ha reso necessario, in sede di restauro, l’inserimento di due aste metalliche che attraversando i piedi e passando oltre le gambe si congiungono all’anima interna del torso, mantenendo la statua ferma in posizione eretta senza che il suo peso gravi sui piedi; tra il tallone del piede destro e la base bronzea è stato quindi aggiunto uno spessore metallico che nasconde l’asta, mentre in origine il tallone era sollevato e la statua poggiava solo sulla parte anteriore del piede. La statua dello Zeus di Ugento è custodita presso il Museo Archeologico Nazionale di Taranto; nel 1996 è stata esposta presso le sale di Palazzo Grassi , a Venezia, in occasione della mostra “I Greci in Occidente”; è stata il pezzo principale della mostra “Klaohi Zis, il culto di Zeus a Ugento”, presso il Museo comunale di Archeologia e Paleontologia di Ugento, che inaugurata il 14 luglio 2002 è stata aperta sino al 14 febbraio 2003. Il misterioso titolo “Klaohi Zis” è un’espressione dell’antica lingua messapica tradotta dagli specialisti: “ Ascolta Zeus”, corrispondente al latino Interesse particolarissimo ha poi la statua, un caposaldo dell’arte del periodo arcaico, nella conferma della presenza in Magna Grecia, e in particolare a Taranto, di bronzisti locali di altissimo livello. Il restauro della statua eseguito dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma permette alcune osservazioni sulla tecnica impiegata per la formazione dell’opera; ciò sembra di grande interesse poiché il monumento di Ugento è uno dei più antichi “grandi bronzi” a fusione cava sinora conosciuti di arte greca o più esattamente magnogreca. La composizione della statua risulta, come per altre statue antiche, ternaria, formata cioè da tre componenti metallici: rame, stagno e piombo. L’unione della statua alla base era ottenuta a mezzo di un grosso perno di bronzo inserito sotto la parte anteriore del piede destro e del cavicchio bronzeo tra il secondo e il terzo dito del piede sinistro; perno e cavicchio erano ribattuti e fissati nella parte inferiore della base. La rottura alle caviglie 31 apico di grande interesse e con la sua storia ricca di contatti e interazioni con il mondo greco, attraverso la vicina colonia laconica di Taranto. “ Audi Iupiter”. La mostra, promossa dall’Amministrazione Comunale di Ugento e curata da Francesco D’Andria e Antonietta Dell’Aglio, ha ricostruito con successo e competenza i contesti archeologici e gli spazi rituali in cui veniva venerata la statua di Zeus, adoperando efficaci strumenti di comunicazione che la rendono completa e vivace. Estremamente interessanti insieme ai vari reperti presenti, risultano le ricostruzioni illustrate delle scene sacrificali in onore del dio, ideate dal professor D’Andria, che ripropongono il luogo di culto in cui era venerata la statua mettendo insieme informazioni provenienti da vari siti della Messapia. Un appuntamento importante, dunque, con l’archeologia di un centro mess- 32 33 TRA STILE E ICONOGRAFIA di Antonietta DELL’AGLIO estratto da “KLAOHI ZIS, IL CULTO DI ZEUS A UGENTO” edizioni Moscara, Cavallino 2002 volta leggermente verso la spalla sinistra per assecondare il movimento generale della figura, dato dalla posizione delle gambe e del piede destro leggermente sollevato. I lineamenti sono marcati: il naso è dritto e prominente, in linea con il mento anch’esso pronunziato, avvolto in una corta barba resa simmetricamente con incisioni parallele, più curate sul lato destro; sul labbro superiore sottili baffi a rilievo presentano anch’essi particolari d’incisione. Gli occhi sono caratterizzati da una evidente asimmetria, oggi accentuata dallo stato di conservazione di quello destro, in cui si è perso anche l’elemento, aggiunto successivamente, in cui venivano inserite le paste vitree colorate o altri materiali, come lamine d’argento, di osso e di avorio, per la resa del globo oculare a tutto tondo, nei casi in cui, come quello in esame, gli occhi non venivano disegnati a bulino. La capigliatura è realizzata con molta cura, riferendosi soltanto apparentemente agli schemi iconografici dell’arcaismo, riscontrabili sia su oggetti maschili che femminili, ma con connotazioni specifiche: riccioli spiraliformi convergenti Lo studio prevalentemente iconografico, condotto da Nevio Degrassi e pubblicato nel 1981, ha consentito di identificare la statua di bronzo rinvenuta un ventennio prima ad Ugento con uno Zeus, accogliendo proposte già avanzate a seguito della scoperta e confutando definitivamente il collegamento iniziale con il culto di Poseidon. L’invocazione Klaohi Zis (“Ascolta Zeus”) probabilmente risuonava, quindi, anche sulle bocche dei Messapi di Ugento dinanzi al simulacro bronzeo del dio stilita. La statua, infatti, era originariamente posta su una colonna sormontata da un capitello dorico, con abaco decorato da rosette a rilievo. Il dio è rappresentato nudo e in movimento, mentre con la mano destra brandisce la folgore e nelle dita della sinistra stringe gli artigli dell’aquila, attributi ormai appena identificabili e quasi del tutto persi al momento della scoperta. Poggia su una base rettangolare cava, in lega di bronzo che favorisce l’alloggiamento della statua nell’incasso corrispondente sulla faccia superiore del capitello. Particolarmente curata appare la testa, ri34 incorniciano la fronte, mentre lunghi capelli bipartiti sulla sommità del cranio scendono sulle spalle in ciocche omogenee caratterizzate da profonde incisioni interrotte da solcature parallele; tali ciocche sono ripiegate su se stesse e trattenute nella parte terminale con una sottile tenia con un nastro metallico; dalla massa se ne discostano quattro a tutto tondo che, a coppie, scendono da dietro le orecchie sul petto seguendo la leggera torsione della testa e assecondandone il movimento. Sul capo, il dio porta una doppia corona: quella superiore è del tipo a foglie molto stilizzate di alloro; quella inferiore riproduce molto probabilmente un nastro rigido metallico con applicazioni di rosette a rilievo. Per quanto lo schema di rappresentazione scultorea rientri nei canoni greci tipici di età arcaica, tuttavia il bronzista sembra aver tenuto conto, anche tecnicamente, attraverso adeguate correzioni ottiche, di due differenti punti di osservazione, valutati, comunque, in base al supporto originario che doveva porre la statua, secondo il Degrassi, all’altezza di metri 1,60 da terra. E’ possibile, quindi,distinguere una veduta di profilo, e più precisamente dal fianco destro, di certo la più importante che consentiva una visione completa del simulacro del dio a chi si avvicinava al luogo di culto da lontano, e una veduta di tre quarti, “obliqua”, la quale, annullando alcuni elementi marcati della resa del busto e le asimmetrie del volto, permette una lettura corretta anche da distanza più ravvicinata. Tali prospettive conferiscono alla figura divina un tentativo di tridimensionalità non presente in opere coeve, resa possibile anche dall’utilizzo del metallo e soprattutto dalla plasticità dei materiali impiegati nelle fasi preparatorie della fusione. L’artista che ha realizzato la statua, pur conoscendo e adottando dove possibile gli schemi rappresentativi tradizionali ha apportato modifiche che rispondevano meglio alle esigenze di collocazione dell’oggetto. Per il Degrassi la statua di Ugento presenta alcune peculiarità, quali la rappresentazione abbastanza giovanile, il movimento appena accennato, il modo di brandire il fulmine, l’acconciatura 35 con una doppia corona: quella di alloro potrebbe non far parte del modello originario ed essere stata collocata sulla statua in un secondo momento, forse per rafforzare la sacralità del simulacro. Il diadema a rosette è ampliamente documentato in Magna Grecia e a Taranto, numerosissime terrecotte, già dal VII secolo a.C., sono rappresentate con un cerchio adorno di rosette fra i capelli. Non è possibile stabilire rapporti sicuri con le principali correnti artistiche arcaiche, da quella corinzia a quella corcirese, sicionia, laconica, egineta: l’eclettismo e il carattere originale della statua in esame consentono di trovare punti di contatto nei vari ambienti, senza analogie sostanziali. Le stesse considerazioni valgono per l’ambito magnogreco, anche se i riscontri più puntuali sembrano ricondurre a Taranto. L’analisi del capitello concorre a confermare la datazione del complesso monumentale intorno al 530 a.C. ed è possibile ipotizzare una realizzazione unitaria statua – capitello, probabilmente in loco, da parte di scultori di cultura greca, più probabilmente tarantina che hanno adat- complessa, la tipologia delle corone con le caratteristiche degli elementi floreali presenti anche sul capitello, che, oltre a connotare come magnogreco l’esemplare bronzeo contribuiscono a dare un aspetto più benevolo del dio, rappresentato in atteggiamento di “epifania”, di colui, cioè, che appare a quanti lo invocano. La realizzazione della statua è stata fissata intorno al 530 a.C., per la persistenza di caratteri arcaici in diversi particolari anatomici, nella resa dei capelli, della barba e della mano sinistra con le tre dita sollevate, in uno schema di tradizione laconica. L’acconciatura presenta una serie di particolare di non facile confronto riconducibili all’ambiente ionico – orientale. Le lunghe ciocche che scendono sulle spalle e sul petto, infatti, sembrano presupporre trattamenti particolari, che tuttavia possono trovare punti di contatto in soggetti coroplastici anche inediti rinvenuti a Taranto. Poco attestato è anche il modo di rappresentare i capelli ripiegati sulle spalle, in una semplificazione dell’acconciatura detta “a crobilo”, diffusa in Grecia in età arcaica. Rara appare inoltre la rappresentazione 36 percepisce più, era offerto dalla policromia degli occhi, delle sopracciglia e dei capezzoli probabilmente ageminati, dall’aggiunta di bende e corone di fiori, dalla presumibile policromia degli elementi decorativi dell’abaco. tato il capitello alle esigenze della committenza, aggiungendo gli elementi decorativi floreali ricorrenti in ambito messapico. L’unitarietà della realizzazione è confermata dalle affinità nella scelta del motivo delle rosette per ornare il diadema del dio. La colonna su cui era posto il capitello doveva essere realizzata con molta probabilità sempre in pietra; la presenza di una base quadrangolare è ipotizzabile in relazione alle immagini vascolari che riproducono statue di divinità stilite, fra cui lo stesso Zeus, oggetto di venerazione all’aperto. Un effetto cromatico, che oggi non si 37 IL CAPITELLO DORICO estratto da “KLAOHI ZIS, IL CULTO DI ZEUS A UGENTO” edizioni Moscara, Cavallino 2002 di Francesco D’ANDRIA nei che servivano ad appendere ghirlande o piuttosto bende votive. Come è stato già da tempo notato, questo tipo di capitello dorico con abaco decorato a rosette sembra un’invenzione degli artigiani messapici, in un quadro di forte interazione con modelli di decorazione architettonica greca. Che il capitello con abaco decorato da rosette fosse diffuso ad Ugento è dimostrato dall’altro esemplare della collezione Colosso, più piccolo, appartenente certamente ad una colonnina votiva, senza però l’incavo per una statuetta, con tre rosette ad otto petali prive del bottone centrale. L’ornamentazione dell’abaco nei capitelli dorici, così diffusa in Messapia, costituisce un elemento estremamente raro in Grecia. Resta significativa, pertanto, la concentrazione nel Salento del capitello dorico con abaco a rosette, che possiamo definire “messapico” e che rappresenta un significativo esempio di quei processi di interpretazione locale di modelli greci che così intensamente caratterizzano le esperienze culturali della Puglia meridionale in età arcaica. La statua di Zeus aveva una base rettangolare che si inserisce perfettamente in un incavo presente sulla parte superiore dell’abaco, nel capitelo dorico rinvenuto insieme al simulacro bronzeo e che permette di assicurare la connessione di questi due elementi. L’immagine del dio poggiava su una colonna che reggeva il capitello. L’elemento architettonico di sostegno è ricavato in un unico blocco in pietra leccese comprendente abaco, echino ed inizio del fusto della colonna. Il capitello ha un’altezza complessiva di cm. 23 circa, con abaco largo cm. 72,8 ed alto cm. 13,8; l’echino ha un’altezza media di 7,5 cm. Degrassi ha ipotizzato una larghezza del blocco da cui è ricavato il capitello di cm. 74 che corrisponde due volte e mezzo il piede attico (cm. 29,6). Il capitello presenta alcune interessanti particolarità: echino a profilo carenato con collarino a triplice anello ed abaco molto alto decorato sui lati da quattro rosette a rilievo. Sul piano superiore del capitello sono ricavati piccoli fori rotondi disposti lungo i bordi; come nei cippi arcaici rinvenuti in Messapia, nei fori dovevano essere inseriti chiodi lig38 IL RECINTO SACRO di Francesco D’ANDRIA estratto da “ KLAOHI ZIS, IL CULTO DI ZEUS A UGENTO” edizioni Moscara, Cavallino 2002 lontano dal luogo in cui fu trovata la statua di Zeus, vennero alla luce i due capitelli arcaici, uno dorico con rosette sull’abaco e uno a sofà, ora nella collezione Colosso di Ugento. Si tratta di scarni indizi ai quali si aggiunge il frammento di sima fittile con decorazione policroma ad ovuli, simile ai tipi tarentini degli inizi del V sec. a.C., anch’esso proveniente dalla stessa area, posta alla quota più alta nel centro dell’insediamento antico. Certamente qui si impiantarono attività di culto in una situazione confrontabile con quelli di altri centri messapici. Se dunque dobbiamo proporre un’ipotesi di ricostruzione del contesto cultuale in cui era collocata la statua di Zeus dobbiamo mettere insieme informazioni provenienti da altri ritrovamenti in Messapia. Certamente la colonna con l’immagine divina non era custodita in un tempio simile agli edifici greci; bisogna invece pensare ad un recinto di blocchi squadrati in cui si svolgevano le pratiche del culto. La statua ugentina suggerisce così numerosi collegamenti sul ruolo che ZIS aveva nella religione messapica e sulle strutture cultuali che nel Salento arcaico Nel tentativo di ricostruire il luogo di culto in cui era venerata la statua di Zeus, le circostanze del rinvenimento forniscono scarsi elementi. Soltanto dopo il recupero fu possibile chiarire che l’oggetto venne deposto in un nascondiglio ricavato in una piccola cavità del banco roccioso e coperto con il capitello. Il Degrassi pensò ad un volontario occultamento avvenuto nella tarda antichità o al momento della conquista romana del 267 – 266 a.C., ma non è da escludere che la statua potesse essere stata occultata già nella prima metà del V sec. a.C., nelle fasi violente della guerra tra messapi e tarentini, il barbaros polemos. Ateneo, tra il II e III sec. d.C., nella sua opera “I sofisti a banchetto” riporta il tema della hybris messapica: i capi, infatti, costruivano case più belle dei tempi e, oltraggiando la divinità, portavano via dai tempi le statue degli dei. La punizione non tardò a venire sotto forma di fulmini scagliati dal cielo, di fuoco e di bronzo. Nessun altro elemento abbiamo purtroppo sul contesto del rinvenimento tranne il fatto che in località Colonne, non 39 si apprestavano per venerare questa divinità. Tanti elementi mancano ancora ma forse indagini mirate nel centro storico di Ugento e nelle aree vicine nel punto del ritrovamento dello Zeus, potranno offrire nuovi spunti di valutazione. 40