LA PRIVATIZZAZIONE DELLA RAI-RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A.: CRONACA DI UNA INTEGRAZIONE MANCATA di Francesco Grassi Dottorando di Ricerca in Diritto dell’Economia e delle imprese Università di Pisa 1. Sintesi di un percorso lungo cinquant’anni: la televisione in Italia È ormai da molti anni che in Italia si discute di televisione e di assetto del sistema radiotelevisivo. La materia sembra infatti variamente abitare i sogni e gli incubi di coloro che per una ragione o per l’altra hanno rapporto con quel potente mezzo. Le soluzioni che si sono prospettate ed attuate nel corso del tempo non sempre sono risultate pienamente conformi agli interessi (pubblici, privati, economici e costituzionali) in gioco. Per lungo tempo la disciplina di settore adottata dagli organi competenti 1 ha fatto seguito, in maniera forzata e non pienamente coerente, all’assetto generato in concreto dai competitors del settore tanto che parte della dottrina ha parlato del legislatore come di un mero “ratificatore” di decisioni assunte materialmente altrove. Solo a partire dalla metà degli anni novanta del secolo scorso, grazie anche all’esperienza ed all’influenza derivante dal processo d’integrazione europea, si è iniziato ad interrogarsi in maniera più 1 Soggetti coinvolti sono il Parlamento ed in particolare la Commissione parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi (riformata dalla L. 14 aprile 1975, n. 103), il Governo (nella sua composizione collegiale e nella figura del Ministro delle Comunicazioni), l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (disciplinata dalla L. 31 luglio 1997, n. 249). costruttiva e propositiva circa la possibilità di dettare regole tali da permettere al sistema radiotelevisivo italiano di divenire, allo stesso tempo, più adatto ad affrontare le nuove problematiche generate dall’innovazione tecnologica e maggiormente conforme agli interessi della generalità dei consociati anche attraverso l’affermazione di forme di concorrenza (privatizzazione e liberalizzazione) capaci di aumentare l’efficienza della comunicazione televisiva 2. Infatti è divenuta maggiormente pressante l’esigenza di contemperare in modi nuovi i differenti “interessi” coinvolti, le diverse posizioni economico-politiche che si sono andate delineando con il trascorrere del tempo e con l’evoluzione economica, giuridica e tecnologica della realtà italiana, posizioni che reclamavano da tempo una qualche forma di riconoscimento nella realtà nazionale ed europeo-continentale. Il mercato dell’offerta televisiva si è infatti strutturato in maniera autoreferenziale, senza prospettive di lungo periodo: ciò ha dato luogo ad un sistema radiotelevisivo che sul piano soggettivo appare duopolistico ma che sul versante dell’offerta, ormai da tempo, tende a configurarsi come tendenzialmente monopolistico (rectius oligopolio collusivo) o comunque caratterizzato da una sorta di accordo tacito circa gli sviluppi industriali. I due operatori principali di livello nazionale (Rai TV e Mediaset) hanno adottato modelli gestionali ed operativi sempre più similari; ciò si è pure riflettuto sulla complessiva programmazione oltre che sulla raccolta pubblicitaria fagocitata da Sipra e Publitalia 3. Un terzo “polo” ha tentato di inserirsi in questa competizione parzialmente bloccata ottenendo però scarsi risultati sia per quanto concerne la raccolta pubblicitaria sia per ciò che riguarda gli ascolti (il cosiddetto Sul problema dell’incremento delle performances delle strutture imprenditoriali a seguito di operazioni di privatizzazione delle stesse cfr. E. Bertero, Fa differenza un cambiamento, da pubblico a privato, dell’assetto proprietario?, in Econ. Pubb., 2003, n. 2, pp. 115128. 3 La ripartizione del mercato pubblicitario tra le due società, controllate dai principali operatori titolari di concessioni trasmissive nazionali, evidenzia una raccolta di circa il 50 % a favore di Publitalia e di circa il 30 % a favore della Sipra; conseguentemente il tasso di concentrazione del relativo mercato è molto elevato. Tale situazione verrà probabilmente a modificarsi con la riforma introdotta dalla Legge 112/2004 grazie all’impiego del SIC (Sistema Integrato delle Comunicazioni) che dovrebbe rendere maggiormente fluido il settore della raccolta pubblicitaria. Sul punto comunque il contrasto di visioni è tuttora aspro e solo la concreta attuazione della Legge potrà fornire indicazioni precise circa l’efficacia anticoncentrativa del meccanismo introdotto. 2 110 share); deve riconoscersi comunque l’elevato valore culturale e di servizio pubblico espresso dalla nuova realtà societaria del gruppo Telecom-La7. In un primo tempo, sul modello di altri Paesi europei 4 e sulla scorta di decisioni adottate dalla Corte Costituzionale, si pensò di poter incrementare il livello di concorrenza attraverso una limitazione delle frequenze legittimamente sfruttate da ciascun operatore grazie all’introduzione di un limite di due canali televisivi nazionali per ogni operatore privato, con la voluta conseguenza di aumentare il numero degli operatori. La concessionaria pubblica avrebbe invece conservato le tre frequenze assegnatele ma, come contropartita, la terza rete (RAI 3) sarebbe dovuta divenire un’emittente di esclusivo servizio pubblico priva cioè di pubblicità, televendite, sponsorizzazioni e quant’altro ed interamente finanziata dai proventi derivanti dalla riscossione del canone di abbonamento al servizio radiotelevisivo pubblico 5. Secondo le intenzioni di coloro che propugnavano tale soluzione questa avrebbe permesso di liberare risorse nel piano nazionale di assegnazione delle frequenze e ciò avrebbe consentito la creazione di almeno un ulteriore polo televisivo (il quarto) operante in concorrenza con gli altri già presenti nel mercato ed in grado di competere, a parità di condizioni, sia nella raccolta pubblicitaria sia sul versante degli ascolti. Secondo questa interpretazione tale intervento sarebbe stato capace di “creare mercato” là dove mercato non vi era o almeno di incrementare il livello concorrenziale in un “mercato limitato” o “mercato bloccato” attraverso un aumento numerico dei concorrenti (incremento nel numero dei competitors). Critiche a questa costruzione ab externo del mercato televisivo, oltre che sul versante metodologico, si possono esprimere anche sottolineando l’impossibilità per operatori di piccole dimensioni, quali sarebbero derivati dall’operazione giuridica anticoncentrativa, di operare efficacemente in un mercato che non è più soltanto nazionale ma europeo e globale; l’incremento del numero dei soggetti quindi si sarebbe ottenuto a scapito dell’effettiva capacità dei singoli operatori di stare sul mercato e di operarvi in maniera economicamente vantaggiosa o almeno accettabile. Come ulteriori elementi in contrasto con questo modello devono aggiungersi la difficoltà di destinare l’importo del canone Ad esempio la privatizzazione dell’ex emittente pubblica francese TF1. Disciplinato dal Regio Decreto Legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla Legge 4 giugno 1938, n. 880 e successive modificazioni. 4 5 111 (almeno nella sua fetta più rilevante) ad una sola delle reti pubbliche con i problemi di gestione economica e finanziaria che avrebbero potuto derivarne per l’intera struttura aziendale Rai, la necessità di impedire ad una delle reti Mediaset di trasmettere su frequenza terrestre ed il conseguente passaggio sul satellite di Rete 4 con la connessa perdita finanziaria e gestionale per tale emittente che ne avrebbe comportato la probabile chiusura. Non si può neppure trascurare la difficoltà di individuare un editore (che si sarebbe voluto italiano; riappare anche in questo frangente il “convitato di pietra” dell’italianità-nazionalità aziendale tanto discussa sia dai sostenitori che dai detrattori dell’economia di mercato e delle sue strutture di operatività) capace di inserirsi ex novo nel mercato televisivo per creare un nuovo soggetto televisivo-editoriale stanti anche le norme che disciplinavano gli intrecci societaripartecipativi tra carta stampata e radiotelevisione. Tutte queste ragioni unite ad influenti e generalizzati interessi della classe politica 6 e non solo, hanno determinato la “morte prematura” del progetto sistematico e la necessità di cercare nuove soluzioni che si presentassero come maggiormente efficaci e condivise 7. 2. L’impianto complessivo della Legge “Gasparri” ed i suoi principi ispiratori Nell’attuale legislatura ci si è mossi per tentare di dare una sistemazione sufficientemente coerente al problema e, per la prima volta da alcuni anni invece di dettare normative che si limitino a fotografare l’esistente si è creata una disciplina legislativa del tutto nuova la quale, nelle intenzioni del Governo, dovrebbe essere capace di incidere in modo riformatore sull’assetto radiotelevisivo del Paese adeguandolo alle mutate esigenze ed ai diversi interessi in gioco e rendendolo, per quanto possibile alla luce degli sviluppi prevedibili nel breve e medio termine, capace di divenire asse portante dell’integrazione economica e culturale del Paese nel nuovo secolo. 6 Basti pensare agli atti in materia di tecnica digitale terrestre (DVB-T) prodotti dall’attuale maggioranza di centrodestra in questa legislatura (XIV) ed a quelli del centrosinistra nella passata legislatura (XIII). 7 Per un inquadramento sistematico del governo del sistema radiotelevisivo e della sua evoluzione: G. SANTANIELLO (diretto da), Trattato di diritto amministrativo, Padova, CEDAM, 2000; AA.VV., Percorsi di diritto dell’informazione, Torino, G. Giappichelli, 2003. Circa la presunta transitorietà e temporaneità delle riforme del passato si veda G. AZZARITI, La temporaneità perpetua, ovvero la giurisprudenza costituzionale in materia radiotelevisiva (rassegna critica), in Giur. cost., 1995, p. 3037 e ss. 112 Nel settembre del 2002 il Ministro delle Comunicazioni On.le Gasparri presentava un disegno di legge di riordino dell’intera materia al Consiglio dei Ministri che lo approvava. Il successivo iter parlamentare si rivelava lungo e contrastato ma un testo veniva definitivamente approvato dal Parlamento alla fine del 2003; passava quindi nelle mani del Presidente della Repubblica che, ai sensi dell’articolo 74 della Costituzione, lo rinviava alle due Camere individuandovi elementi di illegittimità costituzionale circa gli aspetti concernenti la garanzia del pluralismo informativo e contestando parzialmente la funzione e la disciplina dettata per il mercato della raccolta pubblicitaria quale risultante dalle norme della legge disciplinanti il SIC 8. Il Parlamento interveniva di nuovo sul disposto normativo oggetto dell’intervento presidenziale ed approvava, seguendo la direttrice delle modifiche suggerite dal Capo dello Stato 9, il testo definitivo della Legge 3 maggio 2004 n. 112 portante il titolo: “Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI-Radiotelevisione italiana S.p.A, nonché delega al Governo per l’emanazione del testo unico della radiotelevisione”. La nuova Legge di sistema appare strutturata su più livelli in quanto affianca alle regole dettate per l’introduzione della nuova tecnologia digitale terrestre (televisione digitale terrestre), altre dettate per tutelare gli aspetti del pluralismo e della concorrenza nel settore (antitrust televisivo) ed altre ancora che incidono direttamente sulla struttura societaria della concessionaria pubblica del servizio radiotelevisivo imponendone una privatizzazione almeno parziale con apertura al mercato ed agli investitori (privatizzazione sostanziale) 10. Queste linee di sviluppo, considerate assieme, rappresentano le premesse necessarie dell’integrazione economica ed imprenditoriale della televisione pubblica nella realtà finanziaria nazionale ed europea ed un’occasione potenzialmente molto rilevante di acquisire una posizione nodale nella 8 Soprattutto per ciò che concerneva l’entità quantitativo-percentuale del SIC (Sistema Integrato delle Comunicazioni), che rappresenta numericamente il limite posto alla raccolta pubblicitaria. Esso infatti determina indirettamente la struttura del mercato ed i soggetti che possono farne parte. 9 Analizzate e commentate da P. SCHLESINGER, Mancata approvazione della “Gasparri” da parte del Capo dello Stato e successivo decreto legge di urgenza n. 352/2003, in Corr. Giur., 2004, n. 2, p. 150-153. 10 Una prima analisi della Legge in questione in AA.VV., La riforma del sistema radiotelevisivo, Torino, G. Giappichelli, 2004. 113 “nuova economia” 11 oltre che un tentativo di tutelare i rilevati interessi pubblici e costituzionali coinvolti (in primis il diritto all’informazione inteso come mezzo di tutela del pluralismo e dello stato di diritto). Non si possono scindere all’interno della Legge n. 112/2004 la parte dedicata ai meccanismi ed alle procedure d’introduzione della tecnica trasmissiva digitale terrestre (DVB terrestre) ed alla disciplina a tutela della concorrenza e del pluralismo dalla parte della Legge che detta invece le regole ed i mezzi per realizzare la privatizzazione della RAI Radiotelevisione italiana S.p.A. 12. Infatti la realizzazione della dismissione di parte del capitale di un soggetto societario centrale nell’ordinamento radiotelevisivo, quale è la concessionaria pubblica della radiotelevisione, appare giustificata in prima approssimazione proprio dal progresso tecnico che è reso possibile dall’introduzione delle trasmissioni digitali; questa nuova tecnologia infatti da un lato permette uno sfruttamento più efficiente dell’intero spettro elettromagnetico determinando un incremento significativo del numero dei canali irradiabili 13 sul territorio nazionale e dall’altro determina una vera e Per “nuova economia” si intende qui il nuovo modo di atteggiarsi delle politiche economiche, produttive ed industriali che va progressivamente delineandosi, con rilevanti difficoltà e ritardi, a livello nazionale ed internazionale e che individua una nuova struttura produttiva in cui all’aspetto prettamente materiale va ad aggiungersi, come elemento centrale e preminente, l’attività intellettuale in senso lato, chiave di volta nell’organizzazione di nuovi processi e di nuovi soggetti produttori oltre che di nuovi prodotti speso non più rappresentati da un substrato materiale (si pensi solamente ai temi della tutela del copyright del software o alla disciplina delle invenzioni biotecnologiche). Sul tema cfr. S. ORTINO, Il nuovo Nomos della Terra, Bologna, Il Mulino, 1999. 12 Circa l’evoluzione storica e normativa del concetto di privatizzazione sia nella sua accezione formale che sostanziale vedasi per un quadro generale: P. G. JAEGER, voce Privatizzazioni (Profili generali), in Enc. giur. Treccani, 1995; G. DI GASPARE, voce Privatizzazioni (Privatizzazione delle imprese pubbliche), in Enc. giur. Treccani, 1995; E. MOAVERO MILANESI, voce Privatizzazioni (Diritto comunitario), in Enc. giur. Treccani, 1995. Nella manualistica si rinvia a: AA. VV. (a cura di M. Giusti), Diritto pubblico dell’economia, Padova, CEDAM, 1997; S. CASSESE, La nuova costituzione economica, Bari, Laterza, 2001, p. 121-168; E. FRENI, Le Privatizzazioni, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale, Milano, Giuffrè, 2003. Per un’analisi significativamente approfondita anche dal punto di vista delle procedure di privatizzazione e del loro succedersi storico-temporale cfr. E. BANI, C. CARCELLI B. PIERACCINI, Privatizzare. I modi e le ragioni, Padova,CEDAM, 1999, p. 3-192. 13 Il numero dei canali televisivi terrestri passerà da circa una diecina ad oltre quaranta. 11 114 propria separazione tecnico-materiale tra fornitori dell’infrastruttura e della rete trasmissiva (operatori di rete) e fornitori di servizi e contenuti radiotelevisivi e di servizi evoluti ad alto valore tecnologico (fornitori di contenuti e fornitori di servizi interattivi e di servizi ad accesso condizionato). Tutto ciò renderà concreta in tempi relativamente brevi e certi la possibilità da parte di qualunque soggetto, pur non dotato dei capitali necessari ad installare infrastrutture tecnologicamente evolute implicanti investimenti proibitivi, di realizzare contenuti informativi e più in generale radiotelevisivi da trasmettere attraverso le infrastrutture preesistenti gestite dagli incumbents nazionali (RAI-Radiotelevisione italiana S.p.A., Mediaset S.p.A., Telecom Italia-La7, emittenti locali). Chiunque pertanto potrà operare come broadcaster con capacità di essere presente a livello nazionale o locale e di diffondere contenuti ed informazioni pur senza dover sostenere investimenti ingenti e tecnicamente molto complessi. I titolari di concessioni per l’uso di frequenze radiotelevisive (sia in ambito nazionale che locale) divengono quindi molto simili agli internet services providers che diffondono dati e servizi attraverso una rete pur non essendo necessariamente i fornitori o i realizzatori dei contenuti veicolati bensì limitandosi a concludere accordi commerciali contrattuali con coloro che ne richiedano le prestazioni tecniche 14. Questo è uno degli elementi che concorrono significativamente a realizzare quella forma di convergenza tra mezzi di informazione che da tempo si auspica e che rappresenta l’espressione tecnico-materiale dei principi liberali e pluralistici delle democrazie contemporanee. Allo stesso tempo non può neppure negarsi che proprio tale convergenza fa perdere centralità allo strumento televisivo tradizionale che, nella seconda fase del ventesimo secolo, ha rappresentato il mass media per eccellenza oltre che quello dotato di maggior influenza sul pubblico dei consumatori-utenti-elettori. 3. Le attività preliminari alla privatizzazione ed il loro possibile criterio ispiratore Nell’articolo 21 della Legge n. 112/2004 vengono dettati i tempi, le modalità e le procedure preliminari per giungere sulla strada della 14 servizi. Si configura in tal caso una vera e propria forma di offerta al pubblico di tali 115 privatizzazione sostanziale della Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A. 15. In prima istanza si è prevista la realizzazione della fusione per incorporazione della società Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A. (che opera materialmente nel campo radiotelevisivo quale titolare delle concessioni trasmissive pubbliche) nella società RAI-Holding S.p.A. 16 (detentrice giuridicamente della partecipazione azionaria nella società radiotelevisiva preesistente) che viene ad assumere la denominazione sociale di “RAI-Radiotelevisione Italiana S.p.A.” ed il cui Consiglio d’Amministrazione assume le funzioni di organo amministrativo della società risultante dalla fusione. Si specifica inoltre, onde evitare possibili fraintendimenti e ricorsi giurisdizionali, che la nuova società subentra “di pieno diritto” o “ex lege” nella titolarità delle licenze, autorizzazioni e concessioni di cui era titolare la società incorporata senza che siano necessari nuovi atti o provvedimenti legittimanti. Deve aggiungersi che nella disciplina legislativa concernente l’operazione di fusione si determinano deroghe ai termini previsti dalle disposizioni codicistiche (ex artt. 2501 ter ultimo comma, 2501 septies primo comma, 2503 primo comma); tale deroga alla disciplina generale data la titolarità del capitale sociale (totalmente pubblico) e data la situazione debitoria delle società partecipanti alla fusione (inesistente) certo non lede posizioni giuridiche pregresse di alcuno ed è quindi pienamente giustificata. Il procedimento di fusione descritto deve essere realizzato entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della Legge 17 quale presupposto necessario di ogni operazione di dismissione di partecipazioni azionarie che voglia risultare credibile ed efficace 18. Si deve ricordare che la privatizzazione formale dell’azienda Rai-TV era già stata realizzata nel corso degli anni novanta del secolo scorso dalla Legge n. 206/1993. 16 In realtà non dell’intero capitale sociale in quanto una modestissima percentuale dell’ordine dello 0,44 per cento è detenuto da altro soggetto pubblico ossia la SIAE Società Italiana Autori ed Editori. Tale partecipazione era da ritenersi sino ad ora solamente simbolica; con la riforma in atto potrebbe venire ad assumere una certa importanza ma non tale da porsi in contrasto con gli indirizzi ministeriali vista la configurazione pubblicistica del soggetto titolare della partecipazione in questione. 17 Pubblicata in Suppl. Ord. GU, 05 maggio 2004, n. 82 ed entrata in vigore il giorno seguente come disposto dall’articolo 29 della stessa Legge. 18 L’operazione di fusione tra Rai Holding S.p.A. e Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.A. si è conclusa formalmente il 17 novembre 2004 ed è divenuta pienamente operativa il primo dicembre successivo. 15 116 Si impone legislativamente (o meglio dovremmo dire “dirigisticamente”) che entro il termine di quattro mesi dal completamento della fusione per incorporazione tra Holding e società operativa si dia avvio alla procedura di dismissione, almeno parziale, della partecipazione azionaria dello Stato ricorrendo alla disciplina dettata dalla Legge n. 474/1994 nella versione consolidata, ad essa non avendo mai fatto seguito il tanto atteso Testo Unico sulle privatizzazioni. A rinfrancare dai dubbi che potrebbero avanzarsi circa l’adeguatezza di tale normativa (datata e prodotta in maniera “occasionale e non sistematica” frutto della conversione del Decreto Legge 31 maggio 1994, n. 332) può portarsi l’esempio della privatizzazione parziale dell’Enel che, nonostante i dubbi finanziari e gestionali suscitati, pare aver sortito un certo interesse non soltanto in Italia ma pure sui mercati finanziari internazionali tanto da spingere il Ministero del Tesoro a progettare una nuova collocazione azionaria di altra tranche di capitale, operazione che sta trovando attuazione proprio in questo periodo. Ulteriore elemento preliminare e necessario alla dismissione è l’adozione di deliberazioni idonee da parte del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE), deliberazioni in cui si dovranno indicare tempi, modi, condizioni dell’offerta o delle offerte pubbliche di vendita delle azioni. Allo stato attuale risulta che siano stati coinvolti i cosiddetti advisors per determinare il valore della partecipazione da dismettere e gli altri elementi di dettaglio ma non sembra ancora che siano stati definiti con certezza i termini e le condizioni effettivi dell’intera operazione (nonostante il termine fissato nella Legge stessa) anche se deve aggiungersi che il Direttore Generale della Rai ha già avviato contatti informali con i mercati finanziari probabilmente interessati dall’operazione (una sorta di road show anticipato e preliminare, quasi per “tastare il terreno” circa la fiducia degli investitori istituzionali e delle società di rating). A tutela degli investitori si prevede ovviamente che la realizzazione del collocamento avverrà utilizzando le modalità dettate dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 ossia attraverso lo strumento dell’Offerta Pubblica di Vendita. Ciò rappresenta una conferma della volontà di realizzare una sorta di public company seppure corretta con l’introduzione di alcuni poteri speciali da affidare al Ministero del Tesoro anche se deve aggiungersi che, secondo un recente sondaggio, proprio agli investitori istituzionali (in particolare ai gestori dei fondi comuni) tale investimento non pare molto appetibile 117 19 . Questa intenzione più o meno evidente ed espressa di dare vita ad un gruppo societario verticistico (con una vera e propria holding alla sommità, la quale sia veramente tale e non una struttura giuridica “longa manus” di altri interessi) integrato anche nel mercato finanziario e formato da società operative (controllate maggioritariamente o totalmente dalla società capogruppo) svolgenti attività disparate nel settore delle comunicazioni (dalla gestione materiale dell’infrastruttura consentendone anche l’utilizzazione a terzi, fino all’attività di produzione cinetelevisiva ed alla gestione pubblicitaria) ed il cui azionariato sia parzialmente diffuso nel mercato potrebbe rappresentare il presupposto necessario ma non sufficiente per una piena ed effettiva attuazione anche degli interessi pubblici sottostanti al settore delle comunicazioni nelle società di massa postindustriali; in tal caso infatti la coesistenza di plurimi interessi economici, spesso confliggenti, potrebbe determinare un’effettiva attenuazione del confronto delle varie posizioni non economico-finanziarie in senso stretto od una loro ricomposizione più agevole e maggiormente mediata. Questo però potrebbe essere il portato di un’evoluzione che ancora non è delineata con chiarezza all’orizzonte e che potrebbe richiedere passaggi economico-societari più significativi quali ad esempio la cessione effettiva della rete di trasmissione ad uno o più soggetti terzi indipendenti dai produttori di contenuti o la creazione di una sorta di autorità di gestione della rete o delle reti di comunicazione in questione (se l’integrazione dei media continuerà ai ritmi attuali) simile al GRTN operante nel settore elettrico. Quale elemento prodromico ad ogni procedura di dismissione di partecipazioni sociali della concessionaria pubblica ed a garanzia della generalità degli utenti del servizio pubblico radiotelevisivo l’articolo 18 della Legge n. 112/2004 impone la realizzazione di una vera e propria “separazione contabile” nella redazione del bilancio d’esercizio della RaiRadiotelevisione italiana S.p.A.. Infatti si prevede che debbano essere indicati separatamente oneri e ricavi derivanti dallo svolgimento dell’attività di servizio pubblico (secondo le indicazioni dettate dal contratto di sevizio) seguendo le modalità tecnico-contabili determinate dalla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (che è individuata quale soggetto competente alla creazione di un disciplinare per il concreto adempimento di tale obbligo contabile); elementi ispiratori Sondaggio effettuato dalla società d’analisi indipendente Morningstar per il settimanale Panorama riportato dallo stesso settimanale nel numero del 10 marzo 2005. 19 118 dell’AGCOM in tale frangente sono da individuarsi nei criteri generali di trasparenza, correttezza e veridicità che sono alla base della contabilità sia dei soggetti privati che di quelli pubblici, criteri che impongono una uniformazione a quanto stabilito a livello comunitario in materia 20. Una motivazione ispiratrice del meccanismo delineato è quella di determinare con relativa certezza quanto sia economicamente imputabile (sia in positivo che in negativo) agli adempimenti di servizio pubblico e quanto invece derivi dallo svolgimento di attività commerciale in senso proprio, dato che ciò rappresenta uno dei principali presupposti della valutazione circa la redditività dell’investimento in azioni Rai. Ciò postulato viene imposto alla Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A. la trasmissione del bilancio annuale sia al Ministero delle Comunicazioni che alla AGCOM, la quale è altresì competente nella scelta della società di revisione contabile 21 che dovrà, in ciascun esercizio finanziario, svolgere l’attività di revisione. Non può non sottolinearsi che da tutto ciò ovviamente emerge una finalità di tutela degli investitori nel capitale della società privatizzanda; scopo evidente è pertanto quello di permettere agli interessati di valutare compiutamente la convenienza economica dell’operazione intrapresa e quindi l’opportunità di aderire o meno all’offerta pubblica e, in una fase successiva, permettere a coloro che siano interessati di entrare od uscire dal capitale sociale secondo valutazioni circa l’andamento dei conti e la convenienza economica di una tale operazione d’investimento finanziario. Non si deve dimenticare però che una valutazione di tal sorta può essere compiuta, in maniera efficace e coerente, solo da soggetti tecnicamente preparati come nel caso degli investitori istituzionali mentre per l’azionista-risparmiatore (apparentemente primo destinatario dell’operazione di alienazione) ciò risulta in concreto di difficile realizzazione; questo è infatti un problema generale degli investimenti nel mercato finanziario e non solo della specifica operazione Rai. Per chiarezza si deve anche riferire del fatto che proprio sul piano della separazione contabile si sono manifestate alcune 20 Direttiva 2000/52/CE sulla trasparenza finanziaria recepita, nel nostro ordinamento, con D.Lgs. n. 333/2003. Per un’analisi dei problemi di contabilità pubblica e dei suoi principi ispiratori: C. MANACORDA, Contabilità pubblica, Torino, Giappichelli, 2004; L. VERZICHELLI, La politica di bilancio, Bologna, Il Mulino, 1999. 21 Tale soggetto deve risultare iscritto nell’Albo speciale delle società di revisione tenuto dalla Consob ai sensi dell’art. 161 del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58. 119 concrete difficoltà di realizzazione tecnica dei meccanismi necessari 22 e che la stessa Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha auspicato l’adozione di una vera e propria separazione societaria (anziché contabile) dei soggetti che svolgono attività commerciale da quelli che invece prestano attività di servizio pubblico; in tal modo, sempre secondo l’Antitrust, si potrebbe raggiungere il massimo della chiarezza e della trasparenza eliminando occasioni di contrasto tra interessi potenzialmente confliggenti. Proprio la creazione di un unico soggetto giuridico-finanziario rappresenta però uno degli elementi portanti della riforma dettata dalla Legge n. 112/2004; la soluzione estrema proposta dall’AGCM in certa misura configurerebbe una sorta di tradimento della volontà del Legislatore (non sappiamo quanto realmente interessato a far chiarezza su questo punto). Come già ricordato deve invece presumibilmente escludersi l’applicazione alla concessionaria pubblica del servizio radiotelevisivo del disposto dell’articolo 8 della Legge n. 287/1990, come modificato dalla Legge n. 57/2001, che sembrerebbe imporre l’adempimento della separazione societaria ai soggetti che svolgano contemporaneamente attività di servizio pubblico ed attività commerciali ed a cui si richiama la stessa Antitrust. Ad escludere tale incombente, oltre alle motivazioni sopra ricordate, appare infatti sufficiente il richiamo al criterio che disciplina la successione delle Leggi nel tempo ed il criterio della specialità-specificità normativa; infatti la Legge n. 112/2004 è certo successiva alla riforma legislativa antitrust (peraltro molto significativa ed attesa da tempo per le public utilities), va a disciplinare specificamente un determinato soggetto giuridico pubblico (la Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A. appunto) ed è quindi necessariamente connotata in senso soggettivo. In aggiunta a quanto detto non può non rilevarsi pure che lo scorporo delle funzioni di servizio pubblico dall’attività di emittenza televisiva commerciale conseguente alla separazione societaria decreterebbe, a detta di molti, la morte definitiva dello stesso servizio pubblico il cui spazio sarebbe ben presto occupato dal settore di operatività della televisione commerciale. 22 In particolare nell’opposizione di centrosinistra si sono manifestate perplessità sul tema tanto che si è individuata in ciò una delle cause dell’allungamento dei termini per procedere alla dismissione azionaria del capitale della Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.A. Sul punto cfr. ATTI PARLAMENTARI, Commissione Parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi, 185° seduta, 08 febbraio 2005 in http://www.camera.it. 120 A conferma si può anche aggiungere che la stessa AGCM, pur facendo un accenno all’ipotesi della separazione societaria, non ha troppo insistito sul punto e si è impegnata invece per la creazione di un disciplinare tecnico-contabile efficace nel perseguimento della medesima finalità, conscia forse anche delle difficoltà a scindere le attività di comunicazione televisiva utilizzando criteri rigidi (basati fondamentalmente sui contenuti del contratto di servizio) ed anche alla luce dei profondi mutamenti nella coscienza sociale che si stanno compiendo negli ultimi anni e che hanno un’influenza determinante nell’individuazione dello concetto di servizio pubblico e di attività commerciale. Probabilmente la creazione e la regolamentazione da parte del Legislatore di un soggetto societario di vertice del gruppo radiotelevisivo esprime la volontà di politica economica ed industriale, neppure troppo nascosta, di integrare i soggetti operanti sul versante pubblico (o semipubblico) del settore delle comunicazioni televisive in un unico centro giuridico ed economico capace, in potenza, di essere asse portante di sviluppo nel cosiddetto “info-tainement” e di estendere la propria influenza conformativa e regolatoria anche in settori affini o contigui (si pensi alle nuove reti cellulari ed alla diffusione che attraverso di esse viene fatta di prodotti nati espressamente per il mercato televisivo) realizzando un contemperamento delle varie istanze. Secondo altra interpretazione invece proprio la struttura giuridico-economica creata (troppo verticistica ed accentrata) e la correlativa difficoltà data dalla presenza di numerose e contrastanti posizioni d’interesse unite alla volontà, in parte imposta legislativamente, di scorporare alcuni soggetti economico-produttivi dal nuovo gruppo rappresenterebbe il modo migliore per affossare le potenzialità dell’operatore pubblico a favore di altri interessi precostituiti (non necessariamente nazionali od europei) e quindi potrebbe configurare una sorta di “cavallo di Troia” dell’intero sistema, tale da rendere difficile se non impossibile un’integrazione effettiva nel mercato. 4. La disciplina della nuova Rai Radiotelevisione italiana S.p.A. e le regole per la sua privatizzazione ed apertura al mercato. La governance del nuovo soggetto societario ed i riflessi sulla gestione del gruppo Nel capo IV della Legge n. 112/2004, agli articoli 20 e seguenti, viene dettata la disciplina societaria della RAI-Radiotelevisione italiana 121 S.p.A. e si indicano le direttrici attraverso le quali realizzare la privatizzazione di tale soggetto giuridico. In prima istanza si deve sottolineare che, secondo la più accorta dottrina, la Rai rientra (anche dopo la sua trasformazione in forma privatistica realizzata dalla Legge 25 giugno 1993, n. 206) nella categoria delle società d’interesse nazionale disciplinate dall’articolo 2451 del Codice Civile 23. Tale richiamo, lo si deve rilevare, non è più contenuto in un riferimento espresso di carattere legislativo visto che l’articolo 20 della Legge n. 112/2004 afferma testualmente: “Per quanto non sia diversamente previsto dalla presente legge la Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A. è assoggettata alla disciplina generale delle società per azioni, anche per quanto concerne l’organizzazione e l’amministrazione”. Il richiamo alla normativa sulle società di interesse nazionale è quindi da configurarsi come “sistematico” e “funzionale”, ovverosia connesso alla natura stessa del soggetto in questione ed alla funzione di preminente interesse generale che la Rai S.p.A. svolge (rectius deve svolgere) nell’ordinamento in quanto titolare della concessione pubblica radiotelevisiva e quale parte necessitata del contratto di servizio stipulato con il Ministero delle Comunicazioni. Non può sottacersi che detta configurazione determina necessariamente conseguenze di carattere pubblicistico sul soggetto giuridico televisivo e deroghe alla disciplina generale delle società per azioni che deve comunque rappresentare nelle sue finalità un modello ispiratore. Per chiarezza e completezza si deve dire che alcuni interpreti tendono ad individuare nella disciplina sulle società di interesse nazionale solo aspetti prettamente privatistici e di stringente applicazione normativa; in quest’ottica le deroghe previste a favore dei soggetti in questione non possono allora che porsi in contrasto con le Direttive Comunitarie in materia societaria in quanto creerebbero privilegi incomprensibili e contrastanti con le regole di mercato. Ma questa ricostruzione, proprio per ragioni sistematiche e di valutazione degli interessi generali e complessivi, pare da rigettare. È infatti il richiamo alle norme codicistiche dettate in materia di società (capo V, titolo V, libro V del Codice Civile avente ad oggetto la disciplina delle società per azioni) contenuto nell’articolo 2451 c.c. che sembra consentirci deroghe alla stessa disciplina ordinaria: in esso si afferma che l’applicabilità delle sopramenzionate norme generali si realizza compatibilmente con le 23 Art. 2461 Codice Civile ante riforma del libro V. 122 disposizioni delle leggi speciali in materia di società di interesse nazionale e conseguentemente con la disciplina dettata dalle singole disposizioni normative della Legge n. 112/2004 e di quanto stabilito in materia di golden share e di poteri speciali dalla Legge n. 474/1994 che disciplina in linea generale i procedimenti di privatizzazione dei soggetti pubblici ed ex pubblici ossia detta le linee di sviluppo della privatizzazione sostanziale 24; si realizza così un potenziale contemperamento di interessi ed esigenze pubbliche che risultano preminenti perché di carattere strategico per l’ordinamento italiano. L’articolo 20 della Legge n. 112/2004 quindi non fa altro che confermare un’interpretazione connessa alla figura della società di interesse nazionale che non può che essere una figura conformata in senso pubblicistico. Come logica conseguenza di quanto sopra nell’articolato normativo si disciplina innanzitutto, in maniera derogatoria rispetto alle norme di diritto societario comune, la struttura e la composizione degli organi di governo della società Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A. Nell’articolo 20 si afferma che il Consiglio d’Amministrazione deve essere composto da nove membri nominati dall’Assemblea dei soci e che tali amministratori svolgono nella società sia una funzione di gestione societaria in senso proprio sia una funzione di carattere pubblicistico attinente al controllo circa l’adempimento delle finalità e degli obblighi connessi allo svolgimento dei compiti di servizio pubblico generale radiotelevisivo; in tal modo il Consiglio d’Amministrazione si trova ad esercitare un’attività preliminare di valutazione politico-amministrativa in merito alla realizzazione delle funzioni d’interesse generale che derivano dalla titolarità della concessione pubblica cui si salda la stipula del contratto di servizio che disciplina l’atteggiarsi concreto degli obblighi specifici gravanti sulla concessionaria pubblica cui si aggiungono, in via complementare, l’adempimento delle finalità tipiche dei soggetti commerciali ed in primis la produzione di utili. Occorre rilevare che all’interno del quadro societario che deriva dall’operazione in questione nel settore pubblico si avranno soggetti che eserciteranno principalmente attività collegabile al servizio pubblico ed altri in cui invece tale attività 24 Sulle società di interesse nazionale e la loro disciplina cfr. M. S. GIANNINI, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1993, p. 171 e ss. e dello stesso Autore, Diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 1993. Per un inquadramento in un’ottica privatistica del problema della Rai cfr. M. ARGENTATI, Il controllo ministeriale sulla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, in Gior. dir. amm., 2002, n. 10, p. 1115-1122. 123 apparirà recessiva o secondaria rispetto a quella commerciale, essendo ciò connesso anche alla concreta attività posta in essere da tali enti giuridici separati sul piano soggettivo ma unificati sul versante della disciplina di gruppo grazie alla presenza della società di vertice o holding (Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A.), espressione e sintesi degli interessi e dei valori di riferimento degli azionisti pubblici e privati partecipanti al capitale sociale. Tale elemento unificante può permettere una forma di coesistenza tra soggetti societari eterogenei che altrimenti avrebbero difficoltà a coesistere nel perseguimento di obiettivi comuni; il Consiglio d’Amministrazione e le funzionalità che lo caratterizzano rappresentano quindi una delle potenziali chiavi di volta dell’operazione. Per sottolineare ulteriormente questo ruolo pubblico (rectius funzione pubblica) che giustifica la deroga alla disciplina societaria di diritto comune nel quarto comma dello stesso articolo 20 si impone il possesso di requisiti specifici per divenire membro del Consiglio d’Amministrazione della Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A.. Questi requisiti coincidono con quelli necessari per la nomina a giudice costituzionale (ai sensi dell’art. 135 della Costituzione) od in alternativa con il possesso di requisiti simili a quelli richiesti per divenire membro delle principali Autorità di Garanzia cioè una riconosciuta competenza ed un diffuso prestigio professionale, indipendenza di giudizio e di comportamenti ed ancora l’essersi distinti nello svolgimento di attività a carattere professionale nei settori giuridico, economico, scientifico, culturale, manageriale o della comunicazione. Ad ulteriore conferma dell’impostazione di fondo si aggiunge infine, onde evitare ipotesi ulteriori da cui potrebbe insorgere conflitto d’interessi (soprattutto nei confronti di organi politici o di soggetti operanti nel settore della comunicazione), la possibilità per i nominati quali membri del Consilio d’Amministrazione di essere posti in aspettativa non retribuita. Appare interessante sottolineare che la durata del mandato degli amministratori è fissata in maniera certa ed univoca in tre anni rinnovabili una sola volta; con notevole probabilità questa disposizione tende a favorire un ricambio frequente del Consiglio d’Amministrazione al fine d’impedire l’instaurarsi di legami con soggetti politico-economici in grado di influire sulle strategie aziendali nel perseguimento di finalità non connesse all’interesse pubblico tutelato attraverso la concessione 124 pubblica ed il contratto di servizio 25 ovverosia nel tentativo d’impedire pratiche fraudolente e corruttive oltre che anticoncorrenziali e discriminatorie. Altro elemento che è possibile abbia indotto ad introdurre un limite temporale così ristretto è da riscontrarsi in considerazioni statistiche in quanto nessun Consiglio d’Amministrazione della storia recente della concessionaria pubblica ha mai avuto una durata superiore ai diciotto mesi. Non può sottacersi che molto particolare è la procedura di nomina del Presidente del Consiglio d’Amministrazione dato che essa è effettuata dallo stesso Consiglio nel suo seno ma diviene efficace solo dopo aver ottenuto il parere favorevole della Commissione Parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi la quale deve pronunciarsi con la maggioranza qualificata dei due terzi dei suoi componenti. Essendo la Commissione Parlamentare composta da venti deputati e venti senatori nominati dai Presidenti dei due rami del Parlamento su designazione dei gruppi parlamentari ed in maniera da assicurarne la rappresentanza proporzionale, nell’attuale sistema elettorale maggioritario corretto si determinerà una tendenziale “sovrarappresentazione” della maggioranza rispetto all’opposizione, snaturando così la natura eminentemente di garanzia costituzionale che dovrebbe essere propria del Presidente del Consiglio d’Amministrazione della Rai oltre che di garante dell’efficienza e dell’efficacia economicofunzionale dell’azienda. La recente vicenda della nomina del primo Consiglio d’Amministrazione e del suo Presidente secondo le nuove regole appare invece scalfire questa impostazione apparentemente favorevole alla maggioranza governativo-parlamentare in quanto il “candidato del Governo” è uscito sconfitto dallo scontro in Commissione di Vigilanza. Si è aperta una fase nuova non prevista dalla disciplina della Legge n. 112/2004 ovverosia quella di un organo amministrativo parzialmente “acefalo” guidato cioè non da un Presidente designato dalla Commissione ma dal membro del Consiglio La concessione è affidata dalla Legge alla RAI-Radiotelevisione italiana S.p.A. per un periodo di dodici anni dalla data di entrata in vigore della legge stessa (fino al 2016). Il connesso contratto di servizio viene invece rinnovato con cadenza triennale. Sulla configurazione della concessione del servizio pubblico radiotelevisivo e sulla configurazione del contratto di servizio cfr. A. PACE, La televisione pubblica in Italia, in Foro It., V, 1995, p. 245 e ss.; A. PACE, La società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo: impresa come “sostanza” e proprietà pubblica come mera “forma”?, in Giur. cost, 1995, p. 17 e ss. 25 125 d’Amministrazione più anziano: quanto questa nomina “atipica” venga ad influire sull’esercizio dei poteri di direzione da parte di tale soggetto è ancora da determinarsi visto che potrebbe esprimersi sia in una maggiore libertà d’azione sia in una minore autorevolezza e capacità di assumere decisioni e d’imporre posizioni e punti di vista propri (una sorta di capitis deminutio). Altro rilievo che può farsi rispetto a quanto disposto dall’articolo 20 della Legge n. 112/2004 è rappresentato dall’introduzione del voto di lista per la nomina degli amministratori (ovviamente a privatizzazione realizzata almeno in parte); tale meccanismo permette la presentazione di liste di candidati per il Consiglio d’Amministrazione da parte di soci che detengano (o rappresentino) almeno lo 0,5 per cento di azioni aventi diritto di voto nell’assemblea ordinaria; tali liste debbono comprendere un numero di candidati pari al numero dei membri del Consiglio da eleggere. Ad ulteriore conferma del tentativo di realizzare una tutela delle minoranze azionarie in un soggetto giuridico che dovrebbe configurarsi approssimativamente come una public company (seppur distorta dalla presenza dei poteri speciali posti in capo al Ministero ed anche al Parlamento) si afferma la prevalenza, in caso di parità dei quozienti ottenuti dai candidati di differenti liste, del candidato espresso dagli azionisti presentatori di lista che detengano la minore partecipazione azionaria. Le medesime regole di nomina si applicano pure all’elezione dei membri del Collegio Sindacale. Questa congerie di disposizioni sembra essere espressione del tentativo di realizzare comunque, compatibilmente con altri interessi non sempre chiaramente definibili, una forma di tutela e di garanzia a favore degli investitori di risparmio privato anche se indubbiamente non configura una “tutela forte” né tantomeno un’influenza determinante nella gestione societaria quanto piuttosto una forma di moral suasion o di “vigilanza interna” peculiare ed interessata. Questo aspetto comunque è tipico di tutte le situazioni giuridico-materiali che hanno caratterizzato le fasi di privatizzazione e di apertura al mercato dell’esperienza degli ordinamenti contemporanei in cui si è verificata una coesistenza tra pubblico e privato (in particolare quando il soggetto pubblico è quantitativamente preponderante). Per sottolinearne ed esaltarne il ruolo pubblicistico si prevede pure che, in sede di nomina del Consiglio d’Amministrazione e fino alla alienazione completa della partecipazione al capitale sociale, il Ministero dell’Economia e delle Finanze presenti una propria lista di candidati 126 indicando un numero massimo di soggetti proporzionale alla partecipazione azionaria detenuta. Tale lista deve essere formata dal Ministero dell’Economia seguendo le deliberazioni adottate dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza. Il Ministro redige la lista di candidati tenendo conto delle indicazioni della Commissione Parlamentare ed integrandola con proprie valutazioni di carattere discrezionale visto che il comma 7 dell’articolo 20 fa riferimento al successivo comma 9 in cui è sostanzialmente prevista una ripartizione proporzionale delle nomine dei consiglieri tra il Dicastero ed il Parlamento. In senso critico circa la struttura normativa dettata dal legislatore deve evidenziarsi che il Ministro non sembra certo essere in questo caso un dominus ma solamente un soggetto del cui parere non può non tenersi conto anche in Commissione; essa infatti è indubbiamente un “soggetto politico” che conseguentemente esprime valutazioni “politico-discrezionali” mentre il Ministro del Tesoro (pur espressione di una parte politica determinata ossia la maggioranza parlamentare che sostiene il Governo) dovrebbe operare come soggetto “tecnico-politico” avente maggiore contezza delle performaces economico-finanziarie della società e delle sue esigenze gestionali ed amministrative che rappresentano ciò che interessa primariamente agli azionisti-investitori e di cui deve tenersi necessariamente conto. Stesso ragionamento può svilupparsi in merito alla possibilità di adottare deliberazioni di revoca degli Amministratori o la promozione nei loro confronti di azioni di responsabilità. La Legge prevede inoltre che fino a quando le azioni alienate dal Ministero del Tesoro non superino la quota del dieci per cento dell’intero capitale sociale (rectius delle azioni aventi diritto di voto) la nomina dei componenti il Consiglio d’Amministrazione debba seguire una procedura specifica che pare ricalcata su modelli “compromissori” di antico retaggio: sette membri dell’organo dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza ed i restanti due dal Ministero dell’Economia. Tra i nominati dal Ministero deve essere individuato necessariamente (su indicazione dello stesso Ministro) il Presidente del Consiglio d’Amministrazione, una sorta di primus inter pares che può esercitare però una funzione di agglomerazione dei diversi interessi economici e non economici dei soci vecchi e nuovi. La nomina del Presidente diviene però efficace solamente dopo che su di essa si sia espressa favorevolmente la Commissione di Vigilanza con deliberazione adottata a maggioranza dei due terzi dei suoi 127 componenti. A ben vedere questa cessione minima di capitale sociale appare essere più un’ipotesi di scuola che una fattispecie effettivamente realizzabile in quanto il regolamento della Borsa Italiana S.p.A., che gestisce il principale mercato regolamentato italiano, prevede una quota minima pari al venticinque per cento del capitale sociale come condizione fondamentale per l’ammissione alle contrattazioni 26 dei titoli azionari di una qualunque società ed in ciò i soggetti “semipubblici” non fanno eccezione. Questa ricostruzione peraltro appare anche conforme all’intenzione, espressa dal legislatore, di creare una struttura ad ampia diffusione del capitale difficilmente realizzabile con la cessione di una quota scarsamente rilevante dell’intero capitale sociale della RaiRadiotelevisione italiana S.p.A.. In aggiunta si può ricordare che al fine di determinare la massimizzazione degli introiti derivanti dalle procedure di privatizzazione di soggetti societari pubblici è necessario procedere in prima battuta al collocamento di un importo significativo dell’intero “valore industriale” dell’ente pari all’incirca ad un terzo del capitale sociale del soggetto privatizzando; ciò permette infatti di generare un incremento del ricavato (una sorta di “sovrapprofitto”) dalla dismissione di quote successive che abbiano un importo pari od inferiore ad un terzo del capitale sociale complessivamente considerato e con lo scopo evidente di evitare “vendite sottocosto” di aziende pubbliche come avvenuto in alcune delle prime esperienze di privatizzazione dell’ordinamento italiano. La disposizione normativa che detta le regole di governance societaria nell’ipotesi di privatizzazione minima appare ad una lettura più attenta una sorta di clausola di stile, di “paracadute” di salvataggio, nell’eventualità che in sede di approvazione della Legge Gasparri o in sede di attuazione concreta della stessa si verifichino intralci di natura politico-parlamentare connessi alla dialettica istituzionale del Paese 27. La complessa regolamentazione delineata è espressione di diversi e contrapposti interessi che si delineano all’orizzonte della società Regole di carattere particolare sono previste per soggetti societari dotati di capitale sociale ingente. Il caso Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.A. non rientra in questa fattispecie derogatoria delle regole generali. 27 Sul punto cfr. ATTI PARLAMENTARI, Commissione Parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi, Audizione del Ministro dell’Economia e delle Finanze Prof. Domenico Siniscalco, 1° dicembre 2004 in http://www.camera.it. 26 128 concessionaria ovverosia l’interesse pubblico all’adempimento corretto ed imparziale degli obblighi di servizio informativo secondo i principi costituzionali del pluralismo, l’interesse della “Politica” (maggioranza ed opposizione parlamentare-istituzionale) alla gestione degli strumenti dell’informazione di massa con l’intento, non sempre negativo, di influenzarli e controllarli in qualche misura ed infine l’interesse degli investitori-risparmiatori (siano essi piccoli risparmiatori azionisti o acquirenti di quote di fondi comuni partecipanti al capitale Rai) alla realizzazione di una gestione societaria efficiente ed economicamente vantaggiosa seppur contemperata con gli altri interessi generali (di cui sono comunque portatori anche i singoli investitori seppur non vogliano o non possano assecondarli), interessi dei quali gli azionisti non possono non tener conto nel momento in cui divengono parte di una società in via di privatizzazione che opera in un settore delicato e nodale dell’ordinamento statale. È insito nella configurazione giuridico-istituzionale vigente che i diversi soggetti coinvolti nelle procedure di nomina, controllo, indirizzo, vigilanza e gestione della società concessionaria pubblica in via di parziale privatizzazione continuino in qualche modo ad esercitare “forme di esercizio del potere” o comunque attività di “pressione” o di “lobbing” in senso proprio ed improprio sulla società in questione, atteggiamenti che possono andare ad incidere in maniera più o meno evidente ed esteriorizzata sulla gestione quotidiana realizzata dagli organi di amministrazione della Rai-Radiotelevisione italiana S.p.A.; ogni contraria opinione potrà agevolmente essere smentita alla prova dei fatti fintantoché la dismissione del capitale non si avvicini alla totalità delle azioni e finché non si diffonda ampiamente la piena accettazione della nuova posizione e del ruolo nel mercato dell’ente oggetto dell’intervento di dismissione azionaria. A livello di istituzioni politiche infatti queste condizioni spesso generano una sensazione di “spoliazione” da posizioni date per scontate nel corso di decenni e richiedono quindi la prova dei fatti ed il trascorrere di lassi di tempo variabili per essere effettivamente accettate. In maniera chiara ed esplicita, a conferma di quanto più volte ricordato circa l’intenzione di creare una partecipazione diffusa al capitale della Rai, il legislatore ha previsto che nello statuto della società risultante 129 dalla fusione 28 ed oggetto della privatizzazione debba essere introdotta apposita clausola di limitazione al possesso azionario da parte di ciascun azionista, eccezion fatta ovviamente per il Ministero del Tesoro, ed individuandosi tale limite nel possesso di un numero di azioni aventi diritto di voto pari all’uno per cento dell’ammontare complessivo del capitale sociale stesso. In aggiunta a quanto ricordato circa il limite al possesso azionario per ciascun singolo azionista si affianca l’introduzione di un vero e proprio divieto in merito alla stipulazione di patti di sindacato di voto o di blocco (e comunque circa tutti gli accordi fra azionisti ordinari aventi i medesimi scopi ossia tendenti a realizzare il condizionamento delle modalità di esercizio del diritto di voto anche se prodotti attraverso soggetti controllati, controllanti o collegati) aventi ad oggetto il possesso di partecipazioni superiori al due per cento delle azioni ordinarie totali; questo limite ai patti di sindacato significativamente si estende, ai sensi del quinto comma dell’articolo 21 della Legge, anche alla presentazione di liste di candidati alle cariche sociali da parte dei soggetti sopra menzionati. Tali clausole statutarie non possono essere modificate con meccanismi societari tipici (in particolare con deliberazioni dell’Assemblea straordinaria) in quanto dichiarate immodificabili ed efficaci senza limiti di tempo da disposizioni legislative di rango primario. In conseguenza di ciò si può affermare che le clausole in oggetto possano essere cancellate o ridotte nella loro portata solo da una espressa volontà dello stesso legislatore; per completezza deve aggiungersi che in più occasioni a livello comunitario si sono contestate normative simili (soprattutto perché non circoscritte temporalmente e quindi in perpetuo distorsive delle regole della concorrenza e capaci d’impedire scalate ai soggetti societari in questione) regole che apparirebbero lesive dei diritti garantiti dai Trattati comunitari. Nulla esclude comunque che a seguito dell’evoluzione tecnologica ed economica futura ed auspicabile anche queste deroghe al diritto comune possano essere definitivamente superate e quindi abrogate dall’intervento del Legislatore perché non più conformi alla realtà giuridico-materiale sottostante 29. 28 Statuto approvato con Decreto del Ministro delle Comunicazioni in data 8 novembre 2004 previo parere favorevole della Commissione Parlamentare di Vigilanza. 29 A conferma di questa possibilità nella Legge n. 112/2004 si è prevista l’attribuzione della concessione del servizio pubblico radiotelevisivo alla RaiRadiotelevisione italiana S.p.A. per un periodo dodici anni valutando che in tale arco 130 Non senza un chiaro significato pubblicistico nella Legge n. 112/2004 si richiama il D.Lgs. n. 332/1994 convertito con modificazioni dalla Legge n. 474/1994 che contiene la disciplina generale regolante i poteri speciali del Governo (nella veste formale del Ministro del Tesoro) impropriamente detti “golden share” 30. Questi poteri speciali caratterizzano la disciplina dei soggetti giuridici societari che sono stati oggetto di privatizzazione sostanziale e/o che operino in settori di particolare interesse strategico nazionale (sia in senso economicoindustriale che politico-militare): tra essi rientrano espressamente le società ed i gruppi operanti nel settore delle telecomunicazioni ed a maggior ragione quindi la concessionaria pubblica della radiotelevisione che, almeno sino ad oggi, ha rappresentato un elemento centrale dell’intera struttura comunicativa ed informativa nazionale. Attraverso il peculiare meccanismo della golden share si evidenzia infatti che, anche in sistemi giuridico-economici che paiono aver aderito compiutamente ai principi liberisti dell’economia di mercato e quindi tendenzialmente favorevoli a relazioni industriali e commerciali aperte con gli altri soggetti del mercato “globale”, continuano a manifestarsi preoccupazioni circa la reciprocità di tale atteggiamento 31 e circa l’opportunità di aprirsi totalmente a “soggetti estranei” alla realtà nazionale-locale; in certi casi infatti si esprimono in tutta la loro portata fondati timori circa il perseguimento e la realizzazione effettiva dell’interesse nazionale e questi timori sono strettamente connessi a valutazioni economiche ed a temporale l’evoluzione tecnologica possa modificare significativamente il quadro di riferimento tanto da rendere superata l’attuale disciplina. Ciò è stato confermato in più occasioni dallo stesso Ministro O.le Gasparri, autore del disegno di legge. 30 Per un’analisi sintetica ma esaustiva del tema della golden share nelle sue varie manifestazioni si rinvia a G. LOMBARDO, voce Golden share, in Enc. giur. Treccani, 1998. Una valutazione della golden share nei servizi pubblici in R. GAROFOLI, Golden share e Authorities nella transizione dalla gestione pubblica alla regolazione dei servizi pubblici, in Riv. It. Dir. pubb. com., 1998, p. 159 e ss. 31 E ciò si è chiaramente manifestato nella vicenda dell’acquisizione di una partecipazione minoritaria ma di controllo da parte della società francese EDF, totalmente pubblica, nella società Edison che è uno dei principali operatori del settore energetico italiano (assieme ad Enel, AEM, Acea, ecc.). Il Governo è intervenuto nella vicenda realizzando con un intervento normativo una vera e propria “sterilizzazione” della partecipazione azionaria del colosso francese (Decreto Marzano). In questi giorni si parla della possibilità di trovare comunque un aggiustamento della vicenda che dovrebbe realizzarsi attraverso un ingresso di Enel nel mercato francese dell’energia (settore del gas) al fianco della spagnola Endesa ed a scapito del gruppo pubblico GDF. 131 considerazioni di carattere politico che sono il frutto dell’atteggiarsi delle relazioni internazionali e dell’emergere di nuovi pericoli prodotti dalle vicende geopolitiche globali. In sostanza se fino ad alcuni anni addietro queste posizioni che potremmo definire “neoprotezioniste” o “neocorporative” apparivano facilmente criticabili da molti punti di vista (economico-finanziario, giuridico, politico-istituzionale) oggi risulta molto più agevole valutarle, almeno in parte, in maniera positiva visti gli sviluppi degli ultimi anni sulla scena mondiale (solo per fare degli esempi si possono menzionare l’ingresso della Repubblica Popolare Cinese nell’Organizzazione Mondiale del Commercio o le connessioni delle organizzazioni terroristiche internazionali con la realtà economicofinanziaria globale). Come elemento di ulteriore supporto alla struttura industriale descritta dalla disciplina sulla dismissione della partecipazione nel capitale della Rai si prevede che, sino al 31 dicembre 2005, sia vietata la cessione da parte della società di rami d’azienda. Questa disposizione non può che farci ritornare con il pensiero alla vicenda della tentata cessione della società Rai-Way S.p.A (gestore dell’infrastruttura trasmissiva delle concessionaria pubblica) agli americani della Crown Castle International Corporation; tale vicenda in anni recenti ha visto il sorgere di contrasti politico-istituzionali risolti in favore del Ministero delle Comunicazioni grazie ad un intervento del TAR del Lazio 32. Se da un lato la facoltà di dismettere rami aziendali può rappresentare una possibilità interessante per qualunque gruppo di grandi dimensioni (principalmente per reperire risorse ed eventualmente anche per instaurare collaborazioni con altri soggetti operanti nel settore) deve però essere previamente valutata con attenzione onde evitare errori di strategia industriale che potrebbero essere pagati a caro prezzo. Merita però una particolare attenzione proprio la possibilità di dismettere rami aziendali o meglio sarebbe dire società controllate (in origine totalmente, in epoche a venire forse parzialmente) che operino in particolari settori d’attività visto che il riferimento, contenuto nella Legge, ai rami aziendali appare più esemplificativo sul piano intellettuale che tecnico-giuridico (dato che non è ancora chiaro come la struttura di gruppo andrà a configurarsi in concreto). Se infatti l’operare del soggetto Rai-Radiotelevisione italiana TAR Lazio, sez. II, 12 marzo 2002, n. 1897. Un’analisi ampia ed accurata di tale decisione in G. TROPEA, Affare RaiWay: nel giudizio “sul rapporto” i preminenti interessi nazionali prevalgono sulla privatizzazione del mercato radiotelevisivo, in Foro It., 2002, p. 637-644. 32 132 S.p.A. nella sua funzione di holding di gruppo si svilupperà secondo moduli ancora non chiariti ma caratterizzati dalla progressiva convergenza verso modelli e tecniche comuni (standards uniformi) al complesso del settore delle tecnologie dell’informazione potrà apparire vantaggioso o almeno accettabile realizzare queste operazioni di cessione o dismissione concentrando il proprio business in attività determinate che potranno consentire una proficua redditività specializzata (fino a giungere all’estremo di cedere, come già tentato, la rete trasmissiva magari ad un ente autonomo ed imparziale capace di permetterne uno sfruttamento uniforme da tutti i soggetti interessati) 33; in conseguenza potrebbe realizzarsi una maggior integrazione all’interno dello stesso gruppo semipubblico ed una più elevata uniformazione del mercato rispetto agli altri operatori. Dubbi sorgono circa l’individuazione del termine di validità del divieto di cessione di rami d’azienda (fine dell’anno solare 2005); la fissazione di un termine tanto prossimo potrebbe essere stata causata sia da una vera e propria “svista” del Legislatore eccessivamente fiducioso sui tempi delle procedure determinate dalla Legge n. 112/2004 sia dalla volontà esplicita dello stesso di restringere temporalmente tale vincolo al minimo indispensabile per non andare incontro ad aspre critiche politico-parlamentari facilmente prevedibili (accusa di “svendere il patrimonio pubblico”) ed avendo piena coscienza che tale cessione potrebbe rappresentare una semplificazione del gruppo Rai capace di incrementarne lo sviluppo economico-finanziario e di permettere una maggiore omogeneizzazione dei molteplici interessi coinvolti. Come già previsto dalle altre Leggi che hanno disciplinato procedure di privatizzazione si dispone che i proventi derivanti dalle operazioni di collocamento delle azioni ordinarie sul mercato finanziario siano destinati per il settantacinque per cento al Fondo per l’ammortamento dei Titoli di Stato mentre il restante venticinque per cento sia utilizzato per il finanziamento degli incentivi pubblici all’acquisto ed alla locazione finanziaria da parte delle famiglie italiane delle apparecchiature tecniche necessarie (decoder digitali) alla diffusione su larga scala della tecnologia televisiva digitale terrestre. Questo 33 Interessante appare in tal senso sia l’esperienza nel settore elettrico che quella nell’ambito delle telecomunicazioni (in particolare l’utilizzo della rete in roaming per nuovi operatori già sperimentata anche in Italia e la presenza degli operatori cellulari virtuali già realizzata in altri Paesi europei). 133 meccanismo degli incentivi fiscali-finanziari è già stato utilizzato in passato per favorire la diffusione delle nuove tecnologie in ampie fasce della popolazione che altrimenti sarebbero giunte con ritardo ad utilizzare tali strumenti tecnologici con il conseguente incremento del digital divide (si pensi solamente agli incentivi per l’acquisto di personal computer, alle agevolazioni per la diffusione delle connessioni internet a Larga Banda e più addietro nel tempo alle agevolazioni tariffarie della telefonia fissa per le fasce a basso reddito e basso consumo; questi sono solamente alcuni dei numerosi esempi che si possono fare). 5. Una “quasi public company”. Molti interessi, molte finalità ed altrettante problematiche Come già ricordato nella Legge n. 112/2004 si sviluppano parallelamente ed in maniera complementare due distinte discipline normative: quella sull’introduzione della tecnologia digitale terrestre nella radiotelevisione e quella dettata per realizzare la privatizzazione della concessionaria pubblica del servizio radiotelevisivo ossia la RaiRadiotelevisione italiana S.p.A. e la regolamentazione del suo operare quale capogruppo. Questo doppio binario non rappresenta certamente una contraddizione o l’espressione di un non chiaro progetto da parte del Legislatore governativo bensì indica la strada che si intende percorrere per innovare un mercato e renderlo maggiormente competitivo ovverosia favorire, spesso in modo centralistico e calato dall’alto (atteggiamento difficilmente negabile e tipico dell’intera storia istituzionale italiana), lo sviluppo tecnologico convergente verso media trasversali ed interattivi con l’utente finale. Infatti diviene sempre più esercizio di scuola distinguere i contenuti dei messaggi informativi a seconda dei mezzi tecnici attraverso cui questi contenuti vengono veicolati. Televisione, internet veloce a Larga Banda, tecnologie Wi-Fi e Wi-Max, telefonia mobile di terza generazione (UMTS, GPRS evoluto ecc.) e quant’altro fanno apparire obsolete valutazioni societarie, economiche, industriali, di mercato e antitrust ancorate a parametri ormai definitivamente superati o in via di progressivo superamento; valutazioni che spesso sono realizzate tenendo conto della situazione stratificata da decenni ma divenuta progressivamente inattuale. Più fondate eventualmente possono apparire alcune critiche sul metodo utilizzato e sui tempi con cui dare seguito alle riforme in questione ed altrettanto fondati sono i rilievi circa il fatto che attraverso la nuova normativa si da 134 impulso più all’aspetto di privatizzazione soggettiva che a quello di liberalizzazione del mercato delle comunicazioni radiotelevisive e di disciplina del gruppo societario pubblico; ciò però sconfina in parte nel campo della volontà-discrezionalità politica del legislatore ed attiene principalmente all’atteggiarsi dello scontro parlamentare tra maggioranza ed opposizione più che ad analisi giuridico-economiche. Sul punto più strettamente politico circa la procedura di privatizzazione della Rai si può sottolineare che essa non ha costituito oggetto di particolari critiche né da parte del Presidente della Repubblica (nelle diverse occasioni in cui si è rivolto alle Camere nelle forme previste dalla Costituzione circa i temi delle comunicazioni e dell’informazione) né da parte dell’opposizione di centrosinistra che invece ha aspramente criticato sotto altri punti di vista la Legge n. 112/2004 34. Tutto ciò ci induce a credere che la privatizzazione della Rai fosse ormai considerata da tutte le forze in campo una riforma imprescindibile ed attuata secondo linee almeno in parte condivisibili. Queste linee di accordo bipartisan sono da individuarsi nell’intenzione di creare una struttura simile ad una public company (in realtà sarebbe più corretto parlare di public company spuria o quasi public campany vista la sostanziale impossibilità di scalare i vertici societari) o ad una società con noyeau dur (con partecipazione pubblica o con avallo dell’azionista pubblico a seconda della percentuale complessiva di capitale ceduta a privati) capace, al contempo, di permettere un’ampia diffusione della partecipazione azionaria tra il pubblico dei consumatori ed utenti 35 e perseguendo manifestamente l’intento di impedire il 34 Sul presunto declino dello “spirito pubblico” che caratterizzerebbe l’evoluzione istituzionale e politica dell’assetto radiotelevisivo cfr. P. L. CELLI e L. BALESTRIERI, Il piccolo schermo e il declino dello spirito pubblico, in Il Mulino, 2003, n. 2, p. 306-316 che presenta particolare interesse dato che Celli è stato il penultimo Direttore Generale della Rai-TV all’epoca della presidenza Zaccaria. 35 Deve sottolinearsi che la Legge n. 112/2004 prevede l’obbligo di alienare una quota delle azioni in sede di OPV agli utenti in regola da almeno un anno con il pagamento del canone di abbonamento al servizio pubblico radiotelevisivo; tali soggetti non potranno però procedere alla cessione della partecipazione detenuta prima di diciotto mesi dalla sottoscrizione della stessa OPV (cosiddetto lock up). Questa clausola può rappresentare in concreto un disincentivo per la sottoscrizione dell’investimento da parte di piccoli risparmiatori; può forse aggiungersi che una quota della partecipazione sociale alienata probabilmente sarà riservata a coloro che siano dipendenti delle società del gruppo Rai come già avvenuto in passato in occasione della collocazione dei titoli di altri soggetti ex pubblici (ad es. Enel S.p.A.). 135 formarsi di maggioranze azionarie eccessivamente ampie e stabili capaci di contrastare l’azione, eventuale, degli organi pubblici (in particolare del Ministero del Tesoro e della Commissione di Vigilanza) quando ciò appaia opportuno secondo valutazioni discrezionali effettuate dagli stessi soggetti politici attori del processo. Sul punto delle scadenze temporali della procedura si è previsto, in tempi relativamente brevi (quattro, cinque mesi), l’inizio della dismissione di parte del capitale sociale; alcuni in verità ritengono che stanti i problemi connessi all’adempimento degli obblighi di legge e quelli derivanti dalla gestione attuale della società (cioè la questione della scadenza del Consiglio in carica e della sua sostituzione) tali termini, peraltro previsti dalla stessa Legge, non possano che allungarsi per giungere addirittura ad un anno o diciotto mesi (essi comunque dovrebbero avere un significato indicativo della necessità di agire in un lasso temporale breve). Non possiamo neppure sottacere il valore economico e finanziario oggetto della procedura di privatizzazione. Si deve considerare che il valore complessivo della società è compreso tra i 3,5 ed i 5,5 miliardi di Euro (a seconda delle stime che si possono reperire) 36; ben si comprende il significato economico e finanziario dell’operazione per le casse pubbliche e per gli investitori privati, operazione che potrebbe lasciare impregiudicata per diversi altri anni la materiale gestione del soggetto radiotelevisivo da parte dei palazzi della politica: si giustifica quindi il “sostanziale” accordo tra le forze politiche sui punti salienti della Legge Gasparri dato che emerge complessivamente una sostanziale tutela degli interessi espressi dai principali attori politici. L’acquisto di una quota delle azioni della Rai potrebbe rappresentare un investimento finanziario di un certo interesse per i soggetti privati visto che negli ultimi esercizi, grazie ad un’abbondante cura di efficienza e gestione per obbiettivi affiancata alla tradizionale gestione a vocazione pubblica ed informativa, l’azienda ha realizzato un vero e proprio risanamento della sua disastrata contabilità generando utili dell’ordine di diverse decine di milioni di Euro. All’aspetto strettamente commerciale si affianca infatti anche l’apporto rappresentato dal canone 36 Per individuare un termine di paragone si può ricordare che una delle più importanti aziende privatizzate in anni recenti è l’ENI che ha una capitalizzazione di borsa pari a circa ottanta miliardi di Euro. Siamo decisamente ad un ordine di grandezza superiore rispetto alla Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.A.. 136 di abbonamento 37 al servizio radiotelevisivo; a seguito della privatizzazione esso dovrà essere destinato, effettivamente e con separazione contabile, alla realizzazione del servizio pubblico ma ciononostante continua a rappresentare un introito certo e predeterminato (stante anche la difficoltà di distinguere in concreto tra programmazione di servizio pubblico e programmazione economicocommerciale) da affiancarsi potenzialmente ai proventi derivanti della cessione di spazi pubblicitari (attività commerciale in senso stretto), attività che appare significativamente redditizia almeno a livello nazionale. Si deve pure aggiungere, ad ulteriore sostegno dell’investimento, che il Ministro del Tesoro su indicazione degli advisors, in sede di audizione dinnanzi alla Commissione bicamerale per l’Indirizzo generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi, ha descritto la possibilità della determinazione su base triennale del canone in tal modo ampliando l’orizzonte temporale di operatività finanziaria dello stesso, così avvicinando la sua previsione alla pianificazione gestionale di medio-lungo periodo della società e rendendo più certa e trasparente la prospettiva economico-finanziara circa la sua utilizzazione 38. D’altro canto si deve anche paventare l’ipotesi che proprio la tendenziale confusione dei ruoli e delle fonti di finanziamento, in 37 Attualmente il canone di abbonamento al servizio radiotelevisivo ammonta a circa 97 € per ciascun titolare e complessivamente fornisce un gettito di circa 1,5 miliardi di Euro. Per avere un termine di paragone può ricordarsi che la televisione pubblica britannica BBC incassa circa 4,5 miliardi di Euro ma non ottiene proventi dalla vendita di spazi pubblicitari essendo interamente finanziata dagli utenti. Secondo stime approssimative l’evasione del canone di abbonamento al servizio pubblico radiotelevisivo interesserebbe circa il 20 per cento degli utenti della Tv pubblica per un ammontare complessivo tra i trecento ed i quattrocento milioni di Euro in ciascun esercizio finanziario. Sono attualmente allo studio sistemi tecnologici in grado di limitare le possibilità di fruire del servizio senza essere in regola con il pagamento della relativa tassazione; ciò sarà possibile su larga scala con la diffusione della tecnologia digitale terrestre che permette l’utilizzazione di “filtri all’accesso” rappresentati dalle cosiddette smart card già usate nel campo del digitale satellitare. All’innovazione tecnologica dovrebbe comunque essere affiancata una più attenta politica di controlli e l’introduzione di sanzioni di importo adeguato capaci di frenare la diffusa evasione tra l’altro neppure percepita, in ampi strati della popolazione, come un vero “atto illecito”. 38 Ai sensi dell’articolo 18, ultimo comma, della Legge 3 maggio 2004, n. 112 si stabilisce che: “é fatto divieto alla società concessionaria della fornitura del servizio pubblico di cui al comma 3 di utilizzare, direttamente o indirettamente, i ricavi derivanti dal canone per finanziare attività non inerenti al servizio pubblico generale radiotelevisivo”. 137 aggiunta all’ingerenza od almeno all’influenza gestoria della Commissione Parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi, potrebbero indurre gli investitori ad un atteggiamento di diffidenza e di sfiducia nelle possibilità economiche dell’operazione anche alla luce di precedenti esperienze di privatizzazione sostanziale non totale realizzate in Italia. In tal senso si deve guardare al caso della parziale privatizzazione di Enel S.p.A. le cui azioni, sin dalla prima collocazione, apparivano sovrastimate almeno se valutate nell’ottica del piccolo risparmiatore il quale è riuscito a contenere le perdite dei primi due anni soltanto grazie al “bonus” di azioni gratuite attribuite a coloro che avessero conservato quelle acquistate in fase di prima collocazione per almeno dodici mesi. Il caso Enel diverge però da quello della Rai per un maggior grado di “indipendenza” dalla politica in senso stretto nella gestione societaria vista l’iniziale maggior ampiezza della collocazione di capitale azionario ordinario sul mercato ed il minor interesse “di parte” nel governo di tale soggetto economico che ha fatto si che nel medio periodo quello in azioni Enel si sia rivelato un investimento interessante 39 . Non deve comunque negarsi a priori che la stessa operazione di privatizzazione potrebbe rappresentare un forte stimolo all’introduzione di prassi di corretta ed efficiente gestione ed alla piena accettazione delle logiche e delle dinamiche di mercato anche nel settore radiotelevisivo ed in particolare sul versante pubblico stante l’influenza esercitata dagli amministratori nominati dalle minoranze azionarie attraverso il meccanismo del voto di lista e la funzione di controllo che possono esercitare in Consiglio. 6. Alcune considerazioni conclusive Allo scopo d’indurre il mercato ad accettare le inevitabili peculiarità di un investimento come quello in azioni della privatizzanda società radiotelevisiva dovrebbe realizzarsi, compiutamente ed in forma tale da emergere al di fuori delle sedi amministrative e politico-parlamentari, Sulla disciplina del mercato elettrico e sulla privatizzazione dei soggetti operanti nel settore deve sottolinearsi che la bibliografia è piuttosto nutrita. Tra i molti interventi si menzionano i seguenti: G. NAPOLITANO, L’energia elettrica e il gas, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo speciale, Milano, Giuffrè, 2003; F. DI PORTO, Regolazioni di “prima” e “seconda” generazione. La liberalizzazione del mercato elettrico italiano, in Mercato conc. reg., 2003, n. 2, p. 201 e ss.; C. SCARPA, Chi ha paura della concorrenza nel settore elettrico? Note a margine del Decreto Bersani, in Mercato conc. reg., 1999, n. 1, p. 105 e ss. 39 138 un’opera preliminare di snellimento della struttura societaria ed un aumento del livello di efficienza nella gestione economico-finanziaria delle risorse disponibili (anche di quelle umane); ciò con notevole probabilità renderebbe più chiaro ed evidente al pubblico dei potenziali azionisti le possibilità di rendimento dell’investimento in azioni RaiRadiotelevisione italiana S.p.A. Altro elemento che depone favorevolmente nella valutazione circa la convenienza economico-finanziaria ad investire nell’impresa anche per singoli risparmiatori può essere rappresentato dall’ampio numero di attività complementari a quella televisiva in senso stretto che vengono svolte dalla concessionaria pubblica attraverso le società partecipate; questa infatti a differenza del principale competitore privato ha rami d’attività già operativi nel settore radiofonico e nei nuovi media cui si aggiungono, caso raro nel panorama pubblico europeo, disponibilità finanziarie nette di una certa rilevanza (circa 38 milioni di Euro nell’ultimo esercizio finanziario), le quali evidentemente rappresentano un presupposto positivo per la realizzazione di investimenti capaci di incrementare la redditività della partecipazione sociale cui va però unita una univoca volontà degli organi di gestione non sempre coerente sotto questo aspetto della gestione sia delle singole società partecipate che dell’intero gruppo (si pensi infatti al ritardo accumulato dal servizio pubblico in merito alla realizzazione degli investimenti per l’infrastruttura digitale terrestre). Taluni, proprio per tentare di rendere appetibile la partecipazione al capitale Rai, hanno proposto di procedere ad una redistribuzione parziale, a favore dei nuovi azionisti privati, delle riserve accumulate nei bilanci del gruppo Rai. Questa operazione può essere condivisa a patto che non si determini in tal modo una carenza di risorse da destinare ad investimenti tecnologici ormai improcrastinabili e che rappresentano il più efficace mezzo di sviluppo societario ed economico e quindi il miglior investimento nel medio e lungo periodo, orizzonte temporale del piccolo azionista investitore aderente all’OPV di azioni Rai. Potrebbe aggiungersi anche una maggiore attenzione circa l’impiego delle risorse disponibili in bilancio al fine di realizzare produzioni effettivamente capaci di essere esportate all’estero con vantaggi economici anziché puntare su produzioni localistiche e di basso valore aggiunto, produzioni che difficilmente vengono collocate su 139 mercati televisivi evoluti e quindi inadatte a generare vantaggi economico-finanziari rilevanti. Non dovrebbe neppure trascurarsi la possibilità, ed in certi casi addirittura la necessità, di giungere ad accordi industriali e commerciali con soggetti esteri che operino nel medesimo campo della comunicazione radiotelevisiva. Queste joint ventures potrebbero infatti consentire alla società italiana di acquisire lo “spessore” per poter effettivamente operare anche a livello internazionale; ciò non potrebbe che far aumentare il valore e la redditività dell’investimento. Circa questa possibile collaborazione si deve sottolineare che essa non sembra incontrare il favore dell’attuale gruppo dirigente ed in particolare del Direttore Generale che vi individua una sorta di incompatibilità con gli interessi specifici e con il piano industriale dell’azienda pubblica radiotelevisiva la quale, secondo le stesso Direttore, avrebbe in sé le risorse sufficienti per crescere in autonomia e necessiterebbe piuttosto dell’iniezione di capitali finanziari e della partecipazione strategica di soggetti del mercato finanziario e bancario 40 più che di veri e propri partners industriali. Questa intenzione di non sviluppare accordi di tal sorta appare aver sostenuto lo stesso Legislatore nella redazione della Legge n. 112/2004 sol che si consideri il limite posto al possesso di azioni ordinarie ed i limiti fissati per la stipula di patti parasociali: espressione evidente, oltre che della volontà di creare una sorta di public company spuria, anche dell’intenzione di favorire partecipazioni di investitori con interessi finanziari e non prettamente industriali. In conclusione si deve quindi affermare che la disciplina dettata dalla Legge 3 maggio 2004, n. 112 per procedere alla privatizzazione della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo ed alla regolamentazione del gruppo societario cui è posta a capo non può considerarsi di per sé esaustiva della problematica in oggetto (cessione parziale al mercato) ma deve necessariamente essere affiancata da ulteriori elementi di riforma che vanno dall’adozione di politiche governative effettivamente favorevoli all’introduzione delle nuove tecnologie ed a una loro ampia ed economica diffusione tra tutta la popolazione (un passo favorevole in tal senso appaiono gli indirizzi in 40 ATTI PARLAMENTARI, Commissione Parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi, sedute del 26 e 27 ottobre 2004. Intervista rilasciata dal Direttore Generale della Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.A. Dott. Flavio Cattaneo al settimanale Economy del 3 marzo 2005. 140 tema di e-government) passando per maggiori livelli di efficienza e per l’adozione di una politica di “affezione” degli utenti al servizio pubblico ed al soggetto giuridico che lo gestisce (almeno temporaneamente), fino a giungere ad un incremento della trasparenza e dei meccanismi di garanzia degli investitori-risparmiatori soprattutto a seguito delle vicende finanziarie degli ultimi anni. Alla disciplina strettamente attinente alla privatizzazione dovrebbero poi affiancarsi interventi seri ed organici di vera e propria liberalizzazione del mercato radiotelevisivo che rappresentano l’altra colonna portante di ogni mercato evoluto capace di allocare in maniera efficiente le risorse disponibili e la determinazione di più chiari intenti sul piano dello sviluppo e della gestione dell’insieme dei soggetti facenti parte del panorama societario della televisione pubblica. Sul piano della disciplina di privatizzazione in senso stretto la Legge n. 112/2004 sembra aver colto, almeno in parte, i suggerimenti forniti dalla dottrina negli ultimi anni (pur dovendo considerare la particolarità del soggetto privatizzando) sul versante della governance societaria e della struttura e disciplina di gruppo; altri passi avrebbero potuto essere compiuti nel tentativo di rendere maggiormente coerente ed integrata la gestione dei plurimi interessi coinvolti nella gestione del gruppo Rai, agendo senza mascherarsi dietro albi di sorta per tentare di sistematizzare ed integrare efficacemente le problematiche poste sul terreno in modo da dettare soluzioni almeno parzialmente definitive. A scusante degli autori della Legge n. 112/2004 deve però portarsi la notevole difficoltà a coagulare i diversi interessi che caratterizza tipicamente il panorama economico, istituzionale e politico italiano. In conclusione si può affermare che la Legge n. 112/2004 contiene in sé gli assi portanti ed i valori di riferimento di un’operazione economico-finanziaria importante che necessitano di ulteriori passaggi, formali ed informali, tali da far sì che divenga appetibile divenire “soci di minoranza” della Politica nel capitale della Rai-Radiotelevisione Italiana S.p.A. 141