IL GIORNALE ITALIANO DI
CARDIOLOGIA INVASIVA
N. 2 • 2008
LA RADIOPROTEZIONE DEGLI OPERATORI E DEI
PAZIENTI IN RADIOLOGIA INTERVENTISTICA
Alessandro Tofani
Struttura Complessa di Fisica Sanitaria, Azienda USL 6, Livorno
Introduzione
La radiologia interventistica offre la possibilità di trattare un ampio spettro di patologie in un numero elevato
di pazienti e a un costo inferiore rispetto alle tecniche
chirurgiche tradizionali. Essa consente inoltre di ridurre
i rischi per il paziente utilizzando tecniche minimamente invasive e requisiti anestesiologici meno stringenti.
Per questo motivo tale metodica è in rapida espansione
in tutte le nazioni tecnologicamente sviluppate, con un
tasso di crescita del numero di procedure per unità di
popolazione dell’ordine del 12-25% all’anno(1). A questa
tendenza non si è sottratta l’interventistica cardiologica,
come dimostrato anche da una recente indagine a livello
regionale(2) da cui è risultato che l’interventistica vascolare è responsabile di quasi il 17% della dose efficace collettiva da esposizioni mediche, mentre l’angiografia diagnostica si attesta ad oltre il 7%.
A partire dai primi anni ’90 sono comparsi resoconti di
reazioni tissutali radioindotte sulla cute di pazienti sottoposti a pratiche di radiologia interventistica. Pochi anni
più tardi ci si è resi conto che anche gli operatori potevano essere soggetti a danni da radiazioni, soprattutto a
livello oculare (cataratta). In effetti la radiologia interventistica ha peculiarità, riassumibili nei punti seguenti:
• procedure complesse e protratte nel tempo;
• vicinanza degli operatori rispetto al paziente;
• utilizzo di apparecchiature dedicate in grado di erogare
possibili alti ratei di dose;
• tempi di esposizione generalmente lunghi;
• schermature protettive parziali o assenti.
Ciò fa sì che la dose al paziente - da cui dipende anche la
qualità dell’immagine radiologica - sia correlata in
maniera complessa con la dose agli operatori.
In questo lavoro vengono illustrate le grandezze fisiche
2
più idonee a valutare la dose agli operatori e al paziente
in radiologia interventistica e gli accorgimenti che possono giocare un ruolo chiave nella riduzione di tale dose.
Sono inoltre illustrati alcuni aspetti della legislazione
vigente che hanno implicazioni nel processo di ottimizzazione e di registrazione della dose. Le considerazioni
espresse si riferiscono alle apparecchiature radiologiche
standard utilizzate in ambito interventistico (sistemi con
arco a «C» muniti di tubo radiogeno a potenziale costante ed intensificatore di brillanza ad elevata efficienza),
ma i principi base sono applicabili anche nel contesto
dei più recenti sviluppi tecnologici come i rivelatori
digitali e la fluoro-CT.
La legislazione in materia di radioprotezione
La genesi della legislazione radioprotezionistica avviene,
almeno in tempi recenti, mediante recepimento delle
Direttive EURATOM emesse dalla Commissione Europea
(CE). Queste ultime a loro volta attingono, dal punto di
vista tecnico-scientifico, dalle pubblicazioni di organismi
sovranazionali specializzati come l’International Commission on Radiological Protection (ICRP), l’International
Commission on Radiological Units and Measurements
(ICRU) e l’International Atomic Energy Agency (IAEA), il
cui compito è quello di adeguare le norme di buona tecnica al progresso delle conoscenze nel settore delle radiazioni ionizzanti.
La legislazione nazionale in origine non si occupava della radioprotezione dei pazienti: l’ambito di applicazione
del D.P.R. 185/84 - il primo provvedimento legislativo
che ha recepito le Direttive di base della CE per la radioprotezione emanate nel 1959 - era quello della protezione dei lavoratori e della popolazione dai rischi derivanti
dall’utilizzo delle radiazioni ionizzanti.
LA
RADIOPROTEZIONE
DEGLI
OPERATORI
Sono dovuti passare più di 30 anni prima che il nostro
Paese recepisse le Direttive CE che nel frattempo si erano accumulate a seguito dell’evoluzione della radioprotezione. Soltanto nel 1995 infatti viene promulgato il
D.Lgs. 230/95, che per la prima volta estende il proprio
campo di applicazione fino a coprire anche la radioprotezione dei pazienti. Nel 2000, a seguito dell’emanazione della Direttiva 97/43/EURATOM della Commissione Europea in materia di protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse a esposizioni mediche, vengono promulgati nello stesso giorno (26 maggio) due decreti legislativi: il n. 187,
che recepisce appunto la nuova Direttiva, e il n. 241, che
apporta sostanziali modifiche al D.Lgs. 230/95 e separa
la radioprotezione del paziente dalla radioprotezione dei
lavoratori e della popolazione; a quest’ultimo decreto
verranno apportate modifiche l’anno successivo con il
D.Lgs. 257/01. La caratteristica saliente di tutti questi
decreti legislativi è quella di demandare molti aspetti
tecnici e operativi a decreti applicativi, molti dei quali
però non sono ancora stati promulgati. Nonostante si sia
ovviato a questa carenza facendo riferimento ad alcuni
allegati, la situazione è a tutt’oggi decisamente insoddisfacente, soprattutto nelle parti che sono legate a settori
in cui l’evoluzione tecnologica è stata molto applicata.
Uno di questi è quello dei livelli diagnostici di riferimento (LDR), che costituiscono uno strumento di ottimizzazione su cui torneremo a parlare in seguito; per il
momento basti osservare che manca una specifica di tali
indicatori per la radiologia interventistica nonostante la
gran mole di misure che si è accumulata in questo campo(3) e che i LDR presenti nel D.Lgs. 187/00 (relativi ad
alcuni esami di radiologia convenzionale e tomografia
computerizzata) fotografino la situazione tecnologica dei
primi anni ’90 del secolo scorso.
Vi sono alcuni principi di base a cui si informano tutti i
dispositivi legislativi inerenti la radioprotezione, ma la
loro espressione è diversa a seconda che ci si riferisca ai
pazienti oppure alla popolazione e ai lavoratori.
Principio di giustificazione
Nel caso della radioprotezione di lavoratori e popolazione questo principio afferma che tutte le pratiche con
radiazioni ionizzanti debbano essere giustificate (preli-
E DEI
PAZIENTI
IN
RADIOLOGIA INTERVENTISTICA
minarmente se nuove, periodicamente se già in atto). In
termini quantitativi, deve essere:
Σ [vantaggi (economici, sociali ecc.) - detrimento sanitario] > 0
dove i vantaggi e il detrimento vanno specificati secondo
opportuni indicatori numerici (ad esempio, associando
loro un valore monetario).
Nel caso delle esposizioni mediche, il principio afferma
che tutte le esposizioni mediche devono essere giustificate a livello individuale. Questo può esprimersi affermando che:
Δ = beneficio (al paziente e alla collettività) – danno al paziente > 0
a livello del singolo soggetto all’esame. Anche in questo
caso occorre specificare opportuni indicatori per valutare quantitativamente tale disequazione.
Principio di ottimizzazione
Nel caso della radioprotezione di lavoratori e popolazione, qualsiasi pratica deve essere svolta in modo da mantenere l’esposizione al livello più basso ragionevolmente
ottenibile, tenuto conto dei fattori economici e sociali. Si
tratta del principio noto anche con il termine ALARA,
acronimo di As Low As Reasonably Achievable. In termini
quantitativi si può affermare che la funzione:
C = costo danni economici e sociali relativi
a un certo livello di dose + costo radioprotezione necessaria
a ottenere il dato livello di dose
debba essere minimizzata. La dose ottimizzata è quella
che corrisponde al minimo della precedente funzione. È
noto infatti che più è alto il livello di dose cui espongo i
lavoratori o gli individui della popolazione maggiore
risulta il danno economico e sociale dovuto alla comparsa di neoplasie radioindotte nei soggetti esposti. D’altra
parte, più è basso il livello di dose oltre cui vogliamo
non siano esposti lavoratori o soggetti esposti, maggiori
e quindi più onerosi sono gli accorgimenti radioprotezionistici che devono essere messi in atto per impedire il
superamento di quel livello di dose. La quantificazione
dei componenti la funzione non è tuttavia né semplice
3
IL GIORNALE ITALIANO DI
CARDIOLOGIA INVASIVA
né univoca, soprattutto quando si tratta di assegnare un
valore monetario alle perdite di vite umane.
Nel caso delle esposizioni mediche il principio afferma
che tutte le dosi devono essere mantenute al più basso
livello ottenibile compatibilmente con il raggiungimento dell’informazione diagnostica voluta. In forma quantitativa si può affermare che il rapporto:
R=
dose paziente
qualità diagnostica dell’immagine
debba essere minimizzato. Come vedremo in seguito,
per quantificare la dose al paziente si utilizza generalmente la dose efficace E. Più complessa risulta invece la
situazione nel caso della qualità diagnostica dell’immagine; occorre infatti individuare un indicatore della qualità
fisica dell’immagine (quindi direttamente misurabile) e
postulare (o verificare) l’esistenza di una correlazione
positiva fra tale indicatore e la qualità diagnostica percepita dal radiologo(4). Inoltre occorre osservare che non
esiste una qualità diagnostica ottimale in assoluto, ma
solo in relazione al quesito clinico proposto.
Principio di limitazione delle dosi
Questo principio non si applica alle esposizioni mediche
in quanto sarebbe privo di senso imporre limiti generali
a situazioni che devono essere valutate caso per caso e
nelle quali la necessità di rispondere al quesito clinico
può essere strettamente legata alla sopravvivenza del
paziente. Nel caso dei lavoratori e degli individui della
popolazione, il principio afferma che la somma delle
dosi derivanti da tutte le pratiche non deve superare
opportuni limiti, che sono differenziati per i lavoratori e
per la popolazione. Tali limiti sono tali da impedire con
un notevole margine di sicurezza l’insorgere di reazioni
tissutali e, nel caso dei lavoratori, sono tali da produrre
un detrimento dovuto ai soli effetti stocastici confrontabile con quello associato ad altre attività lavorative ritenute a basso rischio.
I danni prodotti dalle radiazioni ionizzanti
Quando un fascio di radiazione X attraversa del tessuto
biologico, una parte dell’energia della radiazione viene
utilizzata per produrre ionizzazione, cioè strappare elettroni dagli atomi e molecole del tessuto, i quali a loro
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volta cedono parte della loro energia per spezzare legami
chimici e produrre sostanze tossiche a livello cellulare.
La dose assorbita dal tessuto è il rapporto tra questa
energia e la massa del tessuto irraggiato; essa si misura in
gray (Gy), dove un Gy equivale all’energia di 1 joule (J)
assorbita da una massa di 1 kg.
Benché vi siano meccanismi biologici molto efficienti
per riparare i danni radioindotti, quando le dosi sono
elevate è probabile che il danno non sia completamente
riparabile e quindi che la cellula subisca modifiche irreversibili; molte di queste portano alla morte cellulare,
mentre altre producono mutazioni che, nel caso di cellule somatiche, sfociano talvolta nella generazione di una
cellula potenzialmente neoplastica. Qualora siano invece
coinvolte cellule germinali, si possono avere danni genetici nella discendenza degli individui irradiati.
Se le dosi sono tali da produrre la morte di un gran
numero di cellule senza che l’organismo possa rispondere in maniera sufficiente a tale perdita, si hanno reazioni
tissutali, altrimenti note come danni deterministici, le
cui peculiarità sono le seguenti:
• esiste una soglia di dose (variabile da tessuto a tessuto)
al di sotto della quale, in media, non si hanno effetti;
• una volta superata la soglia, la gravità dell’effetto risulta proporzionale alla dose assorbita dal tessuto.
Un campione di dosi soglia per effetti deterministici di
interesse in radiologia interventistica è riportato in
Tabella I; in essa sono riportati nelle due colonne più a
destra anche i tempi medi di fluoroscopia (nelle modalità a basso ed alto rateo di dose) necessari per raggiungere
tali soglie.
Qualora invece la dose sia inferiore alla soglia il danno è
di tipo stocastico, cioè non si può affermare con certezza
che si manifesterà (come invece accade per le reazioni
tissutali), ma si può soltanto stabilire la probabilità che
esso si manifesti. La caratteristica degli effetti stocastici è
quella di essere del tipo tutto-o-niente. Se l’effetto non si
manifesta, l’individuo rimane indenne. Se invece
l’effetto si manifesta, la sua gravità non dipende dalla
dose assorbita (come si è detto, l’effetto consiste nell’induzione di neoplasie con esito anche fatale oppure nella
produzione di danni genetici). La probabilità che
l’effetto si manifesti (in eccesso rispetto all’incidenza
naturale) ha una dipendenza dalla dose assorbita la cui
LA
RADIOPROTEZIONE
DEGLI
OPERATORI
E DEI
PAZIENTI
IN
RADIOLOGIA INTERVENTISTICA
TABELLA I
Dosi soglia per effetti deterministici di interesse in radiologia interventistica(1)
Effetto
Dose soglia (Gy)
Eritema transitorio
Minuti di fluoroscopia
@ 0,2 Gy/min
2
100
10
7
350
35
Desquamazione secca
14
700
70
Necrosi cutanea
18
900
90
Telangiectasia
10
500
50
Cataratta
>5
>250 al cristallino
>25 al cristallino
Radiation-related cancer risk
Depilazione permanente
Minuti di fluoroscopia
@ 0,02 Gy/min
le alla dose assorbita per quanto piccola essa sia. Secondo questo modello, la probabilità Pexc che l’effetto si
manifesti (in eccesso rispetto all’incidenza naturale) è
data da:
Pexc = pE _ E
b
a
c
e
d
Dose
Figura 1. Rappresentazione grafica delle possibili estrapolazioni a basse dosi della curva dose-effetto relativa ai
sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki (5).
natura non è ancora stata stabilita con certezza. I dati
epidemiologici a disposizione sono prevalentemente
quelli condotti sui sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. L’estrapolazione di questi
risultati a dosi molto basse è tuttora oggetto di accese
diatribe nella comunità scientifica; in Figura 1 sono illustrate diverse relazioni dose-effetto, ciascuna delle quali
ha una coorte più o meno numerosa di sostenitori(5).
Nelle sue ultime raccomandazioni(6), l’ICRP ha suggerito
di mantenere il cosiddetto “modello lineare senza soglia”
(Linear No-Threshold, LNT, curva a di Fig. 1), secondo
cui la probabilità che l’effetto si manifesti è proporziona-
dove E è la dose efficace (v. oltre), misurata in sievert (Sv;
nel caso di radiazione X il sievert coincide numericamente col gray) e pE è un coefficiente nominale di probabilità (in unità Sv-1) il cui valore è riportato in Tabella
II per diversi effetti e diverse categorie di esposti.
A titolo di esempio, diamo una stima del rischio totale di
neoplasie per un operatore di radiologia interventistica.
Assumendo una dose efficace annua di 10 mSv (la metà
del limite di dose previsto dal D.Lgs. 230/95 e s.m.i. per
i cosiddetti “lavoratori esposti di categoria A”) e un totale
di 35 anni lavorativi, a fine carriera l’operatore avrà accumulato una dose di 10×35=350 mSv=0,35 Sv. In base
alla Tabella II, la probabilità di neoplasie radioindotte
sarà Pexc=0,35×4,1×10-2=1,4×10-2≡1,4%. Questa probabilità va a sommarsi all’incidenza naturale di neoplasie,
che come sappiamo è dell’ordine del 25-30%.
TABELLA II
Coefficienti nominali di probabilità per il modello LNT(6)
pE (10-2 Sv-1)
Categoria di esposti
Neoplasie
Effetti ereditari
Totale
Intera popolazione
5,5
0,2
5,7
Lavoratori adulti
4,1
0,1
4,2
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IL GIORNALE ITALIANO DI
CARDIOLOGIA INVASIVA
Determinazione della dose
Le grandezze utilizzate per caratterizzare l’esposizione
sono la dose efficace E (che si riferisce all’individuo irradiato nella sua globalità), la dose equivalente HT (che si
riferisce al singolo organo o tessuto) e la dose superficiale in ingresso ESD. La prima è idonea a caratterizzare i
rischi di tipo stocastico (sia per il paziente che per gli
operatori); la seconda può essere utilizzata sia per caratterizzare in maniera più accurata gli effetti stocastici che
per valutare l’eventuale insorgenza di reazioni tissutali
(ad esempio, la cataratta radioindotta quando l’organo
interessato è il cristallino), la terza è legata all’insorgere
di effetti deterministici (in genere, sulla cute del paziente). La dose efficace è definita dall’equazione:
E = ΣT wT HT
dove i termini wT che compaiono nella sommatoria sono
fattori di peso che rappresentano la radiosensibilità relativa dei diversi organi irradiati (ciascuno dei quali assorbe una dose HT). Sia E che HT sono grandezze che non
possono essere misurate direttamente in un soggetto
vivente. Esse possono essere determinate solo per via
indiretta utilizzando coefficienti di conversione che moltiplicano una grandezza direttamente misurabile(2), quale
ad esempio il prodotto area-dose (DAP, Dose-Area Product) o la stessa ESD. Tali coefficienti di conversione
sono peraltro ricavati attraverso simulazioni su fantocci
antropomorfi che riproducono un paziente di taglia
standard (il cosiddetto reference man), per cui la loro
applicazione a individui le cui caratteristiche anatomiche differiscano in maniera sensibile da quelle di tali
fantocci può portare a risultati poco attendibili.
Nello schema di Figura 2 sono riportate alcune relazioni
utili per determinare le grandezze dosimetriche dal rendimento del tubo radiogeno e dalla geometria di irradiazione. Per una data apparecchiatura, il rendimento (inteso come dose in aria erogata dal tubo radiogeno a una
certa distanza d dal fuoco) varia con il quadrato della
tensione di picco e inversamente al quadrato della
distanza. Poiché l’area del campo di radiazione cresce
con la distanza come d 2, ne segue che - trascurando
l’assorbimento dell’aria - il DAP risulta indipendente da
d. La ESD viene calcolata considerando la dose in aria
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N. 2 • 2008
Figura 2. Le relazioni che intercorrono tra le diverse
grandezze geometriche, il rendimento del tubo radiogeno
e la geometria di irradiazione.
alla distanza fuoco-pelle (DFP) e moltiplicandola per il
fattore di retrodiffusione BSF (Back-Scatter Factor, che
tiene conto della radiazione diffusa dal corpo nella direzione opposta a quella di incidenza). Per definizione, la
ESD è valutata sull’asse centrale del fascio di radiazione;
in generale avremo una distribuzione di dose in aria Da
su tutta l’area del fascio di radiazione; per passare da
dose in aria a dose in tessuto DT occorre moltiplicare la
prima quantità per il rapporto dei poteri frenanti massicci nei due mezzi, che nel range di energie utili per la
radiodiagnostica vale circa 1.06. La dose equivalente alla
cute Hskin è appunto il valore della dose nel tessuto cutaneo mediata su tutto il volume irradiato. Una stima
grossolana di Hskin si può ottenere mediando il valore di
dose in aria sull’area di cute interessata dal fascio primario di radiazione e moltiplicandola sia per il fattore 1.06
che per il valore di BSF appropriato. Mentre Hskin rappresenta un valore medio, e quindi appropriato per
descrivere gli effetti delle radiazioni ionizzanti sulla globalità del tessuto irradiato, la massima dose cute locale
PSD (Peak Skin Dose) rende conto di eventuali effetti
localizzati su aree di tessuto molto piccole dovuti a hot
spots nella distribuzione di dose (a loro volta determinati
dalla conformazione della superficie cutanea e dalla
distribuzione di intensità del campo di radiazione). Se il
valore di PSD è comunque inferiore a una delle soglie di
Tabella I, l’insorgere della corrispondente reazione tissutale può essere ragionevolmente escluso. In tempi recenti l’International Electrotechnical Commission (IEC) ha
introdotto il concetto di dose cumulativa (CD, Cumulative Dose), che è il valore di dose in aria misurato in uno
LA
RADIOPROTEZIONE
DEGLI
OPERATORI
specifico punto, detto Interventional Reference Point
(IRP); l’IRP è definito per sistemi fluoroscopici con isocentro come quel punto sull’asse del fascio posto a 15
cm dall’isocentro in direzione del fuoco. Quindi
CD=Da(IRP); da notare che - dipendentemente dalle
dimensioni del paziente, dall’altezza del lettino e dall’inclinazione del fascio - l’IRP può cadere al di fuori del
paziente oppure può coincidere con la cute o ancora può
trovarsi all’interno del paziente(8). Alcune apparecchiature di recente costruzione sono munite di hardware e
software (in genere, opzionali) che consentono di mappare la distribuzione di dose in cute (e quindi determinare PSD) o dare una stima di CD.
I protocolli di qualità sulle apparecchiature per fluoroscopia adottati a livello nazionale e internazionale sono
in netto ritardo rispetto all’evoluzione tecnologica; basti
pensare che la Food and Drug Administration (FDA)
richiede come metodo per la stima di dose la sola indicazione del tempo di fluoroscopia. Quanto questa indicazione sia insufficiente è mostrato dalle seguenti considerazioni, che sono utili anche in vista dell’ottimizzazione
della dose:
• a parità di rateo di dose R, la dose (integrata nel tempo)
è diversa a seconda che si abbia fluoroscopia continua o
pulsata; e in quest’ultimo caso il valore di dose dipende
dal cosiddetto duty-cycle D=τ /T, dove τ è la durata dell’impulso di radiazione e T è il periodo dell’impulso
(per cui più basso è D minore risulta la dose);
• a parità di modalità fluoroscopica, il rateo di dose R
può essere diverso per i seguenti motivi:
- variazione della distanza fuoco-pelle;
- variazione delle dimensioni del paziente (nei sistemi
muniti di controllo automatico dell’esposizione);
- variazione delle dimensioni del campo di radiazione
(zoom);
- variazione della tecnica fluoroscopica (ad esempio,
da standard ad angiografica).
La situazione a livello nazionale è solo leggermente
migliore; i criteri minimi di accettabilità per le apparecchiature di radiologia interventistica esposti nell’Allegato II del D.Lgs. 187/00 prevedono la presenza del timer
(con relativo allarme una volta superati ≤10 minuti di
fluoroscopia) e impongono limiti sul rateo di dose per
diverse modalità, senza peraltro specificare in che modo
E DEI
PAZIENTI
IN
RADIOLOGIA INTERVENTISTICA
Figura 3. I diversi contributi alla dose assorbita dall'operatore e il loro legame con la dose assorbita dal paziente.
misurarlo nella pratica clinica. Inoltre, all’art. 8 dello
stesso decreto viene stabilito che le apparecchiature di
nuova installazione devono essere munite, se fattibile, di
un non meglio precisato “...dispositivo che informi lo specialista circa la quantità di radiazioni prodotte dall’attrezzatura nel corso della procedura radiologica...”. Attualmente questo dispositivo è stato interpretato come
misuratore di DAP, e come tale offerto (spesso come
optional) dalle ditte costruttrici.
Il legame tra dose al paziente e dose all’operatore è illustrato in Figura 3. La radiazione primaria che incide sul
paziente viene diffusa sia dal paziente che dall’attrezzatura (lettino, intensificatore di brillanza ecc.). Una parte di
questa radiazione diffusa intercetta il corpo dell’operatore e viene da questo assorbita (e in parte a sua volta diffusa). Anche la radiazione di fuga, cioè quella parte di
radiazione non facente parte del fascio utile proveniente
dal tubo radiogeno e che riesce a superare la barriera della guaina, può intercettare il corpo dell’operatore anche
se in genere il suo contributo (escludendo eventuali danni alla guaina), è trascurabile. Tipicamente l’intensità
della radiazione diffusa è inferiore di un fattore circa 10-3
all’intensità della radiazione che l’ha generata; in alcuni
casi però le estremità superiori dell’operatore possono
intercettare il fascio primario e quindi essere esposte a
un’intensità molto più elevata delle restanti parti del corpo. In ogni caso - per un dato paziente e una data geometria di irradiazione - la distribuzione spaziale della
dose cui viene esposto l’operatore ha un andamento
piuttosto complesso e comunque non assimilabile a
un’irradiazione omogenea del corpo intero. Questo è
7
IL GIORNALE ITALIANO DI
CARDIOLOGIA INVASIVA
confermato dalle curve di isointensità illustrate in Figura
4 che illustrano due esempi di distribuzione spaziale, di
cui una nel piano orizzontale (con tubo inclinato di 90°)
e l’altra nel piano verticale (con il tubo nella classica
configurazione a 180°).
La distribuzione a sinistra di Figura 4 ha un carattere
piuttosto controintuitivo in quanto mostra come l’operatore che guarda il tubo radiogeno riceva una dose più
bassa degli operatori che sono di fronte all’intensificatore di brillanza. Questo andamento si spiega con il fatto
che il contributo principale alla dose viene dalla radiazione diffusa e che questa è tanto maggiore a) quanto
più vicino è il corpo diffondente e b) quanto minore è la
distanza tra sorgente della radiazione primaria e corpo
diffondente. Poiché inoltre l’intensità della radiazione
diffusa - a parità dei restanti parametri - dipende dall’angolo di diffusione privilegiando angoli maggiori di 90°,
nella distribuzione a destra di Figura 4 si ha una dose
maggiore alla metà inferiore del corpo dell’operatore rispetto alla metà superiore. Questo andamento, anch’esso
non immediatamente intuitivo, mostra l’importanza di
barriere protettive quali gli schermi mobili da applicare
al lettino radiologico.
Nel caso di irradiazione delle estremità superiori, le
grandezze utili per monitorare l’eventuale insorgenza di
N. 2 • 2008
reazioni tissutali a carico dell’operatore sono ancora PSD
e Hskin. Qualora invece si voglia valutare la possibilità di
cataratta radioindotta, la grandezza da considerare è la
dose equivalente al cristallino, Heye. La grandezza che
invece rende conto degli effetti stocastici nella loro globalità è la dose efficace E. Come si è visto, sia la dose
equivalente che la dose efficace sono grandezze non
misurabili. Al loro posto si utilizzano le cosiddette
“grandezze operative” che nel caso presente sono gli
equivalenti di dose personale alle profondità d Hp(d ),
con d pari a 10 mm (corpo intero), 3 mm (cristallino) e
0,07 mm (cute). Benché anche la definizione di Hp(d )
non sia esente da ambiguità, è possibile tarare dosimetri
direttamente in termini di essa, oppure è possibile calcolare coefficienti che permettono di convertire grandezze
direttamente misurabili (come la dose in aria) in Hp(d ).
Ricordiamo infine che, mentre per i lavoratori esposti di
categoria A è tassativo l’utilizzo del dosimetro individuale, per gli esposti di categoria B la dosimetria individuale
può essere effettuata sulla scorta di misure ambientali. In
questo caso la grandezza operativa da utilizzare è
l’equivalente di dose ambientale alla profondità di 10
mm H* (10), per la quale valgono considerazioni analoghe
a quelle fatte per Hp(d ).
Abbiamo detto che la determinazione di Hp(d ) può essere
Figura 4. Distribuzione spaziale del rateo di dose. A sinistra, distribuzione su un piano orizzontale con tubo inclinato a
90° (da Balter S. Stray Radiation in Fluoroscopy); a destra, distribuzione su un piano verticale con tubo inclinato di 180°
(da IAEA L16.2. Optimization of Protection in Fluoroscopy).
8
LA
RADIOPROTEZIONE
DEGLI
OPERATORI
Figura 5. Dipendenza della risposta di un dosimetro a termoluminescenza da energia della radiazione incidente
(grafico di sinistra) e direzione della radiazione incidente
(grafico di destra).
Da: Omura H. Personal Dosimetry Techniques (TLD). Training
Course E8. Nuclear Technology and Education Center.
fatta per mezzo di dosimetri (a film e/o termoluminescenza). Tra gli esperti in radioprotezione c’è una notevole
disparità di vedute su quanti dosimetri individuali utilizzare e sulla loro collocazione. Tra i diversi approcci quello
sicuramente più accurato consiste nell’utilizzare due dosimetri, uno esterno in prossimità del collo e l’altro al di
sotto del camice protettivo nella consueta posizione
all’estremità superiore del tronco. Il valore di Hp(d ) è dato
da una combinazione lineare delle due letture. Sussiste
tuttavia il problema delle dose al cristallino e alle estremità superiori (occasionalmente intercettate dal fascio primario) per le quali occorrerebbero dosimetri specifici.
Inoltre il doppio dosimetro pone problemi di tipo organizzativo, soprattutto quando la radiologia interventistica
non è attività esclusiva, ma concomitante con altre tipologie di esposizione. Come alternativa è comunque possibile effettuare misure ambientali e campionare il rateo di
dose da radiazione diffusa nello spazio occupato dagli
operatori (per i diversi valori dei parametri geometrici e di
esposizione utilizzati nella pratica clinica), fermo restando
che tali dati saranno utilizzabili direttamente solo per gli
esposti di categoria B, mentre per gli esposti di categoria
A serviranno solo come verifica aggiuntiva.
Due ulteriori ordini di problemi interessano la dosimetria individuale. Il primo è legato all’appropriatezza delle
grandezze operative; queste infatti possono essere utilizzate al posto delle corrispondenti grandezze dosimetriche
solo se ne rappresentano una (ragionevole) sovrastima.
Per Hp(10) questo è vero per la maggior parte delle energie
dei fasci primari utilizzati in radiodiagnostica, ma non è
più così quando si consideri lo spettro della radiazione
diffusa, che è degradato verso energie più basse e per le
E DEI
PAZIENTI
IN
RADIOLOGIA INTERVENTISTICA
quali il rapporto Hp(10)/E può essere inferiore all’unità.
L’altro problema riguarda la risposta dei dosimetri individuali, che dipende fortemente: a) dall’energia della radiazione, soprattutto nella regione delle basse energie, e b)
dalla direzione della radiazione incidente, come illustrato
in Figura 5. Le cose sono poi ulteriormente complicate
dal fatto che la radiazione con cui si ha a che fare non è
mai né monoenergetica né tanto meno monodirezionale
(come si vede anche in Figura 3).
Ottimizzazione della dose
Per quanto detto sinora, una volta fissata la geometria e
la tecnica di irradiazione esiste una correlazione positiva
tra la dose al paziente e la dose all’operatore; in altri termini, la dose all’operatore cresce con la dose al paziente.
La forma funzionale di questa dipendenza è funzione dei
parametri sopra menzionati, per cui la loro scelta dovrà
essere fatta secondo opportuni criteri.
La priorità viene data all’ottimizzazione della dose al
paziente, per cui la scelta dei parametri di esposizione e
della tecnica di irradiazione dovrà essere tale da ottenere
una qualità dell’immagine adeguata con la minima dose
al paziente; dovranno inoltre essere adottati tutti quegli
accorgimenti necessari per scongiurare l’insorgere di reazioni tissutali. Una volta raggiunto questo primo obiettivo si procederà a minimizzare la dose allo staff adottando opportuni accorgimenti (sia tecnici che operativi).
Entrando in maggiore dettaglio, possiamo dire che gli
elementi che influenzano maggiormente la dose al
paziente (e indirettamente quella allo staff ) sono:
• tensione di picco V e corrente anodica I: la dose erogata dall’apparecchiatura varia come I×V 2, per cui la
dipendenza dalla tensione è molto più marcata di
quella dalla corrente. Le apparecchiature munite di
controllo automatico dell’esposizione aggiustano V ed
I in funzione della taglia del paziente e della regione
anatomica irradiata al fine di avere un rapporto segnale/rumore (SNR, Signal to Noise Ratio) ottimale per
l’intensificatore di brillanza (I.B.). Nella modalità
manuale (o in assenza di controllo automatico) la scelta dei parametri di esposizione deve essere fatta tenendo conto del fatto che il valore di V governa il contrasto dell’immagine, mentre quello di I ne governa la
luminosità. A parità di SNR la dose assorbita dal
9
IL GIORNALE ITALIANO DI
CARDIOLOGIA INVASIVA
paziente cresce rapidamente al diminuire di V (cioè al
diminuire dell’energia media dello spettro X), per cui
una buona strategia per ottimizzare la dose al paziente
è di utilizzare il massimo valore di V combinato con il
minimo valore di I tali da raggiungere contrasto e
luminosità dell’immagine adeguati;
• distanza fuoco-pelle e distanza I.B.-pelle: la dose assorbita dal paziente cresce al diminuire della prima (che quindi va massimizzata), mentre il SNR cresce al diminuire
della seconda (che quindi va minimizzata); inoltre più è
piccola la distanza I.B.-pelle minore è l’angolo solido
della radiazione diffusa proveniente dallo stesso I.B.;
• zoom: occorre ricordare che - dovendo mantenere un
SNR costante sull’I.B. - se si diminuiscono le dimensioni del campo di radiazione (aumentando il fattore
di zoom) la dose cresce in proporzione inversa all’area
del campo. Pertanto l’utilizzo di fattori di zoom elevati
deve essere limitato al minimo indispensabile;
• tempo di fluoroscopia: a parità di modalità (continua
o pulsata con un duty-cycle assegnato), la dose assorbita dal paziente è direttamente proporzionale al tempo
di scopia, che pertanto deve essere limitato facendo
ricorso, ove disponibile, alla possibilità di “congelare”
l’immagine sul monitor (image freeze);
• rateo di dose e duty-cycle: a parità di tempo di fluoroscopia la dose assorbita dal paziente cresce linearmente con
il rateo di dose e con il duty-cycle. Pertanto vanno limitate le esposizioni con fluoroscopia continua e va scelto il
rateo di dose più basso per avere la qualità di immagine
desiderata. Qualora si utilizzi la cinematografia, il numero di frame al secondo deve essere ridotto al minimo(9).
Per quanto riguarda la seconda fase, cioè la minimizzazione della dose allo staff, essa si basa sui principi standard della radioprotezione dei lavoratori integrati da
alcuni accorgimenti specifici per la radiologia interventistica. I principi standard sono:
• riduzione del tempo di esposizione, un principio che si
è visto utile anche nella riduzione della dose al paziente; come corollario a questo principio si suggerisce di
utilizzare fluoroscopia pulsata anziché continua ogniqualvolta sia possibile;
• incremento delle distanze dalla sorgente di radiazione:
nel caso di radiazione diffusa vale ancora, sia pure in
maniera approssimata, la legge dell’inverso del quadra10
N. 2 • 2008
to delle distanze; alcuni operatori sono vincolati a
rimanere in prossimità del paziente per cui questo
principio si può applicare solo in parte; per altri (I.P.
assistente di sala, anestesista, tecnico di radiologia) tale
incremento è concretamente realizzabile;
• utilizzo di barriere protettive: tutto il personale presente nella sala in cui si svolge attività di radiologia interventistica deve essere munito di camici protettivi. Lo
spessore protettivo consigliato è quello massimo compatibile con uno svolgimento agevole delle attività cliniche (generalmente si utilizzano spessori da 0,25 a
0,5 mm di Pb equivalente). Per il personale che opera
in vicinanza del paziente è opportuno l’utilizzo di ulteriori protezioni: collari e occhiali protettivi, paratie
mobili (schermi pensili), grembiuli schermati da
applicare al lettino radiologico.
Come si è visto, una volta fissata la geometria di irradiazione alcune posizioni dell’operatore sono maggiormente esposte di altre. Possiamo anche chiederci come vari
l’esposizione in una determinata posizione al variare della geometria di irradiazione. Innanzitutto è da preferirsi
la posizione con tubo radiogeno al di sotto del lettino
radiologico in modo che la radiazione diffusa più intensa colpisca le estremità inferiori e non la testa; inoltre
con questa disposizione è possibile l’utilizzo di barriere
protettive che invece ostacolerebbero l’attività qualora il
tubo radiogeno fosse al di sopra del lettino. Per le orientazioni oblique del tubo, è stato notato che alcune di
esse portano a una variazione del rateo di dose fino a un
fattore 5; ad esempio, la proiezione obliqua anteriore
sinistra sembra produrre un rateo molto più elevato della corrispondente destra (10). Data comunque la forte
dipendenza dal tipo di attrezzatura e dal tipo di attività
svolta, il suggerimento è quello di chiedere al proprio
esperto qualificato di produrre una mappa del rateo di
dose nelle diverse posizioni operative e per differenti
orientazioni del tubo, incluse quelle oblique nella direzione cranio-caudale.
Registrazione della dose
La registrazione della dose erogata nel corso di procedure
interventistiche serve a soddisfare due distinte necessità:
• ottemperare agli obblighi di legge e in particolare
all’art. 12 (comma 1) del D.Lgs. 187/00 che prevede
LA
RADIOPROTEZIONE
DEGLI
OPERATORI
la registrazione a livello individuale delle indagini con
radiazioni ionizzanti;
• fornire i dati necessari per ricostruire la dose al paziente (soprattutto quando sussiste la possibilità di reazioni
tissutali) e per valutare il rischio degli operatori.
L’intento del legislatore è quello di monitorare l’impatto
radiologico delle esposizioni mediche. Al comma successivo dello stesso articolo si precisa infatti che le regioni
debbono provvedere a valutare le esposizioni a scopo
medico della popolazione, e ciò è fattibile se ciascuna di
esse viene registrata. Nei flussi informativi regionali vengono di solito riportati, oltre ai codici della struttura
sanitaria e del reparto erogante la prestazione, il codice
nomenclatore della prestazione e le caratteristiche del
soggetto che ha usufruito della prestazione stessa (in
genere, sesso ed età). Può accadere che alcune prestazioni di radiologia interventistica sfuggano a questa ricognizione sia perché non sono contemplate dal nomenclatore regionale, sia perché sono comprese sotto altre
voci del nomenclatore medesimo, sia infine perché svolte in regime di ricovero. In tutti questi casi è necessario
attrezzarsi per la registrazione in maniera autonoma.
Per valutare la possibilità di effetti deterministici a carico
del paziente è necessario un certo numero di informazioni, tra cui almeno le seguenti:
• regione anatomica irradiata;
• parametri e tecnica di esposizione utilizzati;
• durata dell’esposizione.
Sarà compito dell’esperto in fisica medica valutare, sulla
scorta di questi dati e delle caratteristiche dell’apparecchiatura (misurati durante le prove periodiche di qualità)
se sussiste la possibilità di superare le soglie riportate in
Tabella I. In particolare, se la valutazione indica una dose
cute ≥3 Gy a fine procedura (o ≥1 Gy per una procedura
che probabilmente verrà ripetuta), le norme di buona
tecnica(1) suggeriscono una serie di azioni da intraprendere, tra cui la creazione di una mappa del corpo con le dosi
stimate, la visita del paziente dopo 10-14 giorni dalla
procedura per identificare eventuali effetti cutanei,
l’avvertimento al medico curante ed al paziente stesso sui
possibili sintomi e su cosa fare alla loro comparsa.
Per quanto riguarda la dose allo staff, la valutazione del
rischio per ogni tipologia professionale viene fatta incrociando le misure ambientali effettuate periodicamente
E DEI
PAZIENTI
IN
RADIOLOGIA INTERVENTISTICA
dall’esperto qualificato con il carico di lavoro effettivo
(utilizzando in ogni caso opportuni fattori di sicurezza).
Quest’ultimo viene calcolato sulla scorta delle registrazioni delle procedure erogate durante un certo arco di tempo, per cui l’omissione di alcune di esse si traduce automaticamente in una sottostima del rischio su base annua.
Le registrazioni di dose possono essere fatte su supporto
sia cartaceo che informatico; in quest’ultimo caso molte
apparecchiature di recente costruzione sono corredate di
pacchetti software che includono un database in grado di
archiviare, per ogni singolo paziente, tutte le esposizioni
cui è stato sottoposto con le rispettive caratteristiche.
Questo solleva il personale dal compito - necessario ma
tedioso - di registrare su carta le singole procedure e al
tempo stesso consente di raggiungere una dovizia di informazioni difficilmente ottenibili con la registrazione cartacea(11). Occorre comunque osservare che per un utilizzo
proficuo di sistemi siffatti il personale deve essere opportunamente addestrato e devono essere fornite dall’esperto
in fisica medica indicazioni adeguate sui livelli di dose da
non superare nelle diverse condizioni operative.
Conclusioni
Le considerazioni riportate nei paragrafi precedenti
mostrano quali siano le priorità delle azioni da intraprendere per un impiego efficace e sicuro della radiologia interventistica. Occorre innanzitutto un grande
impegno per la formazione degli operatori per un utilizzo di questa peculiare modalità che risponda al requisito
di base dell’ottimizzazione. Tale approccio non può essere solo teorico, ma deve avvalersi di esempi pratici concreti (simulazioni con fantocci) progettati con il supporto dell’esperto in fisica medica e dell’esperto qualificato.
Anche sul fronte della sicurezza del paziente e dello staff
molto può essere fatto a livello formativo, soprattutto
per quanto riguarda l’individuazione, per ogni tipologia
di intervento, di quei parametri critici (tempo di esposizione, DAP ecc.) al di sopra dei quali sussiste la possibilità di reazioni tissutali. Il supporto della tecnologia è in
questo caso determinante, per cui è auspicabile sia un
adeguamento del parco macchine che l’adozione in fase
di capitolato di acquisto di requisiti più stringenti su
questo fronte, evitando che dispositivi ormai ritenuti
necessari vengano proposti come (costosi) optional.
11
IL GIORNALE ITALIANO DI
CARDIOLOGIA INVASIVA
A livello legislativo occorre recepire quanto è stato fatto
sia a livello nazionale che internazionale sul fronte dei
LDR in modo da colmare al più presto questa lacuna
proprio in un ambito che si è rivelato essere da un lato in
rapido sviluppo e dall’altro rischioso per la potenziale
erogazione di alti livelli di dose al paziente. In attesa che
il legislatore faccia la sua parte, nulla vieta comunque
l’adozione a livello locale dei LDR che saranno ritenuti
più appropriati per ciascuna tipologia di intervento.
Infine, occorre ricordare l’importanza dei controlli
periodici di qualità sulle apparecchiature visto il ruolo
preponderante di alcuni parametri (come ad esempio la
N. 2 • 2008
tensione di picco) e di alcuni dispositivi (come il controllo automatico dell’esposizione) nel governare la dose
erogata al paziente e , conseguentemente, quella suscettibile di essere assorbita dallo staff. Purtroppo esiste sempre un certo gap temporale tra evoluzione tecnologica e
protocolli di qualità; a titolo di esempio, ricordiamo che
la calibrazione dei misuratori di DAP non è menzionata
in nessun protocollo. Anche in questo caso il suggerimento è quello di agire a livello locale, sfruttando tutte
le competenze disponibili per individuare una politica
intelligente e mirata che consente di assicurare qualità in
questo delicato settore.
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Recommendations of the International Commission on Radiation
Indirizzo per la corrispondenza:
Alessandro Tofani
Struttura Complessa di Fisica Sanitaria - Azienda USL n. 6
Viale Alfieri 36 - 57124 Livorno
12
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