#08
MENSILE DI STORIE E NOTIZIE
FIORENTINE E TOSCANE
#08
Mensile di storie e notizie fiorentine e toscane N. 8— Gennaio 2013
Trasmesso a 4000 indirizzi e-mail
Direttore Responsabile
LILLY MAGI
Vicedirettore
FABIO M. FABRIZIO
Hanno collaborato
FRANCO MORALDI
COSIMO DAMIANO NICOLETTI
FEDERICO RUPI
MARILLI RUPI
ROBERTO VACCA
Coordinamento editoriale
PIER LODOVICO RUPI
17/12/1600 Jacopo Chimenti detto L’Empoli, - Maria dé Medici ed Enrico IV,
IL VASARIANO è edito da
Associazione “Il Vasariano”
Via Bottego, 30—Arezzo
Reg. Trib. n. 4/11 RS
Sito con i numeri del Vasariano presente e precedenti
www.ilvasariano.it
Indirizzo della redazione
[email protected]
#08
Storia Minore
Dall’Europa
LA BICICLETTA
PERPLESSITA’
di F. Rupi
Vite
Scienza
GINO BARTALI
OBESITA’
di R. Vacca
Storia del Costume
Arte
LIBERTY E DONNA CRISI
MODIGLIANI
di M. Rupi
di F. Moraldi
Costume
Calcio
LA RUOTA
ZAIRE 1974
di F. M. Fabrizio
di C. D. Nicoletti
Testimonianze
Motori
MAGNIFICI ANNI ‘60
VECCHIE SIGNORE
di A. de Pinolis
Cultura
Poesia
ARRICCHIAMO IL LINGUAGGIO
LA PIOGGIA NEL PINETO
di G. D’Annunzio
Storia Locale
Rubriche
PIAZZA DEGLI ARANCI DI MASSA
BRIDGE
Economia
LA RECESSIONE E LE BANCHE
di Simplicius
LA BICICLETTA
di Federico Rupi
Nel 1791, il Conte Mede de Civrac
realizza il primo veicolo a due ruote, cui dà
il nome di “celerifero”. Senza pedali e
senza sterzo, il ciclista si installa a
cavalcioni sul mezzo e si muove dandosi la
spinta sul terreno con i piedi. Alla sua
comparsa, il celerifero è solo un
passatempo alla moda, senza utilizzazione
pratica. Nel 1818, Karl von Drais vi
aggiunge lo sterzo, brevetta l’invenzione e
dà al velocipede sterzante il nome di
“draisina”.
Nel 1864 compare a Parigi unl
velocipede con due ruote a grandezza
diversa e nel 1869 compare a Londra il
biciclo “Ariel” con una enorme ruota
anteriore.
Il fatto è che, applicando i pedali
direttamente alla ruota anteriore, quanto
più questa ruota è grande quanto
maggiore è lo spazio percorso con un giro
di pedalata. Queste biciclette con la ruota
anteriore sempre più grande per
raggiungere maggiore velocità finiscono
per divenire pericolose e il loro utilizzo
diventa sinonimo di virilità. Ma nello stesso
tempo si diffonde il termine “faccia da
ciclista” per indicare un volto spaurito e
tremebondo, tale è la precarietà
dell’andare in queste biciclette.
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Il problema sarà risolto con la catena
applicata tra due ruote dentate, una
grande solidale con i pedali e una più
piccola solidale con la ruota posteriore che
tornerà così uguale a quella anteriore.
Grande discussione si accenderà nei
primi anni del ‘900 tra molti che si vorranno
appropriare dell’invenzione della bicicletta:
francesi, inglesi, tedeschi pretenderanno di
essere stati loro a inventare il veicolo a due
ruote e a Parigi si terrà perfino una
Conferenza Internazionale sul Ciclismo nella
quale si dibatterà a chi spetti l’invenzione.
Finché dal Codice Atlantico di Leonardo da
Vinci verrà fuori il disegno di una bicicletta
completa di pedali e catena, assai
1478 - 1519
Codice Atlantico di Leonardo da Vinci
somigliante a quella attuale.
Nel dopoguerra, in Italia ci sarà il
“boom” della bicicletta e gli italiani si
divideranno, tra Coppi e Bartali. Poi il
rombo della “formula 1” e la complessità
del gioco di squadra del calcio
appanneranno il mito delle due ruote.
Ma la bicicletta tornerà sicuramente
in auge, mezzo individuale, perfetto ed
elegante, modello di equilibrio che passa
sopra la terra senza lasciar traccia,
strumento di mobilità nobile rispetto agli
altri che sporcano, consumano, inquinano e
fanno rumore.
Nei primi decenni del ‘900 la bicicletta perviene ad una
forma tecnicamente ed esteticamente perfetta.
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La vita è come andare in bicicletta. Se ti fermi perdi l’equilibrio e cadi
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Come fu che bartali
salvo’ l’italia
1948, non è facile per gli italiani
presentarsi al “giro di Francia”. La
“pugnalata alla schiena” che appena otto
anni prima l’Italia ha assestato alla Francia
ha lasciato un profondo solco. La nostra
squadra è diretta dal leggendario Alfredo
Binda e punta tutto su Gino Bartali. Ma
Bartali ha trentaquattro anni e pochi lo
considerano in grado di competere con i
corridori francesi, molto più giovani.
Il Tour inizia il 30 giugno del ‘48 e le
prime tappe vedono emergere il grande
campione
francese
Louison
Bobet.
Nonostante Bartali riesca a segnare
qualche vittoria, il giovane bretone si
difende nettamente meglio del toscano,
conquistando sin dalla sesta tappa la
maglia gialla. I francesi attaccano a
ripetizione
Bartali
per
metterlo
definitivamente fuori gioco e il 13 luglio il
toscano si ritrova con 21 minuti di ritardo
rispetto a Bobet.
Ormai molti giornalisti italiani al
seguito del Tour fanno rientro in patria, non
sembrando esserci più speranze di successo
per i nostri colori.
A Roma, alle 11,30 del 14 luglio , il
giovane Antonio Pallante spara quattro
colpi di rivoltella su Palmiro Togliatti e
l’Italia è sull’orlo della guerra civile. Nei
due giorni successivi si contano trenta morti
e seicento feriti.
La sera stessa dell’attentato il
Presidente del Consiglio, Alcide de
Gasperi, telefona a Bartali incitandolo a
vincere per distrarre e tirar fuori l’Italia
dalla situazione in cui sta precipitando.
Bartali è assolutamente motivato e vuole
vincere, deve vincere. Davanti a lui c’è il
colle d’Izoard, una salita di 16 Km al 7%
che scollina a 2361 metri sul livello del
mare. Il clima è rigidamente invernale. Sui
tornanti di questa salita durissima, entrata
nella leggenda del ciclismo, Bartali se ne
va, con una serie di micidiali scatti che
fanno il vuoto alle sue spalle. Lo sforzo, la
sofferenza sono estremi, ma c’è l’assoluta
volontà di vincere, di mantenere la
promessa fatta a De Gasperi. Louison
Bobet è in ritardo di oltre 19 minuti.
Il 16 luglio, un’altra tappa di grande
impegno. Anche qui Bartali è incontenibile e
nessuno riesce a tenere la sua ruota. Finchè
Bartali corona l’avventura con la maglia
gialla in un clima di tripudio generale
dell’Italia entusiasta e rasserenata.
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dal liberty alla donna crisi
di Marilli Rupi
Nel 1875, a Londra, il commesso Arthur
Lasenby Liberty si mette in proprio e apre
un negozio al numero 218 di Regent Street.
Vende arredamenti e soprammobili di
provenienza, o di gusto orientale.
Nasce da questo negozio il movimento
artistico che prende il nome dal
proprietario, “Liberty”, ma che si espande
rapidamente nei paesi europei, dove,
sospinto dal montante nazionalismo di quel
periodo, prende altrettanti nomi diversi: Art
Noveau in Francia, Jugen Stil in Germania,
Sezessionstil in Austria, Styl Mlodej in
Polonia, Nieuwe Kunst in Olanda, Modern
Style in Gran Bretagna, Art Joven in
Spagna, Floreale in Italia.
In quegli anni, dal 1875 fino alla
prima guerra mondiale, chiamati non per
caso “belle epoque”, una minoranza
elitaria vive in una atmosfera privilegiata
di ricercatezze e raffinatezze, mentre
l’Europa sembra avviata verso la stabilità e
la pace. E “le magnifiche sorti e
progressiste” delle trasformazioni industriali
in corso sembrano promettere a breve
benessere per tutti. Ma non sarà così. Il
colpo di Sarajevo accende una smania
suicida
collettiva,
classi
intellettuali
dominanti e potenti Imperi si gettano a
capofitto nel baratro della guerra
trascinandovi dietro popoli ignari. E, come
una maledizione, il pozzo infernale dopo
aver divorato cinque milioni di vite umane,
si riaprirà di nuovo appena un ventennio
più tardi.
Nei decenni che precedono la guerra
mondiale compaiono queste immagini
cariche di attesa e di ambiguità, nelle quali
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si può trovare la premonizione di quello
che avverrà tra breve tempo.
Dopo l’innesco del negozio “Liberty”,
che azzera il rigore geometrico del
neoclassicismo e lo sostituisce con le linee
ambigue e sfuggenti e i riferimenti fluidi e
naturalistici della cultura orientale, con la
contemporanea diffusione delle produzioni
industriali, si avverte l’esigenza di
introdurre una ideologia estetica per questi
nuovi processi; e le immagini generate dal
“Liberty” si ritrovano a interpretare questo
tentativo e finiscono col rappresentare il
primo esempio di “industrial design”, che
così importante rilievo assumerà negli anni
futuri: la linea come espressione di forza e
di dinamismo, il colore come simbolo di
vitalità, la forma come veicolo di
comunicazione e di cultura. All’inizio si
tratta di una produzione raffinata,
destinata ad una clientela limitata e assai
ricca, l’alta borghesia che detiene gli
archetipi delle immagini suggestive. Nitore
e astrattezza, sinuosità e simbolismo, sono
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le cifre di questa estetica impalpabile ed
evanescente. Ma sono categorie che
concludono un tempo che non tornerà, più di
riferirsi ad un passato sembrano
appartenere ad un futuro che non si è
avverato. La storia ci racconta che per gli
europei non ci fu “lascia-passare”. Le
immagini della “belle epoque” non
potranno tornare negli anni che seguiranno.
Non potranno tornare dopo la Shoa e
Hiroshima, non potranno tornare dopo i
gulag e i campi di sterminio, non potranno
tornare dopo Hitler e Stalin.
L’immagine della “belle epoque” si
chiude con la visione terribile della Medea
che guarda se stessa.
Nell’intervallo tra i flagelli delle due
guerre, dalle fiorenti e vaporose madame
della “belle epoque” si passa alla silhouette
filiforme della donna-crisi, icona vivente del
crollo del ‘29 costruita dal genio di Coco
Chanel.
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LA RUOTA DEGLI INNOCENTI
di Fabio Massimo Fabrizio
La Grecia di Solone ammette
l’infanticidio. A Roma, i neonati non
accettati sono abbandonati alla “columnia
lactaria” dove, se non vengono raccolti da
qualcuno per farne degli schiavi, sono
destinati a di morire di inedia e di fame.
Con il Cristianesimo, Costantino
introduce la condanna a morte per
l’infanticidio. Nel VI secolo, Giustiniano
equipara l’abbandono all’infanticidio.
La prima Ruota degli esposti nasce in
Francia nel 1188 per iniziativa dei monaci.
In Italia, nel 1198, Innocenzo III la istituisce
nell’ospedale di S. Spirito di Roma. Nei
secoli successivi, la Ruota si diffonde in
Europa e, con il grande aumento
demografico e il diffondersi della miseria,
essa diverrà più che un modo per disfarsi
dei figli, una soluzione per dar loro da
mangiare. Il ricorso ad essa avrà una
grande diffusione: a Milano, negli anni tra
il 1845 e il 1864, nella Ruota della Pia
Casa degli Esposti di Santa Caterina
verranno abbandonati 85.267 bambini.
Nel XIX secolo, con l’attenuarsi della
povertà, si andrà verso l’abolizione della
Ruota che in Italia si completerà nel 1923.
Il 6 dicembre 2006 la Ruota sarà
nuovamente installata al Policlinico Casilino
di Roma, con il nome di “Culla della vita”; e
l’iniziativa sarà imitata in altre città.
Ovviamente si tratta di una ruota high-tech,
con incubatrice incorporata, telecamera,
trasferimento automatizzato, ecc
Il numero dei neonati abbandonati è
oggi assai elevato, tuttavia la gran parte
di essi non passa per la Ruota perché la
legge riconosce alla mamma che
abbandona il figlio il diritto di anonimato.
A Firenze, in piazza Santissima
Annunziata, sotto il portico dell’Ospedale
degli Innocenti, è visibile nella parte sinistra
una finestra raggiungibile con tre scalini. Un
tempo, all’interno c’era un tamburo di legno
ruotante per i neonati abbandonati e ai lati
una campanella. Sotto c’è una targa:
“Questa fu per quattro secoli fino al 1875
la ruota degli innocenti segreto rifugio di
miserie e di colpe alle quali perpetua
soccorre quella carità che non serra porte”
Papa Gregorio VII, Gengis Khan, Jean Jacques Rousseau sono esposti celebri.
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I MAGNIFICI ANNI ‘60
di Aristarco de Pinolis
Mi laureai dunque nel giugno del
1968 nella noiosissima facoltà di
Ingegneria di Bologna, nella quale nulla di
sessantottesco si era fatto minimamente
sentire, neanche un giorno di sciopero,
neanche un ripostiglio occupato.
Trovato subito un lavoro in un’impresa
di costruzioni, mi iscrissi tuttavia, per un
qualche interesse culturale, alla facoltà di
Architettura di Firenze dove, al contrario,
regnava il pieno caos rivoluzionario e dove
un breve sopralluogo bastò a farmi capire
la necessità di aggregarmi passivamente a
qualche gruppo di studenti che si sapessero
districare nel caos.
Mi inserii dunque in un nutrito
manipolo composto di ben 192 colleghi,
con i quali avrei partecipato agli esami di
gruppo. Il primo di questi esami di gruppo
verteva sul concetto di spazio e su questo
concetto il manipolo produsse, del tutto a
mia insaputa, un opuscolo di 70 pagine che,
una volta stampato, mi venne prontamente
consegnato.
Non ricordo adesso di quale esame si
trattasse, ma nulla sarebbe adesso più
futile che preoccuparsi di questo, quasi a
presumere un qualsiasi collegamento tra il
nome dell’esame e i contenuti dello stesso.
Venne dunque il giorno dell’esame, e,
dalla mia città di provincia, mi recai
puntuale a Firenze, in Facoltà, per
sostenere la prova, fidando nella presenza
degli altri 191 per mimetizzare la mia
scarsa preparazione. Ma si fa presto a
dire “in Facoltà”: giravo ogni angolo della
Facoltà di Via degli Alfani, domandavo a
ogni
faccia
stralunata
notizie
di
quell’esame. Capannelli qua e là, ma
nessuna traccia dei 191 e del relativo
professore.
Mi spostai allora da Via degli Alfani
in San Marco, dove sapevo esservi altre
delle membra sparse di quella Facoltà.
Anche lì vaghissime tracce di una
precedente attività accademica, ma nulla
di quello che a me interessava.
Il tempo trascorreva inesorabile, mi
recai in una terza possibile sede, in Via
Laura, ma tutto era inutile, scomparsi come
nel nulla i 191. Ormai troppo tempo era
trascorso, rassegnato e un po’ deluso
ritornai nella mia città, avendo perduto
inutilmente una mezza giornata di lavoro.
La mattina dopo, la sorpresa. Un
collega del gruppo mio concittadino mi
esibisce
il
mio
libretto,
a
lui
precedentemente consegnato. L’esame
c’era stato e, come tutti, anch’io avevo
guadagnato un bel trenta, fisicamente
scritto e realmente leggibile in una delle
pagine.
Sapevo che l’esame di gruppo aveva
più democraticamente sostituito l’impegno
individuale, sapevo anche che l’impegno
dei volenterosi di un gruppo superava la
reazionaria pretesa che nel gruppo ognuno
dovesse impegnarsi alla stessa maniera, e
che il voto doveva giustamente esser
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dato secondo il bisogno anziché secondo il
merito, ma io avevo raggiunto una ulteriore
meta nella lotta democratica contro il
potere. Avevo vinto contro l’odiosa
tirannide dello spazio, contro la ridicola,
reazionaria pretesa della Presenza, mi ero
spinto oltre il trenta politico di un esame
fasullo e avevo toccato il vertice
rivoluzionario del non esame.
Affacciato all’abisso del nulla, me ne
ritrassi tuttavia, così che quello risultò
essere il mio primo ed ultimo esame in
quella facoltà.
E tuttavia quando oggi, girando per
cantieri, forse per il vestire sportivo e
raramente rifinito di cravatta sono da
taluno appellato “Architetto”, io vengo
ancora assalito da un dubbio.
Che cioè il gruppo dei 191, non
avvertito della mia rinuncia, abbia
proseguito imperterrito la propria virtuale
corsa verso la laurea, accludendo ogni
volta il mio libretto, ormai orfano di
padrone ma corredato di numerosi
concretissimi trenta (e perché no, non c’è
limite all’ambizione, anche di qualche lode).
Che anche lo stantio, reazionario
rituale della tesi si sia così potuto espletare
nell’assenza e che infine, in qualche
cassetto della Segreteria di Facoltà
giaccia, ingiallita, la pomposa pergamena
della mia laurea in Architettura. Potenza
creativa del 68 e dell’immaginazione al
potere!
Opuscolo identitario del gruppo “N”
I nomi dei 192 studenti sono stati resi illeggibili
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ARRICCHIAMO
IL LINGUAGGIO
Baccelliere
Giovane aspirante all’ordine cavalleresco medioevale
Balivo
Rappresentante del potere centrale
Basilisco
Mostro spaventoso
Bernesco
Burlesco, giocoso
Bleso
Con difetti di pronuncia
Boccascena
Spazio del palcoscenico dove agiscono gli attori
Bordone
Bastone per pellegrinaggio
Bruma
Nebbia, leggera foschia
Brachilogia
Concisione ottenuta con eliminazione di parole
Brago
Melma, fanghiglia
Bugliolo
Secchio di legno
Bulicame
Sorgente di acqua termale
Efebo
Adolescente asessuato
Erebo
Inferno
Glabro
Liscio, senza peluria
Gleba
Zolla di terra
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lA PIAZZA DEGLI ARANCI di massa
I romani per spostarsi verso l’Europa
occidentale devono attraversare i territori
dei liguri dove incontrano popolazioni di
origine celtica, molto bellicose. Dopo oltre
10 anni di scontri non risolutivi, nel 180 a.C.
Roma prende una iniziativa definitiva:
catturati i quarantamila liguri, “pedibus
calcantibus”, li trasferisce nel Sannio.
Contestualmente catturati altrettanti Sanniti,
anch’essi assai turbolenti, li trasferisce al
margine della Liguria.
Con questo doppio trasferimento
Roma ottiene tranquillità in ambedue le
zone. Alcuni gruppi finiti nell’enclave della
Lunigiana manterranno a lungo la loro
particolare identità originaria.
A ben guardare, si potrebbe oggi
riscoprire, nel carattere forte e sanguigno
dei carraresi e dei massesi, qualche
riferimento alle caratteristiche delle attuali
popolazioni
dell’antica
zona
di
provenienza.
Nella piazza degli Aranci al centro
di Massa ritroviamo il segno di un frutto,
l’arancio, più tipico dell’Italia del Sud che
della Toscana.
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economia in spiccioli
LA RECESSIONE E LE BANCHE
simplicius
La recessione ha provocato una netta
diminuzione della domanda e dei consumi
e, a cascata, la contrazione delle vendite,
la
riduzione
della
produzione,
i
licenziamenti dei lavoratori e, in un circolo
vizioso di causa-effetto, di nuovo, la
riduzione della domanda e dei consumi
eccetera eccetera.
Restano, per ora, fuori dalle
conseguenze dirette della recessione i
dipendenti e pensionati dello Stato e degli
Enti pubblici, ma non i loro figli, né i loro
eventuali risparmi immobiliari e la loro
cartella delle tasse.
I cosiddetti “lavoratori autonomi”,
commercianti,
artigiani,
professionisti,
subiscono invece diffusamente gli effetti
della recessione.
Chi vive a contatto del mondo meno
fortunato sa che le ristrettezze e i casi di
grave povertà aumentano. Ma chi è a
contatto di un mondo una volta più
fortunato, sa che le difficoltà e le chiusure
delle aziende commerciali e delle imprese
produttive, gli immobili sfitti, le attività in
difficoltà sono in continuo aumento
determinando
gravi
conseguenze
economiche e in particolare la diffusione
delle insolvenze.
Gli effetti della diffusione delle
insolvenze si propagano a catena, ma si
accumulano particolarmente sulle banche.
Per difendersi dall’insolvenza diffusa le
banche pare abbiano adottato una
strategia:
- minimizzare i prestiti a privati e imprese
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- recuperare sulle “commissioni”, cioè sui
balzelli applicati alle varie transazioni
La riduzione dei prestiti ai privati
determina la riduzione dei consumi
La riduzione dei prestiti alle imprese è
spesso esiziale per le stesse imprese.
In questa strategia, le banche sembrano
essere aiutate dal Governo con le norme
sulla limitazione dell’uso dei contanti,
sull’obbligo della tracciabilità, sull’obbligo
di conti correnti separati, sul divieto di
girata che moltiplica il numero di assegni
emessi eccetera. Del resto, le banche sono
state aiutate anche in altri modi, ad
esempio, con i cento miliardi che la BCE ha
loro trasferito, o colpendo oltre ogni limite
l’investimento sugli immobili, alternativo
all’investimento finanziario.
Mentre in altri campi il Governo non ha
certo aiutato lo sviluppo: ad esempio,
riducendo per i proprietari di immobili la
quota forfettaria detraibile per la
manutenzione dal 15% al 5%, ha
scoraggiato il restauro delle facciate o il
consolidamento delle strutture. E riducendo
per i lavoratori autonomi con auto per
lavoro la percentuale detraibile delle spese
automobilistiche dal 40% al 20%, ha
scoraggiato il cambio del veicolo.
perplessità
(estratto da Quattroruote Gennaio 2013)
PERCHE’ MENTRE LE VENDITE DELLE AUTO LANGUONO IN TUTTA EUROPA, IN GRAN
BRETAGNA IL MERCATO CONTINUA A CRESCERE?
E non cresce di poco se è vero che l’Inghilterra ha scavalcato la Francia, conquistando il
secondo posto a livello continentale, e che si avvia a chiudere l’anno sopra i due milioni
di unità. I motivi? Sarà l’effetto Olimpiadi o meno, ma nel corso dell’anno l’economia
britannica ha continuato a crescere. E poi, libere dai patemi della zona euro, le banche
non hanno stretto i cordoni del credito. Tant’è che, in un mercato storicamente dominato
dalle vetture aziendali, questa volta a spingere in su le cifre sono le vendite ai privati.
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L’epidemia
dell’obesità
Roberto Vacca
I grassi campano meno, ma mangiano di più
- Stanislaw J, Lec (1909-1966)
“Quanto sei bello grasso!” diceva a
Carlo Levi, confinato a Eboli, la stregacontadina Giulia. Secondo alcuni l’idea di
“grasso è bello” è preistorica. Chi aveva
sfiorato spesso la morte per inedia, doveva
sentirsi sicuro se diventava pingue. Le mogli
obese erano segni di potere. I tesori, come
nell’Ipogeo di Malta, erano vasche piene di
cereali scavate nella roccia. Centinaia di
secoli fa gli artisti scolpivano statuette di
donne sformate dall’adipe. Se ne sono
trovate in tutta Europa dalla Russia alla
Sardegna e alla Sicilia. Le chiamano
“veneri neolitiche”. Taluno suppone che
rappresentassero dee come Cibele, la
Grande Madre
Anche gli antichi dovettero capire
che si muove e respira male chi è molto
grasso. I buongustai romani vomitavano
appena pranzato e ricominciavano a
mangiare. Dunque pensavano che grasso è
brutto. Ippocrate disse che l’obesità è una
malattia e favorisce altre malattie. Secondo
un detto popolare turco “Chi mangia a
stomaco pieno si scava la fossa con i denti”. I
potenti medievali e rinascimentali erano
spesso grassoni. Da un secolo si afferma
l’ideale di una corporatura snella. Intanto,
l’obesità si diffonde specie negli Stati Uniti.
Alcune persone che hanno menti
acute e sublimi, diventano obese per
Alessandro dal Borro
distrazione. Mio padre, Giovanni, storico
della scienza, era alto 1,76 m e pesava
100 kg. Per la scarsità di cibo durante la
guerra il suo peso scese a 76 kg - e la sua
vita si allungò di un decennio.
Nel 2008 un miliardo e mezzo di
persone erano sovrappeso e, di questi, 500
milioni erano obesi. Già nel 1997 l’OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità)
classificò l’obesità come un’epidemia. Ne
adottò la definizione in base all’indice di
massa corporea (IMC) proposto da A.
Quetelet (1850) come
IMC = peso (kg) / quadrato
dell’altezza (m2)
20
IMC:
Corporat
< 18,5
sottopeso
18,5 - 25
normale
25 - 30
Sovrappr.
> 30
obesità
La tabella mostra gli intervalli dei
valori dell’IMC corrispondenti alle varie
corporature.
Chi non voglia fare il calcolo, può
usare il grafico seguente inserendo in
ordinate il proprio peso in kg e in ascisse
l’altezza in metri. La curva che divide
l’area di peso forma da quella di
sovrappeso corrisponde alla vecchia
regola: “il peso giusto è di tanti kg – di
quanti centimetri la tua altezza supera il
metro
nell’ipotalamo ove inibisce l’appetito.
L’ormone grelina (scoperto nel 1999)
stimola, invece, l’appetito. Sono noti (e
discussi) vari protocolli di cure mediche
mirate a eliminare l’obesità o, comunque, a
controllare il peso corporeo. Su Internet
vengono offerte decine di tipi di caffè e tè
alla leptina. Garantiscono che fanno
perdere parecchi chili di peso alla
settimana.
Secondo
l’OMS
obesità
e
sovrappeso sono al quinto posto fra le
maggiori cause di morte: uccidono 2,8
milioni persone all’anno. Favoriscono il
L’obesità è causata da uno squilibrio
energetico fra le calorie consumate (dal
cibo) e quelle spese con attività fisica. I
nostri comportamenti sono influenzati molto
dall’ambiente, cioè dalle abitudini dei
familiari e delle persone con cui
socializziamo. Contribuiscono all’eccessivo
aumento di peso anche fattori genetici e
disturbi
endocrini.
L’ormone
leptina
(scoperto nel 1994) influisce su recettori
diabete, il mal di cuore ischemico e certi
tipi di cancro. La gente diventa obesa
perché, diventa dipendente da una
alimentazione cerimoniale e compulsiva. Il
meccanismo è analogo a quello che rende
indispensabili le sigarette ai fumatori e la
droga ai tossicodipendenti. C’è anche
dipendenza patologica da alcol, sesso,
lavoro, gioco d’azzardo, tifo sportivo,
videogame, situazioni rischiose.
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management. Inoltre altri piaceri sono ben
più intensi di quelli del palato.
Per essere snelli ci sono ragioni vitali.
Il biologo L. Guarente del MIT avrebbe
dimostrato che seguire una dieta
ipocalorica
estrema
intensifica
il
metabolismo: così la durata della vita di
certi animali da laboratorio cresce anche
del 50%. Il Prof. C.D. Saper della Facoltà
di Medicina di Harvard, sostiene che
abbassare di mezzo grado la temperatura
corporea anche senza seguire diete
stringenti, allunga la vita del 10%.
Occuparsi meno di cibo permette di aprirsi
ad altri interessi e di perseguirli più a lungo
perché si campa di più.
Fernando Botero
La dedizione smodata al cibo ha una
grossa componente culturale. Gastronomi e
sommelier passano per fari di cultura. E’
assordante il coro di chi parla, scrive,
discute, trasmette programmi TV su
bevande, cucina e sul gusto. Fanno lunghi
discorsi su qualità, sapori, prezzi, genuinità,
reperibilità. Io concordo con Moavia, il
quarto Califfo, che disse: “Ho mangiato
tanti cibi squisiti in vita mia, che ora mi
accontento solo di pane secco.”
Ma ci sono ragioni serie per non
occuparsi troppo del mangiare. I discorsi in
merito sono ripetitivi. Chi ce li infligge è più
noioso di chi racconta i propri sogni. E poi il
mondo è tanto più grande e interessante.
Contiene arte, tramonti, romanzi, statistica,
scienza, delitti, tecnologia, amore, perfidia,
scuole, simpatia, artigianato, invenzioni,
psicologia, imprese spaziali, musica,
Venere di Willendorf
Roberto Vacca, ingegnere,
ricercatore ed apprezzato
romanziere, è uno dei principali divulgatori scientifici italiani.
I suoi scritti sono pubblicati in numerose riviste, sia
scientifiche che d’opinione,
ed è frequentemente ospitato da molti quotidiani, dall’Unità al Sole 24 Ore.
I suoi libri possono essere acquistati presso il sito www.printandread.com
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MODIGLIANI
di Franco Moraldi
Ebbe davvero una vita non comune,
quel giovane Amedeo (Dedo per i livornesi
e per la mamma, la francese Eugénie
Garsin) anche se forse meno estrema di
quanto, dopo la sua morte, testimonianze a
metà fra esagerazione e leggenda l’hanno
(è il caso di dire) dipinta.
Livornese per l’appunto, di famiglia
ebraica e borghese, da bambino si ammala
di tubercolosi: furono probabilmente questi
problemi che anni dopo gli impedirono di
continuare a scolpire teste arcane nel
marmo (ed a respirarne la polvere);
bisognerà aspettare ottanta anni prima che
qualche burlone (livornese, e di dove
altrimenti?) riprenda per suo conto il
lavoro…
La sua iniziale esperienza di scultore
si ritroverà anche nella pittura, ad esempio
l’ assenza delle pupille negli occhi, tipica
dei manufatti di marmo, si ritroverà
frequentemente nelle successive pitture. E
Modì spiegava questa assenza dicendo
alla persona da ritrarre che “quando
conoscerò la tua anima dipingerò i
tuoi occhi”.
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La salute malferma accompagnerà
Modigliani per tutta la vita, ma Amedeo
non è proprio un “bamboccione”: non ha
ancora 20 anni quando lascia casa, prima
per studiare Belle Arti a Venezia (e qua
comincia a frequentare hashish e spiritismo)
e ne ha 22 quando si trasferisce a Parigi,
ove troverà il proprio habitat ideale nel
quartiere di Montparnasse, assieme a
Picasso, Chagall, Utrillo; è il periodo in cui
Modigliani diventa davvero un personaggio
romanzesco: vero e proprio dandy, con
giacche di velluto, cappelli a larghe falde
e foulard coloratissimi, intreccia storie di
amore con artiste e letterate, dipinge nudi
femminili con così forte carica erotica da
far intervenire un commissario di polizia
che intima al gallerista di togliere i dipinti
dalla vetrina (salvo poi acquistarne
qualcuno, non per investimento, ma per
aiutare in qualche modo lo spiantato
autore); è un artista che nottetempo si reca
in una vicina stazione del metrò in
costruzione per “rifornirsi” di marmo o in
una stazione ferroviaria per “recuperare”
traversine di legno da scolpire (che sia
stato questo il motivo della forma allungata
che caratterizza le sue opere?)
Accadeva poi che quasi ogni notte
entrasse nei bistrot, si avvicinasse ai clienti
presentandosi con un “sono Modigliani,
ebreo, 5 franchi”, li guardasse fissi e, quasi
ipnotizzandoli (ci fu chi ebbe a dire che il
suo sguardo “spogliava l’anima” o anche
che poteva “indovinare i pensieri, vedere i
sogni altrui”), cantarellando, ne schizzasse
velocemente il ritratto che poi vendeva per
un bicchiere di Pernod o, per l’appunto, per
5 franchi, necessari anche per l’acquisto di
alcool o altri paradisi artificiali.
Sarà stato ancora una volta il destino
a far sì che il diminutivo che lo identificò,
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Modì, suoni simile a “maudit”, maledetto, in
francese?
Ancor’oggi quei volti dipinti in
condizioni così particolari riescono a
trasmettere la personalità delle donne e
degli uomini ritratti: chissà quanti altri
disegni sono rimasti nascosti, in aggiunta
alle circa 400 opere catalogate; non
dovrebbero essere pochi, vista la
amplissima produzione: ogni sera ad
esempio ne regalava uno a madame
Rosaliex, buona donna che lo sfamava con
un piatto di minestra calda.
Un romanzo con lieto fine farebbe
entrare ora in scena l’amore della vita, che
riporta la storia sul binario della normalità:
Modigliani trova in effetti l’amore in
Jeanne Hebouterne, pittrice incontrata ad
un ballo in maschera, che gli darà una
figlia, anch’essa chiamata Jeanne. Ma
siamo italiani, la nostra patria è quella del
melodramma o, più semplicemente, era
scritto nel destino che quel bambino non
fosse mai sereno a lungo (un amico gli disse
che “bruciava vita per accendere pittura”):
il tragico cocktail fra salute, alcool e
droghe ebbe la meglio su di lui, facendolo
morire a soli 36 anni.
Tutto è finito? No, c’e’ ancora il
tempo per un ultimo colpo di scena:
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la compagna Jeanne che si suicida
all’indomani della morte di Amedeo,
gettandosi dalla finestra della casa dei
genitori, un quinto piano, e portando con sé
anche il secondo figlio del pittore che
avrebbe visto la luce di lì a qualche
settimana.
Questo quindi la vita aveva in serbo
per quel ragazzino dagli occhi sorridenti,
che diventò un pittore famoso più all’estero
che in patria, amatissimo in Francia e in
America.
Questo suo respiro internazionale,
assieme al suo essere israelita ed avere un
fratello deputato socialista fu causa di una
iniziale fredda critica durante il fascismo.
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ZAIRE 1974
di Cosimo Damiano Nicoletti
Nel 1974 i mondiali di calcio si
disputano in Germania Ovest e vedono
l’Italia vicecampione del mondo nella veste
di favorita insieme ai padroni di casa,
potendo contare su fuoriclasse del calibro
di Zoff, Facchetti, Rivera, Mazzola, Riva…
e venendo da una lunga serie di partite
disputate in modo impeccabile. Il portiere
Dino Zoff, tanto per dire, inizia il mondiale
con un’imbattibilità di oltre 1000 minuti, che
verrà tristemente infranta già nella prima
partita dal goal del carneade Sanon,
centravanti della “temibile” compagine di
Haiti… che sfugge all’intera retroguardia
azzurra e tratteggia una delle pagine più
cupe della storia della nazionale (insieme
al goal del dentista coreano Pak Doo Ik nel
1966).
L’Italia contro Haiti vince in rimonta 3
a 1, ma viene comunque eliminata al primo
turno.
Il torneo mondiale continua nel segno
del calcio totale praticato in modo
incantevole dalla meravigliosa Olanda di
Crujff, che si arrende solo in finale ai
tedeschi dell’ovest (come accadrà anche
nel 1978 con l’Argentina e in SudAfrica
contro la Spagna nel 2010).
Nel 1974 al campionato del mondo
vengono iscritte solo 16 squadre (la metà
di quelle odierne…) ed al continente
africano ne spetta solo una, reduce da
qualificazioni estenuanti e selettive.
La rappresentanza del continente
nero nel 1974 la conquista lo Zaire,
vincitore anche della coppa d’Africa e
prima squadra subsahariana ad accedere
alla fase finale, preceduto dalla curiosità
degli appassionati che vogliono appurare
la veridicità dei progressi del calcio
africano.
I Leopards, maglia verde con tripla
striscia gialla, vengono inseriti in un girone
difficile con i campioni del mondo uscenti
del Brasile, la Scozia e la Jugoslavia.
La prima partita li vede impegnati
contro la Scozia e termina con la vittoria
per i britannici per 2 a 0, ma nel match
successivo contro la Jugoslavia serve il
pallottoliere: finisce 9 a 0 !!!
Il dittatore Mobutu perde le staffe e
fa sapere alla squadra che nell’ultima
partita del girone, proprio quella contro il
Brasile non tollererà una sconfitta con più di
tre goal di scarto, con annesse minacce di
pene corporali.
E’ con questo crescendo di tensione,
forse, che può trovare spiegazione quello
che accade verso la fine della partita
Brasile-Zaire. Mancano solo 5 minuti alla
fine ed il risultato è già assestato sul 3-0,
garantendo sia la qualificazione del Brasile
che la salvezza fisica dei Leopards,
quando l’arbitro ravvisa il fallo di un
difensore dello Zaire e concede una
punizione a favore del Brasile proprio
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dal limite dell’area.
Sulla palla va Rivelino, il numero 10
verdeoro, famoso per la precisone e la
potenza del suo calcio da fermo e l’incubo
per i giocatori dello Zaire inizia a
materializzarsi.
I secondi passano interminabili in
attesa del fischio dell’arbitro e in quel
mentre Ilunga Mwepu, difensore dei
Leopards, pensando a tutto quello che
sarebbe potuto accadere se Rivelino avesse
indovinato la traiettoria giusta, vede
d’incanto materializzarsi la sagoma del
dittatore Mobutu e le sue minacce e...:
Ilunga Mwepu parte dalla propria barriera
e corre verso il pallone tra gli sguardi
increduli di compagni ed avversari e le
espressioni sbigottite degli spettatori … ma
lui va, folle ed irrefrenabile, colpisce il
pallone forte e sbilenco e lo manda oltre la
linea di metà campo…
Il cartellino giallo sventola a sancire
la
sacrosanta
ammonizione
per
“comportamento non regolamentare”, ma in
realtà Ilunga Mwepu ha appena finito di
scrivere
un
episodio
epico
ed
indimenticabile di un calcio decisamente di
altri tempi.
Se volete vedere il video del difensore Ilunga Mwepu che corre sul pallone pronto per il tiro
di punizione e lo calcia dalla parte opposta, cliccate su link sottostante:
http://www.youtube.com/watch?v=aYDXkVGpMpc
Nuovo stadio della Juventus
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Vecchie signore
1933 Pierce Arrow Silver Arrow
1938 Alfa Romeo 8C2900B
1938 Delahaye 165 Figoniet Falaschi Cabriolet
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1936 Delahaye 135 Competition Court Figoniet Falaschi Coupe
1936 Delahaye 135 Figoniet Falaschi Torpedo Cabriolet
1938 Talbot Lago T150C Figoniet Falaschi Teardrop
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la pioggia nel Pineto
(stralcio)
Gabriele D’annunzio
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.
Il padre di Gabriele si chiama Francesco Paolo Rapagnetta, ma Gabriele capisce che con quel
cognome non potrà mai diventare un vero vate, e inventa che suo padre è stato adottato da una
sorella della madre Rita, Anna Lolli sposata in seconde nozze con un certo Antonio D’Annunzio. E
così si auto-nomina in modo assai più appropriato all’immagine che intende propalare di sé:
Gabriele D’Annunzio.
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CLUB PER IL BRIDGE IN TOSCANA
ABBADIA S. SALVATORE
M.PREZZOLINI
Piazzale Michelangelo, 25
0577/778100
CHIMERA BRIDGE
A.BEDINI
AREZZO via Fiorentina, 4
0575/370390
BRIDGE CARRARA
C.SARTORI
MARINA CARRARA via volpi, 34
LUX BRIDGE PESARO
S.LUCENO’
MARINA CARRARA via volpi, 34
333/3678874
CHIANCIANO-CHIUSI
L..BECHERINI
Viale Vittorio, 93
349/4500560
QUADRI LIVORNO
V.PANICHI
Via S.Jacopo, 111
0586/375150
EMPOLI BRIDGE
P.SALVADORI
SOVIGLIANA viale Togliatti, 157 0571/902083
BRIDGE VIAREGGIO
R.FERRARI
via Marco Polo, 2
CIIRCOLO ELBA BRIDGE
M.CHIESA
PORTOFERRAIO via Gasperi, 41
BRIDGE. VALDARNO
G.NANNICINI
MONTEVARCHI P.za Garibaldi, 1 055/980022
CIRCOLO DEL BRIDGE FI
A.BONIFACIO
Via da Palestina, 33
055/3249215
BRIDGE VILLA FABBRICHE
G.DEL BONO
LUCIGNANO via Fabbriche, 2
02/58109988
SOLO BRIDGE GROSSETO
A.FUSCO
Via De Barberi, 108
BRIDGE IN ARMONIA
338 7251703
0584/960747
[email protected]
Di Renato Belladonna e Flavia Vecchiarelli
CORTINA
Hotel Savoia
(5 stelle)
dal 3 al 10 marzo
dal 21 luglio al 11 agosto
GARDONE RIVIERA
Hotel Gardone
(4 stelle)
dal 27marzo al 3 aprile
ISCHIA
Hotel Regina Isabella
(5 stelle Lusso)
dal 12 al 19 maggio
dal 19 al 26 maggio
dal 22 al 29 settembre
OSTUNI
Masseria Santa Lucia
(4 stelle)
dal 15 al 22 giugno
dal 28 luglio al 4 agosto
EOLIE
CROCIERA SUL DANUBIO
Hotel Therasia
(5 stelle)
dal 23 al 30 giugno
dal 7 al 14 luglio
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IL DECALOGO
PER CHI VUOLE COLLABORARE
•
Molto richiesti articoli su persone, cose, eventi minori fiorentini e toscani
passati, perché finalità del Vasariano, è anche quella di costituire e
diffondere un deposito di memorie cittadine
•
Gli articoli devono essere lunghi una pagina-una pagina e poco più word
carattere 12. Solitamente la redazione integra l’articolo con una o più
immagini da essa stessa scelte
•
Si chiede semplicità del testo, frasi brevi, linguaggio preciso, ma non
tecnico
•
Gli articoli non possono essere anonimi, né tratti da comunicati stampa o
da scritti altrui
•
Nel caso l’autore si avvalga di fonti altrui, queste devono essere citate
•
Sono utili eventuali foto esplicative
•
Gli articoli devono essere consegnati via mail a [email protected]
e potranno essere pubblicati in uno dei numeri successivi
•
La redazione non verifica l’attendibilità degli articoli dei quali resta
responsabile l’autore
•
La redazione si riserva il diritto di non pubblicare, di apportare correzioni
formali, di stralciare parti offensive, o di linguaggio greve, o di contenuto
di parte, o suscettibili di querela. La redazione si riserva inoltre il diritto di
ridurre e/o sintetizzare gli articoli trasmessi. In questo caso il nome
dell’autore sarà preceduto da: “da una nota di…”
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Il Vasariano n. 8