Necessità di attendere all'ultimo fine, se voglio salvarmi: porro unum est necessarium, tutto il resto è vanità, risoluzione di servire Dio anche in tempo di aridità e di tribolazione: stare fermo e unito a Dio. 2o p. Importanza: quid prodest homini etc., figurarsi al punto della morte, osservare le massime e la condotta dei Santi, l'esempio di Gesù Cristo fattosi servo dell'eterno Padre, per riconoscere in lui la gran Maestà, per dare a noi un grande esempio. 3o p. L'utilità et jucunditas in sostanza è per nostro bene, per farci santi in vita e beati in cielo. Pre,2322:T1,4 3a Meditazione: 1o p. Benefici di Dio, la vita, i sensi, la sanità, il tempo, la grazia, circostanze di libri, amici, provvidenza particolare, per il passato sono stati i mezzi per servirlo, quanti ne ho ricevuti, quanto ne ho abusato, quanta ingratitudine. N.B. La provvidenza particolare di Dio per te dimostra l'impegno che Dio ha, perché attendi al tuo fine. 2o p. Per l'avvenire in tutto quello che non è peccato, abbandonarsi alla volontà e provvidenza di Dio, indifferenza per qualunque mezzo, per servire Dio nel modo e nelle circostanze che egli vorrà, grande stima ed affetto nei mezzi soprannaturali e divini, grande aborrimento agli impedimenti che è il peccato mortale e veniale e il pericolo di esso. N.B. A misura che si stima il fine, si stimano i mezzi. Colloqui con Gesù, con Maria Vergine etc. – risoluzione di sacrificare tutta la vita per il servizio di Dio. Considerazioni 1a sulla Messa, 2a sull'Officio. Pre,2322:T2 2o giorno Pre,2322:T2,1 1a Meditazione: Peccato mortale 1. Si oppone alla Creazione di Dio cancellando l'immagine e similitudine sua, opponendosi – al fine della Creazione (si oppone all'eterno Creatore e Conservatore*1), – alla Redenzione annientando l'opera della Redenzione, i meriti di Gesù, rinnovando la Passione sua. Si oppone al Figlio Redentore; – alla Santificazione distruggendo la grazia, scacciando Iddio dal cuore, introducendovi il Demonio, contristando lo Spirito Santo santificatore. 2. Le circostanze: alla presenza di Dio, per un niente, con che mezzi, in che tempo. 3. Il numero, le origini, le occasioni. 4. L'odio di Dio manifestato per i castighi degli Angeli, di Adamo, dei dannati. 5. I danni temporali, spirituali, eterni. Pre,2322:T2,2 2a Meditazione: Peccato veniale Malizia in sé, perché offesa di Dio, odio di Dio maggiore di ogni altro male, impossibilità di cancellarlo senza i meriti di Gesù. Effetti, perché porta al mortale, raffredda la carità. Castighi in vita e in Purgatorio. Le cause, ossia origini. Il numero. La facilità. N.B. Il peccato veniale deliberato è un voler offendere Dio per compiacere se stesso, o per piacere ad altri, è un darci a Dio per metà, con riserva, è riservare una porzione del cuore per la creatura, è un negargli il sacrificio perfetto del cuore, ma ricusargli il sacrificio di qualche cosa. Pre,2322:T2,3 3a Meditazione: la morte Passaggio dal tempo all'eternità, spogliamento di ogni cosa, il corpo alla terra, l'anima all'eternità, i sentimenti dell'anima in quel punto. È certa, dunque ci vuole preparazione, cioè cominciare a morire, ossia spogliarsi di ogni affetto alle cose terrene e fare provvista di buone opere, ed assuefarsi a pensare e giudicare ora come si farà allora. È incerta, dunque prepararsi subito. La morte del peccatore, del tiepido, del giusto. Come si vive si muore. Si muore una sola volta, dunque prepararsi a dovere. Pre,2322:T2,4 Istruzione: Intenzione retta, cioè per Dio ma che può essere accompagnata da fine umano, onesto; pura in vista di Dio senza riguardo ad alcun mio comodo. Necessità della prima conseguenza della meditazione del fine dell'uomo. Convenienza della 2a per poco che si conosca Dio e se stesso. Utilità temporale, eterna. La pratica frequente. Ostacoli alla pratica, determinarli, distruggerli. Pre,2322:T2,5 Considerazione 2a: Mortificazione – dell'intelletto (pensieri) riflessione seria; – della volontà, perversa, pigra, fiacca, che subito si sgomenta; – dei sensi. I gradi nelle cose peccaminose, pericolose, superflue; ridursi al necessario. La necessità, questo è lo spirito del Vangelo. L'utilità. Pre,2322:T3 3o giorno Pre,2322:T3,1 1a Meditazione: Giudizio Universale Risurrezione dei corpi a gloria o infamia, radunamento di tutti nella valle, separazione dei buoni da cattivi, comparsa di Gesù tanto più grandiosa quanto fu più umiliante in terra, scoprimento delle coscienze, la sentenza, esecuzione della sentenza. Pre,2322:T3,2 2a Meditazione: Inferno Pena del senso, del danno, quanti si dannano e quanto facilmente, unirsi con Gesù e attendere alla salvezza delle anime. Pre,2322:T3,3 3a Meditazione: Ibit homo: il tempo fugge: l'eternità si avvicina, il tempo è prezioso, breve, veloce, irrevocabile; in domum, là è il centro, la sua destinazione, e non questa terra in cui siamo pellegrini; æternitatis: pensa cos'è l'eternità in paragone del tempo; suæ: che si sarà fabbricata o buona o infelice. Pre,2322:T3,4 1a Considerazione: Mortificazione delle passioni che sì facilmente sottentrano in tutto, attendere particolarmente alla volontà di Dio pura e non a compiacere me stesso, custodia del cuore con l'esame frequentissimo. Pre,2322:T3,5 2a Considerazione: Mortificazione dei sensi Farla da matrigna con il corpo. Pre,2322:T4 4o giorno Pre,2322:T4,1 1a Meditazione: Figlio prodigo N.B. Il tiepido dissipa le ispirazioni etc. non è mai contento etc. si paragoni coi ferventi, insistendo massime sulla bontà e carità del Padre nell'accoglimento del figlio, anzi nel cercarlo il primo, nel portarlo sulle sue spalle, non essendo neppur capace il peccatore di camminare da sé. Considera la consolazione vera e grande che reca a Dio e a tutta la corte celeste. Pre,2322:T4,2 2a Meditazione: Preparazione per la Confessione della sera, insistendo massime sui motivi per il dolore, e particolarmente sulla bontà, sulla beneficenza etc. di Dio. Su ciò che si è opposto a Dio Padre Creatore Conservatore Provisore, a Dio Figlio Redentore Maestro esemplare etc., a Dio Spirito Santo Santificatore Consolatore, Carità etc. Pre,2322:T4,3 3a Meditazione: Sull'Incarnazione Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum Unigenitum daret: il gran beneficio, il tempo in cui ce lo fece, il modo, dandomelo tutto per me come per tutti, dandomelo come Redentore, Maestro, esemplare, Via, Veritas, Vita, justificatio, sanctificatio nostra, imparentandosi con noi. Pre,2322:T4,4 1a Considerazione: Sull'uso dei Sacramenti Il beneficio, gli avvantaggi e i frutti, l'abuso. Risoluzione per la pratica n.b. ravvivare la fede, riflettere a ciò che si deve fare per l'apparecchio e ringraziamento, eseguirlo con l'impegno di partecipare della maggior copia di possibile grazia, riceverli con spirito di umiltà e gratitudine. Pre,2322:T4,5 2a Considerazione: Preparazione alla Morte Fare il sacrificio della vita, raccomandazione dell'anima, la Confessione, la Messa come se fosse l'ultima, regolamento della vita, vivere d'ora innanzi come morto al mondo, a se stesso. Pre,2322:T5 5o giorno Pre,2322:T5,1 Meditazione 1a e 2a: Regno di Gesù Cristo Le sue qualità. I suoi meriti. Le qualità che richiede nei seguaci. Lo studio, l'amore, l'imitazione di Gesù Cristo forma la perfezione del cristiano. La necessità: quos prædestinavit hos præscivit (l'essenza del cristiano). La nobiltà di seguire, imitare un uomo Dio. I vantaggi, le promesse (vittorie dei nemici, pace dell'anima, regno eterno). Il suo regno è regno di amore, è regnare sui cuori. Qui vult venire post me, abneget semetipsum. Venite ad me omnes… Farlo regno sui cuori altrui, dilatare il suo regno che è così piccolo. La perfezione propria e la santificazione altrui. Pre,2322:T5,2 3a Meditazione: Natività di Gesù Cristo Il modo. Il fine. I compagni: la povertà, l'umiltà, i patimenti, l'oblio, il disprezzo. Credere, vedere il suo vitto, vestito, letto, compagnia, il tutto non a caso; udire Maria Vergine, questi è il vostro Dio etc., il Padre Eterno, lo Spirito Santo; penetrare nel cuore di Gesù, l'offerta di sé al Padre Eterno; come vorrebbe potersi disfare per amore del Padre e amore nostro; l'ubbidienza, l'umiltà, la pazienza. Pre,2322:T5,3 1a e 2a Considerazione: Zelo Amas me, pasce oves meas, rape ad eum quot potes, ignem veni mittere in terram. Nobiltà, impiego addossatosi dal Figliuolo di Dio. Motivi: il prezzo di un'anima, l'odio del Demonio, la consolazione che si dà a Dio, caritas urget nos. Pratica. Qualità, sistematico, dolce, efficace, si osservi la condotta dei Santi. Pre,2322:T6 6o giorno Pre,2322:T6,1 1a Meditazione: Vita privata di Gesù Cristo Erat subditus illis Amore allo stare nascosto se non è Dio che ci manifesti. Le azioni di Gesù non erano particolari in sé, ma comuni di figlio di legnaiolo. Lo spirito con cui si fanno è l'essenziale. L'obbedienza. La sua modestia, mansuetudine, semplicità. La sua vita nascosta, comune, ubbidiente. Pre,2322:T6,2 2a Meditazione: Vita pubblica di Gesù Cristo La carità con tutte le proprietà sue: universale: pertransibat benefaciendo, piena di pazienza, mansuetudine, dolcezza, longanimità; le sue disposizioni interne, esterne verso l'Eterno Padre, mio modello di religione, le sue disposizioni interne, esterne verso gli uomini, coi peccatori da pastore, da medico, da padre, coi giusti da fratello, da amico, da sposo. Pre,2322:T6,3 3a Meditazione: Ripetizione delle suddette. Pre,2322:T6,4 1a Considerazione: Sullo zelo in particolare. Pre,2322:T6,5 2a Considerazione: Sulla conversazione Da ministro di Dio con libertà di spirito, con prudenza e con circonspezione perché Dio non sia offeso, con semplicità, cordialità, affabilità, con frutto spirituale proprio e altrui, sempre con fine retto e intenzione pura, con libertà di spirito e ilarità, con interessamento dello stato e massime delle miserie altrui, non mai riguardando i nostri incomodi o interessi, guardandosi bensì di non mai incomodare o interessare altrui senza grave necessità: verbo ut alter Christus. Pre,2322:T7 7o giorno Pre,2322:T7,1 1a Meditazione: Passione del Cuore di Gesù nell'orto La vista della Passione, dei nostri peccati, massime dei sacerdoti, dell'Inferno, del Purgatorio, dei pochissimi ferventi, delle ingratitudini. Risoluzione d'imparare da Gesù la stima che devo avere di Dio, l'impegno di santificarmi tutto per lui, l'impegno di aiutare le anime passive e attive, procurando di cavarle dallo stato di indolenza verso Dio, ogni settimana dare qualche tempo per pensare a promuovere la salute dell'anima. Pre,2322:T7,2 2a Meditazione: Passione esterna di Gesù nei tribunali motivo di patire: quanto si è passato in quella notte modello di patire: posposto a Barabba, flagellato conforto di patire: coronato di spine. Parlata di Gesù: Ecco come merita Dio di essere servito e non continuare d'incomodarsi per lui, ecco come merita di essere punito il peccato, e non commetterlo con tanta facilità, ecco come vi amo, vi chiedo di riamarmi. Parlata del Padre Eterno: Ecce homo. Inspice et fac secundum exemplar. O mio Dio respice in faciem christi tui. Pre,2322:T7,3 3a Meditazione: Passione di Gesù sul Calvario È sentenziato; porta la croce; è crocifisso vittima perfetta all'Eterno Padre (impara idea grande della Maestà Divina) unico sommo male il peccato, imita come devi adorare Dio; agonizza e muore per noi e diremo ancora che non ci ama o ricuseremo di sacrificargli qualche cosa, mistero di fede di speranza di carità; ridotto al sommo della povertà dell'ignominia dei patimenti senza il minimo sollievo. Pre,2322:T7,4 1a Considerazione: Orazione Massime ciò che si dice petizioni (oltre la meditazione solita) quanto bene perduto finora, renderla familiare d'ora innanzi spirito d'orazione: usque modo non petistis quidquam; esempio di Gesù e dei Santi, efficace per la tiepidezza; necessità per ragione dell'ignoranza, della debolezza, della malizia, della tua insufficienza e degli affari che hai; efficacia per la parola di Dio data, toties ripetuta, sigillata col sangue (con un fiat creò l'universo1). Pratica: con umiltà perché ne sei indegno, con frequenza perché ne hai bisogno in ogni istante, con fiducia perché Dio sa, può, vuole e lo ha promesso, con pazienza ripetendo la stessa domanda come Gesù nell'orto, con rassegnazione alla volontà di Dio, perché Dio sa quid et quando ti convenga meglio, con desiderio, convinto della necessità. Pre,2322:T7,5 2a Considerazione: Fede È una virtù infusa nel Battesimo (dono di Dio), gran beneficio speciale per te; utinam usus respondisset voto donantis, necessità sine fide impossibile placere Deo, la sola che dia vita alle azioni e le renda meritorie, efficacia2. Pratica: homo christianus non dicitur rationalis sed fidelis (S. Aug.), ambula coram Deo, cum Deo (affectu), consiste nell'impero della volontà. Qualità: vivace, pura, libera da ogni immaginazione e fantasia, suppone la morte dei sensi e dell'intelletto, appoggiati solo sulla parola di Dio infallibile, justus ex fide vivit, uguale credenza per le verità speculative come per le pratiche, per fidem Abram, per fidem etc. Vedere con gli occhi della fede di Gesù; atto di volontà semplice, tranquillo, non ex passione, non ex ratione. Pre,2322:T8 8o giorno Pre,2322:T8,1 1a Meditazione: Risurrezione gloriosa di Gesù Cristo motivo di fede Modello della vita di fede si consurrexistis cum Christo quæ sursum sunt, quærite etc.; l'impassibilità nell'essere superiore, insensibile alle cose terrene, la sottigliezza nella facilità di pensare alle cose celesti, l'agilità nella devozione, fervore e prontezza nel servizio di Dio, vincendo me stesso, la chiarezza nell'operare al lume di fede. Motivo di speranza: si compatimur et conglorificabimur e questo sarà a misura dell'imitazione. La risurrezione di Gesù fu vera, così deve essere la nostra, permanente, apparente a tutti. Pre,2322:T8,2 2a Meditazione: Venuta dello Spirito Santo Qualità della persona divina. Spirito di fortezza, per noi. Spirito di verità, per gli altri, perciò è in figura di lingue, per ciò l'abbiamo ricevuto nei sacramenti, massime nel [sacramento dell'] ordine. Spirito di carità, per consumare l'opera della Redenzione e il fine della missione di Gesù. Spirito di consolatore. Desiderio di Gesù di darcelo, la promessa. Impegno dello Spirito Santo di venire in noi. La nostra necessità, senza di lui possiamo niente, niente è meritorio. La nostra positiva indegnità dopo aver maltrattato il Figlio, scacciato, contristato lo Spirito Santo. Bontà di Dio che lo diffonde super omnem carnem. Nescit tarda molimina Spiritus Sancti gratia, scaccia il timore vano, rende coraggioso, intraprendente, conferma la speranza, è pacifico. N.B. i doni, i frutti dello Spirito Santo. Pre,2322:T8,3 3a Meditazione: Paradiso Abitazione. Abitatori, la quintessenza dei buoni. Padrone, trasformazione in Dio. Eternità, che gran beneficio di Gesù che ce l'ha meritata e liberati dall'Inferno. Condizioni per entrarci, trasformazione in Gesù Crocifisso, non prefiggersi requie in questo esilio, vivere come i Santi su questa terra, cioè attendere unicamente a servirlo e amarlo, e tirare altri al cielo. Pre,2322:T8,4 1a Considerazione: Speranza Gesù siede alla destra del Padre per impiegarsi per noi, poteva dare segni più evidenti della sua protezione che sacrificarsi per noi, comandata da Dio, fondata in Gesù, nei suoi meriti, egli nostro capo, fratello, nella sua potestà; i suoi nemici sono i nostri, nelle sue promesse: confidite, vici mundum, onora gli attributi di Dio, la bontà, la sapienza, la potenza, la fedeltà (fa vedere che si crede veramente). Vantaggi: il coraggio che dà, le opere che fa fare, i meriti, il premio3. Pratica: quanto più difficile, tanto più pura e grata a Dio (n.b. supersperavi), dà idee grandi di Dio. Qualità: distintivo dell'uomo viatore (che non fa e non fece fare la speranza, che danno reca la pusillanimità); virtù infusa ricevuta nel Battesimo farne uso, non lasciare il talento nascosto. Pre,2322:T8,5 2a Considerazione: Perseveranza Perditio tua ex te, in me tantummodo auxilium tuum; attende ne gratia mea in te vacua non sit. Ostacoli. Mezzi: ogni giorno un'ora di meditazione, esame, giaculatorie frequenti, lettura spirituale (n.b. Vangelo), visita al Ss. Sacramento (almeno spirituale), ogni settimana una mattina per me, confessione, penitenza, promuovere i penitenti alla virtù. Risoluzioni: 1. finire gli Esercizi, 2. preferire ecclesiastici a tutto; fare niente senza fine e puro, attendere a morire ai sensi, vivere con lo spirito di Gesù. Pre,2322:1 Come si trascura fra il giorno nella messa massime nel ringraziamento, nell'officio, nella meditazione (quanto lucro cessante), chiedere con semplicità, come un figlio alla madre, con fiducia nil hæsitans la bontà di Dio, si vos cum estis mali nostis bona dare etc., esempio di Davide, si esegue con un sospiro, chiedere particolarmente adauge mihi fidem etc. Domine, ut videam, Jesu fili David miserere etc. potius non quam peccare, fiat voluntas tua sicut in cælo; l'intenzione pura; n.b. la costanza del tempo e delle feste, etc.; raccomandarla ai penitenti efficacemente; vigilate, orate, sine intermissione orate; un povero che sempre si vede miserabile chiederebbe sempre di rivolgerla particolarmente al vizio dominante; il desiderio di Dio di dare la consolazione che gli diamo nel chiedere (chiedere, ossia aprire il cuore a Dio); petizioni frequenti a Maria Vergine; parli il cuore con affetto a Dio e a ciò che chiede; n.b. senza sforzo, con dolcezza, tranquillità, atti di ringraziamento ottimi per ottenere maggiori grazie da Dio, sentire demissime de se, magnificentissime de Deo, petere grandia e con cuore grande. Pre,2322:2 Fede semplice da carbonaro: noli plus sapere, Dio l'ha detto, la Chiesa ha deciso e tanto basta. La fede si oppone ai sensi e le sue massime a quelle delle passioni e del mondo, dunque chi vive di fede è morto ai sensi, alle passioni, al mondo. Ravvivare la fede prima delle azioni, n.b. che la fede, opponendosi ai sensi, non è cosa sensibile, ma è un atto imperato della volontà che vuole credere e seguire ciò che Dio rivela, insegna. Dire sovente: Adauge mihi fidem, esempio dei Santi (atti eroici), Credo Domine, adjuva incredulitatem meam. Elogi che fa Gesù a chi la fede viva nel Vangelo Dic verbo et sanabitur. Nam et ego homo sum habens servos et dico huic, fac hoc et facit, etc. Pre,2322:3 La speranza, quanto più è spogliata di motivi umani, tanto più è fondata in Dio, onora Dio, pura e sicura: maledictus qui confidit in homine. La speranza riguarda l'ultimo fine e i mezzi; sperans in Deo non infirmabor, in Deo transgrediar murum. Si osservi nell'ordine naturale, i mezzi generali e particolari e certi che Dio ha posto per la nostra conservazione naturale e la sua provvidenza vegliante per ciò e s'inferisca che si deve credere nell'ordine soprannaturale che [è] il primo, Dio vuole la nostra santificazione, dunque dà i mezzi, voler sperare nelle difficoltà è un atto eroico e pratico di fede che Dio è buono; nelle difficoltà della salute nostra e altrui non fare torto – alla Onnipotenza e Sapienza di Dio, quasi non possa o non sappia – alla bontà, quasi non ci ami – alla provvidenza, quasi non si curi di noi o manchi – alla sua veracità, quasi non sia vero ciò che ha detto – alla fedeltà, quasi manchi di parole. N.B. che l'unico fine di tutte le sue opere ad extra è la nostra santificazione, che la carità verso noi è quella che lo trasse dal Cielo, lo condusse sulla croce, che le sue promesse sono ripetute, giurate, sigillate col sangue. N.B. che sono i sensi che particolarmente indeboliscono la speranza, vanno mortificati, bisogna ravvivare la fede, credere anche all'oscuro, sperare contro ogni speranza, per non fare Dio debole come noi, misurarlo a nostro vaso; né la nostra miseria, né i nostri peccati, né le ricadute sono motivo sufficiente: umiliazione e confidenza allora, non si faccia Dio più grande nella sua bontà e misericordia che allora, guardiamo di affibiargli i nostri difetti. Guardarsi bene dalla pusillanimità che è una gran tentazione contro la speranza nei mezzi; operare sempre massime nell'arduo come se fossimo onnipotenti, perché tali siamo con la grazia di Dio che manca mai, ma sempre riconoscere il tutto dalla grazia e i soli difetti da noi, ringraziare Dio, umiliarsi noi; il cuore che avevano i Santi per aiutare i peccatori non è neppure paragonabile col cuore di Gesù; disprezzo delle difficoltà, dei tedi, degli imbrogli, pensare al felice esito che Dio ha fatto vedere tante volte, e che Dio è sempre lo stesso, ugualmente potente e buono. Pre,2322:*1 Parola di difficile lettura. Pre,2324a:S Sistema degli Esercizi di S. Ignazio ricavato dal Neumayr Minuta di mano Lanteri, con graffe, aggiunte e rinvii da una pagina all'altra non sempre chiari. AOMV, S. 2,11,16:324a Opuscolo molto utile per conoscere il fine di ciascun giorno degli Esercizi, il nesso tra l'uno e l'altro, lo scopo di ciascuna settimana ecc. ecc. e farsi così una vera idea degli Esercizi. Pre,2324a:T Sistema degli Esercizi di S. Ignazio ex Neumayr Pre,2324a:T1 Mala sunt prius dedocenda quam bona docenda, nam in illis deserendis est major difficultas et majus damnum nisi deserantur, et plures sunt adversi quos concilies, et remissi quos erigas. Frequentissime in dicendo id seligas potius quo dissuadendum quam quod persuadendum; nam facilius dissuademur a malis quam ad bona suademur et promovemur ad cavenda damna quam ad commoda quædam comparanda. Cum enim in utrisque sit difficultas non ita difficultatem perrumpit finis commoditatis persuasio quam imminentis vel damni et periculi dissuasio. Tunc nempe natura minus resistit gratiæ, quando cedit causa resistendi, quæ causa resistendi cum in timore difficultatis seu pœnæ subeundæ sit ordinarie posita, timor hic timore gravioris mali quod intentatur facile vincitur. Hayneuve t. 1, in præf. Pre,2324a:T2 Qui omnes animi sui motus componentes, et subjicientes rationi, seu menti, et spiritu et carnales concupiscentis habent edomitas fiunt Regnum Dei; in quo ita sunt ordinata omnia ut id quod est in homine præcipuum et excellens hoc imperet, cæteris non reluctantibus quæ sunt communia nobis et bestiis. Atque idipsum quod excellit in homine, hoc est mens et ratio subjiciatur potiori quæ est ipsa Veritas unigenitus Filius Dei. Neque enim inferioribus imperare potest nisi superiori se ipse subjiciat et hæc est pax quædam in terra hominibus bonæ voluntatis et vita consummati perfectique sapientis. (S. Aug. 1, 1, de serm. Domini in monte, c. 2) Pre,2324a:T3 Monita pro instructionibus S. Ignatii tradendis prout sunt in libro Exercitiorum ipsius Instructiones sunt pro directione, horum nomine veniunt. Adnotationes docent quod Director debeat observare et monere exercentem. Additiones exponunt quosdam ritus et cæremonias ad animi affectum fini hebdomadæ, opportunum sive ciendum sive alendum utiles. Praxes res commendantur: examen particulare, examen generale, tres modi orandi. Regulæ traduntur pro victu temperando, pro directione spirituum, (priores die 4, posteriores die 5) pro scrupulis dignoscendis, pro eleemosyna distribuenda, ad sentiendum cum Ecclesia catholica. Pre,2324a:T4 Monita pro meditationibus tradendis vel faciendis Meditationes fiunt aliæ per applicationem trium potentiarum, aliæ per repetitionem cum pluribus colloquiis, aliæ per applicationem 5 sensuum cum affectibus. Pre,2324a:T5 Meditatio facienda accurate (1), ferventer (2): 1) Accurate sic ut impendas horam integram et cum bona methodo ad quam pertinet selectio bonæ materiæ, usus bonæ formæ, quæ componitur ex præludiis, punctis, colloquio. 2) Ferventer, hoc est cum seria applicatione memoriæ ad sensum textus quod eruitur vel considerando quod verba significent, quod non explicando longiori paraphrasi cum seria applicatione intellectus ad doctrinam vel speculativam vel practicam, quæ vel jam includitur in textu vel ex textu concluditur et ab intellectu consideratur quanti sit; cum seria applicatione voluntatis ad affectus circa tria tempora nempe optando, offerendo, obsecrando. Affectuum fontes sunt tria tempora, nam 1o ex reflexione ad tempus præteritum optando ut veritatem citius cognovisses unde nascunt pudor, dolor, accusatio, optatio, gratiarum actio, etc. 2o Resolutiones tempore præsenti fiunt offerendo propositum bonum ad imitationem alicujus sancti cum rejectione excusationum, confutatione objectionum, cum particularisatione ad locum, ad tempus, ad modum; cum victoria impedimentorum et desiderio imitandi sanctos; cum gaudio, amore, tristitia, spe, ira, audacia, zelo, etc. 3o Petitiones ad tempus futurum obsecrando jam veniam et gratiam cum repetitione motivorum que intellectus expendit obsecrando nempe per divinas affectiones, per Christi et sanctorum facta et merita, per ipsius orantis miserias, conatus, pericula. N.B. Puncta meditationum non sunt fuse exponenda, sed contentus esto scire meditationis quæ sit materia, quæ sit divisio, quis fructus seu qualis affectus oppugnandus vel excitandus sit ex his punctis. Pre,2324a:T6 Forma exercitiorum constituitur ex connectione partium ita ex se mutuo pendentium ut non una veritas post alteram, sed una ex altera sequatur, nimirum omnia exercitia hoc syllogismo includuntur. Summa hominis felicitas est Deo perfecte servire. Nam hic est finis hujus vitæ et qui Deo non servit est miser in tempore et æternitate. En materia primæ hebdomadæ. Atqui servire Deo perfecte est imitari Christum, nam Christus est forma servi æque in agendo et in patiendo. En materia secundæ et tertiæ hebdomadæ. Ergo summa hominis felicitas est imitari Christum. Felicitas quam nunc inchoamus per dulcem spem resurrectionis et ascensionis cum Christo et olim possidebimus per amorem Dei infinite boni in se, et benefici erga nos. En materia 4 hebdomadæ. En ars sanctitatis, via compendii ad perfectionem. Verum nota quod via non curritur speculando, ars non adquiritur nisi practicando sive per actus frequentatos, et quidem ex certis regulis et bona methodo. Hoc est ergo Exercitia non qualiacumque, quantumvis pia, sed Ignatiana subire ut per viam compendii ad perfectionem evadas. Nempe S. Ignatius vult reformationem quæ duret, adeoque aspiranti gratiæ addi industriam et quandam artem que ex certis regulis anima per fines intermedios promoveat gradatim ad ultimum. Pre,2324a:T7 Methodus ad obtinendum finem propositum similis est ei qua infidelem ad veram fidem adducimus. Nam ostendimus ei quod fides cui ipse adheret mala est; quod fides nostra bona sit quia suademus; quod difficultates oppositæ sunt aut nullæ, aut fortiter superandæ. Similiter, cum animandus est quis ad reformationem sui sive generalem, sive particularem eundum erit per gradus, et demonstrandum: 1o erratum esse vel circa statum et modum vitæ hucusque actæ peccaminose, superbe, tepide per quam viam aberretur a fine ultimo, et gravia mala culpæ et pœnæ accersantur. En argumentum 1ae hebdomadæ. 2o Errorem corrigi per imitationem Christi agentis. En materia 2ae hebdomadæ. 3o Difficultates vinci per imitationem Christi patientis. En scopus 3ae hebdomadæ. 4o Victoriam sequi lætitiam spiritualem spei et caritatis. En fructus 4ae hebdomadæ et Exercitiorum corona. Brevius, hebdomada 1 movet ut fugias malum, hebdomada 2 movet ut ames bonum, hebdomada 3 movet ut vincas obstacula, hebdomada 4 movet ut resolutiones stabilias. Adhuc brevius affectuum purgatio, moderatio, conversio gradus sunt per quos itur ad astra. Hinc patet quanti momenti sit Directoris officium et ad quæ puncta attendere per se in singulis hebdomadis debeat qui Directorem non habet. Pre,2324a:T8 Itaque finis ultimus qui universim per omnia Esercitia intenditur est reformatio hominis. Finis ultimus est reformatio vel generalis hominis tum interioris, tum exterioris, vel particularis sive in particulare virtute sive circa singulares obligationes. Finis proximus est proprius singulis hebdomadæ in quo quis se exercet non quiescit sed ordinat illum ulterius hoc est ad finem ultimum. Finis proximus cuivis hebdomadæ proprius subordinari debet fini ultimo, vel generali vel particulari. Scopus meditationum 1a hebdomada, Compunctio cordis de vita aut mala aut tepide acta. 2a hebdomada, Resolutio mutationis. 3a hebdomada, Victoria difficultatis. 4a hebdomada, Confirmatio animi ad constantiam. Unde hæc præcipua cura, nunc omnis solertia impendi debet ne ex una hebdomada festinet in alteram, antequam obtinuerit finem anteriori hebdomadæ proprium. Hoc est ne transeat ex prima in secundam priusquam per compunctionem affectiones malæ purgentur. Ex altera in tertiam priusquam malas ad Christi agentis exemplum ex legibus moderationis firmentur. Ex tertia in quartam priusquam ad exemplum Christi patientis supernaturales se moveant quæ sunt fons lætitiæ spiritualis et apex perfectionis in quo Deo unimur. Atque ultimum Exercitiorum finem consequamur. Exercitia enim non sunt schola intellectus ubi discas, sed schola voluntatis et affectuum ubi quia es doctus exerceas. Pre,2324a:T9 Verum ad integra Exercitia obeunda pauci inveniuntur idonei, quia ultra finem proprium primæ hebdomadæ, pauci urgere se patiuntur, paucissimi se urgent sive quod non habeant tantæ facultatis in intellectu ut capere possit quali referat ad summa contendere. Sive quod non inveniat tantum roboris in voluntate ut nolint angulo post januam in cælis contenti esse. Pre,2324a:T10 [Prima hebdomada] Pre,2324a:T10 Dies prima desideriorum Quælibet hebdomadæ habet meditationem præambulam. Primæ hebdomadæ meditatio præambula est de fine hominis per quam animus disponitur ad affectiones perfecte subjiciendas dispositioni divinæ. Prima dies primæ hebdomadæ vocatur dies desideriorum, quia oportet incipere exercitia animæ suæ reformationis avide. Principium sanitatis est serio velle sanari. Hæc dies ergo tota impendenda est in meditando fine ultimo quia hoc est vitæ perfectæ fundamentum, et omnium errorum fons est eo quod plerique in suis functionibus et electionibus multum solliciti sint de fine primo, de fine ultimo vix ac nec vix quidem. Finis proprius diei 1o Quoad intellectum est quomodo agnoscere affectus nostri ordinandi sint ac proinde non fuisse usque modo bene compositos. 2o Quoad voluntatem magnum desiderium concipere affectiones nostras perfecte subjiciendi dispositioni divinæ. Quidquid felices se putent si per nescio quas machinationes ad locum, ad personas, ad officium etc. suis inclinationibus conforme pervenerint, nil attendentes an ejusmodi eventus saluti aut perfectioni animæ suæ prosit an obsit. Omnes bonæ vitæ regulas hæc incuria in omni statu avertit. Pre,2324a:T11 Dies secunda compunctionis Finis proximus et proprius hujus diei est ut videas affectus tuos non esse bene compositos adeoque de eorum deformatione dolendum, ad quod juvat compunctio cordis seu spiritus pænitentiæ, ad quem excitandum singula ordinari debent. Nam postquam prima die homo in consideratione finis ultimi cognovit se indigere reformatione ejusque desiderium concepit, ordo poscit ut hodie de sua deformatione doleat et cras meliora decernat. Primum effecit perspecta a fine deficientis insipientia, alterum obtinebit cognita improbitas peccantis, tertium augebit objectum oculis periculum ad conversionem languentis. Pre,2324a:T12 Dies tertia timoris Præter dolorem internum curandum hodie ut etiam excites amorem pænitentiæ externæ et tibi procures affectionem ad opera pœnalia. Ideo timor inculcandus [est] ut postquam feci tristem, cautum faciam. Spiritum compunctionis timor sustentat. Ita erit prima dies desideriorum, secunda dies compunctionis, tertia dies timoris in his affectionibus exercendis oportet. Te tota die totum esse secundum tesseram cuivis præfixam. Observatio hæc est magni momenti ad devotionem. Pre,2324a:T13 Reflexio ad fructus primæ hebdomadæ Fructus est spiritus compunctionis et purgatio affectionum vitiosarum, cujus parentes sunt cognitio peccati et sui. Effectus autem sunt dolor, pudor, timor. Signum est comparatio animi qualis prodigi erat in servitute quæ fuit turpis, gravis, utilis in reditu, cum victoria affectionum et difficultatum, in amplexu paterno. Pre,2324a:T14 Secunda hebdomada Incipit a meditatione fundamentali “De Regno Christi” quæ est applicatio meditationis de fine hominis. In illa decrevimus finem sequi et impedimenta amovere hic. Hic modum finem consequendi statuimus consistentem in imitatione Christi in virtutibus 1o quotidianis seu quarum frequens est occasio, 2o heroicis quæ sunt materia hebdomadæ tertiæ. Pre,2324a:T15 Quarta dies fervoris Scopus hujus diei est decretum imitandi Christum in genere; adeoque inclinationes seu passiones naturales sive ad bonum naturæ seu vegetativæ, animalis, rationalis perpendentes, et aversiones contrarias saltem moderandi quod fit per usum virtutum quotidianarum. Passio est motus appetitus sensitivi quales sicut in bestiis, ita et in nobis ipsis domare possumus si ad vitium inclinat, et moderari debemus si mere ad naturalem conservationem ordinentur, uti sunt appetitus cibi, potus, somni, famæ, scientiæ, sanitatis, vitæ. Indefiniti essent hi motus si regulæ non præscriberentur. Hinc tota die meditatur de Regno Christi et urgemus in nobis hanc resolutionem genericam “volo imitari Christum”. Tres meditationes tres stimuli sunt nempe quia decet, juvat, necesse est. Nam necesse est exprimere formam servi quam Christus exhibet, nempe in affectu semper, in effectu cum vocat Deus. Pre,2324a:T16 Quinta dies devotionis A resolutione generali itur ad particularia vitæ Christi exempla. Pre,2324a:T17 Tertia hebdomada Scopus tertiæ hebdomadæ est conversio affectuum, hoc est: 1o vitiosos corrigimus, 2o naturales moderamur, 3o supernaturales inserimus per conversionem affectuum in partem contrariam, ita ut amemus quod odimus, avertemur quod amavimus, nempe in præparatione animi semper, in praxi quoties exigit gloria Dei et profectus animæ. Sic homo internus perfecte disponitur ad ingressum viæ unitivæ. Quia in illuminativa ab imitatione Christi in virtutibus quotidianis quorum frequens est occasio, progredimur ad imitationem in virtutibus heroicis ad quos præparandus est animus ad casus fortuitos quos non licet prospicere. Actus heroicus est vel ex materia, vel ex modo agendi, vel ex circumstantiis actionis. Occasio primi generis est rara, secundi et tertii generis quotidie est obvia. Si se opponit Diabolus per difficultates et terriculamenta, cave ne per ignaviam cadas, forte tunc non ideo deseres vexillum Christi, sed numquam formidabilem te facies militantibus sub vexillo Diaboli. Ergo postquam statutum est vivere ex habitu virtutis imitando Christum in virtutibus quotidianis, statuendum etiam imitari in arduis animo contra molestias, difficultates, adversa quæcumque heroice affirmato. Pre,2324a:T18 Sexta dies electionis Spiritus Diaboli Amor proprius est fons omnium affectionum malarum. Superbia est radix amoris proprii, non enim te amares nisi tibi placeres. Diabolus hoc animi vitium intelligit, et utitur in rem suam et ex pecunia, officiis, laudibus contra ex incommodis, convitiis, ignominiis captat tentationum materiam; circa quas contempto imperio fidei, rationis affectiones rebelles tumultuantur, quod est tentationum forma, animam excordem, trepidantem reddentes. Diabolus nil pacate agit, maxime si obstaculum ponitur, tumultuatur. Tumultus initium, medium, finis auctorem prodit. Hinc Quoties sentis perturbari animum aliquo affectu, tunc: 1. initium examina, ordinario deprehendes venisse ex aliqua apprehensione vel phantastica, vel spirituali. Nam phantasia a demone excitata vel per seipsum vel per objectum externum objicit appetitui sensitivo aut bonum aut malum temporale, nempe interdum fictum, semper supramodum auctum. Ratio circumventa modo a præjudiciis et falsis principiis, exhibet appetitui rationali aut bonum aut malum falsum. Ita tumultus in nobis oritur, et bellum cogitationum se invicem aut impugnantium aut defendentium. Unde initio non per impetum agendum, sed probandus spiritus utrum ex Deo sit. 2. Medium, seu progressus tentationis manifestat Diabolum si pro bono adquirendo, et malo advertendo proponit medium aut illicitum aut suspectum. 3. In fine seu ex cauda cognoscitur serpens quando ex consensu in suggestionem sequitur aut malum apertum, aut malum sub specie boni, aut certe impedimentum boni majoris. Quando in suggestione hæc tria se bene habent, Diabolus partem non habet. Cave ergo ab initio, medio, fine saltem suspectis et a tumultu passionum. En ubi quæ per superbiæ vestigium imprimit vel gloriolæ vel commodi prima ratio habetur. Pre,2324a:T19 Spiritus Christi Spiritus Christi est spiritus contradictionis, suggerit nempe amorem paupertatis, humiliationis, humilitatis contra amorem opuum, honorum, superbiæ. Accipe ergo hunc spiritum contra omnes tentationes ex gratia. Dic ut lapides isti etc. ne fameas. Responde cum Christo: non in solo pane vivit homo. En uterque spiritus sua lingua loquitur, et facile utrumque discernes ex loquela, modo loquendi. Quando initium, medium, finis locutionis bene se habet, Christi est, si quid deficit, Diabolus est, quia malum ex quodcumque defectu. Inspirati Christi: 1 non habet initium aut a phantasia, aut a ratione naturali, urget etiam contra inclinationes naturæ; 2 non arripit et non suadet medium vel suspectum vel dubium; 3 finis semper est aut major gloria Dei, aut major similitudo cum Christo, si illa pars foret. Sic eligere non est, certe eligere ex impetu, quam serenus et liber est animus nullo lucro et nulli vanitati agglutinatus, a spiritu superbiæ alienus. Pre,2324a:T20 Verum summopere cavendum quia ubique per superbiæ vestigium imprimit, aut gloriolæ aut commodi prima ratione habetur. Item cave a voluntate pigra quæ facile procrastinat, donec tempus non erit amplius; a voluntate restricta quæ facile excipit et excusat nec ad omnia media æqualitate se componit; a voluntate infirma quæ facile resilit et ab obvia difficultate, exterrita manum retrahit ab aratro quod apprehenderat. Sit voluntas prompta sine dilatione, absoluta sine exceptione, heroica sine trepidatione; distingue voluntatem et velleitatem. Velleitas neminem perfectum fecit, sed nec salvum quidem, vellem post annum! Vellem si alio modo quo tali possem et nisi hoc vel illud obstaret, vota sunt quibus inferus plenus est. Omnes qui ibi ardent, ardent quia non satis vel cito, vel serio, vel constanter Deo servierunt. Sic numquam fui sanctus, quia quoties occasio exequendi se obtulit vel distuli et illa præterit, vel excepi et factum est nil, vel trepidavi et mansi qui fui. Per usum occasionum omne genus Sanctorum formatur, ex occasione enim tyrannidis martyres, hæresum doctores, missionum apostoli, lapsuum pænitentes, calamitatum fortes, misericordes, zelotes. Nempe fata temporum in quibus hucusque, vixisti; conditio locorum et personarum quibus convixistis; ratio officiorum quibus functus es quot occasiones suppeditarunt, ex quorum usu poteras esse sanctus per orationem; magnus per caritatem; cito per mortificationem. Virtus est habitus qui ex actibus frequentatis componit, stat toties quoties se offert occasio; occasione uti celeriter, alacriter, fortiter, ideo maxime cavendum a procrastinatione, excusatione, trepidatione. Christus exemplo addet auxilium. Pre,2324a:T21 Septima dies fortitudinis De Passione Christi Factam resolutionem de imitatione Christi in virtutibus quotidianis et in arduis, et heroicis obarmanda mens contra obstacula exemplo Christi per omnia tentati. De ejus sanctitate in agendo egimus et de ejus fortitudine in patiendo hodie agendum. Meditatio 1a: De desolationibus Christi. 1o Desolationum amarities ex causis a præterito, præsente, futuro. 2o Amaritiei victoria in qua compositio corporis et intentio animi singulare quid habuerunt. Unde remedium melancholiæ accersitur. Meditatio 2a: De injuriis Christi. 1o Injuriarum insolentia summa in verbis, in factis, ab omni genere personarum. Quid, et a quo pateris tu? Audes comparationem adducere? 2o Insolentiarum victoria per amorem inimicorum non quia inimici, sed quia instrumenta Patris, filium castigantis. Infallibile remedium. Meditatio 3a: De doloribus Christi. 1o Dolorum acerbitas ex instrumentis, ex subjecti conditione, ex duratione, cum ægrotas comparationem institue per quid et per quomodo. 2o Acerbitatis victoria a silentio venit. Ars bene ægrotandi silentium postulat. In silentio et spe erit fortitudo: intelligis exercitium artis? Pre,2324a:T22 Quarta hebdomada Pre,2324a:T22 Dies octava lætitiæ In prima hebdomada animo a pravis affectionibus purgato. In secunda affectionibus indifferentibus ex regulis christianæ moderationis limitatis. In tertia affectionibus supernaturalibus (utcumque invita natura) in gradum heroicum elevatis. In quarta non superest nisi cura perseverantiæ, qui est scopus et fructus hujus diei in qua meditamur de fructibus vitæ melioris, et intelligimus cum singulari lætitia (quæ est mater constantiæ in bono), quod recompenset dolores corporis: Resurrectio, injurias: Ascensio, desolationes: amor, nempe fides, spes, caritas. Ante singulas hebdomadas meditatio preambula proponitur. 1a Meditatio de fine hominis, per quam docearis affectus tuos non esse bene compositos, adeoque reformatione indigere. 2a De Regno Christi ubi vides exemplar ad quod decet affectus componere. 3a De duobus vexillis unde intelligis: 1. moderationem affectuum sufficere, nempe quamdiu nulla tentatione graviori pulsaris et non quando Lucifer vexillum effert et per externas occasiones affectuum internorum vires resuscitat. 2. Christum cum aliquibus non esse contentum si ipsum sequantur affectu, sed exigere affectum et velle moderationi affectuum conversionem superaddi. Quod magis clarescit in meditationibus de tribus classibus et clarius de tribus gradibus humilitatis. In quarta hebdomada non habetur meditatio prævia quia electione jam facta non amplius est opus præparatione animi, sed confirmatione per spem et amorem. Pre,2324b:S Altri studi ed analisi degli Esercizi Minute di mano Lanteri, con graffe e correzioni. AOMV, S. 2,11,16:324b Condizioni che si richiedono perché gli Esercizi producano il loro effetto in chi vi attende. Pre,2324b:T1 Exercitia Spiritualia sunt arma invincibilia… Exercitia Spiritualia S. Ignatii sunt arma invincibilia si adsint sequentia: 1o Locus aptus, hoc est perfecte solitarius et tranquillus; commodus ne sensus egeat; cubicula singula de omnibus necessariis provisa. 2o Facientes idonei, nimirum excludantur inhabiles, ut nimis scrupolosi et juvenes. Exacti circa distributionem horarum, et circa quodlibet exercitium. 3o Ordo, seu bona repartitio horarum, actionum, librorum, item cubiculorum et officialium seu lectoris, sacristanii, hebdomadarii, campanarii. 4o Lectiones selectæ et bene repartitæ in Cappella, refectorio, singulis cubiculis maxime. 5o Datores satis experti, investiti di quanto dicono, Ignatiani, hoc est S. Ignatii methodum exacti sequantur ne nimis abbrevient. 6o Versus finem Exercitiorum maxime cavenda relaxatio in ordine, in silentio et solitudine. Dunque, tutto il male della poca stima e del poco frutto degli Esercizi proviene perché o non si fanno, o non si fanno bene per difetto o del luogo, o dell'ordine o dei libri, o di chi li dà, o di chi li fa, o perché in fine si rilasciano. Pre,2324b:T2 Les Exercices Spirituels de S. Ignace sont le plus grand ressort, et invincible. Tous les maux viennent parce que 1. On n'en fait pas le cas qu'on doit. 2. On ne les fait pas. 3. On ne les fait pas bien. 4. On ne les donne pas bien parce que 1) le lieu physique n'est pas bon par défaut de solitude parfaite et tranquille, et parce qu'il manque de commodité, quia adest sensus egens; 2) il y manque l'ordre, la répartition bonne des chambres, des heures; 3) le donneur n'est pas bon parce qu'il n'est pas pénétré ou savant quantum oportet, ou parce qu'il ne choisit ou ne répartit pas bien les lectures publiques en chapelle, au réfectoire, en chambre particulièrement, ou il ne suit pas la méthode de S. Ignace, ou il les abrège trop; 4) on se relâche vers la fin dans l'ordre, le silence, la solitude; 5) on choisit pour les faire des sujets inhabiles, ut filii familias. Verbo quia deficit vel locus aptus, et facientes idonei, vel modus, libri, datores investiti, ignatiani. Pre,2324b:T3 Finis primæ hebdomadæ… Finis proximus primæ hebdomadæ compunctio cordis, et spiritus pænitentiæ ad quem exercitandum singula exercitia primæ hebdomadæ ordinari debent. Postquam enim, prima die homo in consideratione finis ultimi cognovit se indigere reformatione ejusque desiderium concepit: ordo poscit ut hodie de sua reformatione decernat et meliora decernat. Meditatio prævia per quam animus disponit ad affectiones perfecte subjiciendas dispositioni divinæ. Ita 1a hebdomada præmittitur meditatio de fine hominis per quam docearis affectus tuos non esse bene compositos adeoque reformatione indigere. 2a Hebdomada proponitur de Regno Christi in qua videas exemplar ad quod deceat affectus componere. 3a Præcedit meditatio de duobus vexillis ex qua intelligas moderationem affectuum sufficere quod in nulla graviore tentatione pulsaris, non item si vexillum efferat Lucifer, et per externas occasiones affectuum internorum vires resuscitet; simulque discas Christum cum aliquibus contentum non esse si ipsum sequantur affectu, effectum exigere, et moderationi affectuum velle superaddi conversionem eorum qualis in consideratione de tribus classibus et in declaratione de tribus gradibus exponitur. 4a In quarta nulla meditatio prævia quia electione jam facta non est amplius opus præparatione animi, sed confirmatione per spem et amorem. N.B. Dies prima tota impendenda in cogitando fine ultimo, quia hæc cogitatio est fundamentum vitæ perfectæ. Fons vero malarum affectionum et omnium errorum est quod plerique in suis functionibus et electionibus de fine proximo multum, de fine ultimo vix ac ne vix quidem solliciti sint. Pre,2324b:T4 Finis ultimus Reformatio hominis quæ duret. Finis proximus cujuslibet hebdomadæ: 1. compunctio cordis de vita vel male, vel tepide, vel superbe acta; 2. resolutio mutationis; 3. victoria difficultatum; 4. confirmatio animi ad constantiam. Summa hominis felicitas est servire Deo, nam qui Deo non servit est miser in tempore et in æternitate. Atqui, servire Deo perfecte est imitari Christum qui est forma servi in agendo et in patiendo. Ergo summa hominis felicitas in hac vita est imitari Christum. Felicitas quam nunc inchoamus per spem resurrectionis et ascensionis in Christo et olim possidebimus per amorem Dei infinite boni in se, et benefici erga nos. Via non curritur speculando. Ars non acquiritur nisi practicando seu per actus frequentatos et quidem ex certis regulis et bona methodo. Pre,2324b:T5 Reformatio sui fit per gradus, hoc est demonstrando 1o – erratum esse circa aut statum aut modum vitæ hucusque actæ peccaminose, superbe, tepide tamquam per quam viam aberretur a fine ultimo et arcessantur gravia mala culpæ et pœnæ; 2o – errorem corrigi per imitationem Christi agentis; 3o – difficultates vinci per imitationem Christi patientis; 4o – victoriam sequi lætitiam spiritualem spei et caritatis quæ est apex perfectionis in quo Deo unimur. Brevius movet hebdomada 1a ut fugias malum, 2a ut ames bonum, 3a ut vincas obstacula, 4a ut resolutionem stabilias. Adhuc brevius affectionum purgatio, moderatio, conversio gradus sunt per quos itur ad astra. S. Ignatius vult reformationem quæ duret, ideoque aspiranti gratiæ addi industriam et artem ex certis regulis per fines intermedios. Non transeundum ex prima in secundam priusquam per compunctionem affectiones malas purgentur. Ex secunda in tertiam priusquam naturales ad Christi agentis exemplum ex legibus moderationis formentur. Ex tertia in quartam, priusquam ad exemplum Christi patientis supernaturales se moveant quæ sunt fons lætitiæ spiritualis et apex perfectionis in quo unimur Deo et consequimur ultimum finem exercitiorum. Pre,2324b:T6 Passio est motus appetitus… Passio est motus appetitus sensitivi ut in belluis in prima hebdomada, in finem sequi et impedimenta amovere; in secunda hebdomada modum, finem sequendi consistentem per imitationem Christi decrevimus (in virtutibus quotidianis, quarum frequens est occasio, in arduis et heroicis pro casibus fortuitis). Passiones sunt vitiosæ, quando sunt tendentes ad objectum prohibitum, oriundæ a phantasia non a ratione, et sunt turbantes appetitum simul et rationem. Passiones in nobis possumus domare si ad vitium inclinant, debemus moderari si vere ad naturalem conservationem ordinantur, quod fit per usum virtutum quotidianarum uti sunt appetitus cibi, potus, somni, item famæ, scientiæ, sanitatis, vitæ etc. Indefiniti essent hi motus si regulæ non scriberentur. Hinc affectus vitiosi corrigendi, naturales moderandi, supernaturales inserendi quod fit per conversionem affectionum naturalium in partem contrariam, ita ut jam amemus quod odimus, adversemur quod amamus; hoc vero in præparatione animi semper, in praxi quoties exigit gloria Dei et profectus animæ. Finis primæ hebdomadæ spiritus compunctionis et purgatio affectionum vitiosarum cujus parentes sunt cognitio sui et peccati, et affectus sunt dolor, pudor, timor, et signum comparatio animi qualis prodigi erat in servitute turpi, gravi, sed utili; in reditu per victoriam affectionis et difficultatis, in amplexu paterno. Pre,2324b:T7 Post hæc obarmanda mens contra obstacula exemplo Christi tentato et patienti decretum imitandi Christum in genere, atque adeo saltem moderandi inclinationes naturales perpendentes ad bonum naturæ vegetative, animalis, rationalis, et adversiones contrarias, quod fit per usum virtutum quotidianarum. A resolutione generali itur ad particularia exempla vitæ Christi. Sicut necesse est servire Deo, sic necesse est exprimere formam servi quam exhibet Christus, exprimere vero in affectu semper, in effectu cum vocat Deus. Pre,2324b:T8 In sostanza essi contengono: per l'intelletto, un'istruzione per la volontà, una cura metodica della passione disordinata, un modello in Gesù efficacissimo per indurre a praticare le virtù quotidiane di cui si ha frequente occasione, e quelle eroiche per i casi fortuiti. In essi si propone ed opera la confessione del peccato e la compunzione del cuore, la risoluzione di mutare vita, correggersi con l'imitazione della vita attiva di Gesù Cristo, la vittoria sulle difficoltà con l'imitazione di Gesù paziente nelle virtù eroiche, la confermazione dell'anima per la costanza nelle risoluzioni per via della speranza e dell'amore; e questo non speculando, ma praticando, e comunque con una meditazione dopo l'altra una con me. Non unum post aliud, sed unum ex alio. Pre,2325:S Esercizi di S. Ignazio (N. 2) AOMV, S. 2,11,17:325 Vari studi ed analisi per comporre la Medulla Exercitiorum pubblicata da P. Isnardi nel 1857. 1. Analysis Exercitiorum in tabulas distributa. 2. Analysis Exercitiorum etc. seu Appendix ad majorem dilucidationem. 3. Finis Exercitiorum generalis et particularis. 4. Analysis et ordo affectuum, qui excitandi sunt in Exercitiis. 5. Monita utilia ad majorem fructum percipiendum, etc. 6. Synopsis Exercitiorum S. Ignatii. 7. In Exercitiis homo reformatur pro præterito, præsenti et futuro. 8. Effectus Exercitiorum. 9. Industriæ ad fructum certo assequendum in Exercitiis. 10. Analysis, Synopsis, Finis Exercitiorum et industriæ ut supra. N.B.: – Le parti n. 6 e 7 sono sciolte nell'AOMV: formano il doc. S. 2,11,18:326. – Riproduciamo qui le parti 3, 4, 5, 7, 8 e 9. La materia degli altri testi si ritrova nella copia rielaborata n. 10. Questa copia n. 10, corretta qua e là, fu pubblicata sul Direttorio degli O.M.V. (vedi sotto doc. Pre, 9007, Medulla Exercitiorum). Pre,2325:T3 325-3 Finis Exercitiorum est reformatio generalis interioris et exterioris; particularis in particulari virtute et circa singulares obligationes. Fines intermedii et subordinati ipsi fini generali et particulari nempe finis proprius singulis hebdomadis et diebus urgendus suo tempore, donec sit obtentus unde notandum quod non est transeundum etc. Prima die Meditatio præambula est de fine ultimo hominis; necessaria est 1. quia omnium errorum fons in hoc consistit quod plerique in suis functionibus et electionibus sunt multum solliciti de fine proximo, nempe satisfaciendi propriis inclinationibus, nil solliciti de fine ultimo hoc est an prosit an obsit animæ saluti et perfectioni; 2. necessaria ut docearis affectus tuos non esse bene compositos et reformatione indigere. Ideo fundamentum vitæ perfectæ. Vocatur hæc dies desideriorum quia oportet incipere exercitia animo suæ reformationis avido; principium enim sanitatis est serio velle sanari. Finis proprius est cognoscere se indigere reformatione et desiderium concipere reformationis animæ suæ quod obtinetur perspecta a fine deficientis insipientia. Postquam homo in consideratione finis ultimi cognovit se indigere reformatione, et desiderium ejus concepit. Ordo poscit ut de sua reformatione doleat. Hinc secunda dies compunctionis dicitur. Finis proprius est compunctio cordis et spiritus pænitentiæ quod obtinetur cognita impossibilitate peccantis. Postquam homo de sua deformatione doluit, debet cautus fieri ne ipsi deteriora eveniant. Hinc 3a dies Timoris vocatur. Finis proprius est amor pænitentiæ externæ et affectio ad opera pœnalia quod urgebit objectum oculis periculum mortis, judicii et Inferni, quod est optimum incitamentum ad conversionem languenti. Exercitia sunt schola non intellectus ubi discas, sed schola voluntatis et affectuum ubi exerceas, non enim steriles esse debent. In his ergo affectibus desiderii, compunctionis et timoris exercendis, oportet tota qualibet die totum esse quod est maximi momenti ad devotionem. Pre,2325:T4,1 325-4 Appendix Analysis et ordo affectuum qui exercitandi sunt in Exercitiis. Finis Exercitiorum generalis est reformatio permanens hominis interioris et exterioris et manens. Sunt et alii fines intermedii et subordinati fini generali. Nempe finis particularis cuilibet hebdomadæ proprius singulis diebus. Isti fines respiciunt affectus opportune excitandi sunt. Exercitia enim sunt schola non intellectus ubi discas, sed schola voluntatis et affectuum ubi te exerceas, nam ipsimet affectus steriles non debent esse, sed opere et virtutum exercitio probandi et sanctitas non idealis sed realis hic intenditur. Quilibet autem finis seu affectus urgendus est donec sit sincere assecutus. Pre,2325:T4,1,1 Prima hebdomada quæ respicit vitam purgativam Finis particularis hujus hebdomadæ est Decretum serviendi Deo efficaciter et modo suo. Prima ergo dies Desideriorum vocatur quia oportet incipere Exercitia animo suæ reformationis avido, proprium enim sanitatis est serio velle sanari. In hac die habetur meditatio, præambula et fundamentalis exercitiorum quæ est de fine hominis. Ista meditatio necessaria est 1. quia omnium errorum fons in hoc consistit, quod plerique in suis actionibus et electionibus sunt multum solliciti de fine proximo, nempe satisfaciendi propriis inclinationibus et saluti et sunt nil solliciti de fine ultimo hoc est; an prosit an obsit animæ saluti et perfectioni; 2. ut docearis affectus tuos non esse bene compositos adeoque indigere reformatione. Finis proprius hujus diei est magnum concipere desiderium reformationis animæ suæ. Quod obtinetur perspecta ultimi finis hominis excellentia et a illo fine deficientis insipientia. Postquam in consideratione finis sui ultimi homo cognovit se indigere reformatione et concepit illius desiderium. Ordo poscit ut de sua deformatione dolent. Hinc secunda dies Compunctionis dicitur. Finis proprius est compunctio cordis et spiritus pænitentiæ. Quod obtinetur cognita improbitate peccantis. Unde primæ hebdomadæ: Fructus est spiritus compunctionis et purgatio affectionum vitiosarum ex cognitione peccati sui. Effectus autem sunt dolor et timor. Signum hujus modi compunctionis est comparatio animi qualis prodigi erat in servitute quæ fuit cognoscendo ejus turpitudinem, gravitatem et utilitatem; in reditu cum victoria affectionum et difficultatum et in amplexu paterno. Pre,2325:T4,1,2 Secunda hebdomada quæ respicit vitam illuminativam Incipit a meditatione fundamentali quæ est applicatio seu praxis meditationis de fine hominis. In illa decrevimus finem sequi et impendimenta amoveri. Hic modum statuimus finem consequendi consistentem in imitatione Christi. Igitur Meditatio prævia hujus hebdomadæ est De Regno Christi in qua proponitur Exemplar ad quod doceat componere affectus. Ista Dies 4a Fervoris dicitur. Finis proprius est decretum imitandi Christum in genere. Urgenda resolutio generica. Volo imitari Christum in affectu semper et in effectu cum vocat Deus. 5a Dies devotionis vocatur. A resolutione generali itur ad particularia vitæ Christi exempla. Finis proprius est velle passiones moderari per usum virtutum quotidianarum, communes virtutes et actiones perficere juxta Exemplar virtutum et actionum quotidianarum Christi. Quæ voluntas excitatur meditationibus de Incarnatione, de Nativitate et item de vita ejus privata et publica. Pre,2325:T4,1,3 Tertia hebdomada quæ etiam pertinet ad vitam illuminativam Moderatio affectuum sufficit quamdiu nulla tentatio gravior pulsat, non quando Lucifer vexillum effert et per externas occasiones vires resuscitat affectuum internorum et per difficultates vel terriculamenta se opponit tantum in virtutibus communibus. Tunc cavendum ne per ignaviam cadas, forte tunc non ideo deseres vexillum Christi, sed numquam formidabilem te facies militantibus sub vexillo Diaboli, idcirco cum aliquibus Christus non est contentus, si ipsum sequantur affectu sed ab istis etiam exigere sui imitationem in arduis et velle Christum sequi etiam heroice in praxi quoties exigit gloria Dei et profectus animæ. Hinc dies electionis appellatur. Finis proprius quod clarescit in meditationibus de duobus Vexillis et magis urgetur in meditationibus 3a classibus et 3 gradibus. Sequitur dies quæ fortitudinis dicitur: Finis proprius velle difficultates vincere per imitationem Christi patientis animæ contra molestias et adversa heroice obfirmatæ et imitari Christum in virtutibus arduis et heroicis, quoad casus fortuitos quos non licet prospicere. Et hoc habetur in Meditatione de Passione Christi. Pre,2325:T4,1,4 Quarta hebdomada quæ spectat ad vitam unitivam In ista nulla est meditatio prævia, quia electione jam facta non est amplius opus præparatione animi, sed confirmatione per spem et amorem. Hinc dies octava lætitiæ vocatur. Finis proprius hujus diei est studium perseverantiæ. Ideo meditatur de fructibus vitæ melioris, nempe cum singulari lætitia (quæ est mater constantiæ in bono) quomodo Deus remuneratur dolores corporis, injurias et desolationes per Meditationes Resurrectionis, Ascensionis, Amoris nempe fides, spes, caritas. N.B. quod maxime notandum non enim steriles esse debent isti affectus, sed opera, virtutum exercitio probandi sunt, nam sanctitas realis non idealis hic intenditur Id circo n.b. non transeundum. Pre,2325:T4,2,1 Finis generalis Exercitiorum reformatio hominis interni et externi. Pre,2325:T4,2,1 1ae Hebdomadæ Finis particularis affectiones malas purgare quoad præteritum. Meditationi fundamentali de fine hominis. 1. Dies desiderii: Diei finis proprius est quoad intellectum agnoscere: quomodo affectus hominis ordinandi sunt quoad Deum primum principium, ultimum finem et quoad creaturas quæ non sunt nisi media et agnoscere affectus tuos non esse bene compositos ut sis felix in præsenti et in futuro; quoad voluntatem magnum desiderium concipere affectiones omnes perfecte subjiciendi voluntati divinæ et indifferentes esse erga creaturas. N.B. summi momenti est hæc indifferentia ad tollendos affectus erga creaturas, quia sunt obstacula in electione mediorum ad finem. 2. Dies compunctionis: finis proprius hujus diei est tristem reddere, hoc est quoad intellectum perspicere insipientiam deficientis a fine in alios et in se; quoad voluntatem affectiones perversas purgare per compunctionem cordis. 3. Dies timoris: finis proprius est cautum facere, hoc est quoad intellectum agnoscere vanitatem creaturarum quorum affectus inordinati perversas affectiones causant; agnoscere perversas affectiones et pericula ut non defleas de præterito et non corrigas de futuro; quoad voluntatem excitare amorem pœnalitatum. Isti affectus desiderii, compunctionis, timoris maxime et opportune urgendi. Signum habendi tales affectus est comparatio animi qualis fuit Prodigi in reditu ad Patrem unde sequitur similis amplexus. Finis ergo totius hebdomadæ est purgare affectiones malas et voluntate seria excitare serviendi Deo modo suo in quacumque difficultate et incommodo. Pre,2325:T4,2,2 2ae Hebdomadæ finis particularis est affectiones naturales seu indifferentes recte componere quoad tempus præsens. Meditatio fundamentalis de Regno Christi. 4. Dies fervoris: finis proprius est quoad agnoscere ad quale Exemplar sit dignum, utile, necessarium affectus nostros componere et quoad decretum formare imitandi Christum in genere. 5. Dies devotionis: finis proprius est quoad intellectum inspicere exempla virtutum omnibus tradita a Christo in ejus incarnatione et nativitate, item in ejus vita publica et privata et morum in ejus vita; quoad voluntatem velle nostras virtutes et mores perficere juxta exemplar quotidianarum virtutum et morum. Pre,2325:T4,2,3 3ae Hebdomadæ Finis particularis victoria difficultatum. Meditatio fundamentalis De duobus Vexillis. 6. Dies devotionis: Diei finis proprius quoad intellectum noscere quæ materia et forma sit tentationum et inspirationum quod patet in meditatione de duobus Vexillis et noscere gradus in imitatione Christi et voluntatis imitandi Christum et subjectionis nostræ erga Deum, quoad voluntatem velle cavere a tentationibus et propinquius sequi Christum etiam heroice. 7. Dies fortitudinis: Diei finis proprius est quoad intellectum considerare exempla actuum, virtutum heroicorum Passione Christi et quoad voluntatem difficultates vincere per imitationem virtutum heroicarum Christi patientis. Pre,2325:T4,2,4 4ae Hebdomadæ finis particularis obfirmatio animi ad constantiam quoad futurum. Nulla Meditatio fundamentalis quia… 8. Dies lætitiæ: Diei finis proprius quoad intellectum considerare fructus vitæ melioris in meditationibus de Gloria cælesti et De Amore Dei, nempe quomodo Deus remuneretur dolores corporis et desolationes animi et quomodo amanti nil difficile; quoad voluntatem studium perseverantiæ et confirmare animum in suis propositis per spem, amorem, lætitiam quæ producunt constantiam in bono. Verbo movet hebdomada: 1) ut fugias malum 2) ut facias bonum 3) ut vincas obstacula 4) ut resolutionem stabilias. Diverse analisi degli Esercizi di S. Ignazio, est enim finis: generalis, particularis, proprius. Pre,2325:T4,3 Hebdomadæ autem juxta mentem S. Ignatii non sumuntur præ totidem spatiarum 8 dierum, sed sunt potius divisiones exercitiorum juxta principaliores fines qui urgeri debent ad finem generalem totius reformationis obtinendum, unde merito isti finibus retentis solis octo diebus includuntur exercitia ut facilius omnibus prodesse possint. Pertanto giusta la mente di S. Ignazio queste settimane non si devono prendere letteralmente per lo spazio di 8 giorni, ma piuttosto servono per indicare la divisione degli Esercizi secondo i fini più principali che si è prefisso di proporre per ottenere il suo intento d'una perfetta riformazione dell'uomo. Epperò ottimamente prevale l'uso di ritenere di ciascuna settimana la sostanza e il fine, e ridurre gli stessi Esercizi a soli 8 giorni per renderli così praticabili a tutti. Cavendum autem ne alii affectus nimis. Pre,2325:T4,4 Passiones sunt inclinationes, affectiones seu motus appetitus sensitivi ut in belluis. Passiones vitiosæ sunt quando tendunt ad objectum prohibitum, oriuntur a phantasia non a ratione, et turbant simul appetitum et rationem; affectus isti sunt domandi, corrigendi, purgandi per compunctionem cordis quod fit in prima hebdomada et per spiritum pænitentiæ internæ et externæ; naturales sunt quæ propendunt ad bonum naturæ vegetativa, ut sunt cibi, potus, somni; animalis ut sanitatis et vitæ; rationalis uti ex. gr. famæ, scientiæ. Affectus isti indefiniti sunt si regulæ non præscriberentur; sunt moderandi per usum virtutum quotidianarum ad exemplum Christi agentis quod fit in secunda hebdomada. Supernaturales fiunt per conversionem affectuum naturalium in partem contrariam ita ut jam amemus quod odimus et aversemur quod amamus. Affectus isti imperandi sunt in præparatione animi semper et in praxi quoties exigit gloria Dei et profectus animæ. Quod procurantur in 3a hebdomada. In meditatione finis agnoscitur quomodo affectus nostri ordinati esse debeant ut felices simus in vita præsenti et futura. Nimirum ut agnoscamus nos non agnoscere Deum primum principium omnis boni accepti et operati et talem eum nos non agnoscere nisi omnia ab ipso accepto confiteamur et de omnibus ipsi gratias agamus; ut agnoscamus Deum ultimum finem ad quem omnia referenda et talem eum nos non agnoscere si aliqua affectio nostra ad ipsum non tendat; adeoque omnes affectiones nostræ divinæ dispositioni perfecte subjiciendæ sunt et circa res cæteras creatas indifferentes esse debent; in meditatione finis percipitur quomodo affectus omnes ordinandi sunt nempe ad Deum referenda bona accepta et acta et omnia agenda et affectus nostros non esse bene compositos. Pre,2325:T5,1 325-5 Monita utilia Diertius S.I., Sensus Exercitiorum spiritualium S. Ignatii explanatus an. 1692. De contemptu et opprobriis Reg. 11 sum. De paupertate Reg. 23, 24, 25 De ægritudine Reg. 50 De brevitate vitæ Const. par. 6, c. 4 De victu reg. 4. De tentationibus Reg. sum. 41 Regulæ duæ aureæ ad facienda Exercitia: 1. ea peragere magno animo et liberali Annot. 5 inter 20 2. quisque tantum in ipsis proficit quantum ab amore sui ipsius et commodi proprii affectione sese abstraxerit. Ultima Verba Hebdom. 2a item Reg. 7 et reg. 12 Sum. Consutendum opportune Directorium De tentationibus aperiendis Reg. sum. 41 De lect. librorum Direct. c. 3 par. 2. seq. et c. 21 par. 2 De regulis ad victum temperandum Direct. c. 35 par. 12, 13 Anima societatis est studium rerum spiritualium, quod continetur in libro Exercitiorum (vid. Congr. gen. II Decr. 30). Spiritus iste consistit in 3o gradu humilitatis Liber exerc. ad agendum magis quam ad legendum factus est Usus exercitiorum familiaris esse debet Reg. 7 Ex ipso modus orandi meditandi Reg. 4 Pre,2325:T5,2 Meditationes capitales sunt: Fundamentum, De Regno Christi, De duobus vexillis, De tribus classibus, De 3 gradibus humilitatis, cæteræ ad istas referendæ. Ad dictas capitales adde Exercitium de peccatis, de amore Dei. Deinde materia electionis principalior pars numquam negligenda. Hinc necessitas regularum de discernendis spiritibus. Addictiones in singulis hebdomadæ non omittendæ. Annotationes item 20 priores observandæ prout ad meditandum vel eligendum conducunt. Priusquam inchoatur 1a hebdomada juvat lectio de materia meditationum 1ae hebdomadæ Hic vide Suarez T. 4 de Rel. tr. 10 l. 9, c. 5 n. 1 ad 4; item c. 6 et 7 Circa indifferentiam Suarez sup. c. 5, n. 11, 12. De examine quotid. Suarez c. 6, n. 5. a) De Fundamento Direct. c. 12 De Examine Direct. 13 De Peccatis Direct. 15 De fine 1ae hebdomadæ 17-18 Additiones legendæ servandæ Direct. c. 15, paragr. 8, 9, c. 3, paragr. 1 Circa Regnum Christi vid. Reg. 24 sum. b) De 3a prælud. direct. c. 19, paragr. 4 De applicatione sensuum direct. c. 20. Circa rectam intentionem. Reg. sum. 17 Pre,2325:T5,3 De 3 hominum classibus lege annot. 16 ex 20 ut noscatur dispositio quæ requiritur. Item Direct. c. 29 paragr. 3 seq. ad 8. Quod inclinandus sit affectus ad partem contrariam lege Direct. c. 30 par. 2. Addit 10 hebd. I reg. 11, 12 item par. 46 c. 4 Exam. De electione Directorium a c. 21 ad 34 Suarez Eic. c. 7. a n. 12 ad 15. Huc faciunt Reg. de discernendibus spiritibus. De 3 gradibus humilitatis: 1us est fructus 1ae hebdomadæ 2us necessarius est ad indifferentiam et animi equilibrium 3us est expressus in imagine Imperatoris Jesu Christi humili loco constituti sed speciosus forma et aspectu amabilis. N.B. in 2 primis consideratur solus finis creationis nempe laus Dei et salus nostra, unde indifferentia ad utrumque. In 3a finis est major imitatio Christi et similitudo cum Christo ex majori amore erga ipsum. Ratio cur Christus elegit potius viam Crucis vid. Suarez t. 4 de Relig. tr. 10 l. 9. c. 5. n. 26. Hic gradus est compendium vitæ illuminativæ et Thesaurus absconditus in agro exercitiorum. In hoc gradu docetur nil nisi Jesum Christum et hunc crucifixum. Vid. p. 44 c. 4 exam. quod continetur in reg. 11 sum. est radix Constit. et totius Societatis forma. Ad hunc gradum consequendum numquam intermittenda colloquia quæ ibi suggeruntur et quamdiu vivimus huc enitendum. Pre,2325:T5,4 Contemplatio ad amorem Dei. Not. 1: amor ab operibus magis quam a verbis pendet; not. 2: amor consistit in mutua communicatione, p.s. perpendere beneficia 4 nempe: quod Dominus pro me 1. egerit, 2. pertulerit, quod spectat ad not. 1; 3. Quantum mihi largitus sit de Thesauris suis; 4. quod seipsum mihi quantum poterit donare velit, hæc duo pertinent ad not. 2. Cognoscitur beneficium 1m in fundamento et 2a septimana; 2m in 1a et 3a septimana; 3m et 4m in fundamento, alibi, et potissime in 4a septimana. De Reg. ad discernendos Spiritus Direct. c. 27 Suarez T. 4 de rel. tr. 1o l. 9. c. 5. De secundis Reg. Suarez ib. n. 31. seq. notand. n. 35, S. Bonav. de processu relig. c. 18. De Reg. eleemosynæ Suarez l.c. c. 7. n. 6 1a recta intentio; 2a indifferentia ad media. Reg. De scrupulis Suarez l.c. c. 7. n. 3. Direct. c. 38. Reg. ad sentiendum cum Ecclesia catholica Direct. c. 38 et Suarez l.c. c. 5. n. 43, item. Reg. Concionatorum 9, 19. Pre,2325:T7 325-7 Analysis Exercitiorum S. Ignatii Finis Exercitiorum est hominis reformatio: Pre,2325:T7,1 I. pro præterito: affectiones malas purgare excitando affectus: 1a die: desiderii in meditatione fundamentali finis hominis ubi – quoad intellectum noscitur quomodo affectus ordinandi circa Deum primum principium et ultimum finem et creaturas ut media et sic noscitur affectus tuos non esse bene ordinatos; – quoad voluntatem desiderium concipitur affectiones omnes perfecte Deo subjiciendi et indifferentiam procurandi circa creaturas. 2a die: compunctionis – agnoscendo insipientiam deficientis a fine in aliis, hoc est in Angelis, Adamo etc., et in se propter peccati gravitatem et effectus; – purgando affectiones perversas per dolorem cordis qui tristem reddit propter peccata patrata. 3a die: timoris – agnoscendo vanitatem creaturarum in meditatione de morte; item pericula quibus subjicieris si affectiones malas non defleas et corrigas ut in meditationibus de Judicio et de Inferno; – excitando amorem pœnalitatum seu mortificationis internæ et externæ. N.B. – In istis meditationibus ad timorem excitandum et ad cautum reddendum ordinario duo dies impendendi sunt. – Signum horum affectuum est comparatio qualis fuit Prodigi in reditu ad Patrem, unde sequitur amplexus Patris nostri cælestis. Pre,2325:T7,2 II. pro præsenti: Pre,2325:T7,2,1 1o affectiones componere nempe: 4a die: fervoris – agnoscendo in meditatione fundamentali de Regno Cristi exemplar ad quod affectus nostri necessario componendi sunt; – formando firmum decretum imitandi Jesum in genere. 5a die: devotionis – considerando exempla virtutum et morum a Christo in specie tradita in meditationibus de Incarnatione et Nativitate item in vita privata et publica; – decernendo nostras virtutes et mores in specie perficere secundum exempla virtutum et morum quotidianarum Christi. Pre,2325:T7,2,2 2o difficultates vincere nempe: 6a die: electionis – noscendo spiritum Luciferi et Jesu Christi ad detegendam materiam et formam tum tentationum tum inspirationum in fundamentali meditatione de duobus Vexillis; noscendo gradus in imitatione Christi in meditatione de tribus gradibus, et gradus voluntatis imitandi Christum in meditatione de tribus classibus; – decernendo cavere ab omni specie tentationum et proprius sequi Christum etiam heroice sed in genere; 7a die: fortitudinis – considerando exempla vitutum heroicarum in specie in Gethsemani, in tribunalibus et in Calvario; – decernendo difficultates in specie vincere circa desolationes animi, judicia hominum et afflictiones corporis etiam per actus heroicos exemplo Christi. Pre,2325:T7,3 III. pro futuro: animum obfirmare ad constantiam 8a die: affectu lætitiæ – considerando fructus melioris vitæ in meditatione de gloria cælesti, Amore Dei, hoc est quomodo Deus remuneretur in futuro dolores corporis et desolationes animæ; quomodo Deus sit infinite bonus in se et beneficus nobis (amanti nil difficile); – confirmando animum in propositis per spem et amorem ex quibus oritur lætitia spiritualis, mater constantiæ in bono, apex perfectionis: finis Exercitiorum. Pre,2325:T8,1 325-8 Effectus Exercitiorum S. Ignatii Amor divinus habet: Deformatum reformare per aversionem a bono commutabili et per conversionem ad bonum incommutabile. Reformatum conformare per affectus unionem ad Deum. Conformatum confirmare ex parte Dei et sui. Confirmatum transformare in amatum, elevando intellectum extra et supra seipsum et abstrahendo eum ab aliis; elevando affectum supra seipsum quia non contentus de bono quod habet, querit frui bono, quo se ebullit et exaltat. Amor est virtus unitiva amantis et amati; est vita quædam vel copulans vel copulare appetens nempe amantem et amatum S. Aug. de Trinitate 8. Sine unione affectus non est amor, quia secundum illam unionem amicus dicitur esse alter ipse et dimidium animæ suæ. Affectus amantis in amantis præsentia quiescit et delectatur et in amantis absentia per desiderium in ipsum tendit. Amans est in amato amore amicitiæ quia bona et mala reputat sua, amicorum enim est eadem velle et nolle; amore concupiscentiæ quia non requiescit in quacumque adeptione et fruitione amati, sed requirit amatum perfecte habere, quasi ad intima illius perveniens, et tunc solum quietatur affectus ejus. Amor boni convenientis est meliorativus et perfectivus, nam tanto melius est quam magis imus in illum quam nil est melius; imus autem non ambulando sed amando, et tanto habemus eum præsentiorem, quanto eundem amorem quo in eum tendimus, poterimus habere puriorem. Amor facit zelare (1), languere (2), liquefacere (3), vulnerare (4), inebriare (5). Pre,2325:T8,2 1) Zelus est quidam fervor animi qui mens relicto timore pro defensione honoris, veritatis, bonitatis accenditur; est quidam motus per desiderium in amatum dum non habetur, et quidam quies et complacentia; ergo intensus amor intendit excludere omnem quod adeptioni et fruitioni amati boni repugnat. 2) Languor causatur a tristitia, quam causat absentia boni amati. Languet anima in defectu peccati eo quod dilectum offendit, in effectu boni eo quod quantum vellet pro dilecto pati non sufficit et in affectu Dei eo quod differtur beatitudo quam appetit. 3) Liquefactio cordis est conditio amori conveniens, sicut duritia est dispositio repugnans. Liquefactio importat quamdam mollitiem ex qua amatum vulnerat vel penetrat cor amantis et quamdam facilitatem recipiendi formam amantis. Liquescit anima in liquorem aquæ et fluent aquæ contritionis et in mollitiæ ceræ ut in ea scribatur doctrina sponsi, pingatur vitæ forma et sigillatur similitudo Dei gratia. Liquescit anima in odorem speciei aromaticæ quæ est pulchra in horto religionis, odorifera in mortario tribulationis et saporosa in electuario in præmio gloriæ. 4) Vulneratur anima quia amor est acutus: dividit amantem a se ipso seu ab affectu proprio et non sinit amare seipsum et conjungit amato et quia amori non sufficit conjunctio, sed quærit penetrare amatum et fieri unum; vulneratur anima quia vulnere amoris, compassionis et passionis. 5) Inebriatur anima quia sicut ebrius ex calore vini obliviscitur sui et aliorum, ita anima sui et omnium obliviscitur propter illum quem amat. Comedite amici mei et inebriamini carissimi. Comedi incorporavi favum cum melle meo, bibi vinum meum cum lacte meo. Pre,2325:T8,3 Dio vuol fare l'uomo Dio: questo è il fine soprannaturale per cui l'ha creato. Siccome il fine è soprannaturale, così supernaturali sono i mezzi. Però Dio si è fatto uomo per fare l'uomo Dio: questo è il mezzo al fine, perché così l'uomo Dio meritasse all'uomo tale elevazione divina e potesse togliere tutti gli impedimenti del peccato, servisse all'uomo di maestro, modello, aiuto. Dunque quest'elevazione dell'uomo allo stato divino s'effettua mediante l'unione dell'intelletto alle verità rivelate, mediante l'unione della volontà a quella di Dio e l'unione della memoria a Gesù sempre presente. Pre,2325:T8,4 Exercitia spiritualia S. Ignatii sunt arma invincibilia si adsint sequentia 1. Locus aptus, hoc est perfecte solitarius, tranquillus, commodus ne sensus egeat, cubicula singula de omnibus necessariis provisa. 2. Facientes idonei, nimirum excludantur inhabiles ut nimis scrupolosi et juvenes, exacti circa distributionem horarum et quodlibet exercitium. 3. Ordo seu bona repartitio horarum, actionum, librorum item cubiculorum et officialium lectoris, sacristani, hebdomadarii, campanarii. 4. Lectiones selectæ, bene repartitæ in Capella, in refectorio, in singulis cubiculis maxime. 5. Datores satis experti, investiti di quanto dicono, Ignatiani, hoc est S. Ignatii methodum exacte sequantur ne nimis abbrevient. 6. In fine Exercitiorum maxime cavenda relaxatio in ordine, silentio solitudine. Dunque tutto il male della poca stima e del poco frutto degli Esercizi spirituali proviene perché o non si fanno o non si fanno bene. Né si fanno bene per difetto o del luogo, o dell'ordine, o dei libri, o di chi li dà, o di chi li fa, o perché in fine si rilasciano. Pre,2325:T9,1 325-9 Industriæ ad fructum certo assequendum in Exercitiis spiritualibus, maxime in domibus Exercitiorum observandæ. Methodus et attentio necessario requiruntur in quacumque scientia addiscenda, et præsertim in scientia salutis seu in Exercitiis spiritualibus peragendis. Methodus nempe seu Ordo in directore et attentio in exercitante. Hæc duo, si adsint, Exercitia Spiritualia sunt pro quolibet arma invincibilia; alterutrum si negligatur necessario fructus deficit. Datores Ignatiani, seu methodum S. Ignatii exacte sequantur, caveant solummodo ne in meditationibus tradendis sint vel nimis breves vel diffusi. Investiti di quanto dicono. Satis experti, nempe sciant materiam accomodare exercitantium statibus et utantur modo non violento, sed placido, grata varietate jucundo. Noverint ex regulis de discretione spirituum applicationis fervorem in singulis prudenter intendere et temperare. Facientes idonei, nimirum excludantur inabiles seu nimis scrupolosi et juvenes. Exacti circa distributionem horarum et quodlibet exercitium peragendum. Visitentur cordialiter quamprimum singoli, observando an quidpiam ipsis desit, maxime si adsint libri opportuni. Edoceantur patienter circa lectionem meditationi peractæ accommodandam meditationis repetitionem et examina. Tempus non impeditum aliis curis et negotiis. Locus aptus, hoc est perfecte solitarius, tranquillus, commodus ne sensus egeat et cubicula singula de omnibus necessariis provisa. Ordo seu apta distributio horarum, actionum, librorum, item cubiculorum, officiorum nempe lectoris, sacristani, hebdomadarii, campanarii. Lectiones adattate e scelte in sacello, refectorio, singulis cubiculis. In fine Exercitiorum præcipue cavenda relaxatio in ordine horarum, exercitiorum, silentio, solitudine. Pre,2325:T9,2 Avvertimenti Silenzio: fuori del tempo della ricreazione, in tempo di riposo chi non dorme stia quieto nella propria camera. Non andare nelle camere altrui. La lettura in camera deve essere analoga alle meditazioni. Lasciare le camere aperte, acciò i domestici possano fare i letti e pulire le camere. Se hanno bisogno di qualche cosa come penna, calamaio o altro, domandino in iscritto al Sig. Direttore n. 15, D. Bagnas. [Bagnasacco] n. 36 ex. gr.: il n. 12 manca di etc. Quelli che vorranno il caffè fuori di tempo lo domanderanno e pagheranno a parte al cameriere Giovanni Batta e gli sarà portato lo stesso in camera. Quando si suonerà il campanello, il Sig. Lorenzo Vigo n. 11 è pregato di dare due o tre tocchi di campana, acciò quelli che sono alloggiati in casa del Sig. Cappellano possano sentire. Uffici: Corista Sig. Rapello, Rossano, Coletti, Sacrista, Sig. Cha.co Serralunga, Coppa Chiudere le finestre, campanello Sig. N.N. Per questa sera ciascuno si compiacerà riposare nella camera assegnatagli, mentre domani si procurerà di fare quelle mutazioni che si potrà per soddisfare tutti. Pre,2325:T9,3 Si procuri di fare la stanza oscura per ripetere la meditazione. Si vada con gran confidenza, generosità e allegrezza con Dio; si raccomanda il silenzio. Dopo la meditazione ciascuno vada in silenzio nella propria camera. Quelli che sono alloggiati in casa del Sig. Cappellano, si fermino in chiesa in un confessionale. La refezione si fa nella propria camera in silenzio; quelli che sono alloggiati come sopra si raduneranno nella camera. Sono pregati di essere esatti nel venire in Cappella al primo tocco della campana, e dopo il riposo si prega di [non] bussare alle celle, sinché le si risponda acciò etc. Scrivano i frutti e le risoluzioni e quei riflessi che hanno fatto maggiore colpo. Sono pregati in tempo di ricreazione di non allontanarsi dal Santuario, essendovi assai sito per passeggiare vicino al Medesimo. Si raccomanda il silenzio sia andando che venendo dalla Cappella ed in ogni tempo fuori della ricreazione. È assolutamente vietato di andare nelle camere altrui o di fare rumore nelle proprie per non disturbare i vicini. Domani 18, si comincerà a confessare onde fare animo, etc. Mandare copia all'Ill.mo S. Marchese Massimino dei Sigg. Esercitandi. Attenzione a scegliere persone idonee per gli impieghi, cioè ben educati, attenti, e non impegnarsi per poter con graziosità cangiarla in caso di negligenza, o con elogi pregarla di continuare. Nell'accettare soggetti per gli Esercizi prendere tutte le notizie possibili della condizione, età, abitazione etc. costumi etc. e notare tutto in cifre ed in segreto. Si ritireranno tutte le lettere, quali si rimetteranno poi a ciascuno l'ultimo giorno nella propria camera (eccetto qualche caso straordinario di premura, o che la prudenza detti altrimenti per qualche caso particolare). Per le confessioni si faranno tanti biglietti col numero della cella, e si noterà su ciascun biglietto il confessore scelto dall'individuo. Esortarli a fare l'esame di coscienza, a scrivere in particolare i proponimenti, a stare raccolti e fare le cose prescritte, a pregare molto per sé e per gli altri. Pre,2328:S Istruzione per la conclusione degli Esercizi Sulla Perseveranza – Ricordi Appunti di mano Lanteri. AOMV, S. 2,11,20:328 Pre,2328:T Perseveranza Ricordi Pre,2328:T Perseveranza Spiritum nolite extinguere (2 Thess. 5), così diceva S. Paolo ai Tessalonicesi, intendendo per spirito le grazie, i lumi, le spinte, gli impulsi che avevano ricevuti, le risoluzioni, i proponimenti che avevano fatti, etc.; ed io intendendo anche quel fondo di lumi particolari, doni, grazie, impulsi particolari, risoluzioni, proponimenti fatti nei Santi Esercizi, ripeto pure a ciascuno di voi: Spiritum nolite extinguere. Paragona poi S. Paolo tacitamente e opportunamente questo Spirito al lume, al fuoco come cosa che può estinguersi appunto perché risplende all'intelletto per illuminarlo nelle tenebre; arde per la volontà per scuoterla dalle sue cattive inclinazioni ed eccitarla al bene; ed è appunto ciò che abbiamo provato in questi S. Esercizi. Sopra quante verità non è stata infatti rischiarata la nostra mente? Quanti maggiori lumi abbiamo noi ricevuti? Quanto maggior fervore abbiamo concepito nel divino servizio? Ognuno lo sa e ne professò vera gratitudine al Signore. Ma vediamo che questo spirito è di natura da potersi facilmente estinguere, appunto come il lume, il fuoco, non già però da se stesso, bensì per cagione di nostra mala volontà, per questo dice S. Paolo: Spiritum nolite extinguere; solo per colpa nostra dunque può venir meno poco a poco quella luce a segno da succedervi foltissime tenebre, ed è quello appunto per speciale bontà che ci prega lo Spirito Santo di non voler fare per non distruggere ciò che egli si è degnato di operare in noi. E appunto per secondare questo dolce invito dello Spirito Santo e per nostro bene, considereremo questa sera 1o l'importanza e la necessità di conservare questo spirito di Dio, in 2o luogo vedremo come può facilmente estinguersi questo spirito per guardarcene bene. Pre,2328:T1 1o – Conservare questo spirito… 1o – L'importanza e necessità di conservare questo spirito di Dio, voglio dire l'importanza di osservare le risoluzioni prese e la necessità di perseverare in tale osservanza. Pre,2328:T1,1 Quanto all'importanza di osservare i proponimenti fatti, io non mi estenderò gran cosa, perché essa dipende dall'importanza delle verità che hanno procurato tali risoluzioni, ed ognuno sa ed è stato pienamente convinto quanto importante sia l'attendere al nostro ultimo fine, l'occuparsi ad imitare Gesù Cristo ed operare così la nostra salute; i proponimenti sono i mezzi che abbiamo creduto più propri e necessari per questo, onde o rinunciare ad attendere seriamente alla salute, o osservare i proponimenti fatti, onde tanto è importante questo come quello. Vediamo ora la necessità di perseverare nell'osservanza di detti proponimenti. Pre,2328:T1,2 La necessità di perseverare nei nostri proponimenti e nelle nostre risoluzioni si deduce dagli stessi motivi che abbiamo avuto nel farli; perseverano, io dico, gli stessi motivi, dunque dobbiamo perseverare negli stessi proponimenti. Infatti Dio è pur sempre lo stesso, merita pur sempre lo stesso, l'uomo è pure sempre creatura di Dio e di Dio solo; nessuno ha contribuito, anzi, egli solo conservandomi, mi ridona in tutti i momenti lo stesso essere che diede nella creazione, dunque devo sempre attendere a servire a Dio solo in tutti i tempi, in tutte le mie azioni, nello stesso modo come avrei dovuto farlo nel primo istante di mia creazione. Questo lo esige il dominio necessario, assoluto, indipendente, immutabile che egli ha sopra di noi. Cambiano le creature che per tanti motivi possono perdere il diritto che hanno di farsi servire; non così Dio; la sua immutabilità non gli permette di cambiare, anzi da noi pure esige che tentiamo di divenire in questo simili a lui, perché se noi procureremo di divenire immutabili nel bene in questa vita, parteciperemo della sua immutabilità nel bene nell'altra vita; altrimenti se noi tendiamo verso l'immutabilità nel male in questa vita, verremo in essa confermati nell'altra come sono i Demoni e tutti i dannati. Questo nostro servizio continuo è l'appannaggio che gli si deve per quel che è, ogni interruzione, ogni riserva volontaria, il servirlo a quartieri, questo è cessare per quel tempo o in quella azione di considerare e riconoscere Dio per quello che è: essendo sempre la stessa Maestà, avendo sempre le stesse perfezioni di santità, di bellezza, di potenza, di bontà, merita da noi sempre lo stesso servizio. Pre,2328:T1,3 Nello stesso modo tutte le altre creature non sono il nostro fine, ma puri mezzi al fine; fuori di questo rapporto sono pure vanità e menzogna (chi le possiede si trova al fine felice come colui che, sognando ricchezze e soddisfazioni, si risveglia burlato e si trova con le mani vuote), menzogna perché promettono felicità e pace, e procurano vera infelicità e inquietudine in questa e nell'altra vita; e così invece di essere mezzi di nostra vera felicità, divengono strumenti di nostra perdizione. Tale è la natura impressa loro dal Creatore: così è sempre stato, così è, e così sarà sempre. Di queste verità fondamentali sempre più siamo rimasti convinti nella meditazione del peccato, della morte, del giudizio, dell'Inferno, dell'Eternità. Ora queste ultime verità sono pur esse sempre le stesse; e come potranno dopo pochi giorni, poche settimane divenire meno vere o meno forti? Diverrà il peccato meno mostruoso, la morte meno amara, il giudizio meno terribile, l'Inferno meno duro, l'eternità meno spaventosa? Oppure cesseranno di essere vere una volta tali verità? Mi sarò io ingannato quando le meditavo? Allora non mi sono ingannato mentre erano, e lo saranno sempre, tali verità appoggiate alla parola stessa infallibile di Dio, la quale genera un grado di certezza infinito, per cui resta impossibile che sia mai altrimenti; posso bene non più sentirne tanto la forza, per non rifletterci più con tanto impegno, ma esse non cesseranno di essere le medesime verità. Verrà un tempo che non più solo le crederò, ma le vedrò e le proverò se mai ho la disgrazia di trovarmi allora con la mia condotta in opposizione a simili verità. Dunque, non allora, ma ora m'inganno se non più mi uniformo a dette verità, come avevo risoluto. Pre,2328:T1,4 Diciamo pure lo stesso riguardo ai motivi che mi hanno convinto della necessità d'imitare Gesù Cristo e del modo di imitarlo, mi hanno fatto risolvere seriamente di attendere a studiare ed imitare Gesù Cristo più da vicino, sono pur sempre gli stessi: Christus heri, hodie et in sæcula. Così il Paradiso sarà sempre mercede, corona, pallio per chi ha lavorato nella vigna del Signore, corona per chi ha combattuto legittimamente nel campo di Gesù Cristo, pallio per chi è giunto a guadagnarselo nella carriera della virtù, avendo qui più la mira al fine che al principio; esempi sono S. Paolo e Giuda, perché il primo cominciò male e finì bene, l'altro cominciò bene e finì male, perché è detto che solo qui perseveraverit usque in finem, hic salvus erit. E finalmente sarà sempre Dio ugualmente amabile e degno di essere amato infinitamente, sia per se stesso sia per i benefici infiniti compartitici, come abbiamo veduto nell'ultima meditazione degli Esercizi; ugualmente dunque urgente sarà sempre il mio obbligo di amarlo con tutto me stesso sopra ogni cosa. Questi riflessi tenevano sempre costanti i Santi nel divino servizio e tengano dunque ancora noi. Concludiamo dunque e confessiamo che quanto era importante, il fare tali risoluzioni, altrettanto è necessario perseverare negli stessi proponimenti, giacché perseverano gli stessi motivi che ci hanno indotti a farli. Pre,2328:T2 2o – Può estinguersi questo spirito… 2o – Vediamo ora in quante maniere può estinguersi in noi questo spirito di fervore; e per fervore intendo la prontezza e una certa ostinazione ad eseguire la volontà di Dio conosciuta e, nel nostro caso, i proponimenti fatti nei S. Esercizi. Ora questo spirito, giusta S. Giovanni Crisostomo hom. 11 in 2 Thess. c. 5, 19, in tre maniere può estinguersi: 1. con essere soffocato, 2. per via di un vento gagliardo, 3. per mancanza di alimento. Pre,2328:T2,1 1. Dunque con essere soffocato, ognuno vede, continua S. Giovanni, che chi infonde acqua o terra nella lucerna, si estingue il lume. Questi sono i due soli elementi che hanno tra loro particolare simpatia, ambedue pesanti, tendenti al basso e facilmente si mescolano tra di loro, a segno che l'acqua può dirsi essere con la terra ciò che il sangue è nelle vene; ambedue perciò efficaci nel soffocare il lume ed il fuoco, servendogli tutti i passi e le aperture per esalare, onde è costretto a morire; ed infatti lo Spirito Santo prese la figura di fuoco, di vento, ma mai di acqua e di terra. Ora cosa significa l'acqua e la terra che soffoca questo fuoco? Significano, secondo lo stesso S. Crisostomo, le terrene cure, le soverchie occupazioni, troppe sollecitudini, le visite inutili, le letture aliene dal nostro fine, i discorsi di freddure, troppi divertimenti, il troppo dormire, il tempo perduto oziosamente, etc. cose tutte che ci rubano il tempo, ci rubano i nostri discorsi, tutto dì i nostri pensieri, i nostri affetti corrono là, si occupano tutto dì di vanità, si pascolano tutto dì di acqua e di terra, e rivolti sempre all'ingiù, non trovano più tempo per alzarsi all'insù verso il Cielo, come è proprio della fiamma, anzi chiudono al nostro cuore le aperture per alzarsi al Cielo, e così a poco a poco viene soffocato il suo fervore; un'occhiata dunque su se stesso per vedere se simili terreni pensieri, affetti, discorsi, occupazioni non soffocarono già alquanto il nostro spirito: non tardiamo a metterci ordine con efficacia, troncando da noi ogni cosa aliena o contraria al fuoco, perché siccome egli viene alimentato e cresciuto da ciò che gli è analogo, così pure facilmente si estingue, continua S. Crisostomo, con ciò che gli è alieno o contrario. Pre,2328:T2,2,1 S'estingue col soffio… 2. S'estingue il lume col soffio di vento. Quando uno deve viaggiare di notte per strada angusta, sassosa e pendìa, accompagnato da vento gagliardo, quanto gli è caro allora avere il suo lume e come procura di tenerlo ben custodito e circondato bensì da vetro, perché tramandi la luce, ma non lasci apertura al vento nemico. In mare poi dove i venti sono così gagliardi, sono i fanali delle navi custoditi da doppi vetri, da grossi piombi, da ferri forti, perché ad ogni menomo adito che trovi il vento, il lume è morto. Il vento è qualche gagliarda tentazione; i cinque sentimenti sono le cinque porte per cui entra la tentazione e hanno l'adito fino al cuore ove si conserva il lume; questo mondo è un mare piucchemai tempestoso, esposto a gagliardi venti di tentazioni; ovunque uno cammini, spirano venti di tentazioni, spirano nelle contrade pubbliche, spirano nelle case, spirano nelle conversazioni, perfino nelle chiese, perfino nelle compagnie stesse ecclesiastiche, e per considerarne due sole di queste porte, cioè dell'orecchio e dell'occhio; da quante bocche non sente l'orecchio partire soffi di vento, ora contro la bella virtù della purità o contro la carità del prossimo e persino contro la Religione stessa o le sue salutari ed edificanti pratiche, il che poi è causa che non più tanto si stimano, quindi incominciamo a lasciarsi qualche volta, e finalmente svogliati si abbandonano del tutto. Ecco dunque una porta che conviene chiudere e cautamente custodire, perché simili soffi di vento non vengano a spegnere nel nostro cuore il lume. Pre,2328:T2,2,2 L'altra porta è poi quella dell'occhio, e questa è il principale spiraglio del vento diabolico che soffia sì forte che le torce anche più grosse e i lumi maggiori di santità si sono talvolta estinti. Eva piena di grazia, di santità, di Spirito Santo vede il pomo che era bello: vidit quod esset pulchrum e lo mangiò; Davide non solo lume, ma sole di virtù si smorza con uno sguardo, per tacere di tanti altri, né mi si dica che quello sguardo non si dà più che per curiosità, perché nessuno dei suddetti al mirare da principio simili oggetti pensava di passare più oltre; cominciò la curiosità, seguì il diletto e venne in seguito il peccato; se tutto il male si fermasse nell'occhio, manco male sarebbe tale curiosità, ma visum sequitur cogitatio, cogitationem delectatio, delectationem consensus; ogni oggetto stampa sulla retina degli occhi la sua immagine, da questa passa alla fantasia, dalla fantasia all'intelletto, dall'intelletto alla volontà con una pronta ed impercettibile catena di atti, trovandosi l'anima all'improvviso sorpresa dal fuoco in casa, entrato per la finestra degli occhi, incipit quod nolebat – dice S. Gregorio – comincia a volere ciò che non pensava, e quand'anche non prenda fuoco, per lo meno a tale fiamma si scotta e si tinge. La ragione si è che la presenza dell'oggetto è una specie d'incantesimo che affascina la volontà; infatti si mostri ad un mercante un pugno di doppie, vi lascerà la mercanzia anche a minor prezzo; si mostri a taluno una moneta per fargli fare speditamente una commissione: volerà; si dica al mercante: vi pagherò poi; al servitore: vi regalerò poi; quel poi che non si vede, che sta in lontananza non muove tanto. Pre,2328:T2,2,3 Il Demonio che la sa tutta, così si regolò perfino con Gesù Cristo nel deserto. Gli fece vedere cioè tutti i regni del mondo, appunto perché sapeva esservi gran differenza tra l'intendere e il vedere; quello rappresenta le cose in astratto, questo prende gli oggetti più in individuo, onde suole dirsi: bellezza veduta e contemplata è mezzo desiderata. E poi n.b. quand'anche non si dia subito il consenso all'oggetto veduto, credete forse che quell'immagine impressa nella fantasia resti oziosa? Il Demonio la risveglierà bene nell'ozio delle piume, nella solitudine della stanza, nel silenzio della notte, perfino nel fervore delle orazioni; m'appello all'esperienza d'ognuno; le tentazioni più gagliarde non furono prodotte da oggetti veduti anche solo di passaggio, tanto più se contemplati? Dunque, raccomanda S. Gregorio, ne hosti aperiamus portas, neque semina malitiæ recipiamus. Si foramen non obstruxeris aut ostium non clauseris, pereunt omnia; est autem quoddam foramen sicut in lucerna ita et in nobis oculus et auris, ne sinas ut in eos irruat vehemens spiritus nequitiæ, quoniam lucernam extinguit sed obtura timore Dei. Pre,2328:T2,2,4 Lo stesso può dirsi della bocca che è un'altra porta che conviene tenere chiusa, dice S. Gregorio: per esempio uno ti ingiuria, chiudiamo la bocca, perché se l'apriamo, il vento della passione soffia subito; non vedeste una camera quando vi sono due porte o finestre in prospettiva, non potrà fare gran cosa il vento, se una di queste è chiusa, ma tanto più vi gioca e fa rumore se sono aperte; queste due porte sono la mia bocca e quella di chi mi ingiuria; se tengo la mia chiusa, non v'è più da temere; se l'apro, lo spirito di Dio subito ne soffre. A più forte ragione potremmo dire lo stesso della porta del tatto, di cui io a bella posta tralascio di parlare. Sicché ognuno vede a tutta evidenza quanto necessario sia custodire simili porte per non lasciare entrare simili diabolici venti ad estinguervi il lume, essendo come impossibile che altrimenti accada, poiché siccome nell'Empireo, così nell'anima, non poté mai convivere lo spirito di Dio e quello di Lucifero, parte la santità dove entra la malizia, si dilegua il vero dove entra la menzogna. Custodia dunque cautissima di tutti i sensi. Pre,2328:T2,3,1 Con mancargli l'alimento… 3. Ma anche senza gravosa materia che soffochi il fuoco, oppure anche senza esterno soffio di vento può, nondimeno, benissimo estinguersi una lampada cioè con mancargli l'olio e l'alimento. Lo spirito di Dio si accende in noi per vivere di noi nel seno al Padre, e al Figlio, si sostenta della loro sostanza, in seno a noi vuole nutrirsi della nostra virtù; la terra, l'aria, l'acqua vivono del proprio; solo il fuoco esige alimento, conviene che gli si facciano delle spese per mantenerlo vivo; non vi può essere vita senza moto, lascerà dunque vivere in noi questa vita divina, se da noi non si assecondano i suoi vitali movimenti. Osserviamo dunque primieramente quell'alimento più proprio di questo fuoco, e troveremo che quelle buone azioni che l'hanno prodotto sono quelle che devono alimentarlo e conservarlo. Pre,2328:T2,3,2 Abbiamo veduto che il raccoglimento, la meditazione seria, la lettura tranquilla, gli esami attenti produssero questo fuoco, avevamo per questo già risoluto di esservi sempre fedeli, ogni giorno alla meditazione, lettura, esami di coscienza; dunque oggi rinnoviamo tali risoluzioni piucchemai; ma non basta alimento, ci vuole ancora di opere buone, di pratiche di virtù, di umiltà, di pazienza cristiana e simili, massime di opere di misericordia – dice S. Gregorio – altrimenti facilmente si estingue questo spirito, perché fu per misericordia divina che ci fu dato; la misericordia l'ha generato, la misericordia l'ha da conservare; anche l'olio della carità è l'olio proprio di questo lume, altrimenti l'ozio nel praticare questa virtù farà cessare quelle dolci consolazioni che provavamo, e se uno vuole rientrare in se stesso per trovare la causa delle sue aridità e tiepidezza attuale o passata, esamini bene e troverà facilmente essere stato qualche difetto di carità; si rimedi dunque a questo difetto, perché presto non cessi in noi questo spirito di fervore, e si estingua in noi questo lume superiore, perché estinto questo lume, guai a noi! Ognuno sa quanto è affannoso camminare di notte senza lo stesso lume della luna, e se è così difficile e pericoloso camminare per terra di notte senza lume, solo per portarsi a terrene abitazioni, dice S. Gregorio, quanto sarà più pericoloso intraprendere per terra, fra le tenebre un viaggio che ha da condurre in cielo. Quanti ladroni di Demoni, quante fiere di passioni non abbiamo da incontrare in questo viaggio? Se noi abbiamo questo lume acceso, non ci potranno nuocere, se l'abbiamo estinto, subito ci assaliranno e ci spoglieranno, perché è di notte che sogliono assalirci i ladroni; essi ci vedono in quelle tenebre, perché le loro opere sono opere di tenebre; noi al contrario non ci vediamo, non ci siamo assuefatti. Guardiamoci dunque, in questo viaggio verso l'eternità, dall'estinguere il lume che abbiamo, o con soffocarlo, con pensieri, affetti, occupazioni terrene, o con lasciare qualche porta aperta al vento con la poca custodia dei sensi, o con lasciargli mancare l'olio della santa considerazione e delle buone opere, massime delle opere di misericordia. Pre,2330:S Trattato di retorica Di mano Guala. AOMV, S. 2,13,1:330 Pre,2330:T0,1 Introduzione (schemi) La Retorica è l'arte del dir bene. Ha per fine: Il persuadere. Ha per ufficio: dire a proposito per persuadere; il che consiste in: convincere l'intelletto con la ragione; muovere la volontà con l'affetto; dilettare l'Uditore col discorso. Ha per materia: qualunque cosa può cadere in questione, la quale può essere: Infinita, nella quale si tratta un argomento generico; Finita, nella quale si tratta un argomento particolare. Ha per parti: – Invenzione: ritrovare argomenti e ragioni da persuadere. – Disposizione: disporre ed ordinare cioè gli argomenti ritrovati. – Elocuzione: esporre ciò che si è ritrovato ed esposto con eleganza, vivezza, ed energia. Pre,2330:T0,2 Tre generi di questioni vi sono: – Esornativo nel quale si loda o si biasima. – Deliberativo nel quale si consiglia o si sconsiglia. – Giudiciale nel quale si accusa o si difende. Pre,2330:T0,2,1 Una persona – si loda: dalla natura che abbraccia i beni del corpo che sono: sanità, robustezza, destrezza, bellezza; i beni dell'anima che sono le affezioni, dette potenze, onde si considera circa l'intelletto: prudenza, scienza, arte, perspicacia; circa la volontà: virtù morali, costumi buoni, azioni virtuose; circa la memoria: tenacità, vastità; dalla fortuna che abbraccia i beni della condizione che sono: casato, antenati, patria, educazione, tempo della nascita, tempo della morte; dalle facoltà che sono: ricchezze, onori, dignità, stima, amici. – si biasima dai contrari dei suddetti capi. Una cosa – si loda: in generale o in particolare dalla sua antichità, eccellenza, prerogative, utilità, giocondità, necessità; – si biasima dai capi opposti ai suddetti. Pre,2330:T0,2,2 Una cosa proposta – si consiglia con dimostrarne: la necessità, l'utilità, l'onestà, la facilità, la giocondità; – si dissuade con dimostrarne: l'impossibilità, il danno, la disonestà, la difficoltà, l'arduità, la molestia. Al che serviranno: enumerazione d'effetti, considerazioni d'aggiunti, adduzione di esempi e d'autorità, dissimilitudini, esposizione dei contrari. Pre,2330:T0,2,3 Una persona si accusa: se il fatto è dubbio, considerando se abbia potuto o voluto farlo; dalla natura del delitto, dalla natura della persona, dai segni antecedenti, concomitanti e susseguenti; dalle circostanze del luogo, tempo, ecc.; dall'abbondanza o mancanza dei mezzi. Se il fatto è certo, considerando: la natura del delitto, le circostanze che l'accompagnano, le conseguenze che porta, le leggi che lo vietano e le pene con le quali è punito. Una persona si difende: se il fatto è dubbio: dagli stessi motivi dell'accusa, rimuoverne affatto la colpa, dimostrando o disminuirla con la necessità di commetterlo, le ingiurie ricevute, gli impulsi avuti. Se il fatto è certo: considerarne le circostanze e l'errore preso; addurre altre leggi in suo favore; interpretare quelle che si sono addotte in contrario, ricorrere alla clemenza dei Giudici. Pre,2330:T0,3 L'invenzione consiste in trovare maniere: da convincere l'intelletto con ragioni, le quali si deducono da luoghi retorici, intrinseci che sono: definizione, distribuzione di parti, coniugati, interpretazione di nomi, genere, forma, aggiunti, antecedenti, conseguenti, causa, effetti; luoghi estrinseci che sono: simili, dissimili, paragone, autorità, esempio, voce comune, legge, apologo, testimonio. Da muovere la volontà con gli affetti che appartengono all'appetito concupiscibile: amore, desiderio, allegrezza, odio, fuga, tristezza, compassione, invidia, emulazione; all'appetito irascibile e sono: speranza, disperazione, ira, indignazione, mansuetudine, audacia, timore, verecondia. Pre,2330:T0,4 La disposizione consiste in bene ordinare le parti di un discorso che sono quattro: Esordio: è quella parte con la quale disponiamo gli animi degli Uditori, i quali si devono rendere benevoli, dicendo qualche loro lode, e mostrando fiducia in essi; attenti, colla novità, utilità, giocondità o necessità dell'argomento; docili, esponendo la proposizione e divisione del discorso. La narrazione deve essere: chiara, adoperando proprietà di parole e naturalezza di stile; breve, nulla dicendo di superfluo, nulla omettendo di necessario; deve essere probabile, adattandosi al costume, alla ragione, alla natura. Confermazione: nella quale si devono addurre ragioni che provino l'assunto prese da luoghi retorici e ordinate, l'una più forte dell'altra; si devono sciogliere le ragioni in opposto, mostrandone la falsità, la debolezza, gli equivoci. Perorazione: che deve essere breve, epilogando le cose dette nel discorso; vivace, per muovere gli affetti che si pretendono. Pre,2330:T0,5 Elocuzione: consiste in un dire ornato, vivace ed elegante, nel che si devono considerare: le parole, le quali possono essere proprie, traslate, nuove, derivate; i periodi, dei quali sono altri d'un membro, altri di più membri e questi si connettono con particole relative e si ornano con esposizioni, enumerazioni, epiteti, avverbi, aggiunti; il modo di esprimere i nostri concetti con vivezza di figure, con eleganza di frase, con proprietà di stile che può essere: infimo, che imita la maniera comune di parlare; mezzano, che è il più fiorito ed ornato; sommo, che è il più vigoroso e veemente per muovere gli affetti. Pre,2330:T1 [Parte I] Pre,2330:T1,1,1 Capo I Benché sia proprio d'ogni uomo il parlare, non è però di ogni uomo il ben parlare. Quella facoltà di discorrere, di cui, come ragionevoli, siamo forniti dalla natura, se non riceve la perfezione dall'arte, troppo è facile che soggiaccia, o al proprio errore o all'altrui inganno. Quindi è che troppo torto farebbe a quella ragione, che lo distingue dai bruti, chi, di leggeri potendo, pure sdegnasse d'apprendere un'arte sì benemerita dell'umana natura. Questa è la Retorica, alla quale quanto debbano le Corti, i Senati, le Accademie, lungo sarebbe il riferirlo. Ed ecco la ragione per cui ella giustamente esige una particolare attenzione, affine di ben possederla. Esporremo in primo luogo che cosa sia la Retorica. Indi spiegheremo qual fine ella si proponga e quali mezzi additi per conseguirla. La Retorica si definisce Arte del ben dire. Per ben intendere questa definizione conviene sapere cosa sia arte, e che cosa sia dir bene. Arte è una facoltà che dà determinati precetti per fare qualche cosa: quali precetti ben conosciuti e praticati non possono non condurre al fine che si pretende. Il dir bene consiste in una elocuzione ornata ed invigorita da scioltezza di sentenze e di parole. La Retorica ha per fine il persuadere; onde l'ufficio di buon Retorico si è portare con tali sentimenti e ragioni il suo discorso, sicché sia atto al persuadere; e perché nessuno può rimanere persuaso, se non resta convinto l'intelletto e mossa la volontà: perciò fa d'uopo che il dicitore ammaestri con la ragione l'intelletto, e muova con l'affetto la volontà. Ma per ottenere due cose così importanti si procuri che sia ornato di vivezze e di lumi il Discorso, acciò dilettato l'animo dell'uditore dalla vaghezza del dire, più facilmente riceva l'impressione delle ragioni che si adducono. Ed ecco in breve esposta la definizione, il fine e l'ufficio della Retorica. Pre,2330:T1,1,2 Veniamo ora alla materia della quale ella tratta. Non vi è materia determinata circa la quale la Retorica si occupi, ma può ella trattare di tutte le cose delle quali può formarsi questione. Questa può essere di due sorti: altra è questione infinita, ossia generale, altra finita, ossia particolare. Infinita è, per esempio, se si debba attendere alle armi; finita se si debba attendere alle armi sotto il comando di Alessandro. Tre sono i generi di questioni finite: esortativo, deliberativo, giudiciale. Nel primo si loda o si biasima; nel secondo si consiglia o si sconsiglia; nel terzo si accusa o si difende. Prima però di trattare di questi in particolare, è necessario esporre quali siano in ciascuno di essi le parti di buon Retorico. Pre,2330:T1,2 Capo II La parti principali della Retorica sono tre: Invenzione, Disposizione ed Elocuzione. L'invenzione consiste in ritrovare cose, le quali rendano certo o almeno verisimile quello che deve dirsi. La disposizione in mettere in buon ordine le cose ritrovate ed ordinate con eleganza e vivacità, con scioltezza di sentimenti e di parole. A queste tre parti sogliono aggiungersi la memoria e la pronunziazione: ma queste come meno importanti, basti averle accennate. Spieghiamo ad una ad una le prime tre. Pre,2330:T1,3 Capo III. Della Invenzione Il primo e principale ufficio del Retorico è ritrovare argomenti coi quali persuada quello che si è proposto. Gli argomenti sono prove, ossia ragioni con le quali rendiamo certa, o per lo meno verosimile una cosa che era dubbia: sicché intese, traggano l'assenso dell'ascoltatore. Queste prove poi derivano dai luoghi oratori, i quali si distinguono in intrinseci ed estrinseci. Cominciamo dai primi. Pre,2330:T1,4,1 Capo IV. Dei luoghi retorici intrinseci Dodici sono i luoghi retorici intrinseci, cioè definizione, distribuzione di parti, interpretazione di nome, coniugati, genere, forma, aggiunti, antecedenti, conseguenti, ripugnanti, causa ed effetti. La definizione presa nel suo rigore è un'orazione che esprime la natura di qualche cosa, come quando dico: l'uomo è un animale ragionevole. Con quelle parole animale ragionevole spiego l'essenza e la natura dell'uomo. Così chi volesse dalla definizione della retorica provare che ella è utile in questa materia, discorrerebbe: la Retorica è arte del ben dire. L'arte del ben dire è utile; dunque la Retorica è utile. Ma raro è che il Retorico di queste rigorose definizioni si serva; per lo più egli adopera definizioni meno rigorose, o vogliamo piuttosto chiamarle descrizioni, poscia che non esprimono queste la natura di una cosa, ma solo qualche di lei proprietà o prerogativa. Hanno però queste una singolare grazia nel discorso e servono molto ad esornare ed invigorire l'orazione. Eccone un esempio: Cicerone fu lo splendore della Romana Repubblica, la più forte colonna di quel Senato, la gloria di quell'impero, una fonte perenne di eloquenza, coraggioso difensore della libertà, fu una calamita che tirava a sé i cuori di chi l'udiva, un Sole che diffondeva per ogni parte i suoi raggi, uno scudo che ribatté sempre costante i colpi avventati dall'empietà e dall'invidia contro la comune quiete, e molto più a lungo si potrebbe proseguire questo esempio, in cui, come si vede, molte definizioni o descrizioni si radunano espressive di qualche prerogativa della persona che si loda, servendosi eziandio a questo fine di metaforiche o allegoriche traslazioni. Pre,2330:T1,4,2 La distribuzione di parti è un'orazione, la quale divide o un tutto nelle sue parti, o un genere nelle sue specie, come una casa in porte, finestre, mura, fondamenti, tetti, ecc.; oppure l'albero in cipresso, quercia, pino, faggio, ecc. Questo luogo retorico serve molto alle amplificazioni ed all'amenità del discorso. Diamone un esempio: spettacolo più funesto non vide forse mai Roma che quando perseguitato dall'invidia, esule fu costretto a cambiare cielo la stella più luminosa di quel Senato M. Tullio, si coprirono i Magistrati di nera gramaglia, mostrando con il lugubre dei vestimenti, il cordoglio dei loro animi: ammutolì il foro a cui mancava la più eloquente e rinomata lingua; si vestì a lutto la nobiltà più saggia, piangendo nell'esilio di Cicerone la perdita di un Padre comune; si riempì di malinconia la plebe priva del più zelante protettore dell'antica sua libertà. Che più! La città tutta trafitta da profondo dolore mostrò col pregarne, col sospirarne il ritorno, che mancava al suo cielo il più risplendente pianeta, ecc.… Da questa maniera di amplificare, si raccoglie quest'argomento dalle parti al tutto: la plebe, la nobiltà, i Magistrati, il foro erano in afflizione; dunque tutta la città era in afflizione. Pre,2330:T1,4,3 Interpretazione di nome è un'orazione che dichiara ed esprime la forza e derivazione di un nome, come per es. questa parola brutalità significa costume e natura di bruto; onde si arguisce essere biasimevole la brutalità, perché è biasimevole il costume e la natura di bruto. Alla stessa maniera vale questo argomento: filosofia è amore della sapienza, dunque è degna di lode. Coniugati si chiamano quelli che, derivando dalla stessa radice, in varie maniere si maneggiano. Così dalla parola sapere derivano sapiente, sapienza, sapientemente: onde si servirebbe di questo luogo retorico chi così discorresse. Può veramente dirsi con ogni ragione, che sa quello che indirizza i suoi affetti alla sapienza: quelle solo stima saporite conversazioni, che passa con i sapienti, ed in ogni sua azione sapientemente si porta. Genere è quello che si dice di cose tra sé differenti, di specie differenti: onde questo nome virtù è genere, perché si dice della giustizia, temperanza, fortezza, prudenza, ecc., le quali sono tra sé differenti di specie; e perciò chi volesse dal genere provare che la giustizia è lodevole, argomenterebbe dall'essere lodevole la virtù. Forma si dice quella che è una specie sotto il genere contenuta, come la Retorica che è una specie contenuta sotto il genere d'arte liberale; onde è ottimo questo modo di discorrere: è retorica, dunque è arte liberale, perché così si argomenta dalla specie al genere. Pre,2330:T1,4,4 Aggiunti si chiamano… Aggiunti si chiamano quelle circostanze, la considerazione delle quali può dare qualche maggior forza al discorso, come la persona, il luogo, il tempo, il modo, gli strumenti, il fine, ecc., compresi in questo verso: Quis, quid, ubi, quibus auxiliis, cur, quomodo, quando. Nella parola quis si considera la persona; quid il fatto e la cosa di cui si parla; ubi il luogo dove si è fatta; quibus auxiliis, gli strumenti, gli aiuti, i compagni coi quali si è fatta; cur il fine pel quale si è fatta; quomodo la maniera con la quale si è fatta, come se per inganno, per tradimento ecc.; quando, il tempo nel quale si è fatta. Ora applichiamoli tutti ad un esempio e sia l'uccisione di Cesare fatta da Bruto. Quis? Bruto, uomo sì beneficato da Cesare. Quid? Dare la morte a Cesare, gloria dell'Impero Romano in guerra ed in pace. Ubi? Nel Senato, luogo sì venerabile. Quibus auxiliis? Col pugnale in mano e con uno stuolo di congiurati. Cur? Mosso dall'invidia della di lui grandezza. Quomodo? Con tradimento enorme. Quando? Mentre Cesare amministrava attualmente la giustizia in Senato. Antecedenti sono quelli che precedono necessariamente o probabilmente la cosa di cui si parla. Per esempio, la ferita nel cuore è antecedente necessariamente congiunto con la morte, onde vale l'argomento: ha dato una ferita nel cuore; dunque ha dato la morte, oppure le ingiurie ricevute, le minacce fatte, le armi prese sono antecedenti probabilmente congiunti con l'uccisione di qualcuno, onde discorrerebbe con probabilità chi provasse in questa un omicidio. Ha ricevuto un'ingiuria, ha minacciato di farne vendetta, si è subito fermato, si è incamminato frettoloso verso la di lui casa; dunque egli è stato l'uccisore. Conseguenti sono quelli che necessariamente o probabilmente susseguono la cosa di cui si parla; così la copia dei frutti è un conseguente necessariamente connesso con la copia dei fiori; onde bene discorre chi dice: ha l'autunno abbondanza di frutti, dunque ebbe la primavera abbondanza di fiori. Così pure come da conseguente probabilmente connesso con l'antecedente si arguisce dal pallore, dalla fuga, dalla titubazione, dal pugnale sanguigno ecc. un omicidio fatto. Per esempio: fosti quella stessa sera veduto contraffatto nel volto, titubante nel passo, ritirarti con fretta in casa, fosti trovato col pugnale tinto di sangue ancora fresco; dunque tu fosti l'omicida. Pre,2330:T1,4,5 Ripugnanti si dicono quelli che hanno tra sé qualche opposizione. Questi sono di quattro sorti: contrari, privativi, relativi e contraddicenti. Contrari sono quelli che stando sotto lo stesso genere, non possono stare al medesimo tempo nello stesso soggetto; come sono vizio e virtù, pace e guerra: onde da essi in due maniere si argomenta, o dall'esservene uno si arguisce la negazione del l'altro, o dai mali dell'uno i beni dell'altro. Per esempio: egli è d'uopo che da persona ben nata la virtù si abbracci; dunque si deve fuggire il vizio, oppure il vizio rende l'uomo biasimevole; dunque la virtù lo renderà lodevole. Privativi sono quelli l'uno dei quali è l'abito, ossia la cosa che si ha, l'altro la privazione della stessa, come sono l'udito e la sordità, la vita e la morte. Relativi si chiamano quelli che hanno relazione tra sé, di modo che non può intendersi uno, senza che si venga in cognizione d'un altro: padre, soldato, amico che hanno relazione al figliuolo, al capitano, ad altro amico. Contraddicenti finalmente sono quelli, l'uno dei quali afferma, l'altro nega la stessa cosa, come sono: è dotto, non è dotto. Dai privativi ecco come s'argomenta: il più perfetto tra i sentimenti dell'uomo è la vista, dunque la cecità è uno dei maggiori difetti. Dai relativi: è cosa nobile la signoria; dunque la servitù è ignobile. Dai contraddicenti: ogni ragione prova che non ha mancato al suo ufficio; dunque falso è quello che gli si oppone che abbia mancato. Pre,2330:T1,4,6 Causa si dice ciò da cui è qualche cosa. Quattro sorti di cause s'assegnano: materiale, formale, finale ed efficiente. Causa efficiente è quella dalla quale la cosa si fa; così causa efficiente del ritratto è il pittore, della luce è il sole, dell'incendio è il fuoco, ecc. Materiale è quella della quale la cosa si fa; così causa materiale del danaro è l'oro, della tavola il legno, del libro la carta, ecc. Formale è quella per la quale la cosa è quella che è; così causa formale dell'uomo è l'anima, della casa la disposizione delle sue parti, del muro la bianchezza, ecc. Finale è quella per amore di cui la cosa si fa; così causa finale dello studio è la sapienza, del gioco il divertimento, della medicina la sanità, ecc. Onde se volessi dalle sue cause lodare una statua, considererei nella causa efficiente l'eccellenza dell'artefice che l'ha fatta. Nella materiale l'oro di cui è composta. Nella formale la giusta proporzione delle parti. Nella finale la galleria per cui abbellimento è stata fatta, e da tutte queste cause ne dedurrei argomenti di lode della proposta statua. Gli effetti sono quelli che dalle cause procedono: quindi è che secondo la diversità delle cause sopraccennate, diversi sono ancora gli effetti. Questo luogo retorico suole essere altrettanto copioso che efficace, poscia che dagli effetti, se sono buoni, si prova la bontà di una causa, se rei il male della stessa; per esempio: dalla stima che si fa dei sapienti, dagli onori che conseguono, dall'utile che ne riportano, dalla gloria che gliene risulta, dall'essere adoperati nei consigli, nelle ambascerie, nei maneggi; chi non arguisce doversi procurare ed abbracciare la sapienza. Pre,2330:T1,5,1 Capo V. Dei Luoghi retorici estrinseci Dei luoghi retorici estrinseci, nove piglieremo a spiegarne, i quali sono: simile, dissimile, paragone, autorità, esempio, apologo, voce comune, leggi e testimonio. Simili si dicono quelle cose che convengono in qualità, siccome spesse volte diciamo un uomo essere simile ad un altro, perché l'uno e l'altro hanno una madesima disposizione di corpo o d'animo, o altra qualità comune tra loro, quando dunque mostriamo una cosa per virtù d'altra simile, non facciamo altro che congiungerle ed unirle in una terza in questo modo. Voglio provare che la patria perduta e poi riavuta ci è più cara. Piglio un'altra cosa, la quale perduta e riacquistata, maggiormente ci diletti, per similitudine della quale ne deduca l'altra così. Siccome la sanità è più gioconda a quelli che liberati da grave infermità l'hanno riacquistata, così la patria è con maggior piacere gustata da quelli i quali, dopo lungo tempo, ritornano a goderla. Dissimili si chiamano quelli che nelle qualità disconvengono. Per esempio: sebbene alla vecchia casa antepone la nuova, non deve però all'amicizia nuova posporsi la vecchia, il che si argomenta dalla dissomiglianza di qualità, perché la qualità di nuova nella casa è perfezione, nell'amicizia è imperfezione. Il paragone può essere tra pari e può essere tra maggiore e minore. Pari si dicono quelle cose delle quali se ne forma uguale giudizio. Così si dice argomentare dal pari, che da una cosa un'altra uguale ne inferisce. Per esempio: non è credibile che un figliuolo senza gravissime cagioni dia la morte al padre; dunque neppure sarà credibile che un padre senza gravissime cagioni odi mortalmente il suo figliuolo. Nella stessa maniera vale questo argomento: se è lodevole per il suo valore Scipione, perché non lo sarà Annibale? Ora siccome si può argomentare dal pari, così si può anche tra il maggiore ed il minore, o dal minore al maggiore. Ecco un argomento dal maggiore al minore: se 20.000 soldati veterani non hanno potuto espugnare la piazza, molto meno la espugneranno 10.000 gran parte nuovi; oppure dal minore al maggiore: se con 10.000 soldati, gran parte nuovi, hanno espugnata la piazza, molto più espugnata l'avrebbero 20.000 veterani. Pre,2330:T1,5,2 Autorità non è altro che il giudizio di qualche persona saggia, stimata e degna di fede, sopra il di cui parlare o parere noi fondiamo la nostra ragione. Due sorti di autorità vi sono: l'una divina e l'altra umana. La divina è quando in conformazione di una cosa che abbiamo asserita, alleghiamo un detto della S. Scrittura, o di qualche Santo per bocca di cui abbia Dio parlato; come se per provare che nulla vi è nel mondo che sia stabile, nulla che ci accontenti, adducesse quello di Salomone: Omnia vanitas et afflictio spiritus. L'autorità umana è quando alleghiamo il parere di uno o più uomini esperti, sapienti e stimati, il che frequentemente avviene eziandio, nei discorsi familiari, nei consigli privati, nelle pubbliche radunanze, come per esempio: voglio, io dimostrare quanto importi il ben educare la gioventù e mi servo dell'autorità di Platone che dice: Quale cujusque fuerit puerilis educationis initium, talia fore quæ sequuntur. L'esempio è una argomentazione da particolare a particolare, e da simile a simile, quale si fa con rammemorare una cosa fatta: onde conviene che la materia dell'esempio consista in cose che abbiano qualche similitudine con quello che noi intendiamo di concludere. Se, per esempio, voglio persuadere un Monarca a promuovere e fomentare nel suo Regno le lettere, adduco in esempio Carlomagno che fondò a tale fine due celebri Accademie, e favorì sempre i letterati; per mostrare come può facilmente unirsi pietà e corte porto in esempio un Sigismondo, un Enrico, un Luigi, un Leopoldo, un Francesco Borgia, un Eleazaro che seppero congiungere con le grandezze della corte la cristiana umiltà. Voce comune è un'argomentazione con la quale si prova essere una cosa vera o falsa dal dirsi o negarsi da tutti, o quasi tutti, come se, per esempio corresse per bocca di tutti che una tale persona sia di perversi costumi, io potrei probabilmente riferire che veramente sia così. Legge può essere divina od umana. Divina è quella che è da Dio solo; umana che è dagli uomini. Ora questa può essere o ecclesiastica o civile: ecclesiastica è quella che è dalla Chiesa o dai Pontefici; civile è quella che è stabilita dai Principi o dai Magistrati. Tra le leggi altre sono comuni ed abbracciate da tutti, dette perciò Jus Gentium; altre particolari e proprie di qualche città o Regno. Potrebbe a queste aggiungersi la consuetudine, la quale se da lungo tempo è introdotta, ha forza di legge. Dalle leggi così si può argomentare. Fare contro il Jus Gentium è cosa turpe; danneggiare gli ambasciatori è cosa turpe. Apologo è un racconto di una cosa finta, dopo la quale raggiungiamo quella che per la similitudine della finta intendiamo concludere. Tali sono le favole d'Esopo, di Fedro e dei Poeti. Così per provare che non bisogna innalzarsi sopra la sua condizione, serve la favola d'Icaro; così quella della congiura dei membri raccontata da Menenio Agrippa alla plebe romana, ecc. Testimonio si dice una persona che asserisce e testifica qualche cosa, o perché l'ha veduta, o perché l'ha udita dire; che se all'asserzione aggiunge il giuramento, si chiama testimonio giurato: serve questo luogo a confermare efficacemente quello che si prova. Per esempio Caio Marcello e Tizio attestano che Valerio era fuori città quando l'omicidio è seguito; dunque Valerio non è stato l'uccisore. Pre,2330:T1,6 Capo VI. Degli Affetti Abbiamo detto nel I capo di questo Trattato che al fine di persuadere deve il Retorico convincere l'intelletto e muovere la volontà, e che perciò deve quello ammaestrarsi con la ragione, questa muoversi con l'affetto. Quanto al primo ne abbiamo parlato nei due capi antecedenti, assegnando quei luoghi dai quali si debbono dedurre gli argomenti. Ci resta ora parlare del II non meno importante del I, poscia che nulla giova convincere l'intelletto, se la volontà non si muove. Affetto si definisce un certo impeto d'animo, dal quale siamo spinti ad abbracciare od a sfuggire qualche cosa. Fra gli affetti, altri appartengono all'appetito concupiscibile, altri all'appetito irascibile. L'appetito concupiscibile si porta o all'abbraccio del bene, o alla fuga del male semplicemente considerati come bene e come male. L'appetito irascibile ha per oggetto il bene o il male arduo e difficile. Del primo sono propri gli affetti dell'amore, desiderio, gaudio, odio, fuga, dolore, compassione, invidia, emulazione; del secondo gli affetti della speranza, disperazione, ira, indignazione, mansuetudine, audacia, timore, vergogna. Tutti i suddetti affetti che si chiamano anche passioni, ossia perturbazioni d'animo spettano alla parte sensitiva dell'animo. Pre,2330:T1,7,1 Capo VII. Degli affetti che appartengono all'appetito concupiscibile Paragr. I. Dell'Amore L'amore è una inclinazione dell'umana volontà ad una cosa buona, come buona. Ora siccome il bene può essere od onesto, od utile, o dilettevole, così tutto ciò che porta seco onestà, utilità, o diletto può essere oggetto d'amore. Quindi è che la bontà della vita, l'innocenza dei costumi, la rettitudine dell'operare, l'aggiustatezza del comportamento come cose oneste; la gratitudine, la beneficenza, la protezione come cose utili; la benevolenza reciproca, la somiglianza dei costumi, degli studi e degli impieghi, la confidenza, la famigliarità come cose dilettevoli eccitano facilmente l'amore. Per esempio come mai può cadere in pensiero d'oltraggiare un Dio sì buono? Può immaginarsi di Lui Maestà più venerabile? Chi di Lui più giusto, più retto, più cortese? Si vuole beneficenza? In Lui è somma. Benevolenza? È infinita. Gratitudine? È immensa. Donde ci viene quanto noi siamo, quanto abbiamo, se non da Lui? Pre,2330:T1,7,2 Paragr. II. Dell'Odio L'odio è un affetto col quale l'animo si ritira dal male, come male. Per eccitare quest'affetto, si espongano i vizi e scelleratezze di una persona, le ingiurie fatte, i disprezzi, le calunnie; si paragoni la virtù, la dignità, l'innocenza della persona offesa con la viltà, empietà, superbia dell'offensore. Si adducono i mali e gli incommodi che già sono avvenuti e quelli che può temersi che avvengano. Per esempio: se si volesse eccitare l'affetto dell'odio contro Nerone, così si potrebbe dire: Mostro maggiore di crudeltà non credo che chiuda tra i suoi serragli l'Inferno. Sviscerare la madre, dare la morte al maestro, incendiare la patria non sono esse azioni più che da bestia? Quante famiglie dalla di lui avarizia impoverite! Quanti innocenti dalla di lui fierezza malmenati! Quanti templi dalla di lui empietà profanati! E quando mai si vide in altri tempi esule la Giustizia, precipitata dal trono reale la Clemenza? La pietà abbandonata, ecc. Pre,2330:T1,7,3 Paragr. III. Del Desiderio Il desiderio è un movimento dal quale l'animo è portato verso un bene assente. Si eccita questo affetto col proporre l'onestà, l'utilità, la giocondità della cosa di cui si parla, e la speranza, ma non senza difficoltà di conseguirla. Per esempio: ditemi, o giovani di gran nascita e di maggiore aspettazione, che vi è di più doveroso al vostro sangue e di più utile ai vostri impieghi che la sapienza? Anzi dirò di più: che vi è di più giocondo all'umano intelletto che solo di erudite cognizioni può satollarsi? Forse che l'arrivarne al possesso non è in vostra mano? Non nego già che non porti ella seco le sue difficoltà nel conseguirla, ma etc. Pre,2330:T1,7,4 Paragr. IV. Della Fuga La fuga è un affetto col quale l'animo si ritrae da un male assente. Si eccita questa col dimostrare la disonestà o gli incommodi della cosa di cui si parla, e la difficoltà o impossibilità di ottenerla. Per esempio: o cecità di chi si perde dietro fugaci e sordidi piaceri! Può immaginarsi di questi cosa più contraria alla ragione? A quante sciagure aprono essi la strada! Di quanti mali sono essi l'origine! Che pazzia è mai codesta accomunarsi coi bruti irragionevoli? Anzi rendersi di questi peggiori col farsi miseri per ogni tempo! Etc. Pre,2330:T1,7,5 Paragr. V. Dell'Allegrezza ossia Gaudio L'allegrezza è un affetto dal quale l'animo è portato ad un bene presente. L'allegrezza si eccita col racconto di cose amene o nuove, ed inaspettate descrizioni di pompe, giochi, delizie, cambiamenti di stato misero, infelice, narrazioni di imprese o di virtù esercitate. Per esempio: chi non avrebbe giubilato al vedere il giovanetto Davide ritornarsene glorioso col reciso capo dell'abbattuto Gigante; giulivo nel volto, brillante negli occhi, accolto tra gli “Evviva” dell'Israelitico esercito; pare che ancora non si creda il vincitore, mentre pure porta la sua vittoria in pugno, e segna col sangue nemico i trionfanti suoi passi; rimira l'infame teschio, rimira la fortuna, la fionda, rimira attonito il cielo e pare che dica: Voi siete, o Signore degli Eserciti, il Vincitore; Voi mi instillaste l'ardire; Voi con la mia fionda pugnaste, e solo dal Cielo fu vinto chi contro il Cielo vomitava sacrileghi insulti. Etc. Pre,2330:T1,7,6 Paragr. VI. Della Tristezza ossia Dolore La tristezza è un affetto col quale l'uomo s'attrista di un male presente; si muove questa con vive ipotiposi di sciagure, di carceri, di morti, di perdite di beni, di afflizioni di un innocente. Per esempio: fatevi meco, se l'animo soffre, ad essere spettatori di luttuosissima scena che Londra ci rappresenta in Maria Stuarda. Ecco una Regina amabile, innocente, santa, condannata dalla perfida Elisabetta a lasciare il reale capo sotto un carnefice; eccola salire intrepida l'infame palco, porgere coraggiosa al taglio fatale il collo, e rea di non altro che di non voler essere empia, incontrare ad occhi asciutti la morte, mentre tra pianti e singhiozzi l'accompagnava l'accorso popolo. Povera Principessa! Io mi immagino che nascosto si sarebbe per dolore il sole, se non l'avesse allettato allo spettacolo la costanza della forte eroina, etc. Pre,2330:T1,7,7 Paragr. VII. Della Compassione La compassione è un affetto che ci si muove nell'animo dalla rappresentazione degli altrui mali. Questa si eccita coll'esporre e descrivere le disgrazie, le pene, i patimenti di una persona, considerandone le circostanze del luogo, del tempo, del fine, ecc. Per esempio: a voi ricorre, giustissimo Principe, un innocente oppresso da calunnie, non altro chiede che di essere cortesemente udito. Non contenti i suoi nemici d'avergli con le rapine involato il patrimonio, cacciato con ingiustizia dalla casa, oscuratagli con calunnie la fama, ancora ne vorrebbero il sangue. Giovane sventurato! Altri non ha che lo protegga che la sua innocenza; pio che egli è, non chiede da voi vendetta, chiede pietà, chiede compassione, chiede sicurezza dai suoi nemici, ecc. Pre,2330:T1,7,8 Paragr. VIII. Dell'Invidia L'invidia è un dolore dell'altrui bene, quale vorremmo non avere, non perché a noi ne derivi qualche utile, ma puramente perché l'altro non l'abbia. Si eccita questo affetto con dimostrare che, chi possiede quel bene, non se lo è meritato, se lo è acquistato con iniqui mezzi e con privarne chi ne era meritevole, se ne abusa a danno e disprezzo altrui; a null'altro gli serve che a fomentare l'orgoglio, ecc. Per esempio: come mai può soffrirsi che a voi in dignità ed in potere si uguagli colui che altro non ha di grande che l'orgoglio di cui va gonfio? Osservate come altero passeggia per le nostre contrade, come ci guarda con occhio di disprezzo, solo perché le rapine degli altrui beni, le oppressioni dei poveri, le usate ingiustizie l'hanno sollevato da quel fondo di miserie in cui l'aveva posto la vile condizione della sua nascita. Pre,2330:T1,7,9 Paragr. IX. Dell'Emulazione La emulazione è un'ardente desiderio di conseguire un bene che vediamo goduto da un altro, non per toglierlo a quello, ma per uguagliarlo o superarlo, eziandio, nella felicità e nella gloria. Si muove questo affetto col rappresentare le virtù ed imprese degli antenati, le azioni degli uomini che si sono resi immortali; le lodi e la gloria che ne verranno, l'aspettazione che ha di noi il mondo, la facilità dell'impresa, ecc. Per esempio: siete nati alla gloria, alla gloria dovete aver la mira; fissate, vi prego, lo sguardo in quei ritratti che adornano le vostre sale: quegli scettri, quegli allori, quei bastoni di comando che altro sono se non stimoli al vostro animo, per giungere ancora voi ad una gloriosa immortalità? Dunque giacerete voi neghittosi nell'ozio, mentre vivono tuttavia i vostri maggiori nella stima del mondo? Pre,2330:T1,8,1 Capo VIII. Degli affetti che appartengono all'appetito irascibile Paragr. I. Della Speranza La speranza è un affetto con cui l'animo si porta ad un bene assente, arduo e difficile. Eccitano la speranza, l'onestà e grandezza del bene, le forze e le facoltà proprie, gli aiuti altrui, l'esperienza, la facilità di ottenerlo. I premi proposti, l'innocenza della vita, la debolezza degli avversari, ecc. Per esempio: si tratti ai soldati nel paese del nemico, può proporsi alle vostre fatiche premio maggiore? Un solo passo ci resta a superare; ma cederà questo ancora al vostre valore, quale sapete per esperienza non aver argine che lo trattenga: i nemici dalle loro perdite ammaestrati, al vostro solo nome paventano, ecc. Pre,2330:T1,8,2 Paragr. II. Della disperazione La disperazione è una diffidenza d'animo d'ottenere un qualche bene o di rimuovere un qualche male. Si muove alla disperazione, mostrando chiusa ogni strada al conseguimento del bene proposto, esagerando le difficoltà, esponendo gli infelici successi d'altre simili occasioni, le forze dell'avversario e la debolezza nostra, l'abbandono degli amici o confederati, ecc. Per esempio: quale strana risoluzione è codesta la vostra? Come può venirvi in pensiero di espugnare una rocca che l'arte e la natura hanno resa inaccessibile ed inespugnabile? Che altro può bramare a suo vantaggio il nemico che superiore a voi di numero, di esperienza, di forze, sicuro della vittoria vi si farebbe all'incontro? Il paese è distrutto, dove le provisioni? I collegati si ritirano, dove gli aiuti? Etc. Pre,2330:T1,8,3 Paragr. III. Dell'Ira L'ira è una brama di vendicarsi congiunta con dolore nato dai ricevuti disprezzi. Per muovere questo affetto, giova esporre le ricevute ingiurie, l'altrui allegrezza nelle nostre disgrazie, i meriti della persona offesa, la viltà dell'offensore, le speranze nostre distrutte, etc. Per muovere l'affetto dell'ira contro Assalonne, così dire si potrebbe: E sino a quando un perfido figlio dovrà muovere guerra ad un padre innocente? Può darsi scelleratezza più enorme che sollevarsi da un figlio i sudditi contro il Re suo padre? Dunque da mano parricida si dovrà reggere lo scettro d'Israele? E come può soffrirsi che, cacciata dal soglio la pietà e la giustizia, regni la tirannia e l'iniquità? Eccolo tra masnadieri e sicari ardire insidie, macchinare frodi, inventare calunnie, contro chi? Contro un padre che lo ama, contro un Re che lo protesse, etc. Pre,2330:T1,8,4 Paragr. IV. Della Indignazione La indignazione è un affetto col quale l'animo si duole delle prosperità di qualche persona che non le merita. Si eccita col paragonare la bassezza di qualche persona con l'orgoglio presente cagionato dalla potenza e ricchezze delle quali si abusa, con esporre la prodigalità nei giochi, nei conviti, nei festini, con dimostrarla viziosa, ambiziosa, sprezzatrice degli altri dopo le sue felicità, ecc. Per esempio: ditemi in cortesia, vi può essere cosa più indegna di costui che, nato poc'anzi nel fango, ora pretende di gareggiare perfino col Cielo? Ma sciocco che egli è, se vuol farla da grande, perché passare nelle bettole le giornate? Perché tanto dimesticarsi con l'ubriachezza? Perché conversare coi più famosi sicari? Forse si pensa che quelle polveri e quei profumi che tanto sentono dell'effeminato, debbano procacciargli le adorazioni? Direbbe il vero, se si adorasse un qualche idolo dell'alterigia, etc. Pre,2330:T1,8,5 Paragr. V. Della Mansuetudine La mansuetudine è un affetto contrario all'ira, con cui questa si mitiga e l'animo si placa. Si eccita questo affetto col togliere ogni sospetto di offesa, oppure col confessare con umiltà il fallo commesso e rammemorare i fatti o ricevuti benefizi con le dimostrazioni di amore, con lodare la virtù dell'offeso, col mostrare l'eroica vittoria di chi perdona. Per esempio: a favore di Manlio Torquato che aveva combattuto contro l'ordine paterno; così si potrebbe dire per mitigare lo sdegno del genitore. Ha Manlio disubbidito, egli è vero, ma ha vinto i nemici; presentatasi sì bella occasione, ha creduto che il prevalersene non dovesse essere contro il genio del padre. Che diranno del nome romano i vinti nemici, se vedono il vincitore condannato alla morte? Un fatto che reca felicità alla Patria, pare che diventi beneficio; e se non merita premio, almeno non debba punirsi, e dove avrà luogo la pietà, se non la trova in un generale verso un capitano vincitore, in un padre verso un figliuolo? Pre,2330:T1,8,6 Paragr. VI. Dell'Audacia L'audacia è un affetto col quale l'anima sprezza cose difficili e pericolose con la speranza di superarle. Questa si eccita, oltre i motivi addotti circa la speranza, col procurare intrepidezza di cuore, col pensare frequentemente al pericolo da superarsi, col fingersi sempre minore il male di quel che si apprende con l'esempio delle altrui felici riuscite, col farsi sugli occhi la necessità o di perire, o di superare l'opposta difficoltà. Per esempio: ecco, o soldati, un'occasione opportunissima al vostro valore. Si ha da assalire il nemico che abbiamo di fronte, più forte di noi; il ritirarsi, oltre ad essere vergognoso, è più pericoloso del combattimento medesimo; il trattenerci in questo sito più a lungo è un perire da codardo, e per necessità; le trincee nemiche non sono poi esse così forti che un costante valore non le superi; non sarà già questa la prima volta che inferiori di numero abbiano sconfitto il nemico, etc. Pre,2330:T1,8,7 Paragr. VII. Del Timore Il timore è una perturbazione d'animo cagionata dall'immaginazione d'un futuro e vicino male che sia per distruggerci o per recarci dolore; si cagiona il timore dalla vicinanza di un pericolo, dai segni di un male imminente, dall'ira o inimicizia di coloro che possono nuocerci, dalla ingiustizia accompagnata colle forze, dall'altrui emulazione, dallo scoprimento dei misfatti. Per esempio si provveda, mentre vi è tempo, alla nostra salute; il nemico è già alle porte, già mi pare di vedere rapine, ferro e fuoco, toglierci le nostre sostanze, spargere il nostro sangue; la rabbia dei nemici congiunta colla natia loro crudeltà non avrà limiti. A che dunque tardare ad arrendersi? Perché volete intera la rovina, se può in gran parte schivarsi? Vi sovvengano le vicine città che c'insegnano con le loro ceneri, doversi preferire ad un temerario valore, un timore prudente. Pre,2330:T1,8,8 Paragr. VIII. Della Verecondia L'affetto della verecondia è una certa molestia e perturbazione d'animo causata da quei mali, i quali pare che ci rechino infamia e vituperio. Quindi è che tutte quelle cose che commesse, possono portare disonore, sono motivi di verecondia, come sono un vile timore, trascurataggine nell'operare, temerità nell'intraprendere, sfacciataggine, incostanza, avarizia, ingiustizia, crudeltà, un'azione vile divulgata. Per esempio: ad un capitano che abbia ceduto vilmente un posto. Questa dunque è la gloria che hai acquistato al tuo nome, alla tua Patria, alla tua Nazione? Lasciarsi atterrire dalla sola vista del nemico? Non hanno già operato così i tuoi maggiori, immortali per le loro imprese, non così gli altri ufficiali gloriosi per il loro valore? Con quale fronte ardirai ora presentarti al tuo Principe? Che dirà il mondo di te? Il timido, il codardo, il vigliacco saranno i titoli che accompagneranno il tuo nome. O degni vanti! O bella gloria, etc. Pre,2330:T1,9 Capo IX. Del Costume Per muovere gli affetti è troppo importante che il Retorico abbia notizia del costume. Questo può intendersi in due modi: o il costume di chi parla, o il costume di quelli ai quali si parla. Quanto al primo, deve chi parla essere in concetto di buono e virtuoso, altrimenti come potrà persuadere la Pietà, sicché gli creda, se egli è scellerato? La Clemenza, se egli è vendicativo? La Prudenza se egli è precipitoso nell'operare? E così delle altre cose. Quanto al secondo, giusta la diversità dei costumi di quelli ai quali si parla, diversi ancora si devono prendere i mezzi per persuadere, diversi gli affetti da muoversi. La diversità poi dei costumi può essere o per riguardo alla Nazione, o per riguardo all'età, o per riguardo all'animo, o per riguardo alla fortuna. 1o Dunque deve, chi discorre, avere riguardo dei costumi della Nazione, poiché in altra maniera si parla, dove è Repubblica; in altra dove è Principato. Di più una Nazione è più portata alla clemenza, un'altra alla barbarie, un'altra più cupa, un'altra più aperta, etc. Epperò si devono avere queste notizie, per sapere dove più debba premersi e dove meno. Il 2o riguardo è dei costumi dell'età; imperocché i giovani sono ardenti, impetuosi, arditi, creduli, speranzosi ed instabili, e si muovono più facilmente dall'onesto che dall'utile. I vecchi sono timidi, sospettosi, increduli, facili alle querele, nemici degli scherzi, prudenti, ma meno forti; provvidi, ma avari, e parlano volentieri delle cose passate. Quelli di età virile partecipano del buono dei giovani, e del buono dei vecchi, ed escludono da sé gli eccessi degli uni e degli altri; quindi è che non sono arditi, né sono timidi, ma tengono una strada di mezzo: non credono a tutti, come i giovani, né diffidano di tutti, come i vecchi, etc. Il 3o riguardo è dei costumi dell'animo: poiché giova molto il sapere a quali passioni siano inclinati quelli ai quali si parla, se all'ira, se alla mansuetudine, se all'audacia, se al timore, e così delle altre per adattarsi, per quanto sia possibile, alle propensioni di chi ascolta, e per procedere con cautela nel nostro discorso. Il 4o riguardo è dei costumi della condizione, ossia fortuna, etc. Dei ricchi è proprio l'amare l'utile ed il vantaggio dei loro stati, il nutrire sentimenti grandiosi, il mostrare un misto di severità e di clemenza, etc. Questi costumi dunque devono essere ben noti a chi pretende di persuadere, perché in questo modo riuscirà facile l'espugnare gli altrui voleri con le armi proprie degli espugnati, mentre si ordirà, più che si può, il discorso a seconda delle loro inclinazioni. Pre,2330:T2 Parte II Pre,2330:T2,1 Capo I. Della Disposizione delle parti Dopo aver parlato della invenzione, che è la prima parte della Retorica, segue che si parli della seconda, che è la disposizione delle parti; imperocché, come abbiamo detto, nel capo II della I parte, ritrovate che si sono le cose da dirsi, conviene poi disporle in buon ordine. A questo fine fa d'uopo sapere che ogni ben regolato discorso in quattro parti si divide, che sono: Proemio ossia Esordio, Narrazione, Confermazione e Perorazione. Di queste dunque parleremo al presente, accennando cosa siano e come si facciano. Pre,2330:T2,2 Capo II. Dell'Esordio Il proemio, ossia esordio è la prima parte del discorso con la quale disponiamo ad udirci l'animo di quelli ai quali parliamo; e come dalla facciata cominciamo a fare o a perdere il concetto di un palazzo, così dall'introduzione del nostro discorso dipende assai l'ottenere o no, quanto si brama; e perciò tre cose si devono dal Retorico procurare nel proemio: l'una è procacciare la benevolenza di chi ci sente; l'altra il farlo attento; la terza renderlo disposto a comprendere quello che si ha da trattare. La 1a si ottiene con lodare le persone alle quali si parla, con mostrare fiducia nella loro cortesia. La 2a con esporre ciò che stiamo per dire; è cosa necessaria o utile, o nuova o amena. La 3a con proporre l'argomento e la divisione del nostro parlare. Pre,2330:T2,3 Capo III. Della Narrazione La narrazione è una disposizione di qualche cosa fatta o quasi fatta; per le cose fatte si intendono le storie, per cose quasi fatte le favole. Una narrazione perché sia ben fatta conviene che abbia tre qualità, che sono: chiarezza, brevità, probabilità. Sarà chiara se le cose, le persone, i tempi, i luoghi, le cause e quant'altro ella conterrà, saranno esposte con parole semplici senza confusione ed interruzione, sicché in ogni cosa appaia distinzione ed ordine, osservando in questa gli avvertimenti che abbiamo dati nelle lettere di ragguaglio. Sarà breve, se niente avrà di superfluo e nulla le mancherà del necessario, e perciò si avverta né a darle troppo lontano principio, né a dilungarla con minuzie; siccome per tema di soverchia lunghezza non deve tralasciarsi alcuna di quelle circostanze che possono dare risalto al racconto. Sarà probabile, se si esporranno le cagioni e le circostanze del fatto e gli effetti seguiti e se sarà conforme alla natura delle cose, al costume delle persone, all'opinione degli uomini, ecc., ma qui si deve osservare: 1. che nelle narrazioni si frammette talvolta qualche piccola digressione, la quale serva a dare o maggior lume, o maggior forza al racconto, come sono notizie di persone, riflessioni opportune, esclamazioni e simili; 2. che bene spesso si adopera il verbo presente per il passato, ed il modo infinito per l'indicativo, come per esempio entro nella casa, ed ecco farmisi incontro il padre, ecc.; 3. che sogliono concludersi con qualche arguto epifonema o ancora, se sono state lunghe, con un breve epilogo, il quale in poche parole racchiuda la sostanza del racconto. Pre,2330:T2,4 Capo IV. Della Confermazione La confermazione è quella parte di un discorso, nella quale si prova con argomenti quello che abbiamo proposto. Gli argomenti si prendono dai luoghi retorici intrinseci ed estrinseci, e si devono in tale maniera disporre che abbiano connessione l'uno con l'altro, ed il discorso vada sempre crescendo in forza ed energia; e perché bene spesso dividiamo la cosa proposta in due o tre parti, perciò ogni membro della divisione dovrà avere la sua propria confermazione. Confermata che si sia con ragioni, autorità, esempi, ecc. la cosa proposta, si devono sciogliere gli argomenti contrari, mostrandone la loro impossibilità o falsità o insussistenza: il che si fa con la medesima maniera di argomentare detta poc'anzi. Pre,2330:T2,5 Capo V. Della Perorazione La perorazione è la conclusione di tutto il discorso, la quale si fa con epilogare le cose dette nel decorso del nostro parlare, nel che due cose si devono osservare: la 1a che nell'epilogo nulla si dica che non si sia provato nel discorso; la 2a che la perorazione sia da vivaci figure animata, e perché da questa dipende il conseguimento del fine propostoci, sia ella breve e gagliarda; breve, per non recare tedio; gagliarda, per muovere nella volontà quegli affetti che pretendiamo. Pre,2330:T3 Parte III Pre,2330:T3,1 Capo I. Della Elocuzione La elocuzione è una parte principalissima della retorica che consiste in dire ornato e vivace ed elegante. Tre riflessioni pertanto conviene avere per formare una buona elocuzione. La 1a è circa le parole, la 2a circa i periodi, la 3a circa il modo di esprimere i nostri concetti. Cominciamo dalla 1a. Le parole devono essere proprie di quell'idioma in cui si parla; sicché, se si parla latino, siano rigorosamente latine; se toscano, toscane, se francese, francesi; anzi tra le parole proprie si devono eziandio schivare nel discorso quelle che hanno o troppo del volgo, o del sordido, o dell'affettato. Tra le parole altre sono traslate, altre fatte di nuovo; delle traslate ne parleremo a parte, dove spiegheremo i tropi; le parole fatte di nuovo sono quelle le quali noi stessi formiamo, o congiungendo insieme due parole usate, come onnipotente o, per via di derivazione, come patrizzare, o per imitazione d'un suono, come mugghiare, quali tutte possono francamente adoperarsi, perché dall'uso introdotte. Circa poi il collocamento delle parole si osservi: 1. che appresso i latini bene spesso si mette il verbo in fine, il nomitivo in mezzo ed il caso obliquo al principio; 2. che l'aggettivo ordinariamente si premette al sostantivo; 3. che le parole più espressive seguono alle meno espressive; 4. che nel concorso e commessura delle parole si schivi non solo l'asprezza cagionata dall'unione di alcune consonanti, ma ancora la vicinanza di molte vocali, massime se fossero le medesime, perché tale unione e concorso offende assaissimo l'orecchio di chi ci ascolta. Pre,2330:T3,2,1 Capo II. Dei Periodi Delle parole se ne formano nel discorso, concisi, membri e periodi. Dei concisi si compongono i membri, dei membri i periodi. Concisi si chiamano quei vocaboli di senso imperfetto che si radunano nella stessa orazione da sole interposizioni distinti. Per esempio: colla giustizia, colla clemenza, colla liberalità si è guadagnato l'affetto dei popoli. Membro è una orazione di senso perfetto sì, ma sospeso, sicché chi l'ode, non s'acquieta, se non segue un altro senso. Per esempio: se tanti seguaci avessero le virtù, quanti ne vanta il vizio; questo è un senso perfetto, ma sospeso, finché si congiunga, minori sarebbero le sciagure e più durevole la felicità. Il periodo è una regolata continuazione di parole sì fattamente connesse, che solo nel di lei termine si ha il senso perfettamente compito. Due sorti di periodi vi sono: semplice e composto. Periodo semplice è quello che è solamente composto di concisi, come per esempio: la vera felicità non è negli splendori dei natali, non nelle preminenze dei carichi, non nei favori della fortuna, ma nella sola virtù stabilisce la base. Pre,2330:T3,2,2 Periodo composto è quello che è formato di più membri, onde può farsi di due, di tre, di quattro e di più membri ancora. Eccone di ciascuno un esempio; di due membri: quando l'ambizione porta in un cuore le ingorde sue brame, non vi ha scelleratezza sì enorme che non si abbracci; di tre membri: se quanti bramano la vera lode, vi adoperassero i mezzi per conseguirla, avrebbe il vizio meno adoratori e la virtù più seguaci; di quattro membri: se quanto si cerca il favore della fortuna, altrettanto se ne conoscesse l'instabilità, tanto sarebbe lungi dal gioire chi esaltato si vede al colmo della felicità, che anzi temerebbe ad ogni momento il precipizio. Due cose restano a sapersi circa il periodo: la 1a è come legare si possano assieme i membri d'esso; la 2a come si debbano empire ed adornare. Quanto alla 1a si legano ed uniscono i membri del periodo con particole tra sé relative, come sono: tanto quanto; non solo, ma ancora; siccome, così; benché nulla, di meno; non meno di quello che; in tal maniera che; non altrimenti che; ed altre simili delle quali se una sola se ne mette, rimane il senso sospeso, sicché di un' altra ve n' è d'uopo, perché si compia. Pre,2330:T3,2,3 Quanto alla 2a di rendere ornati e pieni i membri, servono assaissimo le definizioni, le enumerazioni di parti, l'esplicazione, i sinonimi, gli avverbi, gli epiteti e soprattutto gli aggiunti. Eccone un esempio: si abbia da esprimere in un periodo questo senso. Alessandro prima di guereggiare, studiò. Ecco come può dilatarsi: quel prodigio di valore che fece sotto la sua spada tremare un mondo, Alessandro il grande, ben sapendo quanto fosse necessario dirozzare colle scienze la mente, prima di addestrare il braccio alle armi, consegnatosi tutto agli ammaestramenti eruditi di Aristotele, uomo il più sapiente che in quei tempi nella Grecia fiorisse, con tale applicazione d'animo al nobilissimo e giocondissimo studio delle retoriche e delle dialettiche facoltà si accinse, che deposto ogni altro pensiero e prefissosi in quei primi albori dell'età sua il conseguimento d'una gloria immortale, passò con indicibile sua lode quegli anni più teneri in dare con la dottrina al generoso suo spirito una forma più nobile, ed in aggiungere alla chiarezza del reale suo sangue, lo splendore della sapienza, lasciando con il suo esempio un troppo utile documento ad ogni animo grande che conviene volgere libri, prima di sventolare bandiera; maneggiare la penna, prima di impugnare la spada e sgombrare dall'animo l'obbrobrio dell'ignoranza, prima di procacciarsi colle armi l'immortalità della gloria. Pre,2330:T3,3 Capo III. Dello Stile Lo stile è una facoltà d'esprimere le cose nella maniera e colle parole che più le convengono. Tre sorti di stile si assegnano, cioè a dire: infimo, mezzano, e sommo. Lo stile infimo è quello che imita la maniera comune di parlare ed esige parole pure e castigate, né deve andare senza i suoi sali, sentenze ed arguzie. Mezzano è uno stile fiorito e magnifico, a cui convengono vivezza di figure, numero di periodi, ornamento di tropi, vivezza di concetti, e quanto altro ha di pomposo e di nobile l'arte del dire. Sommo è quello che è più vigoroso e veemente, che più incalza e più stringe; e perciò più adatto d'ogni altro a muovere gli affetti. Il 1o è proprio delle lettere e delle narrazioni. Il 2o degli esordi e del parlare esornativo. Il 3o delle perorazioni ed invettive. Si osservi circa lo stile 1o che non sia basso e vile, e perciò si nobiliti con frequenti metafore; 2o che non sia disuguale, cioè a dire ora sublime ed ora basso; 3o che non abbia traslazioni troppo ardite. La maniera di formare uno stile buono in ogni sorta d'idioma si è leggere buoni e stimati autori: né sarà mai uomo di vaglia, uomo che non legga. Quanto al decoro si osservi quello che si è trattato al principio dei precetti delle lettere. Pre,2330:T3,4,1 Capo IV. Dei Tropi Il tropo è una sorte di elegantissima elocuzione in cui le parole dalla loro propria significazione ad un'altra meno propria si trasferiscono. Eccone un esempio: chi guerreggia sotto gli stendardi divini, ha le vittorie in sua balia, dove quelle parole guerreggia, stendardi, vittorie dalla loro propria significazione ad un'altra trasferite, ci esprimono la gloria di chi serve Dio. Ora dunque lasciati da parte quelli di minore importanza, accingiamoci ad esporre i principali che sono: metafora, allegoria, sineddoche, metonimia, antonomasia, ironia ed iperbole. La metafora è un'arguto concetto con cui una voce dalla cosa, di cui è propria, si trasporta ad un'altra, cui non è propria per somiglianza che ha con essa. Il che in quattro maniere può farsi: 1. quando una voce propria di una cosa animata ad un'altra pure animata si adatta, come quando per spiegare una mente [si dice] che vola. 2. Quando si attribuisce ad una cosa animata ciò che è proprio di un'altra non animata, ne sia l'esempio: un animo acceso di sdegno, per esprimere un'anima sdegnata. 3. Quando una cosa non animata s'esprime con parola che ad un'animata conviene. 4. Quando una voce propria di cosa inanimata si trasferisce a spiegare un'altra pure inanimata, per esempio: dorate biade. Pre,2330:T3,4,2 L'allegoria, che può chiamarsi metafora continuata, ha per suo proprio l'esprimere un sentimento con parole che un altro diverso ne suonano; e ciò in due maniere: 1. con adoperare parole che siano tutte improprie; 2. con adoperarne parte proprie e parte improprie. Voglio, per esempio, esprimere che uno dopo molti incontri ha finalmente ottenuto la felicità che bramava, e dico, dopo molte tempeste, ha finalmente afferrato il porto della sospirata felicità. Nel primo esempio tutte le parole sono improprie, nella seconda parte sono proprie e parte improprie. La sineddoche è un tropo in cui si adopera o il tutto per la parte, o la parte per il tutto. Per esempio: il nemico infuriato, quale leone della Libia, imbrandito il ferro, minaccia ai nostri tetti l'estrema rovina. La metonimia si fa con adoperarsi o la cagione per gli effetti, o gli effetti per la cagione. Per esempio: chi legge Cicerone, scorge che fino che Marte metteva Roma sossopra, non poteva la toga mantenere il suo decoro. L'antonomasia è un tropo, col quale in luogo del nome proprio un altro se ne mette che spiega una qualche prerogativa, per cui più spicca la cosa o la persona della quale si parla. Per esempio: perché Scipione tra le altre sue lodi particolarmente ha questa d'aver soggiogata Cartagine, si chiama per antonomasia il domatore di Cartagine. Pre,2330:T3,4,3 L'ironia è un tropo in cui si dice qualche cosa quale vogliamo che nel senso contrario s'intenda, come chi di quel mostro di crudeltà Nerone che uccise la madre e il maestro, ironicamente dicesse: o uomo veramente degno d'una gloriosa immortalità, e chi più pio verso la madre? E chi più benemerito dei suoi maestri? L'iperbole è un tropo per cui l'oratore con lo sminuire o con l'ingrandire la cosa della quale si parla, procura d'ingerire nell'animo dell'uditore un concetto proporzionato al merito della stessa persona. Per esempio: voglio descrivere una sanguinosa battaglia, ed iperbolicamente dico: datosi con le trombe il segno dell'attacco, azzuffatisi i due eserciti, leoni sitibondi di umano sangue, avresti detto ed i capitani ed i soldati, tanta è la furia con cui si feriscono, si alza fino alle stelle polvere e fumo, che togliendo la vista del sole, altra luce ai combattenti non lascia che quella del fuoco; avresti veduti monti di cadaveri gareggiare con le nubi, e scorrevano per ogni parte fiumi di sangue. Pre,2330:T3,5 Capo V. Delle Figure Il dire figurato consiste in una certa forma di elocuzione che, scostandosi con regola dalla maniera ordinaria di parlare, dà una grazia singolare all'orazione, ed in questo è differente dal tropo, che questo non può aversi se non con parole traslate; quella può aversi e colle traslate e colle proprie. Due sono le sorti di figure: altre sono figure di parole, altre di sentenze. Le prime consistono in una mera aggiustatezza di parole, sicché col mutarsi queste, si toglie la figura. Le seconde consistono non tanto nelle parole, quanto nel senso: onde ne viene che variandosi quanto si voglia le parole, purché si ritenga lo stesso senso, sempre rimane il bello della figura. Le figure che consistono nelle parole, in tre maniere possono farsi, e sono la 1a con aggiungere; la 2a con detrarre qualche cosa; la 3a coll'accoppiare voci tra sé somiglianti. Cominciamo da quelle che si fanno con aggiungere. Pre,2330:T3,5,1 Figure per Addizione La ripetizione è una figura nella quale dalla stessa parola spesso comincia l'orazione. Per esempio: Nulla vi muove, o soldati, l'onore della Patria? Nulla la speranza del bottino? Nulla le ingiurie fatteci dal nemico? Nulla la gloria che acquisterete immortale? La conversione è una figura nella quale con la stessa parola spesso si termina l'orazione. Per esempio: sciocchezza di chi non ama il suo Dio! Bontà che non ha pari e non si ama! Provvidenza che mai non manca e non si ama! La complessione, cosiddetta, perché abbraccia le due precedenti, è una figura in cui una parola spesso al principio ed un'altra spesso alla fine dell'orazione si ripete. Per esempio: chi è che condisce d'una savia conversazione i discorsi? La sapienza. Chi è che regge i consigli? La sapienza. Chi è che sostenga con decoro le cariche? La sapienza. Chi è che della chiarezza del sangue reca all'animo umano uno splendore più vago? La sapienza. La conduplicazione è una figura nella quale o per vaghezza, o per energia si ripete la stessa parola, o nel principio o nel progresso, o nel fine dell'orazione. Per esempio: studio sì, e studio non tanto per passare gli anni più teneri, quanto per giungere al possesso della sapienza. Pre,2330:T3,5,2 La traduzione è una figura nella quale si ripete spesse volte la stessa parola, mutandone però il caso o il genere o il numero. Per esempio: non vi è cosa che tanto spicchi e si lodi in un giovane, massime di sangue chiaro, quanto l'abbracciare lo studio, dilettarsi dello studio, darsi tutto allo studio. La sinonimia è una figura nella quale si adunano molte parole che significano lo stesso. Per esempio: va pure, ritirati, parti, fuggi, levatimi davanti, ecco la porta aperta, ecco la strada, non ti voglio vedere, non ti posso soffrire. La figura detta dal greco polisindeton si fa con adunare nella stessa orazione molte congiunzioni, per esempio: e la fede, e la ragione e l'esperienza ad una voce ci dicono che ogni umano splendore alla fine si eclissa. La gradazione è una figura nella quale si fa passaggio da una cosa ad un'altra col ripeterne sempre una delle già dette. Per esempio: collo studio si acquista la sapienza, colla sapienza la stima, cogli onori una gloria immortale. Pre,2330:T3,5,3 Figure per detrazione La disgiunzione è una figura nella quale molte cose nella stessa orazione si dicono con togliere tutte le congiunzioni. Per esempio: la pietà, la sapienza, la nobiltà, la civiltà rendono l'uomo degno d'amore, gli acquistano gloria, gli tributano ossequi. L'aggiunzione è una figura, in cui ad un verbo solo più sentenze si riferiscono. Per esempio: chi si diletta del gioco, chi della caccia, chi dello studio. La precisione è una figura in cui qualche parola nell'orazione si tace, quale però facilmente dalle altre s'intende. Per esempio appena si ebbe la funesta nuova, ecco giungere la madre, rattristarsi i figli, impallidire i servi; nel quale esempio s'intende la parola cominciò. Pre,2330:T3,5,4 Figure per somiglianza di voci L'annominazione è una figura che si fa con mettere nell'orazione parole simili tra sé nel suono, ma dissimili nel senso, con mutare, aggiungere o detrarre qualche lettera, per esempio: fatto d'oratore, aratore passò da rostri a rastri. Desinenza simile è quando più membri dell'orazione finiscono nei medesimi casi o tempi. Per esempio: il sapiente è venerato dai popoli, favorito dai Principi, stimato nei senati e rispettato da tutti. Contrapposto è quando nell'orazione si mettono voci le une alle altre opposte. Per esempio: chi una volta è punto dallo stimolo dell'onore, oh, come tosto cambia in diligenza la pigrizia, l'ozio nello studio, le distrazioni in attenzione, il desiderio di spassi in amore di fatiche. Parità di membra è una figura colla quale si formano i membri dell'orazione in maniera che siano uguali o quasi uguali. Per esempio il bel tesoro della sapienza non vi è guerra che ce lo tolga; non ladro che ce lo involi, non tempo che ce lo consumi. Pre,2330:T3,5,5 Delle figure delle sentenze Delle figure delle sentenze Apostrofe, che dal latino si dice conversione, è una figura con la quale rivolgiamo il discorso da quelli ai quali parliamo ad altre persone vive o morte, presenti o assenti, oppure a cose eziando non animate, come sono città, selve, fiumi. Per esempio: voi chiamo in testimonio della mia fedeltà o città che ho difeso con la mia spada, o paesi che ho soggiogato col mio valore, o fiumi che ho tinto col mio sangue: Cesari, Alessandri, Carlo Magni, soffrireste mai voi che fosse dall'invidia calunniato ed oppresso? Chi a difesa della Patria e del Principe non ha sparagnato sudori, stenti e fatiche? etc. Concessione è una figura con la quale confidati nella sodezza della nostra causa, concediamo liberamente qualche cosa a noi contraria. Per esempio: sia così come voi dite; sia stato quello un'affronto, voglio concedervelo; ma meritava poi tanto risentimento? Doveva poi prendersi sì atroce vendetta? Correzione è una figura con la quale ritrattiamo una parola o una sentenza che abbiamo detta. Per esempio: oh temerità, che dico temerità, mai più udita sciocchezza! Oppure: e che male ha mai recato al mondo la sapienza che tanto meriti di essere sfuggita? Ma che dissi, che male hai mai recato? Anzi, quali beni non ha ella portato seco? Desiderio o è di bene o è di male. Se è di bene, dice figura optazione, se di male figura imprecazione, con la quale ha qualche somiglianza la figura comminazione, con la quale si minaccia ad alcuno qualche male. Eccone gli esempi; della figura optazione: piacesse al Cielo che vivessero ai nostri tempi quegli antichi maestri del vivere umano, dico, gli Aristoteli, i Catoni, i Senechi. Oh, vorrei pure io condurli per le nostre contrade, etc. Pre,2330:T3,5,6 Della figura imprecazione: vattene, o barbaro, a mille morti: si apra la terra e t'ingoi, s'infetti l'aria e t'avveleni. Cambi il sole a tuo danno in saette i suoi raggi, etc. Della figura comminazione: verrà crudele, verrà quel tempo in cui darai della tua inumanità le meritate pene. Dubitazione è una figura con la quale mostriamo di dubitare di ciò che debba dirsi o farsi. Per esempio: che dovrò io dunque fare? Parlerò o tacerò? Se parlo, tacciato sarò di temerità; se taccio, passerò per colpevole, ed in quale parte dunque mi volgerò? Epifonema è una figura che si fa quando una cosa provata o raccontata, si conclude con qualche detto sentenzioso, come chi concludesse l'esposizione d'un fatto indegno con questa sentenza: tanto può nel cuore dell'uomo un affetto senza regola. L'esclamazione è una figura con la quale per mezzo della interiezione o esprimiamo un qualche affetto o di sdegno o di dolore o altro simile. Per esempio: o cecità, o pazzia! L'interrogazione è una figura con la quale diciamo qualche cosa non per intendere cosa che non sappiamo, ma per meglio esprimere qualche nostro affetto o sentimento. Questa figura può essere o semplice interrogazione senza risposta alcuna, o interrogazione con la risposta; di più la risposta o è conforme all'interrogazione, o è diversa dall'interrogazione. Pre,2330:T3,5,7 Se è semplice interrogazione si chiama antonomasticamente interrogazione; se è interrogazione con risposta, conviene distinguere: se la risposta dice di più di quello che porta l'interrogazione, si chiama figura responsione; se all'interrogazione che facciamo a noi stessi o ad altri, soggiungiamo subito la risposta che conviene, si dice figura subiezione. Ecco un esempio della figura interrogazione: e sino a quando la guerra farà strazio così crudele delle nostre sostanze? Può trovarsi furia di questa più barbara? E chi fu mai quel cuore d'acciaio che nutrì a danno del mondo mostro sì fiero? Etc. Della figura responsione: forse l'ha strappazzato con villanie mai più sentite? Forse l'ha egli percosso senza averne neppure un minimo motivo? Etc. Della figura subiezione: quale scusa potrai addurre? Forse non avevi libri? Ma questi non ti mancavano. Forse penuriavi di maestri? Ma di questi ne abbondavi. Ti lamenterai forse di scarsezza di tempo? Ma di questo te ne avanzava, etc. Interruzione è una figura con la quale, interrompendo il discorso, spieghiamo un nostro affetto o di dolore o di sollecitudine o altro. Per esempio: così dunque accogli un amico con ingiurie? Questo dovevo io promettermi dalla fede giuratami? Ah, ingrato! Farò ben io… Ma a che di più mi trattengo con un indegno par tuo, è troppa grazia il parlare anche con sdegno. Pre,2330:T3,5,8 Ipotiposi è una figura in cui con tali parole si descrive una persona od una cosa che pare piuttosto esporla all'occhio che all'orecchio. Per esempio: giravo l'altro dì per la città, quando nel passare davanti ad una casa, sento un grande strepito d'armi e di voci, corro tosto a quella porta, salgo le scale, entro in una sala, ed ecco mi si fa avanti una selva di spade sguainate; inorridii alla vista; pure fattomi coraggio, mi inoltro. Vedo tra questi uno infuocato nel volto, ardente negli occhi, fuori di sé per lo sdegno; batte per smania i piedi; stringe per rabbia i denti; alza infuriato al cielo le strida, urla, freme, inviperisce, spuma la bocca, illividiscono le labbra, per ogni parte si divincola per sbrigarsi da chi si sforza porre argine ai suoi furori; sangue, vendetta, morte sono le voci nelle quali prorompe, etc. Preoccupazione è una figura con la quale preveniamo quello che potrebbe opporcisi; per esempio: voi forse vi meraviglierete che io m'interessi per i vantaggi di una persona che altre volte mi ha offeso; ma dove si tratta del pubblico bene, volentieri mi smentisco di un'ingiuria privata, etc. Preterizione è una figura nella quale diciamo qualche cosa, quale fingiamo o di non sapere o di volere tacere. Per esempio: nulla dirò della tua fortezza nell'assalire i nemici, nulla della tua costanza nel soffrire le avversità; passerò per ora sotto silenzio i pregi della tua prudenza; taccio la vigilanza con la quale hai amministrati tanti governi. Potrei giustamente lodare l'equità nell'imporre leggi, la soavità nei comandi, la piacevolezza del tratto; ma queste e tante altre tue lodi godo di seppellirle in un profondo silenzio, per non offendere la tua modestia. Pre,2330:T3,5,9 Prosopopea è una figura colla quale facciamo che parli qualche persona eziandio morta o lontana, oppure una cosa non animata. Per esempio: che direste o Ciceroni ed Aristoteli se tornaste a respirare quest'aria mortale, al vedere sì poco amore alla sapienza? E perché mai (parmi che esclamereste) si lascia così vilmente perdere tesoro sì bello? Inutili dunque saranno tanti sudori che gettammo dalla nostra fronte per meritare alla sapienza quel concetto che merita! A che servono tante notti che noi passammo in veglia? Dunque per condiscendere ai furori di Marte, negletta gemerà la saggia Pallade? Etc. Sospensione è una figura colla quale teniamo qualche tempo sospeso l'animo di chi ci sente, soggiungendo poi in fine qualche cosa inaspettata. Per esempio: udito che ebbe Agrippina che se Nerone saliva sul soglio, le avrebbe data la morte; credete voi che deponesse il folle impegno? Che desistesse dalla sciocca preghiera? Che cangiasse sentimento e pensiero? Forse che almeno si consigliò coi prudenti? Forse sospese per qualche tempo il consenso? Anzi udite, se può darsi pazzia maggiore, se può immaginarsi amore più cieco? Uccida, disse, uccida, purché regni. Transizione è una figura con la quale, per mezzo di qualche formula, connettiamo una parte dell'orazione con un'altra, facendo con quella passaggio dall'una all'altra. Per esempio: ma di questo si è detto abbastanza, passiamo ora ad esporre, ecc. Ma a che più trattenersi in questo, ecc., essendo dunque così, come ho detto etc., ritorniamo ora ecc. Ma quello che si è detto, è poco, etc. Alcuni annoverano tra le figure l'ausesi e la espolizione; nulla di meno queste possono riferirsi l'una alla gradazione, l'altra alla sinonimia: poiché l'ausesi altro non è che un dire di più cose l'una sempre maggiore dell'altra, come per esempio: è male il non amare il padre, peggiore l'odiarlo, pessimo il percuoterlo. Che dirò poi toglierlo di vita? La espolizione ha di diverso dalla sinonimia che questa dice in più maniere la stessa parola, e quella la stessa sentenza. Pre,2330:T4 Parte IV. Della maniera di discorrere nei generi esortativo, deliberativo, giudiziale Pre,2330:T4,1,1 Capo I. Del genere esortativo Dopo aver premesse le notizie generali che servono per discorrere in un argomento proposto, veniamo ora a certe notizie particolari, le quali devono esserci guida negli argomenti particolari. Come questi si riducono ai tre generi esortativo, deliberativo e giudiziale, esporremo in quale maniera si debba procedere in ciascuno di questi. Quel discorso si dice appartenere, come altrove abbiamo detto, al genere esortativo, ossia dimostrazione, nel quale o si loda o si biasima qualche persona o qualche cosa. Quando dunque hai da lodare o biasimare qualche persona, due sono le fonti dalle quali si deducono gli argomenti o di lode o di biasimo, cioè a dire, la natura e la fortuna. La natura abbraccia il corpo e l'anima; la fortuna la condizione e le facoltà. I beni del corpo sono la sanità, la robustezza, la destrezza, la bellezza, ecc. e gli opposti di questi sono i suoi mali. I beni dell'animo sono le affezioni delle sue potenze, memoria, intelletto e volontà. Circa la memoria si loda la facilità di ritenere la tenacità delle cose una volta apprese, la vastità delle materie ritenute, e dal contrario di queste si arguiscono i suoi mali. Circa l'intelletto si lodano le virtù che si chiamano intellettuali, come sono la prudenza, la scienza, l'arte, la sottigliezza e la perspicacia nel discorrere; siccome si biasima l'imprudenza, l'ignoranza, l'errore, la stoltezza, la rozzezza e la tardità nell'apprendere ed altri simili. Circa la volontà porgono argomenti di lode le virtù; di biasimo i vizi, i costumi buoni o rei; e ciò che è più da considerarsi le azioni gloriose e virtuose, oppure infami e malvagie, quale suole essere l'argomento più vasto e più efficace di questo genere ed in cui hanno luogo tutti gli aggiunti. Pre,2330:T4,1,2 Quanto ai beni di fortuna, nella condizione si considera il casato, se nobile o vile, gli antenati secondo il loro merito o demerito; la Patria per gli uomini illustri o viziosi che da essa sono venuti; l'educazione se attenta o trascurata; talora anche si considera il tempo della nascita, i desideri dei popoli prima d'essa e le allegorie dopo d'essa; il tempo e le circostanze della morte se desiderata o compianta, se gloriosa o vile ecc.; delle facoltà si considerano le ricchezze, gli onori, la dignità, la reputazione acquistatasi, le lodi e la gloria per mezzo delle armi o delle lettere o dei ministeri; le dignità conferite, la stima universale, la quantità degli amici, etc. I mali di fortuna sono la bassezza del lignaggio, la povertà, l'infamia, la privazione degli onori, le traversie, la reputazione perduta, l'abbandono degli amici; si avverta però che i mali di fortuna non sempre sono argomento di biasimo, anzi bene spesso accrescono la lode, quando vanno congiunti con l'innocenza e con la virtù; che le persone possono ancora essere oggetto di lode, le cose inanimate, come sono le città, i regni, i giardini, etc. Pre,2330:T4,1,3 Per esempio: se si avesse a lodare una città, si potrebbero dedurre gli argomenti dalla sua antichità, dai suoi Fondatori, dalla bellezza e sontuosità dei suoi palazzi, templi, piazze, dal suo sito, dai bastioni che la muniscono, dalla bontà e purità dell'aria, dalle manifatture che vi si fabbricano, dal commercio e dalle industrie e numero del suo popolo, dalla quantità dei nobili che vi abitano, dalle ricchezze del pubblico e dei privati, dalle sue leggi, statuti e consuetudini, dalla rettitudine dei suoi tribunali, dalla virtù, talento e spirito dei cittadini, dagli uomini illustri che in essa sono stati, dalla felicità, amenità e delizie del suo territorio. Dai contrari di questo si deducono gli argomenti di biasimo. Allo stesso modo possono lodarsi la virtù e la scienza in generale, e ciascuna virtù e ciascuna scienza in particolare, considerandone la nobiltà, l'eccellenza, l'utilità, gli effetti che produce, il diletto che seco reca la stima, in cui è appresso tutti, lo splendore che apporta ed altri simili. Pre,2330:T4,2 Capo II. Del genere deliberativo Essendo il genere deliberativo quello in cui si persuade o si dissuade qualche cosa, i capi, che devono esaminarsi, sono i seguenti: 1. se la cosa di cui si tratta è onesta o no; nel che si considera la natura della stessa cosa, le leggi, le virtù che con essa vanno congiunte; 2. se ella è utile o dannosa, dove ha luogo una esposizione dei beni privati o pubblici del corpo, dell'animo o di fortuna che da essa possono derivare; 3. se è possibile o impossibile, dove si considerano tutte le circostanze che la provano facile o difficile, secondo gli aggiunti che l'accompagnano; 4. se necessaria o non necessaria, nel che si esaminano gli effetti che seguiranno, se la cosa si fa o si tralascia; 5. se gioconda o spiacevole, dove si esamina il piacere o il rammarico che si ha nel conseguirla e possederla. Circa tutti questi capi hanno forza grande ed efficacia gli esempi che possono addursi per cose simili, e l'autorità d'uomini accreditati, esperti e prudenti che in simili congiunture hanno giudicato doversi tale cosa abbracciare o tralasciare. Pre,2330:T4,3 Capo III. Del genere giudiziale Nei discorsi del genere giudiziale nei quali si accusa o si difende qualche persona, conviene primieramente osservare se il fatto, sopra cui cade l'accusa o la difesa, sia certo oppure sia dubbio. Se egli è dubbio, conviene fondarsi sopra le congetture ed indizi per formare con questi una sufficiente e verisimile prova. Due cose possono a questo fine esaminarsi: 1. se abbia voluto; 2. se abbia potuto commettere il delitto di cui si parla. Quanto al primo si considera la natura del delitto e la natura della persona di cui si parla, se buona o cattiva; dal che facilmente si inferisce se abbia voluto o no commettere un tale fallo. Di più si considerano i beni che gliene ridondano o i mali che si schivano con un tale delitto; oltre di ciò le circostanze del tempo e del luogo, le persone colle quali trattava: l'opinione che corre di quella persona sono tutti indizi e congetture per provare la volontà di commettere o no il delitto apposto. Quanto al secondo si prova se abbia potuto o non potuto commettere il delitto di cui si parla: 1. dai segni che hanno preceduta, accompagnata o seguita l'azione; 2. dalle circostanze del luogo atto o disadatto per farlo; dal tempo opportuno o incomodo; 3. dall'abbondanza o mancanza di mezzi, d'aiuti o di strumenti. Se poi il fatto è certo ed indubitato: chi accusa deve dimostrare l'enormità, dalla natura del delitto, dalle circostanze che l'accompagnano, dalle conseguenze che seco porta, dalle leggi che lo vietano, dalle pene con le quali è punito, dal danno che reca alla Repubblica, ecc. Chi difende, deve sminuire il fatto, considerandone le circostanze, le cagioni, gli impulsi avuti, le ingiurie ricevute, la necessità, gli accidenti improvvisi, l'errore preso, etc.; addurre altre leggi a suo favore o interpretare quelle che si sono addotte in contrario; e quando ciò non si possa, confessare schiettamente il fallo; dimostrarlo come un trasporto straordinario della persona accusata, con ricorrere alla clemenza dei giudici. Pre,2330:T5 Della maniera di scrivere lettere missive Pre,2330:T5,0,1 La lettera è un breve ragionamento in scritto con una persona lontana. Quattro sono le parti che formano una lettera: proemio, proposizione, confermazione e conclusione. Il proemio è quello col quale si fa strada alla proposizione, e benché questo non sia totalmente necessario, massime nelle lettere familiari, con tutto ciò sarà sempre meglio il non tralasciarlo, massime se si deve scrivere a persona di qualche riguardo, o per avanti non conosciuta, o dopo lungo silenzio. La proposizione è una esposizione di quello che vogliamo scrivere, o il racconto di qualche fatto a cui appartiene il negozio di cui si tratta. La confermazione si fa con addurre ragioni con le quali dimostriamo ciò che abbiamo proposto. La conclusione è uno o più complimenti con i quali terminiamo il ragionamento, o scusando il nostro ardire, o professando obbligazioni, o augurando prosperità, od offrendo servitù e simili; indi si aggiunge il giorno, il mese, il luogo e l'anno nei quali si scrive. Oltre queste quattro parti accennate vi si aggiungono da alcuni il proloquio, la sottoscrizione ed il soprascritto, che sono piuttosto accompagnamenti della lettera, che parti di essa. Pre,2330:T5,0,2 Il proloquio anticamente conteneva il nome di chi scriveva e di quello a cui si scriveva con i suoi titoli, augurandogli salute; come per esempio: Lentulo Proconsuli M. T. Cicero salutem plurimam dicit. Ora però massime non scrivendosi in latino, si mette il solo titolo di quello a cui si scrive secondo la varietà delle persone più o meno cospicue, aggiungendosi ancora il titolo di parentela, se qualcuno ve ne è tra quello che scrive e quello a cui si scrive. La sottoscrizione dagli antichi si tralasciava, perché mettevano il loro nome nel proloquio; noi la mettiamo dopo scritta la lettera nella parte destra di essa, e nella sinistra si pone a lettere maiuscole il titolo conveniente alla persona a cui si è scritto. Due cose si devono osservare nelle sottoscrizioni: la 1a che è segno di maggiore o di minore riverenza ed ossequio sottoscrivere il proprio nome più o meno in fondo della lettera, come anche più o meno di margine in fronte della medesima; la 2a è che giusta le diverse qualità e gradi delle persone, alle quali si scrive, si adoperano termini che esprimino maggiore o minore sommissione, rispetto od amore. Il soprascritto si fa col mettere sopra la lettera già piegata il nome, titoli ed il luogo di quello a cui si scrive. Pre,2330:T5,0,3 Dello stile, decoro e ordine della lettera Lo stile della lettera deve essere puro e semplice, senza troppe, metafore e allegorie, non convenendo queste a chi discorre familiarmente. Non è però che talvolta non stia bene un qualche maggiore garbo ed eleganza, quando le circostanze lo portano. Il decoro non è altro che adoperare stile, ragioni, maniere, titoli e complimenti proporzionati alla persona a cui si scrive, a quella che scrive ed al soggetto di cui si scrive, e certamente con ben altri termini si scriverà a chi è superiore, o a chi è suddito, o a chi è uguale; poiché con il primo si adoperano termini di sommessione, riverenza, umiltà, obbedienza, ossequio ecc.; con il secondo termini amorevoli e signorili, comandando, mostrando volontà di giovargli e di sovvenirsi dei suoi servigi ecc.; con il terzo termini cortesi, civili, di amore, di offerta, di obbligazione, di preghiera ecc. Di più conviene osservare che ad una persona attempata ed in soggetto grave ed eroico, male si convengono leggerezze: siccome ad un giovane in argomento giocoso non disdice qualche facezia e qualche fiore. In una parola egli è d'uopo che chi scrive per mantenere il dovuto decoro, abbia l'occhio al costume delle persone con le quali si tratta, alla materia, al grado, all'età. L'ordine del discorso ricerca che dovendosi portare ragioni, si cominci dalle più deboli, sicché le più gagliarde siano le ultime; oppure avendosi da fare qualche racconto, corra per tutti gli aggiunti e circostanze che accompagnano il fatto, quale si prende a raccontare. Pre,2330:T5,0,4 La brevità della lettera consiste in non avere nulla di soverchio, ed in contenere tutto ciò che è necessario. Egli è però vero che nell'essere breve o prolisso, conviene avere risguardo non solo ai negozi, ma alle qualità delle persone; poiché con persone o non ancora bene conosciute, od occupate, o comandando, o correggendo, è bene sbrigarsi con meno parole che sia possibile. Per il contrario domandando, pregando o scrivendosi a persone grandi, benevoli e di molta pretensione, una troppa brevità potrebbe talvolta parere affronto o troppa dimestichezza; perciò la prudenza deve essere quella che misuri la dovuta brevità della lettera; ma perché quanto finora si è detto, meglio possa ridursi alla pratica, quello che in generale si è esposto, applichiamolo alle lettere in particolare. A due specie possono ridursi tutte le lettere, cioè a lettere di negozio ed a lettere di ufficio, ossia complimento. Alle prime si riducono le lettere di avviso, consiglio, domanda, raccomandazione, offerta, querela, scusa e simili; alle seconde le lettere di visita, conto, congratulazione, condoglianza, ringraziamento, buone feste ed altre di questa sorte. Cominciamo dunque dalle lettere d'avviso. Pre,2330:T5,1 Delle lettere in particolare Le lettere di avviso o sono di commissione di cose da farsi, o sono di ragguaglio di cose fatte. Pre,2330:T5,1,1 Lettera di commissione 1. In questa sorta di lettere, come che chi scrive la fa da superiore, può di leggeri omettersi il proemio, ma può altresì farsi secondo che si giudica a proposito: ed in tale caso si potrebbe prendere dalla prudenza, vigilanza, attenzione od altra prerogativa della persona a cui si scrive. Si propongono gli ordini che vogliono darsi: questi devono essere chiari e ben concepiti, procurando che non si frammischino cose inutili, né che manchino le necessarie, acciò chi deve eseguirli, facilmente intendendoli, possa operare con sicurezza. Si conclude o con raccomandarne l'esecuzione, o con lodare lo zelo già altre volte mostrato, o con dimostrare stima e memoria della fedeltà ed attenzione della stessa persona. Pre,2330:T5,1,2 Esempio di lettera di commissione ad un Governatore di Provincia Benché la vigilanza e prudenza di V.E. ci faccia sperare ogni possibile attenzione per codesta Provincia, con tutto ciò con l'avvicinarsi vieppiù del nemico, ho giudicato spediente, per sua e nostra sicurezza, darle quegli ordini che da questo consiglio sono stati stimati opportuni. Al ricevere dunque di questa, V.E. farà che si adunino tutte le truppe al coperto delle piazze, dove accampate, si fermeranno sino a che più apertamente si scorgano i disegni del nemico; visiterà i magazzini sì da guerra che dei viveri, e stimando che abbisognino di qualche cosa, me ne darà quanto prima l'avviso; procurerà di spiare con ogni diligenza gli andamenti dei nemici, e di ogni loro minimo andamento e movimento, farmene puntualmente avvertito. Lo zelo di V.E. mostrato in tante altre occasioni per questa corona, mi assicura di ogni maggiore sollecitudine ed accuratezza; onde io offrendomi tutto ai di lei vantaggi, null'altro soggiungo, se non che sono di V.E. Pre,2330:T5,1,3 Lettera di ragguaglio Le lettere di ragguaglio sono le più frequenti a scriversi, e perciò le più necessarie a sapersi. Il proemio in questa sorta di lettere è in libertà di chi scrive, farlo o non farlo; se si fa, potrebbe dedursi dall'obbligo di chi scrive, dal desiderio della persona a cui si scrive, o da qualche accidente di fresco occorso. Il corpo della lettera esige uno stile, più che in ogni altra, semplice ed un buon ordine che dia chiarezza al racconto. Se si ha da ragguagliare un sovrano di ciò che succede in una corte, in un campo, in un trattato, come si usa dagli inviati, ambasciatori e generali, l' ordine si potrebbe prendere dal tempo, in cui sono succedute le cose che si ragguagliano, cominciando dalle prime occorse. Per esempio: ai tre del mese e proseguendo fino alle ultime occorse ai dieci. Se il racconto è di una sola azione, per esempio di una udienza ricevuta, di un consiglio fatto, di una battaglia data, di una festa solennizzata, ecc. daranno ordine al ragguaglio le circostanze precedenti l'azione: le circostanze che l'hanno accompagnata e le circostanze susseguenti, descrivendo dove sia d'uopo le persone, le parlate, i moti esterni che possono dare peso alla narrazione. Se finalmente si avrà da descrivere un sito, un paese, una fortezza, una città, un porto, etc. si comincerà il racconto dalle parti più principali, proseguendo per le meno principali, benché sia meglio, quando si può, mandarne la pianta o il disegno. Quel che si è detto dei sopra mentovati racconti, può facilmente applicarsi al ragguaglio di ordini eseguiti o di nuove che si mandano. Terminato il resoconto, se questi esige qualche riflessione, si faccia brevemente; indi si concluda la lettera o con chiamare scusa del tedio recato nel racconto, o con promettere vieppiù puntualità nel ragguagliare, o con assicurare di ogni maggiore attenzione nello spiare ciò che succede, ecc. Pre,2330:T5,1,4 Esempio di lettera di ragguaglio e risposta alla precedente Gli obblighi del mio impiego e la fedele servitù che sempre mi sono pregiato di professare alla Reale Corona, doppiamente mi impegnano ad usare ogni immaginabile attenzione per il Governo di questa provincia. Non ho mancato, al ricevere dalla sua del 10 del corrente, di fare tosto adunare ed accampare sotto la piazza questo corpo di truppe. I magazzini, per quanto mi pare, sono sufficientemente provveduti; solo sarebbe d'uopo di far condurre qualche provvisione di fieno del quale unicamente si scarseggia. I nemici tuttavia seguitano nel medesimo posto; da disertori, che già da più giorni qua vengono, ho inteso che l'armata loro consiste in 60 battaglioni e 80 squadroni, che aspettavano quanto prima un rinforzo di quattro mila fanti e mille cavalli, e che la loro mira è di portarsi più oltre. Io intanto assicuro V.E. che non mancherò di vigilanza e d'industria, e quante notizie potrò io con diligenza scavare, tosto gliele invierò. La prego di continuarmi l'onore dei suoi comandi, null'altro bramando che dimostrarmi di V.E. Pre,2330:T5,1,5 Alle suddette lettere di commissione e ragguaglio appartengono anche quelle che si scrivono per cose e negozi privati, ma queste, come non sono di tanta importanza, così non esigono tanto studio ed attenzione, conviene però, che anch'esse abbiano il suo ordine e la sua chiarezza. Pre,2330:T5,1,6 Esempio di lettere di ragguaglio di cose private Dopo un mese di viaggio giunto finalmente a Parigi ieri sera, mio primo pensiero è stato al mio sempre Riv.mo Sig. Conte. Nonostante le dirottissime piogge che mi hanno trattenuto otto giorni in Lione, il viaggio è stato assai felice. Veramente ho avuto occasione di ammirare un sì fiorito regno, sì per l'ampiezza delle città, come per il numero dei villaggi; si vede però che ancora si risente della guerra, perché il popolo non è certamente proporzionato al numero delle ville. Ieri fu tosto a vedermi il Sig. Cavaliere suo nipote. Come mai è garbato e compito! Il nostro più lungo discorso fu di V.S. e ne parlammo con quei termini che a quegli la cordialità ed il sangue, a me l'affetto e le obbligazioni suggerivano. Mi ha imposto di riverirla e farle sapere che anch'egli quanto prima le scriverà. Varie cose avrei da raccontarle, ma la scarsezza del tempo me le fa differire ad un'altro ordinario. Intanto la prego di invigilare, acciò mi si faccia tenere con abbondanza il denaro che mi abbisogna. La riverisco con ogni più cordiale espressione, e pregandola di favorirmi dei suoi comandi che mi saranno sempre carissimi, mi confermo di V.S. Pre,2330:T5,1,7 Lettere di consiglio Lettere di consiglio Due sorti di lettere di consiglio vi sono: l'una chiamata lettera di ammonizione, l'altra di consultazione. Cominciamo da questa. La consultazione può farsi di cosa universale, per esempio: se si debba fare la pace con queste o quelle condizioni; nelle lettere di consultazione conviene avere più riguardi. Primo, riflettere chi dà e a chi si dà il consiglio, poiché in altra maniera si dà il consiglio ad un superiore od uguale, un'altra ad un inferiore. Di più egli è importante sapere, più che si può, l'inclinazione ed affetto della persona che si consiglia per regolare con più prudenza il consiglio. Secondo, chi dà il consiglio deve procurare un'animo purgato da ogni interesse e passione, e non cercare piuttosto l'applauso e stima propria con affettate adulazioni, che il bene della persona alla quale si dà il consiglio. Non conviene mostrarsi così impegnato nel proprio parere che si sprezzino le opinioni altrui. Pre,2330:T5,1,8 Supposti questi avvertimenti, ecco l'ordine da tenersi nelle lettere di consultazione: 1. il proemio si prenda o dall'affetto sempre mostrato alla persona a cui si scrive, o dal desiderio dei di lei vantaggi; il che servirà a cattivarsi la di lei benevolenza: cosa molto importante, perché si abbracci il consiglio che si propone; 2. nella proposizione si esporrà l'argomento che si vuole persuadere; 3. nella confermazione si addurranno ragioni prese dall'essere la cosa proposta utile o disavvantaggiosa, onesta o turpe, facile o difficile, dilettevole o penosa, necessaria o impossibile, convenevole o sconvenevole, o altre simili che dalle circostanze del tempo, luogo, persone, ecc. potranno avere maggior forza. Oltre le ragioni serve anche molto alla confermazione l'autorità o di chi dà il consiglio, se è persona esperta, sapiente e prudente, o d'altre persone stimate ed applaudite. Nel proporre però le ragioni, deve portarsi le ragioni di chi scrive con modestia e semplicità; dovranno di più sciogliersi le ragioni in opposto, se qualcuna ve n'è; 4. nella conclusione della lettera si soggiunga qualche breve commendatizia dell'affetto e fede nostra, sottoponendo il proposto consiglio al giudizio e parere della persona a cui si scrive, e mostrando desiderio che, qualunque risoluzione si prenda, riesca con ogni facilità. Pre,2330:T5,1,9 Esempio di lettera di consiglio Parmenione ad Alessandro. Quanto mi sia io impegnato per i vantaggi di V.M. possono farne testimonianza le tante occasioni, nelle quali mi sono sforzato di mostrarlo con rischi frequenti della mia vita. Quindi è che, mosso da questo stesso zelo della di lei gloria, avendo inteso essere V.M. giunta con la sua armata nella città, ho stimato mio obbligo esporle un mio sentimento, quale però sottopongo al migliore e più fine giudizio di V.M. e dei suoi saggi consiglieri. Io dunque sarei di parere che V.M. non dovesse portarsi più oltre, ma bensì aspettare tra le strettezze di questi siti il nemico, luogo per noi più opportuno ad una battaglia e più sicuro di una vittoria non credo che possa darsi; posciaché obbligato dalle angustie del luogo a lasciare addietro gran parte delle sue truppe, resteranno le armate uguali in numero e con svantaggio in conseguenza dei nemici per essere i loro soldati meno agguerriti. Nostro primo pensiero parmi debba essere schivare, più che si può, l'ampiezza delle pianure, nelle quali sopraffatti dal numero dei nemici di gran lunga maggiore, potremmo da ogni parte essere cinti con evidente rischio di una irreparabile rotta; e quand'anche i nostri, spinti dall'esempio e valore di V.M. facessero strage e macello dei Persiani, avrebbero sempre questi numerosi corpi di riserva da surrogare ai già vinti. Aggiungo che col più inoltrarsi la nostra armata, sempre più s'affaticano i soldati stanchi già delle lunghe e disastrose marce; onde obbligati ad una battaglia dal nemico che a gran passi s'accosta, non sarebbero fuori di pericolo d'essere abbattuti più dalla propria stanchezza che dall'altrui valore. I contrassegni di gradimento che V.M. si è compiaciuta altre volte ascoltarmi, mi hanno spinto ad esporle questi miei sentimenti, i quali totalmente sottometto al di lei perspicace intendimento. So che qualunque risoluzione sia V.M. per prendere, sarà senza dubbio la più gloriosa al suo nome ed alle sue armi, alle quali prego ed auguro ogni prosperità; onde io tutto di nuovo consacrandomi al suo servizio, ai di lei gran meriti profondamente mi inchino. Pre,2330:T5,1,10 La risposta alle lettere di consiglio può essere in due maniere, secondo che si è abbracciato o no il consiglio. Se si è abbracciato: 1. si mostra gradimento del consiglio e se ne rendano grazie; 2. s'esponga come si è abbracciato; 3. ed ultimo si preghi a seguitare le dimostrazioni del suo buon animo con opportuni consigli dove stimerà a proposito. Se poi il consiglio non si è abbracciato: 1. se ne mostri gradimento e si ringrazi; 2. si proponga come non si è abbracciato; 3. se ne adducano i motivi con rispondere alle ragioni proposte in contrario; 4. si preghi la persona che ha scritto a non aversela a male, anzi si dimostri come si desidera che ella seguiti ad esporre con ogni libertà i suoi sentimenti dei quali se ne mostrerà sempre molta stima. Pre,2330:T5,1,11 Esempio di risposta a lettera di consiglio Rendo mille grazie al sincerissimo affetto con il quale V.S. sempre si è compiaciuta di riguardare, come suoi propri, i mei interessi. L'assicuro che graditissima mi è stata la lettera nella quale con tante espressioni del suo buon animo verso di me, mi scrive di giudicare ella a proposito che io abbandoni il servizio. Con tutto ciò, se mi dà licenza di esporre candidamente il mio sentimento, non giudico espediente per ora, l'appigliarmi a siffatta risoluzione. Non posso già negare che non siano prudentissime e gagliarde le ragioni da lei addotte, quali mi sono fatto più volte a ponderare; ma prevalgono in me varie altre, quali spero, debbano far concorrere V.S. nel mio parere. La prego pertanto di riflettere primieramente alle dicerie che infallibilmente si farebbero nel campo al sapersi di questa mia risoluzione, la quale, da molti che non intenderebbero o non vorrebbero intendere la ragione, sarebbe al certo sinistramente interpretata; e poi chi mi assicura d'ottenere in simili congiunture il congedo? E quand'anche l'ottenessi, chi sa quale impressione farebbe nell'animo del Sovrano questa domanda? Onde operando in questa incertezza, parmi che imprudentemente metterei in rischio l'onore mio e la mia fortuna. Sono unico, egli è vero, di casa mia, ma corrono la stessa sorte tanti altri che pure non pensano a licenziarsi. Questa e più altre ragioni, che a miglior tempo riserbo, mi hanno indotto a perseverare nell'intrapresa carriera. Non vorrei che V.S. avesse a discaro se io non seguo per ora i suoi, per altro da me sempre stimati, consigli, dei quali la prego a favorirmi frequentemente accompagnandoli coi suoi comandi, quali procurerò di eseguire con quella puntualità che da me esigono le molte obbligazioni che le professo e per le quali vivo. Di V.S. Pre,2330:T5,1,12 Lettere di ammonizione Veniamo ora all'altra specie di consiglio che è l'ammonizione. Lettera di ammonizione è quella nella quale porgiamo ad una persona un qualche avviso, o acciò da qualche difetto s'emendi, o acciò faccia quanto dal suo dovere si esige. Il proemio si deduca dalla libertà che la persona a cui si scrive sempre ci ha dato di scriverle i nostri sentimenti, o dalla dimostranza di stima ed amore sempre portato alla stessa, lodandone eziandio le doti e qualità, e mostrando dispiacere che in essa vi sia cosa degna di un minimo biasimo. Nella proposizione si esponga il vizio sopra cui cade l'ammonizione; nella confermazione si adducano ragioni prese dall'utile, dall'onesto, dal glorioso e simili, le quali instillino odio contro quel vizio ed amore alla virtù contraria. Si mostri la facilità d'emendarsene, e quanto da quel difetto siano lontani gli uomini più saggi della sua qualità. Si procuri, se si può, di dare la colpa di un tale vizio o all'età, o alla Nazione tra la quale vive, o alle persone meno sagge, con le quali tratta, perché questo servirà a rendere più dolce e meno sensibile l'avviso. Si concluda finalmente la lettera, o chiedendo dalla stessa persona che con pari libertà ci ammonisca, dove stimerà opportuno, o pregandola di gradire l'avviso come effetto di un sincero amore verso di lei. La risposta a lettere di ammonizione si faccia primo, mostrando che questa ci è stata molto cara e rendendone grazie; secondo, promettendo l'emendazione dal vizio, di cui siamo ammoniti; terzo, pregando la persona che ci ha scritto a continuare il suo affetto, dimostrando grande stima dei suoi sentimenti, e protestando eterne obbligazioni alla sincerità del suo compitissimo cuore. Pre,2330:T5,1,13 Esempio di lettera d'ammonizione Stimerei di mancare all'obbligo di sincerissimo amico, quale mi sono sempre professato a V.S., se non procurassi di rimuovere da lei qualunque, anche minimo, neo che possa offuscare la stima, in cui ella è appresso tutti. Per voce qui sparsa, ho inteso che ella passa bene spesso le notti intere nel gioco con perdita non solo del tempo, ma di somme ancora considerabili. Io voglio credere che la relazione sia, come suole essere, esagerata; con tutto ciò, perché purtroppo è facile il lasciarsi sedurre da spensierati amici, per questo amo meglio eccedere nel mio dovere con una importuna ammonizione, che mancare allo stesso con un nocivo silenzio. Prego pertanto V.S., se ciò è vero, di riflettere al pregiudizio che da questo può nascerne al suo buon nome, ed a porvi, quanto prima, il dovuto riparo, tanto più che se ella si inoltrasse in vizio sì fatto, potrebbe giustamente temere, come l'esperienza lo insegna, in breve tempo la rovina della sua sì accreditata Famiglia. So che ella è fornita di sì buon senno, che ben conoscerà l'importanza dell'ammonizione, onde sperandone l'emendazione, starò attendendo i suoi comandi, ed intanto umilmente riverendola, mi confermo di V.S. Pre,2330:T5,1,14 Lettere di domanda Lettera di domanda Lettera di domanda è quella nella quale domandiamo qualche cosa per noi o per altri. Il proemio può prendersi o dalla persona a cui si scrive, o da quella che scrive. Dalla persona a cui si scrive, si prende con introdursi dalla di lei compitezza in favorire, liberalità in donare, genio in beneficare; da quella che scrive, si deduce con introdursi dalla rimembranza di favori già ricevuti, dall'obbligo e desiderio di stringersi in servitù, dall'amicizia o parentela, ecc.. La proposizione si faccia con esporre la domanda di ciò che bramiamo. La confermazione deve addurre ragioni che persuadano il concedere quello che si domanda, e queste sono per parte di chi è richiesto, la possibilità, la facilità, l'onore, la remunerazione che ne riceve o riceverà. Per parte di chi richiede, la grandezza del beneficio, l'obbligazione o memoria che ne avrà, la necessità in cui si trova; quali ragioni si devono esporre con termini cortesi, piacevoli e rispettosi. La conclusione mostri speranza e fiducia nella gentilezza della persona a cui si è scritto, e prometta gratitudine e memoria del favore. La risposta si prenda primo, dall'obbligo o desiderio di servire la persona che richiede, o dal gradimento della richiesta, o dalla dimostranza di pronta ed accurata servitù; secondo, dalla esecuzione o concessione della cosa richiesta; terzo, dalla esibizione a servizi maggiori. Che se non si è potuto corrispondere alla domanda fattaci, l'ordine della risposta sarà: 1. mostrare il desiderio che si aveva di corrispondere alle di lei brame, e con quanto calore si è procurato di farlo; 2. esporre e dimostrare le difficoltà e ragioni che hanno reso inutili le nostre diligenze; 3. esprimere quanto sia il nostro dolore per non aver potuto compire alle di lei brame; 4. pregarlo a continuare i di lei comandi, sperando di dover riavere miglior sorte in occasione di altre richieste. Pre,2330:T5,1,15 Esempio di lettera di domanda Il compitissimo genio di V.S. in compiacere chi la supplica delle sue grazie, mi spinge a porgerle, accompagnata dai miei devotissimi ossequi, un'umile mia richiesta. Restando ora, per la morte del Sig. Cavaliere N. vacante la di lui carica, sono consigliato e quasi astretto dai miei amici a fare le mie parti per giungerne al conseguimento. Io però non avrei avuto l'ardire di porre in essa la mira, se la speranza della di lei protezione non mi avesse data la spinta. Imperocché avendo io già in altre occasioni avute chiare prove della protezione di V.S. in promuovere i miei interessi, non ho luogo a tenerla sì aliena dall'aiutarmi; e però ho voluto prendermi questa libertà di pregare V.S. ad impiegare verso il Principe le sue efficaci intercessioni a mio favore. Una sola parola detta dalla S.V. in buona congiuntura può recare alla mia famiglia un gran vantaggio, ed aprire alla mia fortuna un gran passo. So che più altri, aspirando al medesimo posto, adopereranno ogni industria per ottenerlo; ma se avrò l'onore e la sorte del suo patrocinio, non mi recano timore i pretensori. Tanto mi prometto dalla gentilezza di V.S. alla quale vivrò vieppiù legato in debito d'obbligazioni ed in ossequi di servitù, onde io, per non raddoppiarle con la lunghezza di questa mia l'incomodo, finisco con dedicarmi di V.S. Pre,2330:T5,1,16 L'affetto che io professo a V.S. ed il desiderio grande dei suoi vantaggi, mi spingono a porgerle un sincero sentimento. Ho inteso che ella ha risoluto d'appigliarsi al partito delle armi. Io per me sarei di parere che a tutt'altro impiego ella si determinasse; ben ella sa quanto fiacca e delicata sia la sua salute, onde non potrà certamente resistere alle fatiche e disastri della vita guerriera; aggiunga il disgusto che ne avrebbe il vecchio suo padre, a cui troppo dolerebbe la lontananza dell'unigenito suo, in un continuo rischio della vita. Prego V.S. a gradire ed insieme (mi permetta che a tanto m'inoltri) a seguire questo mio sentimento suggeritomi da quella lunga servitù con la quale sono sempre vissuto e vivo. Pre,2330:T5,1,17 Lettere di raccomandazione e di offerta Lettera di raccomandazione Benché la raccomandazione sia una specie di domanda, e perciò contenuta sotto i precetti dati circa la lettera antecedente, con tutto ciò l'essere questo un ufficio da praticarsi frequentemente, pare che esiga che se ne tratti a parte. Lettera dunque di raccomandazione è quella nella quale si raccomanda ad alcuno un qualche negozio o qualche persona. Il proemio, oltre il già detto nella lettera di domanda, può farsi o dallo scusare la troppo frequenza in dare incomodi, o da indispensabile necessità di passare un ufficio di convenienza per una persona da noi dipendente, oppure di noi benemerita, o dal pigliare volentieri ogni occasione per rinnovare l'amicizia, o servitù verso la persona a cui si scrive. La proposizione sia il proporre il negozio che si raccomanda, oppure esporre la richiesta o il desiderio che le sia raccomandata la persona di cui si tratta. Nella confermazione, se è di un negozio, se ne mostra l'importanza, le conseguenze, l'utile, l'onore, la facilità di conseguirlo, il torto che ci si fa, ecc. Se poi è di qualche persona, i motivi possono prendersi o dalla persona che si raccomanda, considerandone le virtù, i costumi, le ricchezze, le dignità, le dipendenze, la nobiltà, l'abilità, ecc., o dalla persona che raccomanda, esponendo la cagione che la muove, la stima che farà del favore, la parte che avrà dell'obbligazione, ecc., o dalla persona a cui si raccomanda, lodandone le inclinazioni, la bontà, la gentilezza, la liberalità, la giustizia, la clemenza o altre prerogative che secondo la qualità della raccomandazione possono cadere in acconcio. Pre,2330:T5,1,18 Nella conclusione si rinnovino le istanze con assicurare la persona a cui si scrive, che si risguarderà il beneficio come fatto a noi, e che gliene conserveremo con la persona raccomandata, obbligazioni, offrendoci a riconoscere con la nostra servitù il ricevuto favore. Ma perché spesse volte la raccomandazione o si fa per usanza, o ci viene estorta dall'altrui importunità, in tale caso si pongono nella lettera certe clausole che non obblighino il personaggio a cui si scrive, se non a quanto gli piace; come per esempio: non ho potuto scusarmi dal raccomandare a V.S. Ill.ma il Sig. N. che si porta per i suoi affari a codesta città, le sarà da esso esposto in che brami la di lei protezione, nella quale giustamente molto confida. Sarà giudizio di V.S. il deferire quel che si convenga, sì a questo mio ufficio, sì alla persona che le si presenterà. Intanto avrà questa mia servito, se non altro, almeno a rassegnarle la mia antica servitù con la quale vivo, ecc. La risposta alle lettere di raccomandazione si faccia come l'accennata nelle lettere di domanda, se non che può aggiungersi qualche commendazione della persona raccomandata. Pre,2330:T5,1,19 Esempio di lettera di raccomandazione Se con la frequenza degli incomodi vengo ad essere importuno con le mie lettere a V.E. ne dia la colpa non tanto al mio ardire, quanto al compitissimo genio di favorirmi, che ella si è sempre compiaciuta mostrarmi; ogni ragione di convenienza mi mette in necessità di raccomandarle il Signor N. che dovendosi portare a codesta corte, spera nella protezione di V.E. ogni sua fortuna. Io non mi sarei presa questa libertà, se le rare qualità e virtù dello stesso Signore, come sono state a me uno stimolo per rendergli questa giustizia, così non portassero seco il merito delle sue grazie. Assicuro V.E. che nessuna gli manca di quelle parti che gli possono dare lustro ad una persona ben nata, o si riguardi la saviezza nel discorso, o l'affabilità del tratto o la nobiltà del casato; il che congiunto con la inclinazione che ha V.E. di favorire chi a lei ricorre, mi fa sperare che sia ella per compiacere con la solita gentilezza le mie richieste, e promuovere i vantaggi della persona che con ogni più viva espressione le raccomando. V.E. si persuada che ogni ufficio che ella per esso impiegherà, sarà per me un nuovo accrescimento d'obbligazioni, ed al detto Sig. un eterno impegno di servitù. So che farei torto all'animo gentilissimo di V.E. se prolungassi le istanze, e però mentre ne attendo le grazie, la prego altresì dei comandi per potere pienamente dimostrare che sono, ecc. Pre,2330:T5,1,20 Lettera di offerta La lettera di offerta è quella con la quale offriamo la nostra opera e servitù, o un nostro dono a qualche persona; e però se sarà offerta di noi stessi, il proemio si prenda dai vincoli di benevolenza, d'obbligazione, di dipendenza, di servitù che si professa alla persona a cui si scrive. La proposizione esponga l'offerta che noi le facciamo della nostra opera, forze, facoltà secondo l'occasione che si presenta. Nella confermazione si adducano espressioni di affetti che dimostrino essere senza riserva, e con ogni sincerità la nostra offerta. Nella conclusione si preghi la stessa persona a mostrare, col servirsi di noi, gradimento della offerta fattale. Se poi l'offerta è di un qualche dono, il proemio si prenda dall'ardire e libertà che ci prendiamo, o dal desiderio mostrato dalla persona a cui si scrive, o dalla novità o rarezza od altro pregio di quel dono. Nella proposizione si esponga il dono che si offre. Nella confermazione si adducano i motivi che ci hanno indotto a quella offerta presi o dalla nostra osservanza, o dalle obbligazioni, o dal desiderio di incontrare il genio della stessa persona, la quale nella conclusione si preghi a gradire il dono fattole, come quello che riceverà dalla sua accettazione il maggiore suo pregio. La risposta all'offerta della persona sia: primo, gradirla e renderne grazie; secondo, promettere di prevalersene nelle occasioni, mostrandone stima; terzo, con formule espressive di cortesia, d'obbligazioni, esibirsi a compiacere e servire in ogni tempo la persona che ha scritto. Che se l'offerta è stata di un dono, sia la risposta: 1. gradirlo, come sopra e renderne grazie; 2. promettere che si godrà o conserverà come un pegno dell'amore della persona che l'ha mandato; 3. professarne obbligazioni e memoria. Pre,2330:T5,1,21 Esempio di lettera di offerta Se non sapessi quanto V.A. sia compita in gradire gli ossequi dei suoi servitori, temerei questa volta che la mia devotissima osservanza dovesse parerle troppo ardita. Mi fu nei giorni addietro donato un cavallo d'Ungheria degno per le rari sue parti di un migliore padrone. Ora questo mi prendo io la libertà di offrire ed inviare a V.A. La speranza di incontrare con questo il genio di V.A. mi ha animato a prendere quest'occasione, per porgerle anche da lungi un contrassegno dei miei reverentissimi ossequi. Prego V.A. di gradire con la grandezza del suo animo la picciolezza del mio dono, quale dalla di lei accettazione riceverà il maggiore suo pregio; e mentre ciò spero dall'innata sua cortesia, supplicandola dei suoi comandi, le bacio umilmente le mani. Pre,2330:T5,1,22 Lettere di querela, di scusa, di credenza Lettera di querela Lettera di querela è quella nella quale ci lamentiamo con qualche persona per qualche mancamento od offesa fattaci contro ragione. Nel proemio si esponga come non ci sarebbe mai venuto in pensiero che la persona a cui si scrive avesse una volta a mancare o agli uffici di una vera amicizia, o agli obblighi del suo impiego, o alle leggi della civile onestà. Nella proposizione si esponga l'offesa ricevuta. Nella confermazione si mostri per una parte di non credere totalmente alle relazioni avute, ma per l'altra si rammemorino con modestia i nostri meriti verso di lei. Nella conclusione o si richieda la stessa persona a dichiararsi di che animo voglia per l'avvenire essere verso di noi, oppure se gli intimi che, dove con una giustificazione o soddisfazione non si purghi da quanto gli si oppone, non aspetti più quelle dimostrazioni di singolare affetto usatele per l'avanti. Pre,2330:T5,1,23 Esempio di lettera di querela Io non mi sarei mai creduto che da una persona a cui da lungo tempo vivevo legato da vincoli di una sincera osservanza, dovessi poi riceverne disgusti ed offese. Con mio inesplicabile risentimento ho udito riferirmisi, come in un'onorata conversazione, la S.V. ha parlato di me con parole di mio dispregio; sicché ad altri che come Ella non mi appartenevano, è convenuto prendere le mie difese. Sa bene Ella quanto io sia sempre stato fedele in impiegarmi per i suoi vantaggi ed in mantenere inviolate le leggi di una cordiale amicizia. Mi sia lecito dirlo non per vanto di ben impiegati uffici, ma per sfogo di un giusto risentimento. Io per compiacerla, non ho risparmiato passi e fatiche, intrattenendomi a suo favore ora presso il Principe, ora presso altri, dove l'occasione ed i suoi interessi lo portavano, ma speravo dal suo animo ben altra ricompensa, che mormorazioni ed offese. E però dove Ella non si discolpi con qualche giustificazione, da quanto mi è stato riferito, né aspetti più altro da me Ella quelle mostre di singolare affetto usatele finora, e si persuada che più non le sarò quale per il passato mi pregiavo di essere di V.S. Pre,2330:T5,1,24 Lettera di scusa Lettera di scusa è quella nella quale scusiamo noi o altri di qualche cosa, come sarebbe d'aver tardato a scrivere, d'un fallo avvedutamente commesso. Il proemio può dedursi dalla bontà e clemenza della persona a cui si scrive, o dal rammemorare la nostra osservanza e servitù verso la stessa, o dal deplorare la sfortuna del nostro affetto ed ossequio. Nella proposizione si esponga il fallo che ci si oppone. Nella confermazione o si attribuisca il fallo all'inavvertenza, al caso, alla scarsezza del tempo, alle occupazioni, indisposizioni, ecc. oppure ingenuamente confessandolo, se ne chieda il perdono, o considerandone le circostanze, procurandone di sminuirlo. Nella conclusione si prometta o maggiore fedeltà nell'avvenire, o maggiore avvertenza, e si mostri confidenza nell'amorevolezza e bontà della stessa persona che sia per smentirlo, pregandola di darcene coi suoi comandi il contrassegno. Pre,2330:T5,1,25 Esempio di lettera di scusa Ho letto nei dolci lamenti di V.S. nell'ultima sua la sfortuna della mia devotissima osservanza che, mantenendosi per altro nel suo primiero fervore, comincia a parerle rattiepidita. Non ho risposto, egli è vero, e ben me ne spiace, alle due sue lettere con le quali con sommo mio piacere mi ha onorato. Ma la colpa non è mia, ella è tutta delle straordinarie occupazioni che nello scorso mese mi hanno oppresso, non che aggravato, sopraggiunte poi da una indisposizione che mi ha obbligato per qualche giorno al letto. Per altro sappia V.S. che l'ambizione che ho di spesso rinnovarle i miei ossequi, mi mette in rischio di farmi reo piuttosto di molesta importunità che di un ingrato silenzio. La prego pertanto di scusare il passato mio necessario silenzio, stato certamente di maggior pena a me, che di disgusto a lei. E per meglio accertarsi dell'antico mio animo verso V.S., mi onori dei suoi comandi e scorgerà che coll'opera e con la pena, doppiamente le tributerò i dovuti miei rispetti, dimostrandomi quale sinceramente mi professo di V.S. Pre,2330:T5,1,26 A questo genere di lettere si riducono quelle di giustificazione, nelle quali ci discolpiamo di qualche fallo appostoci, introducendosi dalla nostra fedeltà in servire o dal nostro inviolabile affetto, adducendo ragioni che mostrino la nostra innocenza, e pregando a deporre il concetto formato contro di noi. Pre,2330:T5,1,27 Lettera di credenza Le lettere di credenza o credenziali sono quelle che dai Principi e Signori si scrivono, qualora mandano qualche persona a risiedere o trattare negozi a loro nome in qualche luogo. In queste: 1. si dia notizia della qualità della persona che si manda con qualche sua lode; 2. si faccia istanza che le sia prestata intera fede, quale si darebbe a noi medesimi. Alla persona poi che si manda, si diano in iscritto le istruzioni necessarie circa i negozi che si devono trattare, circa le maniere con le quali si deve regolare, circa le persone delle quali può fidarsi, ecc. Pre,2330:T5,1,28 Esempio di lettera credenziale Ho eletto il Sig. Cav. N., persona di approvata prudenza e fede, perché tratti costì con V.A. i consaputi negozi. Prego V.A. di ascoltarlo cortesemente, e credergli non altrimenti che se io stesso le parlassi. Io approvo fin d'ora e mi sottoscrivo a quanto V.A. unitamente con esso stabilirà; con che pregandole ogni felicità, le bacio devotamente le mani. Pre,2330:T5,2 Parte II. Delle lettere di ufficio, ossia di complimento Ufficio si dice quello che ciascuno è tenuto di fare o per legge di amicizia, o per debito di creanza e di cortesia, come sarebbe dare all'amico notizia dei nostri avvenimenti, siano prosperi, siano avversi; rallegrarsi dei di lui beni, pregargli felicità e simili; il che, come tra presenti si fa a voce, così tra lontani per lettere, e sì nell'uno come nell'altro modo si dice con parola spagnola complire, quasi soddisfare queste convenevolezze ed uffici detti parimenti complimenti. In questa sorta di lettere, come mancano della sostanza delle cose, si richiede un particolare artificio di parole, e perciò si procuri bellezza, ornamento e soavità di tale maniera però, che si osservi il decoro, e non si passi in adulazione od affettazione, come purtroppo è pericoloso, dove l'argomento non è che una mera cerimonia. Pre,2330:T5,2,1 Lettera di visita Lettera di visita è quella la quale si scrive al fine di nutrire e conservare l'amicizia tra lontani, siccome con le visite personali si conserva tra vicini. Si osservi in questa sorta di lettere o dimestichezza, o rispetto, secondo quel che richiede o l'ugualità, o la differenza delle persone. Il proemio, se si scrive a persone uguali, si prenda dal dispiacere della loro lontananza o dalla consolazione e piacere che si prova nello scriverle; se a persone superiori, dal desiderio di rinnovarle i nostri ossequi e la nostra servitù. Nella proposizione si esponga con termini cortesi l'ufficio che seco passiamo. Nella confermazione si adducano espressioni di affetto o di rispetto che mostrino quanto si mantenga in voi viva la loro memoria. Può lodarsi il loro merito, virtù e qualità, ed introdursi ragionamento di quelle cose delle quali seco solevano parlare, come sono sanità, interessi, impieghi, etc. Nella conclusione si preghi la stessa persona di favorirci spesso delle sue lettere, offrendoci di servirla in qualunque maniera a noi possibile. Pre,2330:T5,2,2 Esempio di lettera di visita Mi riuscirebbe troppo insoffribile il dispiacere che io provo nella lontananza di V.S. Ill.ma, se almeno con la consolazione che io sento nello scriverle, non procurassi di mitigarlo. Mi dia pertanto licenza che io con questa mia venga a rinnovarle la mia antica servitù, non tanto per tributo dovuto al suo merito, quanto per giusto sfogo all'ossequioso mio affetto. La prego di gradire questi caratteri, con i quali l'assicuro che io le porgo i più vivi sentimenti del cuore. Spero che Ella goda quella perfetta salute che io le desidero accompagnata da ogni felicità. Io, la Dio mercé, sto benissimo, ma se V.S. Ill.ma brama che si faccia maggiore il bene che godo, mi onori dei suoi desiderati comandi, accioché animata con questo pegno del suo amore la mia servitù, possa sempre più far conoscere che sono, e sarò sempre di V.S. Ill.ma. La risposta sia: 1. per mostrare gradimento della lettera ricevuta; 2. per ringraziare della memoria che si conserva di noi, e dimostrare come noi altresì ci sovveniamo spesso della persona che ci ha scritto; 3. offrirle la nostra servitù. Pre,2330:T5,2,3 Lettera di conto Lettera di conto è quella nella quale diamo notizia ad una persona di qualche nostra prosperità o avversità, come sono: nascita di un figliuolo, conseguimento di dignità, vittoria riportata, termine di un viaggio, morte di un congiunto e simili. Quando si dà conto di una prosperità, il proemio si prenda o dall'affetto o dalla servitù o dalla parentela. Nella proposizione si esponga il caso prospero, attribuendolo o alla divina Bontà o alla beneficenza del Principe o ad altro autore. Nella confermazione si adducono espressioni della nostra volontà, devozione e dipendenza proporzionate al caso di cui si dà conto. Nella conclusione si esponga come la maggiore consolazione, che nelle nostre prosperità proviamo, si è la speranza di poter maggiormente servire la persona a cui si scrive. Quando poi si dà conto di una nostra avversità, il proemio sia come sopra. La proposizione esponga con formule espressive di dolore il sinistro caso. Nella confermazione si mostri quanto grande sia il sentimento che abbiamo in sì fatta perdita, persuasi che non debba essere minore nella persona a cui si scrive. Nella conclusione si preghi la stessa persona di favorirci di più della sua protezione, ed a sollevare il nostro dolore non solo con il suo compatimento, ma ancora con i suoi comandi. Si osservi però che in queste lettere non si può accertare l'ordine ed i sentimenti da praticarsi, mentre questi dalla varietà dei casi si variano. La risposta poi sia alla prima una lettera di congratulazione; alla seconda una lettera di condoglianze. Pre,2330:T5,2,4 Esempio di lettera di conto Stimerei non solo di mancare al mio obbligo, ma ancora d'offendere la gentilezza d'animo con la quale V.A. ha sempre goduto dei miei vantaggi se non venissi, come faccio, a darle conto della dignità di Maresciallo oggi conferitami da S.M.. Il riflesso che debba V.A. sentirne quel contento che ha sempre per l'addietro mostrato di ogni mio buon successo, accresce indicibilmente il giubilo del mio cuore, massime che mi fo a sperare che il nuovo posto debba porgermi più frequenti occasioni di mostrare la riverente ed affettuosa mia servitù verso la Reale sua Casa. V.A. me ne anticipi la consolazione con l'onore dei suoi comandi, quali mentre ansiosamente attendo, prego a V.A. ogni felicità e le bacio umilmente le mani. Pre,2330:T5,2,5 Lettere di congratulazione e di condoglianze Lettera di congratulazione Lettera di congratulazione è quella nella quale ci rallegriamo con qualche persona di qualche sua prosperità. Il proemio si prenda dal nostro contento nelle consolazioni della persona a cui si scrive, dal nostro affetto, servitù o congiunzione di sangue. La proposizione esponga il godimento avuto nell'intendere le prosperità della stessa, e la congratulazione che seco ne passiamo. Nella confermazione si esprimano gli applausi comuni: il merito che ne aveva, il bene privato o pubblico che se ne spera. Nella conclusione si preghi a gradire le nostre espressioni, e si augurino sempre maggiori felicità. Pre,2330:T5,2,6 Esempio di lettera di congratulazione Farei troppa violenza e al mio affetto e alla consolazione che io sento nella felicità di V.A., se non unissi ancora io ai pubblici applausi le mie congratulazioni. All'intendere la felice nuova della compita vittoria da V.A. riportata, l'assicuro che ne ho concepito uno straordinario ed incredibile giubilo, non tanto per il vantaggio che ne viene alle sue armi, quanto per la fama che sempre più si acquista il già rinomato suo nome. Godo che sempre più si moltiplichino le di lei glorie ben dovute alla grandezza dei suoi meriti, ed alle prodezze del suo valore. Il Signore feliciti sempre più i suoi disegni e le sue imprese, affinché chi ora tra le battaglie miete sì belle le palme, possa quanto prima distribuire all'afflitta Europa gli ulivi di una tranquilla pace. Gradisca V.A. queste sincere dimostranze di un cuore che le vive schiavo, e mi onori dei suoi comandi, dei quali, pregandola, le bacio riverentemente le mani. Di V.A. Pre,2330:T5,2,7 Lettera di condoglianze Lettera di condoglianze è quella nella quale mostriamo dolore e dispiacere di un'avversità accaduta a qualche persona, e procuriamo di consolarla. Nel proemio si esponga di aver inteso il doloroso accidente della persona a cui si scrive. Nella proposizione si esprima il dolore che se ne è sentito. Nella confermazione si adducano primieramente i motivi che abbiamo di dolercene quanto e più d'ogni altro, presi o dall'affetto ed amicizia, o dal danno privato o pubblico, o dai meriti e qualità della persona. Poi si passa a consolare la persona a cui si scrive, prendendone i motivi o dalla stessa persona, come sarebbe dalla di lei virtù, esperienza, dignità, prudenza, fortezza, ecc. o dalla persona o cosa perduta, come sarebbe dalla condizione naturale, dalla fragilità, dalla necessità, dai casi della vita, dal lasciare di sé gloriosa memoria. Si concluda con augurare felicità che ristorino il danno passato, esibendoci pronti a concorrervi ancora noi con la nostra opera e servitù. Pre,2330:T5,2,8 Esempio di lettera di condoglianze Non poteva trafiggermi il cuore colpo più doloroso della morte del Sig. Conte suo padre. Protesto a V.S. Ill.ma che tale afflizione mi sorprese a codesta nuova, che anzi di porgere a V.S. il conforto, avevo bisogno di riceverlo. Ed infatti se una tale perdita è giustamente compianta da tutti, quanto più deve esserla da me, privo di uno dei più sinceri amici e padroni che avessi. Ed il dolore che ne sento, mi si raddoppia, riflettendo al molto più che di ragione ne deve sentire V.S. Ill.ma, priva di un padre di tanto decoro alla sua famiglia. Altro conforto io non so proporre a me stesso, e suggerire a lei che quello di una invitta sofferenza, ricevendo il colpo dalla mano di Dio, che può e vuole a suo talento disporre delle umane vicende, massime che la gloria immortale che il Sig. Conte ha acquistata al suo nome, farà sì che al dispetto della morte seguiti a vivere nella memoria dei posteri. Anzi al vedere sì bene ricopiate nel figlio le virtù del padre, vo lusingando il mio dolore, considerando nel figlio, quel sì stimato mio Signore che riverivo nel padre, e mentre le prego contraccambiate con mille felicità le sue afflizioni, mostri V.S. Ill.ma di riconoscermi coi suoi comandi, quale al Sig. Conte vivevo. Pre,2330:T5,2,9 Lettere di ringraziamento e di augurio Lettera di ringraziamento La lettera di ringraziamento è quella nella quale rendiamo grazie ad una persona per qualche beneficio o piacere ricevuto, promettendone gratitudine d'animo e d'effetti. Il proemio si prenda dalla magnificenza, cortesia, liberalità del benefattore, o dalla necessità di ringraziamento e nostra insufficenza di farlo secondo il merito del beneficio. Nella proposizione si esponga il beneficio ricevuto. Nella confermazione si mostri quanto ci sia stato gradito, procurando di ingrandirlo o considerandolo in se stesso, e con le sue circostanze o per rispetto alla persona che ce l'ha fatto, con quale animo, con quale prontezza, con quale singolarità d'affetto, ecc. o relativamente a noi, mostrandone il desiderio, il bisogno, la soddisfazione, l'utile, ecc. Se ne prometta gratitudine, obbligazione e memoria. Si faccia alla stessa persona un'offerta della nostra servitù, pregandola a continuarci la sua benevolenza e protezione, etc. Pre,2330:T5,2,10 Esempio di lettera di ringraziamento Si vanno di tale fatta accrescendo le obbligazioni mie verso la R.A.V. che poco ormai mi resta a rimanerne oppresso dal peso. La dignità della quale V.A. si è compiaciuta onorarmi, ella è un beneficio sì grande, che, come non avevo merito per riceverlo, così non ho formule per esprimerlo. Ma questo appunto è il proprio degli animi grandi, pari al suo, beneficare con tale magnificenza che il beneficato si scorga per una parte colmo di grazie, ed incapace per l'altra di renderle. Nulla di meno per compire, se non a quanto devo, almeno a quanto posso. Ringrazio umilissimamente l'A.V. di così segnalato favore, quale non posso più giustamente riconoscere, che con protestarne in me e nella mia famiglia eterna obbligazione e memoria. Prego intanto V.A. di continuarmi il favore della R. sua protezione, ed a far sì che i suoi benefici, come sono in accrescimento del mio onore, siano altresì in aumento del suo servizio, acciò e col ricevere grazie e con l'eseguire i comandi, possa doppiamente conoscere di V.A.R. Pre,2330:T5,2,11 Lettere di augurio e di buone feste e di buon capo d'anno Tutto che paia che questa lettera appartenga a quella di visita, con tutto ciò il grande uso, in cui e l'adulazione e la consuetudine l'hanno messa, fa che se ne parli in particolare. In queste lettere dunque si prega a qualche persona prosperità o nelle feste che corrono, o nell'anno che comincia. Il proemio può dedursi dal prendere noi volentieri ogni occasione per rinnovare il nostro ossequio alla persona a cui si scrive. Nella proposizione si esponga l'augurio che le facciamo di felicità in quelle feste, o in quell'anno, ed in molti altri appresso. Nella confermazione si dimostri di averci a ciò indotto non l'usanza, che corre, ma il merito della stessa persona o l'obbligo, dipendenza, o affetto nostro verso la stessa. Nella conclusione si preghi la medesima a gradire questo nostro ufficio, ed a porgere ancora a noi materia di contento con la frequenza dei suoi comandi. Pre,2330:T5,2,12 Esempio di lettera di augurio di buon capo d'anno Farei troppo torto alla servitù che professo a V.S. Ill.ma, se non mi prevalessi di ogni occasione per ricordarle la mia devota osservanza. Vengo pertanto a pregarla nell'anno prossimo di cominciare quelle maggiori felicità che si devono alla grandezza del suo merito, e può desiderarle la sincerità del mio ossequio. Prego V.S. Ill.ma di gradire questo mio ufficio suggeritomi dalle obbligazioni che le professo, non dall'usanza che corre. Ella altresì mi favorisca di moltiplicare a me i contenti con la frequenza dei suoi comandi, giacché quelli solo metto in conto di anni fortunati, nei quali ho maggiori occasioni di mostrare con gli affetti che sono di V.S. Ill.ma. Pre,2330:T5,2,13 Lettere miste, lettere in cifre Della lettera mista Lettera mista è quella nella quale non si parla di un argomento solo, ma varie cose si trattano. Poiché spesse volte avviene di condolersi e consigliare, di ragguagliare e domandare, di ammonire e fare offerta e simili, secondo la varietà delle occasioni; ma di queste lettere non occorre dire altro, se non che agli argomenti che in esse si trattano, si applichi ciò che di ciascheduno di essi si è detto in particolare. Si avverta però che trattandosi in una sola lettera diverse materie, l'ordine e chiarezza portano che quelle si distinguino per capi separati l'uno dall'altro. Pre,2330:T5,2,14 Esempio di lettera mista Il rammarico grande che avevo sentito nel mio animo per la malattia di V.S. Ill.ma, mi si è cambiato in altrettanta consolazione alla nuova della sua salute recuperata. Ella pertanto si contenti che per mezzo di una sincera congratulazione gliene dimostri con la penna il giubilo del mio cuore, il quale tanto mi pare più dolce, quanto era maggiore la sollecitudine che, cagionatami dal di lei pericolo, non mi permetteva un momento di quiete. Il Signore le conceda di potersi quanto prima rimettere nelle antiche sue forze per bene non solamente suo, ma mio ancora e di tutti. Ma perché temo che l'aria di codesta città poco si confacci alla salute di V.S. Ill.ma, io sarei di parere che ella, almeno per qualche tempo, la cambiasse con questa nostra; né questo è sentimento di me solo, ma di quanti altri le vivono affezionati servitori. Spero che la facilità del rimedio debba animarla ad accettarlo, pregandola di riguardare nella propria conservazione il pubblico bene. Quando Ella accetti il consiglio, come mi giova sperare, la prego di non prevalersi di altra casa che della mia, tutto che albergo inferiore al merito della sua persona, allora potrò con la servitù personale dimostrarle la sincerità e l'affetto delle mie brame che, non avendo altro scopo che la perfetta salute di V.S. Ill.ma, portano un giusto merito d'essere esaudite, e mentre ne attendo l'onore, le faccio umilissima riverenza. Pre,2330:T5,2,15 Delle lettere in cifre Per riparare a quei danni che possono di leggieri avvenire dallo scoprirsi per mezzo di lettere intercette gli occulti disegni, si sono inventate e dagli antichi e dai moderni varie maniere di scrivere con cifre, sicché non possano le lettere intendersi, se non da chi ha la contracifra e con cui si possa di concerto. Sotto nome di cifra non s'intende quello scrivere che, in una lettera ordinaria, può farsi nello spazio interlineare con certe acque che non fanno alcun segno, ma poi o col bagnarsi o coll'appressarsi al fuoco, le lettere appaiono. Cifra propriamente è una scrittura fatta o con alterazione dei caratteri della nostra, o altrui lingua, o con aggiunta di ponti e di altre figure, o con segni di nuovo immaginati, o per via di figure numerali, o con tutte queste cose confuse e frammischiate assieme. Sogliono alcuni, per rendere più difficile la cifra, frammischiare ai segni e lettere significative, segni morti e non significativi. Una cifra assai bella si è scrivere una lettera di nessuna importanza, e segnare nel corpo di essa, con minutissimi punti, quelle lettere che si hanno da levare nella cifra, le quali raccolte assieme vengono a dichiararla. Il che come si fa coi punti, così si potrebbe anche fare con finire quella lettera che si ha da levare. Nello scrivere per mezzo di cifre, si osservi di scrivere più in breve che sia possibile, perché quanto sarà meno lunga la lettera, tanto sarà più difficile da sciogliersi. Pre,2330:T5,2,16 Lettere di domanda e di offerta Lettera di domanda La innata gentilezza di V.S. in favorire chi la richiede delle sue grazie, mi spinge a porgerle con ogni libertà un incomodo. Mi trovo in necessità di una sfera e di un globo terrestre quali, qui non si è potuto trovare; la prego a fare costì le sue diligenze per farmeli avere con avvisarmi allo stesso tempo del prezzo. Spero che dalla cortesia sua avrò questro favore, per il quale gliene resterò sommamente obbligato. Veda intanto in che posso incontrare il suo genio e mi comandi. Di V.S. Pre,2330:T5,2,17 Risposta a lettera di domanda Tante sono le obbligazioni che io professo a V.S., che per sminuirle altro non desidero, se non occasioni d'impiegarmi ai suoi vantaggi. Sia pertanto certa che circa la richiesta fattami, tutto mi impegnerò, perché si adempiano le sue brame. Parlerò alla prima occasione col nostro Sovrano, e sono persuaso che il di lei merito, siccome è a me di spinta per raccomandargliela, così sarà al Principe d'efficace motivo per consolarla. Veda V.S. intanto in quale altra cosa possa io servirla, e s'assicuri che tale sempre verso di lei mi mostrerò, quale mi sottoscrivo. Pre,2330:T5,2,18 Risposta a lettera di domanda Quanto viva io bramoso di servire V.S. non fa d'uopo che io mi sforzi a dimostrarlo a chi, in ogni occasione offertami, l'ha provato, ma questa volta sono costretto a deplorare non meno deluse le mie brame, che defraudato il suo merito. La carica, di cui Ella mi scrive, è stata l'altro ieri conferita dal Principe al Sig. Marchese N., con che mi viene tolta la consolazione ed il piacere che avrei avuto in adempire la sua richiesta. Mi spiace sommamente di questa, fui quasi per dire, più mia che sua sventura, onde ella, per mitigarne in qualche parte il dolore, mi porga coi suoi comandi qualche altra occasione, nella quale avendo, come mi giova sperare, una sorte migliore, possa sempre più mostrarmi. Pre,2330:T5,2,19 Esempio di lettera di domanda Effetto di una riverente servitù si è non meno eseguire comandi che il porgere suppliche. Onde esercitandomi V.A. di rado circa il primo, mi appiglio io arditamente al secondo. Il Sig. N. Capitano nel reggimento delle sue guardie, a cagione di qualche indisposizione sopravvenutagli, bramerebbe da V.A. il congedo. V.A. sa quanto sia stato sempre fedele nel suo servizio e zelante della sua gloria. Né penserebbe ora a licenziarsi, se non lo mettessero in una tale necessità la infievolita sanità e l'età già avanzata; anzi fidato io nei di lui meriti, e molto più nella generosità e beneficenza di V.A., mi faccio di più a pregarla di conferirle qualche altro impiego, nel quale possa godere l'onore delle sue grazie e l'utile del ben servito. Tanto spero nella gentilezza di V.A. che quanto merita di essere da ognuno servita etc. Pre,2330:T5,2,20 Esempio di lettera di offerta Le obbligazioni innumerabili che io professo a V.A.R. mi fanno vivere in una giusta impazienza di consacrarmi tutto al suo servizio, e perciò mi do l'ardire di venire con questa mia ad offrirle la mia persona bramosa di vivere sempre ai suoi e per i suoi vantaggi. Le occasioni che dalla presente guerra si offrono, quanto mi fanno invidiare la sorte di chi attualmente la serve, altrettanto mi accrescono le brame. Prego la V.A.R. di compiacere questi miei desideri che mostreranno la loro sincerità con l'esattezza dell'opera. Tanto mi giova sperare da quella gentilezza d'animo con la quale si è degnata di riguardarmi finora; ora mentre ne attendo la grazia, le bacio riverentemente le mani. Pre,2330:T5,2,21 Lettere di querela, di scusa, di ringraziamento Esempio di lettera di querela Non mi sarei mai creduto che il mio affetto verso V.S. dovesse incontrare sì poca corrispondenza. Mi è riuscito quanto inaspettato, altrettanto spiacevole l'intendere che V.S. non si è compiaciuta favorirmi di quanto l'avevo, giorni or sono, istantemente pregata. Non era poi sì malagevole l'impresa, che se sono state finte le espressioni finora fattemi del suo affetto, non dovesse abbracciarsi per far piacere a chi finora ha procurato di servirla in ogni cosa. Non ho già io ricevuto risguardi simili nelle molte occasioni presentatemisi dei suoi vantaggi. La ragione che V.S. ne adduce tanto, non ha forza presso di me, che anzi mi fa conoscere non già potuta, ma non voluta concedere la grazia. E però se tutt'altro motivo l'ha indotta, come mi giova sperare, mi farà piacere significarmelo, acciò sappia quale sia il di lei animo verso di me, e se debba io mostrarmi quale finora mi sono mostrato. Pre,2330:T5,2,22 Esempio di lettera di scusa Egli è pure sfortunato l'ardentissimo desiderio che ho di impiegarmi ai suoi vantaggi. La richiesta che V.S. si è compiaciuta di farmi, mi ha colto fra tali e tante occupazioni che con grande mio dispiacere non ho potuto eseguirla. Il rammarico che io ne sento, crescerebbe a dismisura, se non confidassi nella sua gentilezza che, nonostante la mancanza dell'opera, sappia per questa volta gradire la sola prontezza d'animo. Spero che, quanto prima, sarò in libertà di adoperare tutto me ai suoi cenni; onde la prego di moltiplicarmi il favore dei suoi comandi, acciò rimediando alla passata impotenza, con raddoppiata servitù possa farle conoscere che seguito sempre ad esserle. Pre,2330:T5,2,23 Esempio di lettera di ringraziamento La singolare beneficenza di V.S. Ill.ma come mi mette in necessità di venirle a rendere infinite grazie, così vorrei che mi desse ancora la maniera di poterlo fare, secondo il merito del beneficio. La dignità che Ella si è compiaciuta, contro ogni mio merito, conferirmi, è un grande favore che, quanto fa spiccare la di lei magnificenza, altrettanto opprime la debolezza delle mie forze. La preferenza che Ella ha fatto della mia persona sopra le altre molte che aspiravano alla medesima carica, siccome accresce il pregio del beneficio, così mi addossa il peso delle obbligazioni. Io gliene rendo quelle maggiori grazie che posso, e le protesto che vorrei che queste mie devotissime espressioni corrispondessero ad una parte almeno del mio debito; ma giacché altro non posso, l'assicuro che, finché avrò fiato, dureranno in me la gratitudine e la memoria delle sue grazie; e se una riverente servitù mai potesse sminuire qualche particella le obbligazioni che le professo, la prego di alleggerirmi sì fatto peso con i suoi comandi. Intanto si compiaccia di continuarmi la sua benevolenza e protezione, di modo che sempre mi riguardi quale di tutto cuore mi sottoscrivo. Pre,2330:T5,2,24 Lettere di congratulazione e di condoglianze Esempio di lettera di congratulazione Quanta sia stata la mia consolazione nell'intendere la promozione di V.S. alla Sacra Porpora, non ho parole di esprimerla, perché appena ho cuore di capirla. Io vorrei pure porgergliene proporzionate al mio giubilo, ma non possono le espressioni della penna uguagliare il contento dell'animo. Onde è che tutto che la mia allegrezza sia affatto singolare, con tutto ciò non posso, se non spiegarla coi sentimenti universali di tutti che godono di vedere giustamente riconosciuti i di lei meriti. Certo è che non v'è bene che non si debba a chi, con lo splendore di ogni più eccelsa virtù, pare che eclissi la chiarezza di un nobilissimo sangue. Prego il Signore che quando V.E. avrà, non dico ricevuto, ma dato al Sacro Collegio un lungo lustro, ci conceda di vederla a pubblico bene assisa sul Vaticano, acciò abbiamo la sorte di abbassare una volta le nostre labbra ai suoi piedi, come ora riverentemente le appresso alle sue mani, etc. Pre,2330:T5,2,25 Esempio di lettera di condoglianze La nuova recatami della morte del Signor Cavaliere suo fratello ha riempito il mio animo di tale cordoglio che non ho formule sufficienti ad esprimerlo. È stata grande la perdita di V.S. Ill.ma a cui è mancato un fratello di tanto decoro alla sua Casa; ma non è stata forse meno sensibile a me che, per le rare sue qualità, lo amavo come un altro me stesso. L'età ancora robusta, i meriti personali, l'applauso ed il credito in cui era presso tutti, fanno parere tanto maggiore e più dolorosa la sciagura, quanto maggiore e più gloriosa fortuna ci promettevano. Pure ci conviene adorare i divini Decreti e sottomettersi al volere di quel Dio che ci governa. Se con le rare sue prerogative già si era aperta la strada ad una gloria grande su questa terra, ci giova sperare che per l'innocenza dei suoi costumi, già sia entrato nel possesso di un'altra maggiore nel cielo. Questo è l'unico conforto che alleggerisce in gran parte il mio dolore, e questo stesso io suggerisco a V.S. Ill.ma, pregandole dal Signore mille e mille felicità alle quali, se la mia servirtù fosse mai capace di concorrere in qualche parte, ella mi onori dei suoi comandi, ed io impiegando in lei sola i miei affetti ed ossequi, che finora erano divisi col fratello, molto più mi farò conoscere, etc. Pre,2331:S Riflessioni sopra gli atti di fede, speranza e carità, e massime di condotta Di mano Guala. AOMV, S. 2,13,2:331 Pre,2331:T1 Atto di fede Pre,2331:T1,1,1 Credo in Voi Dio Onnipotente, che dal nulla creato avete le cose tutte visibili e invisibili, che Padrone siete Sovrano dell'Universo, e tutto reggete, e governate così che nulla avviene se non per vostra volontà, a cui però tutti dobbiamo essere sottomessi, riconoscendo che Voi potete disporre di noi Vostre Creature, come Vi piace… Credo che Voi siete immenso, e colla Vostra Immensità occupate ogni cosa, epperò siete a noi intimamente presente così che non solo testimonio siete di tutto quel che diciamo e facciamo, ma conoscete ancora tutto quel che pensiamo, e nessun nostro pensiero, o affetto, o intenzione può essere a Voi occulta. Credo e confesso in Voi grandissimo Iddio tre Persone Padre, Figliuolo e Spirito Santo tra loro distinte, eppure in tutto uguali, perché una stessa è in loro la natura Divina, una stessa la gloria e la Maestà, e incomprensibile e sommamente adorabile Unità e Trinità di Dio. Credo che la seconda Persona per noi uomini e per la nostra salute si è incarnata, e fatta Uomo per opera dello Spirito Santo nel ventre purissimo di Maria Vergine avanti il parto, nel parto e dopo il parto, la quale riconosco e venero qual vera Madre di Dio, perché Madre di Gesù vero Dio e vero Uomo. Pre,2331:T1,1,2 Credo che Voi Gesù mio, Unigenito Figliuolo di Dio, avete patito come Uomo, e siate morto sulla croce, che il terzo dì per Divina Vostra virtù siete risorto ad una nuova vita impassibile, gloriosa, immortale, che dopo quaranta dì siete salito trionfante al Cielo, ove regnate per tutti i secoli Signore assoluto dell'Universo, e al tempo stesso siete con noi qui in terra nell'augustissimo Sacramento dell'altare. Credo che al finire del mondo tutti risorgeremo, ripigliando quel Corpo medesimo che ora abbiamo, e che Voi in gran maestà comparirete di nuovo su questa terra come Giudice Supremo per dare ai buoni eterno premio, traendoli a regnare con Voi in Paradiso, e dare ai reprobi castigo eterno precipitandoli coi Diavoli nel fuoco dell'Inferno. Pre,2331:T1,1,3 Credo che prima del giudizio universale farete sopra ciascuno di noi, subito dopo la nostra morte, giudizio particolare, e che l'anima separata dal corpo sarà presentata a Voi, da Voi esaminata, da Voi sentenziata con irrevocabile sentenza, con cui l'anima reproba dannerete al fuoco eterno, e l'anima giusta inviterete al gaudio eterno, seppure sia pura affatto innanzi a Voi, e quando non sia tale la relegherete nel Purgatorio, finché non sia ivi mondata da ogni macchia benché leggiera, e ogni benché menomo debito di pena temporale non abbia scontato colla Divina Vostra giustizia. Credo finalmente la Santa Cattolica Chiesa Romana da Voi stabilita Madre di tutti i fedeli, a cui tutti dobbiamo stare soggetti, e fuori di cui non si può sperare salute. Queste verità, e le altre tutte da Voi mio Dio rivelate, ed insegnate a noi dalla Santa Chiesa Maestra infallibile di verità io le credo perché rivelate da Voi, che né potete ingannarvi, né ingannare, e protesto di volere a qualunque costo in questa fede vivere e morire. Pre,2331:T1,2 Riflessioni sopra la Fede Pre,2331:T1,2,1 I. Sono io grato a Dio per sì gran dono della Fede, principio e fonte di ogni vero bene, senza del quale, come dice l'Apostolo, è impossibile piacere a Dio, e fare cosa che valga la vita eterna, sine fide impossibile sit placere Deo. Che sarebbe di me senza di un tale dono? Ma che merito avevo io mai, perché Dio me lo concedesse? Vedeva egli altro in me che un positivo demerito per l'abuso che ne avrei fatto? Eppure a me lo fece un tale dono a preferenza di tante migliaia di persone, le quali si giacciono miseramente avvolte nelle tenebre dell'errore, epperciò sono fuori della strada della salute. Che bontà di Dio verso di me! Pre,2331:T1,2,2 II. Che conto faccio io di questo dono? Come lo custodisco? Non mi sono mai posto a rischio di perderlo, o dando ascolto ai discorsi degli increduli, o leggendo libri d'irreligione, o tra me ravvolgendo dubbi delle verità rivelate, o temerariamente investigando il come, il perché dei grandi misteri di nostra fede, invece di assoggettare il mio intelletto all'infallibile parola di Dio, che rivela, all'infallibile verità della Chiesa, che c'insegna quel che Iddio ha rivelato? Mio Dio, vi chiedo perdono di quanto io possa aver mancato su questo riguardo, e vi prometto che gelosamente custodirò in avvenire questo inestimabile dono. Mi guarderò da ogni pericolo di perderlo. Crederò umilmente a Voi, e alla Vostra Chiesa. Contro ogni dubbio mi starò fermo a questa sola ragione: Dio l'ha detto, la Chiesa me ne assicura, altro più non cerco, questo mi basta per ogni ragione. Voi colla vostra grazia assistetemi, affinché sempre io sia fermo, e immobile nella mia Fede. Pre,2331:T1,2,3 III. Qual uso faccio della fede? Dio me l'ha data, affinché serva di regola alla mia condotta. Me ne valgo io per disingannarmi delle vanità di questo mondo, e dei piaceri di questa vita? E solo stimare i veri beni, che sono gli spirituali ed eterni? Se io devo regolare colla fede la mia condotta, bisogna che io mi conformi agli esempi ed alle massime di Gesù che la Fede mi propone come unico esemplare ch'io devo ricopiare in me, colla fedele imitazione di sue virtù. Qual tratto di somiglianza con Lui posso io già riconoscere in me? Se devo regolare colla fede la mia condotta, bisogna che la Fede mi serva di scudo con cui resistere alle tentazioni. Se io avessi procurato di aver sempre presenti le verità grandi di nostra fede, avrei mai ceduto al Tentatore. Solo che avessi pensato, Dio è da per tutto, Dio mi vede, ed è testimonio presente di quel che faccio e dico e penso, mi sarei mai indotto a fare cosa alcuna di sua offesa? A regolare colla fede la mia condotta bisogna che dalla fede prenda forza e coraggio a superare qualunque difficoltà che mi si presenti nel servizio di Dio. I Santi Martiri come si sono mantenuti costanti e forti nella fierissima persecuzione, e tra gli atrocissimi tormenti? Colla fede, dice l'Apostolo, che non si fa, che non si tollera da un'anima avvalorata dalla Fede? Pre,2331:T1,2,4 E io se avrò viva fede, mi lascerò più guadagnare dagli umani rispetti? Apprenderò più tante difficoltà? Non vincerò generoso qualunque sia ripugnanza? Mi valgo della Fede per fare santamente le cose sante? Se, quando prego, pensassi che io miserabile Creatura parlo con Dio, e parlo dell'affare premurosissimo della salute, e parlo per ottenere le grazie che mi devono aiutare a ben riuscire in questo affare, pregherei mai con languore e noia? Se quando sono in Chiesa pensassi che sono nella Casa di Dio, alla presenza di Gesù Cristo, come starei raccolto e penetrato di spirito di devozione? Se quando mi dispongo alla Santa Comunione, con viva fede riflettessi che devo ricevere Gesù, con qual fervore mi disporrei a riceverlo? Con qual fervore mi tratterrei con Lui dopo di averlo ricevuto? Mi valgo io della Fede per santificare tutte le mie azioni anche indifferenti? Se le mie azioni sono animate da motivo di fede, tutte sono meritorie di vita eterna. Che copioso acquisto di meriti posso dunque fare anche in un solo dì? Se non ho questo motivo di fede, a nulla mi giova il mio operare, facessi bene cose in sé santissime, tutto è inutile per la vita eterna, e per tale ragione quante gran perdite di meriti ho io fatte fin qui? Pre,2331:T1,2,5 Anima mia, rifletti bene: le opere senza la fede dinnanzi a Dio sono come morte, egli non ne fa verun conto; e la fede senza le opere conformi alla fede, e dalla fede animate, è come morta. Fides sine operibus, ci avvisa l'Apostolo S. Iacopo, mortua est. E uno stato di fede languida e mezzo morta, oh quanto è pericoloso! Questa che è la cagione precipua dei tanti disordini che si deplorano oggidì nel mondo, è pure la cagione ordinaria di tanti miei mancamenti. Nel mondo oggidì poco si crede, perciò tanto si pecca. Io non posso già dire, che manchi positivamente di fede, e non creda le verità che la fede mi propone a credere. Ma come le credo? In una maniera astratta e speculativa, e non pratica. Non ho una fede viva e operatrice che alle occasioni mi presenti le sue massime e mi commuova, e mi ritiri dai mancamenti e mi stimoli alle virtù. Come potrò conseguirla questa fede viva, pratica e operatrice? La conseguirò principalmente coll'uso della quotidiana meditazione; meditando ogni dì, le verità di nostra fede s'imprimono profondamente nello spirito, e alle occasioni tosto si ravvivano, e si presentano alla memoria, e con esse presenti, o come si opera diversamente? Pre,2331:T1,2,6 E che sia così, senza produrre l'esempio dei Santi che con questo esercizio si sono sempre animati ad avanzarsi ognora più nelle vie di Dio, lo posso conoscere dalla mia stessa esperienza. Perché quando alla mattina faccio fervorosa meditazione, come mi sento più portato alla virtù, e quanto mi è facile l'adempimento d'ogni mio dovere? Per contrario quando trascuro questo esercizio della meditazione, nulla più faccio di buono, e invece, oh quanti mancamenti in quel dì, perché non ho più la fede viva. Mio Dio, datemela Voi questa fede viva, pratica, operatrice. Io ben procurerò di renderla tale in me con meditare ogni dì le verità che essa mi propone; ma Voi mio Dio, che ben sapete quanto male io riesca in questo esercizio del meditare, e se pur talvolta vi riesco, quanto facilmente mi dissipo e dimentico le verità meditate, deh per pietà in un con lo spirito di meditazione, degnatevi di accordarmi quello del santo raccoglimento, onde le verità meditate mi siano abitualmente presenti allo spirito, ed io possa con esse regolare la mia condotta, animare e santificare le mie azioni, e a questo modo menare una vita conforme alla Fede che professo. Pre,2331:T2 Atto di speranza Pre,2331:T2,1,1 Signore, se io mi considero quale già sono stato, e quale ora sono dinnanzi a Voi, oh quanti motivi ho mai di temere di me! Vedo i tanti disordini della passata mia vita, per cui sono certo d'aver incorso il vostro sdegno, e di avere meritato i tremendi vostri castighi, e non so se ora Voi siate placato sovra di me, e se mi abbiate perdonato. Vedo che finora ho fatto sì poco per ottenere da Voi questo perdono. Vedo che ancora non sono quale dovrei essere, perché, oh quanto ancora sono inclinato al male, quanto poco propenso al bene! Oh come sono incostante nel vostro servizio! Risolvo e non eseguisco, comincio, e non proseguo; mancamenti moltissimi ogni dì, e in quel poco di bene che faccio, oh quante imperfezioni! Mio Dio purtroppo è così, io sono un pessimo peccatore. Pre,2331:T2,1,2 Ma quantunque così misero io sia, ed abbia tanti motivi di temere molto di me, pure io spero in Voi. Spero che mi darete spirito di compunzione per detestare sovra ogni male le mie iniquità, ed ottenere da Voi il perdono, e una vera e stabile emendazione. Spero che mi darete forza per resistere alle tentazioni. Spero che mi darete orrore sommo a tutto ciò che possa essere di vostra offesa. Spero che mi affezionerete a Voi, alle pratiche di pietà, all'esercizio delle cristiane virtù. Spero che mi assisterete a perseverare costante nel bene. Spero di vivere e di morire in grazia vostra, e così giungere al conseguimento della beata eternità, ove sarò con Voi, e di Voi pienamente pago e contento. Queste gran cose io le spero fermamente da Voi, perché Voi siete un Dio Onnipotente che tutto potete colla vostra grazia. Siano pure vivi gli assalti del Demonio, siano pure gagliardi i movimenti delle passioni, siano sottili gli inganni dell'amor proprio, Voi mi potete dare aiuti di grazia con cui resistere e rimanere vincitore. Qualunque abito per forte che sia, io lo posso distruggere e con la grazia vostra superare qualunque difficoltà. Io sono volubile ed incostante, ma Voi potete colla grazia vostra fissare le mie instabilità. E chi potrà prevalere contro di me, se Voi mio Dio siete in mio aiuto? Se Voi siete con me, non temo nulla, e col nostro Apostolo francamente dirò: Omnia possum in eo qui me confortat. Posso tutto nel mio Dio, che colle sue grazie mi conforta. Pre,2331:T2,1,3 Ma questa grazia, che tutto può, me l'accorderete Voi, mio Dio? Sono certo che sì, perché il vostro Unigenito Figliuolo, e mio amantissimo Salvatore ha sparso tutto il preziosissimo suo sangue, ed è morto sulla croce per meritarmela questa grazia, e Voi, che nulla negare potete a Lui, avete promesso di accordarmela solo che nel nome di Lui io ve la domandi. Di che dunque temerò, avendo a farla con un Dio tutto bontà e misericordia, che sì ardentemente desidera la mia salute, con un Dio fedelissimo nelle sue promesse, la cui parola non può mancare, con un Dio di noi sì amante, che per accordarci le grazie necessarie alla salute non altro aspetta se non che noi le domandiamo. Mio Dio, se è così, come è certamente, non più scoraggiamenti, diffidenze non più. Io spero, e confido fermamente in Voi Dio Onnipotente, in Voi Dio misericordiosissimo, in Voi Dio fedelissimo nelle vostre promesse. Spero che per i meriti di Gesù mi darete grazia di menare una vita veramente cristiana, e di finirla con una santa morte, la quale mi conduca al possesso della beata eredità ricompratami dal mio buon Salvatore col prezzo del Divino suo sangue. In te Domine, speravi, non confundar in æternum. Pre,2331:T2,2 Riflessioni sopra la Speranza Pre,2331:T2,2,1 I. Quale gratitudine professo a Dio per avermi elevato a sperare così gran bene e per avermi fornito di tanti mezzi per conseguirlo? Ringrazio ogni dì il mio buon Salvatore che con tanti patimenti, mi procurò così gran bene? Che sarebbe di me, se Egli non fosse morto per me? II. Questa speranza ha in me quella fermezza che richiede l'Apostolo, paragonandola ad un'ancora che tiene ferma ed immobile la nave contro ogni urto dei venti, e di flutti? Non mi lascio mai agitare dalle diffidenze, riguardando il Paradiso come cosa che non fa per me? Non dico io mai tra me: Lavoro indarno, io non ci riuscirò? Ma Dio mi ha pure creato a questo fine, che io sia in eterno salvo? Mi comanda Egli pure le tante volte di aspirare a questo fine: Gesù Cristo ha pure sparso a questo fine il suo Sangue? È ben vero, ed oh non fosse così, che io con i miei peccati mi sono demeritato così gran bene, e mi sono dipartito dalla strada della salute. Ma Dio comanda pure a chi peccò di sperare in Lui? Protesta pure Dio, che non vuole la morte del peccatore, ma solo che si converta e viva? Gesù è ben morto per le anime peccatrici, e per applicare loro il frutto di sua morte ed i suoi meriti, ha pure instituito il Sacramento della penitenza e remissione dei loro peccati? Perché non spererò di averlo ottenuto, per mezzo di questo Sacramento, il perdono? Pre,2331:T2,2,2 Dubiterò forse dell'effetto del Sacramento per aver mancato delle necessarie disposizioni? Se ho pure chiesto a Dio e ben di cuore queste disposizioni? Dio ha pure promesso di darle a chi gliele chiede. Devo dunque sperare di averle avute, e devo pure obbedire a chi mi dirige, e mi ordina di così sperare? Tanto più che ora già più non sono per grazia di Dio quale ero già una volta. È vero che ancora non sono quale dovrei essere: ma perché non spererò che Dio colla sua grazia compirà l'opera incominciata? E se questa grazia con viva fiducia io gli chiedo, ha pure egli promesso di accordarmela. È vero che ancora mancherò, che già non sono impeccabile, ma se io non lascio gettare radice ai miei mancamenti, ma se con umile sincerità al più presto li accuso, la confessione sarà pure sicuro rimedio ai miei mali, la Santissima Comunione sarà pure di grande aiuto a reprimere le mie passioni, a preservarmi dalle ricadute, e farmi crescere in virtù? La preghiera fatta con fiducia mi otterrà pure tutti gli aiuti che mi sono necessari ad emendarmi, a santificarmi, a perseverare sino alla fine? Colla speranza dunque mi terrò fermo, né mai più mi lascerò abbattere dai timori e dalle inquietudini che mi possono sorprendere, sia per riguardo al passato, sia per riguardo all'avvenire; sperando per riguardo al passato che Dio misericordiosissimo per i meriti di Gesù Cristo mi avrà perdonato; per riguardo all'avvenire sperando che Dio fedelissimo nelle sue promesse mi accorderà in tempo opportuno quelle grazie che mi sono necessarie e che io gli chiederò per i meriti di Gesù Cristo? Pre,2331:T2,2,3 Mi guarderò di più a non secondare quella tentazione che tante volte mi rappresenta, che se non devo temere per parte di Dio, il quale quanto è da sé, mai non nega l'aiuto a chi lo chiede, devo temere tutto per parte mia, che sono sì debole, sì incostante, e sì facilmente manco alla grazia, non chiedendola come si deve, o non cooperando ad essa come si deve, dopo averla ottenuta. No, più non seconderò tale tentazione, perché Dio, il quale mi comanda di sperare da Lui la salute, mi comanda ancora di sperare da Lui i mezzi per conseguirla. Dunque devo sperare che grazie mi compartirà, con cui sostenere e ravvalorare la mia debolezza, con cui fissare la mia incostanza. Dunque devo sperare che tali aiuti di grazia mi compartirà, a cui vede che io coopererò. Dunque devo sperare che grazie mi darà a ben pregare, ed ottenere quel che chiedo. O cara speranza cristiana quanto mi conforti, e mi ricrei nei miei timori! O Dio Onnipotente e Padre misericordiosissimo e fedelissimo nelle vostre promesse, la dolce cosa, che è mai servire a Voi, che per quel poco che io sia per fare in vostro servizio, così gran premio mi promettete, e al tempo stesso tutti i mezzi mi offerite, e tutti gli aiuti necessari per conseguirlo! Amabilissimo mio Salvatore Cristo Gesù, come potrò io bastantemente lodarvi, e ringraziarvi della immensa vostra Carità, che vi indusse a tanto patire, e tutto spargere il vostro sangue per ottenere a me sì gran beni che spero e nella presente vita, e nella beata eternità! Pre,2331:T2,2,4 III. Questa speranza quali effetti deve produrre in me? Deve 1. produrre in me un vivo desiderio del Paradiso. Deve 2. destare in me una grande generosità in adoperarmi e conseguirlo, usando perciò di quei mezzi che Dio mi comparte, ed è sempre disposto a compartirmi. Deve destare in me un vivo desiderio del Paradiso. Non si spera se non quel bene che si desidera, né mai dal desiderio può essere disgiunta la speranza, e quanto è maggiore il bene che si spera, tanto è più acceso il desiderio di conseguirlo. C'è bene che al Paradiso si possa paragonare? Chi è in Paradiso, non ha con sé ogni bene? Non è sicuro di sempre godere di una compiuta felicità? Dunque con quale ardore devo desiderare il Paradiso? E ho io finora desiderato così? Mio Dio, che soggetto di confusione è questo per me! Quanti anni ho trascorsi solo occupato dei beni frivoli di questa terra, e col cuore ad essi tanto attaccato, che li preferiva ai beni eterni, tante volte rinunciando a questi per procurarmi quelli. Quanti anni sono vissuto così, come se fossi creato solo per questa terra, e dovessi avere in essa stabile dimora, senza pensare che qui sono solo di passaggio, e che quando meno me l'aspetto, posso da qui partire per l'eternità. Se ciò mi fosse avvenuto, che sarebbe ora di me, e che ne avrei dei piaceri goduti? Buon per me che ho avuto a farla con un Dio sì paziente e misericordioso, che dopo tanti disgusti da me ricevuti, mi avete di nuovo posto in stato di sperare la beata eternità, e tanti aiuti mi date per conseguirla. Pre,2331:T2,2,5 Ma adesso come la spero? La spero così che desideri veracemente di conseguirla? E quando per ciò prego Iddio, come Gesù Cristo ci insegna dicendo adveniat Regnum tuum, sento in me vivo il desiderio di quel gran Regno? Bramo veramente di presto finire l'esilio di questa vita per andare a regnare eternamente con Dio in Paradiso? Ahi, ché qui trovo in me una grande contraddizione! Vorrei pur giungere colassù a quel Regno beato, ma non così presto, vorrei la vita eterna, ma intanto prolungare quanto più si può la vita temporale. Ma chi desidera veramente la Patria, come può amare l'esilio? Chi desidera la beata eternità, come può compiacersi di starsene più che può lontano, e in continui pericoli di perderla? S. Paolo, che veramente bramava il Paradiso, protesta di sé, che il suo spirito gemeva nel carcere del suo corpo, sempre aspettando di uscirne per volare al suo Dio: Cupio dissolvi, et esse cum Christo. S. Teresa, che ardeva del desiderio del Paradiso, sospirando esclamava: Muoio perché non muoio. Un vero Cristiano, dice S. Agostino, patienter vivit, delectabiliter moritur. La vita gli è un oggetto di pazienza, perché gli ritarda il Bene che brama; la morte gli è un oggetto di gran piacere, perché l'introduce al possesso del bene bramato. Ed io amo la vita, temo la morte, ed inorridisco al solo pensarci. Come posso dire che veramente desidero il Paradiso? Pre,2331:T2,2,6 Ma ed onde in me… Ma ed onde in me questo tanto amore della vita, e desiderio sì languido del Paradiso? Perché poco penso al Paradiso; se pensassi soventemente ai beni e piaceri ineffabili che Dio ci tiene preparati colassù, oh come si avviverebbe in me il desiderio di conseguirlo presto! Ma io solo penso ai vanissimi beni e piaceri fuggiaschi della vita, questi mi occupano, questi mi distolgono dal pensiero e dal desiderio dei beni eterni. Tanto attacco alla terra non può combinarsi col vivo desiderio del Cielo. Rompi, anima mia, codesti attacchi, deponi codesti affetti disordinati verso i terreni oggetti, e allora più non amerei tanto la vita, non temerei più tanto la morte. Pre,2331:T2,2,7 È ben vero che tu temi la morte, perché non sai quale ella sarà per te, e paventi di non ben risucirci; ma se tu colla cristiana mortificazione ti verrai disaffezionando dai miseri beni di questa terra, se procurerai di solo affezionarti ai veri eterni beni e al Sommo Bene Iddio, perché paventerai la morte, quasi che Iddio sia per abbandonarti nel maggior bisogno, e ricusare la grazia della santa perseveranza in morte a chi è stato fedele a Lui in vita, e non abbia promesso che chi vive bene, morirà bene? Spera in Domino, così Egli ti dice, et fac bonitatem, et pasceris in divitiis ejus. Non più tanti timori della morte, spera nel tuo Signore, risolviti generoso a fare il bene, e non dubitare, godrai gli eterni beni. Questo è il secondo effetto che deve produrre in me la Speranza, una grande generosità in praticare il bene in vista del Paradiso. Potrà mai dirsi che speri e desideri conseguire onori militari quel soldato che fugge il combattere? Oppure che aspiri a cariche illustri, e a grandi ricchezze chi passa in ozio i suoi dì? E spererò io di conseguire il Paradiso senza adoperarmi a praticare quel che si richiede per conseguirlo? Questo è il funestissimo inganno sì comune nel mondo. Pre,2331:T2,2,8 Tutti vorrebbero il Paradiso, ma da una gran parte, che si fa per conseguirlo? Una vita molle intenta solo ai piaceri, può condurre al Paradiso? Dice pure il Divin Redentore che il Regno dei Cieli non si conquista se non da chi si fa violenza, rinnega la sua volontà, reprime le sue passioni. Ci avvisa Egli pure che la strada che conduce al Cielo è stretta e penosa, che quel gran Regno non si dà che per mercede e premio e corona a chi ha generosamente combattuto sino alla fine, a chi ha superati gli umani rispetti, a chi ha disprezzato le dicerie, le massime del mondo per seguire le massime e gli esempi del suo Divin Maestro, esempi di umiltà, di carità, di mansuetudine, di pazienza, di amore alla croce, ai patimenti, alla continua mortificazione. Oh quanti, e quante la sbagliano su questo punto, e invano sperano il Paradiso, una vita menando tutta diversa da quel che Gesù ne ha insegnato colla sua dottrina e con i suoi esempi. In questo abbaglio quanto tempo sono io vissuto? E ora se voglio sperare davvero il Paradiso, non lo deporrò? Non entrerò generoso al seguito di Gesù ben risoluto di non abbandonarlo più? Pre,2331:T2,2,9 Mi spaventano le difficoltà di questa strada? Mi sembra duro dover sempre combattere le passioni, e far contro al mio amor proprio? Ma in questa strada non seguo Gesù, e di che posso temere sotto tale guida? Il suo esempio, l'esempio di tanti Santi e Sante non mi sarà di gran conforto? Ma con la grazia di Dio non si supera ogni difficoltà? Ma questa grazia non addolcisce ogni pena, sino a rendere leggiero e soave il giogo del Signore, che solo riesce duro e pesante a chi mai non si è provato a portarlo? E questa grazia, che tanto può, Dio non la promette? Non sono sicuro di averla solo che la chieda? E poi che forza, che coraggio non ispira il pensiero del Paradiso? Come si superano facilmente i disagi della via riguardando il bel termine a cui essa conduce. La cara Speranza del Paradiso animava i Martiri a sostenere generosi i loro tormenti. Quid hæc ad æterna gaudia. Che hanno che fare questi tormenti, dicevano essi, col gaudio eterno che ne avremo in premio? Ed esultavano nell'essere tormentati. Questi digiuni, questa macerazione della carne, e le veglie, e le prolisse orazioni, e tutti quanti i patimenti della vita, che sono mai in confronto dei piaceri ineffabili del Paradiso? E tale pensiero rendeva loro dolce il patire. Tanto è il bene che aspetto, che ogni pena mi è diletto, tutto festante esclamava S. Pietro d'Alcantara, e coll'aspettazione del Paradiso si animava a viepiù infierire contro se stesso. E se io pure arderò pensando al Paradiso, se rifletterò che ad un breve patire succederà un eterno gaudio, più non paventerò cosa alcuna nel Divino servizio, e riconoscerò che cara cosa è servire un Dio che coll'aiuto della sua grazia tanto addolcisce e facilita il suo servizio, ed a questo promette una tanto magnifica ed eterna ricompensa. Pre,2331:T2,2,10 Mio Dio! Se avessi prima d'ora comprese sì consolanti verità, quanti mali avrei evitato, e che non avrei fatto di bene! Ma ora che per vostra misericordia le comprendo, sì mio Dio, ne profitterò! Mi considererò qual Pellegrino su questa terra, e fisso sempre terrò lo sguardo al Cielo, mia Patria. Guarderò con occhio d'indifferenza le cose tutte di questa terra, e il mio cuore sarà unicamente rivolto al Cielo. Ne costi quel che si vuole, tutto farò per essere con Voi in Cielo. Amen. Pre,2331:T3 Risoluzioni Amabilissimo Dio, Voi per ineffabile vostra bontà vi degnate chiamarmi alla vita interiore, io per corrispondere il meglio che posso all'amorosa vostra idea sopra di me, faccio le seguenti risoluzioni. Pre,2331:T3,1 I. Mi terrò, quanto più posso, raccolto esternamente e internamente. A questo fine custodirò gelosamente i miei sensi. Non darò sguardi per mera curiosità, e in modo particolare in Chiesa. Non fisserò gli occhi in persone di diverso sesso, solo mi permetterò ad onesto sollievo il guardare oggetti per sé innocenti. Non farò interrogazioni per mera curiosità, e senza buon fine. Nel tempo precedente la Santa Comunione parlerò il meno che sia possibile, e solo di cose necessarie, e con poche parole. In conversazione non sarò taciturno, ma nemmeno troppo loquace: parlerò con tono moderato, non precipitoso, non alto. Sarò moderato nel passo, nel gesto. Sarò sempre composto nell'atteggiamento della persona, cosicché tutto spiri modestia e gravità. Mi guarderò da discorsi oziosi, mondani, come sarebbero di mode, di acconciature, di abbigliamenti, e molto più degli intrighi, degli impegni, di critiche. Amerò la compagnia di quelle persone che tengono discorsi buoni e spirituali. Pre,2331:T3,2 II. Veglierò ben cauto alla custodia del mio spirito e del mio cuore. Quindi, primo, mai non mi fisserò con piena avvertenza in pensieri vani, oziosi, inutili, e accorgendomene subito me ne distoglierò con qualche santa giaculatoria, e con qualche buon pensiero. Dio e l'anima mia, e la sua eterna salute devono essere la precipua e abituale occupazione del mio spirito. Secondo, a ben custodire il mio cuore sarò pronto a reprimere nel loro nascere i movimenti delle passioni, e a secondare i movimenti della grazia, e le sante ispirazioni. Non mi permetterò qualunque benché menomo mancamento, e non trascurerò qualunque benché menomo atto di virtù. Starò sempre fisso in questa grande massima, che devo fare gran conto anche del poco sia nel vizio, sia nella virtù, perché, come m'insegna il mio Divino Salvatore, chi è fedele nel poco, lo sarà anche nel molto; né mai si deve sprezzare come cosa di nessun conto quel che dispiace a Dio, e sempre si deve fare gran conto di quel che gli piace. Pre,2331:T3,3 III. Mi terrò sempre quanto posso alla presenza di Dio, e per facilitarmi un così salutare esercizio penserò soventemente che Dio è in me, ed io sono tutto in Lui, e vede e conosce tutto quel che si passa in me: mi gioverò anche in questo con frequenti giaculatorie. Siccome non si parla se non con chi è presente, cosi avvezzandomi a parlare spesso con Dio, resterò praticamente persuaso che Dio mi è presente, e con tale viva persuasione quanto più facilmente mi guarderò di fare cosa che gli dispiaccia, e quanto più sarò animato a fare quel che gli piace! Pre,2331:T3,4 IV. Starò ben attento a sempre operare con pura intenzione di piacere a Dio. Questa intenzione rinnoverò frequentemente rivolgendomi a Dio con sincero affetto e vivo desiderio di sempre piacere a Lui, e così vivere in continuo esercizio del suo Santo amore. Pre,2331:T3,5 V. A quando a quando, e massimamente dopo le azioni più notabili farò un breve esame per vedere se tutto sia stato per Dio, e nulla contro di Lui. Se troverò di aver fatto bene, ne darò a Lui tutta la gloria; se troverò d'aver fatto male, non per questo mi abbatterò, pensando che l'ho fatto da quello che sono, con umiltà ne chiederò il perdono, con viva fiducia di ottenerlo, e procurerò di fare qualche atto di virtù che compensi il mancamento commesso. Pre,2331:T3,6 VI. Questo esame farò più prolisso verso il mezzodì, e prima di pormi a letto: sarò minuto in questo esame e perciò pregherò Dio ben di cuore del suo santo lume per ben conoscere i miei mancamenti e la cagione di essi, e ravvisarne le circostanze che mutano specie, o ne aggravano la malizia, e trovando qualche mancamento più notabile m'imporrò qualche penitenza. Farò anche di sera il conto dell'esame particolare, notando per iscritto il numero degli atti di virtù e dei difetti per poi renderne conto al Padre Spirituale: con lui sarò molto sincero, e sempre gli paleserò tutto, non solamente il male, ma anche il bene, affinché sapendo egli e lo scapito e il profitto, possa ben indirizzarmi nella via della salute. A tale fine ogni dì pregherò Dio che lo illumini e lo assista così che possa essermi giovevole la sua direzione. Pre,2331:T3,7,1 VII. Farò con ogni attenzione le pratiche di pietà, non mi caricherò di troppe preghiere, ma quelle che farò saranno recitate posatamente accompagnando con pii affetti quel che proferisce la lingua; le farò con gran rispetto, pensando che parlo con Dio, con viva fiducia di ottenere quel che domando, pensando che parlo con un Padre amantissimo, che quanto più confidiamo in Lui, tanto è più disposto a favorirci. Pre,2331:T3,7,2 Farò con esattezza ogni dì la meditazione, impiegando in essa mezz'ora ogni mattina, e altrettanto la sera. Prima di farla preparerò brevemente il soggetto su cui devo meditare, poi mi raccoglierò tutto in Dio, e postomi alla sua presenza, lo supplicherò vivamente di assistermi, affinché possa ben meditare. Se mai in tale tempo sentissi noia e ripugnanza, non per questo cesserò, finché sia passata la mezz'ora, mi farò violenza per applicarmi, farò fervido ricorso a Dio, pregandolo che m'illumini e muova la mia volontà a Santi affetti e buone risoluzioni. Se malgrado tutte queste attenzioni il cuore si resta arido, non mi scoraggerò, ma mi rassegnerò al Santo volere di Dio, e penserò che non devo cercare il mio appagamento, ma solo quello di Dio. Dopo la meditazione farò un breve esame sul modo, con che l'avrò fatta, se in essa avrò avuto qualche vivo lume che mi abbia fatto forte impressione, e se avrò fatto qualche particolare risoluzione, lo scriverò in un libro a ciò destinato per rileggerle una volta la settimana, e vedere se sono fedele in eseguire quel che Dio mi ha suggerito, e quel che gli ho promesso. Lettura spirituale ogni dì nel libro dal P. S. assegnato: la farò posatamente per mezz'ora, e trovando cosa che più mi faccia impressione, la fisserò bene nel mio spirito per valermene nelle occasioni. Pre,2331:T3,7,3 Avrò sempre un vivo desiderio della Santissima Comunione, il cui effetto proprio è unire l'anima strettamente a Gesù Cristo. Ad essa, fin dal giorno precedente, mi disporrò con fervidi affetti e coll'esercizio delle virtù anche più piccole, che è la preparazione a Gesù più gradita, e la mattina in cui l'avrò ricevuto, sarò assiduo negli affetti di gratitudine e di amore, e nella pratica delle virtù in ossequio del Divin Ospite che si è degnato di venire a me. Mai non lascerò passare dì senza visitare, potendo, Gesù Sacramentato nel dopo pranzo, almeno per mezz'ora mi tratterrò con Lui esponendogli i miei bisogni, e chiedendogli il suo aiuto, e massimamente la grazia di mantenermi sempre nella vita interna, e fare in essa sempre maggiori ingressi. Ho fatte queste risoluzioni sotto la protezione di S. Luigi Gonzaga, a cui ogni giorno mi raccomanderò, affinché mi assista a fedelmente eseguirle. Pre,2332:S Appunti di discorsi sull'Assunta Vari testi di mano Lanteri e Guala. AOMV, S. 2,13,2:332 Pre,2332:T1,1 Per l'Assunta Uno sguardo a Maria che muore d'amore di Dio. Desiderio d'imitarla; fac ut ardeat cor meum. È assunta dagli Angioli in cielo. Invidia di tenerle dietro; (chiederle che almeno ci stacchi il cuore dalle cose di questa terra). Cupio dissolvi. Incoronata in cielo; oggetto di ammirazione poiché sopra Maria non c'è più che Dio, sotto Maria c'è tutto ciò che non è Dio; prostrarsi con gli Angioli per venerarla. Astitit regina a dextris tuis. Ad te suspiramus etc. Vitam præsta puram, iter para tutum etc. Virtù: amore di Dio e desiderio del cielo (Huby). Invidiare S. Stanislao che ottenne di andare in cielo nel giorno dell'Assunta per la gran voglia che aveva d'andare a vedere in cielo la gran festa che si faceva in quel dì, solendo dire che in tale giorno entrò un nuovo Paradiso in Paradiso. (Maria Vergine fu coronata in cielo come Figlia, come Madre, come Sposa; con triplice corona di Sapienza, di Potenza, di Bontà; coll'attendere all'orazione si partecipa della sua Sapienza, col vincere se stesso si partecipa della sua Potenza, con la carità, cordialità, condiscendenza verso il prossimo si imita la sua Bontà). La corona di Maria Vergine: nella prima decina unirsi ai cori degli Angioli, massime con l'Arcangelo Gabriele e il suo Angelo custode per glorificarla. Nella seconda unirsi coi Patriarchi e Profeti, massime con S. Gioacchino, S. Anna e S. Giuseppe. Nella terza con gli Apostoli, massime con S. Giovanni Evangelista e S. Luca. Nella quarta coi Martiri. Nella quinta coi Confessori, massime i più devoti di Maria Vergine. Visitare il suo altare. Dire cinque Ave in onore delle cinque lettere che compongono il suo nome. Pre,2332:T1,2 S. Giovanna di Chantal Ogni giorno una visita all'altare: chiederle, alla madre, che tramandi il suo spirito nella figlia. Esaminare tra la giornata quale era il suo cuore verso Dio in tutte le pratiche di religione, qual era il suo cuore verso il prossimo, quale verso se stessa. Fare due esami al giorno vedendo se ha praticato lo spirito della Santa verso Dio etc. Fare delle comunioni più che si può. Pre,2332:T2 Novena per l'Assunzione di Maria Vergine 1. Dimorare fra i cori degli Angioli, imparare da essi le grandezze di Maria Vergine che l'elevano sopra tutto ciò che non è Dio, e mettono ai suoi piedi tutto ciò che è inferiore a Dio, e dopo il suo ingresso in cielo, godettero un nuovo Paradiso in Paradiso; trattenersi particolarmente con S. Gabriele e quello che fu custode della Beata Vergine, prendendoli tutti per intercessori presso Dio e la loro Regina per ottenere la santa purità. 2. Trattenersi coi Patriarchi e Profeti che tanto sospiravano la venuta di Maria e che ne predissero tante belle cose, chiedere loro qualche cognizione di Maria; desiderare di vederne la sua gloria; imitare quel Santo che si protestava pronto a sostenere qualsiasi martirio per vedere anche solo di passaggio la gloria di Maria. Conversare particolarmente con S. Gioacchino, S. Anna, S. Giuseppe. 3. Passarsela con i Ss. Apostoli e Discepoli che furono i favoriti di Maria; imparare da essi ad amarla; trattenersi particolarmente con S. Giovanni Evangelista, e S. Luca. 4. Trattenersi coi Martiri che mettono ai suoi piedi le loro palme e corone, riconoscendola loro Regina, massime per quanto Essa soffrì nel suo cuore ai piedi della croce, animarsi a soffrire anche qualche cosa per Dio, giacché ogni menomo patimento è contraccambiato in così gran gloria in cielo. 5. Conversare coi Confessori che riconoscono la loro Santità, particolarmente da Maria, prendere la risoluzione d'imitare le loro virtù, prenderli per intercessori presso Maria di una veloce santità. 6. Trattenersi a conversare con le Vergini, considerare i loro sforzi per resistere alle tentazioni e conservare la bella virtù della verginità: ricorrere alla loro intercessione ed all'intercessione della Vergine per eccellenza, per ottenere lo stesso. 7. Conversare con tutti i Santi del vecchio e nuovo Testamento che tutti si gloriano di riconoscere e venerare Maria Vergine per loro Regina, per chiedere a tutti che ci ottengano da Dio e da Maria la perseveranza nel bene. Pre,2332:T3 Novena dell'Assunta Secondo i tre misteri di questa grande solennità dobbiamo porgere a Nostra Signora i nostri ossequi: onorando con qualche pratica di devozione ben soda la di lei morte, la di lei assunzione, ed incoronazione. 1. Dirò a me stesso più volte tra il giorno: “vado a morire”, riflettendo se vi vado con l'innocenza, col fervore e con la sicurezza che v'andava Nostra Signora. 2. Fare le azioni più principali con quella rettitudine e vigore d'affetto che vi porreste se fossero l'ultime, e fosse in punto di morte. 3. Pregherete varie volte Nostra Signora con qualcuno di questi affetti: “Gere curam mei finis. Ora pro nobis peccatoribus nunc et in hora mortis nostræ. Iter para tutum, ut videntes Jesum, semper collætemur. A vedere Dio per sicuro sentiero siatemi guida”. 4. Visitare una volta al giorno Nostra Signora in qualche sua o Cappella, o immagine, pregandola che vi tiri dietro a sé mentre Ella ascende al cielo, o almeno vi stacchi il cuore dal mondo, e lo sollevi al Paradiso. 5. Levare gli occhi qualche volta al cielo, ed interrogare Nostra Signora dicendo con lacrime: “ci sarà Paradiso per me?”. 6. Ascese in cielo Nostra Signora col suo corpo sacratissimo, perché coll'innocenza e con la penitenza l'aveva conservato illibatissimo. Custodite i vostri sensi ed i vostri pensieri liberi da ogni menoma colpa, e mortificateli. 7. Fu incoronata come Figliuola, come Madre, e come Sposa con corona triplicata di Sapienza, Potenza e Bontà: adoratela come tale recitando tre Ave e Pater e Gloria in congratulazione e compiacenza di queste tre corone. 8. Quando incontrerete qualche sua immagine, salutatela con interna e profondissima adorazione, dicendole come se la vedeste in cielo: Ave filia Dei Patris, Ave Mater Dei Filii, Ave Sponsa Spiritus Sancti. 9. Studiatevi in queste giornate di fare orazioni, ecco come si acquista la Sapienza di Maria di vincere voi stessi; ecco in che sia il suo stimato potere di trattare con soavità e con carità tutti; ecco come si può imitare la sua bontà. Pre,2333:S Appunti degli Esercizi ai Congregati 9 settembre 1817, 14 settembre 1818, 15 settembre 1819 Dettato Lanteri, scrittura Loggero. AOMV, S. 2,13,2:333 Per maggiori notizie cfr. A. Brustolon, 247. Pre,2333:T1 Esercizi dettati dal S. Teol. Pio Bruno Lanteri agli Oblati di Maria in Carignano 9 settembre 1817 Pre,2333:T1,1 La sera del 9 settembre Introduzione: 1. Importanza della salute. 2. Efficacia degli Esercizi per conseguirla. 3. Maniera d'attendervi con frutto. Pre,2333:T1,2 Li 10 1a Meditazione. Fine dell'uomo L'uomo creato da Dio. Chi è Dio: la sua grandezza dedotta dalla sua corte, moltitudine, bellezza, eccellenza degli Angeli. Chi è l'uomo: immagine di Dio, eccellenza dell'anima, tutto di Dio. Quanto è di Dio è grande; quanto è da sé è niente (bellissima e sublimissima meditazione). 1a Considerazione. Diversi avvertimenti sopra l'importanza, lo scopo, la maniera di fare bene gli Esercizi. 2a Meditazione. L'uomo creato per servire Dio e godere Dio; deve servire Dio per titolo di Religione, ubbidienza, padronanza. Dio non può spogliarsi del suo dominio. Per breve servirlo ci ricompensa di una felicità somma, unica, eterna. 2a Considerazione. Sopra l'orazione e la meditazione. L'orazione (come dice S. Tommaso) non è già che muova Iddio a beneficarci, ma bensì toglie in noi gli ostacoli alla bontà di Dio, che nient'altro attende per spandere le sue grazie sopra di noi. Egli Iddio è come un vaso ridondante, che appena trova un vacuo lo riempie del suo celeste liquore. Con l'orazione noi leviamo l'ostacolo della superbia umiliandoci a conoscere il nulla che siamo, ed il bisogno che abbiamo di Lui. Dalla necessità dell'orazione ne viene la necessità della meditazione. Senza meditare non si conoscono i propri bisogni. Peccato mortale e meditazione non stanno insieme. Se si esamina chi cade frequentemente in colpe gravi, non medita la convenienza ed utilità del lucro cessante e danno emergente. Esame di quanti atti virtuosi, epperciò gradi di grazia, aiuti e gloria si priva, chi non medita; quanti meriti si fa chi prega. L'ecclesiastico deve essere uomo d'orazione per sé e per gli altri. 3a Meditazione. Mezzi al fine. Pre,2333:T1,3,1 Li 11 1a Meditazione. Castigo dei peccati. 1a Considerazione. Esame, dolore, proposito. Esaminarci sopra i peccati deliberati. Nelle persone timorate di Dio, quando non sono affatto certe della piena avvertenza e consenso, è segno che non hanno veramente avvertito, né acconsentito al peccato. Debbono guardarsi dal mai darsi per vinti, perché questo è un inganno del Demonio, che così tenta di avvilirci e precipitarci in molti altri e maggiori peccati, col farci credere che siamo già caduti, che confessarne uno, o due sarà la stessa cosa, etc.: coscienza vuol dire certa scienza. Si confronti la certezza che è nel nostro intimo senso quando veramente siamo certi dell'avvertenza e consenso. Ancorché volessimo, non potremo dubitarne. Dunque se non siamo certi, è segno che almeno non ci fu perfetta avvertenza, né pieno consenso, perché la presunzione è in favore di queste anime timorate. Non così si deve dire riguardo ai peccatori abituati, etc. perché la presunzione è contro di essi. Pre,2333:T1,3,2 Riguardo al dolore, non ci vuole molto tempo a concepirlo. Egli è un atto della volontà. Come in un momento si fa il peccato, così esso ci può dispiacere. Come in un momento si toglie, così in un momento si ridona la preferenza a Dio nel nostro cuore con un atto di dolore, o d'amore. Davide con due parole fece un atto perfetto di contrizione “peccavi, Domine”. Quando siamo caduti, bisogna fare grande attenzione a subito risorgere con il chiederne perdono a Dio. Non turbarci, né inquietarci, ma con tutta la confidenza nella infinita bontà, misericordia, e promesse infallibili di Gesù Cristo, sperarne il subito perdono. Non è superbia, ma anzi un fare onore a Gesù Cristo ed alla Chiesa che c'insegna, che con un atto di dolore perfetto, o d'amore di Dio, col desiderio della confessione, subito otteniamo il perdono. E possiamo essere certi d'aver fatto un vero atto di contrizione o d'amore, come siamo certi d'aver avvertito ed acconsentito al peccato. L'intimo senso ce ne assicura ugualmente. Riguardo ai peccati veniali dobbiamo lasciare, nell'esercitarci al dolore dei peccati, ogni difetto non deliberato, perché così ci assicuriamo più dolore e si rende la confessione breve, come deve essere; ci assicuriamo più del dolore, perché è difficilissimo il concepire dolore di ciò che già sappiamo esserci impossibile l'astenercerne, anzi di ciò che sappiamo non essere peccato, perché anche per il peccato veniale bisogna che vi sia una certa avvertenza e consenso. Si rende in secondo luogo la Confessione breve con il lasciare tante inutilità che non sono materia di assoluzione, perché per formare il peccato anche veniale, vi bisogna la violazione di qualche legge, onde è inutile l'accusarsi di non aver pregato con tutta l'attenzione di non aver corrisposto a tutte le ispirazioni, etc. Pre,2333:T1,3,3 Riguardo al proposito. Il timore di cadere non esclude il proponimento di più non cadere, poiché il primo è un atto di intelletto, il secondo è un atto della volontà. Anche i Santi temevano di cadere, come un S. Filippo che diceva al Signore: “Tenetemi la mano sul capo, altrimenti prima di questa sera ve ne farò delle brutte”. Anzi il timore di cadere ci farà prendere maggiori precauzioni per non cadere. Pre,2333:T1,3,4 2a Meditazione. Peccato considerato in sé. Cosa è il peccato. Uno sguardo di passaggio ai propri peccati di tutta la vita, quindi alla propria viltà; alla grandezza di Dio; quis? quid? etc. 2a Considerazione. Sul peccato veniale: cosa sia in sé, sul danno e conseguenze di esso. 3a Meditazione. Danni del peccato. Similitudine della morte del corpo che separa l'anima dal corpo, spoglia il corpo di tutto, rende il corpo schifoso, etc. Così il peccato separa l'anima da Dio, spoglia l'anima d'ogni merito, rende l'anima abominevole. Pre,2333:T1,4 Li 12 1a Meditazione. Della morte, effetti di essa. 1a Considerazione. Discernimento degli spiriti. 2a Meditazione. Morte del peccatore, del tiepido, del giusto; quanto di terribile, di rammarico, e di consolazioni apporti. 2a Considerazione. Sulla mortificazione esterna, necessità e vantaggi, vedi la Selva, e la Vera Sposa di Gesù Cristo del B. Liguori. Pre,2333:T2 Memorie degli Esercizi dati dal S. Teologo Lanteri in Congregazione 14 settembre 1818 Pre,2333:T2,1,1 [1o Giorno] Introduzione. Esordio e discorso tutto insieme. Necessità della solitudine per i tiepidi, quali siamo noi. Disposizioni per farli bene, la presa*1 dalla distribuzione delle ore. 1a Meditazione. Homo creatus etc. Creati da Dio, per servire e godere Dio. Creati da Dio: Quis? Maestà, grandezza, bontà di Dio dalla moltitudine, ordine, perfezione delle creature; dalla moltitudine, perfezioni degli Angeli. Unde? Dal nulla dell'uomo quanto a sé. Qualem? Dalla perfezione dell'anima nostra “ad imaginem” etc. 1a Considerazione. Sulla meditazione: convenienza, nonne plus anima quam esca etc.; necessità per conoscere i nostri bisogni; utilità per le virtù che si esercitano; difficoltà da chi dice che non sa e non può. Pre,2333:T2,1,2 2a Meditazione ripetizione della 1a, cioè grandezza di Dio in sé: qui est, omne bonum. 2a Considerazione. Sul modo di fare la meditazione. Credo, adoro, mi pento; le tre potenze vi consacro; spero e mi rassegno; exigua affectio, sensus remissus, negligens applicatio. Quando nell'esame si trova d'aver mancato, chiederne perdono, indagare quale frutto si dovrebbe aver ricavato, e pregarlo con tutta confidenza a non guardare alla mancanza nostra, ma all'amor suo, e chiedergli il frutto etc. 3a Meditazione. Mezzi al fine. Dio, anima, materia. Quando l'anima si accosta a Dio si ingrandisce e si nobilita; quando l'anima si accosta alla materia si deteriora e si avvilisce. L'anima è fra due estremi, cioè Dio, e cose sensibili. Le cose sensibili sono mezzi al corpo, acciò serva all'anima e l'anima a Dio. Se l'anima si attacca al corpo, e alle cose sensibili, si avvilisce, e rompe l'ordine come sopra stabilito da Dio. Sono stato assai negligente, massime la mattina. Ebbi molte tentazioni. Fui negligente nel raccomandarmi a Dio. Ho risolto di non mai più lasciare l'orazione. Ho pianto il danno d'averla lasciata. Pre,2333:T2,2,1 2o Giorno 1a Meditazione. Peccato nei suoi castighi. 1a Considerazione. Orazione vocale, ossia 1. officio: non recitarlo ex abrupto, ma un riflesso a chi parliamo, chi parla, perché parliamo. Di tanto in tanto pronunciare con enfasi qualche sentimento; fermarci momentaneamente a riflettere a Dio (se siamo soli); pronunciare con affetto e riverenza grande il “Gloria Patri”; infine ringraziare Dio. 2. Giaculatorie. Necessità di usarle frequentemente per ottenere quelle grazie speciali di cui abbiamo bisogno, massime la perseveranza. Anzi, siccome ogni momento abbiamo bisogno di Dio, così dobbiamo pregarlo. Si quis dixerit sine Dei adjutorio hominem posse in accepta gratia perseverare, anathema sit (da riconoscere). Utilità perché ogni preghiera meritoria, impetratoria, propiziatoria, ci tiene uniti con Dio, ci conserva il fervore, ci preserva dal cadere col ricorso pronto a Dio. Questo fa pure per l'officio. Pre,2333:T2,2,2 2a Meditazione. Malizia in sé e nelle circostanze. 2a Considerazione. Umiltà: necessità, qualità, mezzi per acquistarla. 3a Meditazione. 1. Esame dei propri peccati di tutta la vita (uno sguardo ai più enormi). 2. Quid meruisti, quid fecisti – ci avvilimmo sotto le bestie, operando contro la nostra natura ragionevole nel peccare, poiché il peccato è sempre una cosa irragionevole –, quid amisisti. Pre,2333:T2,3,1 3o Giorno 1a Meditazione. Morte: cosa sia la morte – ella è certa – incerta. 1a Considerazione. Confessione. Beneficio di essa. In essa risplende l'onnipotenza, la misericordia e la giustizia di Dio. Condizioni: – Esame, materia necessaria (peccati mortali certi) e sufficiente (peccati veniali deliberati). – Dolore. – Soddisfazione. Pre,2333:T2,3,2 2a Meditazione. Morte del peccatore, del tiepido, del giusto. Teol. Craveri*2 2a Considerazione. Esame generale, per aiutare la confessione. Esame particolare per estirpare i difetti. Esame singolare per aggiustare le azioni e tranquillare la coscienza: esaminando ciascuna azione, fare attenzione su se stesso; nelle occupazioni, non perdere di vista Iddio, ma come una punta del compasso è sempre ferma etc. e come quell'Angelo che aveva un piede sul mare e l'altro in terra. I Santi avevano sempre un occhio aperto a Dio nelle loro azioni, che se per leggerezza o fragilità escono qualche volta da sé, al primo accorgersene ritornano a Dio col raccoglimento interno. Questo è utile per non lasciarsi sorprendere. I disordini accadono quando il padrone è fuori di casa. Per fare questo con facilità bisogna procurare di assuefarsi a non operare per impulso, ma indirizzare l'intenzione e dare un'occhiata dopo. Così, anima mea in manibus tuis, sempre si acquistano grandi meriti. 3a Meditazione. Apparecchio alla morte, ossia morte pratica. Accettazione della morte; ricevimento dei Sacramenti; raccomandazione dell'anima; sentimenti dell'anima subito spirata. Pre,2333:T2,4,1 4o Giorno 1a Meditazione. Giudizio particolare. Terribile per le circostanze di tempo, ad ogni momento: nescitis diem neque horam; di luogo, dovunque si muoia; di giudice che tutto sa, vede, punisce e premia il bene e il male. Terribile per l'esame cui interverranno Dio, l'Angelo custode, il Demonio, il reo, le colpe. Terribile per la sentenza di Paradiso, di Purgatorio o d'Inferno. 1a Considerazione. Mortificazione. Cosa sia la mortificazione interna ed esterna. Consiste nel mortificare l'amor proprio circa gli atti interni, proprio giudizio e volontà, e circa gli atti esterni, comodi. S'estese assai a far vedere quanto esteso, dannoso, nascosto sia l'amor proprio, sotto apparenza di accarezzarci, come Dalila a Sansone, ci accecherà, ci rovinerà. L'amor proprio consiste nel cercare il proprio bene dove non è, cioè negli onori, nelle ricchezze, nei piaceri: concupiscentia oculorum, carnis et superbia vitæ. Egli fa danno a Dio, a noi ed al prossimo: 1 – a Dio, perché vuole e si merita tutti gli affetti del nostro cuore “diliges ex toto corde tuo” etc., onde non soffre divisione e tanto si ruba a Dio d'amore quanto se ne dona a se stesso. 2 – A noi, perché così ci porta mille affani, inquietudini, malinconie, anzi è cagione della dannazione eterna, qualora sia gravemente disordinato l'affetto a qualche cosa: tutti sono dannati per mancanza di mortificazione. Ci priva di tanti meriti, e ci fa mancare ai nostri doveri con Dio nell'orazione, col prossimo infermo, penitente, afflitto. 3 – Al prossimo, perché non vuole soffrire niente; non ha riguardo agli altrui mali, debolezze e miserie; restringe la mano coi poveri; corregge con asprezza ed alterigia. Quindi ne dimostrò l'eccellenza; la necessità; i vantaggi, come nel mio ristretto. Pre,2333:T2,4,2 2a Meditazione. Inferno: molteplicità e acerbità delle pene: (per la vista) “vadent et venient super eum horribiles… in terram tenebrosam et opertam caligine ubi nullus ordo sed sempiternus horror inhabitat” (Giobbe); verme di tre denti: memorie del passato, pene presenti, continue, inutilità dei rimedi. 2a Considerazione. Castità, cioè necessità come suddiaconi, diaconi, sacerdoti; eccellenza o pregi come nel mio ristretto; mezzi per conservarla, cioè fuga delle occasioni: mors intrat per fenestram e le finestre sono i sensi; l'orazione umile con la frequenza dei sacramenti. 3a Meditazione. Inferno. Eternità delle pene; ragioni per cui è giusta la pena eterna al peccato grave; pena dell'eternità, come e.g. la giustizia umana separa per sempre dai vivi i delinquenti; come colui che si getta in una fossa donde sa di non poter più uscire, così colui che vive, muore, consente al peccato, sa che non può uscirne più. La volontà sarà eternamente senza di Dio, più attaccata al peccato, etc. Pena dell'eternità perché senza fine, senza interruzione, in stato di pena senza successione, ma simultanea; eternità del danno, del fuoco, del rimorso. Pre,2333:T2,5,1 5o Giorno 1a Meditazione. Figliuol prodigo: la sua disgrazia nell'abbandonare il Padre; servire al crudo padrone; provare la fame; la sua felicità nel ritorno, per l'amorosa accoglienza avuta. Riflesso sulla insolenza di chiedere la porzione dicendo che ella gli è dovuta: Da mihi portionem substantiæ quæ me contingit. Noi ci volemmo ripigliare la libertà che avevamo a lui sommessa nel Battesimo, per abusarne a nostro capriccio. Noi ne andammo lungi con il peccato, perché longe a peccatoribus Deus; pure cum adhuc longe esset, vidit illum Pater ipsius. Iddio volse uno sguardo alla nostra miseria e ne fu tocco da compassione: et misericordia motus est, onde non preparò rimproveri, castighi, vendette, ma abbondanza di grazie per prevenirci ed allettarci in tante maniere ed aiutare la nostra debolezza; preparò i maggiori segni di amore e la più tenera accoglienza al più presto ritorno: accurrens cecidit super collum ejus et osculatus est eum. Egli è veramente Pater misericordiarum et Deus totius consolationis. Pre,2333:T2,5,2 1a Considerazione. Tentazioni: necessità, utilità, modo e mezzi di vincerle. Necessità, perché il Paradiso è corona, palio, premio che non si dà se non a chi vince, corre, fatica, non coronaberis nisi etc., onde senza tentazioni non si avrebbe occasione di combattere e di vincere, onde Giobbe: militia est vita hominis [super terram]; Tobia: quia acceptus etc. Tutti i Santi adulti portano in fronte quell'epigrafe onorevole: hi sunt qui vicerunt regna etc. (da richiederne qual testo sia). Utilità come nel ristretto. Mezzi sono 1. il disprezzo per le tre concupiscenze della carne, della roba, delle vanità ed imitazione di Gesù Cristo che fu vittorioso contro la gola, la roba, la vanità; 2. la vigilanza, e la resistenza alle tentazioni di cose lecite, ma fuor di tempo e più del dovere, come dormire, mangiare, passeggiare etc.: siamo nati per cose più grandi. Vigilanza per esaminare se vi sia vera necessità. Resistenza per non dare in eccessi e passare poi all'illecito. 3. L'orazione umile, pronta, confidente nelle tentazioni di sorpresa. 2a Meditazione. Regno di Cristo: necessità “quos præscrivit etc.”; vantaggi e facilità di riconoscere, “ego sum via in exemplo, veritas in doctrina, vita in auxilio”, non ci comanda di imitare la sua onnipotenza e sapienza, ma la sua umiltà, sofferenza, dolcezza, castità. 2a Considerazione. Fede universale e non ristretta, ferma e non vacillante, viva e non inoperosa; quindi mezzi per conservare e accrescere la fede nel maneggiare le cose sacre, nel parlare con Dio e nel parlare col prossimo, cioè unione ferma con la Chiesa Romana. 3a Meditazione. Nascita di Gesù Cristo: umiltà, povertà, patimenti. Pre,2333:T2,6 6o Giorno 1a Meditazione. Vita privata. Esempi di vita d'orazione, ritirata, occupata per ubbidienza. 1a Considerazione. Speranza. Esordio da ciò che la speranza è una virtù da tutti amata, che tutti anima nell'operare, come il contadino, l'artiere, il marinaio, il negoziante, il letterato, il soldato; se dunque tanto può la speranza naturale d'un bene temporale e fugace, quanto non deve aver forza per animarci al bene la speranza soprannaturale di beni immensi, veri, eterni, santi etc.? 2a Meditazione. Vita pubblica. Esempi di zelo della gloria di Dio in tutte le sue azioni; zelo della salute delle anime; ogni altra virtù. 2a Considerazione. Carità: ella è naturale se per motivi naturali. T. Lanteri. 3a Meditazione. Due stendardi. Stendardo di Gesù Cristo e di Lucifero; elezione. In Lucifero lo scopo è di perderci, la forma delle tentazioni figurate nell'aspetto, occhi torbidi, viso fiero, inquietudine, terrore; nel luogo, Babilonia, cioè confusione; nella cattedra, superbia; nel fuoco, le fiamme della concupiscenza; nel fumo, la vanità dei beni, cioè onori, ricchezze, piaceri. In Gesù Cristo lo scopo è la nostra salute; la forma è nelle ispirazioni figurate nell'aspetto umile, dolce, quieto; nel luogo di Gerusalemme, visione di pace; nelle basse valli, umiltà; la materia: umiltà, disprezzi, povertà ed incomodi, afflizioni, croci. Elezione di Gesù Cristo se non vogliamo perderci. Pre,2333:T2,7 7o Giorno 1a Meditazione. Primo punto: ripetizione della antecedente. Secondo punto: 3 gradi. Terzo punto: 3 classi. 1a Considerazione. Regole per il discernimento degli spiriti secondo S. Ignazio. 2a Meditazione. Gesù nell'orto. Esempio di Gesù Cristo quanto patì di tristezza etc., come si regolò. Esempio degli Apostoli quanto negligenti, e specialmente Pietro; cosa gli accadde: omnes relicto eo fugerunt, e Pietro spergiura. 2a Considerazione. Regole più sublimi per la perfetta discrezione degli spiriti. Ordine del giorno. Iddio tutto creò, e regola con ordine, peso e misura; e nell'Inferno si dice che non vi è ordine, ma confusione: nullus ordo, sed sempiternus horror inhabitat. Così si immagini un'armata, un regno, una famiglia: se ella è ordinata è terribile, pacifica, quieta e viceversa, se non è ordinata, non vi sarà che scompiglio, disordine, confusione, Inferno anticipato. La giornata essendo composta di 24 ore dunque se ne diamo 12 al corpo: 7 dormire, 2 mangiare, 2 ricreazione, 1 passeggio; 4 all'anima: 1 orazione, 1 Messa, 1 Officio, 1 lettura; 8 alle occupazioni, quanto tempo meno perduto, quanti meriti di più, quante anime di più a salvamento, profitto etc. 3a Meditazione. Gesù nei tribunali della Sinagoga innanzi ad Anna e Caifasso; della Corte innanzi ad Erode; della Magistratura innanzi a Pilato; ciò che patì di disprezzi e calunnie, e gli esempi dati. Pre,2333:T2,8,1 8o Giorno 1a Meditazione. Gesù flagellato, coronato di spine, Crocifisso. 1a Considerazione. Allegrezza spirituale, secondo il mio ristretto. Insistette sull'eccellenza e grandezza dei beni della grazia di Dio che ci fa figliuoli ed operare [per] Dio, e ci rende ricevitori; le nostre azioni, in certo modo come quelle di Gesù, le rende come teandriche, cioè divino-umane, perché lo Spirito Santo opera in noi e con noi, e sulla protezione di Dio come Padre. S. Giovanni Crisostomo: “Accidit tibi malum? Gratias age Deo, et jam non est tibi malum, sed fit tibi bonum”. Non facciamo come i cani che mordono la pietra, ma miriamo a chi ce l'ha gettata, cioè Dio Padre, Redentore, Medico che ce lo permette per nostro maggior bene. Se è un gran male il detrarre al prossimo, lo sarà tanto più il detrarre a Dio, sebbene questa tacita detrazione all'onore di Dio si fa con la malinconia, perché si dà a divedere di essere malcontenti nel servirlo. Le azioni fatte con allegrezza spirituale sono differenti da quelle fatte con malinconia o accidia, come quelle di un giovane allegro e robusto, e quelle di un vecchio cadente. “Viam mandatorum tuorum cucurri, cum dilatasti cor meum”. Il timore Iddio lo intima per i peccatori ostinati, ma a chi vuole convertirsi, vuole che speri assai. “Dixi confitebor, et tu remisisti”. Questo è mio e bisogna ancora ruminarlo: “et ne auferas de ore meo verbum veritatis usquequaque, quia in judiciis tuis supersperavi”. “Memor fui judiciorum tuorum a sæculo, Domine, et consolatus sum” (Ps. 118). “Misericordia tua, Domine, plena est terra, justificationes tuas doce me”. “Confige timore tuo carnes meas: a judiciis enim tuis timui”. Pre,2333:T2,8,2 2a Meditazione. Gloria accidentale ed essenziale del Paradiso. Accidentale quanto al luogo: ampiezza dalla moltitudine di stelle, le quali sebbene non paiano a noi che un punto del cielo, tuttavia sono migliaia di volte più grandi della terra; quanto alla compagnia, il solo infimo coro degli Angeli sorpassa in numero gli uomini, essendo essi destinati a custodire noi, le città, regni, et omnia nostra. “Sunt administratorii spiritus in ministerium missi propter eos qui hæreditatem capient salutis”. Quale immensa moltitudine di essi, gli uni più perfetti degli altri, e tutti amici, intimi, cari nostri. Oltre l'innumerabile moltitudine di Santi, “vidi turbam magnam quam etc.”; quanto alla bellezza dei corpi: essi risplenderanno come altrettanti soli, l'anima come il sole della Divinità. Cattaneo: La bellezza di Maria Santissima sola sarà come un Paradiso a parte per i Beati nel contemplarla formosa tamquam Hierusalem. A fortiori l'umanità di Gesù Cristo. Pre,2333:T2,8,3 Essenziale per mezzo della visione, amore e gaudio. Come gli oggetti si uniscono all'intelletto per via della cognizione, così Dio uscirà come da se stesso per unirsi all'intelletto del beato per la visione. All'incontro la volontà non potendo a meno di amare l'oggetto a proporzione del bene che vi scorge, uscirà come da se stessa per unirsi all'oggetto conosciuto come suo Sommo Bene, di modo che unendosi Dio all'anima per via dell'intelletto, ed unendosi l'anima a Dio con la volontà ne seguirà un'unione la più intima, sì che sarà come divinizzata l'anima per partecipazione. Sarà come un purissimo cristallo posto incontro al sole che ne viene penetrato, sì che risplende della stessa luce del sole e pare un altro sole, in cui non si può fissare lo sguardo. “Similes ei erimus” etc. Dio disse a S. Agostino (in un colloquio con lui) che gli voleva vendere una casa, cioè il Paradiso, se la voleva comprare. Rispose chiedendogli S. Agostino: “Sono poi io abbastanza ricco per comprarlo?”. E Dio gli soggiunse: “Si, se lo vuoi”, cioè con la povertà, coi disprezzi, coi patimenti, con la morte puoi comprarti le celesti ricchezze, i celesti onori, il gaudio eterno, l'eterna vita in cielo. Pre,2333:T2,8,4 2a Considerazione. Devozione a Maria Santissima, quanto ella sia grande e potente, ci ami. 3a Meditazione. L'amore di Dio. Quanto Iddio sia buono con noi nei benefici promessici e fattici per sé, nella natura, nella grazia, nella gloria, e per mezzo delle creature dandoci l'esistenza che partecipa di tutte le altre creature, cioè l'essere, vegetare, sentire, conoscere, anzi operando a nostro posto nelle creature; in sé per le sue infinite perfezioni. Pre,2333:T2,9,1 Ultimo Giorno 1a Meditazione. Quanto Iddio 1. sia amabile, “omne bonum”; 2. quanto ci ami, “se nascens dedit socium”; 3. quanto voglia essere amato, “convescens in edulium”; 4. quanto dobbiamo amare Dio, “se moriens dat in pretium”, “regnans dat in præmium”. L'amore rende simile, trasforma, unisce l'amante all'oggetto amato, onde Dio per l'amore che ci portava si fece uomo. L'amore fece Dio simile all'uomo, l'amore nostro verso Dio ci rende simili a Dio. L'amore di peccatori subito ci trasforma, ci rende simili e ci fa figliuoli di Dio. Oh gran forza dell'amore! Pre,2333:T2,9,2 Ricordi. Esordio. Epilogo di quanto si fece negli Esercizi, cioè, come dice S. Bonaventura, Deformatum reformare nella via purgativa; Reformatum conformare nella via illuminativa con gli esempi di Gesù Cristo nella sua vita e Passione; Conformatum confirmare nella via unitiva con la speranza del Paradiso ed amore di Dio; Confirmatum transformare con la corrispondenza nell'amare Dio, perché l'amore trasforma l'amante nell'oggetto amato. Quindi per la perseveranza propose gli stessi mezzi usati negli Esercizi per l'acquisto del divino amore, cioè 1. solitudine, 2. riflessione e meditazione, 3. orazione, nella Messa dicendo tre volte “Domine non sum dignus”; riflettere: 1. al nulla nostro, 2. ai nostri peccati, 3. alla grandezza di Dio onde siamo veramente indegni ad ogni riguardo. Spirito d'orazione nell'ufficio e nella Messa, 4. confidenza in Dio colla diffidenza di noi, 5. generosità nel vincere le difficoltà. Finì coi ricordi di S. Caterina da Genova, cioè mondo sotto i piedi, eternità nella mente, Gesù nel cuore; amore, amore. Deo gratias. Pre,2333:T3 Memorie degli Esercizi datici dal S. T. Lanteri li 15 settembre 1819 Pre,2333:T3,1,1 1a Sera Ci diede a considerare ciò che sono gli Esercizi, lo scopo ed il modo di farli. 1a Meditazione. Fine dell'uomo (more solito). Pre,2333:T3,1,2 1a Mattina 1a Istruzione. Adnotationes quædam S. Ignatii, ut adjuvari possit qui accepturus est Exercitia Spiritualia. Spiegò in breve le seguenti annotazioni. 1a Quod ipso nomine exercitiorum etc. (in fine) exercitia vocantur spiritualia. Quod mirum in modum juvatur etc. (in fine) ejusdem beneplacitum. Quod exercenti se in prima hebdomada (in fine) esset reperturus. Quod admonendus est is etc. (in fine) spatium decurtetur. Quod cum facile sit etc. (in fine) etiam expugnare. Quod cum in sequentibus (in fine) potius moramur. Quod ut Creator (in fine) cultus et honoris. Quod secundum successum (in fine) disponitur. 2a Meditazione. Ripetizione della prima meditazione. Sublimissimi sentimenti della essenza e grandezza di Dio, sublimità dello stato soprannaturale cui ci ha elevati. Moltitudine, bellezza, perfezioni degli Angeli nello stato naturale; minimo di essi maggiore di tutti gli uomini; ma il minimo degli uomini con la grazia del Battesimo è maggiore di tutti essi nello stato naturale. 2a Istruzione. Ci spiegò brevemente le seguenti addizioni. Additiones S. Ignatii ad exercitia melius agenda, et ad ea quæ optantur invenienda perutiles. 1. Ut ego post cubitum etc. (in fine) retractans 2. Ut experge factus etc. induam 3. Ut a loco futuræ etc. debeam 4. Est ut ipsam satisfecero 5. Ut completo observaturus 6. Ut cogitationes recordatione 7. Ut eamdem ob causam vescendum est 8. Ut a visu abstineam 9. Ut in neminem occasio 10. Ut aliquam addam carnem Demum particulare examen venit Pre,2333:T3,2 2o Giorno 1a Meditazione. Castigo dei peccati. Primum exercitium meditandi secundum tres animæ potentias circa peccatum triplex; et continet orationem preparatoriam, duo præludia, et puncta tria præcipue cum uno colloquio. (Principio) oratio præparatoria etc. (fine) Consilium super illis sive auxilium etc. Pater. 1a Istruzione. Sull'umiltà. Necessità di detta virtù: considerazione sul tutto che è Dio, sul nulla che è l'uomo. Conclusione: amore ai disprezzi. 2a Meditazione. Malizia del peccato. Quis etc. Principio. Secundum exercitium est meditatio de peccatis etc., fine: exercitatio mei. 2a Istruzione. De pænitentia seu afflictione corporis. (Principio) aliquam addam etc., (fine) quod ipsi expedit. 3a Meditazione. Ripetizione delle due prime con tre colloqui. (Principio) tertium exercitium. Post præparatoriam etc. semel recitandum. Pre,2333:T3,3 3o Giorno 1a Meditatio de morte. Mortis idea et notio. Mortis certitudo quoad substantiam. Mortis incertitudo quoad circumstantias: in scritto (già l'ho copiata). 1a Istruzione. Examinis generalis modus, particulas, seu quinque puncta, complectens (in breve). 2a Meditazione. Giudizio particolare comparsa, esame, sentenza: senza parole o scritti, cioè propose i punti in due o tre minuti. 2a Istruzione. Examen particulare etc. Additiones quattuor etc. 3a Meditazione. Preparazione alla morte, ossia morte pratica. Pre,2333:T3,4 4o Giorno 1a Meditazione. Giudizio universale. 1a Istruzione. Regulæ aliquot ad motus animæ quos diversi exercitant spiritus etc. 14 sunt hæ regulæ (copiate) Prima hebdomada convertunt. 2a Istruzione. Orazione: necessità, efficacia, condizioni. 3a Meditazione. Figliuolo prodigo: partenza: unde, ab quam, cur, ritorno, accoglimento: le minacce furono carezze, etc. Pre,2333:T3,5 5o Giorno 1a Meditazione. Regno di Cristo: Contemplatio, etc. in prima parte e seconda parte: 3 puncta imaginari Regem; applicare parabolam Regis. 1a Istruzione sulla Fede, cioè: 1. quanto prezioso Deus sia nella sua origine: Dio nei suoi oggetti: Dio, l'anima, nei suoi effetti, ordine sovrannaturale, etc.; 2. condizioni della Fede: universale: verità speculativa e verità pratiche; ferma: nelle occasioni; soprannaturale, etc.; 3. uso della Fede: applicare il Simbolo nelle tentazioni varie. 2a Meditazione. Incarnazione e nascita. 2a Istruzione. Regulæ aliquot servandæ, ut cum ortodoxa Ecclesia vere sentiamus (reg. 18). (Animi dispositio) reg. 1 sublato proprio, etc. Reg. 18 Quamvis summe laudabile sit, etc. 3a Meditazione. Vita privata. Pre,2333:T3,6,1 6o Giorno 1a Meditazione. Due stendardi. Meditatio de duobus vexillis: uno quidem J.C., etc. (fine), fiat ante cariem. 1a Istruzione. Regulæ aliæ ad pleniorem spirituum discretionem, etc., reg. 8. Nella 2a osserva che Iddio solo, come Padrone, può entrare nell'anima senza servirsi di alcun mezzo; all'incontro le creature (come è pure il Demonio) bisogna che usi qualche mezzo. Nella 4a ci spiegò la tentazione di Gesù Cristo nel deserto, prima sotto specie di necessità per la fame: dic, ut lapides isti etc.; seconda, essendo stato ribattuto con la confidenza in Dio, procura d'insinuarsi con la stessa confidenza in apparenza: mitte te deorsum… Angelis suis mandavit de te; terza, alla scoperta volle indurlo all'Idolatria, e Gesù Cristo lo ribatte con il disprezzo: vade retro, Satana, etc. Nella 7a lo spirito buono e cattivo operano anche di conformità in questo che, siccome si insinua dolcemente lo spirito buono con chi è di Dio e vuole servire Dio, all'incontro lo spirito cattivo procura di entrarvi con forza e strepito, perché ha da scacciarvi Iddio. Così pure il Demonio lascia godere falsa pace a chi è in peccato e seguita a peccare, e l'Angelo buono lo eccita e lo inquieta con rimorsi per convertirlo, onde la pace dei buoni è da Dio, e quella dei peccatori dal Demonio, e così viceversa l'inquietudine ai peccatori è da Dio, ai buoni è dal Demonio. Pre,2333:T3,6,2 2a Meditazione. 3 Classi. Meditatio, eodem die facienda de tribus hominum classibus, etc. Oratio, etc., (fine) prout ad Divinum. 2a Istruzione. Sulla perfezione. Consiste essa nella carità ben ordinata, cioè di fare la volontà di Dio adempiendo tutti i precetti, e seguendo i consigli in concreto, cioè facendo la volontà di Dio hic et nunc come ci significa il Signore, schivando non solo il peccato mortale, ma anche il veniale pienamente deliberato, anzi imitando, per quanto è possibile quaggiù, la perfezione del nostro Padre celeste con evitare anche le imperfezioni pienamente deliberate, cioè fatte apposta per elezione, poiché le altre indeliberate non possiamo evitarle e non dobbiamo farne caso. Anzi, neppure le imperfezioni pienamente deliberate non impediscono l'attendere e l'arrivare alla perfezione, perché subito risorgiamo con il dolore ed amore fiduciale. La perfezione (S. Francesco di Sales) non consiste nel non mai mancare, ma nel non perseverare nella volontà di mancare. Finalmente fuggire ogni ansietà e servire Dio grosso modo, con il pensiero che Iddio è nostro Padre. S. Teresa dice a Dio nelle meditazioni sul Pater: avete poi pensato bene agli obblighi che vi siete preso nel voler esserci Padre, compatirli, aiutarli, difenderli, nutrirli, procurare ogni loro bene, farli una sussistenza, correggerli, castigarli, ma sempre da Padre. 3a Meditazione. Tre gradi d'umiltà. Terzo grado nell'amare, e scegliere ciò che amò, e scelse in pratica Gesù Cristo, senz'altra vista che per desio d'imitarlo. De tribus humilitatis gradibus. Primus, etc. Pre,2333:T3,7 7o Giorno 1a Meditazione. Gesù nell'orto. Pene interne di Gesù. Modo con cui si regolò Gesù. Come si regolarono gli Apostoli. Esito. 1a Istruzione. Sulla Speranza. Iddio è nostro. Se Dio è con noi, dunque abbiamo il Paradiso in noi con la differenza che là si sente, si gusta, si vede, si gode, qui no. L'esordio lo prese dalla fede, che è la vita del giusto il vivere di fede. Questa è una vita divina. Distinse le quattro vite che possiamo vivere, cioè vita vegetativa con gli alberi (dormendo), sensitiva cogli animali (seguendo la fantasia ed i sensi), ragionevole come uomini (seguendo la retta ragione), divina come cristiani (seguendo ed operando secondo la fede). Obbligo, eccellenza vantaggi di questa vita. Quanto poco ci pensiamo! Riguardo alla speranza, parlò dell'oggetto, del fondamento, dell'obbligo e vantaggio contro le tentazioni. Torto che si fa a Dio colla diffidenza. 2a Meditazione. Gesù nei tribunali. 2a Istruzione. Sovra Maria Vergine. Divisione di S. Bernardo circa l'Ave Maria: Ave Maria, quia purissima, gratia plena, quia plenissima, Dominus tecum, quia tutissima, benedicta tu in mulieribus, quia dignissima, benedictus fructus ventris tui, quia utilissima. 3a Meditazione. Flagellazione, coronazione, crocifissione di Gesù. Pre,2333:T3,8 8o Giorno 1a Meditazione. Paradiso. Gloria accidentale (insistette specialmente sull'ampiezza del luogo, indicando le distanze e grandezza degli astri e dei cieli). 1a Istruzione. Amore del prossimo (come la mia). 2a Meditazione. Paradiso. Gloria essenziale (come la mia), spiegò maggiormente gli effetti dell'unione, cioè due estasi etc. 2a Istruzione. Rettitudine d'intenzione: in che consista; in quante maniere, ossia quante intenzioni diverse, buone, migliori, ottime in una sola azione; i motivi o le ragioni di usarla; due sorta: attuale, virtuale. Vi è questa differenza, che la virtuale meno comunica di merito quanto è più lontana, come l'albero lontano o vicino all'acqua e all'ingorgo. Industrie del demonio per guastare le nostre buone intenzioni, mischiandovi quelle del genio, dell'interesse e della vanità. Mezzo per non esserne ingannato: disprezzo dei fini bassi, esame mattina e sera, rinnovazione d'intenzione pura. 3a Meditazione. Amore di Dio. Contemplatio ad amorem spiritualem in nobis excitandum (in fine). Circumspectio. Conclusione. Amore di Dio. Ricordo in sorte toccatomi, “omnia possum in eo qui etc.” Deo gratias. Pre,2333:*1 Parola di difficile lettura. Pre,2333:*2 È probabile che Craveri abbia tenuto la seconda Considerazione o la seconda Meditazione. Pre,2334a:S Corso di Esercizi spirituali – Parte I AOMV, S. 2,13,3:334 Vari testi di mano Guala con correzioni di mano Lanteri. a. 3 Meditazioni sul fine dell'uomo b. Castighi del peccato c. Danni del peccato d. Meditazione del peccato mortale considerato in sé e nelle sue circostanze e. Meditazione della morte. Certa – Incerta f. Meditazione della morte del peccatore. Come si vive si muore g. Meditazione del giudizio universale h. Meditazione dell'Inferno i. Meditazione dell'eternità j. Meditazione del Figliuol prodigo k. Meditazione della vita privata di Gesù Cristo l. Meditazione della vita pubblica di Gesù Cristo m. Meditazione dei due stendardi n. Tristezza di Gesù nell'orto o. Ignominie di Gesù nei tribunali p. Tormenti di Gesù r. Del paradiso (testo di mano Lanteri) s. Meditazione dell'amor di Dio Pre,2334a:T Elementi della scienza della salute Meditazione del fine dell'uomo Pre,2334a:T0,1 1a Meditazione: 1o punto. Qual è il principio. 2o punto. Qual è il nostro fine prossimo su questa terra. 3o punto. Qual è il nostro fine ultimo nell'altra vita. 2a Meditazione: 1o punto. Motivi fortissimi di servire Dio per parte di Dio. 2o punto. Motivi fortissimi di servire Dio per parte nostra. Pre,2334a:T0,2 Dio il nostro Principio Pater noster qui es in cælis Il nostro fine su questa terra Sanctificetur nomen tuum Nell'eternità Adveniat Regnum tuum Tutto il rimanente sono mezzi Fiat voluntas tua Principium – Finis ante quem nullus – post quem nullus a quo omnia – propter quem et ad quem omnia homo non declinat a principio sciens se – homo non declinat a fine ordinans se nil habere nisi a Deo – et omnes actus suos ad Deum Pre,2334a:T1 Esordio Pre,2334a:T1,0,1 [Siccome*1 gli Esercizi Spirituali non consistono già soltanto in passare alcuni giorni in solitudine e in dare maggior tempo all'orazione, alla lettura, all'esame, ma il loro scopo fissato da S. Ignazio si è di tendere efficacemente alla riforma di tutto se stesso, si è particolarmente di disporre l'animo a togliere primieramente da sé tutte le cattive e disordinate affezioni; indi a cercare, trovare ed eseguire la volontà di Dio circa quello stato di vita in cui Dio lo ha posto; quindi faceva d'uopo di un cert'ordine e concatenazione di verità, le quali partendo da certi principi inconcussi ed evidentemente provati, convincessero con facilità la mente dei suoi errori e scoprissero al cuore i suoi vizi, indi movessero la volontà a distruggere questi e combattere quelli, e poscia rivestirla di quelle ottime massime e di quei eccellenti costumi che possono assicurarci la nostra eterna salute. Pre,2334a:T1,0,2 Ed è appunto quello che fece S. Ignazio: fissò egli per base e fondamento dei suoi Esercizi la meditazione del fine dell'uomo, e perché non risparmiamo ad alcuna industria, per ben riuscire in questa meditazione fissiamo primieramente la nostra volubile e divagata immaginazione con figurarci: per preludio figuratevi che il vostro Angelo vi conduca innanzi al trono di Dio e vi dica: “Ecco qual è il vostro Creatore, il Padrone a cui dovete servire, ecco chi sarà la vostra mercede”; oppure figuratevi di assistere alla creazione di Adamo e d'udirgli intimare dal suo Creatore il precetto di adorarlo: Dominum Deum tuum adorabis. In 2o luogo ricordiamoci della nostra insufficienza e perciò ricorriamo a Dio fonte di lumi e sorgente di ogni buona volontà: Notum fac, Domine, finem meum (Ps. 38). Oro supplex et acclinis gere curam mei finis – Fecisti nos, Domine, ad te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te. Hayneuve p. 3, p. 311 et seq.; p. 300; per l'esordio v. Nouet, Retraites, t. I p. 45. Pre,2334a:T1,1 Primo Punto: Sono stato creato da Dio. Eccellenza della nostra origine Pre,2334a:T1,1,1 Che noi siamo stati creati da Dio ce lo replica la S. Scrittura, ce lo propone a credere per verità di fede la S. Chiesa, ce lo detta la ragione, ognuno lo ha imparato fin da bambino; ma siccome avviene di tutte le verità, così anche di questa, che assuefatti più non se ne sente la forza ed il pregio, però è bene di quando in quando esaminarla di nuovo e ben ponderarla per gustarla di nuovo, per comprenderne il gran beneficio, che è quello della nostra creazione e ringraziare il Creatore per osservare l'eccellenza della nostra origine e riformare le nostre idee troppo basse e terrene.] Per comprendere qual è il nostro principio discorriamola così: 50-100 anni sono, anzi per tutta l'eternità antecedente cos'ero io? Un nulla. Dove esistevo io? Nel nulla. Da tutta l'eternità esisteva Dio, esisteva già da 6.000 [anni] questo mondo, esisteva già da gran tempo questa città o luogo, esistevano queste contrade, queste case, esistevano già questi uomini, ed esistevano senza di me, né alcuno pensava a me. Io in tale tempo avevo nessun bene, nessuna qualità, nessun vantaggio; avevo né corpo né anima: quanto al corpo io ero meno di un insetto, io ero un po' di terra informe, un po' di fango: pulvis es; quanto all'anima io ero meno di un atomo, perché io ero nel nulla, ero confuso nelle creature che non esistevano ancora e fra quelle che non esisteranno giammai; forse che era necessaria la mia esistenza? No, niente più di quel che lo sia l'esistenza di un piccolo insetto, di più o di meno. Come va dunque che io esisto in questo mondo, chi è dunque che mi ha creato? Pre,2334a:T1,1,2 Io non mi sono creato da me stesso, perché io ero un niente e il niente non può operare, giusta il principio evidentissimo: ex nihilo nihil fit. Se noi inoltre ci fossimo dati l'esistenza, noi potremmo conservarcela poiché una cosa non è più difficile dell'altra; se noi ci fossimo dati la vita, noi potremmo ridonarcela quando l'abbiamo perduta, il che è impossibile come voi vedete. Dunque non ci siamo creati da noi stessi; forse dunque saranno i nostri genitori; no, non sono i nostri genitori, perché sono incapaci di fabbricarmi la macchina così ammirabile di questo mio corpo, ignorando affatto la moltitudine, l'armonia, il gioco degli innumerabili ordigni che lo compongono. (Infatti quale creatura mortale avrebbe potuto d'una medesima materia formare tante diverse membra e così ben connesse, come dare alle ossa quella consistenza e solidità, come al sangue quel movimento e quella fluidità, come ai nervi, ai tendini quella forza e quella pieghevolezza, agli umori quell'unzione e quella dolcezza, alle carni quel temperamento proporzionato? Come stabilire tra tante e differenti parti che compongono il corpo quella dipendenza così necessaria che una niente può senza l'altra, un'armonia così perfetta che tutte cospirano alla loro vicendevole conservazione, quella proporzione così giusta che esse fanno un tutto così ammirabile a cui niente manca, ed in cui nulla vi è di superfluo?) Anzi, che dico incapaci di formarmi questo corpo, se neppure capaci sarebbero di formarne la menoma parte di esso, ignorando la composizione ed il meccanismo perfino di un solo dito, perfino d'un solo capello che portiamo in capo; che direi poi dell'altra porzione più nobile di me stesso, voglio dire di quest'anima spirituale, eterna, immortale e libera, di quest'anima così nobile che mi distingue dai bruti, che mi uguaglia pressoché agli Angioli che sono il ritratto medesimo di Dio? Potevano forse somministrarmela i miei genitori? Avevano essi potere infinito per trarmela dal nulla? Giammai. Pre,2334a:T1,1,3 Furono ben essi gli strumenti per l'occasione della nostra creazione e formazione, ma non furono già i nostri creatori. Infatti udite come ne istruiva di questa verità i suoi figliuoli la savia Madre dei Maccabei: “Non vi crediate già, figliuoli miei, che sia io che v'abbia creati, no, io non so neppure come voi compariste nelle mie viscere quando vi concepì; non sapevo a chi davo la vita; io non vi diedi certamente quest'anima; non sono io che compaginai queste membra, codesti sensi, non sono mio dono, io non vi formai questo corpo, ma fu quel Dio che creò il cielo e la terra, che ha formato ciascuno di voi, che ha dato la vita a ciascuno di voi.” Nescio qualiter in utero meo apparuistis neque enim ego spiritum et animam donavi vobis, et vitam et singulorum membra non ego ipsa compegi, sed mundi creator qui formavit hominis nativitatem (2 Macchab. c. 7). Dunque non siamo noi che ci siamo creati, e neppure i nostri genitori poterono tanto; ma sarà egli mai alcuno spirito angelico? Neppure, perché la creazione, ossia il cavare dal nulla alcuna cosa, suppone una virtù infinita, la quale non possono avere gli Angioli stessi. Da più alta origine ripetiamo dunque la nostra creazione, rimontiamo sino a Dio e quivi troveremo il nostro Facitore, il nostro Padre, in Dio troveremo Sapienza infinita per fabbricarci la macchina così ammirabile del nostro corpo, in lui troveremo potere infinito per trarci dal nulla quest'anima spirituale, in lui troveremo bontà infinita, unica ragione sufficiente della nostra esistenza. Uno sguardo dunque a quel Dio che ci creò, uno sguardo a noi che siamo creati. Osserviamo quanto è grande quel Dio che ci creò. Osserviamo quanto siamo spregevoli da noi stessi. Osserviamo come siamo divenuti grandi per Dio. Pre,2334a:T1,1,4 Modo che Dio tenne per crearci E perché prendiamo un'idea giusta e grande della nostra origine e del beneficio che ci compartì il Signore nella Creazione, vediamo il modo che Dio tenne per crearci. Apriamo la S. Genesi e leggiamovi tutto quel che concerne alla Creazione dell'Universo, voi vi troverete che mentre si trattava di creare il cielo e la terra e di formare quindi tutte le altre creature, con un fiat, con un solo comando, con la sola voce produceva ogni cosa; quando poi si trattò di creare l'uomo, udite come parla: Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram. Notate coi SS. Padri la forza ed il mistero di quella parola faciamus: 1. con questa parola dimostra Iddio di avere sino a quel punto come scherzato nelle sue opere, ed ora sembra di volersi mettere egli stesso a lavorare seriamente; fino allora comandava alle cose che uscissero dal nulla e si formassero, e tutto ubbidiva alla sua voce, ma ora non vuole più che sia opera solo della sua voce e del suo comando, vuole che sia lavoro ancora delle sue mani. Pre,2334a:T1,1,5 2. Osservano i SS. Padri in questa parola faciamus, un gran mistero, ed è che quivi Iddio parla in numero plurale: faciamus, la qual voce nella lingua ebraica non può intendersi altrimenti che delle tre divine Persone, le quali si adunarono come in concilio per deliberare sul modo di questa creazione, e concorsero tutte tre personalmente ad effettuarla. Onde (esclama qui S. Giovanni Crisostomo): Cos'è questa novità, cos'è questa rarità? Chi si deve creare che fa d'uopo per questo al Grand'Artefice di tanta circospezione e di tanto consiglio? Questi è l'Uomo che si trattava di creare innocente, di redimere peccatore, di glorificare giustificato, perciò concorsero tutte e tre le divine Persone con dire ciascuna: Faciamus; e Dio vuole primieramente lavorarne con le sue mani il corpo e non affidarlo ad altri, come sogliono lavorarsi le cose più care con le proprie mani anche da grandi personaggi; non vuole più che sia un semplice scherzo del suo sapere e del suo potere, ma vuole che sia un capo d'opera della sua Sapienza e della sua Potenza; però egli stesso si mette attorno ad un'informe massa di creta tutto intento ed occupato, direi così, colla mente, con la mano, con l'opera, col consiglio e più con l'infinito suo amore va suggerendo la forma di quel corpo, la distribuzione delle parti, la simmetria delle membra, i lineamenti del volto: Formavit, dice Mosè, Dominus Deus hominem ex limo terræ: formavit, cioè come il vasaio applicatamente impasta e forma il vaso, così Dio formò l'uomo da un po' di terra. E tanta parzialità volle Dio usare nella formazione del solo corpo, il quale pure non doveva servire che di pura abitazione e di ministro di quell'anima che doveva poi divenirne padrona, doveva animarlo, guidarlo e farlo agire. Pre,2334a:T1,1,6 Che sarà poi della creazione della medesima? Ascoltiamone dallo stesso divino Storico la narrazione: Et inspiravit, continua egli, in faciem ejus spiraculum vitæ. Osservate, non più la voce qui usa come nella creazione dell'Universo, non più la mano come nella formazione del corpo, ma con un suo fiato, o come interpretano i sacri Espositori, con un sospiro che in certo modo partì dal cuore medesimo di Dio; creò l'anima per dimostrarci con questo che prende essa immediatamente la sua sorgente dal cuore medesimo di Dio, che si è come staccata da esso, che il divino amore ne è la sola causa efficiente di essa e immediata, che è come in certo modo, della sostanza del cuore di Dio. Pensate quale maggior distinzione non doveva usare nella creazione di essa? Tutte le altre cose furono create, dice Davide, con la voce dell'Altissimo, che le chiamò dal nulla è comandò che venissero all'essere: ipse dixit et facta sunt, ipse mandavit et creata sunt. Il corpo dell'Uomo già fu formato con maggior distinzione, cioè con le proprie mani di Dio. Dicemmo: Formavit Deus hominem de limo terræ, ma l'anima, udite come si esprime Mosè: Et inspiravit in faciem ejus spiraculum vitæ, che è quanto dire ch'ella fu creata con un sospiro dell'Altissimo; ognuno sa che il sospiro altro non è che un'aura che si stacca dal cuore, e che egli è la voce propria di un Amante. Dunque il cuore di Dio fu la vera sorgente dell'anima nostra, e perché l'amore cerca il soggetto amato simile a sé, perciò nell'atto che crea quest'anima e la infonde nel corpo, le imprime come un raggio della sua stessa Divinità, e un marchio della Ss. Trinità; quindi la crea, ma nella riga degli Enti spirituali, liberi, immortali e sublimi come è Dio Padre. Pre,2334a:T1,1,7 L'anima figlia di Dio In una parola per dimostrarci che l'anima può chiamarsi, ed è veramente figlia di Dio, perché partecipa in certo modo della sua sostanza, perché le è impressa l'immagine e somiglianza di Dio. Infatti ecco impresso un raggio di divinità, trovandosi essa nella riga degli Enti spirituali, liberi, immortali e sublimi, come è Dio, eccole scolpito ancora il marchio della Ss. Trinità nelle potenze dell'anima, essendovi tre potenze distinte in una sola anima, come tre sono le persone distinte in un solo Dio, acciocché con la memoria del passato si rassomigliasse al Padre a cui particolarmente si attribuisce l'Eternità, con l'intelletto si rassomigliasse al Figlio a cui si attribuisce particolarmente la sapienza, con la volontà si rassomigliasse allo Spirito Santo a cui particolarmente si attribuisce l'amore; in seguito a questo vuole che lo chiamiamo Padre nostro e stabilì commercio con noi. Ecco come l'uomo è grande agli occhi di Dio; ecco qual è la nostra origine! L'intelletto pure col suo potere crea l'arte, e se l'arte è emula della natura, l'intelletto umano può ben dirsi emulo dell'eterna sapienza e potenza di Dio, con esso può dirsi che acquista anche una certa immensità, perché con esso oltrepassa i limiti di questo mondo visibile ed entra in un altro tanto più vasto, che mondo intelligibile si chiama, e quivi di ogni cosa discorre, delle esistenti e non esistenti cose, delle cose possibili ed impossibili ancora. Pre,2334a:T1,1,8 Inoltre l'anima con la volontà siede anch'essa sul trono del suo libero arbitrio, trono riverito perfino e rispettato da Dio medesimo. Essa a tutte le proposizioni rimane libera e sciolta, finché finalmente da Regina si risolva e comandi, si rende essa se vuole superiore a tutto il creato, nulla teme, tutto intraprende, ad essa insomma spetta il comando, spetta la corona del piccolo mondo dell'Uomo e dell'universo stesso. Et creavit, aggiunge il S. Testo, hominem ad imaginem suam, ad imaginem Dei creavit illum; conseguenza di ciò che veniamo a dire, perché se l'anima è un prodotto immediato del divino amore, siccome è proprio dell'amore il cercare sempre l'oggetto amato simile a sé, ne segue che l'anima doveva essere creata ad immagine e similitudine di Dio. Vedete come si ingrandisce sempre più la nobiltà ed eccellenza dell'anima nostra, non solo per avere essa ricevuto l'origine sua dal cuore di Dio, ma ancora perché porta impressa l'impronta della divinità stessa. È troppo nobile questo pensiero, uopo è che vi ci tratteniamo alquanto e consideriamo almeno di volo in che consiste questa impronta della divinità nell'anima. Consiste questa nell'essere simile a Dio nella sostanza, simile nelle sue perfezioni, nell'essere immagine della Ss. Trinità, nell'imitare perfino le imperscrutabili interne operazioni delle tre divine Persone. Potete immaginarvi qualità più grandi di queste, pur queste vi sono nell'anima. È l'anima simile a Dio nella sostanza, perché anch'essa si trova innalzata fra gli esseri spirituali, liberi, immortali e sublimi, come è Dio. Si trova simile a Dio nelle sue perfezioni; infatti fa Dio risplendere la sua Sapienza, la sua Potenza nella creazione della natura. Pre,2334a:T1,1,9 Ecco come risplende nell'anima l'immensità di Dio, la sua libertà, il suo dominio sopra tutte le cose. Vediamo ora come l'anima è l'immagine stessa della Ss. Trinità. Tre potenze distinte noi troviamo in una sola anima, come tre sono le persone distinte in un solo Dio, e ancora ciascuna di queste potenze ha la sua speciale relazione con ciascuna divina persona, di modo che con la memoria del passato si rassomiglia al Padre cui si attribuisce particolarmente l'eternità; con l'intelletto si assomiglia al Figlio cui si attribuisce particolarmente la sapienza; con la volontà si assomiglia allo Spirito Santo cui particolarmente si attribuisce l'amore e la bontà. Finalmente osservate come sa imitare l'anima le interne ineffabili operazioni delle tre divine persone: vale più un'anima che tutto l'universo. In Dio il Figliuolo nasce dall'intelletto fecondo del Padre, lo Spirito Santo procede dalla volontà accesa del Padre e del Figliuolo, così nell'anima nostra l'intelletto fecondo della specie della memoria produce ancora il suo verbo mentale, che è l'intelligenza, e la volontà guidata dall'intelletto ancora essa produce il suo amore. Ecco come l'anima è immagine viva di Dio, la quale talmente si assomiglia al suo prototipo, che i Teologi parlando di Dio, e massime per spiegarci qualche cosa dell'ineffabile mistero della Ss. Trinità, non trovano similitudine più vivace, più acconcia di questa, ed è poi in seguito a questo che Dio volle essere chiamato dall'anima con il dolce nome di Padre. Sic enim orabitis: Pater noster qui es in cælis e lui volle chiamarci col prezioso nome di figliuoli e quasi di altrettanti Dei: Ego dixi: Dii estis et filii excelsi omnes. Tale, diletti, è la nobile origine non di Adamo soltanto, ma di ciascuno di voi e di me, cioè quel Signore di infinita Maestà, Potenza, Grandezza, ricchissimo, perfettissimo, beatissimo, fra tante altre creature possibili che poteva creare, fissò il suo benigno sguardo su di voi e di me, e determinò di trarci dal nulla, quindi nel tempo che a lui piacque, formò con le sue mani nelle viscere di nostra madre questo corpo che abbiamo, con questi sentimenti, creò con un suo sospiro e staccò in certo modo dal suo cuore quest'anima ragionevole ed immortale, dotata di quelle tre sublimi potenze, per le quali viene ad essere ritratto della Divinità e Trinità stessa di Dio. Pre,2334a:T1,1,10 Idee grandi della nostra origine Concepiamo dunque idee grandi della nostra origine, le idee di illustri natali di questa terra, di cui sogliono vantarsi gli uomini, sono idee troppo basse per noi. Vantiamoci piuttosto di essere di Dio, della stirpe di Dio, d'avere un Dio per Padre, d'appartenere tutto a lui ipsius enim genus sumus. Onde coi più vivi sentimenti di gratitudine riconosciamo un tanto beneficio e diciamogli con Giobbe: o Dio mio, sono le vostre mani che mi hanno formato manus tuæ fecerunt me –, né solo formato come a getto, mi hanno lavorato applicatamente – et plasmaverunt me totum in circuitu. Voi siete quello che mi vestiste di pelle e di carne, mi componeste di ossa e di nervi nell'organizzazione del mio corpo – pelle et carne vestisti me, ossibus et nervis compegisti me; inoltre siete voi che deste la vita a questo inanime corpo, creandomi un'anima così nobile e sublime a vostra immagine ed infondendola in esso; voi che mi usaste misericordia facendovi mio Creatore, mio celeste Padre-vitam et misericordiam tribuisti mihi. Pre,2334a:T1,1,11 Misericordia, dice Giobbe, e si noti bene, che ci ha usato il Signore nel così crearci, nel voler esserci nostro Padre e con tutta ragione, Cristiani miei, perché a ciò non era indotto né da alcuno suo bisogno, né da alcun previo nostro merito. No, non è che Dio aveva alcun bisogno di noi, perché di nulla è manchevole ed ha per tutta l'eternità antecedente menata senza di noi una vita colma e sopraccolma di tutti i beni possibili, né può essere preceduto alcun nostro merito, perché non ancora esistevamo, anzi tutto all'opposto, precedevano nella sua mente tutte le ingratitudini, prevedeva egli ancora quanti l'avrebbero servito di gran lunga meglio di noi, eppure fissò il suo pietoso sguardo sovra di voi, sovra di me e volle, a preferenza di tutti, compartirci un così segnalato beneficio, non per altro, diletti, che per puro e mero effetto di sua bontà e misericordia, per puro desiderio del vostro e del mio bene; insomma il solo suo amore, il solo suo pietoso cuore verso di noi ha perorato per noi. A cosa dunque non ci obbliga la grandezza del beneficio compartitoci nella creazione e la riconoscenza per una tale predilezione, per tanta distinzione? Come avremmo dovuto operare conseguentemente alla nostra origine, conformemente al carattere di figliuoli di Dio, come avremmo dovuto corrispondere ai disegni di un così buon Padre, e stimare ed amare chi tanto ci stima e ci ama? Pre,2334a:T1,1,12 Cosi è, diletti, così avremmo dovuto fare per poco che avessimo avuto qualche idea di Dio e del benefizio della creazione conferitoci da Dio. Ma, mio Dio, quanto diversa e quanto contraria è stata per l'addietro la mia condotta, quanto non ho io occasione d'arrossirmi. Ah! Si sarebbe detto che io ero creato da voi ad immagine vostra, col carattere di vostro Figliuolo! Quanta ragione non avevate di rinnovarmi quei vivi e giusti rimproveri che faceste fare per bocca del vostro profeta al popolo di Israele: Hæccine reddis stulte et insipiens, numquid non ipse est Pater tuus, qui possedit te et fecit te et creavit te? E questa è la riconoscenza che mi usi, o stolto, non sono io forse il tuo Signore, il tuo Padre, che ho diritto sopra di te, che ti ho formato codesto corpo, che ti ho creata quest'anima, e così tu volti le spalle a chi ti ha generato, così tu dimentichi e disprezzi il tuo Dio, il tuo Creatore? Deum qui te genuit, dereliquisti et oblitus es Domini creatoris tui? (Deut. 32). Prego ciascuno di voi richiamarvi quest'oggi un momento alla mente l'origine vostra, cercare di comprendere la grandezza di un tanto beneficio, e l'immensa bontà e misericordia di Dio in volerlo compartire a voi a preferenza di tant'altri che se ne sarebbero serviti incomparabilmente meglio di voi, indagare le obbligazioni che quindi ne risultano, e la vostra mala corrispondenza nel passato, dare insomma una breve occhiata alla storia della vostra vita per vedere se sia ella stata conforme all'origine vostra, corrispondente al vostro carattere ed alle obbligazioni che professate a Dio. Pre,2334a:T1,1,13 Il 2o punto è che noi siamo stati creati da Dio per servirlo in questo mondo. [Ma avanti che passiamo al 2o punto vi prego di riflettere ancora, che il beneficio grande della creazione ad ogni momento Iddio ce lo rinnova, poiché che altro è la conservazione se non una continua creazione che Dio fa di noi, giacché da noi stessi, se Dio non travagliasse in ogni momento a tenerci in vita, a continuare di darci l'essere, tenderemo al nostro nulla, come incapaci di esistere da noi stessi, tanto in ogni momento quanto lo eravamo in quel primo momento, in cui Dio ci trasse dal nulla, da questo ne voglio dire: 1. che in ogni momento noi siamo debitori a Dio di questo beneficio ugualmente che al primo momento della nostra creazione; 2. che ogni qualvolta si pecca, l'uomo si rivolta contro Dio nell'atto che Iddio gli dà la vita; fingete che Adamo si fosse rivoltato pertinacemente contro Dio nell'atto che lo creava, dite se avremo potuto passargli una sì nera ingratitudine, un tale affronto, ora lo stesso facciamo noi ogni qualvolta pecchiamo, perché sempre si pecca nel momento che Dio ci conserva, cioè ci continua a dare l'essere*2.] Pre,2334a:T1,2,1 Secondo Punto: [Creati per servire Dio in questo mondo] L'uscire dalle mani creatrici di un Dio è la nostra grandiosa origine; l'occuparsi di Dio e il ritornare a Dio è il nostro nobile fine, per ragione della nostra origine tutto quanto noi siamo ed abbiamo è tutto da Dio e di Dio; per ragione del nostro fine dobbiamo impiegare tutto noi stessi ed ogni altra cosa che abbiamo ancora per Dio, ce lo intima questo, egli chiaramente: Dominum Deum tuum adorabis et illi soli servies (Deut. 6); Ego sum Alfa et Omega, Principium et Finis (Apoc. c. 1, c. 22); Legem meam custodite: Ego Dominus (Levit. 18-19). Sapete inoltre (Exod. 19) con che autorità ci diede la legge sul monte Sinai fra i tuoni ed i lampi; sapete che nient'altro ci predicarono i Profeti e gli Apostoli, e ci predicano tutti i dì i suoi Ministri. Egli è chiaro ed evidente che dobbiamo glorificarlo amandolo, che dobbiamo amarlo servendolo, che dobbiamo servirlo osservando i suoi comandamenti. Né Dio poteva fare altrimenti, poiché l'essere il più perfetto deve sempre proporsi i fini più eccellenti, le viste le più degne di lui, e siccome non v'è niente sopra di lui in vista di cui egli possa agire, ne viene per conseguenza che dovette egli fare tutto per sua gloria, ciò che fece dire all'apostolo Paolo: Omnia propter semetipsum operatus est Deus. Egli è dunque chiaro ed evidente che siamo creati per Dio, per occuparci di Dio, per impiegare a suo servizio tutti i sentimenti del corpo, le facoltà dell'anima. Pre,2334a:T1,2,2 Ecco perché ci ha formati di corpo e di anima; ci ha dato questo corpo e in questo ci ha dato gli occhi per vedere le meraviglie che sa operare Dio, le orecchie per ascoltare le sue grandezze, la sua volontà, le mani, i piedi per eseguire i suoi precetti. Ci ha dato l'anima e in essa la memoria per pensare e ricordarci di Dio, l'intelletto per apprezzarlo, la volontà per amarlo: ecco gli strumenti della nostra servitù che Dio esige e per cui sono creato. Dio ci ha creati per farci suoi adoratori, suoi servi. Homo sum ut servus sim non per essere ricco, dotto, etc.; fides et ratio docet – fides in historia de primo homine. Si osservi la condotta di Dio, appena creato l'uomo, alcune cose gli permette, altre gli proibisce, lo minaccia, lo castiga: questi sono atti di vera giurisdizione che esige vera soggezione, e così volle subito mettersi in possesso del suo dominio. Ratio Dio summa Sapienza e Santità non può fare niente se non sapientemente e santamente; la sapienza richiede un fine prudente, la santità un modo conveniente; dunque non poteva Dio creare l'uomo che per sé e obbligarlo con certe leggi a servire se stesso. Pre,2334a:T1,2,3 Ecco la nostra destinazione, l'occupazione che ci fissò Dio su questa terra. Ah! Che se è nobile la nostra discendenza perché è da Dio, non meno nobile è la nostra occupazione perché è di Dio. Riflettiamo dunque che non siamo già nati per servire i principi ed i re di questa terra, non per servire i Beati, gli Angioli del Cielo, siamo nati per qualche cosa di più grande, tanto meno per servire al mondo, alla carne, al demonio, siamo nati per servire il Re dei re, il Dio del Cielo e della Terra; non può essere più gloriosa la destinazione che ci diede Dio, tutto ciò che non è Dio per occuparci solo di Dio, e veramente ragione voleva che a nascita grandiosa corrispondesse grandiosa occupazione; troppo disdiceva a chi è nato da Dio doversi occupare principalmente in cose terrene e caduche; perciò Dio ci diede un'occupazione che noi non potevamo desiderare più nobile e vantaggiosa, né Dio poteva proporcela più magnifica, più sublime, essendo questa l'occupazione stessa dei suoi eletti qui in terra, dei Beati in cielo, degli Angioli, di Maria Ss.ma, di Dio stesso, poiché Dio medesimo fin da tutta l'Eternità si occupò di contemplare, pensare a se stesso, di amare se stesso, di operare per se stesso. Perché dunque, diletti, nati per cose sì grandi ci abbassiamo a cercare cose terrene e caduche? Perché destinati per cose sì alte abbracciamo il fango, ci diamo ai vili piaceri di questo mondo, perché viviamo come se fossimo stati creati non per servire Dio, ma per servire agli appetiti, alle passioni, al demonio, al mondo, come se la nostra vocazione fosse stata non la santità, ma l'immondezza, non la libertà dello spirito, ma la libertà della carne? Pre,2334a:T1,2,4 Per poco che alcuno osservi… Diletti, per poco che alcuno osservi la vostra condotta passata, chi non direbbe che siete nati per tutt'altra cosa che per Dio? Quante volte infatti la qualità di servo di Dio cedette alla qualità d'uomo d'onore, male inteso però, alla qualità di uomo di mondo? Chi è che non si sia più impiegato a procacciarsi onori, ricchezze o piaceri piuttosto che a servire Dio; il meno a cui si pensava, si era appunto l'attendere a Dio, l'eseguire la volontà di Dio. Ah! Diletti, ricordatevi che Dio, essendo bellezza infinita, vi diede quell'intelletto perché v'occupaste seriamente a conoscerlo, a considerare le sue perfezioni e le cose celesti, e non perché ci perdessimo dietro le cose terrene e caduche; a queste, se ci permette eziandio di pensare è perché servano per lui e non già altrimenti; così, essendo bontà infinita, ci diede questo cuore perché amassimo lui, unico fonte di ogni bene, e non già perché abbandonato lui, lo consacrassimo ai piaceri del mondo; così, essendo Padrone assoluto, ci diede le potenze dell'anima, i sentimenti del corpo, perché fruttificassero per lui, perché ci aiutassero ad osservare i suoi santi comandamenti, e non per correre dietro alle vanità di questa terra e per offenderlo. Così ci ha dato le orecchie, la lingua perché udissimo le verità che disegnava rivelarci, perché discorressimo dei suoi attributi e delle sue divine perfezioni, non già perché ascoltassimo o facessimo discorsi indegni, abominevoli ora contro la carità, ora contro la modestia, perfino contro le stesse sue perfezioni. Pre,2334a:T1,2,5 Credete voi che Dio sia insensibile a tale modo di procedere e a tanta ingratitudine; vedete voi che non sia gravemente offeso quando così abusate di quell'intelletto, di quel cuore, di quei sensi che sono i suoi doni, e che non per altro ve li diede se non perché li impieghiate per conoscere, amare, servire e glorificare lui, vostro celeste Padre e vostro Signore? Ah! Si Pater ego sum ubi est timor meus? Si Dominus ego sum ubi est honor meus, così si lagna ancora con voi come già si lagnò con gli Ebrei per bocca del suo Profeta. Cristiani miei, o dichiariamoci con negare che Dio sia nostro Autore, sia nostro Padre e nostro Creatore, o se noi confessiamo che egli sia per ragione della creazione il nostro Padre, amiamolo, se confessiamo che sia nostro Signore rispettiamolo, ubbidiamolo! O mio Padre, o mio Signore, sì io vi riconosco per tale e riconosco me indegno di tanto beneficio, e tanto più indegno ho vissuto finora così dimentico di voi, dimentico della mia nobile destinazione, ho perso il mio tempo in vanità, mi sono occupato in bagatelle, ho lasciato il mio cuore in preda alle passioni, ho servito al mondo, al demonio, alla carne piuttosto che servire a voi. O mio Signore, eccomi confuso, ritornare ai vostri piedi, ringraziarvi dei lumi che mi date, domandarvi perdono di tanta dimenticanza e di tante offese; riconosco la dignità onde mi nobilitaste e da cui io sono decaduto, la nobiltà dell'occupazione a cui mi destinaste e che io nulla curai; eccomi pronto a ripigliarla ora, mio Dio; soltanto vi prego d'aiutarmi, ricordandovi che sono opera delle vostre mani, opera manuum tuarum porrige dexteram. Rimettetemi voi sul buon sentiero, poiché sono risoluto di continuarlo, deduc me in viam rectam, in semitam mandatorum tuorum quoniam ipsam volui. Pre,2334a:T1,3,1 Terzo Punto Ma non solo l'uomo è creato da Dio per servirlo in questa vita, ma anche per goderlo nell'altra, che è il soggetto del 3o punto. Deus factus est Dominus meus in tempore, ut esset Deus meus in æternitate; a tota æternitate erat Deus sed non meus. Dio quantunque beato in sé da tutta l'eternità, non pareva contento se non mi faceva anche beato della sua stessa felicità. Poteva ben Dio esigere da noi che lo servissimo gratis, senza premiarci in modo alcuno, e quando ben ci fossimo consumati in suo servizio, avremo fatto sempre infinitamente meno di quel che si merita, ed avremmo sempre dovuto dire: Servi inutiles sumus, quod debuimus facere, fecimus. Eppure quantunque possa chiederci a tutta ragione ogni servizio e nulla ci debba, pure per effetto infinito di sua benignità promette al nostro buon servizio un'eterna mercede, ed ha talmente congiunto il nostro servizio colla nostra felicità, che se noi glorifichiamo Dio servendolo, egli glorificherà noi beatificandoci, voltando così in nostro bene lo stesso servizio che gli prestiamo, e come se servendolo recassimo a lui gran vantaggio e ci restasse obbligato, vuole premiarcene grandiosamente, vuole darcì in riconoscenza del buono, ma fedele nostro servizio, niente meno che un regno celeste, ci vuole a parte della stessa sua beatitudine; egli stesso vuole fare la nostra felicità: ego ero merces tua magna nimis. [E questo in eterno, non per alcuni secoli, non per alcuni milioni di anni vuole premiare il nostro servizio prestatogli per pochi dì, ma per un'eternità intera finché esisterà Dio stesso, insomma vuole darsi a godere tutto in cielo e per sempre a colui che si darà a lui qui in terra, per il brevissimo corso di sua vita*3.] Pre,2334a:T1,3,2 Ecco, diletti, il disegno di Dio su di noi, ecco in sostanza il fine ultimo per cui ci ha creati; questo è quell'unico fine che ha avuto nel creare tutti gli amici suoi: Angioli, Patriarchi, Profeti, Apostoli, Confessori, Vergini e la stessa Vergine Maria Ss.ma Regina di tutti, non ebbero fine più nobile di questo e fra questi vuole pure annoverare ancora noi. Quello stesso fine che ebbe nel creare l'Umanità Ss. di Gesù, quello stesso che ha lui medesimo prefisso per lui, l'ha prefisso per noi, cioè di godere se stesso, di vivere della sua vita, di essere beato della sua stessa beatitudine. Ah! Quanto è grande, quanto è nobile, quanto è ineffabile il fine per cui Dio ci ha creati! Ascendiamo un momento in Cielo per prenderne almeno di passaggio una qualche leggera idea, diamo quivi un'occhiata a quella giocondissima vita che vi menano i Beati, libera d'ogni male, colma d'ogni bene; a quella pace imperturbabile che godono, a quell'allegrezza sì sovrabbondante quæ exsuperat omnem sensum, quella sazietà sì compita di tutte le loro voglie, poiché posseggono, dice S. Agostino, cioè che vogliono e nulla vi ha di ciò che non vorrebbero, nihil est quod nolis, est quidquid velis, insomma a quella beatitudine che sorpassa ogni umano sentire ed intendere, che oculus non vidit, nec auris audivit, nec in cor hominis ascendit. Pre,2334a:T1,3,3 Osserviamo come una tale beatitudine è somma, perfetta, unica, eterna e certa. 1o Somma è questa beatitudine perché è quella stessa che godono i Beati, gli Angeli, Maria Ss.ma e che gode Dio medesimo; migliore di questa né noi possiamo immaginarla, né Dio stesso la può formare. 2o È perfetta perché chi la possiede diviene pienamente contento, né più altro gli resta a desiderare; 3o è unica perché non v'è altra che meriti di essere desiderata, che possa appagare il cuore dell'uomo, perché qualunque altra di questa vita è imperfetta e breve, si trova in ogni cosa della vanità; Salomone stesso cui nulla peraltro mancava, trovò in ogni cosa della vanità e delle pene di spirito, che nulla vi era di stabile vidi in omnibus vanitatem et afflictionem spiritus et nil permanere; 4o è eterna poiché non è solo per alcuni secoli, o mettete anche per milioni di secoli che Dio ci vuole beati; egli sarà per una eternità intera, finché Dio esisterà si darà pienamente a godere a quell'anima che si diede a lui nel brevissimo corso di questa vita; così vuole egli premiare il nostro servizio prestatogli per pochi dì; 5o finalmente ella è certa e di questo ce ne assicura non un uomo, un Angelo, un Profeta, ma Dio stesso, eterna infallibile verità, ce l'ha fatta annunziare primieramente da tanti Profeti, venne lui stesso visibilmente ad assicurarcene in persona; è questa quella verità per cui sparsero tanto sangue i Martiri per sostenerla, questa è quella verità che tante volte facciamo professione di credere, quante volte diciamo nel Simbolo: Credo carnis resurrectionem, credo vitam æternam. Pre,2334a:T1,3,4 Questa è l'eredità che offre… Questa è dunque, diletti, la sorte per cui Dio ci ha creati, questa è l'eredità che offre se gli persevereremo fedeli; non ci tiene già Dio preparati beni terreni in ricompensa, dice S. Bernardo, ma beni celesti, anzi vuole darci se stesso che fece gli stessi beni terreni e celesti non tibi terram, sed seipsum servat qui fecit cælum et terram. Dunque, diletti, essendoci certamente preparata una felicità così grande, una felicità eterna vi dirò col salmista: Ut quid diligitis vanitatem et quæritis mendacium? Perché vi affezionate ai beni, alle cose di questa terra, perché li cercate con tanto ardore, essendo beni di nome soltanto e non di sostanza, beni vani ed apparenti, beni caduchi e menzogneri, beni che al punto della morte vedrete svaniti come fumo; perché creati per beni sì grandi ed eterni, voi così li disprezzate e li rigettate per un po' di fumo, come sono gli onori, per un po' di terra, come sono le ricchezze e per un piacere vilissimo momentaneo che poi, goduto, vi tormenta. Pre,2334a:T1,3,5 Deh! Non più persistete in tale inganno, riconoscete la cecità, la stoltezza nostra di rinunziare ad un premio sì sovrabbondante ed eterno, d'esporvi ancora al rischio di perire eternamente, solo per non volere servire il Signore per pochi dì, solo per volervi procurare un misero illecito guadagno, solo per volere assaggiare un vile momentaneo piacere? Vi pare ora di fare del guadagno, di procurarvi qualche comodo, qualche piacere facendo quell'azione peccaminosa, ma può dirsi guadagno quello che vi rende nemico di quel Dio senza di cui non potete essere beato? Può dirsi comodo o vero piacere quello che vi fa reo di eterno acerbissimo tormento? Deplorate dunque il vostro stato passato, piangete tanti anni spesi in inezie, in offese di Dio, impiegati per procurarvi non l'eterna beatitudine, ma la vostra eterna dannazione, non il cielo, ma l'inferno; deponete l'inganno, il vostro errore; sia il vostro tenore di vita tutt'opposto a quel di prima, professiamo un disprezzo magnanimo di tutte le grandezze e pompe mondane, di tutte le ricchezze, di tutti i piaceri terreni che in confronto del cielo diventano così vili e disprezzevoli; fate solo stima grande di quella beata gloria per cui siete destinati, per questa solo v'interessate, v'affaticate, tutto v'impiegate, riflettendo che ogni industria, ogni sforzo, ogni patimento è infinitamente meno di quel che si merita, ma per effettuare questo conviene che ricorriamo a Dio e che invochiamo la sua divina grazia, diciamogli dunque di cuore con S. Maria Egiziaca: Domine qui plasmasti me, miserere mei. Pre,2334a:T2 Seconda Meditazione Gran cosa, diletti, nati da Dio, destinati a servire Dio, eppure il meno, a cui si pensi, si è Dio! E dev'essere cosa questa tanto indifferente per parte di Dio e per parte nostra? Un Dio che tanto si degna verso di noi, tanto ci benefica e che ci manifesta i suoi disegni così amorosi sopra di noi, riguarderà poi con occhio indifferente, né punto si curerà egli che noi lo serviamo o non lo serviamo? O non dovremo noi servire Dio come fecero i Santi? Oppure sarà egli lo stesso per noi l'attendere a servire Dio o il non curarcene, potremo noi divenire veramente felici o almeno saremo noi poi sicuri che non ci sovrasti qualche grande calamità, tralasciando di servire Dio? Questo veramente, diletti, penso che nessuno di voi, per poco istruito che sia nelle cose di religione, se lo dia a credere; pure siccome i fatti sono ben contrari a quel che si crede, perché vi risolviate ad uniformare seriamente i fatti a quel che credete, vi propongo in questo punto l'obbligo indispensabile, ossia i motivi fortissimi che abbiamo di attendere seriamente e davvero a servire Dio: 1. obblighi fortissimi per parte di Dio; 2. obblighi fortissimi per parte nostra. Primo preludio: Dominum Deum tuum adorabis et illi soli servies. Figurarsi il Signore sul monte Sinai dare legge a tutto il mondo. Dominus meus et Deus meus! Pre,2334a:T2,1 Primo Punto: Obblighi fortissimi per parte di Dio Per incominciare dunque dai motivi che abbiamo per parte di Dio, io dico che abbiamo obbligo indispensabile di servirlo, sia che lo consideriamo in se stesso, sia che lo consideriamo in riguardo a noi. Pre,2334a:T2,1,1 1 – In riguardo a se stesso, io vi chiederei: cos'è Dio? Ognuno sa ch'egli è quell'Essere Supremo, indipendente, perfettissimo, eterno, di cui nessuno può immaginarsi più eccellente o più grande; voi sapete ch'egli è quel Fonte inesausto d'ogni bene, da cui necessariamente procede ogni altro bene esistente nel mondo e senza di cui non vi può essere alcuna cosa di buono; sapete che è quel Signore in cui concorrono tutte le perfezioni in grado infinito, di cui non è immaginabile né possibile cosa migliore. Immaginatevi pure quanto uno potrebbe acquistarsi successivamente per infiniti secoli di potenza, di sapienza, di maestà; egli ne ha sempre avuto infinitamente di più da tutta l'eternità, di modo che innanzi a lui tutte le potenze e grandezze di questa terra e del cielo stesso, moltiplicate anche all'immenso sarebbero meno che un atomo in paragone dell'Universo, sarebbe come se neppure vi fossero; immaginatevi pure quanto uno potrebbe acquistare per infiniti secoli di bontà, di bellezza, di gaudio, di gloria. Egli già ne possiede infinitamente di più fin ab æterno, perciò è che ne restano così rapiti gli Angioli, i Beati in cielo col solo vederlo; perciò Dio stesso diviene beato al solo contemplare se stesso. Diciamo pure insomma che la Maestà, l'Eccellenza di Dio è tale in se stessa che è incomprensibile ad ogni intelletto creato anche con tutti i lumi di natura, di grazia, di gloria, quindi egli è impossibile che creatura umana possa abbastanza riconoscerlo, amarlo, servirlo. Ora con che coraggio diremo noi che una Maestà tale non si merita tutto il nostro cuore, non si merita d'essere amata, servita, compiaciuta in tutto e per tutto? Come crederemo noi di potergli negare, senza manifesto disprezzo di una tanta Maestà, senza grave sua ingiuria, quella stima, quella venerazione, quell'amore che per tutti i titoli gli è dovuto per prodigarlo poi alla creatura? Concludiamo dunque che anche considerando solamente Dio in se stesso, ogni ragione vuole che ci consacriamo tutti in suo servizio, ed ogni ragione ci condanna se gli ricusiamo un tale servizio. Pre,2334a:T2,1,2 2 – Ma aggiungiamovi i motivi… 2 – Ma aggiungiamovi i motivi che abbiamo di servirlo, considerando quello ch'egli è in riguardo a noi, cioè per la relazione ch'egli ha con noi e che noi abbiamo con Lui. A questo riguardo egli è nostro Creatore, nostro Redentore, ed ha passato un solenne contratto tra noi e Lui nel battesimo, di vivere per Lui. Egli è dunque, in primo luogo, nostro Creatore per questo egli ha su di noi un dominio totale assoluto, indipendente, il più perfetto che possa esservi, e di giurisdizione, come suoi sudditi, e di proprietà, come sue creature; per conseguenza noi gli siamo obbligati con tutta la dipendenza, con tutta la soggezione, con tutta la necessità, con tutto l'obbligo immaginabile. Osservate i genitori: solo per concorrere alla generazione dei figli, che dominio grande acquistano sopra di essi per comandare e farsi ubbidire, per permettere, proibire, punire, e come i figli restano strettamente obbligati di portare ai loro parenti ubbidienza, rispetto, amore. Pre,2334a:T2,1,3 Ma scendiamo, dice Geremia (18), nella bottega di un vasaio, ed ivi apprenderemo l'idea che dobbiamo formarci del dominio che ha Dio su di noi, della dipendenza e sommissione che dobbiamo noi avere verso di lui. Descende in domum figuli, et ibi audies verbum Domini. Osservate il vasaio, qual dominio pieno e dispotico acquista sopra i suoi vasi, solo perché egli con la creta li forma come a lui piace, questi diventano suoi, ne fa l'uso che egli vuole, ne dispone a totale suo piacimento senza fare torto alcuno al vaso che ha fatto: numquid lutum – dice Isaia (45) – dicit figulo suo, quid facis? Ora quanto maggior dominio non ha Dio sopra di noi di quel che abbiano i genitori sopra dei loro figli? Dio che non solo concorre, come i genitori, alla nostra produzione, ma anche immediatamente ci dà tutto ciò che siamo ed abbiamo; nonne ipse est Pater tuus? – Qui fecit te, possedit te, et creavit te? (Deuteronomio 32). Come non avrà su di noi un dominio pieno e dispotico ugualmente che il vasaio sopra dei suoi vasi? Dio che ugualmente di creta ci ha formati, e formati con le stesse sue mani, come continua Isaia, nos lutum et Fictor noster es tu, opera manuum tuarum omnes nos. Anzi, che dico essere il dominio di Dio ugualmente pieno e dispotico del vasaio, mentre che la formazione di un vaso è appena un'ombra della Creazione, non essendo quella che una diversa configurazione della materia già esistente, essendo questa un produrre dal nulla con virtù plenipotenziaria ciò che neppure esiste. Dunque se il vasaio acquista tanto dominio puramente per quella diversa forma che dà alla materia, quanto maggior dominio sarà quello che ha Dio sopra di noi, fondato sulla nostra sostanza medesima, che è totalmente sua, potendone egli disporre a piacimento per averla egli stesso tratta dal nulla. Pre,2334a:T2,1,4 Dico di più. Osservate se potete trovare su questa terra dominio più perfetto, più dispotico di quello che abbiamo noi stessi sugli atti, non dico delle nostre potenze, come sono il vedere, il sentire, il parlare, perché ancora questi un altro ce li potrebbe impedire, ma parlo del dominio che abbiamo sugli atti della nostra mente, della nostra libera volontà; può darsi in rerum natura dominio più assoluto, più dispotico di questo? Non li produciamo noi come dal nulla, o può forse alcuno impedirmi di produrli; non è perfettamente in mano mia il formarli, o no, a mio piacimento? Pure il dominio che ha Iddio sopra di noi è infinitamente ancora più perfetto, perché noi per l'esercizio di tali atti abbisognamo ancora del concorso di Dio, come abbisognano per esempio dell'aria gli uccelli per volare; all'opposto il dominio di Dio sopra di noi è affatto indipendente ed assoluto; di nessuno abbisogna per esercitarlo, nessuno v'è che possa impedirgliene l'esercizio. Dunque confessate con me che per ragione della Creazione Dio ha su di noi un dominio pieno, dispotico, assoluto, perfettissimo, e noi gli siamo vincolati da una dipendenza totale, assoluta, perfettissima. Ora io dico: se solo perché voi salariate un servo, pretendete la di lui servitù ed ubbidienza, e per poco che non vi sia fedele o non vi serva a piacimento vostro, vi adirate, vi reputate offeso, lo castigate, gli rinfacciate il titolo che avete di essere servito da lui come si deve, e Dio che vi provvede non solo il vitto e vestito, ma che v'ha dato quanto siete in anima ed in corpo, ed ha su di voi tutto il dominio pieno, dispotico, immaginabile, non gli si farà grave torto, negandogli la nostra servitù? Pre,2334a:T2,1,5 Credete forse che viva Dio… Credete forse che viva Dio dimentico o non curante dei suoi diritti e del suo pieno, assoluto, dispotico dominio sopra di noi e che, per conseguenza, sia lo stesso per noi il servirlo o non servirlo? V'ingannereste a partito: poiché Dio talmente esercita su di noi i suoi diritti ed esige da noi la nostra servitù ed obbedienza, che egli stesso ci diede la legge, c'intimò i suoi comandi, egli osserva la nostra condotta, egli ci giudicherà, ci punirà. Diletti, vedete l'esempio di Adamo: Dio gli ha formato il corpo, gli ha creata l'anima, lo ha fatto uomo vivente, ragionevole; dopo tale creazione esercita gli atti del suo dominio troppo giusto che sono: permettere, proibire, minacciare, castigare. Gli permette l'uso di tutto il Paradiso terrestre, gli proibisce di cibarsi di un frutto ut Dominus vitæ et necis; lo minaccia della morte in caso di disubbidienza. Adamo disubbidì ed eccolo punito, ecco scacciato lui con tutta la sua posterità dal Paradiso, condannato al travaglio, alla morte ed anche alla morte eterna, se non avesse espiato con la penitenza il suo peccato. Pre,2334a:T2,1,6 Diletti, anche su di noi esercita Dio questi stessi suoi diritti; egli ci ha creati, ha dato il suo comandamento (Deut. 6, Matth. 4): Dominum Deum tuum adorabis et illi soli servies. Ci minaccia d'eterna miseria se lo trasgrediamo; osserva se l'ubbidiamo, ed anche su di noi impreteribilmente effettua le sue minacce in caso di grave trasgressione; testimoni ne sono tutti coloro che, vittime della sua Giustizia, già ardono nell'inferno per aver disubbidito ai suoi comandi; diremo che Dio non s'offende perché non lo serviamo. Vedrà dunque con indifferenza dirsi coi fatti da chi è cenere e fango, da chi è fattura di sue mani, dai suoi servi: Dixi non serviam – Quis est Omnipotens ut serviam ei? Nolumus hunc regnare super nos. E i rimproveri della Scrittura: Dominum, qui te genuit, dereliquisti… incrassatus… Dominus ego sum. Sovvenitevi che Deus non irridetur, che con Dio non si burla. Sovvenitevi che è quel Padrone assoluto che vivit et regnat, che vive per vedere se gli si ubbidisce, regna per castigare i disubbidienti. Ah! verrà, non dubitate, verrà un tempo in cui quegli stessi che osarono dire coi fatti: nolumus hunc regnare super nos, udiranno rispondersi dallo stesso Signore, come leggiamo nel Vangelo: Verumtamen inimicos meos illos qui noluerunt me regnare super se, adducite huc et interficite ante me. Comanda ora, vuole essere ubbidito e non è ascoltato, comanderà un dì e si farà ascoltare ed ubbidire. Pre,2334a:T2,1,7 Ora comanda da Padre, un dì comanderà da Giudice e quel servo che ora gli ricusa servitù ed ubbidienza, dovrà allora sentirsi intimare quel: Discedite maledicti, ite in ignem æternum, e dovrà eseguirne il terribile comando. Dunque conviene servirlo presentemente di buon grado o converrà servirlo per tutta l'eternità nell'inferno; se lo serviamo volontariamente saremo trionfo di sua Misericordia, altrimenti vittime di sua Giustizia. S. Stanislao: Natus, factus sum cælo non terræ, non huic igitur vivere volo, sed cælo. Dunque, diletti, o riformare la nostra vita, se non l'avete ubbidito pel passato, o impreteribilmente soffrirete lo sdegno di quel Dio che ora vuole essere ubbidito. Il secondo titolo che egli ha per essere da noi servito, si è il titolo di Redentore. Infatti se per averci creati, gode Dio dominio sì ampio sopra di noi, quanto più per averci ricomperati? Finalmente il crearci non gli costò che una parola, il ricomprarci gli valse tutto se stesso, che però quando l'Apostolo giunse a dire che noi non possiamo disporre di noi medesimi: An nescitis quia non estis vestri? non ne allegò in prova la creazione, che pure ci fa sì altamente soggetti a Dio, ne allegò la Redenzione: Empti enim estis pretio magno. Pre,2334a:T2,1,8 Ricordatevi che per il peccato eravamo divenuti schiavi del demonio, destinati ad eterno supplizio, né più avevamo di che placare l'ira di Dio, di che redimerci, di che risorgere da sì deplorevole stato, quando il Signore, mosso per pura compassione nostra, si è degnato di ricomperarci, di liberarci dalle mani dell'infernale nemico, e questo non per alcun suo utile, ma per puro nostro bene, onde dice bene Davide (Ps. 71, 12) a questo proposito, dicendo: Liberavit pauperem a Potente, liberò un povero dalle mani di un potente tiranno; poveri ci chiama perché Dio non poteva veramente sperare da noi alcuna cosa in suo prò, e quanto non gli costò il nostro riscatto, non sborsò già dell'oro o dell'argento per ricomprarci scientes quod non corruptibilibus auro vel argento redempti estis… sed pretioso sanguine quasi agni immaculati et incontaminati; ma diede il suo sangue e lo diede fino ad una goccia, onde possiamo veramente dire con S. Paolo che siamo ricomprati non con qualunque prezzo, ma a gran costo: Empti estis pretio magno (1 Cor. 6). Pre,2334a:T2,1,9 Dunque se siamo ricomperati da Dio, per questo nuovo titolo, oltre quello di creazione, noi apparteniamo a Dio, siamo tutti di Dio, dunque questo cuore di Dio, questa mente di Dio, questi sensi, tutto me stesso appartiene a Dio; dunque io debbo nulla impiegare di me stesso, se non in servizio di Dio, a cui appartengo, dunque io gli faccio un gran torto, disponendo di me come più mi piace e badate che Dio medesimo, geloso di questo titolo, ce lo mette innanzi agli occhi e per questo medesimo esige da noi la nostra conversione, il nostro servizio. Revertere ad me, quoniam redemi te, ci dice per Isaia (Is. 44). Totum debeo quia me fecit; bis debeo quia me refecit (S. Bernardo). E non mancherà al dì del Giudizio di chiederci conto del suo sangue sborsato per noi, se noi ingrati vogliamo ricusargli la dovuta nostra servitù, poiché egli è troppo giusto, dice S. Paolo (2 Cor. 5), Ut qui vivunt jam non sibi vivant, sed ei qui pro ipsis est mortuus et resurrexit. Il titolo di redenzione sia in ragione di beneficio che in ragione d'onnipotenza, è più grande del titolo di creazione. Pre,2334a:T2,1,10 3 – Ma aggiungete… 3 – Ma aggiungete che questo suo riscatto non ce lo comunicò se non a condizione espressa che noi rinunciassimo al mondo, alla carne, al demonio ed attendessimo a servire lui solo, e questa condizione fu da noi accettata prima che ci ammettessero al battesimo, poi nell'ascriverci tra le membra della Chiesa, mentre noi in faccia alla S. Chiesa, alla presenza degli Angeli, prima solennemente abbiamo fatto tali rinunce, solennemente abbiamo protestato, per mezzo dei nostri padrini, di voler professare con le parole e coi fatti la fede e la legge di Dio, di voler servire a lui solo, e poi il sacerdote ci versò l'acqua, ci partecipò il riscatto di Gesù, ci ammise nel corpo mistico della Chiesa. Ora queste rinunzie, diletti, i SS. Padri le chiamano ora vincolo, che indissolubilmente ci lega, ora giuramento che indispensabilmente ci obbliga, ora voto, che inviolabilmente c'impegna. Dunque repete quid interrogatus sis, recognosce quid responderis. Pre,2334a:T2,1,11 Vi sovvenga, vi dice S. Ambrogio, di ciò che ci fu domandato sino a tre volte nel Battesimo, allorché vi fu detto: “Rinunziate voi al demonio ed alle sue opere, al mondo ed alle sue pompe, alla carne ed ai suoi piaceri?”; e come rispondeste per tre volte: “Rinuncio”. Dunque negare d'avere data questa parola a Dio o condannarci infedeli se non la osserviamo, o revocare la parola data, o cangiare tenore di vita, se non è questa secondo la promessa fatta a Dio, ora non potete negare di aver data questa parola a Dio, perché ne è testimone la S. Chiesa, il vostro Angelo Custode, il Sacerdote, i Padrini (il contratto non può essere più solenne); tenetur vox tua, soggiunge S. Ambrogio, præsentibus Angelis locutus es, non est fallere, non est negare; neppure potete revocarla, né questa fu una pura cerimonia; ella è tale che quand'anche non sia propriamente voto, come vogliono alcuni, è però un impegno, il più autentico, il più indispensabile di tutti i voti, perché finalmente si potrà ancora ottenere dispensa da certe circostanze dei voti più solenni, che all'opposto tutte le creature del mondo e tutta la potenza del cielo e della terra non potranno mai dispensarvi dagli impegni del vostro battesimo. Pre,2334a:T2,1,12 Dunque badate bene che qui, se si manca di parola, non si manca di parola ad un uomo, ma ad un Dio, come disse già S. Pietro ad Anania: Non es mentitus hominibus, sed Deo [Act. 5, 4], con cui non si burla impunemente: Deus non irridetur [Gal. 6, 7]; a un Dio ugualmente geloso e potente; s'egli è geloso sarà sensibile ad ogni infedeltà, se è potente non la lascerà impunita. Secondo queste promesse fatte nel battesimo, diletti, saremo esaminati, saremo giudicati, assolti o condannati; questa sarà la più terribile o piuttosto l'unica Scrittura che si produrrà nel nostro processo; ci dirà, come parla S. Agostino: Hæc fides tua, hæc vita tua. Queste erano le vostre promesse, eppure questi sono i vostri fatti, hæc fides tua, hæc vita tua, queste le vostre rinunce, eppure questo il vostro tenore di vita. Diletti, ricordatevi che con Dio non si burla impunemente, come vi dissi; per conseguenza, se mai invece di rinunziare al mondo, alla carne, al demonio, coi fatti rinunziaste a Dio, seguendo le massime contrarie alle massime di Gesù, pensateci per tempo per non udirvi dire anche voi ciò che disse a quel servo infedele: Ligatis manibus et pedibus, projicite eum in tenebras exteriores, ibi erit fletus et stridor dentium [Matth. 22, 13]. Pre,2334a:T2,2,1 Secondo punto: Obblighi fortissimi per parte nostra Diletti, questi titoli che ha Dio di farsi ubbidire da noi, titoli di Creatore, di Redentore, di parola datagli, sono pur veri e reali; che scusa porteremo noi dunque di non averlo servito, se non la nostra ingratitudine, la nostra malizia; cosa dovremo aspettarci, se non lo sdegno d'un Dio vendicatore? All'opposto, servendolo, cosa possiamo comprometterci, se non un eterno gaudio? Dunque il servizio di Dio è l'unico affare necessario che abbiamo, è l'unico affare vantaggioso che ci sia, e questi sono anche i motivi fortissimi che abbiamo per parte nostra, come già vi dissi, per indurci a servire seriamente Dio: è una necessità somma, universale, personale che ha conseguenze irreparabili. Il servire Dio è l'unico affare necessario che abbiamo. Quid prodest homini, si mundum universum lucretur, animæ vero suæ detrimentum patiatur? Porro unum est necessarium. Infatti quale altra necessità più grande possiamo noi addurre in confronto di questo: privata o pubblica? Non privata, poiché lo stesso vivere non è necessario, tanto meno poi il vivere meglio, il diventare grande letterato, grande negoziante, come è necessario il servire Dio; non pubblica poiché, quand'anche io solo, con una disobbedienza a Dio, potessi salvare tutta una Repubblica, neppure questo è tanto necessario, come è necessario il servire Dio; sarà sempre cosa equa, utile, lodevole invigilare al bene pubblico e privato, ma non è certamente necessaria, anzi cessa di essere onesta, utile, lodevole, se non può farsi salva l'ubbidienza dovuta a Dio. Pre,2334a:T2,2,2 Questa, diletti, è una necessità imposta per tutti egualmente, dacché il mondo è mondo, necessità universale per tutte le condizioni, impegni, tempi; questa è per i Monarchi ugualmente che per i sudditi, per i letterati, che per gli indotti, per i poveri che per i ricchi, per i nobili che per i plebei; questo è l'unico impiego di tutte le creature ragionevoli, tutto l'impiego del Re nel governo del suo regno, del letterato nel suo studio, del mercante nel suo commercio, dell'artigiano nel suo mestiere: è servire Dio; non è necessario che l'uomo sia Re, letterato, mercante, artigiano, ma è necessario che serva Dio. Porro unum est necessarium, poiché non è meno essenziale all'uomo riguardato nell'ordine naturale il servire Dio di quel che sia essenziale all'uomo riguardato nell'ordine naturale l'avere un corpo ed un'anima ragionevole e, siccome Dio stesso non può fare che un uomo non sia un composto di corpo e d'anima, così non può fare che un uomo non sia obbligato di servire lui. Questo è un affare unico, necessario, universale per tutti, particolare per ciascuno, perché agli altri si può supplire per procuratore, a questo no; ed affare irreparabile (vid. Belingan, p. 113 et seq.). Hoc est enim omnis homo, quasi volesse dire questa è l'essenza stessa dell'uomo. Tanto più poi che vogliamo o no, serviremo sempre Dio, poiché o lo serviamo spontaneamente sottomettendoci alle sue leggi e serviremo a glorificare la sua bontà, o non vogliamo sottometterci alle sue leggi e serviremo un dì a glorificare la sua giustizia. Esaminate ora qual partito più vi aggrada, eleggete quel che più vi piace: o di ardere in eterno coi dannati e coi demoni per vivere a capriccio vostro e così manifestare a tutte le creature la terribile giustizia di Dio, o di regnare e godere in eterno con Dio e con i Santi, ubbidendo alle sue leggi e così esaltare la sua bontà. Eleggete dunque qual vi piace, perché l'eleggervi l'uno o l'altro è di tutta necessità, né voi potete esimervi da tale elezione. Pre,2334a:T2,2,3 Né lusingatevi già di trovare… Né lusingatevi già di trovare altra felicità che nel servizio di Dio, essendo questo l'unico utile e vantaggioso che sia per noi, non troverete felicità né temporale né eterna; non la temporale poiché la felicità in questa vita non consiste nel possesso dei beni di questa terra. Non lasciamoci ingannare dall'apparenza. Se potessimo penetrare l'interno di quelle famiglie che paiono più cospicue in beni di questa terra, troveremo forse più guai ed afflizioni che non ci crediamo. Io vi assicuro che inutilmente vi affaccendate per avere dal mondo quello che il mondo non vi può dare, perché non l'ha infatti. Come mai volete dissetarvi correndo a cisterne fangose e dissipate, volgendo le spalle al Fonte d'acqua viva, al Fonte d'ogni bene? Quand'anche l'avesse, come potete sperare che ve l'accordi, se Dio non vuole, non dipende egli da lui, come il mio essere così il mio ben essere, e chi potrà, lui malgrado, promuovere il mio bene, impedire la mia ruina, e come potete ripromettervi che Dio lo voglia, se voi lo disubbidite, se voi gli siete nemico? Pre,2334a:T2,2,4 Se poi la fate consistere nella pace del cuore, tanto meno l'otterrete, se non servite a Dio, poiché non può darsi pace a chi è nemico di Dio, non est pax impiis dicit Dominus, il cuore del mondano sarà sempre agitato dai movimenti continui delle sue passioni che mai non sono sazie; sarà sempre turbato, combattuto dai rimorsi continui dei suoi peccati, cor impii quasi mare fervens: non est pax ossibus meis, a facie peccatorum meorum; ed infatti chi mai può aver pace con l'opposizione che ha Dio con lui e lui con Dio quis resistit ei et pacem habuit? All'opposto fatevi ad interrogare un disprezzatore del mondo, un servo fedele di Dio e lo troverete di un cuore sì contento che nulla più; interrogate un Paolo e vi dirà che anche in mezzo alle persecuzioni sovrabbonda di giubilo: Superabundo gaudio; interrogate un Saverio ed in mezzo ai penosissimi stenti, l'udirete pregare il Signore a porre limite alle celesti sue delizie; interrogate una S. Teresa, un S. Filippo Neri e vi diranno che poco mancava che venissero meno per la piena di quelle consolazioni; interrogate chiunque volta le spalle al mondo e tutto si diede a Dio, e vedrete se non confermerà quel che disse S. Agostino di se stesso, che dulciores sunt lacrimæ orantis quam gaudio theatrorum, che provava più dolci le lacrime che versava piangendo i suoi peccati che tutti i gaudii di tutti i teatri. Gustate et videte – dirò anch'io a voi – quoniam suavis est Dominus. Pre,2334a:T2,2,5 Che dirò poi della felicità non temporale, ma eterna? Può ella darsi altra felicità che quella che ha creato Dio, ed ha creato e destinato puramente per i suoi servi? Una sola è la beatitudine eterna creata da Dio, che è il godere Dio; uno solo è il mezzo per acquistarla, che è il servire Dio; dunque chi non serve Dio non può aspirare a tale felicità; solo chi serve Dio può sperare una simile felicità. Inoltre io dico: nessuno può essere beato eternamente se non ha Dio per amico, senza di cui è chimera ogni altra beatitudine, né alcuno può avere Dio per amico se non il suo servo fedele. Dunque il solo servo di Dio può sperare la felicità eterna destinata per i soli suoi servi fedeli. Dunque, diletti, invano cercate felicità indipendente da Dio; questa è una pura vostra illusione e invano vi stancate nella via dell'iniquità per divenire felici; voi che per divenire tali andate dietro ad un piacere illecito, ad un vile guadagno, ad un vano onore, cioè fate quello che espressamente vi proibisce colui da cui solo dipende ogni vostra felicità, e che solo ha la podestà di perdervi corpo ed anima nell'inferno. Dite se v'è cecità maggiore di questa, anzi se potete essere più crudeli con voi stessi? Pre,2334a:T2,2,6 Diletti, giunti a quel tempo in cui non ci sarà più tempo, cioè al punto della morte, allora comprenderete l'inutilità di ogni altro affare e l'importanza di questo solo, di aver servito Dio; vedrete allora che vi giova l'essere divenuto ricco, letterato, grande, se avete trascurato di aver servito Dio; non vi si chiederà già conto se avete fatto buona riuscita, ma bensì come avete ubbidito alle sue leggi; diventeranno bagattelle allora i vostri più grandi affari terreni, ma spasimerete di dolore per aver trascurato il solo necessario importante. Diletti, se alcuno trovi d'essersi occupato in tutt'altro che in servire Dio, riformi ora il suo tenore di vita, veda che gli giova il passato per l'eternità, prenda per l'avvenire quella massima che fece Santo un Luigi Gonzaga: quid hæc ad vitam æternam, massima che ricordava a se stesso in tutte le azioni; così fate ancora voi. Oremus. Protector in te sperantium Deus, sine quo nil est validum, nil sanctum. Multiplica super nos misericordiam tuam, ut te rectore, te duce, sic transeamus per bona temporalia, ut non amittamus æterna. Per Christum Dominum nostrum. Amen. Pre,2334a:T2,3 In tutte le arti… In tutte le arti s'incomincia dal fine che si propongono, ne esaminano primieramente gli avvantaggi e l'importanza, indi s'adoperano per conseguirlo, e ognuno vede che, a misura che uno è impresso dell'importanza di quel fine, travaglia poi con maggiore o minore impegno per conseguirlo. Così dobbiamo fare noi in questi Santi Esercizi; dobbiamo incominciare a scoprirvi il fine che ci proponiamo ed esaminarne l'importanza, perché vediate come dovete attendere a questi Santi Esercizi. Ora io vi dico che in questi Esercizi non cerchiamo altro che di assicurarvi la vostra eterna salute, esaminando gli impedimenti ed i mezzi che voi ci avete posti o potrete apporvi, ed i mezzi che converrà prendere per salvarvi. Dunque, l'affare della salute è il fine che ci proponiamo in questi Santi Esercizi; conviene dunque esaminare bene l'importanza di questo affare, perché vi determiniate a fare seriamente questi Santi Esercizi. Questo è il primo passo che faceva fare S. Ignazio che ne fu il fondatore; ed è il primo che facciamo noi pure per dimostrarvi cioè, che la salute dell'anima nostra è l'unico fine per cui siamo su questa terra, e per convincervene prenderemo la cosa dalla sua origine ed esamineremo chi ci ha creati e per quale fine: nel 1o punto che Dio è quegli che ci ha creati nel 2o punto che ci ha creati per servirlo in questa vita nel 3o punto per goderlo nell'altra Pre,2334a:T3 1 – Mezzi al Fine – Provvidenza generale e particolare. 2 – Uso dei medesimi mezzi e degli ostacoli. 3 – Indifferenza e disprezzo di tutto ciò che è adiaforo. Bourdaloue, Exhortation v. 2 Prudence du salut La speculativa: simplices ut columbæ riguardo al fine, Dieu seul. La pratica: prudentes ut serpentes riguardo ai mezzi, quid hæc ad vitam æternam? Dio fine dell'uomo. L'uomo fine delle creature. Pre,2334a:T3,1 Dio è grande nel fine, magnifico nei mezzi. Il Signore in statu naturæ integræ colmò l'uomo di beni, perché lo serva ed egli ne abusò; in statu naturæ lapsæ mischiò i beni con i mali, e similmente l'uomo ne abusò; in statu naturæ reparatæ lo colmò di beni e d'aiuti spirituali e l'uomo ancora ne abusa. Dio non può fare di più: dunque non ci resta altro sennonché l'uomo rettifichi l'uso dei beni o si perda; l'uso dei beni viene rettificato dall'esempio dei prudenti del secolo e dalla massima di S. Luigi: Quid hæc ad vitam æternam? Pre,2334a:T3,1,1 Primo Preludio Udire S. Paolo intimarci il distacco dalle cose di questa terra, ricordandoci che non è su questa terra che dobbiamo cercare i nostri agi, i nostri comodi: Non habemus hic, dice egli, manentem civitatem, sed futuram inquirimus. Reliqua vero super terram sita creata sunt hominis ipsius causa. S. Ignat. L'uomo è stato creato da Dio per Dio, cioè per servire Dio in questa vita e goderlo nell'altra. Tutte le altre cose poi che sono sulla terra 1. sono state create da Dio; 2. non per altri che per l'uomo; 3. non per altro fine se non perché l'aiutino a servire Dio. Dunque primieramente tutte le altre cose sono state create da Dio, cioè con un atto libero di sua volontà; Dio le ha create tutte dal nulla, non esistevano ancora quando egli con un fiat comunicò loro l'esistenza: dixit et facta sunt; mandavit et creata sunt; siccome magnificamente apparisce dall'Istoria della Creazione del mondo. Ma tutte queste cose terrene non le ha già create Dio per sé, siccome creò l'Uomo, poiché come insensibili e irragionevoli non erano capaci di conoscerlo, di glorificarlo; neppure le creò per gli Angeli, poiché la loro natura angelica non ha relazione alcuna con le cose corporee. Dunque, come dissi in secondo luogo, le creò solo per l'uomo, in grazia dell'uomo, siccome ce lo dichiara Dio medesimo nell'Esodo 4, 7*4: Propter eos feci sæculum. Pre,2334a:T3,1,2 Infatti l'uomo per lo stretto commercio dell'anima col corpo, uopo è che dipenda dai sensi, anche per pensare, se vuole operare e manifestare i suoi pensieri; i sensi poi necessariamente dipendono dalle cose sensibili; inoltre il corpo aveva bisogno di altre creature sensibili per la sua conservazione, per suo sollievo e ricreazione; ed è appunto quest'ufficio che fanno le creature sensibili. Infatti si dia anche solo di passaggio un'occhiata ad alcune creature principali che Dio ha posto su questa terra; ed ecco subito l'aria distesa per ogni parte necessaria al nostro respiro ed al movimento dei corpi; ecco l'acqua per refrigerio della sete, per la generazione dei vegetali; ecco il fuoco attuoso ministro di tante arti e di tante operazioni necessarie al nostro vivere; ecco la terra con tanta varietà di frutti, di animali per nostro sostentamento, per vestirci, per difenderci dalle intemperie delle stagioni, provvedendoci di pelli, di lana, di lini; se poi abbisognamo di case per comodità, per sicurezza, ecco i monti offrirci a gara la materia per la costruzione; se ci sorprendono malattie, incomodità, ecco la dovizia dei minerali, dell'acqua, delle erbe, e così andate dicendo; in una parola Dio avendo cavato dal niente le creature, le destinò tutte al servizio dell'uomo, assegnando a ciascuna il loro ufficio; ad altre diede ordine di nutrirlo famelico, ad altre di vestirlo nudo, a queste di servirlo ammalato, a quelle di sollevarlo stanco ed affaticato; perfino gli Angeli furono destinati per custodirlo. Pre,2334a:T3,1,3 E qualora voleste convincervi sempre di più come il Signore impiega in ogni momento le creature tutte a nostro servizio, non avete che a prendere per esempio il pane che mangiamo; ed osservate come tutta la natura e un numero smisurato ancora d'uomini sono in moto per procurarvelo. Infatti considerate quante creature si sono impiegate primieramente per procurarvi il grano? Terra, acqua, sole, aria, cieli, stagioni, fuoco, ecc.: tutto vi fu necessario. Quanti uomini poi si sono adoperati ed hanno faticato per procurarvi il pane? Uomini per preparare la terra e seminarvi il grano; uomini per raccoglierlo, batterlo, pulirlo; uomini per macinarlo, per cuocerlo, per recarvelo e per farvelo venire a vostre mani. Notate ancora quanta abbondanza di grano fu necessaria; quello che servì per farvi il pane procede da quello che creò da principio il Signore. Pensate dunque quante creature, quanta serie di uomini dal principio del mondo sinora sono stati impiegati mediatamente o immediatamente per procurarvi quel pezzo di pane? Pre,2334a:T3,1,4 Ciò che ho detto del pane può dirsi di qualunque altra cosa necessaria o utile di cui ci serviamo ogni dì. Prendiamo ancora per esempio il caffè: riflettete oltre all'impiego della natura per produrci quel caffè, quel zucchero (come abbiamo veduto del pane); riflettete, dico, a quanti viaggi immensi per terra e per mare, quanti pericoli per portarlo in Europa, per farlo capitare nelle nostre mani; nessuno di quei mercanti ha pensato a voi, a me, ma vi pensava ben Dio che tutto conduceva per farcelo pervenire; niente è succeduto a caso, erano tutti strumenti della provvidenza amorosa di un Dio verso di noi; ed ecco ancora quel che risulta da questo, acciocché tutte le altre creature che non hanno relazione con noi, immediate, l'hanno mediate, poiché quelle hanno relazione con altre creature, altri uomini e questi, dopo una lunga e mirabile concatenazione, vengono ad avere relazione con noi; onde tutto l'universo può dirsi tutto impiegato per noi e di tutto dobbiamo ringraziare Dio. Osservate come accade in una casa di un grande, di un Sovrano, non solo servono al padrone coloro che immediate sono destinati al servizio della Reale Persona, ma mediate per una certa concatenazione lo serve anche l'infimo sguattero, sebbene questi immediate sia destinato a servire altri; ed è così che Dio ha dato all'uomo tutte le creature e le ha destinate per servirlo, di modo che a tutta ragione possiamo esclamare attoniti con S. Agostino: Inspice homo cælum et terram, et vide si quid vacet a ministerio tuo? Per altra parte togliamo per un momento l'uomo dal mondo e già più non si vede il destino di tante creature. Pre,2334a:T3,1,5 A che fine fu l'uomo 3. Ma se Dio creò tutte le creature per l'uomo, a che fine fu questo? Egli non fu già perché l'uomo dimenticasse il Creatore e si arrestasse alle creature, collocando in esse la sua felicità, come fanno i bruti, molto meno poi perché servissero di strumento e d'armi, per così dire, per rivoltarsi contro il suo Creatore e Benefattore, ma bensì come già vi ho indicato, Dio ha fatto le creature per l'uomo, perché gli fossero di mezzo per servirlo, cioè Dio ha fatto con l'uomo come per esempio un buon Padre usa fare con un figlio che destina per gli studi ad una celebre Università; pensa egli a tutti i suoi bisogni; dà ordine che niente gli manchi, non già per facilitare al figlio e procurargli i mezzi, onde passi il suo tempo oziosamente o in continui divertimenti, ma bensì per impegnarlo allo studio, togliendogli la sollecitudine delle altre cose necessarie o utili per la vita. Ecco le intenzioni del padre; ecco l'uso che deve fare il figlio dei beni del padre. Oppure Dio la fa con l'uomo come la farebbe il Re con un suo Ministro che spedisce fuori per un importante affare, gli somministra abbondantemente tutti i requisiti, dà ordine che sia servito d'ogni bisognevole, puntualmente dovunque passa, provvede a tutti i mezzi per facilitargli il viaggio ed un pronto ritorno. Pre,2334a:T3,1,6 Ora, io dico, potrebbe questo Sovrano approvare che un tale Ministro si approfittasse di quei comodi per arrestarsi in tutte le città che trova per strada, per quivi passare alcuni giorni al gioco, ai piaceri, ai divertimenti senza mettersi in pena di eseguire la sua commissione od accelerare il suo ritorno? Così Dio destina tutte le creature al servizio dell'uomo, non perché si arresti in esse, non perché ne abusi, ma perché se ne serva per servire Dio, perché con esse promuova la sua gloria e la propria santificazione. Similmente un buon padre di famiglia somministra abbondantemente ai suoi servi vitto, vestito, e mercede ancora, non perché vivano oziosi ed a piacere loro; tanto meno perché ben vestiti, nutriti e pagati, ricusino di servirlo e ancora si rivolgano ad oltraggiarlo, ma bensì perché ognuno adempia comodamente il suo ufficio; non altrimenti il nostro buon Padre celeste col somministrarci in tanta copia le creature, unico suo disegno fu provvederci in abbondanza di mezzi opportuni per conseguire il fine propostoci, per attendere più facilmente e con maggior coraggio al nobile impiego di servire lui solo, ma non mai perché in vista di quel piccolo bene apparente nelle creature c'inducessimo ad abbandonare lui, Fonte d'ogni vero bene, per andare dietro ai beni apparenti e passeggeri di questa terra; non mai perché ricusassimo di consacrare a lui quel cuore che prodighiamo alle creature; non mai ci lasciassimo signoreggiare da esse; non mai perché ci servissimo di esse come di strumenti ed armi per offendere ed oltraggiare il Creatore medesimo. Ah! Se le creature che ci circondano avessero sentimento e voce, quali rimproveri non ci farebbero, e come non ci griderebbero ciascuna: reliqua vero super terram creata sunt ut hominem ad finem suæ creationis prosequendum juvent. Pre,2334a:T3,1,7 Tre modi di salire dalle creature al Creatore: 1o per via d'eminenza, 2o di precisione, 3o di causalità. 1o Addendo: poiché in Dio vi è eminenter tutto il bene delle creature. 2o Detrahendo: poiché in Dio non cade difetto alcuno delle creature. 3o In efficiendo: poiché tutto è causa seconda che suppone la causa prima produttrice. Pre,2334a:T3,1,8 1. Ma com'è che ci serviranno le creature per il fine della nostra creazione? Abbiamo veduto che il fine per cui siamo creati si è di conoscere, amare, servire Dio. Ora appunto tra le creature, altre debbono servire per illuminare l'intelletto a conoscere Dio; altre per muovere la volontà ad amarlo; altre per somministrare le forze per servirlo ed insegnare ad ubbidirlo; nessuna per offenderlo ed oltraggiarlo. Interroga jumenta et docebunt te (diceva Giobbe) volatilia cæli et indicabunt tibi, loquere terræ et respondebit tibi, et narrabunt pisces maris quis ignorat quod hæc omnia manus Domini fecerit? Invisibilia Dei per ea quæ facta sunt, intellecta conspiciuntur sempiterna quoque ejus virtus et Divinitas (Rom. 1, 20). A magnitudine speciei et creaturæ cognoscibiliter poterit Creator omnium videri (Sap. 13, 5). Cæli enarrant gloriam Dei et opera manuum ejus annuntiat firmamentum – Plena est omnis terra gloria ejus (Ps.). Ogni creatura col suo essere ci dimostra l'esistenza del Creatore e la sua onnipotenza nel trarle dal nulla. La Bellezza di Dio si conosce nella proporzione e dall'ordine delle sue opere così ben regolate. La Maestà e l'immensità si comprende dall'essere i cieli lo sgabello dei suoi piedi. La Sapienza si conosce dal vedere come con la stessa pioggia, con la stessa terra, col medesimo sole produce tante diversissime erbe, alberi, fiori e frutti nelle varie stagioni. La Bontà si vede nell'aver destinato a nostro servizio tante innumerevoli creature, e l'averle destinate non solo per i buoni, ma anche per i cattivi: pluit super bonos et super injustos. La Provvidenza si vede negli avvenimenti di tanti secoli senza mancare mai nel considerare lilia agri, quomodo crescunt, non laborant, neque nent, nec Salomon in omni gloria sua coopertus est sicut unum ex illis. Respicite volatilia cæli: non serunt neque metunt, nec congregant in horrea et Pater vester cælestis pascit illa [Matth. 6, v. 28, 29, 26]. Pre,2334a:T3,1,9 Come ci insegnano le creature a conoscere Dio Ecco come ci insegnano le creature a conoscere Dio – e primieramente l'esistenza di tutte le creature per ragione della loro necessaria dipendenza portano impresso il marchio del loro Creatore; sono tutte cause seconde che provano l'esistenza della causa prima che le ha prodotte tutte e che le conserva, senza di che sarebbero necessitate a rientrare nel loro nulla; e così ci provano che c'è un Dio e la di lui onnipotenza. Secondariamente le loro qualità affatto mirabili, la loro varietà, la loro bellezza, la loro proprietà, le loro infinite relazioni, la loro singolare concatenazione ed armonia manifestamente ci provano la Sapienza di Dio, la Bellezza, la Maestà, la Provvidenza, la Bontà di Dio, di modo che può dirsi l'universo tutto come il libro della divinità, in cui Dio dipinse in certo modo se stesso, o dirò meglio, in cui diede qualche piccolo saggio della sua Divinità e dei suoi attribuiti; ed è questo libro che insegnava a contemplare Dio ad un S. Antonio, ad un S. Bernardo, ad un S. Francesco d'Assisi e a tanti altri Santi: Omnes creaturæ ut servias Deo vel benefaciendo hortantur, vel exemplo instruunt, vel minando stimulant, vel famulando juvant. Tunc bonus usus cum beneficium accipiens Benefactorem laudas; exempla obœdientiæ intuens imitaris alacritatem, instrumenta justitiæ considerans salubriter metuis, et famulatus auxilia sedulo adhibes. Terra movet beneficiis; cælum invitat præmiis, infernus urget suppliciis. – Omnia nos impellunt exemplo, quoniam omnia divino famulantur imperio; cælum servit, terra servit, infelix homo non servit. Pre,2334a:T3,1,10 Né solo le creature c'insegnano a conoscere Dio, c'insegnano anche ad amarlo, poiché, come abbiamo veduto, ciascuna creatura è un beneficio di Dio; onde il Signore ci circonda di tanti benefici quante sono le creature che ci circondano, e ciascuna di esse nel beneficarci ci grida: Accipe, redde, cave. Accipe beneficium. Redde obsequium. Cave abusum, et per hoc justifica animam tuam, quasi ci dicesse, non io, ma Dio per me ti benefica, prendi, godi ed ama, che ben lo merita quel Dio che mi ti dona, guardati solo dall'essergliene ingrato, e così giustificherai l'anima tua. Noi fedeli agli ordini del nostro Creatore ti sostentiamo, ti somministriamo la sanità, le forze, ti ristoriamo in tante moleste necessità, perché così più facilmente ti rivolgi al tuo Creatore, più facilmente attendi a conoscerlo, amarlo, servirlo. Sii dunque fedele al tuo fine come noi siamo al nostro. Sì, così ci parlerebbero le creature tutte se avessero ragione e voce, perché sono create per questo, e per questo Dio si compiacque di averle create, come ci narra lo storico, che chiamò buone. Quindi è che a ragione e piamente esclamava S. Agostino: Cæli et terra clamant Domine, ut te amemus. Esempio S. Francesco d'Assisi. Né solo c'insegnano ad amare Dio, ma per servirlo ci sostentano, ci somministrano la sanità, le forze, ci ristorano in tante moleste necessità; finalmente la loro fedeltà ad ubbidire alle leggi loro imposte dal Creatore ci rimprovera delle nostre incessanti infedeltà; per scendere poi al particolare ancora le ricchezze ci mettono, dirò così, nell'occasione prossima di glorificare Dio, somministrandoci i mezzi di imitare la beneficenza di Dio, sollevando miserabili, la reputazione, il credito, ci fanno emulare il potere e la giustizia di Dio, impedendo l'oppressione dell'innocenza, promuovendo l'esaltazione della virtù, in una parola, proteggendo gl'innocenti e virtuosi, umiliando i discoli ed i viziosi, e così andate dicendo dei talenti, della sanità; ed ecco perché Dio si compiacque di tutto ciò che aveva creato vedendole così buone. Vidit Deus cuncta quæ fecerat et erant valde bona, perché nella loro creazione servivano mirabilmente per il fine che le aveva create, cioè mirabilmente aiutavano l'uomo a conoscere, amare e servire Dio, ed è in questo solo senso che le creature sono buone e si chiamano beni. Pre,2334a:T3,1,11 L'uomo ha pervertito l'ordine stabilito da Dio Ma purtroppo l'uomo ha pervertito e continua a pervertire l'ordine stabilito da Dio: quæ perfecisti, destruxerunt (Ps. 10); e quelle creature, che per bontà di Dio erano messe per suo servizio e per la felicità dell'uomo, divengono primieramente distolte dal loro fine e violentate per l'abuso che l'uomo ne fa; secondo, invece di rendere il cuore dell'uomo pago, lo amareggiano; terzo, invece di essere strumenti di salute, diventano mezzi di perdizione. 1o. Vengono prima violentate perché, qualora si fanno servire all'intemperanza, al lusso, agl'inganni, agl'immondi piaceri, mentre erano destinate a insegnarci, invitarci, aiutarci a servire Dio, gemono tacitamente nel sentirsi impiegate in tutt'altri usi che non furono prescritti dal Creatore, come osserva S. Paolo: Vanitati (hoc est al peccato) creatura subjecta est non volens (hoc est contro la naturale loro inclinazione e contro la destinazione di Dio)… scimus quod creatura ingemiscit et parturit usque adhuc (Rom. 8, 20, hoc est per la loro naturale avversione al contraddire ai disegni del loro Creatore). Voi vedete come una chiave è fatta per aprire, un coltello è fatto per tagliare; che se voi volete servirvi della chiave per tagliare e del coltello per aprire, voi fate violenza all'uno e l'altro; così voi violentate le creature abusandone, e verrà quel dì in cui si rivolteranno contro di voi per vendicarsi dell'ingiuria fatta al loro Creatore e della violenza fatta a loro, come leggiamo nella Sapienza 5, cioè che Iddio in quel dì finale armabit creaturas ad ultionem inimicorum (Sap. 5). Pre,2334a:T3,1,12 Né solo fate violenza alle creature, qualora le trattate da fini e da mezzi (pervertite talmente l'ordine stabilito da Dio che ciò che era strumento di salute lo fate divenire per voi strumento di perdizione, ciò che era buono secondo i disegni di Dio lo fate divenire vero male), ma 2o, inoltre non ci guadagnerete niente, voglio dire, che invece di trovarvi quelle felicità che voi cercate in esse, voi vi troverete afflizioni vere nei piaceri, travagli e vane sollecitudini negli onori, e finirete con fare il fattore ad altri, accumulando roba e denari non a chi vi piace, ma a chi più piace a Dio. Espresse sono, a questo proposito, le parole dello Spirito Santo: Peccatori autem dedit afflictionem et curam superfluam, ut addat et congreget et tradat ei cui placuerit Deo (Eccle. 2, 26); ed in altro luogo: quid prodest possessori nisi quod cernit divitias oculis suis? Ubi multæ sunt opes, multi sunt et qui comedunt eas. Infatti se i beni di questa terra avessero l'abilità di rendere felici chi li gode, più felici sarebbero chi più ne gode; dunque più felici di tutti sarebbero i Sovrani che alle ricchezze e agli onori aggiungono ben anche sovente i piaceri. Pre,2334a:T3,1,13 Pure chi vi è che sia sovente più di loro afflitto e angustiato? Infatti a quante infedeltà, sottomani, trufferie e sollecitudini non sono essi esposti? Troverete voi alcuno più ricco, più onorato, più in mezzo ai piaceri di un Salomone? Pure cos'è egli costretto a confessare? Vidi in omnibus vanitatem (hoc est apparenza in sostanza) afflictionem spiritus (tormento di spirito nei piaceri del corpo) et nihil permanere sub sole (hoc est nessuna stabilità) tædet me vitæ meæ (ecco l'eccesso di malinconia a cui è ridotto). Che se un mare di beni non può saziare il cuore dell'uomo, come potranno saziarlo quei beni medesimi dati in così scarsa misura? Fecisti nos ad te (diceva S. Agostino) et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te… non satiatur oculus visu, nec auris auditu…: non possono queste cose terrene saziare il cuore dell'uomo che è fatto solo per l'Eterno. Avete bel respirare dell'aria quanto vi piace, questa mai vi sazierà, perché non è l'alimento dell'uomo; così il cuore ha bel nuotare nei piaceri di questa terra, non si sazierà mai, non avrà mai pace, poiché non sono questi il suo alimento, ma solo Iddio ed il servizio di Dio, e qui solo sarà tranquillo e contento. Pre,2334a:T3,1,14 Ma vi è di peggio. Non solo l'uomo abusando delle creature perverte l'ordine stabilito da Dio e non ci guadagna niente, ma inoltre, in 3o luogo, ciò che era strumento di salute, diviene strumento di perdizione; ciò che era buono (secundum quid) diviene vero male. Infatti, come può essere vero bene quello che dispone ad una dannazione eterna? Può dirsi un bene per il pesce quell'esca che è unita all'amo e conduce alla morte? Può essere un bene per gli uccelli quel grano che per prenderlo conviene che ci lasciano la libertà e la vita? Sicut pisces capiuntur hamo, sicut aves laqueo comprehenduntur, sic homines. Onde possiamo dire con lo Spirito Santo delle creature abusate: Creaturæ Dei in odium factæ sunt et in tentationem animabus hominum et in muscipulam pedibus insipientium. Ecco ciò che fece e che fa l'abuso e il troppo attacco delle creature; e di questo non contro le creature, ma contro noi stessi dobbiamo prendercela (diceva S. Ambrogio: quid naturam accusas, o homo, tu ipse tibi es causa improbitatis; tu ipse dux flagitiorum tuorum atque intentor malorum). Ci era ben conceduto l'uso delle divine opere alla nostra natura, ma ne era vietato l'abuso, il quale pervertisce i dirittissimi fini della divina creazione, facendole servire in offendere Dio, cangiandole in strumenti di dannazione. Pre,2334a:T3,1,15 Non solo i beni, ma i mali… Ma non sono solo i beni di questa terra, ma i mali eziandio che il Signore ci diede per mezzi di servirlo, per strumenti di salute, e vediamo come di questi pure ce ne serviamo per offenderlo. Trovatisi dunque Dio per il peccato, ossia per l'abuso fatto dall'uomo delle creature, guasti i disegni di sua creazione, forse che lasciò andare ogni cosa in disordine ed in conquasso? Anzi, qui fu dove si fece più palese la sua paterna mirabile provvidenza; che fa egli pertanto? Stabilisce un ordine di mali, che in sostanza altro non sono che la privazione dei medesimi beni, e così riscuote a forza ciò che non gli si dà per amore; manda per esempio una febbre, la quale logora quelle forze e disfigura quel sembiante che a lui non serve; spedisce un turbine che affonda quella nave che per lui non approda; fa strage di quei campi che per lui non fruttano; percuote nell'onore, nella roba, nella persona colui che ne abusa; e a chi domandasse la cagione di tale operare, lascia di rispondergli che è lui medesimo che così li serve. Sciant quia ego Dominus percutiens. – Dominus pauperem facit et ditat, humiliat et sublevat (e per quale fine?); Domini enim sunt cardines terræ (1 Reg. 2, 7) (hoc est perché è padrone del mondo da un polo all'altro). Pre,2334a:T3,1,16 E così fa il Signore, sia in castigo dell'abuso fatto delle sue creature, sia per toglierci l'occasione di più abusarne, e metterci nell'occasione di praticare la virtù; suo disegno in così trattarci si è di produrre in noi quell'effetto che producevano negli ebrei i durissimi trattamenti di Faraone, cioè affinché detestata l'idolatria d'Egitto, serbiamo tutto l'incenso per il Dio di Israello, affinché spregiata la terra del nostro esilio, cerchiamo più in alto la patria, in Cielo. Vedeste il fine dei beni; ecco il fine dei mali di questa terra; e siccome abbiamo detto che i beni di questa terra lasciano di essere beni, ma diventano mali e se abusati, servono ad offendere Dio ed alla nostra perdizione, così i mali di questa terra non sono più propriamente mali, ma sono veri beni, qualora ci distacchino dalla terra, e ci uniscano a Dio. Infatti direste voi felice il viaggio che fa quel vascello a piene vele in mare piacevole, ma va ad investire negli scogli? Oppure sarà un male quella tempesta che lo spinge più presto al porto desiderato? Ah! No, non è male quella povertà, quell'afflizione che arricchisce di meriti per il cielo; non sono beni quelle ricchezze, quelle prosperità che vi fanno abbandonare Dio, poiché ciò che veramente costituisce il bene o il male in questo genere si è la loro disposizione o l'indisposizione al fine secondo l'uso, o l'abuso dell'operante. Per questo Dio va mescolando beni coi mali nei diversi stati ai quali ci destina, e talvolta abbonda più di mali che di beni, acciocché dai beni noi prendiamo forze e sollievo per servirlo, e per via dei mali restiamo avvertiti di non abusarne, affezionandoci troppo ai beni di questa terra, di riconoscerne e ringraziarne il Donatore, che con l'esperienza ci avverte di poterceli togliere ad ogni istante. Pre,2334a:T3,1,17 I beni e i mali dunque di questa terra nei disegni di Dio sono i mezzi che ci somministra nell'ordine naturale per servirlo; ed anche questi disegni vengono rotti dall'uomo, il quale per singolare malizia abusa ugualmente dei mali che dei beni, tutti facendoli servire a sua perdizione eterna; di modo che se Dio dà all'uomo la santità per operare a gloria sua, questi n'abusa al servizio del mondo; se gli toglie la sanità, perché ripari al passato e faccia penitenza, mormora contro Dio e s'impazienta; se Dio gli dà reputazione e credito per reprimere la licenza e proteggere l'innocenza e la giustizia, questi se ne serve per opprimere questa e proteggere quella; se gli fa provare qualche umiliazione, perché pratichi l'umiltà, subito l'ira, l'invidia, la maldicenza s'impadroniscono del suo cuore, della sua lingua; se gli dà beni di fortuna perché s'impieghino nell'onesto sostentamento della famiglia, nella buona educazione della figliolanza e il superfluo in sollievo dei poveri, questi li fa servire per soddisfare alla sua ambizione, al gioco, all'intemperanza; se gli fa sentire il peso della necessità, perché si distacchi da questi beni e confidi in lui, mormora contro la provvidenza, s'appiglia ai mezzi illeciti ed ingiusti per procacciarsi denaro; se Dio gli dà abilità e talento e coraggio, perche s'avanzi nella virtù, egli se ne serve per l'indipendenza, per procurarsi con più raggiri, maggiori onori, maggiori ricchezze; se gli dà poco talento, poca abilità, perché stia umile, perché preghi, perché si raggiri con quel poco e dipenda da altri, egli si lascia dominare dalla pigrizia, dall'ignoranza, dalla superbia, e così andate dicendo. La malizia dell'uomo giunge a segno di abusare ugualmente dei beni che dei mali di questa vita, tutti facendoli servire a sua perdizione, mormorando contro Dio, se i mali lo affliggono, abbandonando Dio, se i beni gli abbondano. Pre,2334a:T3,1,18 I mezzi nell'ordine di grazia 3o Pure anche per rimediare a un tale malizioso abuso di beni e di mali pensò Dio, e per questo stabilì altri mezzi tanto più efficaci quali sono quelli della grazia. Per procurarci i mezzi nell'ordine della natura travagliò sei giorni [l'Eterno Padre impiegando la sua Onnipotenza, cavando dal nulla tante e così varie creature in cielo e in terra; impiegò la sua sapienza destinando opportunamente ciascuna cosa al suo fine; impiegò la sua bontà partecipando alle creature tante e così utili qualità*5]. Poi per procurarci i mezzi nell'ordine di grazia, per trentatré anni faticò, pianse e sudò il Divin Figlio. I mezzi poi che ci procurò in quest'ordine sono ugualmente innumerabili dei primi, immensamente poi più nobili, più efficaci di essi; tra questi vi è la virtù della fede, con la quale ci illumina nelle tenebre della nostra ignoranza; vi è la virtù della speranza, per cui ci incoraggia a superare l'arduo delle azioni virtuose; vi è la virtù della carità, per cui ci rende soave ogni nostro esercizio; vi è l'orazione per ottenere tutto ciò che abbisognamo; vi sono i Sacramenti, tra i quali alcuni hanno per oggetto il rimuovere gl'impedimenti al bene, come il Battesimo e la Penitenza; altri il moderare gl'incitamenti al male, come l'Eucaristia e la Confermazione; tutti il somministrare aiuti per la virtù. Aggiungete la parola di Dio, i libri spirituali, l'esempio dei buoni, la protezione dei Beati, la Comunione dei Santi, le Indulgenze e simili; aggiungetevi finalmente le continue ispirazioni alla mente, continui stimoli al cuore, continui soccorsi della grazia preveniente, cooperante, conseguente. Gesù Cristo stesso si fece mezzo nostro. Ecco quanti mezzi ci procurò la Potenza, la Sapienza, la Bontà di Dio per riparare la nostra malizia, per facilitarci il suo santo servizio; ecco con quale ragione può egli dire a ciascuno di noi: Quid potui facere vineæ meæ et non feci; perditio tua ex te, tantummodo in me auxilium tuum: ecco come dobbiamo confessare che se alcuno si perde, non si perde che per sua colpa. Pre,2334a:T3,1,19 Eppure questi sono quei beni dei quali quasi nessuno è riconoscente a Dio; sono quei mezzi che sono così dimenticati, trascurati, e disprezzati ancora. Infatti quante volte disprezzaste le interne voci di Dio, i salutevoli avvisi dei suoi ministri, i buoni esempi dei vostri stessi conoscenti, seppure non ve ne rideste ancora; quante volte profanaste i divini sacramenti e vi gloriaste perfino delle vostre scandalose azioni? Ah! Quand'è che finirà questa gara fra Dio e voi? Egli in aiutarvi per salvarvi, e voi in prevalervi dei suoi aiuti per perdervi? Possibile che più il Signore s'impiega per facilitarvi la salute, più voi vi impieghiate per assicurarvi la vostra dannazione? E direte ancora di avere una volontà sincera di salvarvi? Conviene dichiararsi a che volervi ingannare; voi volete perdervi e continuate pure nel vostro sistema, ma prima badate bene dove andrete a finire; o voi volete veramente salvarvi, e conviene allora prendere i mezzi opportuni, conviene imitare, dice il Salvatore, i prudenti del secolo; conviene servirsi della massima di S. Luigi: Quid hæc ad vitam æternam? Che è quello che vedremo nel secondo punto. Pre,2334a:T3,2,1 Secondo punto 1o. Filii hujus sæculi prudentiores sunt filiis lucis. Amorosamente ci rimprovera il nostro Divino Salvatore in S. Luca 16, 8 che i figlioli del secolo sono più prudenti dei figli della luce. Voi sapete, dilettissimi, che la prudenza riguarda immediatamente non il fine, ma i mezzi per conseguire il fine; essa tutta si raggira circa questi; essa li suggerisce e li promuove; essa inoltre rende l'uomo industrioso, cauto, ed attento nell'applicazione dei medesimi senza però mai perdere di mira il suo fine propostosi, poiché tutto il suo studio e il suo sforzo si è il procurare i mezzi di conseguirlo. Ora a quale grado mai non posseggono i mondani questa virtù della prudenza nei loro terreni affari? Hanno essi a cagione d'esempio qualche affare importante, qualche lite che li interessi, come non sanno essi rimuovere a tempo le difficoltà, ritrovare i mezzi opportuni, trarre partito da tutto? E benché siano essi di poco talento, voi li trovate subito divenuti industriosi a questo riguardo; benché taciturni e di poche parole, diventano eloquenti per la loro causa; benché di natura indolenti, voi li vedete attivi e solleciti; benché occupatissimi in altri negozi, sanno trovare il loro tempo; benché di gracile sanità, non temono stenti e fatiche, giorno e notte hanno sempre in mente il loro affare, ed amino per quanto si vuole i loro comodi e il danaro e gli amici, o che sia d'altro, tutto, tutto si sacrifica per l'affare, per poco che questo l'interessi. Non è egli così nel mondo, o dilettissimi, e tante volte non si usano fors'anche simili industrie e simili sacrifizi, non già per affari di gran rilievo, ma persino per giungere a soddisfare per un momento una loro misera passione. Pre,2334a:T3,2,2 Dilettissimi, se la passa anche così fra i figli della luce, fra i seguaci del Vangelo? Ah! Che il Salvatore, come udite, ci dice il contrario e l'esperienza ce ne convince; e quante volte ho io bramato che i Cristiani, giacché non volevano preferire l'affare della loro eterna salute a qualunque affare terreno per importante che sia, almeno non lo considerassero come l'infimo affare, come affare così dispregevole, che credessero perdere tempo nel pensarvi e perfino di arrossire di parlarne! Dilettissimi, io non vi ripeto qui il già detto nella prima meditazione; parmi dalle ragioni addottevi di sopra d'avervi dimostrato abbastanza quanto importi in questa e nell'altra vita l'attendere a questo affare, cioè al conseguimento del vostro ultimo fine, e crederei di non esigere troppo, se esigessi da voi maggior prudenza per promuovere questo affare dell'anima vostra, che non ne usino i mondani nei loro terreni affari, tanto maggiore dovrebbe essere la sollecitudine e gli sforzi, quanto un affare supera l'altro, cioè quanto Dio è prima del mondo, l'anima prima del corpo, quanto l'eternità prima del tempo. Ma io non voglio altro da voi quest'oggi, se non che almeno non neghiate per la vostr'anima quella sollecitudine e quegli sforzi che non negate per il vostro corpo, per i vostri beni terreni, per qualunque vostro affare, per poco che vi interessi. Pre,2334a:T3,2,3 Non mai perderlo di vista 2o. Voi avendo per le mani un affare che vi interessa, avete per massima fondamentale di non mai perderlo di vista. Dunque parimenti non perdete mai di vista il vostro ultimo fine; questa era la massima che teneva sempre presente alla sua mente un S. Luigi Gonzaga, e che vi ho proposto in secondo luogo; tutte le relazioni che egli aveva, tutto ciò che gli accadeva o che egli faceva, tutto lo esaminava con quella massima: Quid hæc ad vitam æternam. Così fate ancora voi. Conseguentemente poi a una tale massima, d'avere sempre di mira l'affare interessante, hanno i mondani le loro regole: primo, di prudenza che io riduco a tre capi: 1o cercano gli ostacoli all'esito del loro affare, e certamente non dormono per abbatterli; 2o studiano tutti i mezzi per riuscire nel loro intento e non si risparmiano per praticarli; 3o si industriano di trarre partito da tutto per avvantaggiare l'affare che loro sta tanto a cuore. Non altrimenti dunque si deve fare da voi, o fratelli amatissimi, per conseguire l'affare della vostra eterna salute. Pre,2334a:T3,2,4 1 – Abbiatelo voi dunque, in prima di tutto, sempre presente e di mira. Esaminate quanto vi circonda, esaminate le relazioni che avete, quanto operate, quanto vi accada, esaminatelo, ponderatelo bene, se può nuocervi o avvantaggiarvi l'affare della vostra eterna salute; dite ancora voi con S. Luigi in ogni cosa, in ogni evento: Quid hæc ad vitam æternam?, e conseguentemente ad una tale massima sia vostra prima regola di prudenza cercare se avete ostacoli ed impedimenti, e se mai vi trovaste per esempio attaccati in amicizie pericolose, o il vostro cuore vi rimproverasse di conservare odio, rancore contro un qualche vostro fratello, o qualche ingiustizia commessa e non riparata vi venisse in mente, pensate che non possono conciliarsi tali cose colla vostra salute, e vi conviene indispensabilmente riparare quell'ingiustizia di onore, di roba, qualunque ella sia, riconciliarvi con il vostro fratello, terminare quelle discussioni e disunioni, troncare quell'amicizia pericolosa, disfarvi di quelle occasioni; oppure rinunziare alla vostra eterna salute. Troppo è chiara a questo proposito la gran sentenza del Salvatore intimata a tutti: Si oculus tuus scandalizat te, erue eum et proice abs te; melius est enim debilem vel claudum vel cæcum ad vitam ingredi, quam duos oculos vel duos pedes habentem mitti in Gehennam ignis. Pre,2334a:T3,2,5 Sì, vi sia pure cara quell'amicizia, quell'occasione, quanto v'è cara la pupilla dell'occhio; se ella vi è occasione di ruina all'anima vostra, tanto basta conviene troncarla; vi sia pure necessaria quella roba quanto vi è necessaria la mano, il piede, ella non è vostra tanto basta, conviene spropriarvene e consegnarla a chi appartiene. Due classi di creature, che servono di mezzi, altre sono in noi, altre fuori di noi. In noi: gli occhi sono i discorsi coi quali l'intelletto vede; i piedi sono gli affetti coi quali la volontà si muove; le mani sono le varie occupazioni con le quali l'anima opera. Fuori di noi: occhi sono le cose più care al nostro cuore; piedi sono i beni che fanno il fondamento del nostro stato civile; mani sono i parenti, gli amici che operano per noi, a beneficio nostro. Item gli occhi sono i superiori; le mani sono gli uguali; i piedi sono gli inferiori. Ora se alcuna di tali cose ci è di scandalo e ruina dell'anima, non ti spaventi il dolore, non lo spasimo, non la perdita presente; taglia, separa, slancia via da te e occhi e piedi e mani; è opera di precisa necessità, non atto di indifferenza; uno è il bene assoluto che è la vita eterna, uno è il male assoluto che è la morte eterna. Pre,2334a:T3,2,6 Qui non vi deve essere niente di eccettuato. Osservate come Gesù Cristo esemplifica ancora il mio assunto; vedete qual cosa più ragionevole e anche da Dio stesso più espressamente voluta e comandata quanto l'amore dei genitori e dei figli; eppure, qualora questo impedisca l'adempimento dei nostri doveri espressi verso Dio, qualora si cerca di compiacere più il padre o la madre, il figlio o la figlia, piuttosto che Dio, sì dichiara Dio che non lo ammetterà mai a parte con lui: Qui amat patrem aut matrem plus quam me, non est me dignus; qui amat filium aut filiam plus quam me, non est me dignus. Ora se così dichiara Gesù Cristo reo e condannevole un tale amore dei genitori perché sorpassa l'amore che dobbiamo a Dio, che non si dovrà dire dell'amore disordinato delle altre creature? È duro questo e sensibile, lo confesso, ma pure confessatelo ancora voi, più duro sarà e più sensibile l'essere gettato per questo ad ardere eternamente nel fuoco dell'inferno. Sacrificio dunque ci vuole e sacrificio generoso e intero di tutto ciò che v'impedisce di conseguire il vostro ultimo fine, di tutto ciò che vi impedisce l'adempimento dei vostri doveri, e per cui vi mettete a rischio di perdere Dio e dannarvi eternamente. Questa sia dunque la prima regola di prudenza nell'affare della vostra salute eterna: l'indagare e seriamente indagare se avete ostacoli e impedimenti per l'esito di essa, e non dormire per sormontarli appunto come fanno i mondani per i loro affari. Pre,2334a:T3,2,7 I mezzi più propri ed efficaci 2 – La seconda regola mentovata dei mondani si è che, toltisi davanti il più che possono gli ostacoli per i loro affari, s'appligliano ardentemente a quei mezzi che sono più propri ed efficaci. È così, dilettissimi, dovete fare voi; non vi mancano mezzi sovrannaturali certi ed efficacissimi per promuovere ed avvantaggiare la vostra eterna salute. Avete tutti i mezzi di cui vi fornisce Iddio abbondantemente nell'ordine della grazia; avete la parola di Dio per istruirvi dei vostri doveri; avete il mezzo dell'orazione per ottenere da Dio tutto ciò che vi è necessario per l'adempimento di essi; avete, per tacerne tanti altri, avete i Sacramenti che sono i canali per cui Dio vi comunica i suoi aiuti, le sue grazie; e perché dunque trascurate cotanto d'ascoltare la parola di Dio, o almeno d'istruirvi con libri buoni; perché dimenticare così l'orazione, quasi non aveste dipendenza e bisogno alcuno di Dio che è pure l'unica sorgente di bene, e tante volte lasciate passare i giorni, le settimane, e forse anche i mesi, senza neppure ringraziarlo una volta dei benefici di cui vi colma ogni giorno? Pre,2334a:T3,2,8 Perché fare così poco caso dei Santi Sacramenti, perché appena, e con non piccola violenza, vi accostate qualche volta fra l'anno, e abbracciate frattanto così avidamente ogni occasione che si presenti o d'accumulare ricchezze o d'ingrandirvi nel mondo, tutto v'immergete nelle faccende temporali cercando sempre avidamente, ora di vivere sempre più agiatamente, ora di fare qualche maggior comparsa, e per questo avete talenti, trovate tempo, impiegate i mezzi? Possibile che solo per le cose del [mondo] siete tutto fuoco e attività; solo per le cose di Dio, dell'anima e dell'eternità siate tutto gelo e l'indolenza stessa! Ah! Quid prodest homini, si universum mundum lucretur, animæ vero suæ detrimentum patiatur? Che vi giova quand'anche guadagnaste l'universo tutto, se frattanto l'anima dovrà soffrirne detrimento nell'eternità? E se non vi è proporzione fra l'acquisto di un mondo intero e la perdita anche di un solo grado di gloria, vi sarà poi proporzione tra l'acquisto non di un mondo intero, ma di un po' di roba, di un po' d'onore o di un piacere momentaneo, e la perdita non di un solo grado di gloria ma di tutto quel peso di gloria eterna, come lo chiama S. Paolo. Ah! Dilettissimi, non si faccia più tanto caso di quattro palmi di terra o di qualche fumo d'onore che per essi abbiate da rinunziare in eterno alla vostra eredità del cielo, da dispensarvi in eterno coi reprobi nel fuoco, ma fate per l'avvenire maggior conto dei beni celesti ed eterni, e appigliatevi con avidità e con costanza a quei mezzi che possono assicurarveli e accrescerveli ancora; Quid enim prodest homini, si universum mundum lucretur, animæ vero suæ detrimentum patiatur? Pre,2334a:T3,2,9 Come dobbiamo usare delle cose indifferenti 3 – Ma se fra le cose di questa terra alcune sono assolutamente nocive per la salute, e a queste conviene affatto rinunciarvi, altre sono assolutamente buone, e queste conviene abbracciarle con tutto impegno, siccome vedeste sinora. Resta ora ad esaminare come dobbiamo usare delle cose indifferenti, che da per se stesse possono ugualmente nuocere che giovare per la nostra eterna salute. Se noi consultiamo l'ultima regola di prudenza accennata dei mondani, noi troveremo che essi sanno, nei loro dubbi e nelle loro determinazioni, eleggere quello che maggiormente può avvantaggiare il loro affare, e da tutti gli accidenti cercano trarre partito in loro bene, né risparmiano per questo, occorrendo a serie riflessioni e consulte, a passi ed a raggiri. Così dunque dobbiamo fare pure noi. Quivi più che mai dobbiamo fare uso della massima fondamentale posta dinnanzi: Quid hæc ad vitam æternam? Pre,2334a:T3,2,10 Imperciocché tutto ciò che è temporale, per quel che è in se stesso, non merita da noi stima alcuna, poiché da per se stesso non ha ragione alcuna d'essere amato e cercato da noi, soltanto merita che ne facciamo caso in quanto può servirci di mezzo per condurci a Dio; fuori di questo riguardo egli deve essere per noi come se non ci fosse. Esempio dei santi: S. Audomaro Vesc., 6 febbraio, trovandosi presente alla traslazione del corpo di un altro santo vescovo, recuperò la luce degli occhi di cui era privo; ma riflettendo poscia che la vista corporale non conferiva alla vista spirituale dell'anima, perché la distraeva dall'unione con Dio, pregò il Signore che gli rendesse la sua cecità, e Dio gli fece la grazia. E quivi due generi di oggetti temporali si presentano; altri che dipendono dalla nostra elezione, altri che dipendono dalla Divina Provvidenza. 1. Quanto ai primi, volete essere certi di non sbagliarla nell'elezione, interrogate prima voi stessi: Quid hæc ad vitam æternam? Proponetevi innanzi gli occhi l'eternità. Osservate e consultate come ad essa vi conduca; esaminate se quell'oggetto vi conduce all'osservanza dei divini precetti, se è conforme alle leggi della carità verso Dio, verso il prossimo, alle massime del Vangelo; se è così abbracciatelo pure, se no, non vogliate ingannarvi, rigettatelo, disprezzatelo, che non si merita il vostro pensiero. Pre,2334a:T3,2,11 Il pellegrino che si è prefisso alcun luogo per meta del suo cammino, se si abbatte a più strade, solo bada a prendere quella che lo conduce al luogo determinato, né poco gli importa che sia a diritta o a sinistra, deliziosa o alpestre, anzi per non sbagliarla esamina e consulta e ringrazia chi lo mette sulla vera strada, benché quella sia la più faticosa; così, dilettissimi, in ogni vostra deliberazione non dovete prima cercare se più vi aggrada, senza curarvi d'esaminare se più vi giovi per l'eternità, se sia volontà di Dio, ma all'opposto stabilire prima di voler fare la volontà di Dio, di volervi ad ogni costo salvare, e poi vedere se quello che dovete eleggere sia mezzo conducente al vostro fine o no, risoluto di farne qualunque sacrificio, se non è tale, poiché l'eleggere prima il mezzo, poi volervi adattare il fine, porta con sé errori gravissimi, e molte volte irrimediabili nelle sue conseguenze; ci servano dunque di regola nelle nostre deliberazioni la ragione e la fede, e non la sola fantasia e i sensi, poiché il decidere secondo le passioni o secondo le sole convenienze umane è un far uso di bilancia ingannevole, di bilancia che è abominevole innanzi a Dio, siccome dice il Savio nei Proverbi 11, 1, non essendo che la sola volontà di Dio quella che dà giusto peso alle cose: Statera dolosa abominatio est apud Deum et pondus æquum voluntas ejus. Questo dunque sia il vostro ragionare in tali occasioni; questo è quel che mi assicura la mia salute; questo è secondo la volontà di Dio; dunque questo io voglio eleggere. Né abbiate, dilettissimi, timore di perderci, poiché abbastanza chiara e certa è la promessa di un Dio fedelissimo che vi dice: Quærite primum regnum Dei et hæc omnia adjicientur vobis. Pre,2334a:T3,2,12 Cose che non sono in nostra libertà 2. Rimane ora per ultimo da esaminare quale suo dobbiamo fare di quelle cose che punto non sono in nostra libertà, ma totalmente dipendono dalla Divina Provvidenza. Dilettissimi, io qui per mancanza di tempo mi contento di accennarvi brevemente alcuna osservazione che da per voi stessi potete ampliare ed applicare ai vostri casi. Primo, non v'è bene su questa terra, dal cui abuso non ne segua del male, né vi è male dal cui buon uso non ne segua del bene. Inoltre stante la corruzione della nostra natura e la diversità delle disposizioni umane, non tutti i mezzi a tutti convengono, siccome non tutti i rimedi convengono a tutti i temperamenti, così, per esempio, ciò che faciliterebbe l'acquisto di una qualche virtù ad uno che è di complessione sanguigna ed ardente, l'impedisce ad un altro che è di complessione flemmatica, né noi possiamo arrivare a comprendere ciò che meglio ci convenga, ciò che ci appiana o ci attraversi la strada alla celeste Patria, sia perché non conosciamo abbastanza noi stessi, sia perché ignoriamo tanti futuri contingenti che ci potrebbero nuocere o giovare, farci mutare volontà di buona in mala, di mala in buona. In secondo luogo avete a riflettere che Dio è il nostro Padrone e il nostro Padre celeste. È il nostro Padrone, dunque ha il diritto di disporre di noi come più gli piace, e se vuole essere servito da noi nello stato, nelle circostanze in cui più gli aggrada, a noi non è lecito dire a Dio, più che il vaso al vasaio, come dice S. Paolo: Quare sic facis? Siamo come candele che debbono consumarsi a onore e servizio di Dio, si consumino poi sugli altari o in sacrestia, non importa, purché si consumino per Dio. Pre,2334a:T3,2,13 Terzo. Inoltre Dio è nostro Padre, e Padre non di nome, ma di fatti. Padre tale che non vi è Padre tenero, come dice Tertulliano, che ci ami così svisceratamente come lui: Pater et ita Pater ut tam Pater nemo; né ci è lecito il dubitarne, a meno che volessimo rigettare gli stessi principi della nostra santa religione; e di più egli è Padre celeste, il quale tutto vede e tutto sa, e gli è noto ciò che a voi e a me più convenga per la nostra eterna salute, e questo solo egli permette o vuole che ci accada e vuole che ne viviamo certi e tranquilli: Dicite justo, quoniam bene. Dunque non mai lasciatevi venire in mente che vi accada cosa che sia senza sua saputa o contro sua volontà, ma bensì credete fermamente che tutto viene disposto per volontà di Dio, il quale potrebbe allontanarvi quell'accidente, quella circostanza, ma pure non vuole e sapientemente non vuole, perché così giudica più opportuno per vostro maggior vantaggio, per sua maggior gloria. Dunque volete fare buon uso di quanto vi accade; in primo luogo cercatene la causa in cielo, non in terra, e il vostro intelletto resterà soddisfatto; in secondo luogo ricordatevi che questa è la via della vostra salute, è la serie di accidenti che formare devono la catena di vostra predestinazione, e la vostra memoria sarà contenta; in terzo luogo badate che non può essere che buono tutto ciò che proviene dal sommo bene, e la volontà sarà appagata. Pre,2334a:T3,2,14 Insomma in ogni cosa, in ogni evento vogliamo sapere come ci giovi per la salute: Quid hæc ad vitam æternam? Entriamo nei disegni di Dio e persuasi che tutto deriva da quella mente sapientissima, da quel cuore tutto amore per noi, e da quella mano così benefica, e allora tutto ciò che ci accadrà, se è bene, ci sia d'occasione di servire e lodare Dio; se è male, sopportiamolo pazientemente per soddisfare alla Divina giustizia per i nostri peccati, per così crescere in grazia e in gloria. Interpretiamo dunque tutto in bene, approfittiamoci di tutto per promuovere l'affare della nostra eterna salute; che così allontanati gl'impedimenti, attenendosi ai mezzi certi ed efficaci, e mettendo tutto a profitto per la nostra eterna salute, noi travaglieremo prudentemente e seriamente a conseguire il nostro ultimo fine, otterremo la pace in questo mondo e la vita eterna nell'altro. Così sia. Pre,2334a:*1 Testo depennato. Pre,2334a:*2 Testo depennato. Pre,2334a:*3 Testo depennato. Pre,2334a:*4 Il riferimento è sbagliato e il testo introvabile nella Volgata. Pre,2334a:*5 Testo depennato. Pre,2334b:T0,1 Meditazione dei Castighi del peccato Castighi del peccato Avendo creato Iddio un numero smisurato di spiriti angelici abitatori del Paradiso, disegna diffondere su di loro le ricchezze della sua bontà ed eccellenza, li arricchisce delle più rare perfezioni di natura e di grazia; li colma delle singolarissime doti d'immortalità, di sapienza, di potenza, di bellezza e di santità; li rende ragguardevoli sopra tutto l'Universo; li destina finalmente a godere e contemplare se stesso per tutta l'eternità, purché in tutto si sottomettano a Dio; dimentichi la terza parte di essi di questo loro fine così grandioso, ingrati di sì immensi benefizi ricevuti, ricusano di assoggettarsi a Dio in una qualche cosa, e con quell'atto peccarono; appena fu da essi commesso questo primo ed unico peccato di pensiero, subito Iddio li castiga tutti assieme, e in un punto di spiriti celesti li rende spiriti infernali, e dal Cielo li precipita negli abissi. Ponderiamo alcun poco strage sì terribile per arguire da essa quanto enorme debba essere il peccato mortale che ne è la causa. L'esempio d'un Padre che minaccia per farsi ubbidire è segno che gli sta a cuore ciò che comanda, ed a proporzione della minaccia si capisce la premura del comando. Pre,2334b:T0,2 Iddio ha creato l'uomo perché lo lodi, lo rispetti e, servendolo, si acquisti l'eterna salute; ora chiunque perverte un simile ordine da Dio stabilito pecca, e si rende meritevole di castigo, poiché peccato e castigo sono due cose talmente connesse nell'ordine della Divina Giustizia, che non si possono separare l'una dall'altra; né solo si rende meritevole chi pecca di un qualunque castigo, ma di un castigo proporzionato alla colpa, di modo che la gravezza e la malizia della colpa divenga misura della pena, essendo pure questa proprietà di ogni giustizia, e la pena sia indizio della gravezza e malizia della colpa. Proprietà poi tanto più da attribuirsi a Dio, il quale come infinitamente savio e giusto, non può odiare né castigare cosa che non se lo meriti, né può odiarla, né castigarla più di quel che se lo meriti. Onde, siccome nell'ordine civile sogliono gli uomini dedurre dal castigo la gravezza del delitto, e quanto più quello è grande tanto maggiore imprudenza si reputa l'esporsi a pericolo di doverlo subire, così pure nell'ordine soprannaturale delle cose, dal castigo si dedurrà la malizia del peccato, e quanto più questo sarà grande, tanto più imprudente sarà il commettere questo. Per convincerci pertanto di questa verità, vi propongo stasera di esaminare tre terribili castighi che Dio diede al peccato; voglio dire il castigo degli Angeli, e questo sarà il 1o punto. Il castigo di Adamo, e sarà il 2o. Il castigo di Gesù Cristo, e sarà il 3o punto. Pre,2334b:T0,3 Siccome dagli effetti e dalle conseguenze giungono i Fisici a conoscere le cause nell'ordine naturale, così pure nell'ordine morale dai castighi e dalle pene, che sono anch'esse effetti e conseguenze di misfatti, suole dagli uomini stimarsi la gravità ed enormità di essi. Posta la quale regola, dovendo anche noi conoscere la gravezza del peccato mortale, è uopo che ne esaminiamo anche gli effetti e conseguenze, che sono i castighi ad esso dati da Dio, acciò dalla gravezza di questi intendiamo l'enormità di quello. Per tale effetto, adunque, vi propongo tre grandi esempi di Giustizia Divina contro il peccato, che formeranno i tre punti della Meditazione, cioè il castigo dato da Dio agli Angeli: 1o punto; il castigo dato da Dio ad Adamo: 2o punto; il castigo dato a Gesù Cristo perché solo si volle vestire della sembianza di Peccatore: 3o punto. Ma prima di tutto conviene avere impressa un'altra verità, ed è che Dio non può, come infinitamente savio, santo e giusto, odiare né castigare cosa che non ne sia degna, né può castigarla, né odiarla più di quel che se lo meriti. Aggiungete che siccome in Dio non si può disgiungere la bontà dalla giustizia, perciò: Pre,2334b:T0,4 per 1o preludio rappresentiamoci alla mente questi tre grandi Tribunali di giustizia da Dio eretti in punizione del peccato; uno in Cielo contro gli Angeli ribelli, l'altro nel Paradiso terrestre contro Adamo, il terzo sul Calvario contro il suo Figliolo, e noi, complici di simili delitti, figuriamoci ammessi a vedere l'esecuzione di sì formidabile giustizia. Per 2o preludio diciamo al Signore: Mio Dio giacché voi permetteste simili esempi di giustizia per farmi conoscere l'enormità del peccato, e per atterrirmi da esso, deh, datemi grazia di ben meditarli, affinché, ben conosciuta una volta la gravezza del peccato, e dall'esempio altrui atterrito, mi muova finalmente con il vostro aiuto a veramente detestare il peccato e fuggire un mostro sì orribile. Pre,2334b:T1,1 [Primo Punto] Volendo Iddio formarsi un magnifico e nobile corteggio di ministri che indefessi colle loro lodi e servizi l'assistano all'augusto suo Trono, crea innumerabili Spiriti Angelici, diffonde su di essi, a prodigalità, doni e privilegi di natura e di grazia; immortalità, sapienza, potenza, bellezza, santità formano le loro prerogative; rende ciascuno di essi – come dice S. Giovanni Crisostomo – solo in dignità di natura non che di grazia superiore a tutto l'universo sensibile, li destina finalmente tutti a formare corona al suo Trono, a godere, a contemplare se stesso per tutta l'eternità, purché soltanto in tutto a lui si sottomettano; ma dimentichi la terza parte di essi di questo sì augusto loro fine, ingrati a sì immensi benefizi ricevuti, gli ricusano d'assoggettarsi e peccano; appena fu da essi questo primo ed unico peccato di pensiero, che subito Dio li castiga, subito li spoglia di tutti i doni, subito tutti assieme da Angeli li rende Demoni, li rigetta dal suo Trono, li precipita negli abissi infernali. Fingiamo, Uditori, che qualche grande monarca condanni trenta Principi del suo Impero ad essere tutti, l'uno dopo l'altro, decapitati in pubblica piazza. Che tragico spettacolo sarebbe questo? Strepitosa ne correrebbe per tutto il mondo la fama, e quali sensi d'ammirazione e d'orrore ecciterebbe in chiunque ne sentisse il racconto? Pre,2334b:T1,2 Come dunque trenta Principi del Regno in uno stesso dì, in pubblica piazza lasciare la testa sotto ad una scure? Conviene pure che enorme, oltremodo, fosse il delitto che mosse quel Monarca di genio non crudele, né tirannico, ma d'un cuore ben fatto e benigno. Ora che sono trenta Principi della terra in confronto alla terza parte della gerarchia celeste degli Angioli, il numero dei quali supera affatto – come dice S. Dionigi (de hierarchia cælesti, 1) – la capacità delle nostre deboli menti, ed eccede incomparabilmente, secondo S. Tommaso (1 p., q. 90, a. 3), le stelle del Cielo e le arene del mare. Che sono dunque trenta Principi della terra dirimpetto ad un numero sì smisurato di Principi del Cielo, superiori ciascuno d'essi solo in dignità di natura a tutto l'universo sensibile, né condannati già ad un colpo di scure, ma ad ardere per un'eternità nel fuoco, e condannati di più da un Sovrano non mosso da impeto di collera, ma da un Sovrano che tutto fa con mente placida e serena, da un Sovrano clementissimo e tutto bontà che tanto li amava, che aveva su di loro versato a profusione i doni di natura e di grazia, e che disegnava farsene le sue delizie? Conviene dunque ben dire che mostro d'incomprensibile enormità quel peccato che costringe un Dio sì buono a sì terribile giustizia, e cagionò sì gravi castighi? Pre,2334b:T1,3 Quanto c'inganniamo dunque, miei cari, nel concetto che ci formiamo del peccato, quanto diversamente ne pensa Iddio? Noi teniamo il peccato per cosa da niente, noi lo commettiamo per sì poco e con tanta facilità. Iddio per un solo peccato, per un peccato di pensiero, precipita nell'inferno un numero smisurato d'Angeli, li condanna a eterni supplizi, e noi stimiamo il peccato per cosa da niente? Un Dio giusto che non può punire il peccato più di quel che se lo meriti, un Dio misericordioso lo punisce sempre meno di quel che se lo meriti; lo punisce con un inferno; quanto è dunque abominevole e mostruoso il peccato agli occhi di Dio, quanto diversamente lo stima egli di quello che lo stimiamo noi? Né diamoci a credere, miei cari, che il peccato, perché è in noi, cangi natura, o che Dio ne cangi il concetto e lo odi di meno; il peccato è sempre lo stesso, e Iddio è pure anche sempre lo stesso, sempre infinitamente santo, sempre infinitamente opposto al peccato, egli è lo stesso Dio e lo stesso giudice degli Angeli e degli uomini. Dunque se cotanto odia e castiga il peccato nei suoi Angeli, altrettanto l'odierà e castigherà anche in noi, anzi in noi ancora di più che negli Angeli, odierà Iddio e castigherà il peccato, perché, come osserva S. Anselmo, se gli Angeli peccando offesero Dio, che li aveva creati, noi peccando abbiamo offeso Dio che ci ha creati, non solo, ma redenti eziandio col suo sangue, e se essi l'hanno offeso insuperbendosi contro di lui, noi l'abbiamo offeso disprezzando le sue leggi, posponendolo alla creatura. Ille peccavit in Deum, parlando di Lucifero e di noi, ille peccavit in Deum qui se fecit, iste peccavit in Deum qui se refecit, ille peccavit in Deum superbiens, iste contemnens. Pre,2334b:T1,4 Inoltre erano gli Angeli le più belle opere uscite dalla mano di Dio e a lui così predilette, ed in numero sì smisurato; noi all'opposto non siamo che poca cenere e fango, ripieni di ignoranza e di malizia; di più essi non peccarono che una volta sola e con un solo peccato di pensiero, e noi abbiamo peccato tante volte, ed abbiamo aggiunto ai peccati di pensiero anche peccati di opere; essi finalmente peccarono non essendo per anco istruiti da altrui castigo, né atterriti da minacce; l'inferno non era per anco formato ed essi neppure lo sospettavano, non aveva Iddio loro perdonato altre volte, né loro diede un momento da ravvedersi, e noi abbiamo peccato tuttoché già istruiti dal castigo di essi e di tanti altri, tuttoché atterriti da tante minacce del Signore, tuttoché c'insegnasse la fede precipitarvisi tutto dì peccatori nell'inferno; abbiamo peccato dopo tante indulgenze, dopo tanti perdoni, né ci siamo curati di tante occasioni che il Signore ci diede per convertirci. Diciamo dunque con tutta verità e confessiamo con S. Bernardo che se Dio ha dimostrato tant'odio e ha sì severamente castigato i suoi Angeli, tanto maggior odio deve dimostrare con noi, e tanto più severamente punirci: Si superbientibus Angelis Deus non pepercit, quanto magis tibi putredo et vermis? Pre,2334b:T1,5 Credete forse… Credete forse, perché abbiamo commesso più peccati degli Angeli, perché avremo dovuto concepire dalla maniera che Dio ha punito gli Angeli, concepire, dico, l'odio che porta al peccato, credete forse, perché abbiamo veduto morire un Dio per noi, perché ci è stato dato tempo e potere di fare penitenza e grazia, che fu negata agli Angeli, perché siamo più vili ed in qualche maniera più colpevoli degli Angeli, credete, dico, che perciò debba Dio essere più indulgente a nostro riguardo, ci debba lasciar abusare più lungamente della sua misericordia ed insultare la sua pazienza? Di grazia, potete voi persuadervi tale cosa, fuorché vogliate prendervi piacere d'ingannarvi ed accecarvi da voi stessi? Se Dio (pensiero che faceva piangere a caldi occhi S. Gregorio), se Dio fracassa tanti vasi d'oro, perché fetenti di superbia, cosa farà di pochi vasi di creta ripieni d'immondizia? Quid de [creteo*1] vase fiet si nec aureis superbiæ fœtore plenis ignoscit? Pensate ora, miei cari, quale è la nostra malizia in offendere con tanta facilità quel Dio che non teme, al primo peccato tanti spiriti angelici a lui così favoriti, renderli tutti in un punto spiriti infernali, non teme per un solo peccato di pensiero vuotare mezzo il Paradiso e riempirne l'Inferno. Pensate quale è la nostra arditezza in disubbidire tante volte quasi con sicurezza e con tanta tranquillità a quel Dio che non ha avuto bisogno di tanti Principi del Cielo, anzi li ha puniti con tanto rigore. A quali rischi ci siamo dunque mai esposti colle nostre iniquità, come per un piacere momentaneo, per un niente ci siamo tirati tante volte addosso l'ira di Dio a fulminarci? Pre,2334b:T1,6 Piangiamo dunque una volta amaramente il nostro peccato, deponiamovi ogni affetto, impariamo una volta a temere quel Dio sì terribile, che solevamo sinora con tanta facilità offendere ed oltraggiare. E se alcuno fra di noi si trovasse, che volesse ancora continuare ad amare il peccato, rifletta a questo castigo sì terribile degli Angeli; rifletta e tremi, rifletta che merita anch'egli attualmente che Dio manifesti sopra di lui la sua giustizia; rifletta che quegli stessi Angeli ribelli già lo contano per loro compagno, già gli tengono preparata la sedia in quello stagno di zolfo e di fuoco, e stanno con piacere rimirando come se l'attende, infatti, ad assicurarsela quella maledetta sedia per la cattiva vita che mena, e se non si converte, chissà che non venga condannato più presto di quel che si crede ad andarla ad occupare eternamente. O Dio, chi può mai stare esposto a tanto pericolo e vivere e dormire tranquillo? È vero, miei cari, che Dio è buono e misericordioso, ma anche precipitando gli Angeli negl'infernali abissi, anche condannandoli a tormenti eterni, non lasciò d'essere buono e misericordioso. Pre,2334b:T1,7 Dunque, se ci sta a cuore il nostro proprio bene, l'esempio degli Angeli ci serva di norma e di cautela. Di grazia, sortiamo presto dal miserabile stato del peccato, non differiamo di pentirci dei nostri peccati, e risolvere di morire piuttosto che peccare di nuovo; non differiamo dico, per timore che, ignorando i momenti che abbiamo da vivere, Dio finalmente non ci sorprenda e, siccome ci minaccia nel suo Vangelo, quando meno lo pensiamo, anche noi ci fulmini cogli Angioli ribelli ed irreparabilmente ci condanni al fuoco. O Mio Dio, conosco ora il pericolo in cui mi sono tante volte temerariamente esposto peccando, lo conosco, e tremo al pensarvici. Da quanto tempo si è, che in compagnia degli Angeli ribelli io arderei nel fuoco, se sin dal mio primo peccato mi avesse con essi precipitato nell'Inferno, eppure, mio Dio, per inudita vostra bontà, per quella prima volta mi avete graziato del perdono, mi avete voluto risparmiare. Pre,2334b:T1,8 Che orrore, che ribrezzo avrei dovuto essere, quando nuovamente dalle passioni o da cattive compagnie era tentato di commettere il secondo peccato? Che mostruosa ingratitudine era mai la mia, l'offendervi di bel nuovo? Eppure non ho temuto di farlo; meritavo pure questa volta che mi fulminaste nell'istante all'Inferno doppiamente dovutomi. Ma voi, per eccesso di misericordia, invece di castigarmi, voi nuovamente mi graziaste del perdono doppiamente demeritatomi. Doveva pure qui bastare sì a me per non offendervi mai più, mio Dio, sì a voi per non più perdonarmi? Eppure, o Dio, senz'alcun timore sono passato alla terza offesa, e neppure mi avete punito per quella, vi ho aggiunto la quarta, ed ancora mi perdonaste, e lo stesso è seguito circa la quinta, la sesta, e circa tante altre che ho, dopo tanti perdoni, con nuova e maggior baldanza commesse. O prodigi di bontà divina che rendono attoniti per stupore gli Angioli, e fanno scoppiare d'invidia i Demoni, non potendo capire essi, come Voi, o mio Signore, comune Padre di tutti, non abbiate potuto in essi nobilissimi spiriti tollerare una sola offesa, ed in me, vile verme di terra, tante e tante ogni giorno ne abbiate tollerate. O mio Dio, quanto vi debbo ringraziare di tanta bontà con me particolarmente usata! Ed avrò io cuore d'offendervi altre volte, o di restarmene ancora in peccato mortale, ed avrò cuore di abusare ancora di un prodigio sì grande di tanta bontà, e pretenderò, che dopo tanti graziosi perdoni già concessi, ancora mi perdoniate, se nuovamente vi offendo, o se differisco convertirmi? Pre,2334b:T1,9 Pretenderò che voi continuiate con me particolarmente il prodigio di ancora sopportarmi? Ah no, mio Dio, abbastanza v'ho offeso, abbastanza ho tentato di fulminarmi. Mio Dio, vi ringrazio ben di cuore che sinora vi siate degnato di risparmiarmi, mi pento sinceramente di tutti i miei peccati passati, e propongo fermamente piuttosto morire che nuovamente offendervi. Arcangelo S. Michele, voi che foste deputato ad eseguire la terribile sentenza da Dio fulminata contro gli Angeli ribelli, fate che un tale esempio ben bene s'imprima nella mia mente e mi impegni a non mai più peccare. Angelo mio custode, voi che tremavate al vedermi tante volte esposto a sì terribile giustizia, e meglio di me capiste la grazia che Dio mi faceva in tollerarmi, voi aiutatemi a ringraziarlo di tanta bontà usata con me, voi assistetemi, perché gli sia sempre riconoscente e fedele, né mai più mi esponga a sì formidabile pericolo. Maria V. Santissima, rifugio dei miserabili, vi supplico d'interporre presso di Gesù Cristo tutto il vostro credito che avete presso di lui, per ottenermi quest'oggi il perdono dei miei peccati, ed assicurarmi d'ora avanti da sì formidabile sentenza tante volte meritatami. Così sia. Pre,2334b:T2,1 [Secondo Punto] Il secondo terribile esempio della Giustizia di Dio contro il peccato è il castigo dato ad Adamo. Crea il Signore Adamo, lo arricchisce di sapienza, di grazia e di giustizia originale, e lega con lui stretto vincolo di amicizia. Passeggia egli e discorre con Adamo sì amichevolmente e famigliarmente che è stupore il considerarlo: gli dà il dominio di tutta la terra, gli assoggetta tutte le creature, le conduce tutte davanti a lui, perché dia loro i propri nomi, gli fa una compagna, li benedice ambedue e li introduce finalmente nel Paradiso terrestre con mostrare verso di loro tutti i segni immaginabili d'amore. Si trova Adamo in uno stato sì nobile e felice che nessuno si sarebbe mai immaginato monarca più grande, più fortunato di lui. Eppure che strano e fatale cangiamento non succedette mai per cagione del peccato! Perché Adamo assicuri per sé e per tutta la sua posterità uno stato sì felice, e ad un tempo si meriti l'eterna beatitudine del Cielo, vuole Iddio in riconoscenza di sì grandi benefizi un atto di ubbidienza; gli comanda pertanto che fra tutti gli alberi di quel Paradiso uno solo ne lasci, perché altrimenti sarebbe morto: in quocumque die comederis ex eo morte morieris (Gen. 2). Pre,2334b:T2,2 Ma appunto di quell'albero gli porge Eva un pomo, ed egli l'accetta, l'assaggia e lo mangia. Ed ecco immantinente rotta tra Dio e lui l'amicizia; ecco il principio e la causa del suo e del nostro decadimento da uno stato sì felice; ecco il motivo del luttuoso sconvolgimento della natura e di tutte le umane miserie. Immaginatevi, o fratelli, un gran monarca oggi gran signore, ricco, venerato, ubbidito da tutte le creature, il più felice del mondo, domani povero, nudo, schiavo, zappare piangendo la terra per guadagnarsi il vitto: questo è il ritratto del nostro primo Padre per cagione di quel suo peccato. Di fatto, appena ebbe Adamo mangiato di quel pomo contro il divino comando che il Signore lo chiama: Adam ubi es? L'esamina, lo convince, lo condanna; e sentite a quale pena. Lo spoglia primieramente della sua grazia, della giustizia originale e di tutte le virtù e doni soprannaturali; indi lo priva del dominio di tutte le creature, lo caccia dal Paradiso e ne intima a lui ed a tutti i suoi posteri un perpetuo esilio, lo condanna finalmente all'infamia, alle infermità ed alla morte stessa; gli rende con solenne maledizione sterile la terra, obbligandolo a lavorarsela con le sue mani, se vuole procacciarsi il vitto: Maledicta terra in opere tuo… spinas et tribulos germinabit tibi… in sudore vultus tui vesceris pane, donec revertaris in terram de qua sumptus es, quia pulvis es et in pulverem reverteris. Pre,2334b:T2,3 Figuratevi in che angustia ed amarezza di cuore si sarà trovato Adamo al vedersi decaduto per un pomo da uno stato sì nobile e beato, in uno stato il più deplorabile e ignominioso. Entra egli allora tutto pensante in se stesso, ed invece di quel bell'ordine che vi regnava, non vi trova nel suo intelletto che confusione ed ignoranza di cose; nella volontà non si sente che ripugnanza al bene e fortissime inclinazioni al male; sente dentro di sé un'altra legge ripugnate alla ragione, che è la concupiscenza e le passioni che gli si sono ribellate contro; il suo corpo, che prima gli era di aiuto e di sollievo, ora gli è divenuto d'aggravio, afflizioni ed angustie dappertutto lo circondano. Rimira poi le creature ed invece che tutte erano intente al suo servizio ed a provvederlo abbondantemente di tutto, ora le trova armate contro di lui; gli elementi tendono alla di lui distruzione, la terra non gli produce altro che bronchi spine; gli animali, altri lo fuggono, altri gli sono divenuti feroci e nocivi, gli stessi piccoli insetti lo tormentano e l'inquietano; gli uomini stessi fra loro agguerriti si feriscono e s'uccidono; insomma, non vede altro che sconcerto in tutto se stesso, e sconcerto in tutta natura; e per novecento anni si vede condannato a dover menare una vita sì stentata e miserabile con doverla poi finire tra le agonie ed in un sepolcro; e neppure qui ancora avrebbe avuto fine il suo castigo, se veramente non si pentiva e Dio non gli usava misericordia. L'Inferno ancora gli era preparato e per 900 anni dovette vivere in pericolo di esservi per tutta l'eternità precipitato. Pre,2334b:T2,4 Immaginatevi ora… Immaginatevi ora quale torrente di lagrime non avrà mai versato Adamo per il suo peccato fra quei 900 anni che visse? Vedete quanto gli costò caro quel pomo! Ma giacché è stato il solo a gustare di quel pomo esibitogli da Eva sua moglie, fosse almeno anche stato il solo condannato a doverne portare la pena; ma talmente è grave agli occhi del Signore che non è egli pago che Adamo subisca pel suo peccato una pena sì grande, vuole inoltre che alla stessa condanna soggiacciano tutti i suoi discendenti, e vi soggiacciano sino alla fine del mondo. Comanda pertanto che d'allora in poi nascessimo tutti figli d'ira, spogliati della sua divina grazia ed amicizia, soggetti a ignoranza e malizia, dominati dalle passioni, esposti dall'infanzia sino alla morte a fatiche, infermità, dolori ed affanni inesplicabili. Se Adamo non peccava, avremo tutti partecipato della giustizia originale, avremo goduto le delizie di quel Paradiso, saremo stati pienamente contenti e felici su questa terra e nel cielo. Pecca Adamo, ed eccoci anche noi tutti per sua colpa castigati sino all'ultima generazione, tutti decaduti da uno stato sì felice, tutti condannati a versare lacrime per il di lui peccato. Vedete, miei cari fratelli, negli ospedali quante spietate malattie, quante ulceri, quanti languenti, spasimanti, agonizzanti; nelle prigioni, nelle galee, quanti miseri cinti di catene, quanti condannati a non mai più vedere la luce di questo mondo, quanti a forza di battiture a continue e gravissime fatiche; quali altri giumenti, privi di ogni requie e refrigerio, necessitati a soffrirsene ancora viventi e talvolta anche senza colpa una specie d'Inferno su questa terra. Pre,2334b:T2,5 Vedete nei tribunali quante liti, quanti guai, quante miserie di famiglie particolari, quante condanne, quante sentenze di morte; nelle case domestiche quante discordie, quante tribolazioni, quanti pianti, quante desolazioni, o per necessità di roba o per essere lacerati nella fama, o per insidie tramate loro, o per altre disgrazie, quanti infermi eziando, quanti moribondi, quanti morti; per le città poi, nei borghi e nell'aperta campagna quanti poveri mendichi, nudi, ciechi, storpi, ulcerati che mancano di che satollarsi e di che ricoprirsi, né sanno ove ricoverarsi dall'intemperie della stagione o da altri pericoli; inoltre quanti oziosi e scellerati, per i quali si sentono tutto dì detrazioni, frodi, insidie, assassinamenti, furti, sacrilegi, adulteri, spergiuri, omicidi. O Dio, nel corso solo di un anno quante miserie, quanti mali, quanti pianti, oltre poi tante pesti, tante guerre, tante carestie, tanti terremoti, tanti fulmini, tanti incendi, tanti desolamenti di provincie, tante stragi di popoli che accorrono nel corso di più anni, come ci attestano le storie. Ora tutto questo è puramente in castigo del peccato di Adamo, sono cinquanta secoli e più che gli uomini si trovano in sì deplorevole stato, e si troveranno fino alla fine del mondo. Pre,2334b:T2,6 Tale dunque è il castigo che dà un Dio grande, potente, terribile ad Adamo, per un solo peccato. Ora se un Dio grande, potente, terribile che non è accettatore di persone, come si manifesta nel Deut. 10: Deus magnus et potens et terribilis qui personam non accipit, nec munera, così castiga Adamo, pensate cosa sarà di noi; se così severamente punisce il Principe, pensate cosa dovranno aspettarsi gl'infimi ed i plebei. Se per un peccato di poca importanza, come può sembrare alla ragione umana, come è mangiare un pomo vietato, per un peccato già pianto per 900 anni e già perdonato, pretende ancora Iddio tanta soddisfazione sino alla fine del mondo. Cosa pretenderà poi per tante oscenità, per tanti odi, per tante ingiustizie, che neppure si pensa a piangere? A che giova, miei cari, ingannarci, a che giova viversene tranquilli, dormire nel peccato? Immancabilmente dobbiamo cadere nelle mani di un Dio sì terribile che giudica ognuno giusta le sue opere. Dunque o ci pentiamo per tempo dei nostri peccati, od aspettiamoci tremendi castighi. Pre,2334b:T2,7 Colloquio O mio Dio, stimavo io il peccato un male da nulla, un male da gloriarsene, un male da motteggiarvi sopra. Oh quanto mi ingannavo! Tante miserie ha prodotto il peccato, tante malattie, tanti pianti, tante morti, tante desolazioni, e questo non basterà a farmi conoscere la sua malignità, la sua gravezza? Per un solo peccato tanti mali nel mondo, ed io che ne ho commessi tanti, non temo! Adamo fa penitenza per 900 anni e non è sufficiente, vivo io a seconda dei miei desideri e pretenderò che il Signore non esiga più altro da me. Si, mio Dio, conosco ora il mio errore, la mia cecità, conosco che i miei peccati meritano più gravi castighi del peccato di Adamo, ma giàcché siete stato così clemente di volermi ora illuminare, farmi penetrare simile verità, ed aspettarmi sino adesso a penitenza. Deh! Concedetemi un fiume di lacrime di compunzione, con cui detesti di vivo cuore tutti i miei peccati passati, affinché ne riporti da voi il totale perdono ed ottenga di andare esente da quei terribili castighi che mi sono più e più volte meritato. Così sia. Pre,2334b:T3,1 [Terzo Punto] Il terzo castigo, ed il più terribile di tutti, è il castigo dato da Dio al suo Unigenito per i nostri peccati. Per punire il peccato non c'è altro castigo proporzionato che o l'inferno con l'eternità del fuoco, o la Passione di un Dio che ne è l'unica riparazione che possa appagare la collera di Dio e soddisfare la sua giustizia. Perciò peccato, Passione, Inferno, tre oggetti sono questi che tra di loro hanno un rapporto di proporzione, e tutti e tre incomprensibili. Vedete, miei cari, questo Crocifisso. Egli è Gesù Cristo, Figliolo di Dio, il Verbo Incarnato che muore per riparare al Padre Eterno l'ingiuria fattagli dal peccato mortale. Rimiratelo bene da capo a piedi, non vi troverete in lui parte sana; rimirate quella testa trapassata da tante spine, quella faccia tutta livida, quelle mani, quei piedi trafitti da durissimi chiodi, quel corpo nudo tutto lacero, piagato, grondante per ogni parte di sangue, sostenuto da tre chiodi: immaginatevi un poco cosa voglia dire un corpo sì delicato e sensitivo, per la sua perfettissima costituzione, dover soggiacere ad una crudelissima carneficina di migliaia di percosse che gli si scaricavano con flagelli, con catene e bastoni nodosi da quelle scellerate mani dei carnefici. Pre,2334b:T3,2 Considerate cosa voglia dire avere il capo trafitto da tante spine che come tanti coltelli crudelmente lo martirizzano. Considerate cosa sia pendere per tre ore intere con tutto il peso del corpo sostenuto da tre chiodi, nudo, abbandonato da tutti, senza ristoro, morire di spasimo. Una spina sola fitta nel pié d'un leone lo fa ruggire di smania, ora che dolore sarà mai stato lo stare appeso tanto tempo a tre chiodi, avere il capo trafitto da tante spine, versare per migliaia di piaghe tutto il sangue. Aggiungete a queste gran pene gli obbrobri, gli improperi, le bestemmie sofferte da ogni genere di persone, le quali, benché fossero fra di loro sì discordi, in questo solo si univano, in affligerlo senza compassione; aggiungete gl'interni tormenti incomparabilmente maggiori che provava nel suo cuore, che non si possono misurare se non con la misura dell'amore infinito che portava al Padre, e dell'odio infinito che portava al peccato. Ora, miei cari, quest'uomo di dolori, come lo chiama Isaia, è quello che il Padre Eterno, come diceva S. Paolo, ci propone per manifestarci la sua giustizia. Quem proposuit Deus Propitiatorem per fidem in sanguine ipsius ad extentionem justitiæ ejus (Rom. 3). Pre,2334b:T3,3 Egli è pure il Figliolo di Dio in tutto uguale al Padre, e quello in cui tanto si compiace, che possiede come lui ogni pienezza di grazia, che riceve come lui le adorazioni di tutti gli spiriti beati, ciononostante lo considera il Padre come oggetto delle sue vendette, lo tratta duramente, lo sazia di obbrobri ed il solo peccato ne è la cagione: Factus est pro nobis maledictum. Difatti pecca l'uomo, disprezza ed offende gravemente il suo Creatore, il suo Dio; esige la Divina Giustizia una riparazione degna della Maestà del Signore offesa ed oltraggiata, ma non v'è creatura alcuna che sia capace di dare tale soddisfazione: s'adunino pure assieme tutti i Santi con le loro orazioni, vi concorrano tutti i Martiri col loro sangue, v'intervengano tutti gli Angeli col loro amore, impresti la medesima Madre di Dio tutti i suoi meriti, tutta questa soddisfazione assieme non potrebbe cancellare neppure un solo peccato mortale, perché essendo il peccato un disprezzo ed un'offesa fatta dalla creatura al Creatore, contrae un tale disprezzo ed un'offesa, per ragione dell'infinito intervallo che passa tra la creatura e Dio, una certa infinità di malizia, come dice S. Tommaso, ed un tale abisso di deformità che non può cancellarsi da veruno ossequio di creatura. Pre,2334b:T3,4 Dunque vi è solo una persona divina, solo il sangue di un Dio che possa appieno riparare l'offesa fatta a un Dio, vedendo il Padre che neppure l'inferno gli avrebbe dato una soddisfazione infinita, sufficiente dell'ingiuria infinita fattagli col peccato, perché, per quanto possa soffrire una creatura, sarà sempre pena limitata, per quanto si prolunghi la pena, sarà sempre per tempo limitato, cioè sempre si potrà calcolare il tempo passato, perché mai verranno a compire l'eternità, la qual cosa come tempo infinito può rendere la pena almeno in qualche tempo infinita, e per conseguenza proporzionata in qualche modo alla colpa; e per altra parte inflessibile nella difesa dei suoi diritti, sacrifica il proprio Figlio piuttosto di lasciare impunito il peccato: proprio Filio non pepercit, sed pro nobis tradidit illum; lo carica pertanto di tutti i nostri peccati, come dice Isaia (53), posuit in eo iniquitatem omnium nostrum; e vedendolo sotto un aspetto sì deforme di peccatore, lo riguarda come un oggetto degno di tutte le sue vendette, s'arma perciò contro di lui, lo perseguita, lo condanna ai flagelli, alle spine, ai chiodi, agli improperi e finalmente gli pronuncia contro la sentenza della morte, lo consegna ai suoi persecutori, affinché lo crocifiggano fra due ladroni, ed in mezzo alle risate, ai motteggi, alle bestemmie, lo abbandona a segno che il Figlio, sommesso com'era, non si trattiene d'esclamare: Deus, Deus meus, ut quid dereliquisti me? Quivi, fratelli miei cari, abbiamo l'occasione di meditare la gravezza del peccato, l'odio che Dio gli porta e quanta occasione abbiamo noi peccatori di temere e di tremare. Pre,2334b:T3,5 Per soddisfare al peccato… E primieramente per soddisfare al peccato oportuit Christum pati, secondo la frase dell'Apostolo, solo la Passione di un Dio poteva risarcire tanto male, ella sola poteva placare la Maestà e Santità di Dio oltraggiata e offesa per il peccato. Considerate dunque quale sia la gravezza e malizia del peccato che fa d'uopo che un Dio patisca per ripararlo. Inoltre il Padre si determina di sacrificare il suo Unigenito per vendicarsi del peccato, pensate quale sia dunque l'odio che gli porta. Correggiamo dunque una volta il concetto che avevamo sinora del peccato, noi che lo commettavamo tanto senza ribrezzo e lo vedevamo commettere negli altri con tanta indifferenza, ed impariamo a stimarlo secondo il giudizio di Dio; e se un Dio giudica necessario e bene impiegato il sangue, la morte del suo Figliuolo, non stimiamolo noi per uno scherzo, per una cosa da niente. Temiamo finalmente la giustizia di Dio. La giustizia dei Principi, allora più che mai terribile, si manifesta quando con loro gran dolore sacrificano qualche cosa a loro ben cara. Quando si vide il re [di] Moab sacrificare sulle mura dell'assediata città il proprio figlio, allora intesero i popoli l'eccesso del suo dolore. Così pure vedendo noi quell'infame patibolo e pendervi da esso il Figliuolo di Dio che il Padre eterno si è determinato di sacrificare per il peccato, senza che lo ritragga dall'esecuzione la divinità della sua essenza o l'innocenza dei suoi costumi, dobbiamo dire che sia il peccato infinitamente odiato da Dio, il male maggiore di tutti i mali, un mostro veramente incomprensibile. Pre,2334b:T3,6 Che sarà di noi, se non deponiamo una volta l'affetto al peccato, mentre qui non si tratta più di castigo d'Angeli, ma d'un Dio che non la perdona al proprio Figlio, di un Dio che per punire degnamente il peccato impiega tutta la sua potenza, tutta la sua santità, tutta la sua severità, sin sopra ad un uomo-Dio. Chi potrà dopo questi cavarci dalle mani di un Dio sì terribile, chi si opporrà in nostro favore, chi potrà prendere le nostre difese e salvarci? Se non può soffrire il peccato senza perseguitarlo fin in un uomo-Dio, che pure non ne aveva che la figura, come lo perseguiterà poi in noi veri peccatori, ed a quali castighi dovremo noi essere riservati? Fa di bisogno per soddisfarlo del sangue e della morte di un uomo-Dio; peccatori, per rigorosa che sia la giustizia, che voglia esercitare sopra di noi, sarà ella mai sufficiente? E se scarica sopra il giusto sì acerbi flagelli, cosa preparerà egli ai peccatori? Potremo forse prometterci d'essere riguardati con minore severità? Se Iddio non ha riguardo neppure alla dignità d'un uomo-Dio, chiunque noi siamo o qualunque intercessore abbiamo, invano crederemo di placarlo, invano spereremo che declini dai diritti della sua giustizia. Pre,2334b:T3,7 Miei cari, quali verità sono queste, per poco che siate suscettibili di un timore ragionevole e sensibili all'interesse della vostra salute, chi è che non tremi a simili riflessi? Chi è che non concepisca ora un odio implacabile contro il peccato? Chi è che non risolva fin d'ora di morire piuttosto che nuovamente peccare e commettere un male sì grande, un male che non può essere riparato che con la Passione di un Dio, ed un male che Dio elegge piuttosto di soccombere e morire, che soffrirlo? Mio Dio, non conoscevo ancora cos'è il peccato, lo conosco ora, l'abomino, lo detesto, e con gran dolore e confusione mi rammemoro tutti i peccati della mia vita passata. Oh, Dio! Io lo commettevo con tanta facilità, e con tanta indifferenza persistevo nel peccato, mentre voi non lo potete soffrire un momento negli Angeli, creature sì pregevoli, mentre sì severamente lo castigaste in Adamo, mentre così inflessibile vi dimostraste sin col vostro Figliuolo, quale amaste meglio vederlo crudelissimamente flagellato, incoronato di spine, sazio d'obbrobri, condannato finalmente al patibolo, solo che lasciare di soddisfare la vostra giustizia, perché si è vestito dei nostri peccati. Che motivo ho io dunque di restarmene così tranquillo, se così severamente punite il vostro Figliuolo, che sarà del vostro servo? Cosa dovrò io aspettarmi e quale castigo sarà sufficiente per me, se il vostro Figliuolo, che pure non aveva che la sembianza di peccatore, è stato l'oggetto il più terribile delle vostre vendette, cosa sarò io mai, verme di terra agli occhi vostri, che sono vero peccatore? Pre,2334b:T3,8 O Dio, io non reggo a tale pensiero, in tale stato io mi trovavo e non ci pensavo! Il vostro Figlio, benché con sudori di sangue vi supplicasse di raddolcire il suo calice, non vi muoveste a compassione, ed io, persistendo nel peccato, continuando a peccare, credevo di andare esente da castigo. O Dio, che oggetto di vendetta sono io mai agli occhi vostri! Invano io non ci pensavo o mi persuadevo d'andare esente da castigo, se voi non voleste perdonare, neppure calmare il vostro sdegno, raddolcire il calice al vostro Figlio, quando ve ne pregava a sudore di sangue nell'orto. Pater, si possibile est, transeat a me calix iste. Sì, invano io mi persuadevo l'opposto, invano io non pensavo al pericoloso stato in cui mi ritrovavo. O Dio, posso io ancora sperare di placarvi, di ottenere ciò che non concedeste agli Angeli: il perdono delle mie iniquità. Ah! Sono sì grandi che se un Dio non pativa, non avrei potuto, ma ora capisco quanta è la malizia del peccato mortale, mentre non può essere riparato neppure da tutta la corte celeste, ma solo dalla Passione d'un Dio, e se un Dio non pativa, erano irremissibili. O Dio, mi confondo innanzi a voi d'essere colpevole di tale malizia, mi pento, mi dolgo di tutto cuore. Avrò io ancora cuore di offendervi, di darvi un disgusto simile ora massimamente che con tanto amore gratuito voleste soddisfare per me, avrò cuore di rinnovare la vostra Passione, di annullarla? O Dio, se dopo un benefizio simile io non mi converto subito e non temo, quanto ho io da temere di me; se ora non fanno impressione simili verità, quando la faranno? Pre,2334b:T3,9 Ah! Mio Dio, per quella carità che vi spinse ad addossarvi per me una soddisfazione sì cara, sì acerba, per me ch'io giammai non avrei potuto pagare, quella carità vi spinga ora a perdonarmi, a comunicarmi il frutto della vostra Passione, a preservarmi dall'esservi sì ingrato, a farmi conoscere il mio peccato, a darmi grazia di morire piuttosto che nuovamente offendervi, come in faccia di tutta la corte celeste io vi prometto e giuro. Maria Ss. voi che sin da quando peccò Adamo, anzi fin da tutta l'eternità foste predestinata Madre del Verbo Incarnato, ed a concorrere alla Passione del Verbo, ed alla redenzione degli uomini, voi che foste ai piedi della Croce spettattrice del funesto spettacolo di giustizia del Padre Eterno, voi che conosceste i dolori del vostro Figliuolo, voi che partecipaste ai suoi dolori anche per cagione del peccato di me peccatore, voi dunque imprimeteci bene nella mente l'odio che Dio porta al peccato, ed otteneteci le grazie necessarie per mai più offenderlo. Così sia. Oh Dio, chi oserà ancora prendersela contro un Dio sì potente e giusto? Pre,2334b:*1 Nel testo si legge “oreo”. Pre,2334c:T Danni del peccato Primo. Si considera il peccato con la sola ragione naturale, pag. 2 Indi: 1. Toglie la grazia, pag. 6 2. Spoglia dei meriti, pag. 21 3. Rende oggetto di abominazione, pag. 38 Dare un'occhiata al quadro della vita peccaminosa come per preludio. Indi meditare: 1. Quid meruisti? E ripetere ciò che fece più impressione nella meditazione dei castighi del peccato. 2. Quid egisti? Ripetere la meditazione della gravezza del peccato. 3. Quid amisisti? Paragone della morte. Pre,2334c:T0,1 Esordio Abbiamo meditato i castighi del peccato mortale, meditiamo ora i suoi effetti. Nei castighi abbiamo veduto ciò che avverrà un tempo al peccatore; negli effetti vedremo i danni che riceve l'anima immediatamente dopo il peccato, ossia i mali che si tira il peccatore in un col peccato; per conseguenza, se il peccato è tanto da temersi per i suoi castighi, si vedrà come non meno è da temersi per i suoi effetti e non più dirà: Peccavi et quid accidit mihi triste? Vi rappresento pertanto il peccato, un male maggiore della morte. Ognuno sa che la morte è il massimo di tutti i mali temporali che ognuno fugge quanto può, il timore della morte fa sacrificare tutto, fuggire; dunque se si può dimostrare che il peccato è peggiore della morte, ne segue che dobbiamo piuttosto morire che peccare, perché toglie la vita separando l'anima dal corpo, spogliando questo d'ogni bene di questa vita, rendendolo come un tronco inutile, fuggito ed abominato da tutti. Pre,2334c:T0,2 1o Punto: Ora io dico che il peccato è un male immensamente maggiore, perché toglie la vita non corporale ma spirituale, togliendo la grazia con la separazione dell'anima da Dio. 2o Punto: Toglie non beni temporali, ma spirituali, beni eterni, beni di grazia e di gloria. 3o Punto: Rende l'anima oggetto d'abominazione, non innanzi agli uomini, ma innanzi a Dio e a tutta la Corte Celeste perché diviene simile ai bruti, orrido come il Demonio, peggiore degli ossessi. Il frutto sarà la risoluzione di piuttosto morire che peccare, malo mori quam peccare. Prima di entrare ad esaminare questi punti, io credo opportuno osservare almeno di passaggio come il peccato anche considerato con la sola ragione naturale, avvilisca l'uomo, degrada primieramente l'uomo dallo stato suo ragionevole, lo rende peggiore dei bruti, cioè mostro e schiavo delle passioni. Infatti quel che costituisce l'uomo è la ragione; questa è quella che lo rende così nobile, superiore a tutte le create cose, e l'immagine di Dio stesso: togliete all'uomo la ragione e più non si distingue da bruti irragionevoli. Pre,2334c:T0,3 Ora quando l'uomo pecca conviene che trasgredisca un qualche precetto dettato solo dalla retta ragione, come ognuno vede di tale natura essere tutti quanti i precetti che abbiamo; e perciò conviene che più non faccia uso della ragione, ma vi agisca contro, onde la ragione più gli serve a nulla per quell'azione peccaminosa, e già più non si distingue dai bruti che non l'hanno, e talvolta si serve non della ragione, ma di un falso ragionamento per rendere l'azione più abominevole, raffinando nel fare il male. Inoltre pecca perché vuole seguire l'istinto della passione, appunto come i bruti che non conoscono altra regola del loro operare; eccolo dunque, in un tratto fattosi da se stesso del tutto simile ai bruti. Era egli elevato alla dignità di Uomo ragionevole, eccolo ora tutto animale nel suo fine e nel suo operare, e dagli insensati giumenti non più distinto, ed ecco avverato il detto di Davide: Homo cum in honore esset, non intellexit, comparatus est jumentis insipientibus, et factus est similis illis. Né solo loro è divenuto simile, peggiore dei bruti, cioè mostro, ma peggiore ancora e più abominevole, almeno i bruti sono così creati da Dio senza ragione e non hanno colpa, ma l'uomo prodiga il prezioso dono della ragione e maliziosamente si rende simili ad essi; almeno i bruti non agiscono contro la loro natura, ma l'uomo quando pecca, quale altro orribile mostro perverte ogni ordine e agisce contro natura. Nell'uomo la ragione è nata per comandare e suo naturale è che la parte superiore domini l'inferiore, l'irascibile e concupiscibile stia soggetta alla ragionevole; pecca ed ecco sconvolto il suo naturale costitutivo, ed eccolo mostro e più diviene schiavo delle passioni brutali; la parte inferiore domina la [parte] superiore, l'irragionevole e sensitiva signoreggia alla ragionevole e a quella s'assoggetta e si rende schiavo, come osserva S. Giovanni: Omnis qui facit peccatum, servus est peccati; perché, come riflette S. Pietro: Chi è vinto è servo di chi lo vince e come schiavo resta soggetto al vincitore: A quo enim quis superatus est, hujus et servus est (2 Petr. 2, 19). Pre,2334c:T0,4 (Peccatum est omnimoda aversio a summo bono, a summa sapientia, a summa dignitate; est ergo summa malignitas, insipientia, abjectio, item omnimoda aversio a summa pulchritudine ideo summa deformitas.) (Dunque più che mostro, appunto come i demoni, anzi più orridi del demonio, di ciascuno d'esso, perché ciascuno non commise più d'un solo peccato, e ciò che rende i demoni così orridi non è la pena, ma il peccato.) Ecco dunque l'uomo quando pecca, decaduto dalla dignità d'uomo, eccolo reso simile, anzi peggiore dei giumenti e schiavo delle brutali sue passioni; quell'uomo per altro che tanto si adira sentirsi chiamare cane, come dice S. Giovanni Crisostomo: Si quis conviciando, nobis dixerit canis, dolemus (hom. 42); epperciò, in ogni suo discorso vuole fare spicco d'intelletto e pretende dare sempre ragione sufficiente d'ogni suo operare, perché aborrisce naturalmente e tanto odia l'essere ed operare irragionevole. Eccolo ora in che stato si ritrova, renda ora ragione sufficiente del suo peccato, esamini, ponderi bene, perché ha trasgredito il comandamento di Dio, e più esaminerà e meno troverà ragione sufficiente per scusarlo, se vi trovasse vera scusa, a ragione non è più peccato, sempre più lo conoscerà senza ragione, anzi contro ragione, orribile, deforme, e vedrà se stesso in tale azione degradato dallo stato d'uomo, reso animale brutale e schiavo delle sue passioni. Homo cum in honore esset, ripetiamolo pure con Davide, che non sa finire di ridirlo: Homo cum in honore esset, comparatus est jumentis insipientibus et factus est similis illis (Ps. 48). Ma veniamo ora ai punti che ci eravamo proposti, poiché se vogliamo avere una qualche idea dei funesti effetti del peccato nell'anima nostra, conviene considerarla nello stato di grazia. Pre,2334c:T1,1 Primo Punto Ho detto che il peccato è un male maggiore della morte; primieramente perché la morte toglie la vita corporale con separare l'anima dal corpo, e il peccato toglie la vita spirituale togliendo la grazia con la separazione dell'anima da Dio (vid. Lessius, De perf. l. 13, c. 38). Vediamo dunque cos'è un'anima in stato di grazia, per comprendere il danno che le cagiona il peccato. La grazia, diletti, è una partecipazione della natura divina di tal maniera che, come dice S. Tommaso, quello che è in Dio sostanzialmente per la sua essenza viene a farsi accidentalmente nell'anima per la divina partecipazione: id quod est substantialiter in Deo, fit accidentaliter in anima participante divinam bonitatem (S. Th. 1, 2, q. 110, a. 2 ad 2). (Gratia nihil aliud est quam quædam inchoatio gloriæ in nobis: quindi la differenza che passa tra la grazia e la gloria è come quella che passa tra il fiore e il frutto, il bottone e la rosa. S. Th. 2, 2, q. 24, a. 3 ad 2. Caritas in via est ejusdem generis ac caritas in patria. S. Th.) Pre,2334c:T1,2 Quindi ne segue che l'anima viene per la grazia ad essere innalzata ad uno stato sovrannaturale ed eminentissimo, ad una certa unione con Dio e ad una mirabile comunicazione dei suoi beni (Semen Dei in eo manet, 1 Joan. 3, 9, quasi volesse chiamare la Grazia semente di divinità. Ad eum veniamus et mansionem apud eum faciamus); siccome infatti è di fede che per via della grazia scende nell'anima la Divinità stessa, e a quella si unisce e si congiunge in particolar modo; lo Spirito Santo poi in persona vi stabilisce la sua dimora, perciò viene chiamata l'anima, nelle sacre carte, vero trono e vivo tempio di Dio; perciò diviene ricca dei suoi doni, delle sue prerogative, dei suoi titoli; perciò partecipa dei suoi diritti, dei suoi attributi, della sua stessa natura divina: divinæ consors naturæ (S. Petr. 1, 4), in una parola, alla sua stessa sostanza e divinità configurata e conforme; per il che non più estranei, non più servi chiama Dio coloro che si trovano in tale stato, ma domestici, amici, figli, sue delizie, eredi legittimi del suo regno; anzi quasi non più trovando titolo più spiegante giunge a chiamarli col suo stesso sublimissimo nome. Ego dixi: Dii estis et filii excelsi omnes. Semen Dei in eo manet. Pre,2334c:T1,3 Ecco dunque la grazia: il primo e più eccelso dono fra tutti i doni creati, come dice S. Bonaventura, il di cui menomo grado supera di gran lunga (dice S. Tom. 1, 2, q. 113, a. 7 ad 2) qualunque bene creato nell'ordine di natura supera anche tutti gli Angeli nell'ordine della natura, di modo che se Dio per tutta l'eternità si occupasse con la sua onnipotenza a creare di continuo nuove e nuove creature, l'una più perfetta dell'altra nell'ordine della natura, tutte queste creature assieme a tutta la loro perfezione non possederebbero tanta dignità, quanta ne possiede l'anima di un bambino di recente battezzato. È così che la pensava un S. Luigi re di Francia, il quale in tutti gli atti si sottoscriveva Luigi di Poissy. Richiestone un giorno della ragione: “Eh! Non sapete, rispose quel principe religioso e veramente cristiano, che fu a Poissy ch'io ho ricevuto il Battesimo, e col Battesimo la grazia santificante per cui fui adottato per figliuolo di Dio, grazia ch'io preferisco alla qualità di re e di monarca dell'universo”. Ah, sì, dilettissimi! Quand'anche fossimo ricchi, sapienti e venerati come Salomone; quand'anche fossimo tutti apostoli per l'ardore del nostro zelo, per la vivacità della nostra fede, tutti martiri per i nostri patimenti, per la nostra costanza, tutti profeti per la scienza dell'avvenire, tutti angeli per la sublimità delle nostre idee, quand'anche fossimo, insomma, ciò che v'è di più grande sopra la terra, se noi non abbiamo la grazia, abbiamo niente, siamo niente, ce lo dice l'Apostolo, ce l'insegna la Fede, nil sum. All'opposto, quand'anche fossimo i più vili, i più disprezzati degli uomini, il rifiuto del mondo, più sgraziati di Giobbe sul letamaio, in preda all'indigenza, alle disgrazie e alle persecuzioni, all'infermità, se la grazia regna in noi, noi siamo veramente grandi anche nella nostra più grande umiliazione; noi siamo oggetto di spettacolo innanzi a Dio e Dio fissa su di noi i suoi sguardi, sguardi di preferenza, sguardi di compiacenza: Oculi Domini super justos. Pre,2334c:T1,4 Osservate infatti… Osservate infatti quel che disse un dì il Signore a Satanasso: Tu hai scorsa la terra, ma vi hai tu osservato bene il mio servo Giobbe? V'erano pure nel mondo Principi e Re; pur Giobbe solo s'attira gli sguardi di Dio e tutti gli altri scompariscono ai suoi occhi, e la ragione si è, perché la grazia ci comunica un certo essere divino, per cui agli occhi di Dio, giusto estimatore delle cose, veniamo ad essere più sublimi, più pregiati, più nobili, non pure di tutti i monarchi terreni, ma di tutti gli Angeli assieme riuniti solo secondo la loro naturale eccellenza, ed è da questo stato che ci degrada il peccato. Dal momento che s'offende con grave colpa il Signore, viene ritolto il sublimissimo dono della grazia santificante, e di qui, o fratelli, quale cambiamento di cose accade mai nell'anima! Cade ella ad un tratto dall'altissimo posto che teneva; si profana il tempio della santità, si cancella l'immagine soprannaturale della somiglianza divina, si perde l'amicizia, la figliolanza di Dio, il diritto all'eredità del cielo; si getta miseramente via ogni supremo dono e divino avere, e cagiona nell'anima una morte spirituale immensamente peggiore della morte corporale. Io non saprei meglio adombrare codesta invisibile degradazione, se così è lecito nominarla, che per quelle visibili rimostranze che dalla Chiesa si costumano nel degradamento solenne di alcun pessimo sacerdote. Uditene la cerimonia ferale ch'ella è acconcia a creare e meraviglia e orrore assieme. Pre,2334c:T1,5 Recatosi in Pontificale contegno il Giudice Pastore mitrato comanda che gli si tragga innanzi il sacerdote malvagio vestito degli arredi sacri, col suo calice in mano, quasi si volesse accostare all'altare per sacrificare. Da che il Vescovo lo ha da vicino, gli ritoglie ad uno ad uno i misteriosi sacerdotali strumenti, e gli disdice le facoltà e prerogative conferitegli nella sua profanata consacrazione, gli toglie primamente di mano il calice del divino sangue e l'ostia sopra di esso appostavi, consegnatagli nella sua ordinazione, e “Sappi – gli dice – che ti togliamo la potestà di più offrire in avvenire sacrificio a Dio: amovemus a te potestatem offerendi sacrificium”. Indi affinché le mani alcun vestigio più non ritengano della pristina dignità, fa prova di radere via da quelle la santa unzione ricevuta; e, “sappi – ripiglia – che più non ti è lecito impiegare la tua profana mano in benedizioni e sacrifici: potestatem consecrandi et benedicendi tibi tollimus hac rasura”. Di qui passa il Pontefice degradante a spogliarlo delle vesti sacerdotali, e il lembo stringendo della pianeta: “Questa, gli replica, è il simbolo della carità e della purezza ch'erano proprie del tuo stato, male ti sta di più recartele indosso, giacché sì onorate divise hai oltraggiate e smentite col tuo malvagio operare. Veste caritatem signante te expoliamus, quia ipsam et omnem innocentiam exuisti”. Poi prendendo la stola: “Scellerato, ripiglia, coi tuoi pubblici scandali hai innalzato lo stendardo di Satanasso, egli è dunque in dovere che il santo regno di Dio per te vilipeso e dimenticato, ti sia tolto per sempre. Signum Domini per hanc stolam signatum turpiter abjecisti, ideoque ipsam a te amovemus”. Così l'una dopo l'altra tutte gli viene levando le misteriose divise, avvisandolo con gravi detti della perdita che soffre, e fattolo da ultimo indecentemente tosare, sicché segno più non vi resti di clericale tonsura, lo rimette all'abiezione delle catene e del carcere. Pre,2334c:T1,6 Questa è l'immagine che possiamo formarci della sciagura di un'anima che viene a perdere la grazia per il peccato. Anch'ella era una volta per l'unzione della grazia, per la diffusione segreta dello Spirito Santo a regale sacerdozio invisibilmente innalzata, portava in capo la corona della giustizia, andava adorna della candida stola dell'innocenza, vestiva riccamente per i molti e massimi doni che accompagnano la grazia, ma dal punto ch'ella prevarica, eccola anch'essa sotto le forme di uno sgraziato infelice, da Dio stesso degradata. È vero che non si opera questa terribile giudicazione a veduta degli uomini, ma è certo che si effettua al cospetto del cielo, in cospetto di tutta la corte celeste. Dio divenuto vendicatore della sua Maestà oltraggiata nell'atto che l'anima pecca, si fa sopra di essa con indignazione e con furore, e la priva e la spoglia di tutte le prerogative, ed insegne della primiera santificazione; le toglie l'abito della grazia, le toglie il manto della carità, le toglie la stola della purezza; le toglie le unzioni ineffabili che la consacravano e l'annoveravano fra la gente santa, fra il suo popolo eletto; dimentica Dio tutti i meriti che può essersi acquistata; dallo spoglio si passa alla separazione, perciò la separa da sé; quindi diviene sterile in tutte le sue azioni, cioè incapace di più produrre atti meritori di vita eterna; dalla separazione passa all'abominazione, perciò diviene oggetto d'odio, d'ira di Dio, e quindi ancora degli Angeli e di tutte le creature; finalmente dalla macchia del peccato commesso, come da un sigillo d'infamia orribilmente deformata e contrassegnata, viene lasciata in arbitrio e nella dominazione tirannica del Demonio. Pre,2334c:T1,7 Spogliata della grazia santificante Ecco quell'anima che poc'anzi le Sacre Scritture chiamavano amica, figliuola di Dio, immagine del divino volto, tempio di santità, albergatrice ed albergo dello Spirito Santo, partecipe della divina natura, ricca e feconda di meriti, oggetto di delizia di Dio e degli Angeli, occupata di cose celesti, pasciuta del pane degli Angeli. Eccola spogliata della grazia santificante e quindi d'ogni sovrumano ornamento, più orrida, deforme, abominevole a Dio e a tutta la Corte celeste, che non già, come dice S. Bernardo, intollerabile sia a noi il fetore di un cadavere che si sciolga in sudiciume: Tolerabilius canis putridus fœtet hominibus quam anima peccatrix Deo (De inst. dom. c. 35). O depressione, o infamia, o avvilimento infinito! Oh peccatori miei fratelli, se qualcuno quando dice o pensa fra sé: Peccavi et quid accidit mihi triste? (ho peccato e cosa mi è accaduto di male?). Se considerasse bene lo stato miserabile in cui si trova, quanto diversamente penserebbe, parlerebbe, opererebbe! Se ogni qualvolta uno mormora o sfoga una sua passione, dovesse immantinente divenire nero come un Etiope o stravolto nei suoi membri, come un mostro o sovrappreso da un cancro così che non soffrisse più il cuore ad alcuno di vederlo, quale ritegno non sarebbe quello per non peccare, e quale impegno per convertirsi quanto prima e non aspettare mesi ed anni, come fanno tanti. Pre,2334c:T1,8 Ricordatevi, fratelli miei, della stravagantissima trasformazione che di Nabucco si narra nel libro di Daniele. Era questi, per conquistati regni e soggiogate nazioni, il più grande dell'universo, e divenuto perciò sì stranamente superbo, che nel campo di Dura si fé riverire dal popolo coi massimi divini onori, quando Iddio a guarirlo da un morbo sì violento gli travolge ad un tratto la fantasia, e fa che s'immagini e creda di essere un vero toro selvatico. Né più volle ch'egli adoperasse da tale quale si pensava di essere. Eccolo pertanto gettare subito a terra le mani, e somigliante a quadrupedo carpone fuggirsene dalla reggia, e saltanto, e muggendo e cozzando, fa ora di scappare di Babilonia e venirsi in alto bosco inselvando, e qui per sette anni bere al fonte, pascere nel prato, pernottare sull'erba, le nevi e le piogge sostenere e sì orrido farsi e deforme che un'aquila sembrava nei capelli soprannaturali e negli unghioni smodatamente cresciuti, un avvoltoio invecchiato. Terribilissima divina mano che fai cenno ai monti e s'incurvano, e la grandezza e la maestà dei monarchi in un abisso di confusione profondi e volgi, un carattere d'ignominia ancora maggiore tu imprimi nell'animo di chi ti offende! Pre,2334c:T1,9 Sì, diletti, metamorfosi tanto più orribile di questa, benché invisibile, succede pure infallibilmente nell'anima di chi pecca e vi dura, finché non sia escluso il peccato; nondimeno di che ritengo ci serve per non peccare, di che stimolo per convertirci; e più si stimerà la bellezza e deformità del corpo che la bellezza e deformità dell'anima? Si può pure alla deformità del corpo rimediarvi almeno col sottrarci dall'aspetto degli uomini; ma la deformità dell'anima in nessun conto si può celare; è ben ella nascosta agli occhi degli uomini, ma pur dì e notte comparisce innanzi a tutta la corte celeste; dì e notte è sempre abominevole a Dio, agli Angeli, ai Santi. Deh! Compiangiamo con Geremia un simile decadimento e diciamo con lui: Dov'è ora quella grazia santificante che cotanto abbelliva l'anima vostra? Dove sono quelle virtù che la rendevano sì leggiadra? Si è oscurato quell'oro della carità che la rendeva sì splendida, e il bel colore che la faceva spettacolo di compiacenza a Dio medesimo è sparito. Quomodo obscuratum est aurum, mutatus est color optimus! Quell'aria di Paradiso che spirava in volto sì giuliva, più non si vede, solo si vede pallore di morte, orrore di tomba, squallore d'Inferno. Pre,2334c:T1,10 Egressus est a filia Sion omnis decor ejus: e dove poc'anzi era più candida della neve, più pura del latte, più bella e luminosa del fiammeggiante piropo per innocenza, per grazia, per carità. Eccola ora scolorita, smunta, lacera, sfigurata, sconosciuta, più nera dei carboni, che mette raccapriccio ed orrore. Candidiores nive, nitidiores lacte, saphiro pulchriores denigrata est super carbones facies eorum. Le piovevano poc'anzi dal cielo le celesti consolazioni, si pasceva lautamente alla mistica mensa dell'Agnello Divino, ora nell'ignominia se ne giace e nelle vie d'iniquità, languida e mancante dalla fame: qui vescebantur voluptuose, interierunt in viis. Qui nutriebantur in croceis amplexati sunt stercora. Ammantata di porpora si nutriva poc'anzi splendidamente, ora si è al fango abbracciata ed alle più vili ancora ed abominevoli cose, e mano stende e bocca. Ah! Figliuola eccelsa di Sion, e come ti sei mai convertita in sozzo vaso e immondo di contumelia? Filia Sion inclita reputata in vasa testea (ad Rom.). Ma se è vero ciò che favella l'Apostolo, che quei vasi medesimi di contumelia sta Iddio aspettando di poterli con la sua grazia tornare in onorati vasi di gloria, verrà da noi che non ne segua l'effetto che egli vuole. L'esempio, deh! Seguiamo del re Nabucco che dalla sua lunga miseria, umile fatto e discreto, là si rimise con la penitenza ond'era cacciato per la superbia. Consideriamo quel che fummo per l'addietro, consideriamo ciò che siamo al presente, ed in vista di un cambiamento sì orribile, con umiliato e contrito cuore preghiamo Dio che ci doni un cuore nuovo, e la guasta nostra anima rinnovelli con il santo suo spirito: Cor mundum crea in me, Deus, et spiritum rectum innova in visceribus meis. Pre,2334c:T2 Secondo Punto. Conseguenza della perdita della grazia santificante Abbiamo accennato poc'anzi che dalla perdita della grazia santificante: 1. ne segue lo spoglio dei meriti che si erano acquistati; 2. che oltre un tale spoglio diviene l'anima affatto sterile, voglio dire incapace, finché dura in tale stato, di più operare per la vita eterna; 3. che diviene oggetto di abominazione di Dio, degli Angeli, e di tutte le creature; 4. finalmente viene consegnata in potere del Demonio: conseguenze queste tutte terribili della perdita della grazia santificante, che andremo ora sviluppando. Pre,2334c:T2,1 1. Dunque non solo Dio priva il peccatore di tutto ciò che ha del suo, cioè della grazia santificante, ma lo priva eziando di tutto ciò che operò sul suo, cioè dei meriti delle opere virtuose, quante furono fatte nell'abituale giustizia. Di questa verità non ci lascia luogo a dubitarne il profeta Ezechiello: Si averterit se justus a justitia sua et fecerit iniquitatem, omnes justitiæ ejus quas fecerat, non recordabuntur. Egli è di fede che quando alcuno si trova in stato di grazia, egli è innestato al mistico corpo di Gesù Cristo, siccome tralce alla vite e membra al capo, abile perciò ad operare con merito di vita eterna (siccome le azioni dell'umanità di Gesù Cristo, perché unita alla divinità si chiamano Teandriche, cioè divine, così le azioni nostre fatte con lo spirito unito a Gesù Cristo partecipano della sua virtù, del suo merito infinito); quindi ogni azione dell'uomo giusto viene sollevata ad un ordine sovrannaturale e divino, e riesce a semente sicura d'immarcescibile frutto, soltanto che santa intenzione l'indirizzi, quindi quale tesoro, quale fondo di ricchezze spirituali non ne risulta con sì santa intenzione? Non v'è un passo che non sia anche un passo verso il Cielo, non v'è un'azione che non sia un fondamento per l'eternità, un solo bicchiere d'acqua dato a un povero ci accresce la gloria eterna, qualunque parola di dolcezza, di carità viene ascritta al libro della vita, ogni preghiera viene portata dagli Angeli al trono di Dio, ogni momento di tribolazione produce un peso immenso di gloria, poiché la grazia che ci unisce a Gesù Cristo divinizza, in certo modo, tutte le nostre anche più piccole azioni, e le rende grandi e accette agli occhi di Dio, benché agli occhi del mondo sembrino azioni piccole e comuni e spregevoli, come sarebbero quelle che facciamo privatamente, nel recinto di nostra casa. Pre,2334c:T2,2 Aggiungete a questo fondo di meriti acquistati personalmente, quello ancora che acquistiamo per la comunione dei Santi. Ognuno sa essere di fede che l'anima in grazia di Dio sta unita a Gesù Cristo come al capo, e sta unita a tutti i Santi della Chiesa trionfante, e a tutti i giusti della Chiesa militante, come alle membra del medesimo corpo. Ognuno sa ciò che da questa unione ne risulta, cioè che l'anima partecipa, secondo la sua capacità, dei meriti infiniti di Gesù Cristo suo capo, e dei meriti immensi dei Santi e dei giusti come membra dello stesso corpo, appunto come ce ne dà l'analogia la comunicazione del corpo umano, come osserva S. Paolo, in cui il capo e le membra hanno relazione tale tra loro che una parte non può operare se non in bene delle altre parti e di tutto il corpo; quindi non solo partecipa l'anima giusta del prezzo del sangue e del frutto della morte di Gesù Cristo, ma partecipa ancora dei travagli degli Apostoli, dei patimenti dei martiri, delle austerità degli anacoreti e di tutte le buone opere dei giusti. Mirabile cosa è, diletti, per via di un sì consolante dogma, noi siamo certi per fede che l'uomo giusto, benché occupato nei doveri del suo stato, possa vacare all'orazione, a opere pie, partecipa nondimeno a migliaia di sacrifici che s'offrono nella Chiesa, benché debole di corpo, o altrimenti impedito a sostenere delle austerità, partecipa egli non pertanto delle discipline, dei cilici, dei digiuni di tante migliaia di religiosi dell'uno e dell'altro sesso; che più, mentre dorme e riposa, partecipa delle vigilie, delle orazioni, e delle lodi di tante religiose anime che in ogni tempo vegliando, offrono lodi e sacrifici a Dio. Pre,2334c:T2,3 È tutto perduto al punto che si pecca Ora tutto questo tesoro sì immenso, sì prezioso, sì bello di meriti e personali e acquistati per via della comunione dei Santi, è tutto perduto al punto che si pecca, e perduto in modo che se lo sventurato venisse sorpreso dalla morte in tale stato, non riporterebbe una benché menoma ricompensa di tanto cumulo di meriti, e solo riceverebbe il meritato castigo del suo peccato: Omnes, omnes justitiæ ejus quas fecerat, non recordabuntur. Per concepire in qualche modo una perdita sì deplorevole ed istantanea, immaginatevi la funestissima notte, quando ai tempi di Ezechia (4 Reg., 19) fu senza un minimo rumore trucidato in brev'ora dall'Angelo del Signore il numerosissimo esercito degli Assiri. Si leva l'empio Sennacherib di buon mattino, e fuori uscendo dal reale suo padiglione a rimirare l'immenso suo accampamento, vide cento ottanta cinque mila robustissimi combattenti, la sera da lui veduti pieni di guerriera ferocia, li rivide cadaveri esangui: Vidit omnia corpora mortuorum centum octoginta quinque milia. Tale, miei cari, è ciò che avviene a un'anima in quell'ora che pecca, notte per lei funestissima. Innumerevoli erano le opere virtuose, inenarrabili i meriti che s'erano acquistati, peccò e una tentazione violenta, un'opportunità sgraziata, una passione focosa, il genio, l'interesse, l'impegno cagionò un'oscurissima notte nell'anima, e, venendo l'Angelo sterminatore, distrusse in un momento l'innumerevole popolo dei suoi meriti. Pre,2334c:T2,4 Oh se si riconoscesse bene lo stato d'una tale anima, che dolore concepirebbe, che acerbissima contrizione alla funestissima veduta di tanta perdita! Tante preghiere, tanti sacramenti, tante elemosine, tanti atti di penitenza, di umiltà, di religione, i divertimenti stessi, le fatiche, gli affari indirizzati all'ultimo fine, e così giustificati, oltre uno sterminato numero di meriti acquistati dalla comunione dei Santi, ecco tutto morto dal solo peccato: Centum octoginta quinque milia omnia corpora mortuorum; tutto è morto al presente e continuerà ad esserlo sinché non muoia il peccato che li uccise, sinché Dio non si compiacerà di soffiare un'aria dolce di vita sopra la morta anima, e su questa massa confusa di opere morte. Sia pure il peccatore smunto dalle astinenze, abbia pure convertito un mondo intero, abbia pure praticato tutte le virtù più eroiche, abbia pure riunito in sé tutti i meriti di tutti i Santi, da Adamo fin qui, al momento che pecca si trova con le mani del tutto vuote, Dio non tiene più conto di cosa alcuna, e non ci vede più che il peccato, il quale ha cancellato tutto ciò che v'era in essa in ordine alla grazia, e lo ha reso mostro abominevole innanzi a lui. Pre,2334c:T2,5 Verità desolante, ma pur vera! Ma non solo peccando si perde tutto il merito acquistato in addietro, ma di più diventa una pianta d'infetta radice: Radix eorum exsiccata est, fructum nequaquam facient (Osea 7, 16), incapace di più produrre frutto che meriti retribuzione eterna. Da quel punto che l'anima si ribella all'Altissimo, si rinnova sopra di lei quella terribile sentenza pronunziata un dì contro il misero Ieconia (Jer. 22) Scribe virum istum sterilem, cancella quest'uomo dal libro della vita, e in quello della morte registralo, nota il tempo preciso della sua prevaricazione, di qui comincerà la sua sterilità: che si faccia in appresso di virtuoso, di lodevole, non ne aspetti più nel cielo retribuzione e ricompensa, non più azione alcuna riuscirà a guiderdone di vita. Scribe virum istum sterilem. Non già (notate bene) che tutte le opere fatte in peccato siano per questo solo tutte cattive e peccaminose, poiché questo era l'errore di Wicleff, condannato dalla Chiesa nel Concilio di Costanza; no, la malignità del peccato non va fin là, anzi noi possiamo e noi siamo tenuti in tale stato d'inimicizia con Dio, e Dio stesso lo consiglia e l'ingiunge a praticare preghiere, elemosine, opere di penitenza, azioni oneste e virtuose; e non aggiungere peccati a peccati, e opere sono queste salutifere per sé e ai peccatori più necessarie che mai, perché sono le prossime disposizioni e i mezzi di loro natura portanti a conversione, atti perciò a muovere la Divina Misericordia, a tollerarlo con più di pazienza, a richiamarlo con più d'efficacia, e ci dispongono a rientrare in grazia con lui, e però guai a chi le lascia, guai se non fa quanto può; si distribuero in cibos pauperum omnes facultates meas, caritatem autem non habuero, nil mihi prodest, hoc est ad regnum cælorum obtinendum (S. Th. 3 p. q. 89, a. 6 ad 3). Prodest autem ad temporalium consecutionem (non ex condigno, sed ex congruo, Supl. q. 12, a. 4), ad dispositionem, ad gratiam, ad assuetudinem bonorum operum (supl. q. 24, a. 4). Pre,2334c:T2,6 Ma siano pure queste oneste e virtuose quanto si vuole, perché non hanno l'impronta della grazia vivificante resteranno nell'ordine della natura, non mai in ordine della vita eterna sollevate, saranno in lui o nei suoi posteri temporalmente guiderdonate, ma non mai giungeranno a merito di vita eterna, saranno sepolte in eterno oblio, nessuna di queste verrà coronata in gloria, e in ordine alla vita eterna tutto è perduto. Scribe virum istum sterilem, ed è questa seconda perdita molto più deplorevole della prima, perché i meriti anteriori allo stato di colpa pur si riacquistano col pentimento; laddove il bene fatto in peccato al libro dei meriti mai più si registra, e perché? Perché gli manca quel germe di vita che è la grazia che lo doveva animare, renderlo meritevole e accetto a Dio. Oh funesta sterilità che manda a vuoto e perde tanta semente di vita eterna! Oh perdita deplorevole, perdita irreparabile anche dopo qualunque più verace e sincera conversione! Chi può abbastanza comprenderla? Ognuno sa che il grave, il vero, l'unico affare dell'uomo è l'affare della salute eterna, e la vita presente in tanto solo essere pregevole, in quanto serve ad un'altra che non ha fine, è perciò prezioso ogni momento, perché può impiegarsi a guadagno d'una sempiterna mercede. Pre,2334c:T2,7 Quale rammarico in punto di morte… Ora quale rammarico in punto di morte, quando nell'atto di abbandonare tutte le cose, solo le nostre opere ci seguiranno, secondo che dice S. Giov. apostolo (Apoc. 14): Opera illorum sequuntur illos; e getterete lo sguardo a riconoscere l'accompagnamento di quel finale viaggio, scorrerete gli anni della puerizia, della giovinezza, della virilità e della vecchiaia, e invece di trovare tutti i momenti impiegati a guadagno di una sempiterna mercede, tutti gli atti e pensieri a traffico d'un eterno premio, e ingrandirvi così la corona della gloria coll'accrescimento e col cumulo dei meriti, vi troverete con le mani del tutto vuote di opere buone e senza alcun fondo di un merito per l'eternità; e negare perfino di seguirvi immensità di azioni che pure faceste, virtuose, eroiche, sorprendenti, ma che faceste in peccato, e tutto il vostro accompagnamento si ridurrà a quello delle opere peccaminose che commetteste senza numero. O deplorevole perdita! Dunque per quanto si sia sofferto di malagevole, per quanto si sia fatto di eroico e sorprendente, tutto sarà perduto, quand'anche, come diceva l'Apostolo, le mie sostanze disperga a mantenimento dei poveri, e maceri la mia carne coi più rigorosi digiuni, e alle voraci fiamme consegni il mio corpo, tutto è perduto senza la carità, nulla profitterà per il Paradiso, passerà e morrà col tempo ogni azione eroica, e andrà a perdersi in nulla per tutta l'eternità, a nulla le gioveranno le preci, a nulla le prediche, a nulla, a nulla le stesse opere più virtuose saranno come frutti avvenenti all'apparenza, ma insipidi, acerbi in sostanza, a niente giovevoli per l'eternità: Fructus eorum inutiles et acerbi ad manducandum et ad nihilum apti (Sap. 4). Allora, ma troppo tardi si comprenderà l'insania di durarla sì lungo tempo e in sì infelice stato, cerchiamo dunque di comprenderla fin d'ora. Pre,2334c:T2,8 Se il vivere in peccato fosse lo stesso che vivere in povertà, vivere tra disonori, vivere in un estremo abbandono, certamente non vi sarebbe chi del peccatore non ne deplorasse lo stato. Se si dicesse a quel mercante: “Fuori da quei fondaci, avete peccato, non vi sono più ricchezze per voi; giù da quel posto, o titolato, avete peccato, non vi è più onore per voi; lungi, o donna, da quelle onorate assemblee, avete peccato, non vi è più rispetto per voi”. Per verità, se la cosa andasse così, che chiunque vive in peccato, fosse in necessità di perdere la prole che ama, i titoli che porta, i fondi che possiede, le case che lo ricoverano, le ville, gli amici, “oh che stato, si esclamerebbe tosto da tutti, che misero stato del peccatore, costretto per le sue colpe a tante perdite”! Eppure Santa Fede assisteteci, sono ben altre le perdite tanto più lacrimevoli, quanto dei beni di natura sono più da apprezzarsi quelli della grazia. Pre,2334c:T2,9 Ah! Al punto della morte vedrete cosa avrete guadagnato, cosa avrete perduto; per un piccolo guadagno peccaste, per accrescere un po' di danaro si è diminuita la fede, si è spenta la carità, cosa perdeste? Cosa guadagnaste? Ciò che guadagnaste è oro, ciò che perdeste è fede e carità; con quell'oro compratevi ora la carità, se potete; pensate al guadagno, non pensate alla perdita; vi rallegrate del danaro in cassa, non piangete la perdita del vostro cuore; è accresciuto un non so che in cassa, ma osservate quanto si è diminuito nel cuore. Quando aprirete la cassa, troverete danaro che non v'era, e ben godete di trovare ciò che non v'era, ma aprite anche l'arca del cuore: v'era la fede, non c'è più; se godete di quella, perché non piangete questa? Sappiate che più perdeste di quel che avete guadagnato; volete vedere quanto perdeste: ciò che neppure il naufragio può rapirci; qualche volta si perde tutto in mare, si esce nudo, così gli amatori del secolo naufragano ed escono nudi e trovano vacua la casa del cuore; quando però nessun naufragio poteva lor torre il patrimonio della fede, e queste sono le ricchezze che dobbiamo cercare? Cosa guadagnaste, portatevelo di là, che farete, avete acquistato dell'oro, perduta la fede? Fra pochi dì uscirete di vita, l'oro, che acquistaste con perdere la fede, resterà qua, solo il cuore vacuo di fede v'accompagnerà al supplizio, quando pieno di meriti v'accompagnerebbe alla corona di gloria. Pre,2334c:T2,10 Ah! Peccatore caro, temi il peccato e le conseguenze del peccato; tu pecchi pel denaro e questo ha da lasciarsi qui, pecchi per una casa, ed hai da lasciarla qui, pecchi per una donna, hai da lasciarla qui; e, qualunque sia ciò per cui pecchi, quando morirai hai da lasciarlo qui e teco porterai solo il peccato; dove saranno in morte gli oggetti per cui peccaste? Diletti, col pentimento, con una buona confessione avete il mezzo di riacquistare i tesori immensi che perdeste; deh! Per amor di Dio e per l'amore che dovete alle anime vostre, nessuno vi sia di noi che parta e ritorni a casa sua stasera privo di meriti, privo di grazia, privo di Dio; e perché per l'avvenire non soggiaciamo a perdite di sì alto rilievo, imprimeteci, o mio Signore, ben bene nel cuore un orrore sommo al peccato. Pre,2334c:T3,1 Terzo Punto L'anima così spogliata di grazia e di meriti diverrà inoltre oggetto di abominazione agli occhi di Dio, degli Angeli, e di tutte le creature, perché diviene simile ai bruti. Chi avrà formule per spiegare un tale stato, chi avrà mente per concepirlo? Quel Dio dunque di cuore sì dolce, che nulla odia di quanto abbia fatto, neppure le tigri più barbare, neppure i serpenti più velenosi: nihil odisti eorum, quæ fecisti (Sap. 11), eppure non può a meno di odiare chi si trova in peccato. Odisti omnes qui operantur iniquitatem (Ps. 5). (Odibiles facti sunt apud Deum sicut ea quæ dilexerunt). Similiter odio sunt Deo impius et impietas ejus (Sap. 14). Omnes, senza riguardo né distinzione di grado, né ad altezza di posto, né a rarità di talenti, poveri ugualmente che facoltosi, idioti e sapienti, plebei e nobili, ove di gravi colpe vadano infetti, tutti Dio li odia, tutti sia pure Cavalieri di gran nome, ha peccato, tanto basta, Dio l'odia, sia dama, sia giovane di bel garbo, sia personaggio di gran maneggi, hanno peccato, tanto basta, Dio li odia; egli odia con un odio essenziale, sicché non può neppure voler non odiarli; li odia con un odio sommo, sicché non può non odiarli di più; li odia con un odio eterno, sicché non mai cesserà di odiarli, finché non cesseranno di essere peccatori, mai non potrà con loro contrarre alcuna amicizia, mai non potrà rimirare di buon occhio alcun loro dono. Fingete il caso, cosa che neppure si può concepire, la beatissima Vergine sua Madre venisse a commettere un qualche peccato mortale, egli è certo, che Dio più abominerebbe sua Madre da quel momento che non il più schifoso serpente, che anzi con uguale sentenza di tutti gli altri peccatori la condannerebbe all'inferno senza riguardo di tutti i passati suoi meriti e santità. Pre,2334c:T3,2 Questa verità abbastanza non si può capire, né al vivo rappresentare l'odio immenso con cui Dio detesta il peccatore. Udite, cosa superiore ad ogni dire, eppure verità certissima. Dispiace più al nostro Dio e più l'affliggerebbe, se fosse capace di dolore un uomo reo anche di un solo peccato mortale, che non gli piacciano e rallegrino tutte le opere buone di tutte le creature assieme e presenti, e passate, e future. Ritorna pur dunque, o peccatore, a quella casa dove sei solito a conculcare la divina legge, niente t'impedisce di tornarvi, ma ricordati che coi tuoi maledetti piaceri rechi più fastidio a Dio che gli abbiano recato di gaudio tutti i Profeti, tutti gli Apostoli, tutti i Martiri, Confessori, Vergini, anzi tutti gli Angeli e abitarori celesti, anche tutti radunati assieme; più gli dispiace un solo peccato che non possono piacergli tutti i loro ossequi. Pensate dunque qual oggetto di abominazione è il peccato agli occhi di Dio? No, non esagererei quando dicessi che se Dio fosse capace di morire, morrebbe solo di dolore per il peccato, come infatti quando si rese mortale, il peccato fu quello che gli fece sudare sangue, il peccato fu quello che lo fece morire, dimostrando di detestare il peccato più della morte, poiché infatti elesse la morte per distruggere il peccato. Pre,2334c:T3,3 Ed essendo il peccato così odiato da Dio, ne viene per conseguenza ch'egli è pure oggetto di abominazione per tutta la corte celeste, perché gli Angeli non possono, a meno di odiare ciò, che Dio odia. Infatti con che occhio volete voi che vi riguardino, se vedono in voi eseguita sì terribile strage, come dicemmo poc'anzi? Con che cuore volete voi che vi amino, se vi riconoscono non per altri che per nemici di Dio, odiati da Dio, se voi tanto li disgustaste peccando in loro presenza? Ah! Che in questi luoghi di sfrenatezza, in quelle pestifere conversazioni, vi miravano lacrimando, e quanto più sfogavate le brutali vostre passioni, tanto più si discioglievano in pianti. Ecce videntes clamabunt foris Angeli pacis amare flebunt (Is. 33). Pre,2334c:T3,4 Né solo gli Angeli, ma le creature tutte, se vi conoscessero, vi fuggirebbero o prenderebbero vendetta contro di voi. Voi sapete che quando un servo oltraggia il suo padrone, viene ad irritare assieme contro di sé tutti i conservi di quel padrone. Si servus cujusquam a domino suo recedat, non solum Dominum ipsum exacerbat, sed et totam ejus familiam justissime irritat (S. Aug. de Dilig. Deo). Onde e che quando Semei ingiuriava di lontano Davide, caricandolo da lontano d'improperi e lanciando gli delle pietre, tosto i cortigiani si offersero di andargli a tagliare la testa: Vadam et amputabo caput ejus. Ora chi non sa che al servizio di Dio sono tutte le creature ragionevoli e irragionevoli ed insensate, e perciò ambiscono tutte pigliare le vendette del peccatore? Ego vadam, griderebbe la terra, se vi conoscesse e glielo permettesse Dio; ego vadam e lo assorbirà, ego vadam griderebbe l'acqua e l'affogherò; ego vadam griderebbe l'aria e gli leverò la respirazione; ego vadam griderebbe il fuoco e l'incenerirò; né crediate ch'io esageri, perché si sa che le creature non possono nuocere al giusto, perché da quello sono dominate; verso il peccatore poi non hanno altra legge che la volontà di Dio: Armatæ sunt in ultionem bestiarum dentes, et scorpii et serpentes in exterminium impiorum (Eccli. 39, 36). Pre,2334c:T3,5 Finalmente dopo di essere l'anima in peccato così oggetto di abominazione a Dio, agli Angeli, a tutte le creature, diviene schiava del Demonio e resta in sua dominazione, e giustamente rimane al peccatore una tale sorte finché persevera in tale stato, e perciò chiama S. Paolo coloro che vengono liberati dal peccato: Ereptos de potestate tenebrarum et transaltos in regnum Dei; sia perché seguendo chi pecca l'esempio del Demonio, che fu il primo ad offendere Dio (onde è detto del peccatore: vos ex patre Diabolo estis) è giusto che il Demonio possegga chi così lo imita e lo serve; sia perché essendo l'anima in peccato, cancellata dal catalogo dei figliuoli di Dio, avendo perduto il Cielo, essendo nemica, odiata da Dio e da tutte le creature, non le rimane altro che di essere previamente consegnata in pena in potere del Demonio come al suo carnefice, come dice Tertulliano: Peccator traditur Diabolo quasi carnifici in pœnam. Notate ancora che il peccatore diviene schiavo del Demonio peggiore degli ossessi, poiché, se questi sono senza peccato mortale, non ha il Demonio potere alcuno che sui loro corpi e nessuno sulle loro anime; all'opposto chi è in peccato mortale è veramente in potere del Demonio in quanto all'anima. Quantunque secondo l'apparenza esterna non vi sia stata mutazione alcuna. Queste sono le disgrazie che vi sono certamente già accadute per il peccato; sorgete presto dal medesimo, perché non ve ne capitino delle maggiori ed eterne. Pre,2334d:T Meditazione del Peccato Mortale considerato in sé e nelle sue circostanze Da me sono niente e Dio è il mio unico Principio e Fine. Dunque: debbo riconoscere da Dio tutto quel che ho, altrimenti non lo riconosco per mio principio; debbo rapportare tutto a Dio, vivere tutto per Dio, altrimenti non lo riconosco per mio primo fine. Per questo ci vuole l'indifferenza, cioè il distacco da tutto il temporale. Questo è il soggetto del 1o giorno. Sono peccatore, perché non ho fatto quanto sopra; questa è la vista del 2o giorno. Abbiamo meditato i peccati altrui, meditiamo i propri e troverò che sono peccatore anch'io come gli Angeli. Il nostro ultimo fine è Dio; le creature sono mezzi al fine. Il peccato all'opposto è: aversio a Deo, conversio ad creaturas. E il peccato mortale è: aversio totalis a Deo, conversio totalis ad creaturam. Aversio a Bono incommutabili est ratio formalis et completiva peccati (S. Th. 2, 2, q. 161, art. 6 in corpore). Peccata sacerdotum majora ex majori contemptu, ingratitudine, scandalo. Pre,2334d:T0,1 Esordio Hayneuve p. 3, pag. 136 Abbiamo meditato come Dio castiga il peccato, quindi abbiamo conosciuto come Dio l'odia e l'abomina e lo perseguita ovunque lo trova, perfino castigandone terribilmente l'apparenza nel suo Divino Figliuolo; tentiamo ora di cercare il perché Dio tanto castighi il peccato, esaminando in questa meditazione quale sia la malizia del peccato considerato in se stesso, primo punto; quale la malizia del peccato considerato nelle sue circostanze, secondo punto. Il conoscere, diletti, la mostruosità del peccato è di tutta importanza perché è di tutta necessità, per la salute, detestare vivamente il peccato come sommo male; e, siccome mai io potrò scoprirvi abbastanza una tale mostruosità, invochiamo di cuore l'assistenza di Dio. Primo preludio: Figurarsi Dio sopra il suo Trono di Giustizia, il quale vi domandi come a Caino: quid fecisti? Si iniquitates observaveris Domine. Quasi a facie colubri fuge peccata. Pre,2334d:T0,2 Proemio [Iddio*1 formando l'uomo, forma su di lui altissimi disegni; lo fornisce d'intelletto perché lo conosca, d'un cuore perché lo ami, e di tutte le altre facoltà perché lo serva, e disegna legare seco lui stretto commercio d'amicizia non solo temporale, ma durevole ed eterno. Disegni sono questi veramente alti e degni di un Dio; disegni per noi veramente vantaggiosi ed interessanti. Se simili disegni non venissero dall'uomo impediti, sarebbe Dio servito e glorificato, come è giusto; sarebbe l'uomo appieno contento e felice sì nel tempo che nell'eternità. Ma l'uomo per non riflettere pecca, volge il suo cuore ad amare le creature invece di Dio; impiega le sue facoltà per servire alle passioni e non al Signore, ed ecco rotti sì bei disegni di un Dio e l'uomo divenuto reo di lesa Divina Maestà, nemico di Dio, mostro di perfidia e d'ingratitudine, colmo di miseria e d'ignominia ed esposto ogni momento a funestissime ed irreparabili conseguenze. Ecco, miei cari fratelli, cos'è il peccato mortale; farò io questa mane tutti i miei sforzi per darvene una qualche idea, e perciò vi dimostrerò nel primo punto l'oltraggio che fa all'infinita Maestà di Dio. Nel secondo punto le circostanze in cui si commette.] Figuriamoci intanto per primo preludio il Signore assiso su di un gran trono e noi come tanti rei di lesa Divina Maestà ai piedi del suo Tribunale. Per secondo preludio diciamogli con capo chino e con occhi piangenti: Mio Dio, voi solo capite la malizia e deformità del peccato mortale, voi solo ne conoscete la gravezza, voi solo l'odiate quanto merita. Voi dunque illuminate il nostro intelletto, comunicate al nostro cuore i sentimenti del vostro, affinché noi, che ne abbiamo commessi tanti, ne concepiamo una contrizione sincera ed un sì grand'orrore che mai più c'induciamo a nuovamente commettere. (1. Fare il processo dei nostri peccati; 2. vedere come sono deformi anche secondo la sola ragione.) Pre,2334d:T1,1 Primo Punto Si definisce il peccato secondo S. Agostino un detto, un fatto, un desiderio contro la legge eterna di Dio (S. Tommaso definisce il peccato: aversio a Deo et conversio ad creaturas). Due cose dunque suppone il peccato: una legge per parte di Dio ed un atto di disubbidienza da parte dell'uomo cagionato da un affetto disordinato alla creatura, per cui si preferisce questa a Dio e Dio viene posposto a quella, è perciò definito anche da S. Tommaso aversio a Deo et conversio ad creaturas. In Dio particolarmente vi riconosciamo la Maestà e la Bontà. Quindi il peccato comprende: 1. un orrendo disprezzo dell'autorità e Maestà di Dio; 2. un orrendo disprezzo della sua bontà e dei suoi beni. Pre,2334d:T1,2 La circostanza della persona che offende e della persona offesa spiegheranno il 1o disprezzo; la circostanza del perché spiegherà il 2o disprezzo. Nel 2o punto, oltre la circostanza del perché, serviranno le circostanze quando, quomodo, ubi. Le due prime circostanze dimostrano il peccato essere un mostro d'ingratitudine, la terza un insulto intollerabile verso Dio. Dunque, per esaminare dal primo disprezzo Iddio che comanda e l'uomo che lo vuole disubbidire. Ponderiamo bene: Iddio che comanda; Iddio, e non un uomo, un Re, un monarca di questa terra, padroni di tutti sempre dipendenti e circoscritti. Iddio, cioè quell'essere eterno, immenso, infinito, incomprensibile, principio e fine d'ogni cosa (Apoc. 1, 8) Iddio quel supremo creatore, Signore e Padrone assoluto e dispostico di tutti gli esseri, che può e fa quanto vuole in cielo, in terra e in mare e in tutti gli abissi (Ps. 134), che parla e l'universo esiste, parla di nuovo e tutto s'annichila, e al di lui mero arbitrio sta sospeso l'essere o non essere di tutte le creature (2 Macchab. 8). Iddio che comanda, cioè quell'incomprensibile Maestà che, chi la vuole contemplare, resterà oppresso da un abisso di gloria. Dio che contiene in grado eminentissimo, e in tutta la loro estensione, le perfezioni tutte possibili, a segno che in loro confronto tutte assieme le perfezioni create appena sono gocce in paragone al mare, anzi, non sono che imperfezioni e difetti; così difetto e debolezza è la potenza delle creature, deformità la loro bellezza, le loro ricchezze miserabili povertà, le stesse ammirabili bellezze degli Angeli e dei Serafini sono languidissime stelle innanzi al Sole, e tutte scompariscono in confronto all'ineffabile potenza, alla smisurata grandezza, alla splendida gloria ed alla bellezza sovrana di Dio e questo a cagione della infinita sproporzione che vi passa tra il finito e l'infinito; e gli stessi spiriti angelici, non mai arriveranno a concepire, non che spiegare, una sola delle sue perfezioni, tanto meno poi tutta la sua infinita divinità, essenza e natura; quindi è che in sua presenza per stupore si velano la faccia i Serafini, come vide Isaia (c. 6) si coprono per profondo rispetto i piedi, tremanti l'assistono per servirlo ed attoniti incessantemente gli cantano inni di lode. Pre,2334d:T1,3 Questa Maestà dunque sì adorabile, sì tremenda, comanda e l'uomo quando pecca le ricusa l'obbedienza. Ah! Si te homines nossent, se veramente conoscessimo Dio, quale altro concetto ci formeremo del peccato. Gran cosa! Avanti di lui si curvano quelli che portano l'Orbe, si liquefanno come cera le montagne (Job 26), al di lui cenno crollano e paventano le colonne del cielo (Ps. 103), al di lui sguardo trema la terra, si stritolano i Cedri del Libano, si scuotono i deserti, e l'uomo quando pecca, senza alcun timore scuote il di lui giogo, disprezza il suo comando e segue il proprio capriccio. Comandano le Potenze di questa terra e per tutto il mondo sono rispettate, sono temute, sono ubbidite, si ha paura d'incorrere la loro disgrazia, si va guardingo di non offenderle. Comanda il Re dei Re: Dominus dominantium Rex regum (Apoc. 17), quella Maestà avanti a cui i Re di questa terra, quand'anche stessero tutti continuamente ad adorarla, le sacrificassero mille vite, s'annichilissero in suo ossequio, niente sarebbe in confronto dell'infinito onore ed infinita servitù che a tutto rigore le dovrebbero, non essendo essi alla sua presenza che puri vermini di terra, e potendo essa ad un cenno tutte le loro grandezze ed autorità in un abisso di confusione volgere e sprofondare; comanda dico una Maestà sì tremenda ed adorabile e non è, quando si pecca, ubbidita, rispettata e temuta. Comanda ed esercita i giusti diritti della sua autorità, minaccia la sua disgrazia, l'Inferno, e l'uomo (udite o cieli, trema o terra) l'uomo, come facendo poco e nessun conto di sì tremenda autorità e delle inviolabili sue leggi, s'oppone alla sua volontà, al suo comando, le contraddice l'ubbidienza, ascolta la sua passione e pecca: risponde insomma coi fatti a tanta Maestà. Quis est Dominus ut audiam vocem ejus? (Exod. 5) Chi è quel Signore ch'io l'abbia a ubbidire? Pre,2334d:T1,4 Ardisce contraddirvi Terribile Maestà Divina, al vostro comando tremare deve ogni creatura, e v'è chi ardisce così contraddirvi e disprezzarvi? Spiriti Angelici, potrete voi mai arrivare a capire l'enormità di un tale ardimento, d'un'ingiuria, d'un disprezzo simile della Maestà, dell'autorità, delle leggi d'un Dio? Vi sarà termine da spiegare crime uguale a questo? Crime di lesa Divina Maestà infinita ed incomprensibile: ma chi è quest'uomo? Tu es ille vir, o dissoluto etc. Peccatori, fratelli miei cari, inorridisco al dirlo, ma pure conviene confessarlo, di simili enormi deliti io e voi quanti non ne abbiamo commessi? Quante volte ha comandato qualche azione e noi abbiamo voluto l'opposto! Quante volte abbiamo sentito che c'intimava Iddio i suoi ordini, per via della coscienza, e quasi interiormente ci costringeva a non peccare con quei raggi di luce che tramandava all'intimo del cuore, per cui non potevamo ignorare il Divino Precetto e sentivamo la forza delle minacce della sua disgrazia e della nostra eterna dannazione, se trasgredivamo il suo comandamento. Sì, tutto questo abbiamo tante volte sentito e testimonio ne era quel timore ed orrore che si provava peccando, come pure quella confusione e quei rimorsi che avevamo dopo aver peccato; eppure come non si è disprezzato ogni cosa, ricusato di obbedire a Dio per servire il proprio capriccio? Pre,2334d:T1,5 Quis est Dominus ut audiam vocem ejus? Proibiva il Signore quei piaceri illeciti ed immondi, quei guadagni ingiusti, quelle mormorazioni, quelle calunnie, quelle vendette, e lo proibiva sotto pena della sua disgrazia, della sua inimicizia e d'eterni castighi, eppure numeri chi può quante volte per ascoltare e seguire le voci delle passioni e dell'interesse abbiamo risposto a Dio coi fatti che in quel punto non gli si voleva ubbidire: Dixisti non serviam (Jer. 2). Quis est Dominus ut audiam vocem ejus? (Exod. 5) Né abbiamo temuto rinunziargli in faccia l'eredità del Paradiso, disprezzare la sua amicizia, le sue minacce, il suo precetto, la sua autorità, la stessa sua infinita Maestà, in una parola, ed inorridite creature tutte, contempto Domino, disprezzato Dio, abbiamo voluto seguire il proprio capriccio. O Dio, quali affronti e quali enormi ingiurie abbiamo noi fatte all'infinita vostra Maestà! Chi potrà mai arrivare a conoscerne il peso e numero? Pre,2334d:T1,6 Ma (udite) più oltre si è inoltrata la nostra malizia, quando peccammo, poiché non solo abbiamo allora così disprezzata la Maestà di Dio, ma abbiamo inoltre desiderato poterla vedere distrutta, annientata; rientriamo in noi stessi, esaminiamo gli affetti del cuore quando peccammo, e troveremo infatti che avremo allora voluto che Dio non vedesse o non sapesse il nostro peccato, che non volesse o non potesse punirlo, cioè avremo voluto Dio impotente, ingiusto, stolto, favorevole all'iniquità, cioè, in sostanza, che Dio non fosse più Dio, avremo voluto in una parola vedere Dio distrutto, annientato, anzi, inorridisco al dirlo, anzi, per quanto stette da noi nella nostra immaginazione e nel nostro cuore, (giacché altrimenti non gli potevamo nuocere), nella nostra immaginazione, dico, e nel nostro cuore l'abbiamo tante e tante volte che peccammo, veramente detronizzato, distrutto, annientato e costituitovi in sua vece un'altra vilissima divinità, siccome vivamente se ne lamentò un dì il Signore con S. Brigida: Sum tamquam Rex a proprio regno expulsus, et loco mei latro pessimus electus est. Pre,2334d:T1,7 Sì, fratelli cristiani, tante volte, quante si sono fatti quei guadagni ingiusti, si sono presi quei piaceri immondi, abbiamo detronizzato e distrutto il Signore Iddio per erigere in trono e in divinità l'interesse, la libidine; volevamo quella vendetta, ci dominava l'alterigia, la vendetta; l'alterigia abbiamo eretta, riconosciuta e voluta per Dio, perciò l'abbiamo amata e stimata più di tutto, più di Dio stesso: Unusquisque enim quod et veneratur, hoc illi Deus est. Vitium in corde est idolum in altare (S. Gerolamo). Quidquid homo Deo anteponit, Deum sibi facit (S. Cipriano). Iddio all'opposto, perché non l'abbiamo più voluto riconoscere per tale, e nella nostra immaginazione e nel nostro cuore l'abbiamo detronizzato, distrutto, annientato, perciò non abbiamo temuto di perderlo, di affliggerlo, di rattristarlo, perciò l'abbiamo disubbidito, disprezzato, sacrificato alle nostre stesse passioni. Sum tamquam Rex a proprio regno expulsus, et loco mei latro pessimus electus est. Qui giunto, miei cari, io mi perdo nella considerazione della malizia del peccato e della nostra malvagità. (Vide cur, 2a Circostanza. Finora si è veduto il disprezzo della Maestà e potenza di Dio; nella circostanza cur si vede il disprezzo della sua bontà infinita e di tutti i suoi beni infiniti: aversio a Deo et conversio ad creaturas). Pre,2334d:T1,8 Colloquio Dunque, mio Dio, ogni qualvolta ho peccato, da che ho l'uso della ragione sino ad ora, mi sono reso reo innanzi a voi, d'avervi realmente disprezzato, anzi per quanto stette da me, d'avervi detronizzato, distrutto ed annientato. Può egli mai darsi enormità simile alla mia? E come mai poté la terra ricoverare malfattore simile? Mio Dio, mi sprofondo a tale considerazione innanzi al trono della Maestà vostra tremenda, stata da me vilissima creatura tante volte disprezzata e come detronizzata e distrut