Giorgia Salatiello Pontificia Università Gregoriana La differenza sessuale e il concetto di persona L’obiettivo di questa riflessione è quello di vedere se sia possibile pervenire ad una riformulazione del titolo, sostituendo “e” con “nel”, cioè non più un semplice accostamento dei concetti di differenza sessuale e di persona, ma l’individuazione di un nesso intrinseco che li rende inscindibili. Per muoversi in questa direzione dovrà essere esaminato per primo il concetto di persona, al fine di delimitare l’ambito dell’indagine, chiarendo che essa verte solo sull’essere umano, mentre la differenza sessuale, in quanto tale, potrebbe riguardare anche gli esistenti infraumani. Solo in un secondo momento, quindi, si potrà prendere in considerazione la differenza sessuale ed analizzarla in quella peculiarità che scaturisce dal riferirla alla persona, della quale si saranno già evidenziati i tratti essenziali. Nel terzo passaggio conclusivo, infine, sulla base dei risultati raggiunti, si indicheranno ulteriori prospettive che dischiudono possibili piste di ricerca. Il concetto di persona Per chiarire il concetto di persona risulta opportuno muovere da due definizioni che ne sono fornite, con lo scopo di analizzarle e metterne in evidenza le dimensioni fondamentali. La prima è quella “classica” di Tommaso d’Aquino, che afferma che «persona significa quello che vi è di più perfetto in tutta la natura, cioè il sussistente nella natura razionale»1, mentre la seconda, di Emerich Coreth, indica con «persona» l’unità umana essenziale di corpo e di spirito come essere-sé-stesso individuale, che si attua nell’autopossesso cosciente e nella libera autodisponibilità»2 . La definizione di Tommaso d’Aquino è particolarmente idonea ad aprire il campo alla ricerca perché, evidenziando che la persona è l’ente più perfetto che esista, induce immediatamente ad indagare la realtà ed il significato di quella natura razionale che la contraddistingue. D’altra parte, la definizione di Coreth introduce tutta una serie di concetti, alcuni molto familiari, altri meno, che a loro volta richiedono di essere approfonditi per coglierne la portata e le implicazioni riguardo all’essere della persona. 1 TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, I Pars, Q. 29, a. 3, c.: «persona significat id quod est perfectissimum in tota natura, scilicet subsistens in rationali natura». 2 CORETH E., Antropologia filosofica, Brescia 1978, p. 149. 1 Muovendo, quindi, dalla definizione di Tommaso d’Aquino, l’accento sulla natura razionale induce a prendere inizialmente in considerazione la capacità intellettiva che, del resto, è immediatamente richiamata anche dall’altra definizione quando essa si riferisce all’autopossesso cosciente. In effetti, la conoscenza intellettuale è la prima dimensione su cui portare l’attenzione anche per l’indubitabile constatazione che essa è presente in ogni atto umano, persino i più semplici della vita quotidiana, che sempre richiedono che si conosca ciò con cui si ha a che fare. Alla base della conoscenza vi è la percezione sensibile che le fornisce il primo contenuto sul quale esercitarsi, ma, a livello umano, già il piano sensibile è compenetrato dalla dimensione intellettiva, poiché di qualsiasi cosa si presenti ai sensi il soggetto può affermare cosa essa è, ovvero può riferire ad essa un concetto. Il concetto, a differenza delle sensazioni, non è ricevuto passivamente, ma è una produzione spontanea dell’intelligenza ed è evidentemente immateriale ed universale, cioè non esclusivamente riferito alla singola cosa materiale che è percepita. D’altra parte, il pensiero non si arresta alla produzione di concetti, ma procede formulando giudizi con i quali afferma che la cosa è un ente posto nell’illimitata vastità dell’essere: l’essere è, quindi, l’orizzonte del pensiero che non è vincolato da alcuna regione particolare di enti. Si deve, infine, rilevare che questo processo non ha limiti intrinseci poiché i singoli giudizi possono essere collegati in modo discorsivo, producendo una conoscenza capace di non arrestarsi e protendersi verso sempre ulteriori acquisizioni. La natura immateriale dei concetti conduce con piena coerenza ad affermare l’identica immaterialità di colui che li produce e, d’altra parte, l’apertura del pensiero all’essere rivela in esso un carattere di infinità, pur essendo esso proprio di un soggetto finito. Tutto ciò, senza alcuna indebita aggiunta, può, dunque, essere riformulato nell’affermazione della spiritualità di quel soggetto che ha in sé una intrinseca dimensione immateriale ed è infinitamente aperto oltre ogni condizionamento estrinsecamente limitante. ****** La definizione di Coreth, prima riportata, accosta all’autopossesso cosciente la libera autodisponibiltà e, del resto, anche la natura razionale di cui parla Tommaso d’Aquino non implica solo la conoscenza intellettiva, ma ha un significato più ampio e, per queste ragioni, l’intento di cogliere la realtà della persona deve portare ora ad indagare la libertà dell’essere umano. Per mettere in evidenza l’essenza della libertà non si può iniziare con l’analisi delle singole scelte e decisioni libere, ma è necessario pervenire a quella che è la loro condizione di possibilità, ovvero la libertà fondamentale per la quale la persona è 2 affidata a se stessa e, pur soggetta a molteplici condizionamenti, non è determinata in modo assoluto né da forze esterne, né dall’interno. D’altra parte, questa libertà costitutiva è già emersa a proposito dell’intelletto che non è vincolato da alcun oggetto particolare e può sempre procedere oltre le singole conoscenze, nell’orizzonte dell’essere illimitato. L’analisi della libertà richiede subito di porre al centro dell’attenzione la volontà che è la tendenza che accompagna la conoscenza intellettiva, così come l’istinto quella sensibile ed affiora immediatamente la radicale differenza tra i due, poiché la volontà, nel suo tendere, non è limitata da alcuno scopo specifico, ma tende al bene assoluto, come esso le è presentato dall’intelletto. La persona, però, esiste in un mondo in cui è circondata solo da beni limitati e finiti e, dunque, nessuno di essi rappresenta l’oggetto proprio della volontà che resta, pertanto, indeterminata, cioè libera. La libertà, però, non è in primo luogo la facoltà di scelta tra oggetti e scopi esterni, ma è, innanzi tutto, la possibilità di disporre liberamente di se stessi, progettando la propria esistenza attraverso le singole decisioni che vengono successivamente assunte ed attuando in modo sempre più esplicito quella che è la natura originaria della persona. A livello teorico si è più volte tentato di negare la libertà, affermando che anche l’essere umano è rigorosamente assoggettato ai determinismi della natura, ma questa visione è una pura astrazione che vuole prescindere da un’ineliminabile esperienza che è quella, appunto, di esser liberi e responsabili nel proprio agire. In questo modo, la volontà libera, come l’intelletto, si rivela come una facoltà immateriale, in quanto sottratta alle determinazioni materiali, ma, anche in questo caso, per il suo tendere al bene assoluto, immaterialità equivale a spiritualità e tale spiritualità contraddistingue il soggetto che esiste liberamente ed è chiamato a realizzarsi conformemente alla sua natura. ***** L’esame della conoscenza intellettiva e della volontà libera ha portato a sottolineare la spiritualità dell’essere umano, ma, in realtà, non si è ancora evidenziata quella che ne è la manifestazione più profonda e, nello stesso tempo, più evidente. Ci si riferisce qui alla coscienza di sé, ovvero alla consapevolezza che accompagna ogni atto, consentendo al soggetto di cogliere se stesso insieme ai contenuti conosciuti o agli oggetti voluti in libertà e responsabilità3. Ovviamente non si intende ora l’autocoscienza esplicita con la quale ritornando discorsivamente sugli atti, si comprende che essi appartengono a colui che li pone e ne è, dunque, all’origine, ma si vuole porre al centro dell’attenzione quella implicita coscienza riflessiva per la quale ognuno, conoscendo il mondo ed agendo in esso, è 3 Cfr., SALATIELLO G., L’autocoscienza come riflessione originaria del soggetto su di sé in San Tommaso d’Aquino, Roma 1996. 3 sempre, tuttavia, presente a se stesso, capace, cioè, di dire “io”, senza che questo implichi alcuna concettualizzione tematizzata4. Si tratta qui di un’esperienza originaria che consente di possedere se stessi, senza mai disperdersi o confondersi con tutto quello che è altro da sé: si può sicuramente parlare di un’autotrasparenza, seppure imperfetta ed incompleta, che, però, è sempre mediata dall’incontro con il reale circostante. Si rivela in questo la più radicale differenza tra la persona e gli altri esistenti ed il più indubitabile segno della spiritualità perché proprio quell’apertura che consente di conoscere e volere in un orizzonte illimitato è la stessa che, riconducendo il soggetto a sé (la tomista “reditio completa”), permette che esista una peculiare dimensione di interiorità, che è precisamente l’opposto della chiusura inconsapevole ed irriflessa di ciò che è solo materia5. ****** Tutte le precedenti considerazioni hanno portato ad individuare nella persona la presenza di un principio distinto dalla materia, cioè lo spirito, ed il compito che ora si propone, sempre a partire dalle definizioni iniziali ed, in questo caso, in modo particolare da quella di Coreth, è quello di coglierne più precisamente la natura ed indagarne la relazione con il corpo. Innanzi tutto, si deve sottolineare che la via di accesso alla realtà dello spirito non è quella della dimostrazione astratta, ma quella dell’esperienza concreta che attesta che l’essere umano è soggetto, come si è rilevato in precedenza, di atti coscienti, di intelligenza e di volontà libera, che sono irriducibili alla materia e che, tuttavia, gli appartengono in modo indubitabile6. Lo spirito, così, si configura come il principio ultimo di tali atti e la sua esistenza non può essere negata senza rendere inspiegabile ed assurdo ciò che ciascuno sperimenta in se stesso. E’ subito evidente che, impostando la questione in questi termini, lo spirito non può essere inteso come una “parte” accanto ad altre, ma deve essere compreso come il fondamento di tutta l’esistenza in quello che essa ha di propriamente umano. D’altra parte, la coscienza di sé non è relativa solo all’attività intellettiva e volitiva, ma abbraccia ogni ambito dell’esistere e, di conseguenza, si può affermare che proprio quest’ultimo è radicalmente penetrato dallo spirito che costituisce, pertanto, il nucleo più profondo dell’essere umano, caratterizzandolo essenzialmente rispetto a tutti gli altri enti e costituendo quella che una lunga tradizione indica come anima. Diviene qui pienamente comprensibile il significato della classica espressione che sottolinea che l’anima è “forma corporis” e non soltanto dell’intelletto e della volontà 4 Cfr., RAHNER K., Corso fondamentale sulla fede. Introduzione al concetto di cristianesimo, Cinisello Balsamo (Mi) 1990, pp. 36-38. 5 Cfr., TOMMASO D’AQUINO, Quaestiones disputatae de veritate, Q. 1, a. 9, c. 6 RAHNER K., Il problema dell’ominizzazione, Brescia 1969, p. 61: «Lo spirito è dato in maniera originaria come una essenza genuina e indissolubile in una esperienza trascendentale, in cui l’uomo si sperimenta come l’ente uno, spirituale e corporeo». 4 e si tratta ora di vedere più da vicino la natura di questo rapporto tra lo spirito ed il corpo. Proprio il riferimento all’anima come forma del corpo fornisce l’unica via rigorosamente corretta per accedere alla comprensione del loro rapporto che, come si è già accennato, non è quello che intercorre tra parti giustapposte, ma è di intima compenetrazione. Solo la presenza dell’anima spirituale, infatti, fa della materia un corpo umano, unificando tutte le funzioni della vita vegetativa e sensitiva in vista del superiore livello dello spirito che, d’altra parte, essendo uno spirito finito, non può prescindere dalla materialità del corpo per l’esercizio dei suoi atti coscienti, di intelligenza e di volontà libera. Solo grazie all’anima il corpo è un’unità nella quale le diverse dimensioni si organizzano a partire da un centro interiore che informa di sé ogni manifestazione ed ogni attività, cosicché nell’essere umano non esiste una pura sensibilità, ma questa è sempre penetrata dalla spiritualità che è quella che, appunto, si attua nel corpo umano che non è mai materia inerte e bruta. L’anima spirituale, dunque, è il principio unificatore del corpo che, d’altra parte, per questa stessa ragione, non è estrinseco rispetto all’anima, ma ne costituisce il mezzo di attività e di espressione, mostrando l’insostenibilità di tutti i tentativi dualistici di contrapposizione tra anima e corpo, nonché di quelli riduzionistici che vogliono rendere ragione della realtà umana prescindendo da una delle sue dimensioni metafisicamente costitutive. ****** Le considerazioni svolte fino ad ora hanno consentito, a partire dalle definizioni poste inizialmente, di giungere alla comprensione di ciò che è implicato dal concetto di persona, ovvero all’essenza dell’esistente personale, ma rimane da indagare un aspetto cruciale senza il quale il quadro tracciato risulterebbe del tutto incompleto. La persona, infatti, non esiste isolatamente o in un mondo di soli oggetti, ma si trova coinvolta in una trama di relazioni interpersonali senza le quali la vita propriamente umana sarebbe radicalmente impossibile, non soltanto sotto il profilo della sopravvivenza, ma, prima ancora, sotto quello del significato. Il pensiero contemporaneo mostra una particolare e giustificata attenzione per il tema del rapporto intersoggettivo, sottolineando che la persona può realizzarsi compiutamente solo nell’incontro e nel dialogo, nei quali si trova di fronte non una cosa, ma un altro essere umano con la stessa apertura e lo stesso valore. Si pone qui un problema di primaria rilevanza, che richiede una precisa risposta per non fraintendere il senso di quello che si afferma con il concetto di persona: è la relazione con l’altro soggetto a costituire la persona, oppure, al contrario, la relazione presuppone che coloro che vi sono coinvolti siano già persone, proprio per conferire ad essa la sua peculiare fisionomia? 5 La seconda possibilità è quella che rende ragione della realtà umana poiché, come si è visto, quest’ultima ha in se stessa, nella sua costituzione metafisica, il motivo della sua assoluta unicità rispetto agli altri esistenti ed il rapporto interpersonale è tale solo perché in esso il soggetto non si rapporta ad un oggetto, ma ad un altro soggetto a lui pari7. Chiarito questo punto cruciale, ricco anche di implicazioni etiche riguardo a tutte quelle persone che non possono entrare in relazioni significative con gli altri, non vi è dubbio che un “io” può esprimere pienamente se stesso solo rapportandosi ad un “tu” che, dotato della stessa coscienza di sé, gli consente una compiuta attuazione di tutte le capacità spirituali date con l’essenza umana. Conseguentemente, solo una piena comprensione di ciò che significa essere persona può consentire di instaurare delle relazioni pienamente adeguate e capaci di valorizzare quella natura razionale che già per Tommaso d’Aquino indicava la massima perfezione possibile ad un esistente finito. ****** Concludendo queste riflessioni sul concetto di persona si impone un chiarimento che, pur esulando dall’ambito della presente ricerca, è, tuttavia, di primaria rilevanza al fine di evitare equivoci di notevole gravità. Si è visto, infatti, che la persona si rivela negli atti di intelligenza e di libertà ed, ultimamente, nella coscienza di sé, ma ciò non deve essere frainteso nel senso che tali atti e tale coscienza siano quelli che la costituiscono, perché, se così fosse, vi sarebbe una non coincidenza tra “individuo della specie umana” e “persona”, dovendosi riservare quest’ultimo termine solo a coloro che accedono ad una piena realizzazione delle capacità date con la natura razionale. Al contrario, è proprio il possesso delle capacità, e non il loro esercizio, a costituire la persona e questo possesso altro non è che la stessa natura razionale che distingue la specie umana da tutte le altre8. Ritorna qui quello che si è già osservato riguardo al rapporto intersoggettivo che è il luogo privilegiato della manifestazione della persona: il valore e la dignità dell’essere umano non derivano mai da quello che egli può attuare, ma sono originariamente inerenti alla sua struttura metafisicamente costitutiva. La differenza sessuale Il concetto di persona, nelle riflessioni precedenti, è stato ricondotto al suo fondamento metafisico e, di conseguenza, per porlo in relazione con la differenza sessuale, è necessario vedere se anche quest’ultima si situi allo stesso livello perché, in caso contrario, non sarebbe possibile una considerazione unitaria di entrambi9. 7 DE FINANCE J., A tu per tu con l’altro. Saggio sull’alterità, Roma 2004. LOTZ J. B., Ontologia, Barcelona 1962, p. 313: «Ad personam constituendam sufficit capacitas illa remota, quae in natura rationali continetur et praesente anima spirituali sempre habetur». 9 Cfr., SALATIELLO G., Donna-Uomo. Ricerca sul fondamento, Napoli 2000. 8 6 Tale considerazione è radicalmente preclusa da due visioni, tra loro opposte, che risultano riduttive, poiché appiattiscono la differenza sessuale su di un’unica dimensione, escludendo la complessità che, invece, caratterizza l’umano differire10. La prima di queste due visioni è quella che può essere definita essenzialista ed in essa la differenza sessuale è letta a partire dal solo dato biologico «che è ritenuto adeguato e sufficiente per definire la maschilità e la femminilità» 11, senza porre al centro dell’attenzione anche le influenze storiche e socio-culturali, che concorrono a strutturare le differenti identità maschile e femminile. Al contrario, la seconda visione, quella costruttivista, pone una totale dicotomia tra il sesso biologico, ritenuto ininfluente nella strutturazione dell’identità, e la differenza tra l’uomo e la donna, che è ricondotta esclusivamente all’azione dei condizionamenti storici, sociali e culturali e che, conseguentemente, può essere liberamente ed indefinitamente modificata da scelte individuali. In realtà, entrambe queste concezioni assumono come punto di riferimento dati ineludubili, ma il loro limite consiste nella parzialità della prospettiva che, pertanto, risulta del tutto inadeguata a rendere ragione della differenza sessuale a livello umano. Nel primo caso, infatti, cioè quello dell’essenzialismo, si può sicuramente affermare che è pienamente condivisibile che la differenza si fonda sul differire biologico, ma quando ci si riferisce all’essere umano, i livelli superiori non possono essere trascurati o ignorati e devono essere colte le molteplici interazioni che, muovendo dalla nascita di un maschio o di una femmina, portano all’esistenza di quest’uomo o di questa donna. Il costruttivismo, invece, priva di qualsiasi significato umano la corporeità e consegna l’esistenza o al peso della cultura e della società, ritenute determinanti, o all’arbitrio di una libertà di scelta, privata di ogni radicamento nel dato corporeo originario. In entrambi i casi, poi, diviene impossibile assumere la differenza sessuale come oggetto di una riflessione volta a ricercarne il fondamento metafisico perché essa è consegnata o alle indagini della sola biologia, o alle analisi delle scienze umane empiriche quali la psicologia e la sociologia. ****** Alla radice del riduttivismo delle concezioni ora ricordate vi è, in realtà, un pregiudizio dualistico che, non essendo capace di tenere insieme dimensione corporea e dimensione spirituale, finisce inevitabilmente per valorizzarne una soltanto, creando un’insanabile frattura che non si riesce più a ricomporre. E’ necessario, quindi, ritornando all’antropologia precedentemente proposta, articolare e specificare ulteriormente il rapporto del corpo con l’anima spirituale che lo informa, muovendo dalla constatazione che il corpo è sempre originariamente segnato dalla differenza sessuale, cioè è sempre un corpo maschile o femminile. 10 11 Cfr., SALATIELLO G., “Uomo-donna: «dal fenomeno al fondamento»”, in Studium, 2(2005), pp. 253-264. Ibidem, p. 254. 7 Non vi è dubbio, infatti, che la differenza sessuale, pur non potendo essere ridotta al solo dato biologico, come si è già visto, è, tuttavia, intrinseca alla corporeità e, di conseguenza, per coglierne il significato umano, è necessario poter individuare quello del corpo. Procedendo, dunque, in questa direzione, si deve tornare all’affermazione che la persona è caratterizzata per la sua capacità di porre atti coscienti di intelligenza e di volontà libera, aprendosi ad un orizzonte infinito, ma si deve subito rilevare che questi atti, pur non essendo “del corpo”, sono, però, impossibili senza il corpo, come attesta già l’analisi della conoscenza, che individua l’origine di questa nei dati forniti dalla sensibilità12. Il corpo, pertanto, non è affatto estraneo all’attuazione della spiritualità, e si può anzi dire che trae da questa il suo significato che lo caratterizza rispetto a quello di ogni altro esistente, ma, poiché esso è sempre intrinsecamente sessuato, la stessa differenza introdotta dalla sessuazione partecipa di tale significato ed è differenza umana, radicata nel corpo, ma non esclusivamente corporea. La differenza sessuale, quindi, non è riducibile ai soli caratteri sessuali primari e secondari, mentre, d’altra parte, per il suo radicamento corporeo, non è una costruzione socio-culturale, ma è una dimensione costitutiva dell’identità umana, che è sempre quella di un uomo o di una donna, e si colloca sullo stesso piano metafisico dell’essenza che rende entrambi i sessi identicamente umani proprio nel loro differire. Diversamente dalla genitalità, la differente appartenenza sessuale specifica tutti gli atti umani, in una ineliminabile tensione polare tra uguaglianza e differenza, per la quale non si può affermare che gli esseri umani sono uguali in dignità e valore nonostante la differenza, ma lo sono soltanto in essa, poiché non vi è persona se non nella concreta modalità maschile o femminile. Sulla base delle considerazioni ora svolte, risulta pienamente condivisibile l’affermazione che la differenza sessuale «attraversa dal basso in alto (o forse piuttosto dall’alto in basso) l’essere umano tutto intero, carne e spirito» 13, ricevendo da quest’ultimo la sua peculiarità umana ed esprimendo una reciproca intenzionalità, dell’uomo e della donna, che va al di là della pura complementarietà biologica, dal momento che «essi sono l’uno per l’altro e la loro unità sarà anche tanto più stretta, tanto più affermata quanto la loro diversità sarà meglio rispettata»14. Non vi è, dunque, un’indifferenziata essenza umana, ulteriormente specificata dalla differenza sessuale, ma, proprio perché qui assumiamo la persona concretamente esistente, e non l’astratto concetto di individuo, l’umanità ed il differire sono inscindibili, come, del resto, attesta il libro della Genesi riferendosi all’unico atto 12 RAHNER K., L’unità vigente tra spirito e materia nella concezione cristiana, in Nuovi Saggi I, Roma 1968, p. 285: «la corporeità dell’uomo è necessariamente un elemento del suo divenire-spirito, non quindi una realtà estranea allo spirito, ma un momento limitato nella attuazione dello spirito stesso». 13 14 DE FINANCE J., A tu per tu con l’altro. Saggio sull’alterità, Roma 2004, p. 20. Ibidem, p. 21. 8 creatore con cui «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò»15. Al termine dell’intera riflessione risulta, infine, possibile tornare all’obiettivo iniziale e vedere che i due concetti, di persona e di differenza sessuale, non sono semplicemente accostati a fini espositivi, ma solo insieme, nella loro intrinseca indisgiungibilità, esprimono la verità dell’essere umano, uomo o donna, che esiste nell’originaria differenza sessuale. Prospettive ulteriori Le precedenti riflessioni sulla differenza sessuale nel suo rapporto con il concetto di persona possono costituire il punto di partenza per alcune significative considerazioni che, a loro volta, potrebbero essere assunte come base idonea ad aprire ulteriori prospettive di indagine. Conclusivamente, qui si vuole accennare a due di esse che appaiono particolarmente rilevanti sul piano della ricerca teorica, ma che risultano anche introduttive rispetto a successivi approfondimenti nell’ambito etico. In primo luogo, la visione antropologica che è stata delineata consente di avviare un fecondo confronto critico con un approccio al tema della differenza sessuale, che non è stato menzionato inizialmente perché, diversamente da quelli essenzialista e costruttivista non è riduttivo, ma che, accanto ad aspetti indubbiamente positivi, presenta anche intrinseci limiti che non sono superabili rimanendo al suo interno. Si tratta del cosiddetto, “pensiero della differenza sessuale”, la cui elaborazione più compiuta è dovuta alla filosofa francese Luce Irigaray, ma che è stato successivamente ripreso e sviluppato anche da altre studiose16. Luce Irigaray sostiene risolutamente che «la differenza sessuale fa parte dell’identità umana come una dimensione privilegiata dell’essere umano e del suo compimento» 17 e fonda questa sua affermazione, innanzi tutto, sul riconoscimento dell’originarietà della differenza che è iscritta nel corpo come dato intrascendibile. D’altra parte, però, alla differenza è attribuito anche un profondo valore simbolico e culturale che, per secoli, è stato elaborato solo dall’uomo, privando la donna della sua soggettività autonoma. La donna, dunque, deve riappropriarsi della sua identità e pervenire liberamente ad una propria cultura che rispecchi la peculiarità femminile fino ad oggi occultata. Tale progetto, teorico ed etico insieme, presenta, come si accennava, aspetti validi e condivisibili, ma incontra anche ostacoli insormontabili nel momento in cui l’affermata originarietà della differenza sessuale diventa la sua assolutizzazione, in mancanza di un fondamento metafisico o teologico che sappia garantire l’unità del genere umano nella sua esistenza differenziata. 15 Gn., 1, 27. In questo ambito di ricerca ci si riferisce principalmente e due opere della Irigaray: IRIGARAY L., Essere due, Torino 1994; ID., La democrazia comincia a due, Torino 1994. 17 IRIGARAY L., Essere due, cit., p. 43. 16 9 L’uomo e la donna, cioè, si configurano, alla fine, come due assoluti, invece che come le due differenti declinazioni dell’identica umanità e, in tal modo, anche la relazione e la comunicazione tra i due, che la Irigaray afferma di voler salvaguardare e promuovere, risultano compromesse, sebbene già nella corporeità sia prefigurata la reciproca destinazione. Tutto ciò interpella immediatamente l’antropologia cristiana a proseguire ed articolare ulteriormente le sue indagini, nella certezza che in essa la sottolineatura del significato positivamente umano della differenza sessuale è inscindibile dal rinvio ad una radicale unità tra l’uomo e la donna, che scaturisce dall’atto creatore e che è impressa in quella che è la più profonda struttura metafisicamente costitutiva. ****** Il secondo ordine di considerazioni che qui si vuole sinteticamente proporre, additando la strada per ulteriori indagini, muove dalla constatazione che la coscienza della personale identità sessuale è indisgiungibile dalla percezione di un limite insormontabile, ovvero dell’impossibilità di accedere all’identità del differente per il sesso. Il soggetto, cioè, mentre si coglie sessuato, si percepisce finito e vede nell’altro possibilità di realizzazione dell’umano, che gli sono precluse, sebbene, sulla base dell’identica natura, siano pienamente decifrabili. La relazione tra i sessi, che, come si diceva, a livello umano va al di là della pura complementarietà biologica, dischiude, così, la possibilità di un reciproco arricchimento che consente di integrare nell’identità maschile o femminile, mediante la comunicazione e lo scambio, quegli aspetti della comune umanità dei quali il sesso differente è più chiaramente portatore. Questa riflessione fino a qui si situa sul piano antropologico, ma possiede immediatamente una cruciale rilevanza etica, perché la relazione tra i sessi, non circoscrivibile alla sola genialità, dalla quale, anzi, può deliberatamente prescindere, si configura come il luogo per l’arricchimento di entrambi che solo insieme possono esprimere tutto il valore dell’umano. La ricchezza che la relazione può portare riguarda tutti gli ambiti dell’esistenza, ma non si può non pensare alla vita della Chiesa che ha bisogno delle due “voci” di coloro che sono entrambi immagine di Dio e che, proprio perché differenti, possono esprimere insieme tutta l’ampiezza e la profondità del progetto di Dio sull’umanità18. ****** Gli ultimi brevi cenni alle prospettive che si dischiudono possono evidenziare come il tema della differenza sessuale non sia aggiuntivo rispetto alle cruciali questioni di antropologia e di etica, ma le attraversi tutte trasversalmente, richiedendo una ricerca sempre più approfondita da parte di chi fonda il suo impegno sulla visione dell’essere umano proposta dalla Parola di Dio. 18 Cfr., CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettere ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, 2004. 10 11